L’estate
stava per terminare.
Avevamo
viaggiato poco in quei mesi, almeno rispetto ai nostri standard.
Una
volta, per i nostri diciotto anni ero riuscita a trascinarla perfino
in Friuli Venezia Giulia.
“perché
mi hai convinto ad arrivare fin qui?” chiese falsamente scocciata
abbandonando i suoi bagagli sul carrello dell’aeroporto, “mi
piaceva il nome”, gli confessai guardando un aereo che partiva
nella stessa direzione da cui eravamo appena arrivate.
Quest’anno
invece avevamo dovuto accontentarci di una vacanza breve, trattenuta
nelle poche settimane libere tra un esame e l’altro. Da quando
avevamo iniziato l’università era più difficile avere tempo
libero, perché le ore si perdevano di corsa tra una lezione e
l’altra.
Sembravamo
sempre in vacanza eppure perennemente impegnate.
Una
cosa che sopportavo a stento, un ritmo cui non avrei retto.
Se
lei non fosse stata con me.
“Lori!”,
la sua voce mi entrò nelle orecchie insieme alle grida stridule dei
gabbiani. Ultimi giorni di sole per lei equivalevano a campeggio
sulla spiaggia fino a un inevitabile esaurimento nervoso.
Il
mio.
Che
arrivava inderogabile ogni 24 ore di sabbia in posti impensati e sale
cicatrizzato sulla pelle.
“millecinquecentosessanta
minuti” biascicai tornando con la mente accanto a lei.
“stai
battendo tutti i tuoi record” si limitò a commentare girandosi
verso di me con gli occhiali dalle lenti scure appena abbassati sul
naso.
Provai
a rimodellare la mia espressione nella forma più indiscutibilmente
seccata della storia riuscendo soltanto a farla ridere più forte, a
gola spiegata contro il sole.
“sei
impossibile, forza, ancora un pomeriggio e potrai tornare la tuo
stupido hotel” ridacchiò convinta.
“quanto?
Mi rifiuto di restare a friggere sotto questo stramaledetto solleone
solo per te!” gli ringhia contro.
“e
poi guardami! Ho raggiunto il massimo della mia possibile
abbronzatura! Voglio tornare all’ombra, io odio questi salubri
raggi solari!”.
Vale
rise, della mia perfetta imitazione di maga magò.
“secondo
me potresti diventare più scura … se solo lo volessi” si lasciò
scappare avvicinando un braccio al mio per confrontarli.
La
sua pelle aveva la tonalità dolce del caramello, mentre la mia
arrivava appena al colore lieve della spiaggia intorno a noi.
“ma
certo! Cara epidermide, voglio diventare scura come la regina delle
Hawaii qui a fianco, collabora ti prego!” esclamai particolarmente
ironica al mio avambraccio.
Lei
rise più forte di prima, stringendomi una mano.
Era
calda, come la sabbia intorno a noi, come il primo mare a pochi passi
dai teli stesi sulla spiaggia.
“sei
sempre la solita” sbuffò rassegnata alzandosi in piedi e
costringendomi a fare lo stesso.
“torniamo
in albergo?” sospirai incredula mentre riprendevo equilibrio sulla
lieve discesa verso la battigia.
“si
… purché tu mi prometta una cosa …” sussurrò con lo sguardo
perso nell’orizzonte sfumato dell’oceano.
“quello
che vuoi” promisi stringendole la mano ancora tiepida nella mia.
“quando
mi mancherà il sole questo inverno tu mi ricorderai questo momento,
perché non abbia più freddo, e l’estate non sembri poi così
lontana”.
I
suoi occhi lasciarono il mare e fissarono i miei, alzando gli
occhiali per lasciarmi penetrare nel castano dorato delle sue iridi
accese.
Le
sorrisi, lasciandomi abbracciare per un breve momento, prima di
prenderla in braccio, sorda alle sue proteste, alle grida di paura e
i piccoli pugni sulla mia schiena.
Ridendo
mentre dopo pochi passi lasciavo cadere entrambe nell’acqua bassa,
tra gli schizzi delle sue gambe recalcitranti e le braccia allacciate
al mio collo nella paura di affogare in mezzo metro di mare.
“l’inverno
è solo un’illusione Vale”.
…
C’è
qualcosa di vagamente nostalgico nel tornare alle solite lezioni con
i postumi della vacanza ancora addosso.
Come
un obbligo scolastico ampiamente sottovalutato prima della la fine
del liceo e riscoperto troppo tardi.
La
sveglia presto, la colazione incartata nel sacchetto di un bar per la
fretta di arrivare prima dell’appello.
La
metro che passa troppo presto o troppo tardi.
A
seconda che tu sia in ritardo o in anticipo.
Vale
si appoggiò con uno strattone al mio braccio indolenzito, doveva
aver dimenticato la frenata brusca tipica della prima fermata.
“ricordami
perché non prendiamo la macchina per andare in facoltà” borbottò
contrariata alla mia spalla poggiandoci sopra la testa riccioluta.
La
strinsi a me per tutto il tempo necessario affinché altri passeggeri
scendessero e salissero sul vagone della metropolitana su cui stavamo
viaggiando senza dividerci.
“perché
amiamo la nostra città e vogliamo risparmiarle la cappa di smog più
spessa della storia” le sussurrai accarezzandole lievemente la
nuca.
“è
solo perché ti secca spendere soldi in benzina” mi contraddì
sbadigliandomi contro la maglietta leggera.
“e
sprecarla bloccata nel traffico” precisai certosina.
Una
ragazza seduta davanti a noi mi guardò aggrottando appena le
sopracciglia, i suoi occhi seguivano la mia mano che accarezzava
lentamente il braccio di Vale.
Le
rivolsi un’occhiata diffidente mentre tornavo a rivolgermi al nodo
di capelli incastrati con qualche molletta di uno strano blu
elettrico.
“hey
bella addormentata” le sussurrai ad un orecchio, “non crollare
proprio ora, siamo quasi arrivate”.
Vale
aprì un occhio per guardarmi realmente poco interessata.
“siamo
ancora in tempo, torniamo indietro e ricominciamo a dormire!”
piagnucolò patetica.
Mi
scostai una ciocca dal viso impedendomi di riderle .
“Vale
…” la rimproverai con il tono meno serio del mio repertorio.
“va
bene, va bene …” borbottò arrendendosi, “ma lasciami dormire
fino alla prossima fermata ok?”.
Sorrisi
ai suoi capelli ninnandola con un motivetto lento.
…
“Lo?”
la sua domanda bisbigliata mi distrasse dalla lezione.
Grazie
alla mia mania per il caffè arrivammo tardi, costrette a sederci in
cima alla gradinata pur di seguire qualche parola.
“mmm
…” bofonchiai concentrata mentre la sua penna pungolava il mio
fianco dalla parte del tappo.
“pensi
che il professore sia gay?”.
Lasciai
la frase appuntata a metà sul blocco stropicciato per guardarla,
aveva lo sguardo concentrato sulla figura piuttosto sfocata dell’uomo
oltre la cattedra che parlava lentamente dentro il microfono
argentato.
“perché
lo vuoi sapere?” chiesi perplessa.
“non
so …” sussurrò piano per non farsi scoprire, “mi da questa
impressione … è sempre così … gaio quando inizia a spiegare, e
poi ha uno strano tono di voce … e vestiti troppo colorati!”.
La
guardai ridacchiando, “quindi uno è gay perché non si veste di
nero e parla un’ottava sopra la media?”.
Aggiunse
una gomitata al pungolamento con la penna a sfera.
“no,
certo che no … però mi sembrano dettagli da prendere in
considerazione” spiegò con susseggio allineando i fogli immacolati
davanti a lei.
“capisco”
annuii delicatamente ricominciando a prendere appunti, “ma mi
chiedo ancora perché tu voglia saperlo”.
Vale
mi sorrise, mostrandomi le fossette sulle sue guance rotonde, “vorrei
solo riconoscerli, così potrei farci amicizia”.
La
guardai di sbieco completando un paragrafo, “sicura?”.
“certo!”
esclamò un po’ troppo forte stringendomi un braccio.
“non
ho mai avuto un amico gay”.
La
penna mi cadde di mano mentre chiudevo gli occhi e respiravo
profondamente.
Quando
mi girai verso di lei stava completando per me il decalogo del
professore con aria annoiata.
“vuoi
copiare?”.
…
“glielo
hai detto?”
“cosa?”
mormorai perplessa.
Frank
mi guardò esasperato, alzando gli occhi al cielo.
“che
io sono un finocchio e che tu odi il rosa? cosa secondo te?” sbuffò
cercando disperatamente un accendino alla sigaretta che teneva
incastrata tra le labbra.
“no,
non gliel’ho detto, ma se vuoi appena usciamo la informo” lo
tranquillizzai accendendo una piccola fiamma arancione davanti il suo
viso.
Si
concesse una lunga boccata di nicotina prima di rispondermi.
“sei
un’idiota” proclamò convinto, “e dovresti dirglielo …
davvero” concluse buttando un po’ di cenere per terra.
Mi
astenei dal ricordargli la presenza del posacenere al centro del
tavolino dove eravamo poggiati.
“si,
mi sembra una buona idea andare dalla mia migliore amica e dirgli,
‘hey ciao, hai presente la nostra amicizia che dura da più di un
decennio? In realtà non esiste, è solo che io sono cotta di te! Ah,
ma non preoccuparti, non è che di solito mi piacciono le femmine, è
una cosa solo per te tranquilla!’ ”.
Digrignai
i denti alla faccia impassibile di Frank ancora occupato a tirare
ossigeno cancerogeno dalla sua sigaretta.
“una
cosa del genere?” chiesi caustica.
“si,
una cosa del genere” mi rispose a muso duro.
Ma
la sua mano cercò la mia dopo qualche secondo, coprendola con una
carezza rassicurante.
“devi
dirglielo Lori, o le cose peggioreranno … pensaci, forse non
reagirebbe così male, in fondo ti vuole bene davvero … magari ti
vuole anche lei” cercò di consolarmi con tono affettuoso.
Lasciai
scivolare la sua mano dalla mia in un gesto non troppo brusco.
“no”,
sospirai, “no, lei non mi vuole in quel senso …. e forse non la
voglio neanche io, forse è solo un’ossessione perché passiamo
troppo tempo insieme. Insomma, vivo più con lei che con la mia
famiglia ormai” cerai di continuare con tono convincente.
Frank
dondolò leggermente la testa in disaccordo.
“sul
serio, sarà solo uno sfogo adolescenziale”.
Il
ragazzo davanti a me si lasciò andare ad un lungo sospiro, “guarda
che non c’è nulla di male ad essere attratti da persone del tuo
stesso sesso”.
Scoppiai
a ridere, quando lui, il mio migliore amico, mi confidò di essere
gay per prima cosa gli presentai un mio cugino dichiarato, nella
speranza che si piacessero abbastanza da mettersi insieme.
“sai
cosa intendevo”, sbottò infastidito dalla mia risata, “il fatto
è che tu devi renderti conto che non c’è nulla di male. Che puoi
esserlo. Che puoi essere etero, gay, o bisex … o una delle infinite
scelte che offre il piano sessuale del genere umano” commentò
elencando le probabilità. Si fermò un attimo per guardarmi negli
occhi, “perché tu vuoi rapporti sessuali solo con il genere umano
vero?”.
Gli
tirai un calcio tra le gambe del tavolino abbastanza forte da farlo
guaire.
“ok,
il punto è; con quanti uomini sei stata nella tua vita?”.
“questa
è davvero una cosa che non ti riguarda minimamente …” cercai di
fermarlo, “quanti Lori?”.
Mi
mordicchiai una pellicina nella speranza di impietosirlo.
“oh
avanti, io lo so, come tu sai i miei, sto solo cercando di farti
ammettere una cosa, collabora per l’amor di Dio!”.
“uno”
sbottai infastidita, “e lascia Dio al di fuori delle mie pratiche
sessuali”.
Frank
annuì leggermente, “ok uno, ed era ….”, lasciò un attimo di
sospensione pur di farmi cedere.
“l’ex
fidanzato di Vale” completai per lui con voce atona.
Stavolta
annuì con più vigore, “e le tue storie senza rapporti?”
continuò mimando delle assurde virgolette in aria, “parliamo di
quelle? Chi erano i soggetti del suo straordinario sexappeal?”
“Frank
dobbiamo proprio … ?”, cercai di tergiversare, “rispondi e non
farmi perdere tempo piccola canaglia, non ho tutto il giorno per te”.
“ok,
ok, erano i suoi ex, o quelli con cui ci aveva provato, o quelli che
le piacevano. Va bene così?” elencai inviperita.
“hai
dimenticato quelli che erano stranamente innamorati di lei”
concluse serio.
Perse
del tempo accendendosi un’altra sigaretta mentre ponderavo la
simpatica idea di fuggire da quel tavolo e trovare un posto sicuro in
cui nascondermi.
“non
ci sei ancora arrivata vero?” domandò osservandosi le unghie
corte.
“a
cosa?” chiesi esasperata.
Frank
poggiò stranamente la sigaretta in bilico sull’orlo del tavolo per
guardarmi negli occhi.
“tu
ti fai loro perché non puoi farti lei. Tu ti loro perché non si
facciano lei”.
I
suoi occhi scuri mi scavarono dentro ancora un po’ prima di
lasciarmi andare e recuperare la sua inutile sigaretta.
“non
è vero” boccheggiai sconvolta.
“si
che è vero, per questo stai di merda quando esci con uno di loro,
per questo non gli dici mai niente. Cristo! Ti crede ancora vergine”
ridacchiò divertito.
“ti
ho detto di non infilare Dio nelle mie pratiche sessuali” gli
ringhiai contro.
“va
bene, il punto è ... Tu lo sai, anche se non vuoi ammetterlo lo sai.
Quindi ti conviene alzare quel culo, andare da Vale e dirglielo …”.
“dirmi
che?” domandò una voce alle mie spalle.
Vale
aspettava tranquilla a qualche passo da noi, evidentemente si era
avvicinata sentendo il suo nome.
Mi
venne vicina sedendosi sulle mie ginocchia, lo sguardo fisso e
perplesso su Frank che mi guardava indulgente.
“avanti,
diglielo” mi incitò sorridente.
Anche
io sorrisi, stringendo i fianchi di Vale appena più forte mentre la
sistemavo meglio sulle gambe, come una bambola viva.
“che
lui è finocchio” ripetei candida, “e che io odio il rosa”.
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