Piton
si svegliò di soprassalto nel cuore della notte. Gli
ci volle un po’ per ricordare il motivo che l’aveva
strappato dal mondo dei
sogni; sentendo un altro piccolo rumore nella stanza accanto,
ricordò. Si alzò
silenziosamente, attento a non far scoprire all’avventato
nottambulo che era
stato scoperto. Infilò il mantello sopra la camicia da notte
grigia, spostando
i lunghi capelli unticci dietro le spalle. Lanciò uno
sguardo allo sporco
specchio appeso di fronte e vide un giovane ragazzo, di non
più di ventidue
anni, restituirgli un’occhiata storta.
Come
mai si trovava ancora ad Hogwarts? Ah sì,
ricordò,
mentre il sonno evaporava ormai del tutto, aveva preso la cattedra del
professor Lumacorno… era stato Silente a suggerirgli quel
posto: faceva parte
della sua “seconda possibilità”.
Scacciando
dalla mente pensieri che avrebbero potuto
deviarlo dal suo compito, si avviò verso la porta del suo
ufficio e la aprì
lentamente. La giovane impertinente che si era intrufolata nella sua
classe gli
dava le spalle, canticchiando tranquillamente tra sé mentre
preparava una
pozione. Piton trattenne a stento un sorrisetto sadico, riflettendo su
quale
punizione infliggere a quella studentessa che tanto avventatamente
aveva osato
venire lì ben oltre la fine dell’orario di
lezione, senza rendersi conto che
poteva essere scoperta. Si stava avvicinando a lei senza fare rumore
quando si
accorse dalla divisa che portava che si trattava di una Grifondoro.
Meglio,
pensò: gli sarebbe dispiaciuto togliere punti ad una
Serpeverde. Poi notò un
altro particolare, apparso tra i vapori del fumo, e rimase pietrificato
dov’era.
La
studentessa aveva lunghi capelli rosso rame che
ricadevano dolcemente sulla schiena. Ascoltando meglio, Piton si rese
conto di
conoscere quella canzoncina, l’aveva sentita meno di dieci
anni prima, nella
stessa aula… E ricordò.
Lei.
- Muoviti, Sev, non
voglio che Lumacorno ci scopra! - , lo esortava una ragazza dietro una
massa di
capelli rossi, arruffati per il vapore della pozione. –
Passami l’elleboro… -
- Tieni, Lily - . Un
giovane Piton la osservava rapito, posandole sulle mani
l’ingrediente
richiesto.
- Sta venendo bene…
meno male! - , esultò Lily, scrutando la superficie argentea
in cima al
calderone.
- Era ovvio, sei la
migliore pozionista di Hogwarts –
- Grazie, Sev - . Gli
restituì un sorriso gentile, guardandolo con i suoi
splendenti occhi verdi. –
Spero che Lumacorno non si arrabbi quando saprà che siamo
stati qui… no, non
credo: sarà fin troppo felice di vedere il regalo che gli
abbiamo preparato… -
. Riprese a canticchiare, allegra, mentre Piton chiudeva gli occhi,
beandosi al
suono della sua voce…
La
studentessa continuava a mescolare ingredienti, lanciando
ogni tanto un’occhiata al libro sul banco. Piton si
avvicinò ancora di più,
nervoso.
Non è possibile, sto
sognando, si disse. Non
può essere
lei…
Terrorizzato
all’idea che scomparisse, lasciandolo di nuovo
solo, e allo stesso tempo desideroso di sfiorare ancora i suoi soffici
capelli
Piton allungò una mano, tentando di prenderne delicatamente
una ciocca.
La
ragazza sussultò, lasciando andare immediatamente lo
strumento con cui stava mescolando la pozione. Piton la
guardò, esterrefatto.
Era
rossa, doveva avere tredici anni, la stessa età di Lily
nel ricordo, ma i suoi occhi… erano grandi, spaventati e scuri.
Non
era Lei.
Piton
sentì crollare il pavimento sotto i suoi piedi: no,
non così presto, si ritrovò a pensare, non
adesso… non ora che il dolore era
così forte, implacabile. Non dopo così poco tempo
dalla morte della sua amata,
della sua Lily… il
destino non poteva
avergli giocato un tale scherzo.
La
voce della studentessa lo riportò alla realtà.
-
Professore - , tentava di discolparsi, tremante. – Mi
scusi… Volevo… volevo solo… solo
tentare di rifare il compito dell’altro
giorno… era andato male, e allora… -
-
Vattene - , si limitò a dire fra i denti Piton. Sentiva la
rabbia crescere dentro di sé, il dolore farsi più
marcato, quasi visibile;
saliva agli occhi e non trovava il modo di fermarlo. –
VATTENE! - .
La
ragazza scappò dall’aula raccogliendo la borsa,
senza
lasciarsi indietro. Piton cadde su una sedia e, senza darsi pena che
fosse
abbastanza lontana da non sentirlo, si rese vittima della propria
sofferenza,
lasciando che sgorgasse fuori di lui come voleva, con lamenti,
singhiozzi e
lacrime.
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