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I personaggi di “Artemis Fowl”
appartengono ad Eoin Colfer mentre quelli di “Kuroshitsuji” appartengono a
Yana Toboso e non sono utilizzati a scopo di lucro.
Il genio e il dannato
CAPITOLO 1
“Così va bene?”
Chiese l’uomo finendo di avvitare un bullone.
“Sì, dovrebbe
andare! Controllo subito!” Il ragazzo seduto alla scrivania digitò qualcosa
sulla tastiera del computer e sullo schermo un modellino in scala cominciò a
roteare su se stesso. La scritta che lampeggiava in basso confermava i suoi
calcoli.
“Perfetto!” Un
sorriso compiaciuto comparve sul volto pallido del giovane e gli occhi azzurri
brillarono di soddisfazione.
Artemis Fowl
junior si poggiò allo schienale della sedia girevole e continuò a rimirare
l’esito del suo lavoro per qualche secondo prima di alzarsi di scatto.
“Quanto ti ci
vuole, ancora, Leale?” Chiese alla sua guardia del corpo che, inginocchiata a
terra, continuava a stringere un bullone dopo l’altro.
“Non molto,
Artemis, ho quasi…”
Il suono del
campanello interruppe l’uomo che posò a terra la chiave inglese e si alzò con un
sospiro. “Torno subito!”
Il giovane Fowl
annuì e guardò Leale uscire prima di spostare la sua attenzione sul macchinario
al centro della stanza.
Piegò la testa
di lato e scrutò i pezzi di metallo con aria critica; la luce che filtrava dalla
finestra si rifletteva sul materiale emanando piacevoli riflessi. Gli ci erano
voluti tre mesi per mettere a punto quel progetto, ma alla fine grazie agli
oggetti sottratti al piccolo Popolo, alle conoscenze incamerate in pochi anni di
“collaborazione” e al suo cervello, c’era riuscito. Non che vi fossero dei dubbi
in proposito, era pur sempre un genio con un QI superiore ai 200 e a poco più di
14 anni aveva all’attivo numerosi colpi portati a termine con successo. Tutti i
colpi di Artemis Fowl andavano a buon fine, anche i più ambiziosi.
Indubbiamente
con la sola tecnologia terrestre non avrebbe potuto riuscirci, ma questi erano
dettagli.
Era da quando
era tornato dall’ultimo viaggio, se così poteva essere definito, che ci pensava;
con una macchina del tempo avrebbe guadagnato più di quanto avrebbe potuto farlo
con qualsiasi altra cosa, e questo non avrebbe potuto che incrementare le
entrate della famiglia Fowl.
Si avvicinò
alla macchina e con i polpastrelli sfiorò la superficie fredda e liscia,
assaporando già i fruttuosi guadagni che avrebbe realizzato con quel
giocattolino ipertecnologico.
Il suo sguardo
si posò distrattamente sul pulsante di accensione per poi cominciare a fissarlo
quasi avidamente.
“Dovrei
aspettare che Leale finisca di sistemare tutto…” Pensò mentre le dita
cominciavano a sfiorare il piccolo pulsante verde.
Sorrise
lievemente e scosse il capo: “La pazienza è la virtù dei forti!” Esclamò a mezza
voce e in quel momento sentì il portone d’ingresso chiudersi e i passi pesanti
di Leale mentre percorreva il corridoio e saliva le scale.
Un altro rumore
catturò la sua attenzione. Artemis si accigliò leggermente, non riuscendo a
capirne la provenienza, ma quando il suono sordo si ripetè, per un attimo si
sentì mancare il fiato.
Fissò con aria
sorpresa il macchinario di fronte a lui. Una spia luminosa lampeggiava a
intermittenza sul monitor a cristalli liquidi.
“Si è acceso…
da solo?!”
Fowl si
avvicinò allo schermo e sgranò gli occhi: “Sta part…”
“Questi
scocciatori, cosa…”
Leale rimase
fermo sulla porta: “Artemis, non ho ancora finito di sistemarla!” L’uomo fece
per entrare nella stanza, ma il giovane alzò una mano.
“Non entrare!”
Artemis si voltò verso la guardia del corpo con aria accigliata; il suo tono non
ammetteva repliche.
“Ma che sta
succede…?”
Un fischio
acuto uscì dalla macchina e i due furono costretti a coprire le orecchie con le
mani.
“Artemis, ti
porto via di qui!” Esclamò Leale, ma non riuscì a muovere un passo che il
giovane Fowl si era praticamente volatilizzato.
Artemis si
sentì come se qualcuno gli avesse afferrato improvvisamente le caviglie dal
pavimento e lo avesse tirato di colpo giù. Non ebbe neppure il tempo per urlare
o per riflettere su quello che stava accadendo. Il tonfo sordo e il dolore
distribuito su tutto il corpo gli comunicarono che era perfettamente caduto a
faccia in giù sul pavimento. Rimase fermo per qualche secondo prima di
accertarsi che tutte le ossa fossero al loro posto.
“Leale?”
Mugugnò con il volto ancora premuto a terra. Nessuna risposta.
Con qualche
lamento il giovane Fowl cercò di tirasi su facendo leva sulle braccia e
chiedendosi perché Leale non lo stesse aiutando. Fissò il pavimento, o almeno
quello che doveva essere il pavimento. “Ma cosa…?” sfiorò con le dita la
superficie morbida sotto di lui “Ma questa è moquette! Questa… non è casa mia!”
Quella constatazione lo fece rabbrividire. Si mise lentamente a sedere cercando
di riordinare i pensieri e una crescente soddisfazione di impossessò di lui
subito tramutata in preoccupazione quando si sentì chiedere: “Chi siete?”
“Non sono
solo!” Pensò Artemis rimanendo seduto. “E questo non va affatto bene!”
Leale gli aveva
sempre raccomandato di valutare la situazione nella quale si trovava prima di
agire: “Se ti trovi in un territorio sconosciuto, cerca di conoscerlo prima di
aprire bocca. Dieci secondi di osservazione possono salvarti al vita.” Il
giovane Fowl ripetè mentalmente le parole della sua guardia del corpo e
perlustrò velocemente il luogo in cui si trovava. La grande stanza era
riccamente arredata. Davanti a sé aveva una scrivania in legno, decisamente non
recente, ma di ottima fattura, e sulla destra a pochi metri di distanza, un
tavolino con un'unica sedia, anch’essi non comprati di recente. Alle pareti
facevano bella mostra numerosi quadri “Imitazioni?” Si chiese decidendo di
alzarsi; aveva incamerato tutte le informazioni necessarie.
Sbattè le
palpebre, perplesso, quando, dall’altro lato della scrivania vide un giovane che
poteva avere più o meno la sua età. L’occhio destro era coperto da una benda
nera e indossava un completo blu decisamente elegante e decisamente fuori moda.
“Ottocento…
seconda metà del secolo, direi!” Pensò, come se stesse valutando la datazione di
un dipinto o un manoscritto. Il suo volto assunse un’aria compiaciuta, ignorando
l’aria accigliata che aveva assunto l’altro; l’unico sopracciglio visibile si
era piegato in modo quasi innaturale: “Chi siete?” Domandò nuovamente lo
sconosciuto: “Cosa ci fate in casa mia?”
Artemis si
schiarì leggermente la voce e con aria tranquilla rispose: “Il mio nome è
Artemis Fowl e accidentalmente la mia ultima invenzione mi ha portato qui!”
Esclamò lisciando con noncuranza la sua giacca nera.
L’altro rimase
impassibile e, incrociando le braccia, domandò: “Quindi siete un inventore?”
“Non
esattamente, ma non è sbagliato definirmi così!” Artemis scrollò le spalle
mentre il giovane di fronte a lui si incupì “Da dove venite?”
Fowl lo fissò
in silenzio per qualche secondo: “Sono irlandese!”
“Dal vostro
abbigliamento non si direbbe!” Esclamò l’altro quasi disgustato.
Artemis si
lasciò sfuggire un’occhiata alla cravatta nera che spiccava sulla camicia
candida “È mia abitudine vestire così!... Ah, posso chiedere dove sono?”
“Questa è villa
Phantomhive!”
“Quindi, vostro
padre sarebbe…”
“Io… sono il
conte Ciel Phantomhive e questa casa è di mia proprietà!” Esclamò l’altro con
una nota di irritazione nella voce.
Artemis rimase
colpito da quella reazione. Inoltre cominciava a sentirsi le gambe indolenzite
per quell’immobilità forzata. Era rinchiuso in una stanza con un ragazzino con
un’evidente crisi d’inferiorità e con una mentalità completamente differente
dalla sua; a dirla tutta era alquanto sorpreso che ancora non avesse cominciato
ad urlare “al ladro” o, peggio ancora, “alle streghe” .
Fowl continuò a fissare il conte che si era rabbuiato ancor più di quanto non lo
fosse prima e che aveva cominciato a far girare con due dita l’anello che
portava al pollice della mano sinistra.
L’aria era
diventata decisamente pesante quando si sentì bussare alla porta.
Artemis non
mosse un muscolo mentre Phantomhive distolse lo sguardo.
“Le ho portato
il tè, signorino!” Esclamò una voce maschile fuori dalla stanza.
“Entra,
Sebastian!”
La porta si
aprì senza il minimo rumore.
“Avete un
ospite, non ne ero al corrente! Preparo un altro tè?” Chiese la voce.
Artemis lanciò
un’occhiata di lato e vide arrivare un carrellino con sopra un servizio da tè a
motivo floreale. A spingerlo un uomo slanciato che si rivolse nuovamente al
conte: “Servo anche il suo ospite, signorino?”
Phantomhive
rivolse la sua attenzione al giovane Fowl.
“Non si
disturbi!” Si affrettò a rispondere Artemis che sembrava improvvisamente
attratto da uno dei quadri alle spalle del conte.
“Non è inglese,
signore?” Chiese l’uomo, rivolto ad Artemis.
Quest’ultimo si
voltò, incrociando lo sguardo del maggiordomo. “Irlandese!” Esclamò subito.
“Capisco!” Il
sorriso appena accennato dell’uomo fece rabbrividire Fowl facendogli desiderare
che Leale fosse con lui.
“Cosa pensate
di fare, signor…”
“Fowl! Mi
chiamo Fowl!
“Sì, quindi,
signor Fowl, quali sono i vostri progetti?” Chiese Ciel con un’occhiataccia.
L’altro si
guardò leggermente intorno: “Credo che aspetterò qui finché la mia guardia del
corpo non mi riporterà indietro, sempre che a voi, signor conte, non disturbi!”
“La sua guardia
del corpo?” Phantomhive sembrava alquanto dubbioso.
“Sì, esatto!”
“Spero per voi
che non ci metta molto!” Ciel si allontanò dalla scrivania per andarsi ad
accomodare al tavolino poco distante dove il maggiordomo cominciò a servirgli il
tè.
“Oltre ad
inventare macchine che entrano in funzione da sole, vi occupate di altro, signor
Fowl?” Chiese il giovane prima di prendere una tazzina e sorseggiare lentamente
il tè.
Le sopracciglia
di Artemis si incurvarono in maniera impercettibile. “Faccio tutto quello che di
solito fa un ricco genio quattordicenne!”
Ciel alzò gli
occhi dalla tazzina “Non credete di essere troppo sicuro di voi?”
“Non se mi
chiamo Artemis Fowl e la mia intelligenza è superiore alla maggior parte degli
abitanti di questo pianeta.”
“Questo lo dite
voi!”
“Infatti!”
Un lieve
sorriso increspò le labbra del giovane Fowl mentre continuava a fissare Ciel che
ricambiava lo sguardo quasi senza espressione.
Un lieve
tintinnio catturò l’attenzione dei presenti.
Il servizio da
tè cominciò a tremare con insistenza crescente.
“Sebastian…?”
Il conte posò
la tazzina sul tavolo e guardò il suo maggiordomo che con calma esclamò: “Una
scossa di terremoto, signorino!”
“Non credo…”
Sussurrò Artemis con lo sguardo rivolto verso l’alto mentre il tremore diventava
più forte e il soffitto della stanza sembrava perdere consistenza. Il giovane
continuò a fissare in su finché non perse l’equilibrio. Cadde a terra, in
ginocchio, e poggiò entrambe le mani sula moquette.
“Artemis!”
La voce era lontana, ma la riconobbe subito.
“Leale…
portami…” Un pezzo di intonaco cadde a pochi centimetri dalla sua mano. Fowl
spalancò gli occhi, mentre il cuore cominciava a battergli forte per lo
spavento, e tornò a guardare in alto: “Leale!”
“Sto arrivando,
Artemis, tieni duro!” Un sussurro, ma fu sufficiente.
Dal soffitto
fuoriuscì un braccio che il giovane riconobbe come quello della sua guardia del
corpo.
Chiuse e aprì
gli occhi assicurandosi che non fosse un’allucinazione e subito cercò di
rimettersi in piedi.
“Che sta
succedendo?” Urlò Ciel per sovrastare il rumore. Il giovane si era alzato dalla
sedia e fissava con aria confusa il braccio che fuoriusciva dal soffitto e
Artemis che tentava di rimanere in piedi per raggiungerlo mentre l’intera stanza
continuava a tremare.
“Signorino, è
meglio che la porti via di qui!” Sebastian afferrò il conte con un solo braccio
e lo sollevò da terra.
“Sebastian, no!
Rimettimi giù!” Urlò infuriato l’altro, stringendo i pugni.
“Sta per
crollare tutto!”
“Ti ho detto
di…”
Artemis si
avvicinò barcollando alla scrivania e cominciò a trascinarla in mezzo alla
stanza.
“Che state
facendo?” Urlò Phantomhive, stizzito, cercando di divincolarsi dalla presa del
suo maggiordomo.
Fowl lanciò uno
sguardo al conte, mantenuto a mezz’aria dell’uomo: “Torno… nella… mia… epoca!”
Rispose Artemis tra un respiro e l’altro.
Quando fu
soddisfatto salì sulla scrivania, in equilibrio precario, e alzò una mano che fu
prontamente afferrata da Leale.
Quella presa
ferrea fece sentire Artemis al sicuro, nonostante il giovane continuasse ad
oscillare da una parte all’altra.
La stanza
sembrò capovolsi quando venne tirato su di peso e il giovane Fowl strinse con
forza gli occhi fin quando non avvertì altro che silenzio.
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