FLY AWAY
(Butterfly reprise)
Capitolo
17
L’aurora
Non che non
me lo aspettassi, insomma conosco i miei amici come le mie tasche, ma
vedere Ryo Ishizaki che balla con i ventagli in mano, agitando il
bacino in piedi sul tavolo, è uno spettacolo che ha
dell’incredibile!
Rido, non posso
proprio evitarlo.
La scena è
troppo bella e la serata è carica di
quell’atmosfera, un po’ fuori di testa, che solo
con gli amici più stretti si riesce a sentire.
Rido,
perché sono semplicemente eccitato all’idea di
quello che sta per succedere, al cambiamento che sta per stravolgere,
in meglio, la mia vita e perché, sì lo ammetto,
l’alcool amplifica, dilatandola, l’euforia di cui
mi sento colmo.
Mi guardo intorno,
osservo i visi allegri che compongono la tavolata.
I ragazzi della
squadra, Sanae e Yukari, che messe in posa davanti al cellulare,
scattano foto ridendo divertite, sullo sfondo lo spettacolo demenziale
di Ryo, che balla e canta una vecchia canzone giapponese, con voce in
falsetto, leggermente impastata.
Certo confesso che
oggi pomeriggio, quando ho sganciato la bomba del matrimonio, ho
faticato poi sette camicie per riportare all’ordine i miei
amici, per non parlare del fatto che credo di aver subito il peggio, ovvero meglio,
dipende dai punti di vista, del già vastissimo e collaudato
repertorio delle loro prese per i fondelli.
La punta massima di
questo bonario accanimento nei miei confronti, si è
raggiunta però solo di sera, nel momento esatto in cui ho
messo piede in questo locale con Sanae.
I nostri carissimi
amici, infatti, hanno avuto l’esaltante idea
d’incontrarsi poco prima dell’appuntamento
prefissato e di mettersi comodi in sala ad aspettarci.
Così
abbiamo avuto il nostro ingresso in solitaria e loro hanno potuto
godere dello spettacolo dei nostri volti color porpora, una volta che
siamo stati accolti dalle loro urla festanti.
Con gli occhi di tutto
il locale addosso, sarei voluto sprofondare.
Sanae si è
girata verso di me con un “Ok... io me ne vado, buona
fortuna!” facendo qualche passo indietro,
proprio come se volesse davvero filarsela, poi però, quando
si è girata di nuovo, ho visto nei suoi occhi quanto anche tutto questo
la rendesse felice e allora, da quell’istante, non me
n’è importato più nulla delle prese in
giro.
Il rumore di vetro che
tintinna contro il mio bicchiere mi scuote, distraendomi dai miei
pensieri e il volto sorridente di Taro campeggia, impadronendosi di
tutta la mia visuale.
Sorrido al mio
migliore amico.
“Se penso
che solo
cinque anni fa ero in Francia a leggermi le tue lettere dal
Giappone...”
Ridacchio divertito al
ricordo di quando mi mettevo seduto alla mia scrivania, a scrivere
chilometri di parole sul calcio, a quell’amico che se
n’era andato tanto lontano e dopo troppo poco tempo che lo
conoscevo.
Taro mi mancava
davvero molto in campo.
“Ti ricordi
di quando ti ho scritto dalla Germania? Dopo aver incontrato
Wakabayashi?”
Annuisco e ritorno per
un attimo a sentire l’emozioni di quel ragazzino, che forse
aveva, nell’intimo, invidiato tanto i due amici, che si erano
potuti riabbracciare in Europa.
Quel ragazzino che
sentiva il Giappone così stretto e ammirava tanto
l’amico portiere, per essere stato capace, così
presto, di lasciarselo alle spalle, per andare dove il calcio conta
davvero e scalare la vetta del professionismo, fin da giovanissimo.
“Sai che ho
ancora tutte le tue lettere conservate?” mi chiede ancora,
sorridendo.
“Anch’io!”
“Oggi le ho
rilette, per curiosità, per vedere cosa era cambiato in
questi anni...”
Fisso Taro stupito e
d’improvviso mi rendo conto che c’è un
abisso tra questa realtà e quella che vivevamo, solo qualche
anno fa.
“Quando ho
cominciato a incontrare qua e là il nome di Sanae, mi sono
ricordato di quanto fossi imbranato, sai!”
E già,
perché Taro mi mancava tanto, anche fuori dal campo,
decisamente.
Sorrido, abbassando lo
sguardo e sentendo un po’ di caldo salire a imporporarmi le
gote.
“Non sapevo
come intavolare il discorso su di lei, facevo dei
tentativi...” mormoro al ricordo di me, penna in mano, che
tentenno imbarazzato davanti al foglio.
Guardo negli occhi del
mio amico di nuovo, sorridendo ancora.
“Oh non me
ne ero mai accorto, sai!” esclama ironico “Alla
quinta lettera con il suo nome e nulla di rilevante accanto, a parte la
sua presenza costante ai tuoi allenamenti, ho deciso di spronarti un
po’...”
“Già...
all’improvviso nelle tue risposte compariva sempre quella
domandina!”
“Come sta Sanae?”
Annuisco e scoppiamo a
ridere, divertiti dei noi stessi di qualche anno fa, come se fossimo
davvero diventati tutt’altro.
“Ci sono
riuscito però, alla fine hai vuotato il sacco!”
“Svuotato,
capovolto e scosso ben bene!”
“E ti sei
dichiarato a lei...”
“Così
sembra...”
Taro osserva per
qualche secondo il bicchiere semivuoto tra le sue mani e diventa serio.
All’improvviso
si volta a guardarmi, corrucciando le sopracciglia scure.
“Quindi...
quello che ti sta per accadere è in parte anche colpa
mia?” mi chiede serio, allungando il collo verso di me.
“Bèh
le tue spintarelle sono servite al primissimo passo. Se mi sposo
è perché sono partito da lì,
dall’inizio, dalla dichiarazione... o no?”
Taro sembra
rifletterci su, poi annuisce.
“Ha del
senso, sì...”
Lo fisso per un
attimo, prima di cogliere al volo l’occasione per
comunicargli la notizia del matrimonio, ma quella che riguarda
strettamente lui.
“E dopo che
avrai firmato i documenti, la tua colpa
sarà ufficializzata, messa nero su bianco...”
e sorrido, guardandolo di sottecchi, aspettando la sua reazione.
Si volta di scatto di
nuovo, lo sguardo carico di stupore.
“Come?”
chiede incredulo.
“Taro
Misaki, ti sto chiedendo... vuoi essere il mio testimone di
nozze?”
Ancora un attimo di
esitazione, poi il suo sorriso si distende felice.
“Certo
Tsubasa! Ovvio!” lo dice di getto, visibilmente euforico.
“Grazie per
aver pensato a me!” aggiunge e mi sembra commosso in questo
momento.
Poggio una mano sulla
sua spalla e lo guardo dritto negli occhi, serio ora.
“Grazie a
te, per essere mio amico...”
Taro mi fissa, poi
alza il bicchiere nella mia direzione.
“Al mio
migliore amico!” brinda sorridendo.
“Al mio
testimone!” rispondo sicuro, ricambiando il sorriso, prima
che mille bollicine dorate scendano a solleticarmi la gola, ancora una
volta.
“Prego...”
“Ah
grazie...”
M’infilo la
giacca dell’abito, lasciando che il sarto mi aiuti a
indossarla.
L’osservo
nel riflesso dello specchio mentre, con gesti sicuri, la sistema sulle
spalle.
Centimetro in mano,
misura la distanza tra collo e manica, poi prende un po’ di
stoffa tra le dita e l’appunta con uno spillo dalla capocchia
gialla.
“Mmm...”
sento mormorare alle mie spalle, inclino leggermente la testa per
scorgere lo sguardo corrucciato di Mendo, che ispeziona il lavoro del
sarto.
“Non potremo
modificare in questo punto?”chiede secco avvicinandosi e
indicando con l’indice la mia schiena.
Mi chiedo ancora, per
l’ennesima volta, come ho fatto a farmi convincere da Sanae a
portarmelo dietro, visto che sarà già la decima
volta, in poco più di due ore, che gli sento pronunciare
questa richiesta.
“Sì,
si potrebbe fare...” sento rispondere e vorrei proprio
chiedere in ginocchio al sarto, di non assecondare più Mendo.
“A me sembra
che vada bene così...” azzardo, con un filo di
voce, stufo di tutte queste prove, che mi bloccano i muscoli delle
gambe... sento quasi i crampi!
“Non credo
proprio!” è la risposta secca
dell’assistente della mia ragazza, che continua a ispezionare
la giacca, senza rivolgermi nemmeno uno sguardo.
“Ma sono
proprio necessarie tutte queste modifiche impercettibili?”
chiedo ora, guardandomi allo specchio e non vedendo proprio nulla che
non vada, nel mio vestito da cerimonia nuovo di zecca.
Non ricevo nessuna
risposta, eccetto il percettibile alzarsi al cielo degli occhi di Mendo.
Questa volta sbuffo,
stanco di starmene qui impalato, immobile per ore, quando si sa che
l’inattività non è proprio il mio forte.
Ho comprato
quest’abito a Tokyo la settimana scorsa, in noto negozio del
centro, di uno stranoto stilista italiano e mi ci sono voluti solo
dieci minuti per sceglierlo, misurarlo e strisciare la carta di credito.
Che
bisogno c’è ora di fare tutti questi ritocchi, per
un centimetro di stoffa qua e là?
“E solo un
vestito!” esclamo ad alta voce, dando fiato ai miei pensieri,
pentendomi immediatamente di averlo fatto, quando lo sguardo truce e
scandalizzato di Mendo, mi trapassa da parte a parte nel riflesso dello
specchio.
Deglutisco intimorito
mentre continua a fissarmi.
“Sei
stressato e farnetichi, giovane promesso sposo. Ma ti voglio ricordare
che questo non è un
abito ma l’abito
più importante della tua vita!”
Sto per ribattere che
la divisa da calcio è il mio vestito per eccellenza ma mi
mordo le labbra, perché questa specie di fanatico della
moda, sembra saper leggere nel pensiero e m’interrompe ancora
prima di prendere fiato.
“Ti prego,
evita di martoriare le mie povere orecchie con infelici accostamenti
tra il Glamour
e... tute da...” non finisce la frase, semplicemente lo vedo
inorridire, contraendo i muscoli del viso e del collo, solo al pensiero
di aver associato un Armani a una divisa della Reebok, sporca
d’erba e terra.
Ok,
ci rinuncio...
Ammutolisco del tutto
e riprendo a osservarli di nuovo, Mendo e il sarto, mestamente, mentre
confabulano intorno a me, o meglio al mio abito, perché
credo di aver capito ormai, che il vero protagonista della faccenda,
sia proprio lui.
Il suono del mio
cellulare però mi ridesta, creando un’inaspettata
pausa a questo calvario cui sono sottoposto dalle tre di questo
pomeriggio.
“Scusate!”
esclamo felice, scendendo dallo scalino che mi ha fatto da piedistallo
per due ore, ignorando Mendo e le sue mani che si sono andate a parare
sui fianchi.
E’
Wakabayashi! Giuro che appena lo vedo gli offro da bere!
“Genzo!”
lo saluto allegro, appena aperta la comunicazione.
“Tsubasa,
ehi! Disturbo?”
Guardo alle mie spalle
il sarto e Mendo, che discutono appoggiati a un tavolo da lavoro, sopra
a dei quadrati di carta velina, che ho scoperto solo di recente
chiamarsi cartamodelli.
“No, no!
Anzi!” ridacchio sollevato, aprendo un bottone della camicia
per liberare un po’ il collo.
“Ho appena
visionato la mia posta... quella tradizionale
intendo...”
“Ah
ah...” sorrido all’idea che abbia letto
l’invito al matrimonio, che dovrebbe essergli arrivato in
questi giorni appunto, pronto a ricevere qualche sfottò ma
anche le congratulazioni del mio amico e soprattutto, la conferma che
lui ci sarà quel giorno.
“Stavolta
Ishizaki l’ha fatta grossa, non ci giro intorno,
amico!”
“Eh?”
borbotto sorpreso, spiazzato dalla sua frase senza senso.
“E’
fuori di testa, quel soggetto! Anche se, devo ammetterlo, ha superato
se stesso sta volta! Mai vista una presa per il culo così
ben fatta!” e ride divertito.
“Ma di che
parli?” chiedo sempre più perplesso.
“Tsubasa,
non t’incazzare... ma io ho davanti agli occhi
l’invito per il tuo matrimonio e ti giuro che è
fatto talmente bene, da sembrare quasi autentico! Quello scemo ha anche
investito soldi in tipografia, malato di mente!” e un'altra
risata divertita riempie l’apparecchio al mio orecchio.
Stavolta sorrido e
quasi lascio un respiro di sollievo, divertito all’idea che
Wakabayashi sia completamente fuori strada.
Credo che sia il caso
di schiarirgli le idee e mi appresto a godermi il momento, con un
sorriso sornione.
“Genzo...”
“Tsubasa non
prendertela, è un genio del crimine Ryo!”
“Genzo...
ehm... sei seduto?”
“Spaparanzato
sul divano per la precisione!”
“Mi sposo
davvero, non è uno scherzo di Ishizaki.”
Ok sganciata, vediamo
come la prende.
“...”
“Te
l’ho mandato io l’invito, o meglio, Sanae ed io ti
vogliamo al nostro matrimonio...”
“...”
“Genzo sei
morto?” rido, divertito dal suo mutismo.
“Frena! Ok.
Da capo. Ripeti.”
Ora sono io a
scoppiare a ridere.
“Mi sposo,
sì. Data, ora e luogo li trovi in quel fantomatico biglietto
e spero davvero che tu ci sia!”
“Non
è uno scherzo?” chiede ancora, forse un
po’ scioccato.
“Eh
no...”
“TI sposi
davvero?”
“Eh
sì...” non posso non ridere di nuovo.
“Te lo
ricordi vero, che hai appena compiuto diciannove anni?”
“Vagamente...
mi sembra che mia madre mi abbia fatto anche una torta, il ventotto di
luglio...” alzo gli occhi al cielo ora, non so quante volte
ho sentito ripetere la storia dei miei scarsi vent’anni, in
queste poche settimane.
Wakabayashi rimane in
silenzio per qualche istante ancora, poi lo sento ridere allegro nel
cellulare.
“Tsubasa, tu
sei il più fuori di testa in assoluto!” rimango
sbigottito ad ascoltarlo “E sai che ti dico?”
aggiunge retoricamente “Che sei fottutamente nel giusto,
amico!”
“Detta
così sembra una cosa per cui ci vuole o un gran fegato o una
malattia mentale!” rispondo ridendo imbarazzato, grattandomi
la nuca ripetutamente.
“Sei un
matto, Tsubasa! L’ho sempre pensato, ho sempre creduto che
fossi il più pazzo tra tutti noi, anche più di
Ryo!”
“Fa piacere
sentirti dire quanto mi stimi!” rispondo, corrugando la
fronte e lasciando che una smorfia deformi il mio sorriso.
“Ed io amo
le pazzie e visto che sono matto quasi quanto te, vado subito a
prenotare il volo per venire a vederti folleggiare e ubriacarmi alla
tua salute! Tua e di Anego!”
Sorrido compiaciuto,
felice all’idea che anche Genzo sarà con me quel giorno.
“Grazie
amico...”
“Grazie a
te...” risponde e sento nel tono della sua voce qualcosa di
caldo e solenne.
“Grazie
anche per avermi rallegrato la mattinata! Ad Amburgo
c’è un tempo da schifo, da ficcarsi a letto tutto
il giorno, depressi!” conclude, tornando a scherzare ancora.
Una mano picchietta
sulla mia spalla, mi volto e Mendo batte l’indice sul polso,
ricordandomi con il labiale, che tra un po’ deve correre dal
vestito di Sanae.
“Amico ti
lascio, ci vediamo presto allora!” esclamo per salutare Genzo.
“Contaci!”
è la sua risposta secca, prima di chiudere la comunicazione.
Ripongo il cellulare
nella tasca e a piccoli passi m’isso di nuovo sul piedistallo
davanti allo specchio.
La pausa è
finita e ricomincia il tormento, ma almeno ora so che anche Wakabayashi
tornerà in Giappone per il matrimonio.
Mendo si sfrega le
mani con fare sinistro, mentre il sarto riprende lesto ad armeggiare
con la mia giacca, le asole e tutto il resto.
Mi guardo allo
specchio, alzando un sopracciglio.
Ha
ragione Genzo... devo essere proprio un pazzo per lasciare che mi
facciano tutto questo!
Poi il sorriso di
Sanae mi torna in mente e la pazzia mi sembra una cosa così
giusta.
E sono fiero di essere
il Cappellaio Matto
in visita al mondo monotono dei sani di mente!
I miei passi di corsa
rimbombano decisi nel silenzio della notte calda che mi avvolge.
Non so se quello che
sto facendo sia lecito, se vada contro qualche improbabile
superstizione, che francamente ignoro e se me ne dovrei stare buono a
casa, aspettando domani, che sorga il sole.
Se
c’è una cosa che ho imparto in questa estate, su
di me, su i miei sentimenti, è che una volta sdoganati i
miei desideri, non c’è verso che riesca a tornare
indietro, che voglia arginarli.
Da quando mi sono
liberato della mia vecchia vita, da quando ho deciso che no, non
l’avrei più vissuta per niente al mondo, ho
lasciato andare ogni freno e tutto quello che mi passa per la testa,
sento ed esigo, che vada soddisfatto.
Così
stanotte morivo dalla voglia di vederla di nuovo, un’ultima
volta, prima che il capitolo della separazione si chiudesse e una
pagina bianca, invitante, ne occupasse il posto, pronta per essere
riempita di cose bellissime.
E non ci ho pensato
troppo, mi sono infilato le scarpe, sono uscito e ho preso a correre.
Ma senza fretta, un
moto leggero e ritmico, come il riscaldamento prima
dell’allenamento vero e proprio, come una corsa serena in
riva al mare.
Non mi sono nemmeno
chiesto se starà dormendo e cosa fare, una volta giunto
sotto casa sua.
Mi sono solo messo in
movimento verso di lei.
Corro mentre
l’aria leggermente rinfrescata dalla notte,
m’invade i polmoni.
Il vento calmo soffia
nelle mie orecchie, come se mi sussurrasse che d’ora in poi
sarò felice, sempre.
Mi bisbiglia di non
temere più nulla ed io sorrido, beandomi di questa
consapevolezza.
Arrivo sotto casa sua,
alzo gli occhi verso la sua finestra dalle luci spente, proprio come
tutte le altre dell’abitazione.
Non mi scoraggio,
forse perché mi basta sapere di essere a un passo da lei e
che domani, quel passo, non esisterà più.
Mi concedo un
tentativo e le invio un sms.
Poi aspetto.
Se
sarà sveglia, se mi risponderà, se la
vedrò.
Abbasso gli occhi e
pugni in tasca, prendo a piccoli calci un sassolino
sull’asfalto.
Senza particolari
pensieri nella testa, sono solo in attesa.
Alzo di nuovo lo
sguardo, attratto da un rumore sopra la mia testa.
La vedo sporgersi
dalla finestra, ora spalancata e la saluto felice, sventolando un
braccio verso di lei mentre i miei occhi seguono il movimento dei suoi
capelli, mossi dalla brezza che le solletica il viso.
Le sorrido mentre un
leggero imbarazzo mi coglie e la mia mano prende, come al solito, a
torturare la mia nuca.
Quando le sue dita si
muovo armoniosamente per rispondere al mio saluto, mi concentro di
nuovo sulle sue labbra, piegate in un sorriso.
Nel silenzio continuo
il nostro muto dialogo e con un cenno la invito a raggiungermi.
Sanae annuisce,
ridendo divertita e scompare nel buio della sua camera.
Smanioso, mi dirigo
veloce al cancelletto d'ingresso al cortile.
Quando la serratura
scatta, afferro un pezzo d’inferriata, avvertendo il freddo
del ferro tra le dita, nonostante la temperatura estiva.
I miei occhi fissano
il portone che poco dopo si apre.
Sanae esce sul
pianerottolo ed io apro il cancello, muovendomi di nuovo verso di lei.
E quando la guardo,
ancora prima di parlarle, ricordo che per me domani sarà un
giorno completamente nuovo.
Il primo di una vita
che d’ora in poi vivrò davvero a pieno.
Un giorno che
cambierà tutto... in meglio...
E davanti ai miei
occhi...
C’è
l’aurora
che lo precede.
Mi
scuso per averci messo tanto, ma è sempre così
che va, quando penso di poter rispettare un programma, fanficsticamente
parlando xD, questo inevitabilmente salta e si procrastina a data da
destinarsi.^^’
Ringrazio
di cuore chi segue le mie FF e chi ha la costanza, perseveranza quasi
diabolica direi xD, di continuare a seguirmi, nonostante il mio va e
vieni continuo.
Il
prossimo capitolo è l’ultimo e non dico nulla, per
scaramanzia, su quanto ci metterò a scriverlo,
perché nella mia testa ho in mente una cosa, ma se la dico,
temo la sopraggiunta di contrattempi...^^’
Ovviamente
il resto dell’incontro tra Tsubasa e Sanae potete leggerlo in
Butterfly, capitolo 33 – Fujisawa, ho preferito non
riprenderlo anche qui, diceva già tutto a suo tempo e
sarebbe stato uno sterile copia e incolla.^^
Grazie
ancora per l’attenzione, OnlyHope^^
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