Ritrovarsi nel sangue

di Graine
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"Purple Haze" - The Cure 



Ritrovarsi nel sangue
 

Capitolo 1
 

 
Evelyn si svegliò nel cuore della notte.
Si svegliò nel cuore di quella notte calda perché aveva sentito.
Si svegliò nel cuore di quella notte calda perché lo aveva sentito arrivare.
Aveva avvertito nitida la sua presenza in sogno e aveva capito che lui era lì, nella realtà materiale. Quella al di fuori del mondo onirico.
Ed era lì per lei.
Lui non l'aveva chiamata, non le aveva inviato alcun messaggio. Probabilmente, non aveva avuto nemmeno intenzione di svegliarla. Sicuramente, voleva lasciarla dormire e sapere solo che lei stesse bene, che fosse al sicuro. Ma lei lo aveva sentito comunque, nonostante lui non l'avesse chiamata. No, non ce n'era stato bisogno.
Come non ce n'era più stato dal loro primo incontro.
Evelyn lo ricordava bene: una sera d'estate di tre anni prima esatti.
Anche per quello lui si trovava lì; da allora lo aveva fatto ogni anno, per quella loro ricorrenza. Veniva da lei di notte e rimaneva fuori in giardino fino a poco prima dell'alba, a vegliarla sotto l'albero. Poggiato al suo tronco e con gli occhi fissi verso l'alto, alla finestra della sua camera.
Non entrava in casa come avrebbe fatto in altre circostanze e come aveva sempre fatto, da quando lei lo aveva invitato.
Matthew stava lì, nel silenzio della notte calda, e vegliava. Ascoltando il suono regolare del suo respiro addormentato, grazie al proprio udito sopraffino. Un udito straordinario, un udito non umano.
Quella notte di tre anni prima... oh si, Evelyn la ricordava bene.
Ricordava ancora perfettamente il dolore, la rabbia, la furia che l'aveva mossa a cercare vendetta per la morte di sua nonna, uccisa da un altro vampiro due settimane prima. E quello era stato un dolore troppo forte da sopportare, perché dopo che i genitori di Evelyn erano morti in un incidente stradale, quando lei aveva solo undici anni, sua nonna si era presa cura di lei ed era riuscita a riempire il vuoto che quel lutto improvviso aveva causato nel cuore della piccola.
Evelyn, all'epoca, ancora non sapeva chi lei fosse in realtà, non aveva idea di cosa la sua mente fosse capace. I suoi genitori non gliene avevano mai parlato, non le avevano mai detto dei poteri che si tramandavano in entrambe le due famiglie da generazioni. Forse da sempre. Da talmente tanto tempo che il quando dell'inizio si era perso nei ricordi dei secoli. O probabilmente, quel quando dell'inizio coincideva col quando dell'inizio di tutto, col quando dell'inizio del mondo stesso.
Poi, dopo aver compiuto da poco il proprio quindicesimo compleanno, Evelyn aveva notato alcune piccole cose accaderle sempre più di frequente. Ma erano piccole cose, appunto. Come le luci di casa che si accendevano o si spegnevano da sole, nel momento stesso in cui Evelyn pensava di doverlo fare. O lo stereo che si azionava e diffondeva autonomamente le note rilassanti di una musica a basso volume, quando lei si sentiva stressata. Le candele che si animavano di calde fiammelle accese da fiammiferi decisamente invisibili ogni volta che faceva il bagno, illuminando l'oscurità col loro caldo chiarore.
Piccole cose, che poi erano diventate più grandi e difficili da gestire col passare dei mesi. Soprattutto, se era arrabbiata.
La rabbia era sempre stata l'emozione più difficile da controllare, per Evelyn. In particolare modo dopo la morte dei suoi.
Perché era dovuto accadere? Perché loro l'avevano abbandonata? Perché erano dovuti uscire per forza, quella sera, con un temporale così forte e le strade bagnate? Perché avevano per forza dovuto prendere dal piccolo ponte sul fiume, non pensando, non immaginando che con tutta quell'acqua che stava venendo giù dal cielo, la piena li avrebbe travolti? E perché, loro che erano perfettamente a conoscenza di quei poteri e che sapevano bene come usarli, non lo avevano fatto per salvarsi? Perché non ci erano riusciti?
Sì, Evelyn era sempre stata una bambina allegra e solare e grazie all'aiuto di sua nonna era tornata ad esserlo anche dopo quella tragedia,  grazie a sua nonna era diventata un'adolescente che, nonostante tutto, amava profondamente la vita.
Ma la rabbia era stata sempre un'emozione difficile da gestire.
E quando i suoi poteri avevano iniziato a manifestarsi, sviluppandosi e crescendo in fretta, era stato ancora più difficile riuscire a dominarla.
Una volta, aveva fatto esplodere i vetri della caffetteria della scuola; un'altra, era saltato il sistema antincendio, allagando tutto. Un'altra ancora, aveva rischiato di morire lei stessa, perché a causa di quella rabbia che poteva montarle dentro per un non nulla – alimentata dal dolore che portava sempre nascosto in fondo, dentro di sé – aveva causato un cortocircuito nel sistema elettrico dell'aula d'informatica, provocando un incendio che aveva distrutto tutti i computer e si era diffuso in fretta, riempiendo la stanza di fumo.
Non sapeva come l'avessero salvata, ricordava di essere svenuta cercando – inutilmente – di spegnere il fuoco di cui sapeva di essere stata la causa, mentre i suoi compagni di classe fuggivano terrorizzati. Non sapeva come avessero fatto Meredith e Mark, i suoi migliori amici di sempre, a rientrare in quell'inferno, quando si erano accorti che lei non ne era uscita, e a portarla fuori. Però sapeva che avevano rischiato le loro vite a causa sua, come tutti gli altri suoi compagni di classe e le due insegnanti. E aveva capito di non poter più continuare in quel modo, che le serviva aiuto. E quando sua nonna era arrivata in ospedale terrorizzata, nel pieno di una crisi isterica e volendo sapere cosa fosse accaduto a sua nipote e se stesse bene, lei era scoppiata a piangerle tra le braccia non appena le avevano lasciate sole. Raccontandole tutto, scusandosi perché sapeva di esserne lei e solo lei la responsabile.
E così aveva saputo.
Sua nonna l'aveva ascoltata raccontare di quell'ultimo incidente e di tutti quelli precedenti e delle altre cose. L'aveva abbracciata e l'aveva fatta sfogare, rassicurandola che, da quel momento in poi, sarebbe andato tutto bene. Perché la sua nonnina era lì con lei, non era sola, e le avrebbe insegnato a gestire i suoi poteri.
Quel giorno in ospedale, sua nonna le aveva rivelato il perché le fossero successi tutti quegli eventi strani e inspiegabili: lei era una strega.
Da quel momento in poi, a piccoli passi, Evelyn aveva imparato a controllarsi.
Conoscere la storia della sua famiglia, delle sue origini, il suo retaggio, l'aveva aiutata. Sapere di essere il frutto dell'unione di due delle più importanti famiglie di streghe del Massachusetts, l'aveva rassicurata, l’aveva convinta di non essere un mostro e le aveva dato modo di tornare a fidarsi di se stessa, così da riuscire a gestire le proprie capacità e a svilupparle senza che i suoi poteri rompessero gli argini che aveva creato e prendessero il controllo su di lei.
E proprio quando, finalmente, aveva acquisito la sicurezza del controllo su di sé, era accaduto. Sua nonna era morta, gliel'avevano uccisa.
La rabbia era tornata, furiosa, ardente e cieca, ma sta volta lei sapeva come sfruttarla. Sapeva come incanalarla ed era stato così che quella furia l'aveva avvolta nel calore della propria lucida promessa di vendetta, perché erano passati cinque anni, ormai, da quando aveva scoperto che cosa lei in realtà fosse, non era più la quindicenne spaventata di un tempo.
Da sempre, le streghe delle due famiglie da cui Evelyn discendeva avevano protetto gli altri esseri umani, combattendo contro qualunque essere li minacciasse o volesse far loro del male. E i vampiri erano stati spesso tra di essi.
Era stato uno di loro ad uccidere sua nonna.
Quel vampiro era un cacciatore di streghe – cosa insolita se non singolare per una creatura della notte, che in genere preferivano, se possibile, non scontrarsi con quelle come Evelyn – e aveva intessuto una fitta rete di inganni e sotterfugi per far cadere in trappola una strega potente ed esperta come sua nonna. Approfittando di un week-end in cui Evelyn era stata via e in cui egli sapeva, così, di poter affrontare la donna da sola.
Quando Evelyn era tornata a casa, quella domenica sera, l’abitazione era perfettamente illuminata ma di sua nonna neanche una traccia. Lei l'aveva chiamata e cercata, non capendo, finché non aveva visto il suo corpo nel giardino sul retro. Riverso sull'erba, in una pozza di sangue.
Era corsa da lei tentando di soccorrerla, tentando di guarirla usando i propri poteri mentre le lacrime le offuscavano la vista e i singhiozzi le impedivano di respirare. Urlandole disperata di aprire gli occhi – quegli occhi scuri, uguali ai suoi – e di non lasciarla.
Ma non c'era stato nulla che Evelyn potesse fare, sua nonna era già fredda e pallida. La gola squarciata da segni di morsi che lei aveva riconosciuto subito e a terra molto sangue ma non quanto avrebbe dovuto essercene per una ferita di quel tipo. Non quanto ce ne sarebbe stato se sua nonna fosse stata attaccata da un animale. Qualcuno aveva portato via quel sangue, qualcuno lo aveva bevuto così da assorbirne un po' del potere. Un qualcuno che non poteva entrare in casa senza esserne invitato e che aveva dovuto attirare sua nonna fuori, in giardino, e con un inganno per ucciderla. Quello stesso qualcuno che l'aveva osservata nell'ombra tentare di aiutare sua nonna, chiamare l'ambulanza singhiozzando, macchiare il cordless con le mani sporche di quel sangue che le aveva imbrattato anche i vestiti.
Quello stesso qualcuno che non appena Evelyn aveva chiuso la chiamata al 911, si era fatto vedere, l'aveva provocata e si era preso gioco del suo dolore e della sua rabbia e l'aveva avvisata di non preoccuparsi per sua nonna, che l'avrebbe raggiunta presto perché, la prossima volta, lui sarebbe tornato per lei.
Ed era scappato via lasciando l'eco della sua sprezzante risata a burlarsi di lei, nel silenzio della notte.
E lei, lì, nel sangue di sua nonna, aveva giurato che l'avrebbe vendicata.
Per le due settimane successive, Evelyn lo aveva cercato, lo aveva braccato e alla fine era riuscito a farlo cadere nella sua trappola.
Quel vampiro era forte, forte del sangue di tutte le altre streghe che aveva cacciato e ucciso. Evelyn sapeva che non sarebbe stato un avversario facile da eliminare, che con lui non sarebbe bastato un semplice paletto nel cuore, o l’invocazione del fuoco, come con gli altri vampiri che aveva affrontato.
Per questo motivo, aveva deciso di mettere in atto il Rituale della Somma Invocazione.
Per questo motivo, Evelyn si era recata da sola nel bosco – ingannando Meredith e Mark e facendoli cadere addormentati con un incantesimo, per proteggerli ed evitare che la seguissero, loro che le avevano ripetuto di continuo, in quelle due settimane, di non fare pazzie – e aveva disposto le candele, le ametiste, le corniole, le ematiti e i quarzi in cerchio nella radura, alternandoli per come prevedeva il Rito.
In fine, si era tagliata la mano sinistra e aveva sparso gocce del proprio sangue lungo tutta la circonferenza di quel cerchio. E poi aveva iniziato l'Invocazione.
Per richiamare a sé il vampiro non c'era voluto molto, quella era stata la parte più facile.
In quelle due settimane, lui non era mai stato davvero lontano da Evelyn. Le era stato sempre alle spalle, cacciandola a sua volta, tentando di logorarla e farla impazzire. Rimanendo ingannato dalla maschera che Evelyn aveva indossato per distrarlo dal proprio reale intento, per distrarlo dalla trappola che lei aveva ordito e in cui lui era caduto senza nemmeno accorgersene.
Il vampiro era arrivato, braccato credendo di braccarla, e lei lo aveva catturato. Imprigionandolo con una piccola barriera mistica.
Il vampiro aveva riso, quella barriera non era particolarmente forte e grazie ai poteri che quel mostro aveva assorbito, uccidendo altre streghe, aveva subito iniziato a contrastarla. Ma per Evelyn, quello era stato solo un espediente per prendere tempo e che le era servito per trattenerlo e tenerlo buono il tempo sufficiente per completare il Rituale e richiamare a sé il Potere.
Perché la Somma Invocazione altro non era che l'invocazione del Potere Puro, l'essenza di quel Potere che le scorreva nel sangue e che era appartenuto da sempre alla due famiglie da cui ella discendeva. Il Potere puro e incontaminato che le scorreva nelle vene e nelle arterie e al contempo vegliava su di lei come uno spirito guida, sperando che lei avesse la forza necessaria per usarlo e non farsi, invece, usare da lui.
Lo scopo del Rituale era di invocarlo, richiamarlo e lasciarlo fluire limpido e temporaneamente slegato dal sangue della ragazza, per poi dirigerlo contro il suo avversario. Così da annientarlo del tutto.
E nello stesso momento in cui la debole barriera mistica con cui aveva intrappolato il vampiro aveva ceduto e lui, sorridendo beffardo e arrogante, si era scagliato contro di lei per ucciderla e rubare così anche il suo potere, Evelyn aveva aperto gli occhi.
Con un lampo improvviso, aveva lasciato fluire il Potere colpendo il suo nemico proprio al centro del petto con un fascio di luce brillante e accecante come il sole. Un fascio di luce ed energia tanto potente quanto instabile ma che Evelyn era riuscita a controllare alla perfezione, scagliandolo contro il vampiro.
E bruciandolo completamente.
Era durato tutto una decina di secondi: il vampiro aveva compreso immediatamente cosa gli stesse accadendo e aveva urlato, agonizzando nel dolore, mentre ogni centimetro del suo corpo veniva straziato e bruciato prima di essere ridotto in cenere, forse anche troppo velocemente per tutto il male che quel mostro aveva causato per chissà quanto tempo. Troppo velocemente, per il modo in cui quel mostro aveva ucciso sua nonna.
Troppo velocemente, e in una decina di secondi tutto era finito.
Del suo avversario non era rimasto altro che polvere, che una folata di vento sollevata dall’ultimo residuo dell’incantesimo aveva spazzato via.
Quando il fascio di energia era cessato e il Potere era tornato dentro di lei legandosi di nuovo al suo sangue, Evelyn era crollata a terra esausta.
Il respiro affannato come se avesse corso per lungo tempo, le gambe molli e ogni muscolo del suo corpo tremante e dolorante e senza più forze.
Non seppe mai per quanto tempo fosse rimasta in quello stato, forse un'ora, forse due, forse tre.
Quando finalmente era riuscita a trovare un briciolo di forza necessaria per alzarsi, aveva raccattato quello che restava delle candele – consumatesi nel frattempo – e i cristalli. Li aveva riposti nella borsa che si era rimessa a tracolla, e si era diretta alla propria macchina lasciata al limitare del bosco, a meno di un chilometro da lì.
Aveva camminato lentamente, mettendo a stento un piede dopo l'altro, trascinandosi. Mossa solo dalla necessità di potersi stendere sul proprio letto e dormire almeno per i successivi due giorni. Svuotata e, adesso, completamente soggetta unicamente al dolore per la perdita di sua nonna.
In quel momento, Evelyn era stata troppo stanca per percepire un'altra presenza, poco lontano da lei.
Una presenza che, però, si era accorta di lei.
Un altro vampiro attirato lì dall'odore del suo sangue.
Quel sangue che ancora le usciva un po', a tratti, da quella ferita alla mano che si era procurata da sola per compiere il Rituale e che non si era ancora del tutto rimarginata perché il corpo di Evelyn era troppo stanco e provato dal Rito per riuscire a rigenerarsi da solo come di solito.
Anche Matthew ricordava benissimo quella notte.
Proprio come Evelyn nella sua stanza, anche lui sotto l'albero del giardino della ragazza stava ripensando al loro primo incontro.
Matthew poteva ancora sentire nelle narici quell'odore... l'odore di quel sangue che lo aveva condotto a lei con ipnotica attrattiva.
Era stato l'odore della ragazza, ancora più forte e concentrato in quel nettare rosso che le scorreva nelle vene, nelle gocce che colavano lentamente al suolo dalla sua mano ferita in una scia che lo aveva invitato a seguirla, quell'odore che aveva sconvolto e rapito la mente del vampiro.
Ed era stato così che lui l'aveva trovata, attirato dall'odore del sangue. E quell'odore, quel profumo – il più buono che Matthew avesse mai sentito in quegli ultimi duecentoventisette anni di vita dannata, il più buono che avesse mai sentito nei suoi duecentocinquantadue anni di esistenza – lo aveva destabilizzato a tal punto da fargli desiderare di intraprendere la caccia all'istante.
E così era stato.
Le era apparso davanti, comparendo dal nulla grazie a quella velocità inumana che gli consentiva di sfuggire agli occhi dei comuni mortali e, in quel caso, anche agli occhi allenati ma stanchi di Evelyn. Le era apparso davanti con lo sguardo offuscato e le pupille dilatate, reso folle da quell'improvvisa sete che non era riuscito a controllare a che, adesso, stava controllando lui.
L'aveva spinta a scappare, a vagare in quella notte calda tra gli alberi, fuggendo da occhi invisibili e ombre striscianti che l'avevano attirata nella loro trappola come le spire di un serpente.
Dopo il Rito, Evelyn era stata troppo stanca e troppo debole per combattere e l'unica cosa che era riuscita a fare era stata scappare. Ma anche per correre le forze non le erano state sufficienti e nonostante le sue capacità, nonostante i suoi poteri, per lui era stato facile prenderla in quelle condizioni.
E lei era stata catturata da un nemico che non aveva sentito arrivare.
Il primo che ci fosse mai riuscito.
Il primo e anche l'ultimo.
Matthew le era piombato addosso con la rapidità di un fulmine e l'aveva stretta tra le sue braccia dalla solidità granitica con la sua forza disumana resa ancora più irruenta da quella follia improvvisa. Ed Evelyn non aveva avuto scampo.
Da cacciatrice in cerca di vendetta, era diventata la preda.
Aveva tentato di urlare, non avendo più l'energia per muovere nessun altro muscolo, ma l'urlo le era morto in gola, soffocato dalla stretta in cui lui l'aveva intrappolata. Erano rotolati a terra e quando il vampiro, con quell'agilità che contraddistingueva gli essere come lui, si era rimesso in piedi, l'aveva voltata di spalle tenendole ferme le braccia, immobilizzandogliele lungo i fianchi con un solo braccio, mentre con l'altra mano le aveva piegato la testa leggermente di lato, così da avere libero accesso al collo della giovane.
Ringhiando, le aveva annusato la pelle in quel punto. Estasiato dalla fragranza naturale che emanava e già pregustando il sapore di quel nettare rosso che, veloce, le scorreva sotto lo strato di candida pelle.
Un altro ringhio e aveva aperto la bocca, lasciando i suoi canini liberi di allungarsi, e il secondo dopo l'aveva morsa. Penetrando con violenza quegli stessi canini in quella carne tenera e lasciando Evelyn senza fiato per l'immediato dolore. Assaporando finalmente con un sorso, il dolce sapore di quel sangue il cui solo odore lo aveva fatto impazzire.
Un solo sorso ed era stato anche l'unico.
Perché nel momento in cui aveva assaporato sulla lingua quella rossa delizia e poi l'aveva ingoiata, sentendola scendergli nella gola e inebriandosi del suo calore, un lampo accecante – che solo i loro occhi avevano visto – aveva attraversato le loro menti all'unisono, colpendo il vampiro con dolorosa e improvvisa irruenza e la strega – abituata – con inaspettata consapevolezza.
Furono dei flash, all'apparenza vaghi e confusi ma di cui, invece, entrambi paradossalmente avevano compresso appieno il senso.
Immagini di una coppia, un uomo e una donna. Di aspetto sempre diverso ma che in realtà erano sempre gli stessi. Erano sempre quello stesso uomo e quella stessa donna, in diverse epoche passate,  visti l'uno dagli occhi dell'altra, con abiti sempre diversi, con dei lineamenti ogni volta differenti, in diverse vite.
Quelli non erano stati semplici flash ma ricordi. I ricordi delle loro esistenza passate, quelle vite che avevano trascorso insieme, quelle vite in cui, alla fine, si erano sempre ritrovati. E con quei ricordi adesso vivi e nitidi nelle loro menti, Matthew si era staccato da Evelyn come scottato e l'aveva lasciata cadere a terra, afferrandosi la testa con entrambe le mani. Col cranio dilaniato dalle fitte che accompagnavano quei flash.
Evelyn era rotolata su di un fianco e si era portata la mano al collo, stanca e senza più forze per provare ad alzarsi ma senza essere intontita dalla perdita di sangue. Il vampiro non gliene aveva preso abbastanza, con quel morso, ma la ferita sanguinava.
In un'altra circostanza si sarebbe rigenerata velocemente, ma era troppo esausta per riuscirvi del tutto. E quei flash, quei ricordi, le sconvolgevano ancora la mente. Alla fine, Evelyn era svenuta; il suo corpo aveva ceduto alla stanchezza di quella notte che le aveva portato via tutte le forze.
Matthew, invece, era rimasto cosciente e vigile, dopo che quella verità gli si era violentemente parata davanti agli occhi.
Prima che la ragazza svenisse, però, i due si erano scambiati un ultimo nonché anche primo vero sguardo e si erano riconosciuti.
Eppure non si conoscevano affatto, non in quella vita.
Quando poi la giovane aveva perso i sensi, il vampiro era rimasto immobile a fissarla, cercando di capire.
Come poteva essere possibile? In quei più di duecento anni di non vita non gli era mai accaduto nulla di simile. Nessun essere umano lo aveva sconvolto come invece quella ragazza dai lunghi boccoli color pece aveva fatto solo col suo odore. Nessuno gli aveva mai suscitato una sete del genere e per nessuno aveva mai provato quella sensazione, quel... riconoscimento.
Come un inspiegabile senso di appartenenza.
Non aveva dubitato dell'autenticità di quei ricordi, non avrebbe mai potuto, e quindi chi era quella giovane? L'aveva forse già incontrata nei suoi due secoli di esistenza dannata senza riconoscerla? Oppure l'aveva conosciuta nella sua vita umana? Chi... Chi era quella ragazza, per avere un tale potere su di lui?
Matthew si era inginocchiato al suo fianco e l'aveva guardata a lungo, cercando di capire. I suoi occhi erano stati rapiti più volte dal sangue che le usciva – anche se non copioso come avrebbe dovuto, date le ferite – dal collo e da quel taglio alla mano. E guardando quel sangue, sentendone il sublime profumo, la sete era tornata a farsi sentire bruciante nella gola e nel petto... ma Matthew non era più riuscito a bere.
Non era più riuscito a torcerle un solo capello, da allora.
Oh sì, Matthew ricordava bene quella notte di tre anni prima.
Ricordava perfettamente quanto fosse stato difficile riportare quella ragazza a casa, con l'odore del suo sangue a torturargli le narici.
Si era infilato nella sua auto, l'aveva messa sul sedile del passeggero e poi aveva aperto tutti i finestrini per far entrare l'aria estiva nell'abitacolo – già di per sé pregno del profumo di lei, motivo per cui gli era stato facile trovare la macchina – e non farsi stordire da quell'aroma squisito. Aveva guidato seguendo la scia del suo odore e l'aveva ricondotta a casa, affidandola poi alle cure di quelli che aveva desunto fossero i suoi amici, dati gli sguardi terrorizzati che avevano lanciato alla ragazza ferita, non appena l'avevano vista svenuta tra le braccia di Matthew.
Ricordava perfettamente di essere rimasto a fissarla per il resto della notte, fuori dalla casa, mentre i suoi amici l'avevano stesa sul letto della stanza al piano di sopra, finalmente – Dio, finalmente! – le avevano bendato quelle ferite e avevano tentato di darle una ripulita da tutto quel sangue e dal fango. Un po' lo aveva sorpreso che quella ragazza non fosse rinvenuta un solo momento, neanche mentre i suoi amici l'avevano spogliata e rivestita.
Era rimasto fino a prima dell'alba e poi aveva dovuto lasciarla per cercare un luogo in cui ripararsi dal sole e riposare durante il giorno. Ma era tornato la sera dopo e aveva iniziato a preoccuparsi vedendo che continuava a dormire. A quanto i suoi amici avevano detto – parlando tra loro senza sapere che il vampiro li stesse ascoltando – non sembrava essersi svegliata affatto neanche durante il giorno.
Perché dormiva ancora? Matthew era stato sicuro di non aver bevuto così tanto sangue, quando l'aveva morsa. Un solo sorso ed era stato anche l'unico.
Forse era successo qualcosa prima? In effetti, quando Matthew l'aveva trovata seguendo la scia del sangue che le colava dalla mano, aveva notato l'aria stanca della ragazza. Gli era sembrata senza forze, anche quando aveva tentato quella patetica e inutile fuga.
E inoltre, perché la sua mano era ferita? Perché aveva il segno netto del taglio di un coltello?
Cosa poteva mai esserle successo, da costringerla a dormire per più di quarantotto, lunghissime ore, per riprendersi?
Matthew ricordava bene l'ansia che lo aveva attanagliato vedendola ancora addormentata e ricordava anche bene come, allora, quell'emozione, quella preoccupazione lo avesse stupito.
Matthew non aveva mai amato uccidere. In quei due secoli aveva imparato a prendere quanto gli fosse necessario da più persone nel corso della stessa notte, così da non doverne uccidere nessuna. Ma a volte, anche dopo più di duecento anni , gli era successo. Non era riuscito a controllarsi e a fermarsi in tempo e qualche innocente gli era morto fra le braccia.
No, Matthew non aveva mai amato uccidere e aveva sempre cercato di non far soffrire più del dovuto le proprie vittime. Non le aveva mai braccate, la caccia non lo aveva mai inebriato come, invece, faceva coi suoi simili. Per Matthew, quella pratica era pura crudeltà. Significava logorare la vittima poco a poco facendole capire che sarebbe morta, facendole credere che ogni volta sarebbe stata quella decisiva e invece non lo era mai, annientandola nello spirito. Fino a che, quando alla fine la si uccideva davvero, quella era completamente schiava del terrore.
Matthew non aveva mai amato la caccia e si era sempre preoccupato di cancellare i ricordi a tutte le sue vittime, per evitare che la sofferenza che aveva causato loro potesse tormentarli, ma preoccuparsi in quel modo per un'estranea andava ben oltre.
Eppure, lei non era davvero un'estranea.
Evelyn ricordava bene anche i primi tempi, con Matthew.
Ricordava il racconto dei suoi amici, quando la sera del terzo giorno si era svegliata.
Ricordava bene come l'avessero tempestata di domande e di imprecazioni sul suo comportamento avventato, soprattutto Meredith.
Lei che le era sempre stata vicina ogni volta che Evelyn ne aveva avuto bisogno, che sapeva ogni cosa di lei, che l'aveva vista nei momenti più felici e in quelli peggiori. Meredith non era riuscita ad accettare che Evelyn l'avesse esclusa in quel modo, che l'avesse tenuta lontana proprio in un frangente così pericoloso. Anche se Evelyn lo aveva fatto per proteggerla.
«Come hai potuto essere così idiota?!», l’aveva praticamente assalita, una volta appurato si fosse ormai ripresa. «Potevi morire! Se ti fosse successo qualcosa, io...».
«Mer, calmati. Sto bene».
«Stai bene?! Razza di idiota, eri ferita, hai trascorso gli ultimi tre giorni a dormire a causa di quello stramaledetto rito e hai rischiato di diventare la bistecca di uno stramaledetto vampiro! Ma che cos'hai in quella testaccia bacata?!».
Non sapendo che, intanto, Matthew era stato ad ascoltarli per tutto il tempo. Curioso e incredulo nell'apprendere il motivo per cui quella ragazza – Evelyn – gli fosse sembrata tanto debole, quando l'aveva incontrata. Rincuorato dal vederle finalmente aprire gli occhi – più scuri e limpidi di quanto li ricordava e animati da una singolare luce, una fermezza che prima non aveva notato.
E consapevole del fatto che, in realtà, lei debole non lo fosse affatto.
Ed Evelyn ricordava benissimo – mentre decideva se alzarsi da quel letto o no e affacciarsi alla finestra per vedere lui – le sensazioni che aveva provato parlando con Matthew per la prima volta. Quella notte stessa.
Perché il vampiro era tornato, e lo aveva fatto per lei.
E lei lo aveva sentito dal primo momento in cui aveva sollevato le palpebre.
Evelyn non aveva capito bene come, ma ad un certo punto si erano ritrovati a chiacchierare per delle ore. Come fossero stati in grande confidenza. Nessuno dei due era riuscito a spiegarsela, una cosa del genere, eppure era stato loro naturale.
Dopo, però, lei era stata quella che, fra i due, aveva fatto più fatica ad accettarlo.
Perché non era ammissibile che si trovasse così incredibilmente a proprio agio con un vampiro. Non dopo quello che era successo a sua nonna.
Per giorni, ogni mattina appena sveglia si era ripromessa che quella sera sarebbe stato diverso. Che avrebbe intimato al vampiro di smammare e non tornare mai più. E ogni sera, quella strana confidenza e quella strana intimità – come un inspiegabile senso di appartenenza – l'avevano presa nel loro turbine di familiari sensazioni, di nuovo. Senza che le fosse stato possibile riuscire a dirgli di andarsene.
Poi, dopo la prima settimana di quegli incontri serali sotto il portico, Evelyn era scoppiata. Schiacciata dal senso di colpa. E aveva detto a Matthew chiaro e tondo che qualunque cosa fossero stati l'uno per l'altra nelle loro esistenze precedenti non contava, non in quella vita. Che lei non poteva accettare di avere a che fare con un vampiro, qualcuno che uccideva degli innocenti per vivere.
Ed erano state parole dure da dire, dolorose, ma le aveva dette. Senza sapere nemmeno lei dove ne avesse trovato la forza.
Come era stato possibile che, dopo una sola settimana, le fosse risultato tanto difficile fare una cosa del genere?
Eppure, Matthew non lo aveva più fatto.
Da quella notte, in quell'ultima settimana lui non aveva più ucciso nessuno. E non lo aveva più fatto per i successivi tre anni. – Non lo avrebbe fatto mai più.
Non lo aveva più fatto perché il sangue di lei era l'unico che volesse, l'unico che bramasse, l'unico che desiderasse tanto da consumarsi nella sete che aveva di lei.
All'inizio.
Poi non aveva più ucciso perché lei ne avrebbe sofferto. Si sarebbe adirata, gli avrebbe urlato contro il suo dolore, il suo rancore, il suo disprezzo e, in fine, la sua delusione. Il suo astio verso quel lato animale della natura stessa di lui. Quel lato che viveva di sangue e che per due secoli era vissuto del sangue bevuto da calici umani. Da calici che in realtà erano persone le cui vite sarebbero per sempre state distrutte da quella brama selvaggia. Quel lato che non lo rendeva diverso dal mostro che aveva assassinato sua nonna.
E il disprezzo e la delusione erano due cose che Matthew aveva presto capito di non poter sopportare, se era Evelyn a provarle verso di lui.
Sì, da quella notte lui non aveva più ucciso. Aveva rinunciato al sangue preso a discapito di vite senza colpa, se non quella di essersi trovati nel proverbiale posto sbagliato al momento sbagliato.
Primalo aveva fatto perché il sangue di lei era l'unico che avrebbe per sempre desiderato bere.
Poi, non aveva più ucciso per lei.
Avevano litigato quella sera, pochi giorni dopo essersi incontrati – pochi giorni dopo essersi ritrovati –, quando lei gli aveva rivolto quelle parole. Avevano litigato per la prima volta.
Matthew ricordava bene anche quello, mentre vegliava sotto l'albero. Guardando verso la camera da letto di lei.
Perché quelle parole, lui non aveva potuto accettarle. All'epoca neanche aveva capito il perché gli avessero fatto così male, neanche aveva capito perché lo avesse fatto quasi impazzire l'idea di non rivederla più, che lei non volesse più avere niente a che fare con lui, eppure aveva urlato il suo rifiuto.
Lo aveva urlato, anche se non aveva capito il perché gli avesse fatto così male l'idea di separarsi da lei.
Le aveva detto chiaramente che non aveva intenzione di lasciarla perdere, che non aveva intenzione di perderla.
Anche Evelyn, allora, aveva urlato. Non le importava se lui non volesse, lei aveva deciso così e quel vampiro avrebbe fatto meglio a rispettare la sua decisione. O lo avrebbe ucciso.
Ma Matthew non le aveva dato ascolto, non si era fatto intimorire, e la sera dopo era tornato sotto il suo portico. Per vederla.
Perché non aveva intenzione di perderla di nuovo, anche se ancora non ne aveva capito il motivo.Perché aveva desiderato conoscerla anche se la conosceva da secoli, forse da sempre. Aveva desiderato conoscere quella che lei era adesso e aveva desiderato che lei conoscesse quel lui che lui era adesso.
Matthew si era ripresentato sotto il portico quella sera e tutte quelle successive per tre mesi. Seguendola e affacciandosi dentro casa ad ogni finestra, – lei non lo aveva mai invitato ad entrare, in quella prima settimana; aveva combattuto ogni istante contro il desiderio di farlo – sedendosi sul dondolo del giardino sul retro e iniziando a parlarle; facendole domande a cui lei rispondeva mandandolo a quel paese e intimandogli di togliersi dai piedi una volta per tutte. E la replica di Matthew era sempre stata una risata, a quelle rispostacce, perché farla esasperare lo aveva divertito fin dal primo momento.
Si era divertito ad irritarla. Si era divertito a farle saltare i nervi parlando a macchinetta per tutte le sere – e si divertiva ancora – o sbucando d'improvviso con la testa dalla finestra del bagno, proprio quando lei era appena uscita dalla vasca e gli urlava di sparire, ancora gocciolante e con solo l'asciugamano addosso. Una volta, lei lo aveva anche fatto volare giù, da quella finestra, spingendolo via con la sola forza del pensiero, ma non era servito a nulla; lui era pure sempre un vampiro e una semplice caduta – purtroppo – non gli avrebbe fatto niente.
Meredith e Mark, alla fine, erano anche sembrati abituarsi a lui in fretta. Cosa che aveva fatto andare Evelyn, se possibile, ancora più in bestia.
Come avevano potuto, i suoi due migliori amici, dirle di dare una possibilità ad un essere della stessa razza di quello che aveva ucciso sua nonna?
Eppure, Evelyn aveva compreso che, a poco a poco, era diventato sempre più difficile resistere a quelle esasperanti visite continuando a mantenere un'aria scontrosa. A poco a poco, le era diventato sempre più difficile resistere alla sua presenza costante.
Pensava a quello, a come lui fosse diventato una costante per lei in così poco tempo e per tutti quegli ultimi tre anni, mentre continuava a torturarsi, indecisa se andare alla finestra per poterlo, finalmente, vedere.
Ed era stato sempre più difficile soprattutto quando Matthew finiva per dire o fare, magari involontariamente, qualcosa di buffo per cui le si era dovuta trattenere dallo scoppiare a ridere. E lui aveva notato ogni volta immediatamente l'angolo della sua bocca a stento trattenuto per non piegarsi in un sorriso; o quando più volte si era morsa le labbra, per non ridere apertamente.
E tutto questo, il modo in cui aveva più volte reagito alle provocazioni di lui, aveva infastidito Evelyn e l'aveva fatta adirare maggiormente.
E ancora peggio era stato il comprendere che quella fiducia che Matthew le aveva a poco a poco chiesto sempre più insistentemente di concedergli sarebbe stata davvero una merce troppo facile da scambiare.
Così, Evelyn aveva deciso che, arrivati a quel punto, sarebbe stato necessario agire drasticamente.
Quando Matthew si era ripresentato sotto il suo portico, dopo il tramonto come ogni sera, la ragazza gli aveva detto solo di raggiungerla nel giardino sul retro. E subito dopo lo aveva attaccato.
In quanto strega, Evelyn era sempre stata molto forte e il vampiro era rimasto sorpreso da quanto fossero precisi e potenzialmente letali i suoi attacchi. La giovane lo aveva aggredito fisicamente e con la magia, non risparmiandosi in nulla. Scagliandogli contro ogni oggetto che potesse fargli del male, colpendolo senza dargli un solo attimo di tregua.
Eppure, anche durante quegli attacchi, lei stessa si era accorta che ogni cosa gli aveva scagliato contro, ogni oggetto, avrebbe potuto solo ferirlo ma non ucciderlo. Si era accorta che nel picchiarlo, aveva istintivamente evitato tutti quei colpi che gli sarebbero stati fatali.
E questo non aveva fatto altro che accrescere la sua rabbia.
Matthew aveva incassato ogni colpo, ogni attacco che non era riuscito ad evitare. Però non aveva mai reagito.
Evelyn lo aveva ridotto davvero male, eppure il vampiro non le aveva sollevato contro nemmeno un dito. Perché da quella notte non le avrebbe mai più fatto del male.
«Reagisci!», gli aveva urlato ad un certo punto la ragazza, quando lui era caduto a terra dopo l'ennesimo pugno.«Alzati e reagisci, Matthew! Alzati e combatti! Affrontami!», aveva gridato con la voce spezzata dalle lacrime che le pungevano gli occhi ma che Evelyn si era impedita di versare.
Lui non le aveva risposto, si era limitato a tossire in seguito al calcio allo stomaco che lei gli aveva dato e a sputare un po' di sangue a causa del labbro spaccato.
Se lei avesse smesso di colpirlo, quelle ferite sarebbero guarite in pochi minuti, massimo un'ora, ma non gli aveva dato tregua. Furibonda perché lui non reagiva, perché non aveva intenzione di difendersi e rispondere ai suoi attacchi colpendola a sua volta. Furibonda perché si lasciava picchiare e ridurre in quel modo.
«Accidenti a te, Matt!», gli aveva urlato ancora una volta, con voce ancora più rotta e usando per la prima volta quel diminutivo. «Difenditi, dannazione! Colpiscimi!». E poi un ultimo calcio, proprio sul viso. Facendolo rotolare sul fianco e sputare di nuovo altro sangue.
Ma Evelyn non ce l'aveva più fatta, a vederlo lì a terra. Pieno di lividi e tagli, ferito ed esausto, a lasciarsi colpire da lei senza reagire. Senza dar segno di volerle restituire alcun colpo. Ed era crollata a terra sulle ginocchia, schiacciata dal peso di quella consapevolezza. La consapevolezza che lei avrebbe potuto fargli qualunque cosa, ma Matthew non le avrebbe fatto del male. L'avrebbe lasciata fare, anche se questo avesse significato morire. Lui non glielo avrebbe impedito.
E sotto il peso di quella dolorosa consapevolezza, Evelyn era caduta a terra piangendo.
Lacrime di rabbia contro di lui che era così idiota e contro se stessa che non era riuscita ad ucciderlo, che non aveva potuto; lacrime di dolore a causa del male che lei gli aveva fatto ma che lui non aveva voluto fare a lei, così da darle una scusa valida per poterlo eliminare.
Evelyn aveva pianto a lungo, quella sera, sbattendo i pugni sul suolo per la rabbia e la frustrazione. Aveva singhiozzato talmente tanto a lungo, che alla fine Matthew le si era avvicinato a l'aveva stretta e cullata tra le sue braccia, per farla smettere. Completamente ristabilito.
E la situazione le era sembrata quasi ironica.
«Shh, va tutto bene. Va tutto bene», le aveva detto abbracciandola e carezzandole i lunghi boccoli neri. «Non piangere, va tutto bene. Sto bene». Poi l’aveva sollevata da terra e l’aveva portata sul dondolo, continuando a stringerla al suo petto e a tenerla fra quelle braccia forti. Vedendola per la prima volta fragile. Fragile come Evelyn non era stata nemmeno al loro primo incontro, quando il Rito l'aveva stremata a tal punto che non era riuscita a sfuggirgli. Fragile come la ragazza si era permessa di essere sempre solo davanti a due persone in tutta la sua vita, fino a quel momento.
Ed Evelyn si era lasciata cullare. Per la prima volta in quegli ultimi tre mesi, si era permessa di lasciarsi andare completamente e aveva abbassato tutte le barriere. Gli aveva concesso quella fiducia che Matthew si era guadagnato poco a poco in tutto quel tempo, quella fiducia che le aveva strappato definitivamente quella sera, non reagendo per difendersi. Quella fiducia che lei non era più riuscita a negargli, da allora.
E da quel momento era cambiato tutto.
Matthew sospirò, ripensando a quante cose fossero accadute, da allora.
Sospirò, poggiato con la schiena all'albero in giardino; ed Evelyn sospirò a sua volta, distesa sul letto nella sua stanza, ripensando anch'ella a quanto, da quella sera, loro due si fossero avvicinati. Sospirò, rotolandosi squieta sul materasso troppo caldo, in quella notte afosa.
Perché dopo che Matthew l'aveva stretta a sé, dopo che l'aveva lasciata sfogare, Evelyn lo aveva invitato a entrare in casa.
Cosciente che, dopo quel singolo permesso, lui avrebbe potuto farlo ogni volta che avesse voluto. Cosciente di aver invitato un vampiro in casa sua, cosciente anche del fatto che quel vampiro non le avrebbe mai fatto del male.
A poco a poco, Evelyn aveva abbattuto il muro – quel muro dietro cui si era trincerata per non affezionarsi a Matthew, quel muro che adesso era diventato inutile – e si era lasciata conoscere. Si era fidata e lui non gliene aveva mai fatto pentire. E aveva lasciato che lei lo conoscesse e si era fidato a sua volta.
Col passare del tempo, Evelyn gli aveva raccontato dei suoi genitori e di sua nonna, di quanto quella donna l'avesse aiutata; di come fosse stata la sua roccia, la fune salda a cui aggrapparsi ogni volta che si era sentita precipitare nel baratro delle proprie insicurezze. Gli aveva raccontato di come le avesse insegnato a gestire i propri poteri e gli aveva raccontato del periodo in cui avevano iniziato a manifestarsi, quei poteri. Di come lei si fosse sentita un mostro. Gli aveva raccontato di quando aveva deciso di chiedere aiuto perché non aveva più voluto rischiare di fare del male a quelli che amava e gli aveva raccontato di tutte le volte in cui, quei primi tempi, si fosse sentita fuori controllo.
Tutte quelle volte in cui aveva creduto di consumarsi, in quel Potere.
Matthew l'aveva ascoltata e aveva capito meglio di chiunque altro che cosa lei avesse passato, dal momento che si sentiva costantemente vittima di un qualcosa più forte di lui, qualcosa che a volte era così forte e radicato nel suo essere da logorarlo, così forte da farlo perdere nell'ebbrezza che il lasciarsi andare poteva donargli. Matthew aveva capito meglio di chiunque altro che cosa doveva essere stato, per lei, combattere e controllare quel Potere che era parte di lei proprio perché era esattamente ciò che lui stesso aveva sempre passato, erano le emozioni che lui stesso aveva sempre provato; quella battaglia che combatteva ogni notte, cercando di controllare la sete.
Evelyn gli aveva, poi, raccontato di quando sua nonna era morta, del vampiro che l'aveva uccisa e del Rito che lei aveva compiuto quella notte.
Gli aveva raccontato tutte quelle cose che gli aveva solo accennato e quelle che si era tenuta per sé – nonostante tutto – in quella prima settimana di incontri serali sul portico, subito dopo essersi conosciuti. Subito dopo essersi ritrovati.
Ma Evelyn si era anche accorta che Matthew aveva imparato a conoscerla, in quei tre mesi, senza che lei se ne fosse accorta e nonostante si fosse chiusa a riccio.
Tutte quelle sere che aveva trascorso provocandola da ogni finestra, in cui non le aveva dato tregua; lui l'aveva studiata e aveva imparato tante piccole cose, su di lei, tante piccole abitudini, che solo Meredith e la nonna avevano mai saputo.
E da quando aveva abbattuto il muro, anche Evelyn aveva imparato tante piccole cose di lui.
Per esempio, aveva imparato a distinguere i suoi umori solo guardandogli le mani. Perché quelle mani erano l'unica cosa che potesse mai tradire la calma costante che Matthew simulava – anche adesso.
Il volto del vampiro avrebbe potuto rimanere impassibile davanti ad ogni cosa, avrebbe potuto mantenere intatto il consueto sorrisetto sfrontato che gli si dipingeva sulle labbra, ma nessuna emozione sarebbe mai potuta sfuggire ad Evelyn, se lei gli avesse fissato anche per un solo istante le mani; il modo in cui il ragazzo tamburellava le dita soprappensiero quando era sereno o allegro, come la sua presa si tendeva improvvisamente quando era all'erta o teso per qualcosa, il modo in cui s'irrigidiva o stringeva i pugni quando era arrabbiato. E tutte le piccole sfumature che aveva imparato a decifrare, nei movimenti anche appena accennati delle sue dita.
Evelyn aveva poi imparato che Matthew preferiva farli, i gesti d'affetto, piuttosto che riceverli.
Aveva imparato quanto detestasse mostrarsi debole di fronte a chiunque – soprattutto di fronte a lei –, forse anche più di quanto lo detestasse lei, sempre così orgogliosa. E aveva imparato quanto dolore e solitudine ci fossero nascosti, dietro quella faccia arrogante.
Evelyn aveva imparato tutte quelle piccole cose osservandolo e ascoltandolo parlare di tutt'altro – perché, spesso, si conosce una persona più da ciò che non dice, che da ciò che racconta.
I primi mesi dopo l'invito, Matthew le aveva parlato di sé ogni volta che lei glielo aveva chiesto ma mai di propria iniziativa. Benché fosse arrogante e sfrontato, in realtà non era il tipo di persona che amasse parlare molto di sé. O meglio, della propria storia.
Eppure, Evelyn aveva imparato a conoscerlo in tanti di quei modi che alla fine era stato proprio lui a raccontarle della sua vita umana, senza che, stavolta, lei glielo avesse domandato. Ed era stato lui a raccontarle di quando quella vita era finita, ed era stato trasformato.
Era avvenuto quando Matthew aveva venticinque anni, nel 1784.
Secondogenito di una ricca coppia di proprietari terrieri dell'alta società della Carolina del sud, aveva combattuto durante la Guerra di Indipendenza, arruolandosi contro il volere della madre, che temeva di perderlo come era successo a suo fratello maggiore. Matthew non l'aveva ascoltata e compiuti diciannove anni – nel 1778 – era partito per il fronte.
Ed era stato proprio in guerra, una notte, che l'aveva incontrata, quella bellissima e affascinante creatura che lo aveva attirato con l'inganno; quella splendida ragazza dai capelli d'oro, all'apparenza poco più giovane di lui, che lo aveva attirato nella foresta alle spalle dell'accampamento, chiedendogli aiuto. E che lì, invece, lo aveva trasformato. Elizabeth, si chiamava.
Aveva trascorso cinquant'anni con quella donna, odiandola ma troppo spaventato da ciò che era diventato per lasciarla e restare solo. Finché, dopo l'ennesima notte di sangue e sadiche torture – di lei –, avevano litigato. Perché Matthew voleva andarsene.
Elizabeth, aveva così cercato di ucciderlo – dopo tutto quello che lei gli aveva dato, non poteva accettare che lui la lasciasse! – e per difendersi, Matthew l'aveva eliminata. C'era riuscito nonostante lei fosse di un secolo più vecchia e quindi più forte di lui – più per fortuna, in realtà, che per reale bravura, come le aveva spiegato. E da allora aveva vagato da solo.
«Non disprezzo l'eternità. Detesto non poterla vivere con le persone che amavo», aveva detto ad Evelyn, un volta.
«Che ne è stato della tua famiglia?».
«A causa della guerra, le piantagioni della mia famiglia furono confiscate dagli inglesi, la nostra casa incendiata. Ai miei non rimase niente. Dopo la morte di mio fratello James, mia madre cadde in depressione, l'unica cosa che la faceva andare avanti era la speranza che io tornassi vivo dalla guerra ma quando le giunse la notizia che ero stato dato per disperso si suicidò. A quel punto mio padre, rimasto ormai solo, si unì anche lui alle truppe americane ma venne ucciso poco tempo dopo, in uno scontro. Avevo anche una sorellina più piccola, Jane. Aveva solo cinque anni quando è morta. E’ successo quando gli inglesi ci tolsero tutto, si ammalò di polmonite l'inverno dopo che io partii per il fronte. Quello fu il secondo duro colpo per mia madre, quando seppe di aver perso anche me non trovò più una ragione per vivere».
Il viso di Matthew non aveva lasciato trasparire nulla, durante quel racconto, né la sua voce aveva tradito la minima emozione, ma le sue mani avevano parlato per lui. Ed Evelyn le aveva viste, quelle mani, strette intorno alla tazza di tè che lei gli aveva offerto; per questo motivo lo aveva abbracciato di slancio. Lo aveva stretto cercando di trasmettergli il proprio calore.
All'inizio Matthew era stato sorpreso da quel gesto, rimanendo per un paio di secondi immobile, impietrito. Poi, vedendo che lei non lo lasciava, che quell'abbraccio non era un gesto di compassione o cortesia, lo aveva ricambiato. Ringraziandola tacitamente.
E gli era costato, quell'abbraccio, gli era costato all'orgoglio ma lo aveva ricambiato, si era lasciato stringere perché ne aveva sentito il bisogno. E aveva lasciato che anche Evelyn lo vedesse fragile come lui aveva visto lei, fragile come Matthew non si era mai lasciato vedere da nessuno.
«Hai... sempre ucciso esseri umani, per vivere?», gli aveva chiesto poi lei, per cambiare argomento.
«Per noi vampiri, il sangue degli animali non è abbastanza. Può andare bene in caso di necessità ma non ti mantiene davvero in forze».
«Quindi hai ucciso».
«I primi tempi era impossibile non farlo, la sete era troppo forte. Non riuscivo a controllarla, non riuscivo a controllarmi. Non ne vado fiero, il senso di colpa mi ha logorato per molto tempo, lo fa tutt’ora. Dopo che Elizabeth è morta e sono rimasto da solo ho cercato di nutrirmi solo di criminali, di assassini... ma non era facile. All'inizio avevo bisogno di parecchio sangue a notte e nonostante quello che si può pensare, i criminali non sono sempre facili da trovare. Solo dopo ho imparato a... dominarmi».
«In che modo?».
«Bevevo un po' da molte più vittime, così da non rischiare di prosciugarne nessuna. Ma non era sempre facile, la sete è difficile da gestire».
«Perché hai usato l'imperfetto?», aveva domandato la ragazza a quel punto, corrugando la fronte. Non le era sfuggito l'uso di quel particolare tempo verbale.
«Perché non ho più attaccato nessuno da...», ma Matthew si era interrotto bruscamente e aveva rivolto lo sguardo altrove, come consapevole di colpo di aver parlato troppo.
«Da...?», gli aveva fatto eco Evelyn, ma il vampiro non aveva risposto, ostinandosi in un silenzio che le era parso quasi imbarazzato. Poi, improvvisamente, un'intuizione e la giovane aveva capito: «Da quella notte». E anche quella non era stata una domanda.
«Sì». Un piccolo tassello.
«Vuol dire che non avevi mai reagito in quel modo... che è successo solo con me?».
«Sì». Secondo tassello.
Evelyn aveva assorbito quella risposta e tutto ciò che essa implicava in silenzio, per qualche momento. Gli occhi persi a fissare il legno scuro del tavolino davanti al divano, senza vederlo davvero.
«Quindi è per me, se non hai più ucciso. Perché il mio sangue è l'unico che adesso ti attira», aveva commentato poi, calma.
«In parte, è così».
«E l'altra parte?». Curiosa. Avida di risposte.
«Sì è fatto tardi, tra un paio d'ore sorgerà il sole e tu hai bisogno di dormire un po'. E' meglio che io vada». E se n'era andato.
Solo tempo dopo, Evelyn aveva capito quale fosse quell'altra parte, senza che lui glielo avesse detto esplicitamente.
Sapeva che lui non le avrebbe mai fatto del male, che anche se desiderava il suo sangue non l'avrebbe mai toccata... ma quella rivelazione, quell'ennesima comprensione era qualcosa di più. Se Matthew si preoccupava di non farle del male non solo fisicamente, ma anche psicologicamente, allora aveva un significato del tutto diverso.
Successivamente, ad un'altra domanda di Evelyn, le aveva detto che da quella notte rubava periodicamente alla banca del sangue. Una scorta di sacche per un mese e in questo modo non aveva più dovuto uccidere né attaccare nessuno.
«Hai mai pensato di ucciderti?».
Le domande di Evelyn arrivavano sempre improvvise, soprattutto all'inizio. Lei non era mai posseduto particolare tatto; aveva sempre preferito domandare o dire le cose chiaramente, piuttosto che girarci attorno.
«Perché me lo chiedi?».
«Hai detto che detesti non poter trascorrere l'eternità con le persone che amavi. Al posto tuo, non so se reggerei. Hai mai cercati di suicidarti?».
Matthew le aveva rivolto un mezzo sorriso tirato, «Un tempo... Sì, un tempo ci ho pensato. Poco dopo essere stato trasformato, mentre stavo ancora con Elizabeth. Dopo che mi nutrivo, dopo che tornavo in me e mi rendevo conto di cosa avevo fatto, desideravo solo morire. Ho ucciso molte più persone ogni notte in quei cinquant'anni, di quando ero in guerra».
«Quindi non hai mai tentato?».
«Elizabeth mi stava sempre addosso, mi controllava. Aveva capito che la odiavo, che non apprezzavo ciò che mi aveva fatto e così non mi lasciava mai solo abbastanza a lungo da compiere qualche gesto folle. Neanche lei mi amava, ma aveva troppa paura di restare di nuovo da sola per lasciare che mi ammazzassi».
«E dopo che l'hai uccisa?».
Di nuovo quel mezzo sorriso amaro, «Credo che a volte, non apprezziamo davvero qualcosa finché non l'abbiamo perduta. E' stato così quando lei mi ha trasformato: mi sono reso conto di quanto amassi la mia vita umana solo dopo averla persa per sempre. Ed è stato così quando ho rischiato di perdere seriamente anche l'ultimo frammento di esistenza che mi rimaneva, quando Elizabeth mi attaccò. In quel momento, ho capito di non volere morire, di voler vivere anche se questa non è davvero vita. Probabilmente sono solo un ipocrita, ma da allora cerco di dare un senso a ciò che sono. Anche se forse, fino ad ora non ci sono riuscito benissimo», aveva scherzato all'ultimo. Poi, dopo un po' aveva mormorato qualcos’altro: «E forse non è detto che starò tutta l'eternità senza le persone a cui tengo», e si era alzato senza dare ad Evelyn modo di replicare a quell'ultima affermazione, andando a prendere qualcosa in cucina – ormai di casa, da lei.
Ma Evelyn l'aveva sentita, quella frase. Ed era stata un terzo tassello.
«Non volevi morire... Eppure eri disposto a lasciare che io ti uccidessi, pur di non reagire».
«E' diverso. Non avrebbe avuto senso continuare a vivere se questo significava ucciderti». In realtà, Matthew era stato sul punto di dire dell'altro ma poi si era fermato appena in tempo. Ed Evelyn non si era accorta di nulla. Ma la ragazza aveva comunque sorriso, per quell'affermazione. Un quarto tassello.
E a poco a poco, tutti quei tasselli erano aumentati. Ed entrambi si erano svelati sempre un po' di più.
Dalla sera dell'invito, Matthew non aveva più smesso di recarsi a casa di Evelyn. Ogni notte. E quando lei doveva uscire per qualunque motivo, magari per passare una serata fuori in compagnia di Mark e Meredith, generalmente la seguiva e restava con lei. I suoi amici sembravano aver preso in simpatia il vampiro e lui altrettanto – nonostante un iniziale e inspiegata avversione per Mark, avversione che però era sparita quasi subito.
Non sempre, però, Evelyn e Matthew erano andati d'accordo. Anzi, nonostante si fossero sempre più affezionati l'uno all'altra, le liti erano state frequenti – e lo erano ancora. Avevano un diverso modo di vedere le cose, riguardo certi argomenti, ed anche un diverso modo di reagire alle situazioni.
Finché qualcosa era scattato, tra di loro.
Il modo in cui si comportavano quando erano da soli o con gli altri – intimità –, il modo in cui si guardavano – complicità –, si cercavano – protezione –; il modo in cui Matthew compariva improvvisamente al fianco di Evelyn quando vedeva un qualunque ragazzo avvicinarsi a lei, o il modo in cui Evelyn diventava tesa come la corda di un violino quando una ragazza parlava con Matthew – gelosia –, aveva reso ormai palese che fra di loro vi fosse qualcosa di più di semplice amicizia.
Eppure, per molto tempo nessuno dei due era sembrato volerlo ammettere.
Finché qualcosa era scattato, tra di loro, ed Evelyn aveva capito di essere attratta da Matthew in più, troppi modi; e Matthew aveva compreso che la sete che provava per Evelyn, non era dovuta solo al suo sangue.
E le liti erano aumentate, accrescendo continuamente la tensione. Spesso avevano litigato per un nonnulla, qualcosa di poco conto – e lo facevano tutt'ora, litigavano per ogni cosa –, ma raramente per i reali motivi che li rendevano così tesi – ed era così anche ora.
Principale causa dei loro litigi, era sempre stata la caccia.
Matthew inizialmente aveva cercato di dissuadere Evelyn dal continuare a rischiare in quel modo. Certo, lei era una strega ma usare la magia non era semplice anche se faceva parte di lei. E quando incontrava creature potenti e difficili da eliminare – come era accaduto con l'assassino di sua nonna – i riti e gli incantesimi che effettuava la indebolivano molto.
Ma Evelyn era sempre stata testarda e orgogliosa e soprattutto non tollerava che qualcuno – chiunque – potesse in qualche modo minare la sua indipendenza. Non era una ragazzina sprovveduta; se l'era cavata per anni prima che Matthew entrasse nella sua vita e lui non aveva alcun diritto di dirle cosa fosse o non fosse meglio per lei. Evelyn aveva delle responsabilità, responsabilità date dallo stesso sangue che le scorreva nelle vene. Non avrebbe potuto sottrarsi ai suoi doveri neanche volendo; anche se avesse smesso la caccia, gli esseri che si occupava di eliminare sarebbero venuti loro a cercarla, perché il suo Potere – il potere unito di due delle più potenti famiglie di streghe del Massachusetts – era un frutto ambito da molti. Troppi. Non avrebbe mai avuto una vita normale e, dopotutto, non la desiderava. Le piaceva la sua vita così com'era – nonostante la sofferenza e il dolore – e ne accettava i pro e i contro. Li aveva accettati da tempo.
Così, Matthew aveva rinunciato a insistere e aveva continuato ad accompagnarla senza, però, più lamentarsi che la ragazza rischiasse continuamente la vita. Proteggendola senza che lei se ne accorgesse.
E per proteggerla, Matthew aveva spesso ucciso anche dei vampiri. Vampiri proprio come lui, vampiri che Evelyn affrontava, vampiri che volevano ucciderla o uccidere persone che lei, invece, voleva proteggere.
Alla fine, era diventato un rinnegato.
 
  









 

Angolo autrice:
Saaalve a tutti!
L'ho già detto nell'introduzione ma lo ripeto anche qui: avevo postato, originariamente, il racconto come one-shot, ma adesso l'ho modificato e diviso in tre capitoli. Sin dall'inizio avevo il dubbio se farlo o meno, anche se poi avevo deciso di lasciarlo come blocco unico. Poi MusicDanceRomance - che ringrazio sempre e di cuore perché legge e recensisce sempre ciò che pubblico. Davvero grazie, tesoro! - nella sua meravigliosa recensione mi ha fatto notare che l'immane lunghezza papirica del racconto - per cui mi ero già scusata! xD Ma non è colpa mia, io parto sempre col buon proposito di esser breve, giuro! xD -, postato tutto in una volta come avevo fatto, rischiava di "spaventare" chi fosse entrato per leggere, dissuadendolo. Anche per motivazioni pratiche, poiché stare troppo davanti allo schermo stanca la vista. E aveva ragione!
Ergo, mi sono posta nuovamente il problema, ho chiesto consiglio anche alle mie Miryavigliose - Oasis, sawadee, Emily Alexandre e semplicemente, grazie per avermi dato i vostri consigli <3 - ci ho riflettuto e questo è il risultato. Spero che, adesso, la lettura sarà più agevole nel caso la precedente lunghezza avesse creato dei problemi!
Come già detto, i capitoli saranno tre - datemi tempo, tra stasera e domani saranno tutti pubblicati -, divisi secondo le canzoni che me li hanno ispirati o mi hanno aiutata a scriverli - per tale motivo, i link delle suddette rimarranno, uno per capitolo.
Detto ciò, un bacio a tutti e grazie per la lettura! :* 

Graine


 





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