That
Love is All There is
Terre_del_Nord
Old Tales
Terre del Nord - I.004
- Sheira e Cormacc
(dal
primo volume di "Storia della magia")
..."Terre
del Nord" è il nome dato dalla
comunità magica alle propaggini nord-occidentali delle
Highlands scozzesi, territori disabitati e selvaggi, duri e ostili, in
cui una parte delle “Antiche genti”, gli
“uomini di Daur” (1), si
rifiugiò quando un imponente esercito babbano proveniente
dal continente (2)
penetrò nella Britannia e sottomise, pezzo dopo pezzo, quasi
tutta l'isola alle proprie leggi e alla propria spada. Per secoli gli uomini di Daur
avevano vissuto presso le popolazioni prive di magia di quelle isole,
pur senza unire il proprio sangue al loro, gelosi com'erano della
propria “saggezza” e delle proprie
abililità, prosperando in pace all’interno dei
loro villaggi, ricoprendo l'importante ruolo di guaritori, ottenendo
venerazione e rispetto grazie alla conoscenza degli intimi segreti
della natura, delle proprietà di piante e minerali, e alla
capacità di interpretare i segni. Il resto del popolo
iniziò a chiamarli "Saggi" e ad affidarsi alla loro guida. All’arrivo del grande
esercito, com’era già avvenuto ai loro "fratelli"
diffusi su tutto il continente, i Daur assistettero alla progressiva
scomparsa della loro civiltà semplice, legata al culto della
natura, videro gli antichi sacelli, scavati nella terra e nella roccia,
distrutti e sostituiti da templi ricoperti di ori e di marmi, dedicati
a numerose divinità in cui potevano ancora riconoscere,
sotto i nomi diversi, i propri dei; in seguito però,
anch'essi scomparvero, sostituiti dall'unico, insondabile, temibile,
dio della Croce. Per
anni, gli uomini Daur guidarono la ribellione dei popoli autoctoni
contro l’invasore, come sempre avevano fatto contro i
numerosi aggressori che avevano cercato di impossessarsi
dell’isola nel corso dei secoli, ma di fronte a un
conquistatore tanto forte, organizzato e inattaccabile, le popolazioni
dell'isola, una dopo l’altra, erano cadute ed erano state
sottomesse. La maggior parte dei Daur fu uccisa in battaglia o nelle
successive rivolte; dei superstiti, molti, per sopravvivere, tradirono
le proprie tradizioni, perdendo con esse la propria purezza e celando
il proprio potere; altri si ritirarono nelle foreste, in eremitaggio,
isolati, soli, incapaci di trasmettere nella pienezza la memoria degli
Antenati. Un
piccolo gruppo di superstiti, proveniente da tutta l'isola, si
riunì nei pressi del cerchio di pietre di
Mên-an-Tol (3)
dove, a Lughnasad, era celebrata la festa del raccolto, proprio davanti
alla pietra forata: i sacerdoti di Lugh sostenevano che era stato il
dio a forare la pietra gettandoci contro la sua lancia e questa,
oltrepassata la roccia, si era conficcata a terra, sprofondando per
metri e metri e generando un pozzo. Era in fondo a quella voragine che
gli Antichi avevano trovato secoli prima Habarcat, una delle tre fiamme
verdi, dono che il “dio della luce” aveva fatto
alla sua gente prediletta, le fiamme che alimentavano
nell’eternità il potere dei Daur. Essendo stato sempre il
giaciglio della sacra reliquia, la bocca del pozzo era stata abbellita
con formelle di pietra, incise con le Rune, simbolo della Triade
divina. Quel lontano giorno d’estate del ventesimo anno di
guerra, i due terzi dei Daur decisero di estrarre Habarcat dalla terra,
di portarla via, di nasconderla e proteggerla dagli invasori nelle
lontane terre settentrionali dell'isola, le Terre del Nord. Il Daur
designato a portare la Fiamma, il venerabile delle Innse Gall,
raggiunse le Terre del Nord in groppa al suo Drago, un nero delle
Ebridi, seguito da coloro che, capaci di trasformarsi in animali di
cielo, mutarono le proprie sembianze e spiccarono il volo; gli altri si
misero in marcia, per terra e per mare: aveva inizio la diaspora dei
Daur. Non
tutti riuscirono a raggiungere le Terre, alcuni perirono, altri si
fermarono prima; quanti si erano trovati in disaccordo con la decisione
di ritirarsi a Nord e fondare la Confraternita, dopo iniziali proteste
senza risultato e vani tentativi di riprendere la Fiamma, si dispersero
a loro volta nell’isola, alcuni fondando villaggi magici in
cui vissero lontani dai Babbani, altri continuando a vivere tra loro e
integrandosi con essi...
(fine
inciso)
Appena aveva visto i suoi figli allontanarsi nella foresta con
Habarcat, Cormacc MacArtgal aveva spento con la Magia il fuoco del loro
bivacco, così che non restassero residui di fumo a tradirli
e, fermo, aspettò di sentire i suoni manifestarsi e
ripetersi, per decidere in quale direzione muoversi. Suo figlio
Dòmhnall aveva ragione: c'erano estranei nella foresta,
provenienti dal fiume, ne aveva percepito la pesantezza dei passi e la
puzza inconfondibile, una puzza che gli ricordava con orrore le
settimane che aveva passato nelle segrete del castello di Glower-o
'er-em, in attesa dell'impiccagione. L’angoscia gli strinse
il cuore, si affrettò a
cancellare le ultime tracce della loro presenza nella radura, mentre
Sheira, indebolita dal parto, lo osservava, nascosta tra gli arbusti,
tenendo la piccola Diorbhal tra le braccia: doveva sbrigarsi, erano in
pericolo, doveva mettere più distanza possibile tra
ciò che aveva di più caro al mondo e le
“bestie” che aveva imparato a conoscere solo
durante la prigionia. Era stato per la sua Sheira, il suo
Dòmhnall e il bambino
che stava per nascere, Cuilén, se all'epoca non aveva
provato a fuggire dalla sudicia cella in cui l'avevano rinchiuso,
servendosi dei suoi poteri; aveva atteso, per settimane, l'occasione
giusta per tentare una fuga il più possibile
“normale”, una fuga che non confermasse, agli occhi
di chi lo accusava, la sua natura di Mago. Alla fine, però,
era stato tutto inutile, per salvarsi dal cappio e per evitare che
Sheira fosse aggredita dal popolo, era stato costretto a
smaterializzarsi quando già il boia gli aveva messo la corda
attorno al collo, confermando così, davanti a tutti, la
presenza di veri Maghi nella foresta di Am Monadh. Quando erano giunti
in quella terra, poco più di sedici anni
prima prima, giovani e innamorati, pieni delle fantasiose teorie di cui
erano intrisi gli antichi scritti, credevano ancora che fosse possibile
convivere in pace con i Babbani, che, addirittura, la Magia potesse
alleviare la sofferenza dei popoli, guidarli verso un destino migliore,
com’era avvenuto per secoli. Era stato per questo che Sheira
si era esposta e aveva offerto al signore di Glower un infuso per
ottenere un figlio maschio, nella speranza che, soddisfatto il suo
desiderio più grande, quell'uomo diventasse più
mite e generoso con la sua stessa gente; ma era stata una sciocchezza,
proprio com’era stato sciocco da parte di Cormacc, per
conoscere le usanze dei Babbani, curiosare intorno ai villaggi con le
sembianze di un cane, fermandosi persino a dormire nei fienili, quando
si allontanava troppo: eppure sapeva che, durante il sonno, venendo
meno il controllo della mente sul suo corpo, non poteva mantenere le
sembianze animali ma tornava a essere un uomo. In una fredda alba di
fine settembre di sei anni prima, alla fine, era
accaduto l'inevitabile: un contadino l'aveva sorpreso nel sonno e,
accusandolo di essere un ladro, l'aveva portato davanti alle
autorità del villaggio; la natura ingenua e pacifica aveva
impedito a Cormacc di ricorrere alla Magia per fuggire, si era lasciato
portare al castello di Glower, confidando che, se si fosse mostrato
innocuo e remissivo, tutto si sarebbe risolto solo con qualche giorno
in cella e, al massimo, qualche frustata. Cormacc sospirò e
guardò per l'ultima volta la
radura in cui aveva vissuto con la sua donna e i suoi figli.
No, a quei tempi non avevo ancora idea
di che cosa siano i Babbani…
A giudicarlo non era stato il signore di Glower-o'er-em, impegnato nei
suoi commerci, ma il cappellano del castello, un vecchio irlandese,
Cormacc aveva riconosciuto subito la cadenza particolare della sua
voce, molto simile a quella di sua madre: il Mago non se ne era
sorpreso, sapeva che i monaci irlandesi si spingevano da secoli fin
lungo i margini delle Terre del Nord, per evangelizzare le rozze genti
che incontravano, persino in quelle lande sperdute e semidisabitate,
dove c'erano solo pietra e miseria. Dove gli uomini della Croce
temevano, a ragione, che si nascondesse ancora l'antica Magia. Quello
che aveva di fronte, però, non era un religioso
qualsiasi, invasato solo dal fuoco della sua Fede: quell'uomo sapeva
qualcosa, conosceva le antiche leggende, il significato delle Rune,
Cormacc l'aveva capito dalle domande che gli aveva posto e
dall'insistenza con cui l'aveva osservato, attratto dai segni che
portava sul collo e sulle dita delle mani. Si erano fissati, a lungo,
ma il Mago aveva finto di non capire, aveva risposto alle domande come
avrebbe fatto un povero stolto, aveva parlato di segni tradizionali del
suo clan. Il cappellano aveva cercato di spaventarlo, accusandolo di
essere un figlio del demonio, la causa, con quei segni blasfemi,
dell’Oscurità che circondava la foresta di Am
Monadh, di meritare per questo la morte, ma Cormacc aveva continuato a
tacere e negare per ore e per giorni; alla fine, l'irlandese aveva
lasciato cadere l'accusa di furto, per gravarlo di una ben peggiore,
quella di blasfemia e Stregoneria, condannandolo a morte per
impiccagione. Nemmeno allora, nemmeno di fronte a un rischio tanto
grande,
però, Cormacc MacArtgal era venuto meno agli insegnamenti
della sua gente, non aveva tradito le proprie convinzioni, non aveva
messo a rischio la Confraternita rispondendo alle domande,
né si era servito della Magia per uccidere e salvarsi. Le
guardie avevano ricevuto l'ordine di piegarlo con la fame, la sete, la
prigionia in un'angusta cella con altri miserabili che potevano
dileggiarlo, colpirlo, umiliarlo, feccia che continuava a essere
considerata umanità, pur essendo un ammasso immondo e
violento di ladri e assassini, solo perché alla nascita
erano stati consacrati tutti dall'Acqua Benedetta e dalla Croce.
Cormacc, invece, la cui unica colpa era essere nato con il suo Dono e
essere stato forgiato col Fuoco e con la Lama, era considerato un
demonio, un mostro, contro cui tutti potevano scagliarsi.
E
questo hanno fatto, guardie e
prigionieri, per settimane e settimane.
Pur passati sei anni da allora, nonostante le amorevoli e sapienti cure
di Sheira e la folta barba che si era fatto crescere dopo la fuga, ogni
volta che si specchiava nell'acqua del fiume, Cormacc rivedeva con
sgomento il proprio viso deturpato dai segni di
quell’orribile esperienza. Eppure non riusciva a odiare,
provava solo terrore e angoscia. Da allora l'uomo aveva vissuto sempre
nella paura, per se stesso, per
Sheira, per i ragazzi. La loro dimora, una capanna ai margini del
bosco, non era più stato un nido sicuro per lui, aveva
iniziato ad andare a caccia con Dòmhnall solo per trovare
anfratti più inaccessibili e protetti, aveva cercato di
convincere Sheira, più volte, invano, a spostare il loro
nascondiglio, e di fronte al suo diniego, aveva pregato gli dei che le
voci sinistre sui poteri oscuri della montagna fossero un deterrente
sufficiente contro qualsiasi folle impresa dei Babbani. Quella continua
tensione aveva trasformato un giovane semplice, entusiasta e
appassionato, in un uomo cupo, nervoso, a volte persino rabbioso e
violento: lo capiva da sé, spesso era fin troppo duro con i
suoi figli, soprattutto con Cuilén, ma era per loro che
agiva così, doveva evitare che i suoi ragazzi diventassero
troppo superficiali, troppo avventati, pieni di false illusioni,
com'era stato lui. Quando aveva scoperto che Dòmnhall era
interessato a una
giovane Babbana, era rimasto talmente sconvolto che aveva reagito nella
maniera peggiore, non gli aveva parlato con razionalità,
come suo padre e il suo maestro avevano fatto con lui, delle differenze
esistenti tra gli uomini e i Maghi, gli aveva raccontato invece le
più bieche superstizioni, pur sapendo che si trattava solo
di menzogne, aveva instillato in suo figlio l’idea che i
Babbani potessero rubargli la Magia. Se ne vergognava, certo, e aveva
fatto in modo che Sheira non lo scoprisse, ma non poteva permettere che
suo figlio finisse rinchiuso e fosse massacrato com’era
accaduto a lui. La sua vita, stranamente, era diventata più
serena solo
negli ultimi tempi, da quando le incursioni di un popolo guerriero
proveniente da Viken avevano spinto re Indulf di Alba a richiamare
sulle coste il suo popolo e dare inizio a una nuova guerra: il signore
di Glower e il suo cappellano avevano problemi ben più
urgenti da affrontare. E in quella ritrovata serenità,
Sheira era rimasta nuovamente incinta e quella notte, finalmente, era
nata la loro prima bambina, cui aveva imposto il nome di sua madre.
Diorbhal...
Il Mago prese di nuovo in braccio le sue donne e s’immerse, a
sua volta, nell'oscurità del bosco, a rapidi passi: il
sangue e le forze perse durante il parto avevano reso Sheira troppo
debole per provvedere da sola a se stessa e alla bambina, Cormacc
sapeva che sarebbe stato impossibile portarla alla sorgente quella
stessa notte, dovevano perciò accamparsi in un luogo
riparato, abbastanza vicino al fiume, in cui fosse facile difendersi e
da cui fosse semplice, pur senza smaterializzarsi, scappare. La strinse
a sé, guardò Sheira con tenerezza e
preoccupazione, era sfinita, come non l’aveva vista mai,
eppure il suo sguardo continuava a essere sempre lo stesso, fiero e
indomito, come il primo giorno: tutta la sua vita, lo sapeva, era stata
plasmata e stravolta da lei, dalla sua luce, dal suo potere, dal loro
folle amore. Aveva deciso, stavolta non avrebbe avuto esitazioni,
sarebbe ricorso
persino alla violenza, avrebbe rotto persino il giuramento fatto ai
Centauri quando erano giunti in quell’angolo delle Terre del
Nord e, se necessario, avrebbe ucciso, per lei, per la sua donna.
Cormacc stampò un bacio sulla fronte di Sheira e
continuò a camminare, tenendola stretta a sé,
l'orecchio teso a cogliere qualsiasi sussurro della notte, la mente
piena solo dei tanti ricordi della loro intensa, avventurosa esistenza.
*
Cormacc McArtgal era
nato trentasette inverni prima, a
Banrìgh nan Eilean (4), la più meridionale
delle
Innse Gall (5), le isole a ovest delle Terre
del Nord. Era il secondo
di sette figli, in una famiglia che aveva sempre praticato la
Medimagia, seguendo i precetti degli Antichi: suo padre, Artgal, era
originario di un villaggio di Beinn Nibheis, ed era bruno e grosso, un
po' burbero, proprio come un orso; sua madre, Diorbhal, era una donna
austera, dai capelli rossi e selvaggi, nativa dell’Eire, la
grande isola verdeggiante che si trovava a sud: era stata lei a
insegnargli a rispettare la terra e il vento, a riconoscere i segreti e
le proprietà delle piante, che crescevano rigogliose grazie
al clima mite della loro isola, dove l'estate si protraeva quasi fino
alla festa di Modron. Era vissuto felice lì, con i suoi
fratelli e i suoi
genitori, finché, tre lune dopo aver compiuto quindici anni,
come voleva la Legge di Habarcat, un vecchio mandato dalla
Confraternita degli Antichi, Eoghan McFionn, era sbarcato sull'isola in
una notte di plenilunio e, prima ancora dell'alba, l'aveva sottratto
all’affetto dei suoi cari, portandolo via con sé.
La barca che li attendeva in una piccola rada era leggera e rapida, di
legno scuro, completamente intarsiata di Rune: a metà del
secondo giorno di viaggio, Eoghan aveva bruciato dell'incenso su un
piattino d'argento, aveva ferito il palmo di Cormacc con una lama lunga
e sottile e aveva intriso le ceneri con il suo sangue, poi aveva
passato la lama nel miscuglio e aveva ordinato al ragazzo di incidere
le Rune del proprio nome sul legno dell'imbarcazione e di gettare le
ceneri nell’acqua, tributo per ingraziarsi il favore del
mare. Avevano veleggiato tra i fiordi immersi nelle nebbie per altri
tre giorni e altre tre notti, infine erano scesi a terra e avevano
iniziato a percorrere le lande aspre che conducevano al massiccio di
Beinn Nibheis, avevano guadato fiumi e attraversato paludi, camminando
fino a ferirsi i piedi sulla nuda roccia, per giorni che diventarono
settimane, per settimane che diventarono mesi, immersi in una natura
solitaria e selvaggia, in panorami sconfinati che prima si coprirono di
foglie morte, poi di soffice e gelida neve.
All'inizio del viaggio,
Cormacc era rimasto a lungo silenzioso e
triste, consapevole che quello sarebbe stato un viaggio senza ritorno,
che ciò che si era lasciato alle spalle era già
perduto per sempre, ma un po' per volta la malinconia aveva lasciato il
posto alla meraviglia e all'emozione, per tutto quello che di nuovo
trovava davanti a sé, per la Magia che esplodeva in tutto
ciò che lo circondava, per i canti pieni di mistero e di
storie antiche con cui il vecchio Eoghan salutava il sorgere delle
stelle, notte dopo notte. Erano partiti dalla sua Banrìgh
nan Eilean all'inizio della
primavera, mancavano solo due giorni alla festa di Yule quando
giunsero, infine, sulle rive del mare settentrionale, a Loch an Inbhir,
il cuore delle Terre del Nord. Durante quella lunga notte di riti e di
festa, insieme ad altri ragazzi della sua età, Cormacc aveva
superato la sua prova più importante, aveva affrontato i
suoi demoni e aveva scoperto la sua attitudine per la “voce
della Terra”, aveva dimostrato a tutti di essere pronto a
entrare nel mondo degli adulti per ricoprire il suo ruolo nella
comunità, gli erano state perciò impresse le Rune
più importanti, quelle che marchiavano il suo intero petto.
All'alba, stremato, aveva appreso di essere stato assegnato come
apprendista, per quattro anni, a Eoghan, sarebbe stato ospite nella sua
casa, avrebbe perfezionato sotto la sua guida quelle conoscenze
già apprese da sua madre: chiamare gli animali senza usare
la voce o altri strumenti, piegare al proprio volere l’Acqua,
il Fuoco, la Terra, il Vento, imparare a trasformarsi in un animale
marino, in un animale terrestre e in un animale del cielo, creare
pozioni e decotti con le erbe che crescevano nelle foreste per curare e
uccidere, fare incantesimi di varia natura, potenziare la propria Magia
con i segreti delle Rune e sfruttare i doni del ventre della terra per
creare Talismani, due arti queste ultime che, insieme
all’Erbologia e alle Pozioni, sarebbero state utili al
giovane per diventare ciò che più desiderava: un
Guaritore.
La sua vita era
trascorsa tranquilla per anni, nella capanna del
vecchio in riva al mare, diviso tra lo studio e la meditazione, le
feste e i balli con gli amici, qualche relazione senza importanza con
alcune ragazze del villaggio, finché, la settimana prima di
Beltane di quasi quattro anni più tardi, aveva conosciuto
Sheira nic a'Thon: suo padre, Thon McCuilén, era uno dei
venerabili della comunità, perché da giovane,
grazie al dono della Veggenza, aveva salvato la sua gente dal gigante
Harkmut, ma soprattutto perché, negli ultimi tre secoli, i
Custodi della sacra Fiamma di Habarcat erano appartenuti tutti alla sua
nobile famiglia. La ragazza si era presentata con suo padre da Eoghan
per scegliere il
dono che avrebbe fatto alle divinità la notte di Samhain,
quando, al compimento dei sedici anni, avrebbe preso le sue Rune e
consacrato la sua vita a Habarcat: Cormacc l’aveva guardata
con curiosità, abituato a essere l’unico giovane
dai capelli bruni, in un mondo dominato da persone bionde e fulve,
aveva notato subito con simpatia quella ragazzina minuta dai capelli
corvini, con la pelle del viso tempestata di lentiggini sottili, e gli
occhi color del mercurio. E l'aveva ammirata ancora di più
quando, tra i tanti preziosi Athame disponibili, aveva scelto
personalmente, senza esitazioni, un semplice e minaccioso pugnale
intarsiato di Rune, potenziato con gli influssi delle Tormaline nere,
decidendo che sarebbe stata quella l’arma con cui le
avrebbero inciso le Rune sulla pelle del ventre. Quando Sheira aveva
alzato i suoi occhi su di lui, però,
l'ammirazione del giovane era sparita per lasciare il posto a un
devastante turbamento: Cormacc, pur grande e grosso, si era sentito
sciogliere, fluido come il metallo che stava forgiando, e la sua mente
aveva perso di colpo ogni pensiero che avesse logica. Aveva provato
un’emozione strana, incomprensibile, molto più
complessa del desiderio profondo di stringerla a sé,
baciarla, possederla e annullarsi in lei, tutte sensazioni fisiche
potenti, che aveva sempre provato con le sue amanti. No, non aveva mai
visto una ragazza come quella, Sheira emanava
sicurezza, calma, luce. Sheira era, lei stessa, luce. Nessuno degli
altri presenti, forse neppure Sheira, si accorse del
turbamento del giovane Mago: dentro di sé, Cormacc era
infastidito da quella sensazione adatta a uno sciocco adolescente, non
a un giovane uomo come lui, eppure gli era ugualmente sfuggito un
sorriso entusiasta quando aveva udito l'imperioso Thon
McCuilén chiedere a Eoghan di insegnare anche a sua figlia
le proprietà delle pietre, così che la ragazza
completasse prima di Samhain il suo percorso di studi.
Durante la primavera e
l'estate seguenti, perciò, Sheira si
era presentata alla capanna sulla spiaggia tutte le mattine, molto
presto, via via sempre più presto, restando con i due uomini
e la sua Elfa domestica, Brida, per quasi tutto il giorno, mangiando
con loro, raccontando con la sua voce cristallina e il suo candido
entusiasmo di sé, dei suoi fratelli, dei luoghi che aveva
visitato, delle leggende che il suo vecchio precettore le aveva
insegnato, delle Magie con cui si allenava a guidare la Sacra Reliquia.
Cormacc si era perso per ore ad ascoltarla, tanto che spesso era stato
costretto a finire di studiare dopo che lei se n’era andata,
ma non aveva mai avuto il coraggio di interromperla per chiedere di
più, benché avesse tante domande da farle,
proprio per non infrangere la Magia che sembrava materializzarsi tutto
intorno a loro al suono della voce della Strega.
Da parte sua, anche la
ragazza era incuriosita da Cormacc, un giovane
diverso dagli altri, privo di quella smielata devozione che le
riservavano tutti, senza però mai ascoltarla davvero, al
contrario, lui, pur taciturno, era sempre attento e incuriosito da lei
e dalle sue storie. Lo aveva trovato misterioso e interessante fin dal
primo giorno, con quegli occhi scuri e profondi, che brillavano sotto i
lunghi capelli, corvini come i suoi, così alto e imponente,
così selvaggiamente affascinante. L'aveva colpita anche
quella specie di timidezza che manifestava solo con lei, mentre con le
altre, l’aveva visto durante i balli attorno al fuoco, era
molto più spigliato, persino spregiudicato: all'inizio aveva
temuto di essergli antipatica, ma i suoi crucci erano spariti, quando
si era accorta della sincerità del sorriso gentile e dello
sguardo vivace con cui Cormacc la salutava sempre al suo arrivo.
Senza un vero
perché, aveva iniziato a cercarlo, seguirlo,
anche fuori della capanna del vecchio: una notte, durante la "luna
delle erbe" (l’Esbat, o luna piena, di luglio), si era
allontanata dal cerchio attorno al fuoco e nella penombra della radura
l'aveva visto baciare una ragazza stringendola a sé con una
passionalità che le aveva infiammato il sangue, di gelosia,
di turbamento, di desiderio. Non le era mai accaduto nulla di simile, e
Sheira ne era rimasta profondamente turbata: ormai, giorno per giorno,
quando pensava a lui, sentiva qualcosa di sconosciuto crescerle dentro,
e tutte le sue certezze, tutte le convinzioni che le avevano inculcato,
di colpo, avevano perso d’importanza e autorevolezza. Un
giorno aveva persino insistito con la piccola Brida per raggiungere
la capanna prima dell'alba, perché aveva scoperto che
Cormacc, prima del suo arrivo, tutte le mattine si attardava a nuotare:
voleva ammirare il Mago, il suo corpo nudo, senza che lui nemmeno se ne
accorgesse, aveva un bisogno ormai fisico di lui, era sconvolta dai
suoi pensieri, dalle emozioni che provava, temeva di diventare folle,
di compiere qualche gesto sconsiderato e vergognoso. Quando se
l’era trovata di fronte, Cormacc era rimasto a sua volta
pietrificato dalla sorpresa, dall'emozione, dall’imbarazzo,
tanto che, invece di salutarla come ormai faceva tutte le mattine, era
sparito senza rivolgerle nemmeno una parola, incapace per tutto il
giorno di uscire dal suo ostinato mutismo, almeno finché la
Strega non era ritornata a casa sua, al tramonto, ancora più
turbata.
L'interesse dei due
giovani per lo studio aveva finito col calare
molto, Eoghan se n'era accorto, ma non se n'era preoccupato, pur
vecchio, ricordava bene quanto fosse difficile quel periodo della vita,
e soprattutto, riteneva quel genere di esperienza molto importante per
crescere e maturare, perché entrambi stavano scoprendo
un'importante lezione di vita: non tutti i desideri sono destinati a
realizzarsi, ed era importante che lo scoprissero quanto prima. Sheira
restava spesso in silenzio a guardare Cormacc che lavorava a breve
distanza da lei, compiacendosi quando notava il volto del giovane
illuminarsi in un sorriso, al suono della sua risata o della sua voce
cristallina, o quando percepiva con la coda dell’occhio lo
sguardo del Mago indugiare assorto sulla curva del suo collo o
sull’incedere a volte sfacciatamente malizioso della sua
figura. Cormacc si dava dello stupido per ore, ricordava a se stesso
chi fosse
quella ragazzina, eppure appena entrava nella capanna, cercava di nuovo
tutte le scuse possibili per riuscire almeno a sfiorarla, lasciava i
suoi oggetti in disordine, per potersi alzare e avvicinare a lei,
accarezzarle furtivo le mani sulla sabbia, un paio di volte aveva
persino intrecciato le dita alle sue sotto il tavolo, durante i pasti.
Il Mago aveva compreso che, ingenua e presa com’era, se solo
avesse tentato, avrebbe potuto facilmente ottenere molto più
di un bacio, da lei, ma a frenarlo non era solo il timore delle gravi
conseguenze se si fosse abbandonato a qualche mossa avventata,
né la consapevolezza che l’educazione, il diverso
stato sociale, il destino di Sheira fossero un evidente ostacolo.
Ciò che gli impediva davvero di approfittare della
situazione era quel sentimento sconosciuto che provava per
lei… Iniziò a sfuggirla, a non farsi trovare, si
ripeteva che era
giusto così, che doveva toglierle e togliersi certe idee
dalla testa, per il suo bene, così l’entusiasmo
che i due giovani avevano iniziato a manifestare l’uno per
l’altra, si era trasformato in breve in inquietudine e
tristezza. Cormacc sapeva che la Strega non era destinata a lui e
già ne soffriva, ma il pensiero che fosse nata solo per
Habarcat, per sacrificare tutta la sua vita a potenziare la Magia e il
potere della Sacra Reliquia, senza poter mai godere delle gioie
concesse a tutti gli altri, lo aveva riempito giorno per giorno di
odiose domande, aveva esacerbato la sua inquietudine, la sua
frustrazione, persino la sua rabbia: aveva ormai compreso di volerle
davvero bene, anzi, ormai era certo di cosa fosse quel sentimento
strano, quello che non aveva provato mai, sapeva che il suo nome non
poteva che essere “Amore”, sì, ne era
addirittura innamorato, perché più di ogni altra
cosa, desiderava saperla felice, non riusciva a tollerare di vedere la
tristezza negli occhi di Sheira. Non sapeva cosa fare per aiutarla,
però: l'unica soluzione
che gli veniva in mente era la fuga, ma non era certo che Sheira
volesse o potesse fuggire, né che alla fine lo volesse con
sé, in fondo lei apparteneva a un mondo diverso, ricco e
colto, era cresciuta come una principessa, lui era invece un Mago
piuttosto abile e intelligente, certo, ma era e sarebbe stato sempre
umile e povero. Inoltre Sheira era ancora troppo giovane per
smaterializzarsi, la Traccia di Magia che la segnava avrebbe rivelato a
chiunque dove si nascondesse, e soprattutto… lei non sarebbe
mai stata una Strega qualsiasi: la vita di un custode era legata alla
Fiamma di Habarcat, se Sheira si fosse allontanata troppo, avrebbe
potuto perdere i propri poteri e, con essi, la vita. Fuggire,
perciò, significava anche dover sottrarre Habarcat
alla comunità e questo, lo sapeva, era un altro
tabù che, se infranto, avrebbe condotto entrambi alla morte.
Nelle sue lunghe notti
insonni, Sheira era arrivata alle stesse
conclusioni: ora che aveva scoperto il desiderio e i suoi nuovi
sentimenti, non voleva più dedicare la sua vita alla Fiamma,
sacrificando a essa tutto il resto, voleva andarsene, fuggire, pregava
gli dei di aiutarla e sostenerla, di mostrarle una strada, sapeva che
dovevano esistere dei contro-Rituali che separassero il suo nome da
Habarcat. Più di ogni cosa, però, desiderava
trovare un
modo per convincere Cormacc a fuggire con lei. Per un po’ di
tempo si era illusa di interessarlo, nonostante
fosse più piccola e inesperta delle ragazze che frequentava
di solito, ma visto il suo comportamento di nuovo sfuggente e
più freddo, temeva di non aver capito nulla di Cormacc, e si
sentiva persa, perché senza il suo sostegno era sicura che
non sarebbe mai riuscita a ribellarsi al suo destino. Aveva riflettuto
a lungo, alla ricerca di una soluzione, e alla fine,
concentrandosi sul Mago e su quello che sapeva di lui, credette di
sapere quale fosse l’unica strada da percorrere per
convincerlo. Una sera, all'inizio dell'autunno, al primo novilunio dopo
Modron, mentre tutta la comunità era riunita attorno al
fuoco intenta a eseguire alcuni Riti, Sheira aveva preso coraggio e
aveva fatto in modo di avvicinarsi a lui, rivolgendogli la parola
apertamente, come ancora non aveva mai fatto: gli aveva afferrato la
mano e, facendogli cenno di restare in silenzio, l'aveva invitato a
seguirla. Nel breve tragitto che li separava dalla spiaggia, immersi
nell'oscurità della boscaglia, le figure protette dai
mantelli, Sheira aveva confidato al giovane il suo desiderio di
libertà e la sua intenzione di fuggire, gli aveva parlato
della profonda disperazione che la coglieva al pensiero di un destino
che le era stato imposto, di una vita che non aveva scelto; Cormacc era
rimasto sconvolto dall’inesorabilità e dalla
fermezza di quelle parole, sorpreso di non essersi accorto che Sheira
aveva maturato in silenzio le sue stesse convinzioni, al punto da
elaborare persino un piano. La Strega gli disse di aver bisogno del suo
aiuto, che per sottrarsi alla sorte, era necessario forgiare un
semplice anello di metallo, una piccola fedina di ferro, bagnata col
sangue della Strega, al cui interno Sheira stessa avrebbe tracciato le
Rune necessarie a liberare il suo nome dalla Magia della Fiamma, per
poi gettarlo nel pozzo dei sacrifici, come pegno a Habarcat.
Cormacc non aveva mai
immaginato che Sheira, quasi cinque anni
più giovane di lui, fosse già tanto potente e
istruita nella Magia Antica da conoscere un contro-Rituale e delle
formule tanto potenti, ma più di tutto l’aveva
colpito scoprire che la ragazza si fidava a tal punto di lui, della sua
amicizia, delle sue abilità, da confidargli un segreto
così importante e chiedergli qualcosa di tanto pericoloso.
Aveva sentito il cuore riempirsi di ardore e di orgoglio, le aveva
promesso subito il suo aiuto e il suo silenzio, contento di contribuire
almeno in parte alla sua felicità, senza riflettere su cosa
sarebbe stato meglio per entrambi, né sulle conseguenze
delle loro azioni. Nelle due settimane seguenti, di giorno i due
giovani avevano
continuato a comportarsi come sempre, scambiandosi sguardi dimessi e
dimostrando scarso interesse per le lezioni di Eoghan, di notte,
invece, mentre Sheira perfezionava gli incantesimi che aveva appreso
dalle pergamene di suo padre, di nascosto, Cormacc lavorava senza sosta
all’anello, bagnando il metallo alla luce della luna col
sangue che Sheira si era estratta in segreto e gli consegnava tramite
Brida. Senza che il vecchio, reso innocuo con dei filtri soporiferi, si
accorgesse di nulla, Cormacc creò in tutto tre copie, tre
piccole verghette di ferro, semplici, identiche, se non per dei
piccolissimi dettagli che solo il suo occhio allenato riuscivano a
cogliere.
Quando entrambi furono
pronti, la notte della luna rossa, l'Esbat di
ottobre, Cormacc aveva partecipato distratto ai riti notturni al
cerchio di pietre, la mente presa da tutt’altri pensieri:
Sheira sarebbe fuggita quella notte, lui aveva preso coraggio, aveva
deciso di parlarle sinceramente, si sarebbe offerto di accompagnarla,
voleva aiutarla fino in fondo. E se la Strega
l’avesse accettato con sé, appena ne avesse avuto
l’occasione, un giorno le avrebbe confidato i suoi veri
sentimenti, senza peraltro pretendere da lei nulla. Per questo, per
questa folle speranza, aveva estratto dalle sue poche
cose anche una piccola pietra verde che sua madre gli aveva donato, da
offrire alla donna che voleva al proprio fianco: aveva preparato una
piccola incastonatura in uno dei tre anelli di ferro, uno di quelli che
non sarebbero stati gettati nel pozzo, aveva provato a inserire la
pietra, applicandole un incantesimo che l’avrebbe incastrata
in maniera permanente una volta riconosciuto il sangue di Sheira,
quindi aveva messo i tre anelli nella taschina di pelle di pecora che
portava al collo ed era uscito dalla capanna, diretto al promontorio
del cerchio di pietre, in attesa dell’appuntamento alla fine
dell’Esbat. Quando i più si ritirarono alle
proprie capanne, al levarsi
di Orione, si spostò dal cerchio di pietre
all’estrema propaggine della radura, sopra il mare: la Strega
era già lì, vestita col suo lungo mantello rosso,
come voleva la tradizione, nel silenzio rotto solo dal respiro del mare
sotto di loro, circondati dal fitto della boscaglia, le cinque pietre
che formavano il cerchio illuminate dalla luna nella sua completa
pienezza. Come si era avvicinato a lei, sotto un tappeto di stelle
pulsanti, se l’era ritrovata avvinghiata addosso, le labbra
bramose sulle sue, il corpo stretto tra la rugosità delle
rocce e il trepidante calore di Sheira, le dita e le labbra di lei,
calde e curiose, che si avventuravano alla scoperta del suo corpo teso,
insistenti nel tracciare i bordi delle Rune delle sue mani, delle sue
braccia, seguendo il fluire del sangue nelle vene del collo,
lì dove, pulsando impazzita, la Runa intensificava
all'inverosimile i desideri sempre più espliciti di
Cormacc... Non doveva farlo, non doveva cedere, il Mago se
l’era
ripetuto continuamente, sempre con più
difficoltà, sempre con minore convinzione,
finché, con estrema sofferenza era riuscito ad allontanarla
un poco da sé e ottenere una sincera spiegazione, restando
turbato quando Sheira, in lacrime, gli aveva confessato che era
intenzionata a concedersi a lui, nella speranza di convincerlo a
seguirla. Il Mago l’aveva stretta a sé per
consolarla, baciandola con tenerezza, poi aveva iniziato a confidarle,
per la prima volta, i mille discorsi che si era fatto da solo nella
propria mente, le disse quello che sentiva per lei dal primo giorno, le
descrisse i suoi sentimenti, il suo amore, il suo bisogno di non
perderla, il suo desiderio, se solo lei glielo avesse concesso, di
fuggire via insieme, di aiutarla a essere felice, senza chiederle
niente in cambio, senza pretender nulla che non volesse anche lei.
Sheira aveva ascoltato ogni singola parola, all'inizio confusa, poi
sempre più commossa nello scoprire che Cormacc condivideva i
suoi desideri; aveva preso le mani del Mago nelle proprie, aveva
iniziato a baciarlo di nuovo, con tenerezza, stringendosi a lui, mentre
le parole, quelle parole che entrambi avevano avuto per mesi
difficoltà a pronunciare, sgorgavano come un fiume in piena,
raccontando di sogni, di luce, di amore, di progetti, di futuro, di
vita. Di vita insieme.
Erano rimasti a lungo
stretti l’uno all’altro, in
silenzio, finché Cormacc aveva compreso dalla posizione
delle stelle che la notte era arrivata al suo culmine ed era il momento
di agire: aveva estratto gli anelli dalla taschina di pelle e li aveva
offerti a Sheira, ma quando la Strega aveva visto l'anello con la
piccola pietra, i suoi occhi si erano riempiti di nuovo di lacrime di
felicità, era cresciuta nella ricchezza, ma non aveva mai
visto in tutta la sua vita un anello più bello e prezioso.
Si alzò sulle punte, si allungò fino al suo
orecchio e gli disse che l’avrebbe seguito ovunque li avesse
portati il destino, che da quel momento sarebbero stati una vita sola,
un’anima sola, anche se non avrebbero mai trovato un anziano
disposto a unirli davanti alla sacra Fiamma. Cormacc sorrise, cosciente
che per la loro felicità quello era un dettaglio superfluo:
dalla capanna del vecchio aveva preso il pugnale che Sheira avrebbe
dovuto usare a Samhain per consacrarsi come custode, la
guardò con insistenza, chiedendole una tacita, consapevole,
conferma, quindi glielo porse e si avviarono al centro del cerchio di
pietre, là dove era stato scavato il nuovo pozzo in fondo al
quale era custodita la fiamma di Habarcat da quando era stata portata
nelle Terre del Nord. Osservò la Strega recitare le formule
che aveva appreso e la
Fiamma emergere rapida e leggera dal ventre della terra: sicuri delle
reciproche intenzioni, Sheira non esitò oltre,
indossò la verghetta con la pietra, mentre Cormacc prendeva
una delle altre due “copie”, ammirarono le piccole
fedine adattarsi alla forma e alle dimensioni delle loro dita
intrecciate, sentirono il metallo serrarsi, penetrare nella loro pelle,
fino a far sgorgare due piccole stille di sangue. Quando queste si
fusero e scivolarono a bagnare la pietra, lo smeraldo si
fissò al metallo, unito a esso da quell’unico
sangue. Alla luce della luna, avevano quindi inciso i propri palmi,
facendo scivolare altro sangue sull’anello e da lì
sulla Fiamma, avevano pronunciato le formule che avrebbero legato nel
potere delle Rune e di Habarcat ciascuno di loro alla sola persona
amata, compenetrando i loro destini definitivamente: il rito del primo
sangue, il rito che sarebbe stato consacrato definitivamente dal sangue
della loro prima unione. Sheira, emozionata e confusa, finalmente e
inaspettatamente unita
all’uomo che amava, prese infine il pugnale per liberarsi del
suo pesante destino, lo immerse nella luce verde della Fiamma,
soffermandosi fino a vederne la punta ormai incandescente, poi incise
il centro esatto dell'ultimo anello, quello destinato a essere gettato
nel pozzo, cercando di creare magicamente la prima microscopica Runa
che racchiudeva parte del suo nome.
Non ci riuscirono:
improvvisamente la radura si era ravvivata della
luce di numerosi fuochi, si guardarono intorno, dalla boscaglia
emersero, inferociti, alcuni sacerdoti e gli anziani del villaggio,
guidati dal padre di Sheira che teneva per le orecchie la piccola
Brida, in lacrime, i bastoni levati sopra le loro testa, pronti a
scagliare contro di loro le più potenti maledizioni. Cormacc
non ci pensò due volte, chiese a Sheira di tendere la mano
con il “loro” anello verso la fiamma e Habarcat, a
sorpresa, risplendette nell'oscurità del suo più
intenso colore verde, si raccolse su se stessa e si lasciò
cogliere ed estrarre dal suo nido, Sheira l’avvolse nella
pelle d’orso con cui il Mago si era finora coperto, la stessa
su cui, da allora, avrebbero dormito notte dopo notte. Il giovane, per
la prima volta nella sua vita, era riuscito a
completare la sua trasformazione in animale, un possente cane nero,
ringhiò contro gli astanti, poi con il muso
invitò la Strega a montargli in groppa e con un improvviso
balzo, le dita di Sheira strette nella sua folta pelliccia, si erano
dileguati nella foresta. Cormacc corse nel bosco a lungo, avendo cura
che i rovi e i rami non ferissero la Strega, risalì il fiume
che attraversava la valle retrostante Loch an Inbhir, salì
sulla montagna che gravava su quelle terre e scese dalla parte opposta,
fino a ritrovare di nuovo il mare, più a nord, fino a
raggiungere una scogliera d’irti scogli, che celavano una
piccola grotta.
Quando vi entrarono e si
fermarono, la luna si specchiava meravigliosa
sullo specchio d’acqua davanti a loro, sulle pietre perlacee
delle pareti, creando giochi particolari di luce verde argento con la
Fiamma di Habarcat: i due giovani iniziarono a baciarsi
appassionatamente, nudi, sul mantello rosso della strega, sulla sabbia,
davanti alla fredda fiamma che bruciava, poco lontano da loro. Il
contatto dapprima timido e impacciato, incredulo, era divampato di
colpo in passione pura, violenta, assoluta: Cormacc aveva travolto con
forza e impazienza quel corpo fragile, aveva affondato affamato i suoi
denti nella carne di lei, fino a sentire il sapore ferroso del suo
sangue, a stento era riuscito a fermarsi il tempo di capire se lei era
davvero pronta e sicura di voler andare fino in fondo, poi le aveva
mozzato il respiro strappandole un gemito soffocato, sprofondando nelle
sue membra, senza nessun altro pensiero che non fossero la fame e il
desiderio che provava per lei e il piacere che voleva donarle. Solo
molto più tardi, molti baci e amplessi più
tardi, quando aveva ormai annullato in lei tutta la sua forza, la sua
linfa, i suoi pensieri, la sua esistenza stessa, riconobbe il potere di
quella grotta, sentì che possedeva una sua Magia, che non
dipendeva da loro o da Habarcat, ma che si univa a loro, a Habarcat,
alla Luna di sangue, al sangue che macchiava il loro giaciglio. Anche
Sheira sentiva quella Magia, e pur senza il coraggio si dirlo
apertamente, era certa che in quella grotta, in quella notte dominata
dal plenilunio, avessero appena concepito un figlio.
Fuggirono come due
ladri, all’alba, preda dall'ebbrezza,
della libertà e del loro amore, senza curarsi di niente, che
non fosse vivere finalmente insieme, felici, l'uno per l'altro:
sapevano che su di loro gravava la maledizione della Confraternita, ma
nessuno di quei Maghi, mai, sarebbe stato in grado di trovarli,
perché Habarcat proteggeva il suo custode, come Sheira
proteggeva la Fiamma con i suoi rituali e la sua Magia. Consapevoli che
la protezione di Habarcat sulle genti delle Terre era
fortemente legato alla distanza, decisero, però, di non
uscire dai territori, ma si spostarono fino ai lembi meridionali delle
Terre, sul massiccio di Am Monadh che con la sua oscura foresta
costituiva il punto più a sud cui potevano giungere, senza
privare la loro gente dell’influenza della Fiamma. Una volta
rassicurata la comunità dei Centauri che non avrebbero
praticato la Magia contro gli umani o contro le altre creature della
foresta, né che avrebbero cacciato oltre quanto era
necessario al loro sostentamento, non ebbero difficoltà in
quella terra ospitale, dove vissero per oltre sedici anni, sempre nella
stessa radura, crescendo i soli due figli nati dal loro amore,
Dòmhnall e Cuilén, cui, infine si era aggiunta la
piccola Diorbhal. Anche la condanna della Confraternita, alla fine,
erano venuta meno,
sia perché Habarcat era stata mantenuta
all’interno delle Terre, sia perché Sheira aveva
annunciato la nascita dei loro figli alla sua gente e
l’intenzione di crescerli secondo la tradizione del Nord; in
particolare, i veggenti avevano letto nelle stelle della loro unione,
la nascita di un figlio maschio, nel giorno di Oimelc, con tutte le
caratteristiche di un saggio custode, tale da portare a lungo pace e
prosperità nelle Terre, e di almeno un altro Mago che
sarebbe diventato celebre in tutto il Mondo Magico per le sue
abilità e il suo potere. Pur compiaciuto, lui proveniente da
una famiglia tanto modesta,
all’idea di avere addirittura due figli con un futuro tanto
importante e radioso, Cormacc condivideva l’ansia della sua
Sheira, che non aveva appreso con troppo favore questi auspici: avrebbe
desiderato, infatti, per i suoi figli più che la fama e il
potere, quello che aveva ottenuto lei nella sua vita. L’amore
della persona amata e, soprattutto, la
libertà.
*
«Lasciami qui, io non posso
farcela questa volta, prendi la bambina e raggiungi i ragazzi...
»
«Te l'ho detto quella notte,
Sheira, non ti abbandonerò mai, né in questa
vita, né nella prossima, né in quelle che vivremo
in seguito, ancora e ancora... resteremo per sempre insieme…
»
Il Mago le stampò un bacio sulla fronte e
continuò a camminare, tenendola stretta a sé, con
l'orecchio teso a scoprire qualsiasi sussurro della notte. Il suono che
aveva percepito, però, non si ripropose, la
foresta non era più percorsa da rumori di passi: di colpo,
la boscaglia si riempì invece di sibili e fuochi, improvvise
le frecce incendiarie iniziarono a cadere, tutto attorno a lui, sempre
più vicine, Cormacc ebbe appena il tempo di deporre sua
moglie e sua figlia a terra, in quello che gli parve un anfratto
sicuro, con uno sguardo pieno d'amore impose a Sheira di farsi forza,
di impedire alla bambina di piangere, di aspettarlo... Sarebbe
ritornato subito, l'avrebbe condotta sul sentiero che saliva alla
sorgente, non c’era nulla da temere, li avrebbe ricacciati
indietro, spaventandoli a morte. Il Mago si voltò, con
orrore vide che in direzione della
radura, in cui aveva vissuto per anni con la sua donna, salivano fumo e
fiamme, sentì il crepitio del fuoco avvicinarsi, poi il
pianto spaventato della sua bambina rompere il silenzio cupo della
notte. Non sentì la voce della sua Sheira... Il suo corpo,
all'improvviso, fu di nuovo quello di un cane, si
lanciò, a testa bassa per difendere la sua sposa,
riuscì a raggiungere alle spalle, di sorpresa, uno degli
intrusi, lo rovesciò a terra, gli fu alla gola, la
squarciò. Esaltato dal sangue, spaventato dalle fiamme e dai
rumori improvvisi, attaccò e attaccò ancora, vide
molti fuggire davanti a lui, altri pregare e tremare,
azzannò, colpì, uccise, ancora e di nuovo, ancora
e di nuovo: dove si muoveva, dove avanzava, lasciava a terra corpi
straziati, urla, sangue. Continuò così, ancora e
ancora. Finché
ovunque fu di nuovo silenzio, finché non si aggiunse
più altro fuoco. Finché il suolo non fu pregno di
sangue. Finché, a tradimento, fu colpito in pieno petto da
un dardo.
Cormacc crollò a terra: il dolore non gli faceva capire
più nulla, il sangue scorreva a fiumi e fluiva via dal suo
corpo insieme alla sua forza, ai suoi ricordi, ai suoi pensieri. Perse
il controllo su quel corpo di cane e tornò a essere un uomo,
sentiva il gelo impossessarsi di lui, sentiva la vita scivolargli via,
perdersi nella terra, mentre la luce delle stelle che filtravano tra
gli alberi diventava sempre più incerta. Un solo pensiero
gli attraversava la mente, mentre l'ultimo alito di
vita l'abbandonava, il pensiero della sua Sheira, della sua donna, di
tutte le promesse che le aveva fatto.
E di quella, l’unica, che non
sono riuscito a mantenere: tornare da te...
*continua*
NdA:
Ringrazio tutti per le letture e le recensioni e grazie per la fiducia
a chi ha aggiunto ai preferiti/ seguiti, ecc ecc. So che anche questo
capitolo sembra fuori dal mondo, ma a una lettura attenta forse si
potrebbe intuire quello che ho in mente. Spero inoltre di aver risolto
un po' di misteri sulla Confraternita che aleggiavano in "That love"
ormai da due anni. La grotta che avete visto è la stessa del
matrimonio di Mirzam, questo perché Herrengton sorge poco
lontano dai resti del villaggio principale descritto in questo
capitolo: ho voluto che la notte d’amore di Sheira e Cormacc
si svolgesse in quella grotta perché è con loro
che nasce la dinastia degli Sherton. Quante alle note sparse nel
capitolo:
1) Daur: quercia; la parola "druido" sembrerebbe provenire dalla parola
"Duar" e starebbe a significare "saggezza della quercia"
2) L’esercito è evidentemente quello degli antichi
romani
4) Banrìgh nan Eilean: la regina delle Ebridi, è
l’isola di Islay, la più meridionale delle Ebridi
interne
5) Innse Gall: nome gaelico delle isole Ebridi
3) Mên-an-Tol è un sito megalitico che si trova in
Cornovaglia.
A presto.
Valeria
Scheda
Immagine
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