Ritrovarsi nel sangue

di Graine
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A Perfect Circle - "Passive"



Capitolo 3
 

 
Evelyn prese un respiro profondo ma non si fermò, scese le scale un passo dopo l'altro, determinata. Decisa a vederlo, a incontrarlo. Perché sapeva che quella notte sarebbe stata importante, lo aveva capito nel momento stesso in cui si era svegliata dopo averlo sentito arrivare.
Scese un gradino dopo l'altro, fino all'ingresso, determinata ma con una strana sensazione – un'elettricità – in corpo. E fu con quella sensazione che posò con fermezza la mano sulla maniglia della porta di casa, la girò e l'aprì nel silenzio della notte calda, uscendo a piedi nudi su quel portico che li aveva visti trascorrere quasi notti intere insieme, a parlare, da che si erano ritrovati.
Evelyn sapeva che lui stava avvertendo, in quel momento, la particolare elettricità che sentiva in ogni muscolo del proprio corpo ma non ci badò. Finse. Simulò e si erse in tutta la fermezza di cui fosse capace, mentre camminava con passo lento e calmo verso di lui, che la guardava poggiato con la schiena al tronco dell'albero. E dopo pochi passi, gli fu davanti.
«Scusa, non volevo svegliarti», le disse Matt a mo' di saluto, il viso perfettamente rilassato. Ma ad Evelyn non sfuggì il rapido movimento della mano di lui, le cui dita si erano tese appena. Perché da tempo aveva imparato a leggere quei segnali appena accennati.
«Non preoccuparti».
«Non ti ho chiamata senza essermene accorto, vero?», domandò allora lui, titubante. Evelyn sorrise, «No, non lo hai fatto».
Dopo che Evelyn si era risvegliata dallo stato di incoscienza di quei cinque giorni – dopo che la strega aveva riportato in vita il vampiro e lui le aveva fatto bere il suo sangue –, avevano scoperto che quella sorta di telepatia che c'era sempre stata tra di loro, quel legame, si era acuito dopo quella notte e i due avevano, adesso, la capacità di chiamarsi a vicenda. Solo da poco avevano iniziato a controllarla, quella nuova facoltà; all'inizio si erano ritrovati l'una a chiamare l'altro senza accorgersene, semplicemente pensandolo.
Eppure, un nervo traditore guizzò sul viso del vampiro, mentre la fissava, rivelando così anche nel volto il suo nervosismo. Perché Matthew non era certo di cosa dovesse aspettarsi da Evelyn, in quel momento. Sentiva quella strana sensazione – quell'elettricità – dentro di lei, e vedeva quella determinazione – quella fermezza – nel suo sguardo, così in totale contrasto con l'espressione pacata del suo sorriso.
E Matthew la detestava, quella fermezza.L'aveva sempre detestata, perché anche se la ragazza di fronte a lui era un libro aperto, per il vampiro, quell'atteggiamento determinato gli aveva sempre impedito di prevedere le sue mosse. Matthew non sapeva mai che cosa aspettarsi, da Evelyn.
E poi, la voce di lei ruppe il silenzio: «Sono stata da mia zia, oggi». Appunto.
Il vampiro corrugò la fronte, confuso. «Ma non sta a Baltimora?».
«Sì, esatto».
«E allora come hai fatto ad andare e tornare prima di sera?».
Evelyn sorrise di nuovo, con fare da bambina. «Incantesimo di dislocamento».
«Come? Evelyn, sei ancora debole, non avresti dovuto!», e adesso la preoccupazione si fece largo sul suo viso, le mani contratte a pugno.
«Matt, è passato più di un mese ormai. Sto bene», lo rassicurò.
Lui però sembrò risentito dall'atteggiamento di lei, e dopo tutto Evelyn sapeva quanto si fosse spaventato, quella notte. Sapeva che anche Matthew aveva temuto di perderla. Lo aveva temuto quando non l'aveva trovata a casa dopo aver sentito la sua paura, quando l'uragano l'aveva rapita e portata nella valle, e lo aveva temuto mentre correva verso il bosco, seguendo la scia del suo odore. Ne era stato terrorizzato quando, senza pensare alle conseguenze di quel gesto, si era gettato verso di lei, per farle da scudo col proprio corpo. Lo aveva temuto dopo che Evelyn aveva eliminato la strega e poi era caduta a terra svenuta, rimanendo in quelle condizioni per quasi una settimana.
Evelyn lo sapeva, per questo era lì, di fronte a lui, in quel momento.
«Andiamo, Matt, non farmi quel muso. Non vuoi sapere perché ci sono andata?», domandò la ragazza. In risposta, Matthew sollevò un sopracciglio, invitandola a continuare.
«Sai anche tu che sono cambiata, da quella notte. Mi sento costantemente scoppiare di energie», ma lui la interruppe prima ancora che finisse: «Questo non vuol dire che tu sia più forte, Evelyn. Anche dopo che ti sei risvegliata scoppiavi di energia e poi svenivi ogni volta che provavi un incantesimo. Anche accendendo una candela. Sei stata un'incosciente, oggi», le disse duro.
«Ti sbagli, invece. Sono più forte, il mio corpo lo è. E' successo qualcosa, quando tu hai interrotto la Somma Invocazione, e io non sono più quella di prima», ribadì la strega.
«Se sei più forte, allora come te li spieghi i continui svenimenti?».
«Oh andiamo, Matt, questo ultimo mese e mezzo è stato di assestamento. Te ne sei accorto anche tu, non mentirmi. Lo senti che quello che dico è vero», e a quelle parole, Matthew non aveva ribattuto.
«Sono cambiata: ho tutta questa energia e sono più forte. Sono andata da mia zia perché mi servivano delle risposte e, da quando la nonna è morta, lei è l'unica in grado di darmele. Non ho grandi rapporti con gli altri miei parenti, con le altre streghe della mia famiglia».
«E le hai trovate, queste risposte?», chiese quindi il vampiro. Ancora con quell'espressione dura, in volto.
«Sì», e subito dopo, la ragazza sollevò lo sguardo sullo spicchio di luna nel cielo.
Il sopracciglio di Matthew svettò verso l'alto, a causa di quella pausa improvvisa. Evelyn voleva creare suspense.
«E vuoi condividere ciò che hai scoperto con me?», le domandò, con una leggera nota sarcastica nella voce. La ragazza sorrise di nuovo, senza staccare gli occhi dal cielo stellato. «Se proprio insisti. A quanto sembra vivrò molto a lungo», disse soltanto.
«Che intendi?».
Finalmente, la giovane tornò a fissarlo negli occhi. «Intendo che, a quanto pare, avrò l'aspetto di una ventitreenne per centinaia di anni e invecchierò molto più lentamente di un comune mortale».
Parole dette con tono calmo e quella luce negli occhi. Ma accolte da un'espressione di più completo stupore.
Così Evelyn comprese di dover dare qualche spiegazione in più: «Mia zia aveva dei libri, a casa sua. Me ne ha fatti vedere alcuni e altri me li ha dati. Non è la prima volta che una cosa del genere accade, sono casi rari ma ci sono. – disse – Vedi, il Potere di una strega non è del tutto attivo; mia zia mi ha spiegato che in realtà usiamo solo una piccola parte del nostro potenziale. Quando tu hai interrotto il Rituale, il mio Potere era stato richiamato quasi del tutto fuori dal mio corpo e... quando hai attaccato Lila è tornato in me attivato completamente dall'Invocazione. Nei libri dicono che quando una cosa del genere accade, quando il Potere viene attivato del tutto, anche la fisiologia della strega cambia. Per questo, Lila dimostrava diciannove anni. Lei ha accumulato Potere per quasi un secolo, rubandolo ad altre streghe, e questo l'ha resa più longeva del normale. Lo stesso accadrà a me; quando il Potere è tornato mi ha cambiata e per questo, il mio corpo si rigenererà costantemente contrastando i segni del tempo. Non so per quanto tempo vivrò ma parliamo di parecchi secoli».
Matthew la fissava come qualcuno che avesse appena ricevuto una legnata in testa, gli occhi sgranati e le labbra schiuse per la sorpresa. Evelyn, però, notò immediatamente i pugni contratti quasi spasmodicamente, stretti tanto che avevano iniziato a tremargli e le nocche erano sbiancate.
«Come?», disse finalmente, ma la ragazza non parlò. Lo conosceva, sapeva di dovergli dare qualche secondo per assimilare il tutto e sapeva che, a fine assimilazione, sarebbe esploso. Perché per Matthew, quella non era esattamente una bella notizia.
«Quindi, è colpa mia. Ti ho condannata all'eternità, ti ho condannata a vivere per sempre. Tutto questo è a causa mia!».
«No, Matt. Non è colpa tua e non vivrò in eterno».
«Però vivrai abbastanza da veder morire quelli che ami mentre tu non cambierai affatto», le rispose velenoso. Veleno che, però, era rivolto verso se stesso, per quello che lui si accusava di averle fatto.
«Matt, smettila. Qua non è una questione di colpa, hai dovuto farlo. Se non avessi fermato Lila sarei morta. Lo hai fatto per salvarmi la vita».
«Sì, e per salvarti ti ho condannata a qualcosa di peggio», replicò voltando il viso di lato, a fissare il tronco dell'albero.
«No, invece». Ostinazione. Fermezza.
E lui era scoppiato. «Come fai a essere così calma?! Come fai a reagire in questo modo quando non c'è nulla che vada bene?! Passeranno gli anni, Evelyn, e tu sarai sempre la stessa mentre i tuoi amici invecchieranno e moriranno! Meredith morirà! Meredith che per te è come una sorella, Meredith con cui sei cresciuta e che adori! Lei e Mark un giorno moriranno e non avverrà chissà in quale futuro lontano, accadrà più in fretta di quanto tu creda! Loro moriranno mentre tu rimarrai giovane per centinaia d'anni e, alla fine, arriverà il giorno in cui il dolore di averli persi per sempre sarà talmente forte che desidererai anche tu di morire! E sono io che ti ho fatto questo! E' solo colpa mia se soffrirai in questo modo!».
«Dio, Matt! Vuoi smetterla, una buona volta, di prenderti colpe e responsabilità che non hai?!».
«Evelyn, tu non ce la farai! Io ti conosco, lo so! Non sopporterai di perdere chi ami! Dobbiamo fare qualcosa, ci deve essere un modo per tornare indietro!».
«No, Matt, non c'è! E' irreversibile: il mio Potere si è attivato completamente e l'unica cosa che posso fare è imparare a usarlo impedendogli di consumarmi com'è accaduto a Lila! E' successo e non si può tornare indietro».
«Sì, ed è successo a causa mia! Tu non capisci a che cosa stai andando incontro!»
«Credi che non ci abbia pensato?! Credi davvero che non sappia quanto soffrirò perdendo Meredith o Mark?! Ci sono cresciuta, con loro! Li conosco da sempre, solo l'idea di perderli mi è insopportabile! So benissimo che sarà qualcosa di atroce ma non posso farci niente! E' successo, Matt, e se tu non lo avessi fatto, se non avessi interrotto l'Invocazione io sarei morta, adesso!».
Fermezza.
Perché era sempre stato così, tra di loro: vinceva chi sapeva urlare più forte.
«Quindi quello che ti aspetta non ha alcuna importanza?!» sibilò lui. La mano a stringere il tronco dell'albero.
«Certo che ha importanza ma non è qualcosa che posso cambiare! E' inutile piangere sul latte versato, questa è una cosa con cui posso solo imparare a convivere! E' successo». Gli sibilò lei, di rimando – quella luce elettrica e determinata negli occhi.
Evelyn non gli dava alcuna colpa, non lo accusava, non ce l'aveva con lui per quanto successo. Era, appunto, successo. E Matthew proprio non riusciva a capacitarsene. «Perché...», disse, e la voce gli uscì disperata, dalla gola, mentre le dava le spalle e poggiava la fronte sul tronco dell'albero. «Dio, come fai a non odiarmi, per questo? Tu dovresti odiarmi. Devi!». Una supplica angosciata mentre la sua mano aveva stretto talmente forte l'albero, che le dita erano penetrate nella corteccia, scavandovi cinque buchi scuri.
«Non potrei mai, Matt. Non te. E sei un idiota se lo credi davvero».
Fermezza.
E lui l'aveva sempre detestata, quella fermezza. No, l'aveva sempre amata, in realtà. Era per quella sua fermezza, per quel suo carattere, che se n'era innamorato. Probabilmente era per quella fermezza che l'aveva sempre amata, in ogni loro vita, riconoscendola sempre, in qualche modo, grazie a quella.
«Matt». Evelyn lo chiamò, posandogli delicatamente una carezza sulla spalla. «La mano», disse, con tono gentile. E solo in quel momento il vampiro si accorse delle dita ferite dalle schegge di legno dell'albero, uscendole dai fori che aveva fatto nel tronco. La mano graffiata e piena di tagli rossi e sottili, che sanguinavano appena e che bruciavano, perché le ferite provocate dal legno erano le uniche che non si rimarginassero in fretta, in un vampiro. Le uniche che si rimarginassero come una qualunque ferita, in un umano.
Evelyn gli prese la mano tra le sue e la guardò, poi le schegge uscirono dai tagli sottili, levitando nell'aria, prima di cadere silenziosamente sul prato soffice. Un attimo ancora e quei tagli rossi guarirono, tra le mani della strega.
Con le dita, Evelyn tracciò, allora, le linee che s'intersecavano e s'incatenavano sul palmo del vampiro. Le seguì leggere, con la punta dei polpastrelli, mentre sentiva Matthew fremere leggermente sotto il suo tocco.
«Tre anni fa, a quest'ora, ci siamo ritrovati», gli disse nel silenzio di quella notte calda.
«Lo so».
«Da allora, vieni sempre qui e rimani tutta la notte sotto l'albero, in questa data», aggiunse senza staccare gli occhi dal palmo di lui.
«Come...?», iniziò Matthew, sorpreso, ma Evelyn lo interruppe. «Io ti sento sempre, Matt», gli disse con fare ovvio. «Anche in sogno».
E il vampiro non aggiunse altro. Si limitò a fissare il capo bruno di lei, leggermente chino sulla sua mano. Fissò i boccoli scuri che erano scappati a quella crocchia improvvisata prima di coricarsi, per combattere il caldo. Osservò come le accarezzassero il profilo del viso e scese con lo sguardo seguendo la linea del collo, e poi giù, le spalle, le clavicole, fino alla curva di quel seno pieno messo ancora più in evidenza dalla leggera camicia da notte viola e scollata. Un colore che lui aveva sempre adorato vederle addosso. Deglutì automaticamente a quella vista, non riuscendo, però, a distogliere lo sguardo. Ed Evelyn sentì immediatamente la mano di lui tendersi e le dita irrigidirsi, tra le sue.
Alzò subito lo sguardo, cercando il motivo di quell'aumento improvviso di tensione, e nello stesso istante Matthew spostò gli occhi altrove, colto sul fatto. Evelyn ridacchiò, non riuscendo a trattenersi e lui tornò a fissarla, quasi risentito. Irritato per essere stato beccato a comportarsi come un ragazzino.
Poi la ragazza tornò a fissargli la mano, tracciandone ancora le linee coi polpastrelli. «Sai, – gli disse con ancora una nota ilare nella voce – all'inizio detestavo quella tua maschera di costante imperturbabilità e sfrontatezza sul viso», ricordò. «Detestavo il fatto che rimanessi sempre calmo, in qualunque circostanza. – ammise – Poi ho imparato a leggerti le mani», concluse infine.
«Le mani?», fece lui, confuso. Perché Matthew non sapeva mai che cosa aspettarsi, da Evelyn.
«Sì», sorrise di nuovo lei, seguendo quelle linee lungo le dita di lui, prima di continuare con voce serena e ancora quel sorriso sulle labbra. «Le tue mani sono un libro aperto, per me. Tutto quello che non lasci trasparire sul viso, campeggia a grandi lettere su di loro», spiegò come fosse stata la cosa più naturale del mondo. «Tensione. Calma. Rabbia. Dolore. Serenità…», riprese e mentre elencava quelle emozioni una per una, il suo indice destro seguiva e carezzava con un tocco leggero i profili delle dita di Matthew. «Probabilmente tu nemmeno te ne accorgi – continuò –, ma io sì. Ho imparato a leggerle da parecchio tempo, ormai».
E a quelle parole, anche gli occhi del vampiro si abbassarono a fissare il palmo – di nuovo teso – che lei stava tenendo tra le sue mani candide. Cercò allora di sottrarlo al suo tocco, improvvisamente consapevole di quanto fosse sempre stato palese, per lei, ogni stato d'animo di lui. Improvvisamente consapevole che lei avesse sempre saputo ogni cosa che lui, invece, aveva cercato di nasconderle. Ma al suo tentativo, la stretta di Evelyn s'intensificò immediatamente, impedendoglielo.
La ragazza gli sollevo la mano e intrecciò le proprie dita alle sue, guardandole unite per qualche attimo, prima di tornare a fissarlo negli occhi. «Questa notte ho pensato molto a tutte le cose che sono successe in questi ultimi tre anni, tutto quello che è successo da quando ti conosco», gli confessò quindi.
«Qualche ripensamento?». le domandò, leggermente ironico.
«No, nessuno».
E stavolta, Matthew se l'era aspettata, quella risposta. Se l'era aspettata perché, in tre anni, una cosa più di tutte l'aveva imparata; e cioè che lui non avrebbe mai saputo cosa che cosa aspettarsi, da Evelyn, ma qualunque cosa lei avesse detto o fatto, sarebbe sempre stato l'opposto della normale e logica reazione che chiunque altro avrebbe avuto.
«Quindi non ti penti di nulla…», fece ancora il vampiro, con un mezzo sorriso, ma di nuovo quella particolare tensione nelle dita intrecciate a quelle della giovane. «Nemmeno di tutte le volte che mi hai fatto volare o scagliato contro un muro?».
Evelyn sorrise. «Soprattutto di quelle. Te lo sei meritato ogni volta».
«Nemmeno di tutte le volte che mi hai dato dell'idiota o del coglione?», ancora quel sorrisino e quella particolare tensione nelle dita.
«E' quello che sei», ribatté lei, sorridendo ancora. Ma Evelyn lo conosceva e sapeva che non erano quelle, le domande che più gli premevano.
«Non ti sei pentita nemmeno di quando ti ho morsa la prima volta?».
Eccolo, finalmente, il macigno. La vera domanda che lui voleva farle e che le aveva posto con quel mezzo sorriso sfrontato e lo sguardo freddo, tagliente. Perché Evelyn lo conosceva, e sapeva bene che quella tensione improvvisa nelle dita – strette, ora, alle sue – preannunciava sempre qualcos'altro. Qualcosa che Matthew cercava di nascondere con la sua espressione calma e il sorrisetto arrogante, ma che non riusciva a celare nelle mani.
Ed Evelyn si mantenne determinata – fermezzaperché lei sapeva sempre come gestirlo, anche quando l'idiota si chiudeva a riccio.
«No, non mi pento nemmeno di quello», dichiarò infatti.
«Ah sì, e come mai, sentiamo?». Sarcasmo.
«Semplicemente perché, col senno di poi, non ritengo sia stato un errore». Fermezza.
«Cos'è, sei forse impazzita?». E adesso, anche una nota aspra nella voce tradì quella maschera di calma apparente sul viso del vampiro. Quella maschera che non raggiungeva mai le sue mani.
«Sono pragmatica. Se quella notte tu non mi avessi attaccata, se quella notte non mi avessi morsa, noi non avremmo mai saputo. Non avremmo capito, Matt, e non ci saremmo mai ritrovati. E' buffo – sorrise – ma è come se noi ci fossimo sempre ritrovati nel sangue».
Fermezza.
Fermezza in quelle parole pacate e serene.
E lui l'aveva sempre detestata, quella fermezza. No, l'aveva sempre amata, in realtà. Era per quella sua fermezza, che se n'era innamorato.
«Torna a dormire, Evelyn. E' tardi, non avevo intenzione di svegliarti», le rispose invece il vampiro. Perché non voleva affrontare quella conversazione, non in quel memento. Non mentre vedeva quella strana luce negli occhi di lei e sentiva quella strana sensazione – quell'elettricità – che le scorreva dentro.
«Non ho sonno, Matt. E lo sai».
Ma Evelyn non lo avrebbe lasciato scappare, non lo faceva mai. Perché lei sapeva sempre come gestirlo.
E prima che lui potesse dirle qualunque cosa, Evelyn lo anticipò, parlando per prima e con fermezza, così da non lasciargli modo di ribattere.
«Non ho sonno perché quando ti ho sentito arrivare, esattamente come i sento ogni anno, mi sono svegliata. E ogni torpore è andato a farsi benedire. Non ho sonno perché ho trascorso metà di questa notte a pensare, a ricordare tutto quello che è accaduto in questi tre anni. Non ho sonno perché questa elettricità che sento in corpo m'impedirebbe di dormire anche se ci provassi con tutta me stessa. Non ho sonno, Matt, perché sono cocciuta e sono stanca di dover lottare contro qualcosa che invece desidero», disse avvicinandosi a lui e sollevando di più il viso verso il suo, per quei sette centimetri di differenza che li separavano. E senza smettere di fissarlo, decisa, negli occhi azzurri e profondi come un fiume ghiacciato, continuò a parlargli soffiandogli le parole sulle labbra. «Sono stanca delle idiozie dietro cui ti nascondi, Matt. Sono stanca delle tue scuse. Sono stanca di impedirmi di rischiare perché tu hai paura di farlo. E non ho sonno perché, stanotte, ho intenzione di prendermi ciò che voglio... E quando lo farò, puoi credermi sulla parola, non lo lascerò più andare», aggiunse, avvicinandosi di un altro piccolo passo. «Non importa quanto farai l'idiota, perché ti amo, Matt, ti ho sempre amato. Una parte di me lo ha sempre fatto. Ti ho amato per secoli, forse per millenni, in tutte le nostre vite passate. Ti ho amato sempre. Una parte di me ha sempre saputo, proprio come ha sempre saputo una parte di te. Per questo te la sei presa tanto, tre anni fa, quando dissi di non volerti più vedere e che dovevi sparire dalla mia vita. Tre anni fa non mi hai ascoltata e – sorrise, scuotendo appena la testa – hai iniziato a perseguitarmi in quel modo e a fare l'idiota. E quando non ti sei difeso, quella sera mentre ti attaccavo, ho ceduto del tutto. Tu mi hai costretta a cedere – specificò, inarcando un sopracciglio –, ed è per questo, perché ti amo, che quella volta, nello scantinato, ti ho dato il mio sangue, anche se sapevo che potevi uccidermi. Ma la verità è che non m'importava, non ti avrei mai lasciato in quello stato. La sera dopo, ti ho detto che non potevo e il punto è che non potevo perché non volevo. E mi sono fidata… perché ti conosco meglio di chiunque altro al mondo, Matt».
Il vampiro deglutì ed Evelyn osservò per un secondo il movimento del suo pomo d'Adamo, mentre la mano di lui aveva – istintivamente e inconsciamente – iniziato a stringere di più la sua. Ed Evelyn proseguì imperterrita, perché sapeva che, se si fosse fermata, gli avrebbe dato tempo sufficiente per sottrarsi a lei e chiudersi di nuovo. E di tempo, Evelyn gliene aveva sempre concesso fin troppo.
«Per questo ho detto che è buffo, poco fa – disse tornando a fissarlo negli occhi –, che è come se noi ci fossimo sempre ritrovati nel sangue, perché in realtà è sempre stato così».
Un altro piccolo passo verso il vampiro e, adesso, i loro corpi si sfioravano ad ogni, accelerato, respiro.
«Ci siamo ritrovati nel sangue quella notte – spiegò –, quando mi hai morsa la prima volta e abbiamo ricordato; ci siamo ritrovati nel sangue quando ti ho fatto bere il mio nello scantinato; ci siamo ritrovati nel sangue quando abbiamo fatto l'amore, quella notte – perché tu hai fatto l'idiota e sei andato fuori di testa ma la verità è che, quando mi hai morsa, io non ho provato dolore. Quando mi hai morsa, quella volta, è stato come se le nostre menti fossero state collegate completamentee le emozioni, le sensazioni... tutto ciò che tu hai provato mentre eravamo uniti, io l'ho sentito. E lo avresti saputo, se non te ne fossi andato per un fottuto mese. Lo avresti saputo, se non fossi scappato lasciandomi sola in quel dannato letto, Matt. E ci siamo ritrovati nel sangue quando mi hai fatto bere il tuo sangue». Poi corrugò la fronte, come sofferente, ripensando ad un mese e mezzo prima, «Io credevo fossi morto, Matt, – spiegò ancora – e ho capito che invece eri vivo quando me lo hai fatto bere, in quei cinque giorni. L'ho capito, l'ho sentito anche se ero svenuta. Perché noi ci siamo ritrovati sempre l'uno grazie al sangue dell'altra, oppure mi sbaglio?», concluse con quella domanda retorica. Ma il vampiro non rispose – perché lui preferiva sempre il silenzio, ad una risposta ritenuta evidentemente scomoda –, così lei lo pungolò. «Dimmelo, Matt. Mi sto forse sbagliando?». Provocatoria ma sincera. Evelyn aveva davvero bisogno che lui le rispondesse, se non lo avesse fatto... allora quei tre anni sarebbero stati completamente inutili. Ma se lui le avesse risposto e, per una volta – una sola dannatissima volta –, non si fosse comportato come il solito idiota che si chiudeva a riccio, allora lei avrebbe saputo che tutto quello che avevano passato insieme, era valso allo scopo. Ma Evelyn aveva bisogno di una risposta.
«No».
Praticamente lo sussurrò.
Ed Evelyn fremette, a metà tra l'esaltazione e la rabbia, perché voleva di più. Voleva una risposta chiara una volta per tutte, e l'avrebbe avuta.
Fermezza.
«Quindi, mi ami anche tu, come io amo te? E' questo, che stai dicendo?».
«Io...», e Matthew tremò per un attimo, finché si arrese. «Lo sai che ti amo da impazzire, Evelyn».
E per una volta, la giovane ottenne la risposta che aveva desiderato ricevere.
«Sai che ti amo e che preferirei morire, piuttosto che vederti soffrire. – continuò il vampiro – Sai che ti amo così tanto che mi sono sentito morire quando ho creduto di perderti, dope che Lila ti ha rapita e ti ha quasi uccisa. Lo sai che starti accanto e non poterti toccare è una continua tortura».
Quasi non le sembrò vero, non le sembrò possibile. Matthew stava parlando, stava rispondendo. E le stava dicendo tutto, tutto quello per cui, ad un certo punto, aveva temuto di essersi solo illusa. Tutto quello che aveva desiderato sentirsi dire nell’ultimo anno e mezzo.
Era come se fosse stata aperta una diga, per la seconda volta.
«E' una tortura non baciarti, è una tortura non affondare in te ogni volta che vorrei, adesso che so che cosa significa. Quest'ultimo anno è stato più logorante degli altri perché sapevo perfettamente di cosa mi stessi privando. E' stato logorante perché privarmi di te quando ti desidero così tanto e in ogni modo possibile, è la cosa più dolorosa che abbia mai fatto».
«E allora smetti di fare l'idiota», praticamente gliele sillabò, quelle parole. E subito dopo gli catturò le labbra in un bacio – un bacio diverso da quello che si erano dati la prima volta. Evelyn si aggrappo alle sue labbra e al suo collo e, questa volta, Matthew rispose senza farsi pregare. Lo fece subito, bevendole il piacere dalle labbra, assaporandolo sulla sua lingua, ascoltandone la musica nei suoi sospiri. Rispose immediatamente e la ragazza comprese che, finalmente, lui non si sarebbe tirato indietro. Che non lo avrebbe fatto mai più, perché non ne sarebbe stato più in grado.
Evelyn gli immerse le mani nei capelli castani, inarcando la schiena per le carezze di lui mentre faceva qualche passo all'indietro. Due secondi dopo, la ragazza si ritrovò con la schiena a toccare il legno della parete esterna di casa sua, sotto il portico. Completamente in estasi per la sensazione che la lingua di Matthew che danzava con la sua le procurava, del tutto rapita da quello che lui stava facendo alle sue labbra, totalmente stregata e ipnotizzata dai brividi che i suoi baci sul collo le donavano. Si ritrovò a cingergli la vita con una gamba, baciandolo di nuovo, mentre sentiva le mani di lui ovunque, che la stuzzicavano e la facevano impazzire. Gli infilò le mani sotto la maglia, lottando contro il giubbotto di pelle che Matthew portava sempre – lui che non aveva mai caldo, nemmeno in una sera afosa come quella – e passandogli i palmi sulla schiena, sentendone i muscoli tendersi al suo passaggio. Agirono freneticamente, non riuscendo ad aspettare di entrare in casa, troppo presi da quel vortice di febbricitante e ingorda passione, troppo sconvolti dalla necessità di sentirsi – quella necessità che per un anno li aveva logorati e lo aveva fatto in maniera ancora più insopportabile di prima, dopo che si erano uniti la prima volta e per tutta quella notte.
«Promettimi che non te ne andrai come l'altra volta», riuscì a dirgli Evelyn, sulle labbra. «Promettimi che non farai l'idiota anche adesso», e gemette per quello che le dita di lui le stavano facendo.
«Lo prometto».
E fu abbastanza.
Perché la strega lo sentiva nel sangue, che quella era la verità.
E poi non ci fu tempo per parlare, non ci fu spazio per nulla che non fossero i loro sospiri e i loro gemiti che riempivano l'aria di quella notte calda. Non ce ne fu, di tempo, mentre Evelyn gli slacciava freneticamente i jeans né mentre Matthew le sfilava gli slip, prima di afferrarla per i fianchi morbidi, sollevandola e prendendola in braccio. Entrandole dentro mentre le gambe di lei gli arpionavano i fianchi. Mentre entrava dentro di lei boccheggiando e facendola boccheggiare.
Non ci fu tempo per nulla che non fosse loro, finalmente e completamente.
E fu lì, che Evelyn se ne accorse, della differenza. Se ne accorse mentre Matthew le abbassava le spalline della camicia da notte per immergere il volto nel suo seno, baciando, leccando e succhiando ogni centimetro di pelle morbida di quelle colline perfette. Perché in quella notte di quasi un anno prima – la loro notte – c'era stata disperazione, nei loro gesti. C'era stata nonostante tutto; c'era stata nonostante avessero lasciato cadere ogni maschera, nonostante avessero abbattuto ogni muro che si erano imposti di erigere fra di loro – quel muro che avevano finito col ricostruire durante quell'ultimo anno, a causa di quelle liti fredde e logoranti, quel muro che era stato, forse, più facile del precedente da abbattere.
Evelyn se ne accorse subito, di quella differenza, perché l'assenza di quella disperazione angosciante e soffocante, quella disperazione opprimente, rappresentava la conferma che la promessa che Matthew le aveva fatto era sincera e che lui l'avrebbe rispettata.
E quando, nel momento in cui raggiunsero il massimo piacere tremando e gemendo, insieme, Matthew la morse, compresero entrambi di essersi ritrovati nel sangue un'altra volta.
 
 
 

 

FINE 
 


    



Angolo autrice:
Buonasera a tutti (o buonanotte, come preferite. Io personalmente, sto per andare a ninna)!
Eccomi qua a fracassarvi le appendici genitali di forma sferica, interne o esterne che siano, col terzo ed ultimo capitolo di questa breve (ehi, non ridete!) fic. Originariamente, nella mia fantasia - a questo punto, posso dirlo -, il racconto aveva come protagonisti Damon e Bonnie di The Vampire Diaries, era composto dalla scena lemon del giardino ed era stata ispirata dalla canzone degli A Perfect Circle, canzone di cui ho riportato il link e che, successivamente, mi ha ispirato tutte le altre piccole scene ambientate nel presente. Ora, non è che io sia una maniaca che passa il tempo ad immaginare quel bel figliuolo di Ian Somerhalder e Kat Graham che limonano, ma mi avevano ispirata xD così, poi, ho deciso di farne una originale, cambiando anche le caratteristiche fisiche dei protagonisti - del tutto differenti dai due attori - ed ecco qui il risultato. Giuro: dopo ciò non scasserò più le palle con Evelyn e Matthew, ma che ci posso fare se mi hanno fatta innamorare?! <3 ancora adesso, quasi non mi sembra vero di aver concluso, con loro.
Con questa seconda revisione e ripubblicazione sul sito, ho eliminato gli errori di battitura presenti in precedenza, poiché ho sistemato tutto dal pc di mia sorella - lei, a cui il fottuto pacchetto office funziona! - e mi scuso per alcuni orrori di cui mi sono accorta nella correzione -.- chiedo perdono a chi l'avesse letta in precedenza, la fic, quando ancora era una OS, ma il blocco note non segna errori di battitura e non è molto comodo; soprattutto, la vista dopo un po' parte.
Questo era nato come un racconto breve ma siccome non sono in grado di non affezionarmi ad una storia e a non scrivere papiri, mi ha portato via più di un mese la prima volta e un altro per la correzione. Dico subito - be', forse non proprio subito, ma va be' - che la seconda parte del dialogo che i due protagonisti hanno, quello in cui entrambi si dichiarano, insomma, non mi convince del tutto. Per carità, dicono tutto ciò che dovono dire e nel modo in cui devono dirlo, solo che ho come l'impressione lo facciano un po' troppo in fretta (parlare, che avete capito!).
Comunque sia, ringrazio quel tessssssoro di Musicdanceromance (<3 e voglio la rima! Tu sai a che mi riferisco! xD), Sally ladra del vento per aver messo questa mia storia tra le seguite (emozione! Non puoi immaginare *-*), alle mie donne meravigliose (a voi, un grazie e una scuoricinata - e anche altro xD - ci sta sempre e comunque!) e a tutti quelli che hanno letto silenziosamente e si sono sorbiti i papiri ad ogni capitolo! Come vedete, sono logorroica anche nelle note finali ^.^
Detto ciò, grazie per il tempo che avete dedicato a questo parto della mia mente perversa e malata! Forse, un giorno, ci rivedremo! xD
FFo
 

Graine




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