Ci
sono giornate in cui ti svegli
e sai che qualcosa andrà storto. Lo senti.
Volte in cui l’unica cosa da fare
sarebbe rintanarsi sotto le coperte e tornare a dormire, ma, nonostante
ciò, ti
costringi ad alzarti. E non succede quasi mai che si tratti di un falso
allarme.
Altre volte, invece, ti desti e
ti sembra di avere il mondo in pugno, sei convinto che tutto
andrà bene e che
nessuno potrà fermarti.
Di solito è proprio in quei
momenti che la vita colpisce più duro.
Succede all’improvviso, come se
il destino volesse ricordarti che non devi mai abbassare la guardia o
potresti
pentirtene.
Quell’ultima giornata rientrava
decisamente nell’ultima categoria. Anzi, a pensarci bene, vi
si poteva inserire
l’intero weekend.
Era
iniziato tutto sotto i
migliori auspici.
Non solo era riuscita ad entrare
all’FBI, questo grazie alla lunghezza
della sua gonna, ma era persino riuscita a convincere Booth a
riesaminare il
caso.
Non era stato difficile, se
doveva essere onesta: era bastato fare leva sul suo senso di giustizia.
Certo,
se non fosse stato per la dottoressa Brennan...
Accidenti quella donna era
davvero straordinaria! E indubbiamente grandiosa nel suo lavoro.
D'altronde in
caso contrario non avrebbe lavorato con Booth.
Giravano parecchie voci nel loro
ambiente su quella strana coppia: erano partner da pochi mesi eppure
tutti li
conoscevano.
La loro notorietà era certamente
dovuta al fatto che era la prima volta in cui una civile veniva
affiancata ad
un agente per tutte le fasi di un indagine per omicidio. A
ciò si doveva poi aggiungere
che lei era una scrittrice famosa.
La verità, però, era che chiunque
gli avesse incontrati si era posto una domanda ben precisa.
Quanto ci sarebbe voluto prima che finissero a
letto insieme?
Nessun se, solo
l’incertezza del quando?.
Lei se ne era accorta subito, dal
momento in cui erano entrati nell’ufficio in cui li stava
aspettando,
discutendo di qualcosa che aveva a che fare con una pistola. Aveva
persino
cercato di estorcere alla donna una confessione, l’aveva
stuzzicata lasciando
intendere che lei stessa aveva avuto la possibilità per un qualcosa con Booth, ma di aver perso
l’occasione.
In realtà si era trattato più di
un momento in cui aveva sentito che se l’avesse baciato lui
non si sarebbe
tirato indietro, ma era accaduto alcuni anni prima. Nulla di serio.
Questo però aveva evitato di
dirlo per non rovinare l’effetto della sua dichiarazione.
Effetto che non si era fatto
attendere e che si era manifestato in un lampo di irritazione che aveva
attraversato il verdazzurro degli occhi della scienziata.
Non sapeva per quale motivo avesse
sentito l’impulso di provocarla, forse perché
aveva creduto che Temperance
stesse coscientemente mentendo quando aveva affermato che tra lei e il
suo
collega non c’era nulla.
Si era sbagliata. La dottoressa
era assolutamente convinta di ciò che diceva, per quanto
assurdo ciò potesse
sembrare.
Durante quelle ore frenetiche si
era resa conto che era una persona cristallina: era schietta fino ai
limiti
della maleducazione. E lei non aveva ancora deciso se la cosa le
piacesse o la
infastidisse.
Nel suo mondo era difficile
trovare una come lei, se non addirittura impossibile.
Aveva imparato presto che le parole
erano un’arma pericolosa: con un pizzico di fortuna ed una
buona capacità
oratoria si poteva far condannare un innocente o far assolvere un
colpevole.
Era un ambiente difficile, in cui
tutti avevano uno scopo e lo perseguivano con ogni mezzo: la
verità era solo
una delle possibili interpretazioni della realtà dei fatti e
delle prove.
Non le piaceva quell’aspetto del
suo lavoro e forse proprio per quel motivo si era imbarcata
nell’impresa di
dimostrare l’innocenza di Epps in modo da evitargli la pena
capitale.
Aveva commesso un errore di valutazione.
L’aveva guardato negli occhi e si
era convita della sua sincerità. Così, per
aiutarlo, aveva mosso mari e monti,
nonché fatto riesumare un cadavere e svegliato per due volte
nel giro di poche
ore un giudice che, da quel momento in poi, le avrebbe sicuramente reso
la vita
un inferno.
Quell’inchiesta aveva presentato
numerosi punti oscuri fin dall’inizio, ma nulla avrebbe
potuto prepararla a
quello che sarebbe emerso una volta chiariti quegli stessi
interrogativi.
Howard Epps non era un assassino.
Era un serial killer.
Vedeva ancora di fronte a sé gli
occhi di quel mostro nel preciso momento in cui si era tolto la
maschera.
L’atteggiamento sottomesso aveva lasciato spazio alle parole
di un freddo
calcolatore che li aveva manovrati al fine di procurarsi la sospensione
della
pena capitale.
Anche se odiava ammetterlo perché
andava contro ogni suo principio in quel preciso istante poteva capire
l’affermazione che la dottoressa Brennan aveva fatto durante
uno dei loro
spostamenti in macchina.
Ci sono persone che non dovrebbero esistere.
Come quelli che hanno
ammazzato centinaia di bambini in Ruanda decapitandoli sui banchi di
scuola.
Persone che fanno cose del genere dovrebbero essere giustiziate.
Si sentiva sporca.
Aveva parlato con quel mostro,
l’aveva consolato. Mio Dio, l’aveva persino toccato.
Il solo pensiero in quel momento
le diede la nausea.
Quell’uomo aveva sfruttato il suo
idealismo per i propri fini e lei si era comportata come una sciocca,
ma non
gli avrebbe permesso di distruggere ciò in cui credeva.
Le venne in mente quello che gli
aveva detto un suo professore dell’università dopo
una discussione.
Deve crescere, signorina Morton. Se vuole fare
l’avvocato la prima cosa
che deve imparare e che spesso bisogna scendere a patti con il fatto
che l’imputato
sia colpevole. Se non è capace di farlo allora è
meglio che si scelga un altro
lavoro.
All’epoca lei l’aveva mandato
mentalmente a quel paese, ma ora capiva che cosa intendeva.
In quel preciso momento si
rendeva conto di non sapere se era abbastanza forte per scendere a
compromessi
con la sua coscienza.
Una lacrima le solcò la guancia
mentre bussava alla porta. Sapeva che era dannatamente tardi, ma non
aveva
potuto farne a meno: mentre vagava senza una meta per le strade di
Washington
nel disperato tentativo di scacciarsi di dosso quella sensazione di
abbattimento,
era finita lì.
Dopo qualche minuto la porta si
aprì e lei si gettò tra le braccia di suo padre,
affiancato subito dopo da sua
madre: aveva ventisei anni eppure eccola lì a piangere tra
le braccia dei suoi
genitori.
Le sembrava di essere tornata
bambina quando, ogni notte, costringeva il padre a controllare sotto il
letto
per assicurasi che non ci fosse nessun mostro in agguato, pronto ad
attaccarla
non appena avesse spento la luce.
Piangeva senza riuscire a
fermarsi, in silenzio, sulla soglia di casa.
Piangeva per la stanchezza.
Piangeva per la rabbia.
Piangeva per la delusione.
Piangeva per quelle tre ragazze
assassinate.
Ma piangeva anche per se stessa,
ma soprattutto piangeva per l’innocenza che Epps le aveva
rubato.
E lo odiava per averle dimostrato
che i mostri esistevano davvero.
Sua madre e suo padre non le
chiesero nulla, si limitarono a stringerla fino a quando le sue lacrime
si
esaurirono e poi la accompagnarono nella sua vecchia camera.
Per quanto potesse essere sciocco
o inutile per quella sera voleva tornare ad essere la bambina ingenua
che era
stata.
Ci sarebbe stato il giorno
successivo per le spiegazioni e le decisioni.
Così chiuse gli occhi e si
addormentò.
Ci
sono giornate che ti rubano la
voglia di vivere.
Altre in cui conti i secondi che
ti separano al calare del buio.
E altre ancora che ti cambiano la
vita.
Il coraggio sta nell’alzarsi il
mattino successivo e affrontare un’altra giornata pur sapendo
tutto questo.
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