CAPITOLO
1
~Ricatto~
Sole_
Il buffet era
ricco di ogni tipo di leccornia che si potesse
immaginare e il mio stomaco brontolava dalle cinque del pomeriggio
quando,
secondo la maledetta dieta che mia madre mi costringeva a seguire, mi
ero
‘apparentemente’ saziata con un misero bicchiere di succo di frutta
all’albicocca.
Con le ragazze mi
misi in fila. Afferrammo un piatto per uno mentre i
turisti tedeschi che ci precedevano, indossando gli immancabili sandali
con i
calzini, facevano razzia dei peggio assortimenti di cibo mai visti né
sentiti.
Come faceva un
essere umano a potersi ingozzare di crauti e wurstel
per cena? Nemmeno se mi avessero pagata avrei mangiato una tale
porcheria,
anche perché avrei finito col fare tappa fissa al bagno per vomitare
tutta la
notte!
«Il viaggio di
oggi mi ha sfinita» sospirò Betta, scostandosi dalla
spalla una lunga ciocca di capelli corvini.
«A chi lo dici» le
fece eco Serena, sventolandosi con la mano libera.
«Veramente dovrei
essere l’unica a lamentarmi» bofonchiai. «Sono io
che ho guidato per quattro ore e mezza consecutive».
Le mie due amiche
si ammutolirono quando le misi di fronte alla nuda e
cruda verità, eppure non riuscii a trattenere un sorriso piuttosto
contenuto.
La fila avanzò e
cominciammo a servirci dall’immensa tavolata bianca,
ricoperta di enormi vassoi colmi delle più squisite prelibatezze. C’era
un’insalatiera che traboccava di patate al forno, un’altra contenente
degli
involtini di carne ripieni, e un’altra ancora con il mio piatto
preferito:
insalata di mare. Solo a guardarle quelle cose mi avrebbero messo
addosso
almeno dieci chili, eppure cercai di essere stoica e mi avvicinai,
sconsolata,
al tavolo delle insalate.
Quelle misere
foglie verdi, rinsecchite e senza nemmeno l’ombra di un
filo d’olio, mi facevano talmente pena che le avrei mangiate per
compassione ma
preferii di gran lunga una dose esagerata di carote. Sicuramente più
gustose e
che avrebbero giovato anche alla mia abbronzatura.
«Vieni, Sole, da
questa parte!» mi chiamò Betta. «Il nostro tavolo è
qui!».
Mi avvicinai,
tentando di zigzagare tra bambini chiassosi, anziani in
modalità ‘rallenty’ e fra l’innumerevole quantità di turisti affamati
che
affollavano in modo quasi animalesco il buffet. Qualcuno, però, non mi
fece mai
raggiungere la mia meta.
Mi ritrovai a
terra senza nemmeno accorgermene, piena di carote dalla
testa ai piedi, fissando allibita il macello che avevo causato.
«Cazzo!»
imprecai, senza pensare a chi potessi avere di fronte.
Notai che tutta la
sala si era voltata verso la sottoscritta e un
silenzio imbarazzante calò fra i presenti. Potevo vedere gli sguardi di
ogni singolo
ospite del villaggio che si posavano su di me e vedevano quella grassa
e
orrenda ragazza distesa a terra come un cetaceo arenato sulla spiaggia.
Sarei
voluta sprofondare dieci metri sotto terra, avrei voluto avere la
facoltà di
rendermi invisibile.
Non sapevo se
fosse la mia paranoia o altro, ma giurai di aver visto
più di una persona ridere e scambiarsi battute ironiche col vicino di
sedia.
Potevo immaginare
cosa stessero dicendo di me, ne avevo le orecchie
piene sin dal primo giorno di scuola. Mi avevano appioppato tutti i
soprannomi
possibili e immaginabili e alcuni miei compagni di liceo, una volta,
avevano
scritto sulla lavagna il mio nome di battesimo con una ‘O’ gigantesca
che
raffigurava un porcello rubicondo. Era solo la storia che si ripeteva,
di
nuovo.
Cercai di
togliermi le carote di dosso e di limitare i danni il più
possibile, quando vidi una mano, grande e abbronzata, apparire davanti
ai miei
occhi.
«Sono davvero
desolato» disse una voce sconosciuta e mentre alzai lo
sguardo, per poco il cuore non mi scappò fuori dal petto.
Nessun ragazzo
così affascinante mi aveva mai rivolto la parola,
nemmeno per chiedermi l’ora. Preferivano restare nell’ombrapiuttosto
che essere
visti in compagnia di una come me. Quando incrociai l’azzurro dei suoi
occhi vi
avrei voluto annegare dentro, così da perdermi in quella scia intensa
di
emozioni che in quel momento mi sconquassava l’anima. Ero ancora persa
nelle
mie riflessioni quando notai che la sua mano era ancora immobile
davanti al mio
viso, mentre io me ne stavo ferma come uno stoccafisso.
Dopo un po’ sul
suo viso apparve un’espressione interrogativa e
piuttosto infastidita, quindi cercai di ricompormi e accettai il suo
galante
aiuto.
«Non ti avevo
proprio vista!» mi sorrise una volta che fui nuovamente
in piedi e libera da un quantitativo esagerato di carote.
«Non importa!»
mormorai imbarazzata, più per la figuraccia che avevo
fatto davanti a lui che per il resto. «Non mi sono fatta nulla».
Lui si strinse
nelle spalle e si aggiustò con una mano un ciuffo di
capelli castani che era sfuggito dalla sua capigliatura pettinata
all’indietro.
«Comunque, io sono Francesco» e si presentò porgendomi nuovamente
quella sua
mano grande, dalla pelle talmente tirata che si potevano benissimo
vedere le
vene che ne solcavano il dorso.
«Piacere, Sole»
gli risposi col mio solito modo impacciato di
relazionarmi con gli altri esseri umani.
«Bel nome..» mi
disse sorridendo. Quando vidi delle fossette fare
capolino sotto gli zigomi, rimasi estasiata nel contemplarlo. Era
impossibile
che uno come lui potesse anche solo sprecare fiato con una come me.
«Senti, cosa fai
dopo?» mi domandò tornando serio.
Quella domanda mi
prese proprio in contropiede, non sapevo davvero
cosa rispondere. Suonava come una sorta di appuntamento? Cos’era, una
specie di
misero tentativo di farmi la carità?
«Sono con le mie
amiche, veramente» gli risposi e poco dopo mi morsi
la lingua.
Quando
ti sarebbe capitata un’altra occasione del genere, eh, Sole?
Sei proprio la ragazza più tonta sulla faccia della terra.
«Ah.. no, è che
volevo offrirti qualcosa da bere per farmi perdonare
per l’inconveniente», ammise con un leggero imbarazzo.
Pietà, ecco
cos’era che l’aveva spinto ad invitarmi! Beh, c’ero andata
vicina..
«Va bene, allora
ci vediamo al bar» gli risposi dandogli le spalle e
camminando molto velocemente verso il tavolo dove Betta e Sere mi
aspettavano
con un sorriso a sessantaquattro denti.
«Beh?»
«Allora?»
«Quella specie di
schianto cosa ti ha detto?»
«Vogliamo sapere
ogni particolare: dalla spinta fino all’ultima
sillaba che le sue dolci labbra hanno pronunciato».
«Fatela finita,
siete ridicole» risposi, sedendomi con quella poca
dignità che mi era rimasta.
Loro rimasero in
silenzio, ma non la smisero di lanciarsi occhiatine
compiaciute e di ridacchiare l’una con l’altra.
«E va bene! Mi ha
offerto di bere un drink più tardi, per farsi
perdonare di avermi fatta diventare una zuppa di carote!» sbottai non
sopportandole più.
«Ma hai presente
che razza di figo hai accalappiato?» se ne uscì
Serena.
«Quello, la
mattina, avrà la fila di ragazze dietro la porta e giuro
di aver visto almeno cinque signorine che non gli staccavano gli occhi
di
dosso» aggiunse Betta.
«Suvvia, non dite
cretinate. Non è umanamente possibile che uno così
possa provare interesse per me. L’unica possibilità è che sia cieco, ma
non è
questo il nostro caso».
«Ora sei tu la
sciocca» s’infuriò Sere. «Perché devi sempre
considerarti alla pari di un rifiuto umano? Non mi pare che tu abbia un
naso
aquilino o una gobba oscena, oppure una scucchia da far invidia alla
strega
dell’Ovest. Sei solo un po’ in carne, tutto qui».
Serena si
preoccupava sempre della mia autostima perché anche lei,
come me, aveva avuto i suoi problemi con il peso. Sicuramente aveva
avuto più
forza di volontà della mia nell’affrontare il suo problema, e dopo una
dieta
severa si era trasformata nella cugina di Paris Hilton, mentre la
sottoscritta
nascondeva ancora le barrette di Mars tra le pieghe del materasso.
Lo
so, sono patetica!
«Ovviamente ci
andrai, mia cara, ma non devi comportarti come al
solito» affermò Betta con sicurezza.
«Cioè?» le chiesi
sempre più confusa.
«Quelli sono
ragazzi che vengono qui in cerca di un’avventura, per
divertirsi, se capisci il senso, e tu non sei quel tipo, quindi devi
fargliela
desiderare!».
«Betta, sei la
persona più perversa che conosca» osservò Serena.
«Sì, ma sono
l’unica che dice le cose come stanno» puntualizzò.
«Credo di dover
decidere io come comportarmi, ed è inutile che voi due
cominciate già a scegliere il mio vestito da sposa perché non è detto
che lui
provi qualcosa per me. Magari lo ha fatto solo per cortesia».
«Quanto sei
ingenua» sospirò Betta.
«Su questo mi
trovo d’accordo!» asserì Serena.
A quel punto non
mi rimase che sospirare visto che non avevo voce in
capitolo. Con loro era sempre così, cercavano di sistemarmi come se
fossi la
loro sorellina minore.
Mentre le sentivo
blaterare su quale vestito sarebbe stato più adatto
alla serata, con lo sguardo vagai per la sala alla ricerca di un paio
di occhi
color del mare.
Frà_
«Ehi, Fra, guarda!
Moby ti ha puntato».
La voce di Stefano
per poco non mi perforò un timpano,(no virgola) ma
dovetti resistere per non voltarmi. Sarebbe stato troppo scontato se i
nostri
due sguardi ‘casualmente’ si fossero incrociati, perciò dovevo
attenermi almeno
alla realtà.
«Credo tu abbia
fatto centro, Mr. Rubacuori» ridacchiò Ginevra.
«Come se qualcuna
potesse resistere al suo fascino da ‘bravo ragazzo’,
eh, Fra? Che fai? Le ammali apparecchiando la tavola e stendendo il
bucato?»
aggiunse Ale, evidentemente geloso marcio.
«Almeno io la vita
me la godo» mormorai guardando distrattamente il
piatto.
«Ragazzi, è
proprio uno scorfano. Secondo voi è scappata da qualche
circo? Magari faceva la donna cannone..» ridacchiò Stefano,
confermandosi
l’idiota che era.
«In effetti non è
che possa vincere il premio come ‘Miss’ del
villaggio» aggiunse Giacomo, con l’eco delle risa di Claudia.
Mentre gli altri
continuavano a trovare i più disparati soprannomi da
affibbiarle che riprendessero, in qualche modo, il mondo dei cetacei,
inevitabilmente
fui spinto a cercarla con lo sguardo. Come me, se ne stava in disparte,
mentre
le sue due amiche confabulavano e ridacchiavano davanti al suo sguardo
distratto. Fissava il piatto davanti a lei, colmo d’insalata e mais, ma
non ne
aveva toccato nemmeno un boccone. L’espressione che aveva in volto era
di puro
suicidio, quindi, inevitabilmente, pensai che fosse a dieta e non la
invidiai
per niente.
Mi ritrovai a
pensare che in fondo non era poi lo scorfano che tanto denigravano
i miei amici. Quando l’avevo aiutata ad alzarsi, dopo che io stesso
l’avevo
fatta cadere di proposito, mi erano saltati agli occhi dei particolari
piuttosto singolari e, in qualche modo, positivi del suo aspetto.
Sotto a quella
coltre di folti capelli a cespuglio, c’era un viso
molto semplice ma, nel complesso, piuttosto piacente, e spruzzato di
piccole
efelidi marroncine che la facevano sembrare ancora più giovane di
quanto già
appariva, senza trucco. Gli occhi, di un grigio chiaro, erano molto
grandi ma
avevo colto, in fondo ad essi, un’infelicità sottilmente velata, magari
da un
sorriso finto che scambiava con uno sconosciuto come me.
Quella Sara mi
aveva davvero fregato questa volta, la sporca scommessa
che mi aveva proposto e che poi mi aveva costretto ad accettare,
avrebbe fatto
raggiungere la vetta ai miei livelli, già alti, di stronzaggine. Ma che
altra
scelta avevo? Dirlo a Giorgio? Così potevo mandare a puttane dieci anni
di
amicizia.
L’idea di invitare
Moby a prendere un drink nel dopo serata mi era
sembrata ottima. Ovviamente non avrebbe potuto rifiutare, avevo cercato
di non
sembrare troppo interessato, altrimenti si sarebbe potuta insospettire,
ma non
potevo tirar fuori un’espressione di pietà. Qualunque motivo avesse
spinto
quella ragazza ad acconsentire, poco m’importava. La cosa fondamentale
era
portare a termine questa tortura: in fondo, se avessi perso la
scommessa, non
avrei potuto farci nulla, avrei dovuto soltanto farla durare per un
po’, in
modo da far divertire quei deficienti dei miei amici, poi avrei gettato
la
spugna e tanti saluti. Sara era stata chiara: se non avessi accettato
lei
avrebbe spifferato tutto, ma non si era affatto parlato di rinuncia.
«Pensi di andare
direttamente al sodo stasera?» mi domandò Giorgio,
facendo calare il silenzio sulla tavola.
I suoi occhi
marroni mi scrutavano attentamente e quel suo
comportamento indagatore mi metteva in soggezione. In fondo, era
l’unico che mi
conosceva da più tempo degli altri e avrebbe benissimo intuito il mio
stato
d’animo in quel momento.
«Che divertimento
sarebbe se concludessi subito?» ironizzai,
sfoderando uno dei miei sorrisi più seducenti.
«Ben detto,
amico!» esultò Giacomo.
«Sei forte, Fra»
si aggiunse Ale.
«L’importante
è che porti a compimento la scommessa, in ogni suo
punto. Altrimenti..» minacciò
Sara.
«Ehi, aspetta»
m’intromisi. «Se fallisco il nostro accordo è comunque
valido!».
Gli altri ci
guardarono sospettosi, non capendo minimamente la cosa a cui
ci stessimo riferendo. Quello che mi preoccupava di più era Giorgio, ma
non
sembrava sospettare nulla. Almeno per il momento.
Sara mi sorrise,
con quegli occhi verdi così vispi e maliziosi. «Sono
io a dettare le regole. Porta a compimento la scommessa e ti potrai
ritenere
libero dal nostro accordo».
Rimasi
ammutolito.
Mi aveva fregato
proprio per bene. Ormai non potevo tirarmi indietro e
sarebbe stato meglio portarmi Moby a letto il più presto possibile,
così avrei
mandato tutto quanto a farsi benedire, compresa quella stronza di Sara.
«Ma si può sapere
cosa ti ha fatto quella poveretta?» domandò Ginevra
guardando la sua amica.
Sara le sorrise,
ma non volle dire nulla. «Magari un giorno ve lo
confesserò, vedremo..».
Se voleva creare
una certa suspense intorno a quella storia, ci era
riuscita benissimo. Sapevo che quella vacanza sarebbe stata davvero
indimenticabile.. in un verso o nell’altro.
Frà_
Erano le 21.30
della stessa sera ed io me ne stavo seduto al bancone
del bar, scolandomi la terza birra consecutiva e pensando di essere
davvero un
idiota. Se qualcuno, prima di partire, mi avesse detto che la mia prima
notte
di vacanza l’avrei passata in compagnia della sorella gemella di
Platinette, gli
avrei ammollato un pugno sul naso, e invece eccomi qui, mezzo ubriaco,
attendendo quel momento come fosse l’ultimo della mia vita.
«Ciao».
Alzai gli occhi
dal boccale e mi voltai, vedendo Sole comparire al mio
fianco, concretizzando quell’incubo che assaliva i miei pensieri da
almeno
mezz’ora.
«Ciao, splendore»
le dissi mordendomi la lingua. Forse ero sembrato
leggermente falso, visto come si era conciata.
Aveva provato a
pettinarsi i capelli, districando i ricci, ma il
risultato era stato quello di aumentarne il volume del dieci per cento,
poi
aveva optato per un vestito turchese, attillato all’altezza del seno e
che
scendeva morbido per il resto del corpo.
Ufficialmente
indossava un tendone da circo.
Non rimango poi a
dilungarmi sul modo in cui si era truccata. Se
l’avessero vista quelle del Salone Benessere, si sarebbero messe le
mani tra i
capelli.
Tutto sommato, non
si accorse del mio tono lievemente ironico e mi
sorrise, imbarazzata. Il rossore che affiorò sulle sue guance mi prese
alla
sprovvista, lasciandomi di stucco. Era dalle medie che non vedevo una
ragazza
arrossire. Tutte quelle con cui ero stato erano donne fatte e
cresciute, mentre
questa qui sembrava evasa dall’Isola che non c’è!
«C-cosa prendi?»
le chiesi, ritornando me stesso.
Lei si sedette
sullo sgabello a fianco al mio, guardandosi intorno e
fingendo di fare la vaga. Non riuscivo a comprendere il motivo di quel
suo
comportamento, a volte mi spiazzava completamente, ed era un enigma per
me
capire cosa le passasse per la testa.
«Un crodino»
rispose, sorridendo nervosa.
A quel punto non
riuscii a trattenermi e le scoppiai a riderle in
faccia. Non so dire come la prese, perché sul suo viso comparve
un’espressione
indecifrabile, ma tentai di recuperare il terreno che cominciava a
scivolarmi
da sotto le scarpe.
«Scusa..» mi
trattenni. «È solo che il crodino è un aperitivo, non si beve dopo
cena».
«Ah» sospirò,
diventando man mano più rossa in viso.
Decisi, per una
volta, di fare una cosa galante e ordinai due birre
chiare, almeno non l’avrei fatta sfigurare se il barman ci avesse
chiesto le
ordinazioni. Mentre aspettavamo, decisi di indagare un po’ su Moby,
almeno per
avere qualcosa da raccontare ai ragazzi.
«Dì la verità, non
è che bevi molto, tu» le dissi, e lei cominciò a
torturarsi le mani in grembo.
«Beh, no!» rispose
subito, poi passò a pieghettare un lembo del
vestito. «In effetti, non sono una grande intenditrice».
A mio parere,
quella era la tipica ragazza che rimaneva tappata in
casa tutto il giorno, rincoglionendosi davanti al computer e guardando
le
cazzate su YouTube. Usciva sì e no una volta alla settimana, magari
trascinata
a forza da quelle due sceme delle sue amiche, e andavano a farsi una
passeggiata in centro, per poi tornare, al massimo, entro mezzanotte.
In questi momenti
mi riusciva facile stendere un profilo di alcune
persone. Avevo vissuto abbastanza per saper inquadrare una ragazza
passati i
cinque minuti di conversazione.
«Non preoccuparti»
mormorai, poi il barista ci portò le birre e
bevemmo in silenzio.
Mi sarei dovuto
far venire un’idea al più presto, anche perché quel
drink non significava nulla e se avessi voluto rivederla mi sarei
dovuto
inventare qualcosa, e alla svelta.
Il tempo passava
senza che nessuno di noi due dicesse una parola. Non
mi sentivo così impacciato da una vita ed era soltanto colpa di quella
stupida
scommessa. Se si fosse trattato di una delle ragazze con cui ero
abituato ad
uscire, sicuramente sarei stato all’altezza della situazione, ma non
avevo idea
di come comportarmi con un tipo che non mi attirava nemmeno
lontanamente.
«Che ne dici di
ballare?» e così, all’improvviso, mi venne quell’idea
geniale.
In sottofondo si
udiva una di quelle noiose canzoni reggae pugliesi,
che se mi avessero regalato un CD lo avrei fiondato immediatamente
fuori dalla
finestra, ma aveva il ritmo giusto e faceva al mio caso.
Sole mi guardò,
dapprima terrorizzata dall’idea, ma poi, dopo che
sfoderai uno dei miei sorrisi migliori, accettò di buon grado. Mi feci
largo
tra la folla di ballerini accaldati, mentre il DJ di turno fomentava la
massa
già abbastanza presa dal ritmo.
Se nu te scierri
mai delle radici ca tieni,
rispetti
puru
quiddre delli paisi lontani!
****
Sole_
Mi prese per mano
e insieme ci dirigemmo al centro della pista da
ballo, illuminato da lampioni e luci intermittenti. Il profumo che
aveva la sua
pelle mi fece barcollare e più di una volta credetti di accasciarmi al
suolo come
uno straccio vecchio. Non si era nemmeno cambiato da quando ci eravamo
scontrati a cena, ed io mi ero sentita una sciocca per essermi
agghindata in
quel modo tanto frivolo. Se fosse stato per me non sarei nemmeno uscita
dalla
camera dell’albergo.
Il cuore mi
batteva all’impazzata e non ero sicura che sarei arrivata
incolume a fine serata. Più di una volta, incrociando quei suoi occhi
verde-acqua, avevo rischiato un infarto, ma cercavo di ripetermi di non
sembrare più sciocca di quanto potessi già apparire con l’aiuto di quel
maledetto vestito.
Mi ero ripromessa
che, una volta tornata in camera, avrei ucciso sia
Serena che Betta per il look che mi avevano affibbiato. Io, che non
avevo mai
indossato una gonna in vita mia, mi ritrovavo a essere la sorella in
sovrappeso
di Barbie Malibu e la cosa non mi piaceva affatto.
Quando ci
posizionammo al centro della pista, sentii le sue mani sui
miei fianchi e le guance mi andarono a fuoco. Senza riflettere, mi
tirai
indietro incrociando poi il suo
sguardo, completamente mortificata.
«Non preoccuparti»
mi disse sorridente e mi deliziai, di nuovo, delle
fossette gemelle sulle sue guance che comparivano ogni volta che era
felice.
«Vieni qui».
Quella volta mi
lasciai andare e sentii il suo tocco attraverso i
vestiti, ritrovando quelle mani grandi che mi avevano aiutata ad
alzarmi da
terra, poco tempo prima. Istintivamente cercai di nascondere un po’ di
rossore
abbassando lo sguardo, ma lui cercava sempre un contatto visivo e fui
costretta
a specchiarmi di nuovo nelle sue meravigliose iridi.
Se nu te scierri mai de due de ca
ieni,
dai
chiu valore
alla cultura ca tieni!
Si fece sempre più
vicino, man mano che la musica diventava più
ritmica e la gente intorno a noi aumentava di numero, limitando lo
spazio dei
nostri movimenti. Era piuttosto bravo a ballare, dovevo ammetterlo.
Aveva
sicuramente ritmo.
Tutti i ragazzi
con cui Sere e Betta mi avevano costretta ad uscire
assomigliavano più a dei proverbiali ‘ciocchi di legno’ che a persone
vere, per
di più con occhiali talmente spessi da sembrare delle talpe cieche.
Me la stavo
cavando piuttosto bene anch’io fino a quando i nostri
corpi furono talmente appiccicati che potevo sentirmi aderire ogni
parte di
lui. E per ‘ogni parte’, intendo davvero ogni parte. Mi posò la
testa
sulla spalla e cominciò a soffiarmi nell’orecchio dolcemente, mentre
sentivo i
capelli rizzarmisi sulla nuca. Sarebbe andato tutto per il verso giusto
se non
avessi incrociato due sguardi tra la folla.
Simu salentini
dellu munnu cittadini,
radicati
alli
messapi cu li greci e bizantini,
Serena ed
Elisabetta cominciarono a sbracciarsi verso la mia
direzione, facendo cenni esagerati di dissenso. Prima di lasciare la
mia stanza
d’albergo, quella sera, non avevano mai smesso di ripetermi quanto
sarei dovuta
stare attenta a quei tipi lì.
Sai che
alcuni ragazzi vanno nei villaggi e fanno una gara a chi la
sniocca di più?
Una
volta mio fratello mi ha raccontato che avevano addirittura fatto
una bacheca con foto e nomi delle poveracce che ci erano cascate!
Ne avevo le tasche
piene delle loro petulanti voci, ma non riuscii a
fare a meno di chiedermi quale fosse il motivo che spingesse questa
sorta di
dio-greco/adone a venire dietro a una come me. Sarei stata curiosa di
saperlo,
anche se ciò si sarebbe tradotto nella fine di tutto.
«A-aspetta!» dissi
allontanandomi un poco da lui.
Era bello vivere
l’inizio di quella favola, ma nella mia vita avevo
sbattuto contro troppi muri per poterci ricadere di nuovo.
«Cosa c’è?»
domandò Francesco, stranamente preoccupato.
Avrei dovuto
raccogliere tutto il mio coraggio per affrontarlo, ma
sentivo che c’era qualcosa sotto e mi sentivo in dovere di scavare più
a fondo.
«Dimmi, perché fai
tutto questo?».
****
Frà_
Quella domanda mi
spiazzò completamente e non sapevo se, questa volta,
sarei riuscito a eludere la risposta grazie alla mia veloce parlantina.
Era più
furba di quanto pensassi e di questo particolare, sicuramente, Sara ne
era a
conoscenza. Già me la immaginavo che ridacchiava alle mie spalle, con
tutti
quei deficienti dei miei amici che le facevano il coro.
«Cosa vuoi dire?».
Dovevo fingere, come al solito. In fondo ci ero
abituato. Dopo che la fatidica ‘settimana’ era scaduta, m’inventavo
sempre una
scusa plausibile per piantare le ragazze con cui uscivo, che me
l’avessero data
oppure no. Cosa aveva di diverso quella cicciona dai capelli a
cespuglio?
Sole si allontanò
ancora di più da me, diventando sempre più
sospettosa. Nei suoi occhi intravidi, per una frazione di secondo,
l’alone di
un ricordo che l’aveva sconvolta allo stesso modo, ma non potevo
arrendermi
proprio ora. Voleva delle conferme? Pensava che la stessi prendendo in
giro?
Magari aveva intuito tutto, ma non la facevo così furba.
Ad un certo punto
mi balenò in mente la soluzione più ovvia e mi complimentai
con me stesso per aver pensato a quella genialata.
Mi avvicinai a lei
e la tenni ferma per le spalle.
uniti
intra stu
stile osce cu li giammaicani,
dimme mo de du ede ca sta bieni!
****
Invece di ricevere
una risposta alla mia domanda, lo vidi avvicinarsi
pericolosamente e chiudere gli occhi. Accadde tutto in un battibaleno,
prendendomi alla sprovvista.
Sentii le sue
labbra premute sulle mie, completamente sigillate,
mentre attorno a noi la gente si voltava e alcuni sorridevano. In quel
momento
non sapevo come comportarmi o cosa fare. Era forse una conferma di ciò
che
Serena ed Elisabetta mi avevano detto?
In fondo, non ci
conoscevamo nemmeno da un’ora e già eravamo passati
alla parte fisica. Che ingenua che ero stata. Ci ero caduta ancora una
volta,
ma non potevo permettere che qualcun altro mi facesse del male.
«FERMO!» gridai,
spingendomelo via di dosso.
Francesco sgranò
gli occhi e mi guardò confuso. Non si aspettava di
certo quella reazione da parte mia, ma ero stufa di fare sempre la
ruota di
scorta.
«Che ti prende?»
mi domandò.
«Non voglio»
insistetti, sentendo il calore che affiorava sulle
guance.
«Dai, su, non dire
sciocchezze» mi rispose avvicinandosi di nuovo e
cercando di raggiungere le mie labbra sigillate.
No, non potevo
permetterlo. Io valevo più di una notte, questo era
certo.
****
Il sonoro schiocco
che si udì in tutto il villaggio dopo che Sole mi
colpì in pieno viso, non lo avrebbe dimenticato nessuno.
Ero sempre stato
il bravo ragazzo, quello che avrebbe fatto innamorare
tutte le suocere del mondo, l’uomo invidiato da tutti perché non si era
mai
legato, nonostante avesse i mezzi per farlo, ma non avrei mai creduto
di poter
essere respinto da una donna. Soprattutto da un tipo come lei.
Se nu te scierri
mai delle radici ca tieni...
***
Spazietto autrice:
So di non averlo specificato all'inizio, ma ho ricevuto una sola
piccolissima recensione... sigh [comunque ringrazio di cuore e
pubblicamente Clithia che è stata l'unica coraggiosa ad avermi
recensito!] Thank you!!! e lancio un piccolo appello per 'carenza di
recensioni' che, se volete, potete seguire o meno.
Baciotti,
Marty
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