Questa storia, che mi ha fatto sudare le proverbiali sette camice, è il
seguito di “I can keep it” scritta da Gweiddi at Ecate. Potete trovarla qui.
Dopo questo breve capitolo di mezzo, l’intera storia tornerà tra sue
abili mani e troverà, quanto prima, conclusione in un finale come Dio comanda.
(Ecate, sigillo di garanzia.) -_^!
Aggiornamento: ecco il finale Back home
PATHETIC
-Chiamatemi Klaus.-
La sua voce assordante…
Paura.
-Zdravei, Katerina.-
Persino nell’incoscienza continuava a torturarla.
-Il pugnale, mio tesoro…-
Un sibilo gelido.
-Ancora.-
Dolore.
Boccheggiò e udì la porta che si apriva.
Cercò rifugio attraversando i secoli della sua memoria,
immortale o non, ma la voce di lui continuava a seguirla e a scovarla, e così
il suo ghigno inquietante.
-Zdravei, Katerina.-
Si lamentò debolmente e rinunciò, esausta, a cercare un
luogo sicuro.
-Katherine?-
Si riscosse.
-Katherine…-
Lui non l’aveva mai chiamata così. Klaus usava solo il suo
nome da umana, quello di quando era ancora fragile e ingenua, e malleabile.
Respirò profondamente e si concentrò su quello che lei
stessa aveva scelto.
-Katherine!- si sentì chiamare, di nuovo.
Ricordò la sensazione.
Qualcuno che provava a salvarla gettando al vento la propria
vita, qualcuno che contro il suo stesso volere, non poteva abbandonarla.
Se quella voce non l’avesse richiamata indietro, nel buio
che stava percorrendo si sarebbe smarrita.
… E la piccola Katerina avrebbe preso il sopravvento,
soccombendo.
-Ancora.-
Sollevò il pugnale e l’affondò nella carne, sorridendo
gelida.
Il dolore non arrivò.
-Dannazione, Kat!- udì invece, e realizzò che qualcuno la
stava proteggendo da se stessa, con il proprio corpo.
Riconobbe la carezza misurata della sua mano tra i capelli…
Un istante dopo si sentì strappare l’arma dalle mani.
Provò a trattenerla, contro la sua stessa volontà, ma lui si
rivelò più forte e lei ringraziò il cielo di questo.
Sentì il ringhio rabbioso e le dita salde che scioglievano
la sua presa; sospirò di sollievo quando riconobbe il tintinnio dell’oggetto
che cadeva, scagliato lontano.
Nella sua infanzia era sempre suo padre a toglierle dalle
mani gli oggetti pericolosi.
-Lascialo andare, Katerina.- le diceva.
-Lascialo andare.- le aveva ripetuto lui, ora.
Ma quello non era l’odore fresco e pungente di suo padre;
sapeva di liquore e rabbia e di rimpianti sepolti.
Sentì le sue mani sul viso e le parvero fresche, contro il
dolore bruciante.
Vi strusciò contro la guancia e ottenne in cambio un
sussulto strozzato e due braccia che l’avvolsero.
-Non abbiate paura.- le aveva sussurrato Klaus scostandole
dalle spalle la camicia da notte leggera, la prima notte che avevano trascorso
insieme. –Sarò dolce con voi.-
Paura.
-No!- gridò respingendolo.
Si divincolò disperata e cedette al panico quando lui le
afferrò le braccia con forza.
Cercò di graffiarlo e probabilmente ci riuscì, perché d’un
tratto le giunse intenso l’odore del sangue. E non era il suo.
-Calmati! Sono io…- lo sentì dire, ma non poté arginare il
terrore.
-Guardami!- le gridò di nuovo, prendendole il volto tra le
mani con forza. –E fidati di me, per una volta.-
Quella voce…
Calda, non sprezzante.
-Siete bellissima, Katherine.- le aveva sussurrato
rapito le volte che avevano trascorso i pomeriggi insieme, sdraiati sull’erba,
immersi nel sole estivo.
Aprì gli occhi.
Damon.
Il fratello che l’amava troppo e che lei non aveva ritenuto
abbastanza.
Capitolò.
E lasciò che lui la stringesse a sé.
-Ti porto via.- le sussurrò accarezzandole i capelli.
-Non posso andarmene.- biascicò lei contro la sua spalla.
Aveva la voce roca e spezzata; lui la scostò da sé per
guardarla negli occhi.
-La suggestione impedisce a te di andartene.- le rispose,
fissandola intensamente. –Ma non a me di portarti via contro la tua volontà.-
Sentì la speranza farsi largo dentro di sé e lui se ne
accorse, perché le sorrise mentre passava una mano sotto le sue ginocchia.
Si ritrovò suo malgrado a combattere per eseguire l’ordine
che le era stato imposto e per la prima volta nella sua vita ringraziò di
essere tanto debole.
-Sta’ ferma.- l’ammonì lui bonariamente.
E quando, tra le sue braccia, varcò la soglia di quella che
era stata la sua prigione, sentì Katerina dentro di sé piangere di sollievo.
Sfinita, reclinò la testa sulla spalla di Damon, permise
alla propria mano di tradire la sua stessa fragilità, artigliando la stoffa della
sua maglietta, e sprofondò in un sonno profondo con gli occhi asciutti.
***
-Ancora.-
Si risvegliò di colpo con la voce di Klaus che le ordinava
di pugnalarsi.
Di nuovo.
Si alzò di scatto, nonostante i muscoli doloranti e si
avvicinò allo scrittoio in cerca di un’arma.
Pregò che non ve ne fossero e sentì le sue speranze
infrangersi quando intravide il luccichio di un tagliacarte.
-Maledizione.- borbottò, non potendo fare a meno di
afferrarlo.
Chiuse gli occhi, lo sollevò e affondò con forza, ma ancora
una volta il dolore non arrivò.
Quando li riaprì, Damon Salvatore era di fronte a lei.
-Ben svegliata.- le disse cordiale, poi con ostentata
pazienza si sfilò il tagliacarte dal braccio.
-Dobbiamo fare qualcosa per questa suggestione.- commentò
subito dopo, scagliandolo lontano. –Sta diventando fastidiosa.-
-Grazie per aver sottolineato l’ovvio, Damon.-
ribatté lei, stirando le labbra per nascondere il sorriso.
Lui invece rise apertamente. –Ti senti meglio, a quanto
vedo.- constatò.
Katherine si lasciò cadere sulla poltrona più vicina; a
dispetto delle sue parole si sentiva ancora fragile e scossa.
-Mi hai forse scambiata per la tua piccola Elena?- se ne
uscì, tuttavia.
Damon sollevò gli occhi al cielo e soffocò uno sbuffo di
malcelata sopportazione. –Taci, per favore.- le disse. –Elena non è mai stata
tanto patetica.-
Ammutolì colpita e si guardò attorno per eludere i suoi
occhi: la stanza era avvolta dalla penombra, ma una luce fioca filtrava dalla
porta che dava sul corridoio.
Era giorno. Damon doveva aver tirato le tende per
permetterle di riposare.
Il letto sul quale si era risvegliata era il suo, ed era
macchiato di sangue. Abbassò lo sguardo sui propri abiti sporchi e laceri e
sulla pelle chiazzata, e si lasciò sprofondare ancora di più nella poltrona.
L’espressione di Damon si addolcì.
-Bevi.- le disse, porgendole un bicchiere colmo fino
all’orlo. –Ti riprenderai subito.-
Lo accettò con poca convinzione, ma dopo averlo svuotato, in
effetti, si sentì meglio.
-Anche tu sai essere piuttosto patetico, caro il mio Damon.-
si sentì in dovere di chiarire, con una nota di forzata allegria nella voce.
-Ma davvero?- le rispose lui, ilare.
Lei rise e si rannicchiò sulla poltrona, cingendosi le
ginocchia con le braccia. –Dopo tutti questi anni, ancora ti preoccupi per me.-
Lui si chinò per passarle un dito sotto il mento, sorridendo
sarcastico. –Incredibilmente patetico, da parte mia.- confermò. –La prossima
volta che ti troverai nei guai, vedrò di non esserlo.-
Fece per voltarsi, ma lei gli trattenne la mano.
-Puoi fare il duro quanto ti pare, Damon, ma io ho
conosciuto la tua umanità.- chiarì.- E l’ho amata, pure…-
S’irrigidì, interrompendosi.
-Ancora.-
L’ordine di Klaus tornò a torturarla.
Si alzò di scatto, cercando il tagliacarte abbandonato sul
pavimento, ma prima che potesse raggiungerlo Damon le fu addosso.
-Io invece ho conosciuto la tua solo oggi, Katherine.- le
disse afferrandole con forza le mani, per trattenerla. –Ma non mi piace.- la
guardò negli occhi. –Ti ho odiata, ma non avrei mai voluto vederti così.-
Il fratello che l’amava troppo…
Si lasciò andare contro di lui, respirando forte per
contrastare la suggestione.
-Continuerà per sempre, vero?- mormorò poi, contro il suo
petto.
-La suggestione che t’impone di pugnalarti? Sì,
probabilmente.- le rispose senza mezzi termini –Ma prima o poi farò fuori quel
bastardo.- dichiarò sicuro di sé, e le sue braccia la strinsero un po’ più
forte.
Lei chiuse gli occhi.
-Vorrei crederlo davvero.- sussurrò semplicemente.
-Non riesci proprio a fidarti di me, non è così?- commentò,
e lei non rispose.
Ma Katerina sì.
Lei si fidava.
Lo stava gridando dai recessi della sua mente.
E nella penombra quieta, Katherine lasciò che fosse lei a
prendere il sopravvento.
La sentì felice, mentre si riappropriava del suo corpo, poi
si alzò in punta di piedi e posò entrambe le mani sul suo viso.
Gli accarezzò la guancia e il collo e lasciò che le sue dita
gli scorressero tra i capelli, prima di sfiorargli la bocca con le labbra.
Aveva il retrogusto dolce di quando era ancora umano.
Lui non si mosse, la osservò guardingo e si permise a
malapena di sfiorarla. –Come mi ferirai, questa volta?- le domandò con voce
roca.
Katerina inclinò la testa per catturare i suoi occhi. –Non
riesci proprio a fidarti di me, non è così?- gli ripropose, piegando la bocca
in un sorriso.
-Se solo tu non me ne facessi pentire ogni volta…- ribatté
quello.
Lei non rispose, chiuse gli occhi e respirò profondamente,
godendosi la libertà conquistata dopo lungo tempo.
-Cos’è quest’odore?- domandò poi, corrugando la fronte e
annusando l’aria.
-Gelsomino.- le rispose lui. –Immaginavo che ti avrebbe
fatto piacere un bagno profumato.-
Katerina rise gioiosa e gli afferrò le mani.
-Mi farebbe piacere se tu lo facessi con me.- gli
sussurrò dolcemente.
E anche Katherine, dentro di lei, annuì soddisfatta.
*Joy riconsegna il testimone a Gweiddi at Ecate*
La vasca da bagno è tutta tua. Fanne buon uso! -_^