My life has just begun CAP33
CAPITOLO 33
Mi svegliai decisamente rilassata dopo qualche ora. Fuori
era ancora buio, ma sicuramente stavamo per atterrare. I miei colleghi
dormivano ancora tutti. Poi ricordai imbarazzata qualcosa del momento in cui mi
ero addormentata.
Ero sdraiata su un sedile e cercavo di alzarmi, un peso mi
impediva il movimento. Spencer si era addormentato su di me. Subito la mia
mente iniziò a pensare all’eventualità che qualcuno ci avesse visto.
“Spostati...” sussurrai tra i denti cercando di spostare il
suo braccio.
In risposta solo qualche lamento, ma riuscii comunque a
tirarmi fuori dalla sua presa. Mi sedetti sul sedile ancora intontita.
Presi qualche momento per svegliarmi del tutto, poi mi alzai
e mi incamminai verso la parte opposta dalla cabina. I dolori erano ancora al
loro posto.
“Buongiorno Liardi!” la voce del mio capo mi fece
sussultare.
“Agente Hotchner, mi dispiace se l’ho svegliata...”
“Liardi, puoi darmi del tu tranquillamente.”
“Buongiorno non è il termine più esatto..tecnicamente è
ancora notte.” La voce del dottor Reid ancora insonnolito arrivò dal fondo del
jet per contraddire Hotch.
“Proprio perché è ancora notte potresti far silenzio...” gli
rispose Derek.
“Morgan, è quasi ora di atterrare, quindi faremmo meglio a
svegliarci tutti e metterci le cinture.” Il tono di Rossi era particolarmente
allegro e gioioso.
“Va bene...” risposero tra gli sbadigli Emily e JJ.
Io non potei trattenere una risata, sembrava di essere in
casa di una famiglia molto numerosa.
“Liardi, questo è un ordine e non ammette repliche. Va
eseguito. Come l’aereo tocca terra, l’agente Morgan ti accompagnerà a casa. Ti
riposi e fino a domani mattina non voglio vederti in ufficio.”
“Non c’è bisogno che nessuno mi accompagni, anche perché
avrò bisogno di un mezzo per raggiungere l’ufficio domani. E il mio è rimasto
nel garage della BAU.” Un po’ di riposo ci voleva proprio.
“Siamo d’accordo...” concluse così il mio capo prima di
prendere posto e allacciare la cintura.
L’aereo atterrò, raccolsi la mia sacca e in breve tempo dopo
aver ritirato il SUV ero a casa. Non riuscivo a pensare ad altro se non a farmi
una bella dormita. L’indomani mattina sarei dovuta andare alla sede dell’FBI,
mi attendeva una giornata di lavoro d’ufficio per la compilazione dei vari
rapporti sul caso.
Dopo essermi svegliata di buon ora, essermi rinfrescata,
cambiata e medicata, ero pronta ad andare in ufficio dai miei colleghi.
La prima persona che incontrai al mio ingresso nell’open
space fu JJ che mi corse incontro raggiante.
“Mi sa che è proprio il momento per te di ritirare la tua roba,
vieni con me e poi ti accompagno alla scrivania.”
La seguii fino al suo ufficio, una stanza completamente
sommersa di cartelle contenenti casi da analizzare e sottoporre alla squadra.
“Ecco la tua scatola, proprio come l’hai lasciata.”
“Grazie...” avevo anche dimenticato cosa ci avevo messo
dentro, quindi diedi una sbirciatina.
“Seguimi nell’open space, ti dico dove sistemarti.”
Mentre la mia collega mi precedeva non potevo non notare
l’eleganza con cui si muoveva, nonostante i tacchi e il pancione.
“Spero sia di tuo gradimento!” esclamò indicandomi una
scrivania ad angolo retto, vicina a quella dei miei colleghi.
“Ora dovremo sopportarci per tutto il tempo, cara Nicole...”
esclamò sorridendo Derek Morgan, che aveva la scrivania di fronte alla mia.
“O forse sarebbe meglio dire che sarà lei a dover sopportare
te.” Gli rispose Prentiss che sedeva dall’altra parte del corridoio, dallo
stesso di lato di Morgan.
La scrivania di fronte ad Emily, quella che si trovava alla
mia destra oltre il passaggio, era ancora vuota.
“E a te chi allieta le giornate?” chiesi sorridente alla mia
collega, indicando il posto vuoto.
“Io...” rispose una voce alle mie spalle.
“Il dottor Spencer Reid, non puoi sapere quale
onore...specialmente quando si lascia andare in qualcuno dei suoi interminabili
discorsi pieni di dati e statistiche.” Emily aveva provocato le risate
generali. Di tutti tranne che di Spencer che si era silenziosamente sistemato
nella sua postazione.
“Ragazzi, ci controllano...forse è meglio tornare al
lavoro.” Ci avvertì JJ indicando con la testa verso la ringhiera alla quale
erano affacciati Hotch e David. Poi ci lasciò.
“Chi finisce per ultimo paga la cena?” Derek aveva deciso di
lanciare una sfida sulla compilazione dei rapporti. Sarebbe stato divertente
passare le mie giornate con loro tre.
Tutti avevano deciso per la sfida, tranne la sottoscritta
che era sicura che avrebbe perso e avrebbe passato la notte in ufficio.
E così era stato. La BAU era deserta, nessuno negli uffici o
nell’open space. Solo la luce della mia postazione accesa. Non mi ero nemmeno
accorta di quando erano andati via tutti, ero troppo immersa nel lavoro. Avevo
quasi finito. Stavo apponendo l’ultimo segno con la penna. Ma mancava ancora
qualcosa. Decisi allora di farmi un caffè perché gli sbadigli non mi davano
tregua.
La macchina del caffè era in una sorta di area relax, anche
quella scarsamente illuminata a quell’ora tarda. Non potevo fare a meno di
ripensare al mio caso, ai miei colleghi. E trovare tutto splendido. Poi pensavo
in particolare a Spencer. Non avevamo in realtà mai parlato di quello che era
accaduto a casa mia quella notte.
Il caffè era pronto, mi voltai per tornare alla mia
scrivania, finendo per versare tutto il liquido bollente addosso a qualcuno che
era silenziosamente alle mie spalle. Dopo un attimo di imbarazzo e silenzio,
nessuno dei due riuscì a trattenere una fragorosa risata.
“Pensavo fossi andato via...” dissi quando ritrovai il fiato
per parlare.
“No, perché andare via senza farmi versare un po’ di caffè
sulla camicia?” rispose sarcastico.
“Io, te e il caffè troppo vicini non possiamo stare.”
“Non preoccuparti, tanto stavo per andare a casa.”
“Già che ci siamo, vieni qui.” Gli feci cenno mentre mi avviavo
verso la scrivania. “Se non hai paura che possa macchiarti in qualche altro
modo...”
“Molto divertente...” rispose Reid dietro di me.
“Manca solo la tua firma e il rapporto è completo.”
Gli porsi la cartelletta che conteneva i fogli da firmare.
Lui l’afferrò dall’altro lato e in quel momento mi regalò uno dei suoi sorrisi
più belli.
Forse in realtà non avevamo niente da dirci, nulla di cui
discutere. Era chiaro ad entrambi il ruolo che avevamo l’uno nella vita
dell’altra, parlarne avrebbe potuto rovinare tutto. Di una cosa potevo dirmi
certa però.
Con Spencer Reid accanto, la mia vita era appena cominciata.
FINE
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