-Maze of Haze-
Giuliana
Bianchini è di ritorno a casa dopo una serata con la sua
amante, quando ad un tratto la macchina si ferma, lasciandola in mezzo
ad una sperduta stradina di campagna della sconfinata Pianura Padana.
Mentre si vittimizza per quanto le è successo, dal nulla
appare una
strana figura femminile, che infittisce la nebbia attorno a loro...
trasformandola in un labirinto.
• Nick
dell’autore: XShade-Shinra
• Titolo:
Maze of Haze
• Tipologia:
One-Shot
• Lunghezza:
8096 parole
• Genere:
Noir, Dark, Sovrannaturale, Introspettivo
• Avvertimenti:
Non per stomaci delicati, Splatter, Linguaggio colorito, Fem!slash
(giallo)
• Rating:
Arancione
• Credits:
Lo scritto ed i personaggi sono interamente di mia
proprietà. Tutti i personaggi di questa storia sono
maggiorenni e comunque non esistono/non sono esistiti realmente, come
d’altronde i fatti in essa narrati.
• Note
dell'autore: In questa storia tutti i protagonisti sono di
sesso femminile per necessità di trama e di prompt.
Nella storia è presente un personaggio di origini spagnole.
Per motivi sempre legati alla trama questa sua caratteristica
è importante, per cui certe volte troverete delle parole in
spagnolo nei suoi dialoghi. Ho scelto parole che avessero abbastanza
assonanza con l’italiano per rendere la comprensione
più semplice sia al lettore, sia agli altri personaggi con i
quali si troverà a parlare. Una frase che qualcuno potrebbe
trovare difficile è: “Yo
soy…”, che significa “Io
sono…”, con le altre parole/frasi non
dovrebbero
esserci problemi.
- Maze of Haze -
Se solo
Giuliana
Bianchini avesse saputo prima che la macchina si
sarebbe fermata nel bel mezzo di quella stupida e sperduta stradina di
campagna – dimenticata da Dio e dagli
uomini –, allora non sarebbe mai
andata a Piacenza per fare visita ad Eleonora Piano, la sua attuale
scopamica.
« Porc— », bestemmiò, dando un
calcio alla pattana della gomma posteriore destra, già
ammaccata da vecchi suoi sfoghi d'ira.
La sua Alfa Mito non le aveva mai dato un solo problema in sei mesi che
sua madre gliel'aveva comprata come premio per
aver – finalmente –
passato l'esame pratico della patente, ma la giovane già
pensava di sbarazzarsene una volta tornata a Bologna e farsene regalare
una nuova.
« Inutile catorcio! », lo insultò,
sprofondando le mani nel tascone della felpa lilla a stelle bianche e
nere. « Perché tutte a me?! », si
domandò.
Le lacrime minacciavano di scendere copiose dai suoi occhi, rovinandole
il trucco che si era rifatta, ancora nuda, nel bagno di Eleonora dopo
il loro intimo incontro del Sabato sera. Quella volta non si erano
fermate ad utilizzare i loro classici giocattoli erotici nascosti nel
secondo cassetto a destra, in mezzo alle calze della piacentina, ma
avevano anche deciso di utilizzare la loro più fedele ed
irreprensibile amica per del buon sesso: la lametta.
Si erano tagliate, leccate, abrase, amate, baciate, tutto con quelle
loro armi improprie. Non c'era posto dove non volessero avvertire
l'unica sensazione capace di levare loro ogni sofferenza; quel freddo
rasoio – scaldato solo dalla loro linfa
cremisi – lacerava l'epidermide
dei loro corpi dalla carnagione cianotica - anemica - nei
polsi, nel
torace, sulle spalle, sui seni, nella parte esterna della loro
femminilità. Erano addirittura arrivate a baciarsi tenendo
in bocca una lametta, la quale tagliuzzava loro le gengive, la lingua,
le guance e le labbra, e permetteva che gustassero quel metallico
sapore che tanto amavano e anelavano.
Non c'era cosa che più le eccitasse di quel loro rapporto
rosso come la passione – e come il sangue.
Una volta terminato quel gioco erotico dovevano fasciarsi le ferite con
le garze, e Giuliana doveva prendere molto zucchero prima di rimettersi
in macchina per tornare a Bologna. Il viaggio era lungo e
l'oscurità della notte non facilitava l'attraversata della
monotona e nebbiosa Pianura Padana, ma se si trattava di guadagnarci
una serata del genere - di sesso e sangue - non poteva certo dire di
no, nonostante il gran mal di testa che la affliggeva, accentuato dalle
lacrime della partner che piangeva, con la stessa portata del Po, ogni
volta che si separavano. Forse Giuliana avrebbe dovuto prendere
più seriamente il fatto che la piacentina si stesse pian
piano affezionando un po' troppo a lei, cosa che non le piaceva per
niente.
Non era mai stata una tipa fedele e che si legava alle
persone – o,
meglio, non aveva tante persona che le gravitavano attorno per molto
tempo, a causa del suo pessimo carattere da boriosa e prima della
classe, nonostante avesse appena il diploma di terza
media –, per
questo motivo si stava stancando di quella ragazzina. Sesso a parte,
ovviamente. Ma, finché non avesse trovato una o un sostituto
valido, non aveva alcun senso rompere un rapporto utile
come quello.
« Fottiti! ». Un suo urlo isterico
riempì la notte e, torturandosi i piedi nelle All Star nere
con i teschi, la giovane frugò nella propria borsetta alla
ricerca del cellulare, ma – con
orrore – scoprì di averlo
presumibilmente dimenticato a casa di Eleonora, se non addirittura
perso – se ne sarebbe dovuta comprare un altro, il sesto in
dieci mesi. Alla scoperta di ciò diede performance di un
buona conoscenza di bestemmie, alcune anche piuttosto articolate, e si
sedette sopra un sasso sul ciglio della strada, piangendo e
singhiozzando, vittimizzandosi senza nemmeno cercare di trovare una
soluzione intelligente per far fronte al problema o mettere il
triangolo a cento metri dall'auto, prima della curva, per evitare un
incidente a catena, vista soprattutto la coltre di nebbia bianca che
avvolgeva la strada. Semplicemente stava lì a deprimersi e
scagliare sacramenti a destra e a manca su coloro che pensava le
avessero fatto una fattura o le avessero lanciato il malocchio.
Dopo parecchi minuti passati in quel modo decisamente inutile, se non
addirittura controproducente, una voce bassa e roca con un fortissimo
accento spagnolo giunse alle sue orecchie da dietro di lei, senza
nessun rumore di passi a preannunziare l'arrivo della cadaverica
figura:
« Hola.
Cosa ci fa una señorita
come te, tutta
sola in aperta campagna? », domandò quella che
Giuliana scoprì essere una donna. Tirò
un piccolo sospirò di sollievo: almeno non si trattava di un
violentatore. « Non mi sembra che sia saggio: potresti non
vedere cosa si nasconde en
la oscuridad... ».
La bolognese schizzò in piedi e fece due passi avanti prima
di girarsi e trovarsi così faccia a faccia con
quell'individua dalla pelle diafana che indossava con un elegantissimo
vestito nero maschile - un frac, dato il papillon bianco –
sul quale ricadevano lunghi capelli lisci e biondi che si sposavano
alla perfezione con le due gemme di acquamarina incastonate negli
occhi.
« Chi cazzo sei?! », strillò appena,
mettendosi dubito sulla difensiva, spostandosi la frangia asimmetrica
che le celava parte del volto.
« No es
educado hablar de esta manera », le fece
notare con voce tranquilla. « Mi sono solo avvicinata per
dirti che è notte e c’è nebbia, quindi
non si vede tanto bene », spiegò.
« Me ne rendo conto benissimo anche da sola: non
c’è bisogno che qualcuno me lo faccia notare!
», la attaccò verbalmente, allargando le braccia
con fare palesemente scocciato.
« E vuoi rimanere qua senza fare nada? »,
chiese
lei, avvicinandosi e facendo così arretrare sempre
più la giovane, fino a farla cozzare contro
l’auto. Lei, spaventata, scartò velocemente di
lato, correndo verso la strada dalla quale era arrivata, lasciando
cadere la borsa sull’asfalto per essere più
veloce.
« Aiuto! Aiuto! », gridò istericamente,
voltandosi indietro per sincerarsi che la strana donna non la stesse
seguendo, ma non vide assolutamente nessuno; né vicino,
né lontano. « Ma che cazz— »,
fece per dire, ma quando riguardò davanti a sé si
ritrovò la strada parata da quella strana figura femminile,
che la guardava severa ed irritata.
« Se non vuoi ascoltarmi con le buone, allora, ti
obbligherò a prestarmi la dovuta atención con le
cattive », spiegò con voce calma – come
il mare prima della tempesta –, unendo poi compostamente i
piedi ed alzando le braccia verso l’alto, come un uccello che
spiega le proprie ali, reclinando la testa in avanti e facendo
così ricadere i suoi lunghissimi crini fino a sfiorare
terra.
La nebbia di colpo sembrò infittirsi attorno a loro, e
quando la bolognese arretrò d’un passo
sentì qualcosa di freddo come una lastra di ghiaccio
premerle contro la schiena, le cosce e il tallone, riuscendo perfino a
trapassare le scarpe dal gelo che trasmetteva.
Lei si girò e spalancò la bocca, sorpresa.
Quella dove poggiava altro non era che nebbia.
Per qualche assurdo motivo che non riusciva spiegarsi, quella cortina
si era addensata talmente tanto da diventare dura ed impenetrabile,
come una lastra di metallo.
« Che razza di stregoneria è questa?! »,
strillò, spingendo le spalle contro quella parete.
« Sei davvero increíble!
Ti ho fatto una domanda
prima, e non mi hai risposto; perché dovrei risponderti io
di rimando? », le chiese la donna bionda, camminando lenta
lungo quella stradina creata dalle pareti di nebbia, lontano dalla
ragazza.
« Perché tu non sei normale! »,
urlò Giuliana, mentre le lacrime minacciavano di scorrere
sulle sue guance ancora più pallide del normale.
« Nemmeno tu », proferì, continuando ad
andarsene.
« Aspetta! », la richiamò. «
Cos’è questa cosa? Perché mi hai
rinchiusa qua? ».
« Non sarò io a dirtelo. Presto lo
entenderás
».
« Dimmi almeno chi sei! » urlò la
ragazza, trovando finalmente la forza di staccarsi dal muro di nebbia.
« Yo soy
l—avi—d— ».
Ma Giuliana non riuscì a capire bene le ultime parole,
perché la donna si era allontanata troppo e quelle fredde
pareti all’apparenza inconsistenti ne avevano schermato la
voce.
La ragazza rimase allora lì da sola, circondata dalla nebbia
che aveva creato quella donna in modo da realizzare come dei canali
dove era possibile passare.
« Devo seguirla », si imbronciò, facendo
per camminare, quando si sentì tirare per il risvolto dei
jeans chiari. Pensando che fossero rimasti impigliati in un ramoscello
o qualcosa del genere, Giuliana si girò per liberarsi, ma
quel che vide la fece urlare di paura: ai suoi piedi c’era
una bambina.
La piccola era sporca da capo a piedi di fango, cenere e tracce di
sperma. I capelli erano adornati da batuffoli di polvere e sembravano
essere stati prodotti in un frantoio, tanto erano unti. Aveva gli occhi
dalle iridi cerulee, senza pupilla e il globo rosso. Le unghie non
avevano smalto, ma erano nere a causa della sporcizia.
Terrorizzata, la ragazza cadde a terra tremante, scuotendo forte la
gamba per liberarsi di quell’abominio, come se avesse
schiacciato cacca. La bambina, data la sua poca forza, volò
per aria e si schiantò di testa sull’asfalto sotto
di loro con un forte crock
– il rumore delle ossa rotte.
Giuliana arretrò di diversi metri continuando a fissare
quella creatura, poi si alzò di fretta e corse a perdifiato
nella direzione presa dalla misteriosa donna, sperando di trovare
l’uscita, mentre cercava di pensare all’accaduto,
nonostante non fosse lucida.
“Allora, ragiona, Giuliana!”, si disse, continuando
a correre come una forsennata. “Quella strega, che si fa
chiamare “l’Avida”,
è comparsa
dal nulla e ha creato questa cosa con la nebbia”,
pensò, mentre correva per l’intricato dedalo,
sbattendo di tanto in tanto contro i muri. “Sembra un
labirinto… E c’è anche il
Minotauro!”, si spaventò ancor di più
pensando poi alla bambina di poco prima. “Se ha ridotto
così una bambina innocente ed indifesa, cosa ne
sarà di me?”, si chiese, mentre la sua corsa si
arrestava ad un vicolo cieco.
« Merda! », esclamò, inveendo contro la
parete con un calcio, con il solo risultato di farsi male
all’alluce – evento seguito da numerose altre
imprecazioni decisamente più colorite.
Qualche attimo dopo, però, Giuliana si tappò la
bocca: tutto quel suo sbraitare avrebbe potuto richiamare
l’attenzione di quel nemico che probabilmente si aggirava nei
dintorni.
“Devo calmarmi”, pensò, sospirando
pesantemente dal naso per quietarsi. “Se questo è
davvero un labirinto come penso, devo trovare l’uscita, ma in
un dedalo, se da una parte si esce, dall’altra si entra,
quindi ho due possibilità di trovare una via di
fuga”. Il suo disordinato ragionamento era oltremodo corretto
e si complimentò con se stessa più e
più volte, riprendendo a camminare in maniera più
guardinga. Sotto di lei c’era ancora l’asfalto
grigio della strada senza alcune segnaletica orizzontale che la potesse
far orientare meglio, quindi decise di continuare a girare imboccando
sempre le vie alla sua sinistra, passando il palmo mancino sulla
superficie delle pareti in modo da non sbagliarsi.
Dopo doversi minuti di cammino, e altrettanti vicoli ciechi e
imprecazioni, Giuliana sentì un leggero canticchiare
provenire da poco più avanti. Era una voce delicata e
melodiosa, che la fece sentire rilassata.
“Non può essere nulla di male”, si
disse, continuando a camminare verso quella direzione anche se non si
trovava alla sua sinistra, perdendo così traccia del
certosino lavoro che aveva portato avanti.
Guidata dalla voce doppiò due angoli, fino a trovarsi
davanti ad un lungo corridoio, dove nel mezzo era seduta di spalle una
donna dai capelli rossi, che canticchiava mentre si pettinava i ciuffi
ribelli davanti ad uno specchio, su un pouf.
« Salve », Giuliana la salutò, pensando
che una donna con una voce come quella non potesse essere malvagia.
Lei si girò, esibendo un viso perfettamente truccato, tanto
da renderglielo come quello delle bambole di porcellana.
« Ciao », la salutò di rimando con voce
angelica, tornando a voltarsi.
« Che posto è questo? »
domandò la ragazza, avvicinandosi alla giovane donna.
« Non lo so », disse l’altra, tornando a
specchiarsi e ad aggiustarsi il trucco. « Io vivo qui
», spiegò, mettendosi addosso un buonissimo
profumo che sapeva di agrumi, uno dei preferiti di Giuliana.
Le piaceva molto quella donna: era garbata e gentile, le persone con i
capelli rossi, inoltre, la facevano impazzire. Aveva la carnagione
chiara truccata alla perfezione ed un petto non troppo abbondante ma
sodo, a giudicare dalla generosa scollatura. Avrebbe davvero desiderato
essere come lei.
« Come fai a non saperlo, se, appunto, ci vivi? »,
le chiese, senza riuscire a staccarle gli occhi di dosso. Guardava il
suo riflesso con insistenza, quasi maleducazione.
La donna sorrise e reclinò appena la testa di lato:
« Non mi interessa, semplicemente »,
spiegò. « Qui ho trucchi a volontà
senza dover lavorare e ho uno specchio grande tre volte il mio. Il mio
desiderio più grande si è realizzato e sono
felice, che altro importa? », le chiese, quasi fosse una
domanda retorica.
« Sì, però io vorrei uscire…
», fece per dire, ma la donna si rigirò
completamente verso di lei e la spiazzò con un sorriso.
« Ah, ti capisco, a volte mi annoio anche io »,
disse lei, con un grosso sbadiglio a coronare il suo tedio. «
Non c’è mai nessuno… Ti va una partita
a carte? », le chiese, alzando appena la corta minigonna, che
le scopriva le gambe lunghe e snelle, fino alla giarrettiera dove era
bloccato un mazzo di carte da poker.
« Dovrei cercare l’uscita… »,
rispose la ragazza in tono insicuro.
« Hai tutto il tempo, no? », domandò la
donna, iniziano a mischiare le carte.
« Dopotutto… nessuno mi ha detto che avevo un
limite d’orario… » bisbigliò
tra sé e sé, prendendo posto a sedere su un
morbidissimo pouf verde chiaro, come gli occhi della donna.
« Cosa puntiamo? » chiese la più grande,
mentre distribuiva le carte tra loro due.
« Uhn, non ho niente con me… » Giuliana
si rese conto solo in quel momento che aveva lasciato la borsetta a
terra, assieme al cellulare.
« Qualcosa la hai. Mi piace molto
quell’orecchino… Tempo fa ne avevo uno
praticamente uguale ma ne ho perso il perno… »
raccontò, mordendosi il labbro inferiore in pena.
« Va bene », fu d’accordo la ragazza.
« Ma se vinco io… voglio un campione di ogni
cosmetico in tuo possesso », propose, tentando di fare la
furba, desiderosa di possedere quelle creme, ombretti e mousse
miracolosi.
« Solo? Ok », sorrise. « Tanto ne ho
almeno dieci pochette piene. »
La partita iniziò e finì ben presto con la
perdita dell’orecchino di Giuliana.
« Ah, è solo sfortuna, credimi », disse
le donna, mentre si agghindava con l’accessorio in argento
della ragazza.
« Facciamo un’altra mano? » chiese
l’altra.
« Hm… la posta? ».
« Desideri altro? ».
« Sì, in realtà… Hai una
collana simile a quella che avevo io un tempo e che ho buttato
perché si era rovinata. La voglio ».
Giuliana fu d’accordo e diede lei le carte quella volta, con
lo stesso identico risultato di poco prima: perdere la propria puntata.
« Sembra proprio che la fortuna non sia dalla tua, oggi
», disse la donna dai capelli rossi, chiudendo il moschettone
al collo.
Giuliana però non volle arrendersi: rivoleva il suo
orecchino e quella sua collana il cui ciondolo riposava tra i seni
della donna, oltre che i trucchi.
« Ascolta: io possiedo molti soldi, ma non li ho qui. Quanto
vuoi puntare per i miei gioielli e il tuo make-up? », chiese,
sicura di riuscire a riprendersi tutto.
« Soldi? E a che mi servono? ».
« Poiché puoi già avere tutti i trucchi
che vuoi, potresti comparti delle scarpe, delle borse o dei vestiti
nuovi », suggerì, vedendo un luccichio negli occhi
della donna.
« Ma allora è perfetto! Voglio almeno mille euro!
», trillò eccitata.
« È… È una cifra enorme!
», disse subito Giuliana, spalancando gli occhi verde scuro.
La donna fece spallucce, tornando a specchiarsi e ad aggiustarsi il
trucco, ignorandola.
« Non si può fare a meno? » Giuliana
tentò di trattare, ma lei continuò ad non
degnarla mentre si sistemava il mascara waterproof nero, nonostante
fosse perfetta.
« Oh, e va bene! Mille euro li ho! » disse la
giovane, provocando la risata della donna.
« Ne ero certa: i soldi si trovano sempre », rise,
raccogliendo le carte e mischiandole per un’altra mano.
Prima che potesse dare carte, però, dalla sua specchiera
scivolò un foglio in carta pergamena, che cadde lieve a
terra tra loro.
« Potresti firmarlo? Attesta che qualunque cosa punterai da
ora in poi me la darai in seguito », chiese la più
grande, sorridendo affabile.
Giuliana lesse il contratto scrupolosamente, ma ci capì poco
e niente a causa dei termini tecnici di cui era costituito. Sospirando
come se poco gliene importasse fece per apporre la propria firma in
calce, ma si accorse di non avere penna.
« Come firmo? », domandò.
« Con il sangue », rispose l’altra.
« Tagliati con la carta e impressiona il polpastrello
lì sopra », spiegò, indicando il fondo
del foglio.
La ragazza fu ben felice di poter utilizzare la propria linfa vitale
per quel contratto, che firmò come le era stato detto.
« Qual è il tuo nome? », le chiese
Giuliana, notando che nel documento non vi era alcun nominativo.
« Boh », fu la risposta della donna che dava le
carte ancora una volta, dopo aver spostato la pergamena.
La ragazza rimase palesemente turbata da quella risposta, e scosse la
testa.
« Come, scusa? ».
« Non so quale sia il mio nome. Non mi importa di averne uno
e, se prima lo avevo, l’ho dimenticato. Forse era Genny o
qualcosa del genere… » rispose, rimanendo
perfettamente seria mentre guardava le carte che le erano capitate.
Giuliana prese le proprie da terra e le controllò, scoprendo
di non avere niente. Nemmeno un cambio di tutte e cinque e carte la
aiutò, e la misteriosa donna senza nome vinse anche quella
mano.
« Non ci credo… » Giuliana quasi pianse,
vedendo sfumati mille euro dal proprio portafogli.
« Nemmeno io », rispose la donna, sorridendo.
« Vuoi continuare? », le chiese, e Giuliana si
alzò in piedi.
« Certo! », esclamò. « E ora
punto altri mille euro! »
« Non bastano », disse subito l’altra,
sollevando due dita davanti alla sua faccia. « Duemila
».
« Affare fatto! ».
Dopo altre quattro mani, nelle quali le puntate erano salite
vertiginosamente e Giuliana non aveva ancora vinto nulla, accadde il
miracolo: alla bolognese fu servito un poker di dieci e lo
giocò subito, recuperando così i gioielli e
ricevendo una pochette contenente i maquillage della donna, ma perdendo
in totale sessantatremila euro. Naturalmente avrebbe dovuto dire addio
ai suoi risparmi degli ultimi dodici anni depositati nel conto in
banca, e probabilmente non le sarebbero nemmeno bastati.
« Bene. Ora che ho quello che desideravo, posso andare
», disse Giuliana, decisa, facendo quindi per andarsene.
« Aspetta, te ne vai proprio ora che stai finalmente
vincendo? ». La donna la fermò per un braccio. Era
freddissima.
« Ho riavuto i miei gioielli e ho i tuoi trucchi miracolosi,
basta giocare », rispose seria, non troppo conscia di aver
sciupato una cifra spropositata, in realtà, ma solo seccata
per aver perso tante mani a poker.
« Ma hai appena iniziato a vincere, sicura che non vuoi
continuare? », le domandò ancora la donna,
lasciandola andare e sorridendo composta. « Non ho mai
compagnia qui e mi divertivo solo a parlare con il mio
riflesso… ».
Giuliana guardò la donna in tralice, rispondendo secca:
« Non mi importa se soffri la solitudine. Ho perso
tantissimo, se l’avessi saputo da subito non avrei mai
giocato! »
« Ma io ho ancora tanto da puntare ».
« Non mi interessano più i tuoi trucchi: li ho
».
« Non ho solo quello da offrire », disse lei,
portando le braccia dietro la schiena per sciogliere il fiocco che
reggeva il suo vestito rosso carminio, facendolo così
scivolare lungo il proprio corpo e cadere a terra con un delicato
tonfo.
Giuliana rimase di stucco.
Quella donna era bellissima.
Non un solo pelo in tutto il corpo grazie ad un trattamento depilatorio
degno dei migliori centri estetici; seni che rimanevano alti nonostante
l’assenza di un reggiseno a sostenerli; ventre piatto; vita e
bacino stretti, invitanti.
Era talmente bella e perfetta da sembrare finta, come i suoi occhi
vitrei.
« Allora? », chiese civettuola, risedendosi sul
proprio pouf rosso ed allargando appena le cosce snelle in modo da
mostrare alla sua interlocutrice la femminilità rosea che
sarebbe dovuta essere coperta da un paio di mutande che non portava.
« …Ti voglio », disse la ragazza,
sentendo il proprio corpo reagire a quella visione divina.
« Dammi altra cinquantamila euro e sarò tua
», le rispose, assumendo una posa più volgare,
come se non avesse alcuna vergogna di venir guardata – come
se non conoscesse il pudore. « Altri diecimila e ti
darò anche il mio vestito », aggiunse, nonostante
si vedesse benissimo che non era della taglia della ragazza.
« Tutto quello che vuoi: sessantamila euro vanno bene!
», disse Giuliana, decisa a voler prendere anche quello
splendido vestito che non avrebbe mai potuto indossare a causa del
proprio abbondante seno, nonostante fosse ben conscia di non avere
tutti quei soldi.
Si avvicinò alla donna e fece per sfilarsi la felpa, ma lei
la fermò:
« Prima dobbiamo giocare… Non sono una prostituta:
vincimi a poker ».
La più giovane rimase per un attimo a pensarci, ma
durò ben poco.
« Accetto », disse decisa, sedendosi in terra e
prendendo il mazzo di carte per una partita.
Mentre il gioco proseguiva, la mente di Giuliana pensò a
diverse cose – soprattutto a quanto sarebbe stato bello
palpare e lambire il seno di quella donna, e scendere sempre
più giù con la bocca –, ma per un
attimo pensò anche ad Eleonora, che sicuramente stava ancora
piangendo nel suo letto, attenta a non farsi scoprire dai genitori
tornati da poco.
“Tsk… Lei non è bella come questa
donna, e poi non c’è nessuno qui che possa
vederci… Non lo saprà mai. Eleonora mi
è solo utile per non stare da sola, non annoiarmi a computer
quando nella chat non c’è nessuno e sfogarmi un
po’ sessualmente dato che sono poche quelle che accettano di
svenarsi”, pensò, guardando poi le proprie carte.
“Dopotutto Eleonora ha troppo seno per i miei gusti e non sa
fare fisting come vorrei… E poi è solo una
scopamica, non la mia ragazza, per cui che male
c’è se mi prendo qualche libertà? Mi ha
chiesto di esserle fedele, ma… sarebbe da stupidi lasciarsi
sfuggire una donna così bel—”.
« Cos’hai? ». I suoi ragionamenti vennero
troncati dalla diretta interessata, che le mostrava la propria mano.
Giuliana impallidì: non aveva il necessario per batterla.
Lanciò le carte per aria con stizza e sbatté i
piedi a terra, iniziando ad urlare:
« Non è giusto! Non è giusto! Ho detto
che ti voglio e ti avrò! ».
La donna sorrise e le fece cenno di calmarsi:
« Vuoi fare un’altra mano? », le
domandò.
« Certo! ».
« Centomila. Li hai? ».
« No, ma li ruberò da mia madre! »
urlò Giuliana.
« Valgo così tanto? » chiese lei,
compiaciuta, accavallando elegantemente le gambe.
« L’ho già fatto altre volte per piccole
somme. Quind— » fece per dire Giuliana, quando una
vocina fine e gracchiante giunse alle sue orecchie:
« Ma non è giusto… ».
La ragazza si girò e si ritrovò faccia a faccia
con la bambina di poco prima. Al suo orrendo aspetto si era aggiunto
anche un taglio alla testa – dal quale fuoriusciva sangue e
liquore – e il bulbo oculare destro era più
sporgente dell’alto, probabilmente a causa del colpo
infertole dal Giuliana.
Impaurita, la ragazza indietreggiò.
« Non dovresti prendere i soldi a tua madre,
Giuliana… È sbagliato… »
disse la bimba, avvicinandosi a lei.
A sentirsi chiamare con il proprio nome di battesimo, la ragazza
strillò e corse via, oltre la donna, lasciando cadere
perfino la pochette con i trucchi, per la fretta, senza né
guardarsi indietro, né salutare la sua sfidante.
Quando il rumore dello scalpiccio della ragazza fu ovattato dalla
distanza, la donna si rivolse alla bimba:
« Anche se non ti ascolta, non hai mai perso il vizio di
rompere, eh? », le chiese sorridente, abbassando poi lo
sguardo.
« Jennifer… », la chiamò lei
con dolcezza, prendendola per la vita e alzandola dal pouf dove era
poggiata. « Era giusto che intervenissi, e lo sai
».
« Sì è anche dimenticata di
me… », pianse appena, e la lacrima si
seccò sulla sua guancia di porcellana, diventando uno
strass.
La bimba sorrise triste e prese il suo vestito da terra,
rimettendoglielo addosso mentre la reggeva con una mano.
« Lo so… Allora come ora, all’inizio ti
ha desiderata tanto… poi ti ha abbandonata, come tutti i
suoi vecchi giocattoli », disse piano, coccolandole i capelli
sintetici e muovendo le sue braccia per metterla composta una volta
finito di vestirla. « Andiamo, Jennifer… Non
vorrei che continuasse a perdersi a causa della sua insensata
bramosia… », sussurrò, camminando con
quella bambola dai capelli rossi tenuta in braccio a mo’ di
sposina, mentre tutti i suoi trucchi sparivano, tornando nebbia.
Intanto, Giuliana aveva continuato a correre a rotta di collo, con gli
occhi umidi per il pianto. Quella bambina le faceva venire il
voltastomaco, sporca e ferita com’era.
« Che schifo, mi viene da vomitare… »,
borbottò, prima di avvertire uno strano odore
nell’aria.
Si fermò ad annusare e dopo pochi secondi riconobbe subito
quell’odore dolciastro che tanto adorava: cioccolato.
“Mi sembra strano che ci sia del cioccolato
qui…”, pensò, seguendo lo stesso la
stucchevole scia che c’era nell’aria, fino a
giungere ad un altro corridoio, dove c’era uno strano
individuo, talmente grasso da occupare metà del posto, che
si rimpinzava dei dolci di cioccolato che c’erano accatastati
là. Passare senza farsi notare sarebbe stato impossibile, ma
forse quella creatura umanoide sarebbe stata abbastanza presa dal cibo
per non vederla…
Giuliana non aveva certo voglia di rischiare e fece per
andarsene, ma la creatura si girò e la vide prima che fosse
sparita dietro la parete.
I loro occhi si incrociarono e la ragazza notò che
quell’individuo altri non era che un normale essere umano di
sesso femminile, terribilmente obeso, dagli occhi e i capelli castani,
e dalla carnagione bruna.
« Ciao », la grassona la salutò gentile,
facendole cenno di avvicinarsi.
« Cia’ », la salutò Giuliana,
camminando verso di lei. « Sto cercando l’uscita,
sapresti indicarmela? », le chiese in tono leggermente
scocciato, guardandosi indietro per la prima volta per paura che quella
bambina la raggiungesse di nuovo.
« Perché cerchi l’uscita? »,
domandò, ma prima che potesse rispondere aggiunse:
« Qui si sta bene: c’è cibo a
volontà. Perché non rimani? », la
invitò, porgendole un babà ripieno.
A quella visiona celestiale Giuliana ingoiò la saliva in
eccesso e prese il dolce senza ringraziare, iniziando a mangiare.
« È ottimo », sorrise, leccandosi la
labbra.
« Ne vuoi un altro? », la invitò la
grassona. « Qui puoi mangiare tutto ciò che vuoi,
che non finisce mai », spiegò, ciucciandosi le
dita sporche di cioccolata.
« …Perché no? », chiese
Giuliana più a se stessa che alla donna, avvicinandosi a lei
per iniziare a mangiare. Sembrava simpatica, e non chiedeva nulla per
poter mangiare dal suo banchetto.
L’unica preoccupazione di Giuliana era la bambina e il fatto
di non riuscire a trovare l’uscita, ma avrebbe ingurgitato
cibo a sufficienza per campare un giorno di fila senza mangiare,
così avrebbe potuto continuare la propria ricerca.
« Quindi non sai proprio dove si trovi l’uscita?
», le chiese ancora, mentre beveva della cioccolata calda da
una tazza di gianduia.
« No, » disse lei, scuotendo il capo, «
ma sono certa che la dama nera lo sa ».
« La dama nera? », chiese la ragazza, arraffandosi
una scatola di After Eight.
« È una strana ragazza che vive qui intorno
», spiegò, scartando dalla carta stagnola delle
barrette al cioccolato con pezzi di nocciola interi.
« Ah », fece l’altra di rimando.
« Ma che succede se non riesco ad uscire? »,
domandò.
« Potrai rimanere qui con me, se vorrai », la
invitò, facendo un fragoroso rutto.
« Non sarebbe male », annuì Giuliana,
aprendo una scatola di Ferrero Rochet e mangiandoseli tutti,
l’uno dopo l’altro. Certo, la sua bilancia ne
avrebbe risentito, ma non riusciva davvero a smettere: erano toppo
buoni e lei amava il cioccolato.
Dopo alcuni minuti, Giuliana vide la propria compagna di scorpacciate
girarsi verso un angolo e vomitare tutto quello che aveva mangiato in
un rigetto caramellato.
La ragazza storse il naso a quella visuale, ma ancora di più
quando la grassona, senza fare una piega, riprese a mangiare a quattro
palmenti. Sentendosi osservata, si girò verso Giuliana e
spiegò:
« Così posso mangiare sempre. Mangio e vomito,
mangio e vomito… » sorrise, aprendo delle
merendine al pan di Spagna spruzzate di cacao.
Un verso disgustato lasciò la bocca di Giuliana, che fece
per andarsene da quella donna, ma, poi, vedendo tutto quel cioccolato
ancora accatastato, ci rinunciò e continuò a
mangiare.
Probabilmente un diabetico sarebbe morto solo a causa
dell’aroma che c’era là dentro,
poiché anche il vomito del donnone aveva buon odore di
cioccolato, e anche a Giuliana quell’odore dolciastro dava
quasi la nausea, ma non riusciva a smettere di ingozzarsi.
Non era affamata – anzi, quasi si stava sforzando per
continuare a mangiare –, ma smettere era impossibile: una
volta fuori da là non avrebbe mai più trovato
cibi così buoni!
Arrivata al limite della capienza, il suo stomaco le dette varie volte
l’avviso che non avrebbe sopportato altro, ma lei
ricacciò indietro il rigurgito più e
più volte, finché non divenne insostenibile e
rigettò tutto, inchinandosi a terra, esattamente come aveva
fatto la grassona.
« Così mi piaci! », cinguettò
lei, felice, porgendole una torta “foresta nera” e
un coltello perché la tagliasse.
Giuliana si pulì il mento con il dorso della mano e si
rimise faticosamente in piedi, guardando il delizioso dolce che le
veniva offerto.
“Ma sì, dopotutto ho di nuovo lo stomaco libero,
no?” pensò, prendendo quanto le veniva offerto e
mangiandolo con gusto.
Il loro banchetto continuò così –
rigettando e mangiando – per diversi minuti di assoluta
tranquillità, poi successe qualcosa che rovinò
tutto.
Nel bel mezzo di quell’abbuffata pantagruelica, Giuliana fece
per prendere un muffin, ma sfortunatamente per lei, anche la grassona
aveva avuto la stessa idea e si ritrovarono a posare la mano entrambe
sullo stesso dolcetto.
« Ehi, lascialo: l’ho visto prima io »,
abbaiò la ragazza, guardando in tralice l’obesa.
« Ce ne sono tanti… », la
portò a ragionare l’altra, riuscendo a prendere il
dolce per sé grazie alla sua forza.
« Ho detto che è mio! »,
strillò l’altra.
« Ma non è l’unico »,
continuò a dire la donna, addentando il soffice muffin.
Quel gesto non fu affatto gradito a Giuliana, bramosa di avere quel
dolce tutto per sé, ché pensava le appartenesse
per diritto, e prese il coltello che aveva posato poco distante da
sé.
Fu un attimo, e la lama acuminata di quell’arma bianca venne
infilzata nello stomaco della grassona, dal quale cominciò a
fuoriuscire sangue color cioccolato.
Solo dopo, quando l’obesa cadde a terra di schiena agitandosi
per il dolore, Giuliana si rese conto di ciò che aveva fatto
e lasciò cadere a terra il coltello, addossandosi alla
parete più lontana da lei.
« Te… Te l’avevo detto che era
mio… », balbettò, iniziando a correre
via, continuando la strada in quell’andito e tappandosi le
orecchie, non volendo sentire quelle urla di dolore delle quali lei
stessa era l’artefice e che provenivano da un uovo di
cioccolato ormai rotto, ancora incartato, che giaceva a terra,
sciogliendosi velocemente, fino a diventare un tutt’uno con
la caligine circostante.
Sconvolta dall’accaduto, Giuliana corse veloce
sull’asfalto, in mezzo a quel labirinto di nebbia. Non sapeva
dove stesse andando, ma di una cosa era certa: voleva andarsene quanto
più lontano possibile da quelle urla che ancora le
riecheggiavano in testa.
“Questo posto è un incubo!”,
pensò, correndo per quell’immenso ed intricato
labirinto dalle impenetrabili pareti bianche.
D’un tratto, però, tutto quel candore immacolato
venne sporcato da una figura completamente nera, che Giuliana vide
attraversarle la strada parecchi metri più in fondo, come se
anche lei stesse cercando la via d’uscita.
« Ehi! », la chiamò ad alta voce,
sollevando un braccio, mentre le parole della grassona di poco prima le
tornarono in mente: “Ma
sono certa che la dama nera lo
sa”. « Ehi! », la
chiamò di nuovo a gran voce, e la figura scura
tornò indietro sui suoi passi, affacciandosi
nell’andito dai muri di foschia.
Non disse una parola, attese solo che Giuliana la raggiungesse a fiato
corto.
« Sei… Sei tu la… la dama nera?
», annaspò la ragazza, poggiando le mani sulle
ginocchia a causa della fatica.
« Sì. Sono io », rispose
l’altra in tono calmo, ma con la voce ovattata.
Giuliana alzò il viso e notò che la dama era
vestita tutta di nero, ed indossava una maschera del medesimo colore
che le lasciava scoperti solo gli occhi, verdi come i suoi.
« Mi hanno detto che tu sai dove si trova l’uscita!
», esclamò la ragazza, congiungendo le mani.
« Ti prego, aiutami ad uscire da quest’incubo!
Succedono cose strane qui dentro! ».
La dama nera la guardò fissa, con gli occhi che sembravano
scandagliarle l’anima, poi annuì
impercettibilmente, iniziando a camminare.
Giuliana dapprima la seguì con lo sguardo, poi
camminò dietro di lei, sperando che fosse finalmente la
volta buona.
« Posso chiederti delle cose? », domandò
la ragazza. Ovviamente avrebbe posto domande a tutto spiano anche in
caso di risposta negativa, ma ricevette un cenno affermativo dalla
dama. « Che posto è questo? », chiese.
« Questo non è un semplice labirinto »,
disse lei. « Tutto questo è solo dentro la tua
testa », aggiunse, facendola impallidire.
« In che senso? », domandò Giuliana.
« Che tutto ciò che hai incontrato non esiste
realmente: è frutto dei tuoi ricordi o delle diverse cose
che risiedono in te », spiegò, girando di lato e
facendo così ondeggiare il suo lungo vestito corvino.
« Parla! », pretese Giuliana. « Voglio
saperne di più! Voglio sapere tutto! ».
La dama rise appena e continuò:
« Ti importa veramente di sapere queste cose? Tanto tra poco
uscirai da qui ».
« Certo che m’importa! »,
berciò la ragazza, sbattendo un piede a terra. «
Una donna psicopatica che si fa chiamare
“l’Avida” mi ha catapultato qui dove
c’è una bimba strana che mi insegue, e qualche
mostro deve averla ferita, poi c’è una pazza
narcisista e una grassona obesa! Non è un luogo normale. E
tu mi dici pure che tutto questo non esiste?! », disse in
maniera sconclusionata.
« Esatto », annuì ancora
l’altra, proseguendo a camminare tra le fittizie vie.
« Anche se non conosco nessuna donna che si fa chiamare come
dici… ».
« Mi si è presentata così »,
sostenne lei, ringhiando appena.
« Mah, sarà… ».
« Non mi hai risposto a tutte le cose che ti ho detto
».
« Quanta noia! », esclamò la dama.
« Cos’è tutta questa fame di sapere?
Stai un po’ zitta o ti lascio qui ».
A quel ricatto, Giuliana si tappò la bocca e rimase in
silenzio fino a quando, molti minuti dopo, giunsero in un ambente
più largo, come uno spiazzo, nel quale c’erano due
porte perfettamente identiche, una accanto all’altra.
« E quelle? », chiese la ragazza, assottigliando lo
sguardo. “In un labirinto c’è
un’entrata e un’uscita, ma, sicuramente, mai e poi
mai si potrebbero trovare l’una così vicino
all’altra. Dunque cosa sono?”, pensò.
« Sono le due uscite », rispose la dama.
« Perché sono due? Non è
normale… ».
« Oh, Invece lo è… Devi solo trovare
l’uscita giusta ».
Giuliana la guardò irata, e la prese per le spalle,
scuotendola senza garbo.
« Dimmi qual è l’uscita giusta!
», urlò. « Non voglio rimanere in questo
posto di psicopatici un solo secondo di più! E poi chi
è il mostro che ha deturpato quella bambina?! ».
Giuliana scrollò talmente forte quella figura in nero che la
maschera di creta le cadde, finendo a terra e spaccandosi in mille
pezzi, svelando così il volto della dama: la perfetta copia
del viso di Giuliana.
« Che… che cos’è questo
scherzo?! », pose la ragazza con voce stridula, lasciando
andare le spalle della dama ed allontanandosi di qualche passo.
La figura in nero sorrise in maniera raccapricciante e
iniziò a diventare evanescente e grigiastra, come se fosse
composta da nebbia.
« Hai saziato la tua smania di sapere? », le chiese
in un sospiro che sembrò brezza leggera. «
Comunque sono certa che tu sappia chi ha ridotto così quella
bambina… Dopotutto, io sono te… »,
aggiunse piano, sparendo totalmente dai suoi occhi .
Giuliana non mosse un muscolo – non sbatté nemmeno
le palpebre – e fissò il punto vuoto dove prima
c’era una copia di se stessa.
« Ma che posto è questo? », si chiese,
tornando indietro d’un passo e andando a sbattere contro
qualcosa di morbido e caldo, contrasto che la fece girare di scatto con
occhi sbarrati dal terrore, pensando che fosse il mostro che aveva
menomato quella bimba, trovandosi invece faccia a faccia con un
personaggio a lei già noto.
« E così sei riuscita a giungere fino a qui,
señorita
». Avrebbe riconosciuto dappertutto
quell’inconfondibile voce dall’accento spagnolo,
quei lunghi capelli biondi e quelle iridi color acquamarina.
« Tu… », soffiò Giuliana,
riducendo gli occhi a due fessure. « Avida, il gioco
è bello quando dura poco! Fammi uscire! »
strillò, ma la sua interlocutrice non perse la calma.
« Avida? Yo?
Ahah… », rise, buttando
indietro la testa e facendo così dondolare i suoi crini
dorati. « Sei quasi arrivata all’uscita. Devi solo
scegliere una di quelle dos
puertos », le ricordò,
indicando le uscite perfettamente identiche.
« Sono uguali! Cosa dovrei fare? Tirare una moneta e fare
“testa o croce”? », le domandò
la ragazza, stringendo i pugni e digrignando i denti.
« No, no son
iguales ». Appena la donna
finì di dire quelle parole, nella porta di sinistra rispetto
a loro comparve una luce, mentre in quella di destra
continuò a regnare il buio. « Ora dimmi,
cos’è successo da quando sei arrivata qua?
».
« Che te ne frega? », chiese Giuliana, sbuffando e
facendo già per scegliere una porta da varcare, ma venne
fermata per un braccio dalla donna.
« Non ti lascerò andare via da qui
finché non mi risponderai », la
avvertì.
Così Giuliana, a denti stretti, dovette rispondere a quella
domanda, camuffando ovviamente parte della verità o sarebbe
stata accusata di vari crimini.
« All’iniziò ho incontrato una Narcisa
con il vizio del gioco che ha barato, facendomi perdere un sacco di
soldi, e che ha tentato di corrompermi sessualmente; poi una donna in
soprappeso mi ha fatto mangiare cioccolato fino a vomitare e sono
scappata via sconvolta; infine ho incontrato una copia di me stessa che
mi ha condotto fino a qui », disse concitata. « E
poi c’è una bambina orribile che mi dà
il tormento! ».
A sentire quelle ultime parole, la donna rise:
« ¿Te
refieres a esa niña? »,
chiese, indicando il portale che dava verso
l’oscurità.
Lì c’era la bambina in questione –
materializzata quasi per magia –, talmente sporca che non le
si vedeva la pelle, coperta di terra, fango, orme di scarpe, sangue
rappreso, liquido seminale, pus e inchiostro nero. La ferita sulla
testa ancora sanguinava e se n’era creata una seconda
all’altezza del suo stomaco; l’occhio non era
tornato in sede e teneva in mano una bambola dai capelli rossi, vestita
con un abito del medesimo colore.
Un urlo di Giuliana squarciò il silenzio che si era andato a
creare.
« Via! Vai via! Mi fai ribrezzo! », disse
spaventata.
La bambina ci rimase male ed abbassò la testina, mentre due
lacrime le rigavano il volto scavato.
« Si può sapere chi l’ha ridotta
così?! », chiese Giuliana, portandosi una mano
alla bocca.
« Estàs
seguo de non saperlo e di voler, quindi,
colmare questa tua lacuna? », le chiese la bionda.
« Anche tu con questa storia?! Certo che non lo so! Potrebbe
essere ancora qui quell’essere immondo! ».
« Sì, è ancora aquì
», rispose la donna, guardando Giuliana in faccia.
« Sei tu ».
La ragazza rimase senza parole, guardando la sua interlocutrice come se
fosse pazza, quindi ella continuò:
« Tu sei una persona che desidera muchas cosas, ma
lo fai nel
modo più sbagliato che ci sia: cibo, soldi, vestiti,
trucchi, macchine, cellulari, amanti, conoscenza. Il tuo desiderio
è
obsesiòn, una obsesiòn tan fuerte
che distorce la realtà intorno a te e fa
evaporare il tuo
raziocinio ». Prese fiato, mancava poco all’atto
finale. « Tu esigi automobili e aggeggi tecnologici in
quantità, compri vestiti che non ti staranno solo
perché sono belli, arrivi a rubare del dinero per avere
una
cosa che non ha quel valore, uccidi por un tozo de torta,
mangi fino a
sentirti male, maltratti le persone per avere informazioni, vuoi il
sesso – o l’amore che sia – con
più persone perché non ti accontenti e non vuoi
stare sola. E sei terribilmente gelosa degli altri, perché
loro hanno quello che vorresti avere anche tu ».
Giuliana fece un ringhio basso, strisciando un piede a terra.
« Non è vero... », sibilò.
« Invece sì, e lei, la tua coscienza, ne
è la prova », disse, indicando la bambina.
« Conciencia,
hai qualcosa da dire? », le chiese.
La bimba scosse la testa, continuando a piangere piano.
“Quella è la mia coscienza... sporca?!”,
pensò Giuliana, sconvolta, prima di attaccare verbalmente
quella donna. « Mi sono stufata delle tue cazzate!
»
« Pensala come vuoi, comunque ora devi scegliere la tua
strada... », le disse, indicando le porte con un gesto
plateale del braccio.
Davanti all’uscita buia c’era la bambina
– la sua coscienza –, mentre davanti a quella
luminosa non c’era nulla ad ostacolare il suo cammino.
« Giuliana? », la chiamò la bimba,
alzando la testina e guardandola con i suoi terrificanti occhi.
« Se vieni da me, insieme potremo migliorarci... Devi solo
ascoltare la mia voce... Ti condurrò io nel buio e ti
porterò a casa… », bisbigliò
flebile, ma la ragazza scosse la testa, facendo ondeggiare i suoi
capelli neri.
« Mi dispiace per te, Avida, ma non ci casco! »,
urlò alla donna, correndo poi verso la porta di sinistra,
quella dove poteva vedere la luce.
« Io sarei “Avida”, eh? »,
chiese la donna tra se e sé, sorridendo. « Io non
sono l’avida, Yo
soy la vida... E tu mi hai girato il volto.
Sei una persona avida di tutto, Giuliana Bianchini, ma non lo sei stata
di vida.
Volevo darti un’altra oportunidad,
ma tu mi hai
girato il volto, senza escuchar nemmeno la tua coscienza, ridotta
peggio di uno zerbino... Avida come sei, hai scelto anche la strada
più facile da percorrere…
Adiós…
», sussurrò, mentre
la coscienza piangeva e la sua figura diventava sempre più
fioca, fino a scomparire, e la ragazza si buttava a capofitto verso
quella luce, sorridendo come mai aveva fatto in vita sua, felice di
essere finalmente fuori da quell’incubo.
L’ultima cosa che vide fu una luce abbagliante.
Abbacinante.
E poi…
…il
buio.
Lo Strillone del
Quartiere, 10 ottobre 2011
UN
SUICIDIO AVVOLTO
NEL MISTERO
Il camionista
che
l’ha travolta: «Non
dimenticheremo mai il sorriso che aveva sul volto.»
Quella
che si credeva essere l’ennesima vittima del Sabato
sera, in realtà nasconde macabri particolari che fanno
aprire la pista del suicidio. Giuliana Bianchini, studentessa bolognese
di ventitré anni, alle ventitré e trenta di eri
notte stava rientrando a casa dopo una tranquillissima serata fuori con
gli amici, ma non è mai riuscita a giungere alla sua dimora.
Il gasolio che aveva nel serbatoio non le era bastata per raggiungere
il benzinaio poco distante e la macchina le si è fermata in
mezzo alla strada, proprio dietro una curva.
«La nebbia ieri notte era particolarmente fitta e avevamo
serie difficoltà a guidare, tanto che, nonostante i
fendinebbia, ci sentivamo molto insicuri e procedevamo con
cautela», ha spiegato il camionista che l’ha
investita. «Malgrado ciò, non siamo riusciti ad
evitarla.»
A confermare la versione dei fatti di Nino Gambula, camionista da
ventisette anni presso la ditta “Carlo Traslochi”,
è il collega che sedeva accanto a lui, il Dottor Mattia
Rossi.
«Nei viaggi particolarmente lunghi siamo almeno in due a
guidare; la nostra azienda è molto attenta e lavora sempre
in sicurezza», spiega il signor Rossi. «Non eravamo
stanchi e Nino mi aveva appena dato il cambio alla guida. Quella povera
ragazza, semplicemente, doveva essere in forte stato confusionale,
perché era distante parecchi metri dalla propria auto e non
aveva posizionato nemmeno il triangolo di segnalazione.»
Gli inquirenti, infatti, hanno trovato il triangolo ancora nel
bagagliaio dell’auto e non riescono a spiegarsi cosa ci
facesse Giuliana lontana dalla propria macchina con la cortina di
nebbia che impediva la visuale.
Ma c’è un particolare raccapricciante ritrovato
sul corpo della vittima che apre la strada verso la pista del suicidio
e non dell’incidente. |
«Lei era in mezzo alla strada, e quando ho girato
l’angolo era distante solo pochi metri. Speravo –
pensavo – che si spostasse, perché se avessi
sterzato avrei fatto ribaltare il camion, ma lei è rimasta
ferma. Ero sicuro che mi avesse visto perché si è
girata verso di me e ha sorriso. Poi, improvvisamente ha iniziato a
correre verso il camion e io non sono riuscito ad evitarla»,
racconta il conducente dei veicolo alla polizia che lui stesso ha
chiamato, insieme al 118, dopo aver investito la ragazza.
«È stato terribile», aggiunge il collega
del guidatore. «Correva verso di noi, felice come se avesse
visto un amico che non incrociava da molto, o un’immensa
quantità di denaro. E poi… Povera
ragazza», il suo racconto si interrompe qui.
Chissà quali atroci problemi affliggevano l’anima
di questa ragazza che ha preferito suicidarsi piuttosto che continuare
a vivere.
Non sapremo mai se in quella notte aveva assunto psicofarmaci, aveva
bevuto troppo o aveva fatto uso di droghe, in quanto i genitori non
hanno voluto sottoporre il corpo all’autopsia per
accertamenti.
«È morta, e l’autopsia non la
porterà di certo indietro», ha detto la madre,
ancora in stato di choc.
I medici che hanno soccorso per primi la ragazza,
però, hanno dichiarato di aver trovato numerose ferite sul
corpo di Giuliana, alcune di esse già cicatrizzate, altre
risalenti a poche ore prima dalla morte. «Non erano tagli
mortali, ma sicuramente erano un segnale esterno della sua sofferenza
interiore», ci spiega il volontario della croce rossa che
l’ha soccorsa per primo.
«Quel tipo di lesioni sono molto comuni tra gli
“emo”», racconta Don Giorgio, fratello
maggiore di Giuliana. «Se solo fosse venuta da me a confidare
le proprie pene e a chiedere aiuto, probabilmente tutto questo non
sarebbe mai avvenuto.» |
Eleonora Piano, quella fredda mattinata di domenica 10
ottobre, stava
versando calde lacrime sul giornale che era andata a comprare per il
padre al tabacchino vicino a casa, intanto che leggeva la notizia della
morte della sua amata Giuliana.
« Perché? Perché,
Giù…
», piangeva, stringendo i fogli di
carta di pessima qualità e sporcandosi di inchiostro al
piombo i palmi delle mani spaccate dal gelo.
Le lacrime le appannavano la vista, coperta inoltre dal quotidiano,
mentre si avvicinava alle strisce pedonali per attraversare la strada,
e non si accorse di una donna dai lunghissimi capelli biondi che le si
era affiancata, vestita con un elegante frac.
« Hola.
È strano vedere qualcuno che legge en el
medio de la strada… », le disse in
uno strano
accento spagnolo, facendola girare verso di sé in modo che i
suoi occhi mogano si specchiassero in quelli acquamarina della donna.
« Non mi sembra che sia saggio: rischi di andare a sbattere
contro qualcuno... o qualcosa potrebbe andare a sbattere contro di
te… ¿no
es así, señorita?
».
§Fine…?§
XShade-Shinra
|