"E' perché ho fatto sorvegliare Alex?"

Neal lo osserva in silenzio un istante, anche se in quell'attimo gli passano in testa decine di immagini di vita quotidiana che hanno passato insieme in quei pochi giorni, fino a soffermarsi sulla scena che più di tutte vorrebbe cancellare dalla sua memoria.

Neal era appena tornato a casa. Era nella cabina armadio, per mettere a posto alcuni dei vestiti puliti di Byron, quando anche Peter rientrò.
Non credeva sarebbe arrivato tanto presto e, senza saperne il reale motivo, non uscì dalla cabina nemmeno quando il federale lo chiamò.
Sentì Peter vagare per la stanza e, poi, accertatosi della sua assenza, andare in bagno.
Neal si prese ancora alcuni minuti quindi, rassicurato dallo scroscio dell'acqua nella doccia, uscì, ma se ne pentì quasi subito.
Per tornare in cucina, doveva passare davanti alla porta del bagno e nel fare ciò venne bloccato da dei rumori che aveva sentito.
Inizialmente preoccupato, si accorse ben presto che quei versi erano dei gemiti molto poco equivocabili, e per niente salutari per la sua psiche già provata da quella convivenza forzata.
"Neal."
Il truffatore si gelò all'istante, temendo di essere stato scoperto a spiarlo, anche se non lo aveva fatto apposta.
Quando, però, si accorse che non era quello il motivo per cui il suo nome era uscito dalle labbra eccitate dell'uomo - e, Dio, quasi poteva vederlo - fece per allontanarsi il più in fretta possibile.
"Cazzo."
Quell'altra singola parola era stata pronunciata caricandola di un profondo senso di diniego, il tono secco e arrabbiato con sé stesso - Neal riusciva a sentirlo dentro -, penetrò in profondità nel suo essere, non lasciando alcun dubbio su quale fosse il pensiero di Peter su quanto appena successo.

"E' per così tanti motivi, Peter."
E non riesce ad aggiungere altro, non può farlo, mentre gli rende anche il pallone da basket.