Sfruttato un po' di iniziative e una
richiesta esplicita di Shu per mettere al muro Grion e farlo parlare
da protagonista, per una volta. Diciamo che dovrò riprovarci
con più
convinzione XD
Inizia comunque a essere una presentazione del personaggio,
così come Daira e Tesse hanno avuto le loro.
Come terra che scorre
Tre anni in città e Grion è ancora
uno straniero. Lo straniero, per quelli cui non si
è curato
di confidare il suo nome, e nessuno si cura di correggerli. La
definizione calza.
Verso il tramonto, nella pausa fra le
incombenze della giornata e i parchi doveri di una cena per uno, i
piedi si attardano all'attracco commerciale di Catris, l'unico sbocco
che la Città Chiusa concede al resto della
civiltà. È un mare di
sabbia quello che si scorge dall'unico valico delle sue mura
imponenti, vecchie come la memoria, e coppie di cavi sospesi si
stendono dal porto fino all'orizzonte, guidando vascelli senza
equipaggio salpati da paesi che i nativi conoscono solo nelle fiabe.
Chi pone piede entro le mura vi è intrappolato: gli unici
clandestini che giungono dal deserto sono condannati in fuga da
prigioni più strette o esuli stanchi di una vita in viaggio.
Non che
Grion si aspettasse di cominciare un'esistenza diversa: fa quello che
ha sempre fatto. Tira avanti.
La luce bronzea della sera si adagia
sulla pietra intagliata e Grion si sente un sonnambulo in un mondo
che dorme. La vita accade e lui le scorre a fianco.
I moli sono coperti di rumore; c'è uno
sfregare di denti e lingue che attutisce i suoi suoni più
profondi
della città. La gente si perde nel brusio e gira in circolo,
in una
coltre ovattata da muro a muro, con i bastioni come unici punti fermi
in quelle esistenze fluttuanti e sempre uguali. Grion osserva gli
altri e sa di osservare se stesso, non pretende di dare un senso ai
suoi giorni e alle sue brevi peregrinazioni serali, ma si consola
nella consapevolezza di non cozzare, non grattare, non riempire
l'aria fuorché con la sua sagoma allampanata.
Accade a volte che osservare non basti
e ci siano delle idee piccole, lineari, di cui vorrebbe mettere a
parte il suo prossimo. Sente le parole agitarsi in gola. Non sono
sue: non ricorda le parole d'infanzia che rispettava nella loro forza
semplice. Ora è pieno di parole altrui che ha accettato,
sopportato,
preso in prestito. Lotta per fermarle e comporle in forme che abbiano
un senso, ma sono consunte: parole usate, che scivolano l'una
sull'altra senza una forma definita e tornano a rimestarsi sul fondo.
Allora le prende una ad una e le scava, gettando il superfluo, cerca
di intagliarle secondo l'eleganza e l'acume originari, lontano
dall'usura del quotidiano per dare forma a un pensiero, ma quando
sente che il lavoro di lima è adeguato si trova a prendere
fiato e
finire in niente.
C'è una bambina che gioca spesso sui
moli a quell'ora, prima che la madre chiuda l'officina e la porti a
casa in spalla, ridente. Quando un giorno prende coraggio e gli
chiede tutta rossa, con un inchino, perché stia sempre zitto
e solo,
Grion la guarda serio e ci riflette e si allontana con una scrollata
di spalle che vuol essere una risposta.
Forse non ha niente da dire.
Il problema di quest'uomo è che si gli metti accanto
qualcuno gli ruba subito la scena e se non gli metti accanto nessuno
sta lì fermo. =/ Ha bisogno dei suoi spazi per venir
espresso, infatti nei nove capitoli di Verso Zanarkand mi sembrava
fosse riuscito a dir qualcosa... oh, verranno altre long.
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