A Eù,
cui l'autrice deve un bacio ogni giorno.
What a
bored Shinigami can do
Prologo
Four different personalities
Ogni
volta la stessa storia. Roger, dopo diversi anni, si era detto che
doveva smetterla di preoccuparsi: non ve n’era mai una
concreta ragione. Ogni volta, era
sempre la stessa storia. L accettava un caso, qualcuno
cercava di ucciderlo, e allora Roger dava fuori di matto!, ma nessuno
ci andava mai nemmeno vicino. Dopo di che L ritornava alla
Whammy’s House, anche solo per un breve periodo, e non faceva
altro che vantarsi velatamente di quanto fosse abile, scaltro e
intelligente. Certo nel caso Kira aveva realmente rischiato, avevano
perso Watari e per di più L aveva pensato bene di
coinvolgere anche Near. Aveva risolto il caso, ma questo non
lo avrebbe comunque scagionato dalla freddezza di Roger al suo ritorno.
Mello era andato su
tutte le furie. Per due mesi era stato intrattabile e non aveva parlato
con nessuno a parte Matt. Tuttavia anche a lui rispondeva in modo
sgarbato, gridava per ogni piccola cosa, picchiava i compagni per un
non nulla. Finché il caso non fu terminato. Matt, per parte
sua, fu felicissimo che la cosa si fosse risolta relativamente presto
perché non poteva sopportare Mello in quello stato,
così si limitava a giocare con il suo game boy e
rinchiudersi nel mutismo ancora più spesso del solito. Non
che facesse molto per alleviare lo stato mentale di Mello, anzi la sua
totale indifferenza a quella che lui chiamava la più grande
ingiustizia del mondo rendeva il ragazzo ancor
più collerico.
Quella volta, dopo
aver parlato con Roger per lungo tempo della gestione della
Whammy’s House, L decise che aveva bisogno di riflettere come
si deve. Andava spesso all’orfanotrofio, ma pochi dei bambini
sapevano chi lui realmente fosse. Molti credevano che si trattasse di
un giovane amico di Watari che ogni tanto andava a trovarlo. Mello e
Near sapevano la verità solo perché erano
perennemente in lotta per il posto di successore, ed L qualche anno
prima aveva espresso il desiderio di parlare con loro faccia a faccia.
Quando si erano trovati di fronte il cosiddetto amico di Watari
Mello era quasi svenuto. Sapere che aveva avuto di fronte L per tutto
quel tempo senza mai scambiarci nemmeno una parola era stato per lui un
tremendo affronto. Near era rimasto stupito, ma aveva preferito non
darlo a vedere. Per Matt era diverso invece: lui già sapeva,
da sempre. Quando L stava per lasciare la Whammy’s House per
la prima volta, lui ci era appena arrivato. Non ci era voluto molto per
fare due più due e notare che i titoli sui giornali, recanti
la buona risoluzione del caso famigerato detective L, coincidevano con
il ritorno dello stesso L, il piccolo e per nulla famoso ragazzino
della Whammy’s House.
Matt, come i suoi
vistosi capelli rivelavano, era di origini irlandesi. I suoi genitori
erano due giovani ragazzi profondamente innamorati come solo degli
adolescenti possono esserlo, e come tali inesperti e impreparati.
Avevano tutti e due solo sedici anni quando lui era nato, arrivato come
un fulmine a ciel sereno nelle loro vite spensierate, ma accolto con
calore un pizzico di timore che nessun genitore si
è mai risparmiato. Per qualche tempo Matt era rimasto
assieme a loro, abbastanza tempo persino per ricordarsi di
com’erano, soprattutto i loro volti. Non aveva foto dei suoi
genitori, però conservava il vago ricordo di una minuscola
casa che odorava perennemente di fritto misto a vino, e quando tentava
di immaginarli riusciva a farlo con tratti idealistici mischiati a
vaghe consapevolezze: vedeva due ragazzetti dal sorriso facile che lo
facevano ridere di continuo. Matt era troppo piccolo per ricordare
anche le occhiate cariche di rancore che ogni tanto i due si
lanciavano, così come aveva scordato le interminabili ore
nelle quali lo lasciavano solo. Rimase con loro quasi fino
all’età di sette anni finché un giorno,
semplicemente, sparirono. Solo dopo diversi anni Matt si era reso conto
che non si era trattato certo di un caso. A loro non era accaduto
niente per non farli tornare a casa la sera, non un incidente, non una
rapina. E Matt era rimasto nella casa vuota, stranamente fornito di
enormi pacchi di panini, dolci, bevande, latte, carne in scatola,
patatine, caramelle, prosciutto, e una marea di altri cibi a lunga
conservazione per una scorta che sarebbe potuta durare per molto tempo
ancora. Si era chiesto dove fossero finiti i suoi genitori. Per la
prima settimana. Dopo di che aveva smesso di aspettarli e aveva
cominciato a riversare il suo talento artistico sulla casa, disegnando
sopra i mobili, le pareti, il divano, la televisione (cosa di cui poi
si era amaramente pentito) e il parquet scivoloso. Dopo diciannove
giorni qualcuno bussò alla porta. Matt aprì,
perché nessuno dei suoi genitori gli aveva mai spiegato che
non si apre agli sconosciuti, e così si ritrovò
davanti un signore dall’aria gentile che disse di chiamarsi
Watari. Pochi mesi dopo l’arrivo di Matt alla
Whammy’s House L se ne andò per la prima
volta dall’orfanotrofio, a risolvere un caso che fu
poi soprannominato ‘Trinity’*. Mentre la leggenda
di L si diffondeva e i ragazzi crescevano, arrivarono Mello e Near.
Mello era di tre anni minore di Matt, Near di quattro.
Non erano mai stati un
gruppo omogeneo, L era il più grande di tutti e spesso stava
via per molti mesi. A venticinque anni non aveva ancora imparato a
gestire la sfera dei rapporti sociali né a vivere in maniera
umanamente accettabile, cosa ampiamente dimostrabile dalle sue numerose
stramberie. Ogni tanto gli sarebbe piaciuto sapere bene che cosa
c’era in lui che lo rendeva diverso dagli altri. Aveva sempre
visto la gente attorno a sé divertirsi tutti assieme,
cercare di amalgamarsi gli uni con gli altri per entrare a far parte di
questa società. Lui assieme agli altri si sentiva solo a
disagio, come se tutti potessero vederlo in ogni suo singolo movimento,
pronti a deriderlo al minimo accenno di quella sua evidente
singolarità. Per questo preferiva stare solo, pensare per
conto suo e cavarsela con i suoi mezzi. C’erano ben poche
persone con cui riusciva a sentirsi bene, e le si potevano
contare sulle dita di una mano.
Subito dopo di lui
c’era Matt, vent'anni. Assolutamente fuori dal mondo per
quanto riguardava il parlare con gli altri; passava la maggior parte
del suo tempo a giocare con qualsiasi gioco elettronico. Per lui i
computer non avevano segreti: da quando aveva preso in mano il primo pc
si era reso conto che quegli apparecchi erano molto più
comprensibili di qualunque essere umano. In poco tempo era riuscito a
capire da solo quello che un tecnico doveva studiare per apprendere, e
in pochi anni era diventato un hacker professionista. Adorava entrare
nel computer di altre persone, solo per vedere se sarebbe riuscito a
non farsi scoprire, e per una certa sua propensione a ficcanasare.
Certe volte scombinare i file di un computer era la cosa più
divertente che potesse fare in tutta una giornata. Certo quel lavoro
accurato lo faceva solo con chi gli stava antipatico o con chi, secondo
la sua personalissima teoria
della giustizia, se lo meritava. Altrimenti gli piaceva
entrare nel database di grande organizzazioni, come ad esempio aveva
fatto con la marina inglese. Creava anche programmi suoi mirati al solo
scopo di distruggere in pochi secondi un pc e renderlo inutilizzabile
senza via di scampo. Era famoso in rete per questo, ed era conosciuto
con il nome di Fermat.
Gli piaceva il nome Fermat: era il nome di un matematico del 1600 che
era riuscito a far diventare tutti matti con una semplicissima
variazione del teorema di Pitagora. La dimostrazione la sapeva solo lui
ma non l’aveva mai detta ad anima viva. Molti suoi colleghi
si erano spaccati il cervello per confutare il suo teorema, ma nessuno
di loro ci era mai riuscito. A Matt piaceva pensare di essere come
Fermat, l’hacker che mandava tutti nel caos ma che nessuno
riusciva a fermare.
Mello, invece, a volte
cadeva nella più profonda depressione. Soprattutto quando L
tornava alla Whammy’s House. Viveva nella continua speranza
di superare Near per poter diventare l’erede di L. E quando
se ne rendeva conto la sua vita diveniva ad un tratto insignificante.
Possibile che non avesse un altro scopo? Qualcos’altro di
meglio da fare? Forse diventare l’erede di L non doveva
essere il massimo delle sue ambizioni, forse dover prendere il posto di
qualcun altro non era proprio il massimo in generale. A volte si diceva
che doveva crearsi uno scopo tutto suo, come ad esempio diventare il
più grande inventore del mondo, in questo modo al posto di
risolvere casi come detective sarebbe potuto diventare lo scienziato
più importante: avrebbe scoperto un sacco di nuove formule e
cose del genere. Quasi si vedeva già mentre le persone lo
idolatravano. L’importante,
si diceva, è
comunque essere il numero uno in quello che faccio, qualsiasi cosa
faccia. Che senso ha altrimenti fare qualcosa se non si è i
migliori? Ad esempio L è il miglior detective del
mondo… E di nuovo tornava a ruotare attorno
all’argomento L, era come la luna che ruota attorno alla
terra; non può fare a meno di farlo perché
è nella sua natura. Recentemente Mello desiderava essere un
po’ più grande del satellite che fino ad allora
aveva interpretato.
Infine,
all’alba dei suoi quindici anni, Near ancora non aveva
formulato pensieri filosofici di alcun genere. O almeno, pensieri
filosofici inventati di suo pugno. La cosa che più Near
preferiva era di sicuro imparare. Fin da piccolo si era interessato
alla geografia e alla storia poi, un po’ più
grandicello, alla matematica e alla fisica. La sua più
recente passione era diventata la filosofia. Forse perché
era inconsapevolmente entrato nella sua fase adolescenziale che,
volente o nolente, anche un genio deve passare; fatto sta che gli
sembrava che la filosofia fosse una branca di conoscenza che andava al
di là di qualsiasi altra cosa. Conosceva moltissimi
filosofi, le loro teorie e la loro vittorie, sapeva a menadito tutto
ciò che avevano detto Socrate, Nietsche, Marx, San Tommaso,
Kant, e potrei continuare a citarne altri. Ma quel che non riusciva a
ficcarsi in testa assieme a tutte quelle teorie era la ragione
fondamentale della filosofia: il perché.
Perché tutti questi uomini si erano dedicati a studi di quel
tipo? Il significato della vita, l’essenza
dell’esistenza, Dio, l’amore, il sentimento.
L’uomo! L’uomo, secondo Near, non aveva niente di
particolare: era solo un ammasso di cellule e sangue, a volte bello, a
volte persino brutto. Scoprì con molta difficoltà
di essersi sbagliato. Si era reso conto di potersi rispecchiare in
certe cose che un uomo barbuto aveva detto secoli addietro. Come poteva
essere che in un tempo tanto lontano, in una società tanto
diversa, ci fossero cose nel genere umano che non erano mai cambiate?
Near si chiese se per caso l’uomo non fosse davvero un
argomento di studio che valesse la pena trattare. A volte a forza di
pensare si diceva che gli studi dei grandi filosofi erano soltanto
parole vuote dette da persone che non avevano nulla da fare se non
perder tempo. Altrimenti perché dedicarsi a capire qualcosa
che sappiamo già in partenza non potremmo mai vedere
davvero? Near non lo sapeva. Era probabile che tutto il fascino che
provava per quella nuova appassionante materia di studio provenisse
solo dal fatto che non era qualcosa di logico che poteva imparare a
memoria e poi manovrare con sicurezza. Non c’erano regole
nella filosofia, non c’era giusto o sbagliato. Tutto
dipendeva dalla capacità di ragionamento di una persona e da
una non indifferente capacità sofistica.
Quattro persone con
quattro differenti personalità. Andavano d’accordo
per quando dovevano stare assieme poche ore al giorno. Spesso ognuno si
faceva i fatti propri, ma fra loro si capivano. Chissà se
sarebbero stati in grado di resistere ad un incontro ravvicinato,
conoscendosi a fondo?
L passò in
cucina, si fece tagliare una generosa fetta di torta e andò
nel cortile interno a sedersi su una panchina. Si mise a mangiare,
rimuginando su cosa avrebbe voluto fare. Il caso Kira gli aveva fatto
capire diverse cose: era per la prima volta divenuto consapevole della
sua esistenza fisica e del fatto che il suo istinto di attaccamento
alla vita non era ancora scomparso del tutto. Nonostante lavorasse come
detective e avesse a che fare molte volte con omicidi, suicidi, feriti
gravi e situazioni del genere, non gli era mai successo di essere lui a correre il
pericolo. Aveva inconsciamente sviluppato un ideale errato, e
cioè che lui fosse quasi una sorta di intoccabile incognita
nel mondo, quel mondo che andava avanti attorno a lui come se non
esistesse nessun L, come se non intaccasse il divenire delle cose, come
se fosse solo un punto immobile in tutto quel divenire, un punto
comparso venticinque anni fa che prima o poi sarebbe sparito senza che
quello stesso mondo che gli si muoveva attorno se ne accorgesse o ne
sentisse la mancanza. Questo gli aveva fatto gradualmente perdere la
cognizione del suo essere umano, con dei progetti per il futuro, delle
passioni, delle voglie, delle paure e dei rimorsi. Ma quando si era
giocato il tutto per tutto, quando si era esposto per la prima volta
-all’inizio essendo sicuro che non ci fosse nessun pericolo,
ma poi azzardando sempre di più- aveva sentito, forse per la
seconda volta in tutta la sua vita, la paura. Aveva
creduto di morire, aveva visto Watari morire, e
all’improvviso gli erano tornati alla mente tutti i sogni che
aveva da bambino, i progetti dell’adolescenza e poi il buio,
che era arrivato con la prima età adulta come un manto
oscuro a coprire tutto ciò che era stato. Quando grazie
all’aiuto di Near era riuscito a smascherare Light Yagami e a
catturarlo la sua anima aveva tirato un grosso sospiro di sollievo e
aveva deciso che ci avrebbe pensato.
Mantenne la promessa.
Pensò a lungo, seduto nel cortile interno, finché
il sole non divenne arancio intenso vicino all’orizzonte. La
decisione che prese fu: avrebbe fatto una pausa dal lavoro di
investigatore, per capire se voleva continuare a perseguire il suo
sogno di ragazzino o se per caso agognava altri progetti. Nel
frattempo, siccome non gli andava di rimanere troppo solo a rimuginare,
sarebbe rimasto alla Whammy’s House.
Le inconfondibili
ciocche così chiare da sembrare quasi bianche, ad un primo
impatto sembrarono a Mello il frutto di un’allucinazione. Si,
di sicuro quel nano in pigiama era entrato nel suo cervello con una
tale forza da rimanerci. Poi, quando vide che la visione non
scompariva, guardò esterrefatto Near salire la scale assieme
a Roger, trascinandosi dietro un piccolo trolley e un pupazzo fra le
braccia. Mello si chiese a cosa diavolo gli servisse il trolley se
indossava sempre solo il pigiama. Forse ne aveva dieci tutti uguali.
Ciò che stupì più di tutto Mello fu
che quando lo vide non lo colse la rabbia che per quasi due mesi lo
aveva fatto impazzire, piuttosto tutto sbollì
all’improvviso. Era a conoscenza del fatto che sia lui che L
avevano rischiato la vita nel caso Kira e, in un certo senso, era
felice che non gli fosse successo nulla, anche se restava comunque il
nano che gli usurpava il primo posto. Per prima cosa Mello si
recò in biblioteca a posare dei libri che aveva terminato di
leggere, in una calma che stupì persino sé
stesso. Poi andò verso la camera di Near e quando questi gli
aprì la porta il ragazzino esordì con un:
“Mello. Immaginavo che fossi tu”.
“Posso?”,
domandò Mello senza staccare lo sguardo da lui.
“Certo”.
Mello entrò
nella stanza. Ci era stato tante volte, e poche di sua spontanea
volontà. Molte volte perché Roger lo aveva
obbligato a chiedere scusa a Near per qualche stupido scherzo che gli
aveva fatto, altre volte invece riuscivano pacificamente a parlare,
anche se non mancava mai un po’ di astio. Ad
un’analisi superficiale i due si odiavano con tutto
l’animo. In realtà potevano definirsi amici.
“Quindi ce
l’avete fatta”, esordì Mello come se la
faccenda non lo interessasse veramente.
“Si.”
“Ce
l’hai fatta.”
Near esitò.
“Si.”
Mello fece un debole
sbuffo e distolse gli occhi di ghiaccio da quelli neri come il carbone
di Near. Aveva sempre giudicato incredibile che avesse i capelli
bianchi come il latte, la carnagione di una mozzarella, eppure avesse
quei grandi occhi neri e profondi, che scrutavano la gente con
attenzione, senza giudicare ma con un’intensità
che riusciva a scombussolarti tutto.
“E
ora?”, domandò Mello.
“L non mi ha
detto niente. Non credo di essere diventato il suo erede a vita, se
è questo che ti preoccupa.”
“Non sono
preoccupato”, disse Mello a denti stretti. Odiava Near quando
faceva così. Capiva i suoi punti deboli e glieli faceva
notare con noncuranza. Gli faceva capire che lui li vedeva facilmente,
e che sapeva dove colpire.
“Vuoi sapere
com’è stato? Lavorare con L?”
A quel punto il lato
razionale di Mello, che già di per sé era poco,
andò completamente a farsi benedire. Prese Near per il
colletto e lo sbatté contro la parete. Near per tutta
risposta si lasciò trascinare dolcemente, un po’
perché non se lo aspettava e non ebbe tempo di reagire,
d’altra parte lui non reagiva mai, si faceva semplicemente
trascinare via dalla vita e dalle sue situazioni.
“Mi stai
prendendo in giro per caso?!”, gli urlò in faccia
Mello. “Certo che voglio saperlo! E mi fa incazzare da matti
il fatto di non essere stato scelto!” Rimase a due centimetri
dal viso pacato e per niente sconvolto di Near poi, allontanandosi da
lui con un gesto secco di stizza, fece per andarsene.
Prima che potesse
aprire la porta Near lo fermò. “Mello”,
disse con la sua voce candida. Il ragazzo non diede segno di averlo
sentito ma si fermò, senza tuttavia voltarsi. “L
è qui. Credo che resterà per un
po’.”
Mello si
voltò con espressione stupita e rabbiosa. Il solo pensiero
che L e Near fossero diventati qualcosa come due amici durante
quelle poche settimane assieme e che L si confidasse con lui era
qualcosa di intollerabile. “Come lo sai?”, chiese
boccheggiando.
“Non lo so
infatti, ma ho intenzione di domandarglielo.”
“Dov’è?”
“Non lo so.
Se mi aspetti andiamo a cercarlo.”
“Cosa devi
fare?”
“La
doccia.”
Una risposta
così disarmante nella sua semplicità, che Mello
sorrise. A volte quasi si dimenticava che anche Near era un essere
umano, abituato com’era a considerarlo solo
un ingombrante scoglio fra lui e la sua nomina ad L.
“Vado ad avvisare Matt”, disse uscendo.
Mello ci mise quasi
mezz’ora per trovare Matt, stava giocando in un angolo del
salottino davanti all’ufficio della direzione.
“Matt! Cosa fai qui? Devi parlare con Roger?”,
domandò quando lo vide, attraversando la sala con passo
cadenzato.
“No”,
disse Matt alzando lo sguardo verso l’amico.
“E
allora?”
“Mi
piacciono queste poltrone”, rispose il ragazzo alzando le
spalle.
Mello non
poté fare a meno di sorridere, dicendo: “L e Near
sono tornati”.
“Come lo
sai?”, domandò Matt stupito.
“Ho appena
avuto un incontro ravvicinato con il
nano. Non so dov’è L, ma Near dice
che vuole restare qui per un po’. Ci troviamo qua davanti non
appena Near ha finito.”
“D’accordo”,
disse Matt alzandosi.
Un quarto
d’ora dopo erano tutti in giro per i corridoi, a scervellarsi
su dove potesse trovarsi L e a cercarlo con lo sguardo. Andarono a
controllare nelle cucine, nel salottino della ricreazione, nel cortile,
nella piccola cappella dai vetri colorati, persino alla mensa e, solo
alla fine, nel cortile interno. Non appena uscirono nel porticato che
circondava il cortile lo videro, in un angolo, seduto nella sua tipica
posa da avvoltoio, a fissare il vuoto con mani poggiate sulle
ginocchia. Tutti e tre si avviarono verso di lui, che non diede segno
di averli visti finché non si sedettero e rimasero
pazientemente in silenzio.
“Sapete una
cosa?”, disse poi L guardandoli uno ad uno. “Questa
volta pensavo di restare qui un po’ più a
lungo.”
Credits:
*Trinity. Nome che ho ripreso dalla quarta stagione del telefilm
"Dexter", solo per fare un piccolo omaggio alla produzione.
Ciao, sventurato lettore che sei capitato per caso su questa pagina! :D
Allora, che dire? Questa storia è stata scritta l'anno
scorso, ma ho deciso di postarla ora dopo una minuziosa revisione
(ancora non del tutto terminata, fra l'altro). Torno nel fandom di
Death Note come autrice dopo una lunga assenza, cimentandomi con un
giallo soprannaturale, com'è tipico del genere del nostro
manga preferito :)
Questo è il Prologo, che è un po' lungo rispetto
all'idea generale che di solito la gente ha di 'Prologo', ma spero che
abbiate la pazienza di aspettare il seguito. Per non deludervi, nel
frattempo, è già disponibile sul mio blog
l'anticipazione del primo capitolo a questa pagina. Cliccate
se per caso siete frementi di sapere, ma vi avviso che sarà
una crudele anticipazione che vuole mettervi solo curiosità
addosso. Mhuahahah! XD
In questa storia mi piacerebbe trattare un po' tutti i personaggi in
modo approfondito, infatti come avete potuto leggere ci sono
descrizioni dettagliate della loro personalità
già in questo prologo. Tuttavia mi sono presa la
libertà, più avanti, di apportare dei leggeri
cambiamenti, perchè i personaggi evolvono nel corso
della storia, e questa evoluzione si ripercuote sul loro carattere.
Detto questo, spero vivamente di non andare OOC, nel caso lo facessi
significa che ho fallito miseramente nel mio intento, e allora dovete
dirmelo. Anche tramite insulto se vi va... XD
Comunicazioni di servizio: ho intenzione di postare ogni
Lunedì un nuovo capitolo, spero di riuscire ad essere il
più puntuale possibile, soprattutto in queste prime due o
tre settimane, perchè devo ancora dare un paio di esami e
studiare pesantemente (cacchio!).
Voi vi chiederete quindi: "Perchè non hai aspettato a
mettere la storia?". E io vi rispondo: perchè mi prudevano
le mani in una maniera assurda e volevo assolutamente pubblicarla
°.° Oltretutto è già pronta da un
pezzo, ho aspettato anche troppo! :D Comunque, vi fornirò il
link alla pagina delle anticipazioni in ogni capitolo, se volete
potrete andare a leggere, se invece preferite la suspance... insomma,
come volete! Inoltre conto di fare qualche osservazione sulla storia
sul blog, se mai me ne venisse voglia; nel caso vi lascerò
il link. Comunque saranno osservazioni non indispensabili alla lettura.
Se qualche anima gentile lasciasse una recensione sapete che sono
sempre disposta a rispondere, come ogni volta, ad ogni tipo di
recensione; neutra, negativa o positiva che sia! :)
Detto questo un grazie a te, si proprio a te, che sei arrivato
fino a qui, in fondo in fondo alla pagina ^^
A Lunedì, piccoli Shinigami! Ricordate di dare una mela al
vostro Ryuk e scarabocchiare qualche nome sul quaderno per tenervi vivi
(ed essere presenti al mio prossimo capitolo, uhuhuh! XD).
Un saluto a tutti,
Patrizia
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