Il
filo rosso del destino: le lacrime di Reira e il vuoto di Crona.
Dal
diario di Crona, 14 aprile ore 03:00
Ormai
è un po' che sono sola, non saprei quantificare il tempo
trascorso
da quando lui mi ha abbandonata con una stupida lettera. Era
da un anno, che Kid e io ci frequentavamo: da quando si era accorto della
mia esistenza come donna, mi sentivo viva, soprattutto
perché
finalmente quel dolore che mi opprimeva il petto e che Ragnarock
provvedeva ad aumentare con le sue cattiverie era scomparso. Lui mi
amava, ero felice come non lo ero mai stata in 18 anni di vita.
Ma
adesso dopo quelle parole, che sembravano coltelli affilati che mi
bucavano l'anima, la mia esistenza si era rivelata piatta e inutile.
Mi è rimasta solo una cosa: la magia.
Agli
altri non mostravo il mio dolore, solamente a Maka che conosceva il
dolore lancinante che pian piano consumava la mia povera anima. Sono
stufa di allontanare le persone, vorrei solo sparire.
Era
una fredda notte di inizio primavera, ero tornata da poco da una
missione a Francoforte. Una strega aveva chiesto alla Shibusen di
poter lavorare per loro: sapeva qualcosa a proposito di una strega
che voleva creare un esercito di kishin per assoggettare il mondo al
suo dominio. Quella strega era Fedora, la terza delle sorelle
Gorgoni, un'altra zia malvagia. Non bastavano mia madre Medusa e mia
zia Arachne. In quel periodo stavo da Kid, la mia stanza era stata
riservata alla professoressa Marie, che si era beccata la varicella
ed era in quarantena. Arrivata in camera mi accorsi che lui non
c'era, il mio peggior incubo si era avverato: Ragnarock aveva
ragione: ero rimasta sola, abbandonata dall'unico che io abbia mai
amato. Medusa aveva ragione: ero io ad allontanare le persone e non
il contrario, eppure non volevo credere a quello che diceva mia
madre, ma dovevo arrendermi all'evidenza dei fatti; quegli strani
sogni erano visioni della solitudine che avrei provato,
poiché
sospettavo che presto mi avrebbe lasciata sola. Era impensabile che
potessi piacere a qualcuno, io che non sapevo nemmeno cos'ero.
Ragnarock lo sospettava già da tempo e ora anch'io ero di
questo
avviso. Ebbi conferma dei nostri sospetti, una lettera scritta da
poco, che ancora conservava il profumo di chi l'aveva composta. Un
addio senza molte spiegazioni: doveva andare, non sapeva se sarebbe
mai tornato. Per lui io sarei stata solo un bel ricordo da portare in
viaggio con sé, invece per me si sarebbe rivelato la fine di
tutto.
Dopo
aver ricevuto quel colpo fatale andai subito da Maka: sapevo che era
ancora sveglia. Inconsciamente aspettava che Soul tornasse a casa, ma
ormai sapeva che ora per lui c'erano solo le sue uscite serali con
gli allievi del primo anno che lo veneravano in quanto lo ritenevano
molto “cool”, ma soprattutto per la sua posizione,
in fondo anche
se si comportava come uno studente normale era pur sempre un Death
Scythe.
Quando
arrivai Maka era intenta a fare i bagagli: aveva deciso di lasciare
tutto e tutti, a nessuno era venuto in mente di aiutarla, eppure
tutti sapevano cosa provava per il suo partner, ma non avevano fatto
nulla per lei. Nessuno capiva come si sentisse Maka, tutti non
facevano altro che ignorarla e ferirla, compreso Soul che diceva di
tenere alla sua adorata Meister. Mi aveva confessato i suoi
sentimenti per lei, eppure non sembrava provare quelle cose di cui
tanto parlava. Agli altri non passava nemmeno lontanamente per
l'anticamera del cervello che Maka si impegnasse così tanto
negli
studi perché desiderava superare sua madre e renderla
orgogliosa. Ai
nostri cari amici nemmeno una volta era venuta in mente l'idea di
chiedersi del perché degli atteggiamenti di Maka. Io sola
sapevo,
perché ero l'unica che si era posta le domande giuste, ma
soprattutto sapevo di essere l'unica a capire realmente come
si
sentisse, perché avevo
provato anch'io delle sensazioni simili. Ormai era un mese che ci
preparavamo: Blair, Spirit e io eravamo suoi complici, soltanto noi
sapevamo cosa sarebbe accaduto quella notte di quattro anni fa!
Dal
diario di Maka, 15 aprile ore 06:45
Ero
stufa di tutto: di quel demente di Soul che mi aveva ferita
affermando prima di amarmi e poi dimostrandomi l'esatto opposto. Non
mi importava nulla di quelli che credevo amici e che non volevano
capire: ormai ero pronta. Lui e gli altri non avevano bisogno di me,
ognuno aveva realizzato il proprio sogno, potevo andarmene, ma mentre
mi preparavo a cambiare vita mi ricordai dell'unica a cui ancora
importava di me e che non volevo lasciare, ma purtroppo era strettamente necessario. Lei in quel momento era in
lacrime fuori dalla porta di casa mia, con Ragnarock e Blair che
urlavano di correre sull'uscio a recuperarla, visto che era in preda ad un'altra crisi ,una molto forte, paragonabile a quella che ebbe quando trovò la lettera. Lei che prima era vitalità e gioia pure ,ormai voleva
solo scomparire. La stessa scena di sei mesi fa si era nuovamente ripetuta, aveva rivissuto quel momento ancora una volta. Corsi da lei e la portai dentro, le chiesi di dirmi
tutto ciò che era accaduto e che farfugliava disperatamente,accompagnata dalle fastidiose lamentele e imprecazioni di
quell'imbecille di Ragnarock. Fu quest'ultimo che con un colpo di
testa fece svenire la mia amica e mi raccontò l'accaduto con
precisione. Ancora una volta aveva rivisto il momento in cui lui l'aveva abbandonata senza spiegazioni con una lettera
di appena quattro righi simmetrici, con la quale aveva
distrutto il fragile equilibrio che Crona si era costruita. Quando rinvenne
le proposi un patto, molto vantaggioso per entrambe. Io volevo andare via, avevo
già una meta e Spirit era d'accordo, avrebbe coperto
entrambe se
Crona fosse fuggita con me. Mi sembrava un piccolo cucciolo
spaventato e infreddolito, ma era ancora lucida e disse che non
potevamo fuggire entrambe, perciò decise di rimanere per
spiare i
miei ex compagni e coprire la mia fuga, sviando ogni possibile
sospetto, facendo fallire ogni tentativo di ritrovarmi aiutandomi a
depistarli ed acconsentendo così alla mia disperata
richiesta
d'aiuto. Mentre Crona mi prometteva di venirmi a fare visita ogni
volta che le sarebbe stato possibile, io ero in camera mia davanti
allo specchio con in mano un paio di forbici, ma non solo per
tagliare le etichette dei nuovi abiti che avevo acquistato per
diventare un'altra persona, per la mia nuova vita. Sciolsi i miei
adorati codini a cui diedi addio per sempre tagliandoli in un solo
colpo,li spazzolai lisciandoli, poi li
legai con l'aiuto di pazienza e tante forcine e indossai una
parrucca; era simile per lunghezza al taglio dei miei capelli, ma era di un rosso
scarlatto intenso ed era composta di piccoli boccoli.Da quel momento stabilii che i giorni di Maka
Albarn finivano lì e che da lì in poi sarei stata Scarlet
Duprè : il peggior incubo della Shibusen. Dopo i capelli passai al
resto: nessuno avrebbe dovuto accorgersi che quella ragazza dai
capelli scarlatti era la figlia dell'arma di Shinigami: lenti a
contatto color ghiaccio, trucco nero sugli occhi e rossetto rosso
sulle labbra. Ormai non ero più Maka, quindi anche il mio
abbigliamento sarebbe cambiato: avevo comprato un vestitino nero
ricoperto di borchie, dei leggins neri di pelle lucidi sempre
ricoperti di borchie, un panciotto molto attillato così come
l'abito
nero con borchie argentate, un golf nero con dei teschi rossi
disegnati ed un mantello proprio come quello di cappuccetto rosso.
Inoltre indossai due bracciali con le borchie ai polsi, un collare
con le spine e un ciondolo a forma di teschio abbinato agli
orecchini. In più avevo un piercing finto sul naso e mi ero
disegnata sulla spalla destra una rosa rossa con dietro un sole ed
una luna uniti. Inoltre indossai una maschera di pizzo nera ricoperta
di brillantini affinché nessuno potesse vedere il mio viso.
Crona
stentava a riconoscermi.
La
mia nuova vita era in una borsa nera di pelle, in una custodia
contenente una splendida chitarra rossa ed in un pacchetto di
sigarette.
Finalmente
non ero più quella ridicola bambinetta chiamata Maka Albarn,
ma
Scarlet Harrison. Alle porte di Death City mi aspettava quel vecchio
porco di Spirit, ma prima dovevo fare una cosa: scrivere una lettera
alla persona che più di tutte mi aveva ferita e dirgli non
che
l'amavo, ma semplicemente che lo ringraziavo di tutto, ma che doveva
dimenticarsi di Maka Albarn, perché da quel
momento non l'avrebbe
mai più rivista, sarebbe andata in giro per il
mondo con la sua
adorata madre e sarebbe andata a Yale a studiare legge, e poi
chissà,
forse un giorno sarebbe tornata lì.
Da
quel momento la mia vita iniziava, la mia meta il deserto del Texas,
dove avrei incontrato la strega Rouhana e le sue due figlie per
metà
vampire e per metà streghe Alice e Violet. Mi sarei
addestrata
cosicché finalmente mi sarei presa quella tanto agognata
rivincita
sulla Shibusen, sui miei ex amici ed in particolare su Soul
Eater
Evans, il mio ex partner a cui avevo lasciato non solo due righe su
un pezzo di carta, ma anche una simpatica sorpresina sullo specchio
del suo armadio. Pregustavo già, conoscendolo, l'espressione
del suo
viso dopo che avrebbe letto ciò che gli avevo scritto.
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