Eggià. Sono viva e sono tornata a tormentare la buon anima delle poche che ancora si
ricordano di me xD e mi regalano le loro splendide
recensioni.♥
Ci sarebbero così tante cose da dire su questa shot, sulla fatica fatta per portarla a termine, sugli alti
e bassi e sulle migliaia di volte che ho creduto di dover cestinare tutto e
lasciar perdere... Che preferisco non dire nulla e dimenticare tutto, beandomi
del fatto che invece ce l'ho fatta.=D
Per tutte
quelle che stanno aspettando il capitolo di Coco (sì, non me ne sono scordata
;D ) con pazienza e che presto verranno premiate, per tutte quelle che ho
trascinato(;D), incontrato e rincontrato il 17 giugno davanti la Universal
insieme a Joseph. Per chi, più di tutti, questa storia l'aspettava e ci
ha sclerato meravigliosamente sopra.♥ Per tutte coloro che
- con queste quattro parole che mi ostino a mettere nero su bianco -, riescono
ancora a sognare.♥
E poi, naturalmente, a
Joe. Con tutto l'amore del Mondo.♥
Vita ~
(In certi cuori qualche cosa resterà.)
Sono solo stasera senza di te,
mi hai lasciato da solo davanti al cielo.
Vienimi a prendere, mi viene da piangere.
Arriva subito...
Mi riconosci: ho le scarpe piene di passi,
la faccia piena di schiaffi, il cuore pieno di battiti.
E gli occhi pieni di te.
Nicholas continuava a
gironzolare per la stanza, avanti e indietro. Incessantemente. Si poteva
leggere profonda inquietudine perfino nel modo in cui teneva le spalle
leggermente incurvate in avanti e le labbra socchiuse. Osservò di sottecchi suo
fratello maggiore, accasciato per metà sulla vecchia poltrona di pelle in
centro al salotto: i piedi poggiati stancamente al tavolino ed un libro
abbandonato in grembo. Spento.
- Immagino che non serva
ripeterti quanto Natalie sia bionda e bella...! - Esordì. Joe piegò appena il
capo e lo fulminò con lo sguardo. - Oggettivamente più di- -
- Non dirlo nemmeno! -
Ringhiò.
- D'accordo, d'accordo.
Scusami. - Lo stava portando all'esasperazione. Allargò le braccia e le mulinò nell'aria.
- Credevo le volessi bene. -
Il romanzo finì a terra, ma non ci badò.
- Lo so che Mar è speciale. E
che nessuna può essere... potrà mai competere con lei. Le voglio molto
più che bene. - Sospirò. - Ma so anche che questa situazione dura da troppo
tempo, hai bisogno di riprenderti. -
- Riprendermi. - Quasi
sputò l'ultima sillaba.
- Sì, Joe. E uscire con
Natalie, che tra parentesi è uno schianto di ragazza, non può farti che
bene. Anche solo come amici...! -
- Chi sarebbe uno
schianto di ragazza..? -
Chiara fece irruzione nel
salotto, una busta di plastica bianca che le ciondolava sul polso destro. La
lasciò sul pavimento e si avvicinò a Nick, irrequieta. Gli cinse il collo con
le braccia, prima di schioccargli un piccolo bacio sulle labbra che lui si
affrettò ad approfondire. Joseph distolse lo sguardo ed affondò nuovamente ne
"Il Diavolo e la signorina Prym".
- Mar è uno schianto. -
Sussurrò, triste. Più per sé stesso che per chiunque altro.
***
Nicholas si lasciò trascinare in
cucina, piuttosto riluttante all'idea di dare tregua al fratello: gli avrebbe
permesso di riaffondare nello stato di apatica depressione in cui versava da
almeno un mese a quella parte. L'unica emozione che riusciva a scuoterlo - a
tratti - era la rabbia scatenata dalle frecciate sue o di Kevin. Tentativi più
o meno bruschi di fargli affrontare e digerire la sparizione di Mar dalla sua
vita, la sua partenza improvvisa. In quei momenti diventava una vera belva:
rifiutava qualsiasi proposta, qualsiasi ragazza ed allontanava tutti,
anche in malo modo.
Chiuse con delicatezza la
porta verniciata di blu e si apprestò ad ascoltare la sua fidanzata. Doveva
essere qualcosa di molto serio, perché leggeva negli occhi suoi e di Kev, che
l'aveva accompagnata, una profonda, contrita preoccupazione.
- E' successo qualcosa...? -
Esitò. - Qualcosa che Joe non può sapere? -
- Qualcosa che Joe non deve
sapere. - Lo corresse il maggiore. Chiara annuiva, con fare cospiratore.
-E' tornata a New York. Mar. Ieri
notte. - Sentenziò. Nick sgranò gli occhi scuri, poi avvertì panico e sollievo
montare in lui quasi contemporaneamente. Questo significava problemi. Tanti.
- Cazzo. Cioè... E'
fantastico. - Balbettò. - Ma lui darà di matto, se lo scopre! -
- Quando ha saputo che venivo
qui, è letteralmente schizzata fuori di casa. Praticamente prima che potessi
rivolgerle la parola per chiederle di unirsi a noi. - Agitò appena il capo. -
Mi ha chiesto di riferirti che troverà il momento di venire a salutarti... Ma Joe
non lo vuole vedere. -
- Ovviamente. Perché si fanno
questo? - Era tutto così tremendamente sciocco e senza senso.
- Avresti dovuto vedere la sua
faccia, quando ha nominato tuo fratello...! - Sbottò. - Quel maledetto articolo
di giornale ha mandato tutto a puttane. Avreste dovuto denunciarli o- -
- Lo sai che non è così
semplice, bimba. - Kevin scrollò lentamente le spalle. - Non hanno pubblicato
nulla di diffamatorio, tecnicamente. -
- Hanno pubblicato immondizia.
- Sibilò.
- E noi non possiamo fare
nulla, ora come ora. - Concluse amaramente il piccolo. La strinse fra le
braccia e le accarezzò le spalle, fino a che i suoi tremiti di nervosismo non
si furono placati. - Solo aiutare entrambi e senza interferire. -
***
- Due frappuccini
al caramello, uno alla fragola e un Chai Tea. Con la
cannella. - Chiara allungò una banconota alla cassiera ed afferrò alla buona i
quattro bicchieri di carta.
Lo Starbucks
era pieno zeppo di gente, chi ai piccoli tavoli di legno laccato e chi
assiepato al bancone. Joe sbuffò nervosamente e cominciò a scalpitare, nemmeno
troppo in silenzio. Imprecò - in un sussurro - quando un gruppo di ragazzini
poco più grandi di Frankie passò a tutta velocità praticamente sopra i suoi
piedi.
- Usciamo di qui. - Sibilò. - Aria.
- Nick e Kevin si scambiarono uno sguardo crucciato. Fuori del locale si era
già radunata una folta schiera di paparazzi. E qualche ragazzina rumoreggiava
curiosa.
- Non sono sicuro sia una
buona idea. Magari c'è un tavolo- - Il piccolo si interruppe bruscamente,
quando il fratello schizzò con decisione verso la porta a vetri.
- Me ne fotto dei fotografi! -
Abbaiò. - E' stata una pessima idea. -
Arrivò sul marciapiede quasi
di corsa e fu investito immediatamente da una scarica di flash. Sentì
rimbombare le prime urla, gli schiamazzi - quasi fosse una cantilena destinata
a ripetersi all'infinito nell'arco della sua esistenza -, poi le solite domande
a mitraglia. Sciocche e scontate. Joe qui e Joe lì.
- Dov'è la tua ragazza,
Joseph? E' vero che l'hai fatta scappare in Europa? - Girò su sé stesso
e diede bruscamente le spalle ai fratelli, che lo avevano raggiunto.
La voce in questione
apparteneva ad un uomo tarchiato, alto poco più di un metro e mezzo. Gli
puntava addosso un obbiettivo scuro, lungo - a parer di Joe - molto più di
alcuni suoi attributi anatomici ed aspettava una risposta, bramoso. Strinse il
bicchiere fra le dita nervose e ne spruzzò parte del contenuto, desideroso di
dargli esattamente ciò che più si sarebbe meritato, ma, prima che le parole
potessero arrivargli alle labbra, qualcosa lo colpì con violenza. Come un pugno
nello stomaco. Kev strattonò il braccio di Nicholas e gli indico un punto
preciso, dall'altra parte della strada.
- Oh, merda... - Sibilò
quest'ultimo. Poi lo vide lanciarsi letteralmente in avanti. - JOSEPH! -
Un violento odore di fragola
si sprigionò dal marciapiede, mentre il coperchio di plastica rotolava via.
Piantò tutto in asso, fregandosene degli schiamazzi sempre più insistenti,
delle fotografie che gli scattavano. Il cuore gli rimbombava fino in gola: era
lei. Era lei. I capelli ricci sulle spalle, l'abito a fiorellini che le
aveva regalato Nick al compleanno, un cardigan bianco: non poteva essersi
sbagliato.
- Mar. - Mormorò, gli occhi
fissi sul suo profilo. Schivò al millimetro un piccolo taxi giallo che
sfrecciava sulla corsia preferenziale, mentre correva a perdifiato.
Seguì la figura sottile
camminare distrattamente lungo la via. Nel frattempo, si era fermata davanti
alla vetrina di un negozio e dopo qualche istante di esitazione - così
maledettamente tipica di lei - era entrata.
***
- Buongiorno. Benvenuto da Free
People. -
La ragazza alla cassa non fece
neppure l'atto di alzare gli occhi dal numero di Cosmopolitan
che stava sfogliando, aumentò il volume dell'i-pod e
tornò a torturare il piercing rosa che portava al labbro, con fare
indifferente. Il suo saluto svogliato venne inghiottito subito dal frastuono di
un espositore che cozzava violentemente col pavimento. Mar, sconvolta, distolse
lo sguardo dal viso imbronciato di lui e si chinò a raccogliere i ciondoli -
sparsi un po' ovunque, ai suoi piedi -, come a volersi convincere che Joe non
era lì.
- Ah...! - Arrossì. Le si era
inginocchiato di fronte e aveva preso a radunare le piccole confezioni di
plastica, sfiorandole di tanto in tanto le mani con le proprie. Gli occhi
inchiodati su di lei.
- Mar. -
Alzò lo sguardo, appena in
tempo per notare - oltre la spalla di Joseph - una folta schiera di paparazzi
che andava assiepandosi lungo strada. Si sarebbero inchiodati alla vetrina - o
peggio avrebbero invaso il negozio - da un momento all'altro. Si sentiva già il
rumore degli otturatori che scattavano furiosi, rimbombare nella testa.
Istintivamente lo afferrò per il braccio e dopo aver cacciato le collane sullo
scaffale alla bell'e meglio, lo trascinò velocemente fino in fondo al negozio,
in uno dei piccoli camerini liberi. Accostò la tenda di stoffa pesante e lasciò
uno spiraglio impercettibile, per poter sbirciare all'esterno. Quattro uomini e
una donna, con grosse reflex scure a tracolla, erano già entrati.
- Non fare rumore e a Dio
piacendo, non si accorgeranno di nulla. - Sussurrò.
Joe, dal canto suo, era troppo
impegnato a percepire il modo in cui lei gli stava premuta addosso. Le mani
contro il petto, il capo quasi poggiato alla sua spalla, lo teneva praticamente
bloccato al muro come a impedirgli di muoversi o di fare rumore. Quello
stanzino era talmente microscopico che probabilmente non sarebbe riuscito a
spostarsi senza urtare qualcosa... E non che desiderasse farlo. Le sue, di
mani, stringevano i fianchi sottili con fare decisamente possessivo. Come era
sempre stato abituato a fare, vi si erano posate impulsivamente.
- E' quasi ora di chiusura...
Li sbatteranno fuori. - Le sue labbra sfiorarono i capelli di lei, che avevano
quell'inconfondibile profumo di shampoo.
Passarono una manciata di
interminabili minuti, poi, molto lentamente, le macchine fotografiche vennero
riposte e la folla rifluì. Mar fece per allontanarsi, ma si ritrovò come
imprigionata in quell'abbraccio deciso. Gli premette entrambe le mani sul petto
e tentò di spingersi all'indietro con più energia, divincolandosi leggermente.
- Joe, per favore, lasciami. -
Sospirò, le guancie di nuovo bollenti.
Una volta cessato il rischio,
aveva potuto allentare l'attenzione e tornare a concentrarsi su di loro. A quel
punto, si era accorta di quanto effettivamente fossero vicini. D'un
tratto aveva avvertito le sue braccia attorno alla vita, il respiro caldo e
regolare contro il collo, le gambe premute contro le proprie. E nella sua mente
si era acceso un segnale di pericolo.
- Ora possiamo uscire di qui,
se ne sono andati. - Cercò di essere risoluta. Lasciò scivolare le dita sotto
quelle di lui, reprimendo un brivido e ne sciolse la presa sul suo corpo.
Joseph si obbligò a lasciarla
andare - nonostante desiderasse con tutto sé stesso l'esatto opposto -, la
seguì all'esterno della cabina ed affondò con lei nella penombra del locale
deserto e decisamente chiuso. L'ingresso sbarrato e le luci spente, ad
esclusione di quattro faretti a bassa emissione che gettavano un bagliore
soffuso sui capi esposti in vetrina.
- Ci hanno lasciati dentro...!
- Mar si guardò attorno con una punta di panico negli occhi chiari. - Non- -
- Ma c'era la commessa, al
banco, quando sono entrato. - Obbiettò.
- Sì, quella. Non si
sarebbe accorta nemmeno se le avessero svaligiato il negozio sotto il naso.
Figuriamoci...! - Si passò le mani sul viso e trattenne un lungo sospiro.
- Siamo bloccati qui. - E in
fondo, rifletté Joe, andava benissimo.
***
- Perché sei tornata? -
Mar smise di sfogliare il
libro che teneva in grembo e rilassò la schiena contro la parete, si inumidì le
labbra:era ovvio che non avrebbero potuto rimanere - seduti per terra - chiusi
in quel silenzio rassicurante per sempre. Tenne lo sguardo fisso sulle pagine e
prese a torturarne un angolo, arricciandolo fra le dita nervose mentre cercava
dentro di sé le parole giuste.
- Per il lavoro. - Bugia-bugia. O quasi. - Non potevo più stare a
Milano, era un incarico temporaneo. -
- Torni al nostro studio...? -
Si lasciò scappare un sorriso che lei non vide, ma lo intuì.
- Sì. Ma non... - Esitò. Era
molto più difficile dirglielo di persona.
- Certo. - Joseph
scattò in piedi e si sforzò di non prendere a calci il muro per la
frustrazione.
La osservò con la coda
dell'occhio mentre s'immergeva di nuovo nelle pagine del suo romanzo,
probabilmente senza nemmeno concentrarcisi sul serio. Che era tesa si capiva
dal modo in cui si mordicchiava il labbro inferiore o da come accomodava dietro
l'orecchio un boccolo ribelle che le ricadeva insistentemente sulla fronte.
Afferrò un blocco di post-it ed una penna prima di tornare a sedersi, parecchio
più vicino a lei. Se avesse poggiato la mano a terra, avrebbe di sicuro toccato
la sua: era intenta a sfiorare la superficie liscia del parquet con la punta
delle dita, persa in chissà quali pensieri.
- Prova a richiamare Nicholas.
- Inarcò le sopracciglia e si preparò a mentirle per l'ennesima volta.
Probabilmente - alla fine di
tutto - il suo sarebbe risultato solamente un gesto sciocco ed incredibilmente egoista,
avrebbe anche potuto rovinare tutto e Joe sapeva bene che se ne sarebbe fottuto
comunque. Pur di stare con Mar, anche solo un minuto in più era prezioso. Ficcò
il cellulare - spento - ancora più in fondo alla tasca interna della
camicia di jeans e tornò a fissare il suo profilo concentrato.
- Non mi risponde. - Mormorò.
- Mi dispiace. - No, non era vero neanche un po'.
Nemmeno lei rispose. Si
strinse nelle spalle e soffocò un sospiro sulle labbra socchiuse. Che avesse
scordato il cellulare a casa e non potesse telefonare di persona si era
rivelato veramente un colpo di culo piuttosto sfacciato: Joseph
cominciava a pensare che qualcuno - da qualche parte - volesse davvero
concedergli un'occasione. Doveva solo muoversi con estrema cautela. Prese a
scarabocchiare i foglietti che aveva in mano - sovrappensiero. Li riempì di
faccine buffe e piccoli disegni storti. Non era attento, continuava a distrarsi
per osservarle il profilo concentrato, le ciglia pallide. Le mani in perpetuo,
impercettibile movimento. Ogni dettaglio di lei era... vita.
Un pezzo di vita che tornava
al suo posto. Si sorprese a pensare quanta nostalgia potesse provare,
tutta in un solo cuore ed un'unica testa. Perché gli mancava ogni cosa di Mar,
tutto quello a cui gli riuscisse di pensare: il suo profumo sulle lenzuola, i
fogli pieni di disegni sulla scrivania. Trovarsi il suo maglioncino
nell'armadio e un flacone di shampoo Sunsilk
sulla mensola del bagno. Poi c'era lo spazzolino blu in bilico al bordo del
lavandino ed orecchini spaiati, ovunque. Gli mancava il modo in cui - ogni
mattina - si alzava e girava per casa con addosso soltanto la camicia che lui
si era tolto la sera prima. Perfino la sua puntigliosa, tenera insistenza nel
raccogliere e ripiegare con cura tutti i vestiti che lui lasciava in giro o
impilare gli spartiti sotto i cd con le basi registrate, all'angolo del tavolo.
"Devi tenere un po' d'ordine, almeno nelle cose su cui lavori."
E poi sorrideva, lievemente imbarazzata.
Si passò una mano sul viso,
sospirando: lei doveva saperlo. Doveva dirglielo e non sapeva come. Poi,
improvvisamente, gli venne l'idea: il blocchetto rotolò sul pavimento,
mentre si allungava a raggiungere la pagina più aperta del libro. Mar trattenne
impercettibilmente il respiro, gli occhi fissi sul post-it giallo appiccicato
nel bel mezzo del secondo capoverso.
«Mi sei mancata.»
Si inumidì le labbra,
indecisa. Si sa che le cose - in certe situazioni - riescono sempre a prendere
una piega diversa. E poi succede qualcosa che non ti saresti mai
aspettato, incredibilmente. Joseph sentì i battiti aumentare - rimbombargli
nelle orecchie fino a fargli male - mentre lei prendeva una biro dalla tasca
della borsa e scriveva, le guancie già bollenti. Gli restituì il pezzetto di
carta, lasciandolo scivolare sul palmo della sua mano.
«Anche tu.»
Fu questione di un momento. E
di istinto, per lo più: tuffò le dita nel groviglio di riccioli biondi - erano decisamente
più lunghi, rispetto all'ultima volta che si erano visti - e le sue labbra
furono immediatamente su quelle di lei. Sapeva come e dove sfiorarla, quanto a
lungo... Era qualcosa di meccanicamente impresso dentro di lui, incastrarsi a
Mar, ogni volta come fosse la prima. La sentì rabbrividire e lasciarsi
leggermente andare contro la parete alle sue spalle, come se sapesse
perfettamente qual'era il modo più rapido per fargli perdere il controllo o che
si sarebbe spinto verso di lei al punto di sovrastarla, quasi. Si fermò per
prendere fiato e restò sulla sua bocca, per paura di perdere quel contatto.
- Scusa. - Sussurrò, il
respiro ancora irregolare.
- Oh, cavolo...! -
abbassò lo sguardo di scatto e si tirò indietro, per quanto l'averlo addosso a
quel modo le permettesse di farlo e si passò nervosamente le dita fra i
capelli, come se dovesse sistemarli a tutti i costi, e poi più giù, sul collo.
- Mar- - Si bloccò quando lei
gli scivolò letteralmente via dalle mani. Si era scostato di appena qualche
centimetro in più ed era riuscita a scappare.
- Lo sapevo che sarebbe finita
così, ma non doveva....! Non doveva succedere. - Joe se ne stava zitto,
la fissava: il respiro le scivolava ancora affannoso dalle labbra, arrossate di
quel bacio comunque troppo breve.
- Cosa? - Replicò, assente,
mentre ne seguiva con millimetrica precisione i movimenti. La bocca che si
stirava in una piccola smorfia umida e gli occhi azzurrissimi che rifuggivano
costantemente i suoi.
- Tutto questo! Non dovevo
tornare a New York. - Intrecciò le mani dietro la schiena e si appoggiò
nuovamente al muro. - Io me lo aspettavo, Joe. - Continuò, incastrando
improvvisamente lo sguardo nel suo. - Ho attraversato Central
Park, per venire qui e credevo mi sarei vista correre incontro Winston da
un momento all'altro... Pensavo di trovarti dietro ogni angolo, per strada,
seduto nel tuo locale preferito esattamente nel momento in cui io avessi
deciso di passare a prendere una di quelle paste al miele che ci piacevano
tanto. Da Starbucks, quello dietro Time Square e- NO, per favore,
non avvicinarti. Non mi toccare..! - Sollevò le braccia, come a volerlo
allontanare. Come se avesse potuto servire a qualcosa.
- Non posso. - Le scostò un
riccio dalla fronte e le lasciò scivolare le dita fin sul collo, esattamente
dove lei aveva posato le sue poco prima.
- Ti prego. - Ripeté, mentre
il respiro le si faceva di nuovo accelerato.
- No, Mar, io non... Hai detto
che ti sono mancato! - Strinse i pugni e le guancie gli si tinsero di frustrazione.
- Proprio per questo. Per la
fatica che ho fatto ad abituarmi alla tua assenza... -
- La mia assenza. - Mormorò. -
La mia assenza te la sei cercata tu. Sei andata via. - Il suo tono si
inasprì improvvisamente e gli occhi scuri si fecero lucidi.
- Sono quella che ti ha rubato
a Demi, ricordi? Dopo Ashley dovevi essere suo. Quella che non sarebbe mai
stata alla tua altezza. - Ringhiò. - Quanti modi avevo per farla finire? -
- Potevi fregartene! -
Sbottò.
- Io non sono ricca né tantomeno
famosa, Joseph. Nel mio mondo non ci sono soldi da spendere o avvocati pronti a
querelare chiunque apra bocca su di me. - Sbatté le mani sull'intonaco freddo
della parete e distolse lentamente lo sguardo. - Nemmeno se mi accusano di aver
rovinato la vita alla persona che amo. -
Joe sentì come una scossa
lungo la schiena. Osservò il modo in cui Mar si era stretta fra le braccia -
tenendosi addosso il golf color vaniglia come se glielo stessero strappando - e
la velocità con cui i suoi occhi si erano spostati dal pavimento a lui, per poi
tornare al punto di partenza. Non riusciva nemmeno a guardarlo. Era stato stupido:
Nicholas lo aveva messo in guardia, eppure lui non aveva voluto rendersi conto
che liquidare quell'articolo di giornale come uno dei tanti, senza spendere
nemmeno una parola per smentirlo, era solo la soluzione più comoda. Non
la più giusta.
- Sono un maledetto coglione.
- Ripeté, a voce alta.
- Smettila. -
Scosse la testa: lo era
davvero. Aveva permesso che le facessero del male - in qualsiasi modo volesse
girarla -, senza fare nulla per impedirlo. Superficiale: soltanto perché era
sicuro che a Joe Jonas non avrebbero rinfacciato nulla, in ogni caso,
aveva dato per scontato che si sarebbe risolto tutto così.
«Potrebbero
scrivere che hai rapinato una banca e avresti comunque qualcuno che ti
giustificherebbe...! Lei non può fare un solo passo falso, tutti le sono subito
addosso. L'unico che può proteggerla sei tu.»
Ora come ora, le parole di suo fratello suonavano terribilmente reali e
lungimiranti: un ottimo consiglio che si era incapricciato a non seguire. E
dire che anche Nick aveva le sue esperienze personali in quel campo.
- Qualsiasi cosa ti abbiano
detto, Mar, è una bugia. - Sussurrò, dopo qualche secondo di contrito silenzio.
- Come...? - Sussultò nel
ritrovarsi le mani di lui già addosso. Le sue dita scivolavano come una carezza
sulla pelle.
- Un'enorme, fottuta
bugia. -
La spinse a sciogliere la
presa sul suo stesso corpo e a rilassare le braccia lungo i fianchi. Le sfiorò
le spalle, le clavicole e trovò la sua bocca socchiusa, come se lei stesse
aspettando soltanto di essere baciata di nuovo. Mar non gli oppose la minima
resistenza: seguì docile i suoi movimenti e gli permise di lambire ogni
centimetro delle sue labbra. Perfino di lasciarle un morso delicato su quello
inferiore - il suo leggero mugolio gli arrivò dritto al cervello, come una scossa
- prima di riprendere fiato.
- Io Ashley l'ho lasciata per
te. - Sospirò. - Non Demi, non un'altra. Te. -
- Smettila di baciarmi...
così, per ogni cosa che mi vuoi dire. - Replicò lei, ostinata. - Non serve. -
- E la mia vita, l'hai resa- -
Scivolò in avanti, quando lo
strattonò per il collo della t-shirt e fece scontrare le loro bocche. Di
nuovo. Joe si sentiva come calamitato a Mar: fino a che si fossero
mantenuti ad una certa distanza potevano - in qualche assurdo modo - riuscire a
stare separati, ma appena s'avvicinavano, era del tutto impossibile stare
lontano da lei e da quel corpo sottile, da quelle labbra. Era una forza
superiore che lo spingeva a cercare il contatto, polo negativo contro polo
positivo: opposti che si attraggono. Sorrise.
- ... Incredibile. -
Concluse, quando gli permise di prendere fiato.
- Perché non hai fatto niente,
allora? - Gli occhi le si fecero di nuovo umidi.
- Te l'ho già detto che sono
un coglione...? - Inclinò appena il capo e lasciò che le punte dei loro nasi si
sfiorassero.
- Me lo hai accennato un paio
di volte, sì. -
Scrollò appena la testa e
strinse - senz'accorgersi - la presa sull'orlo della maglia nera di Joe. Stava
per lasciarsi scappare un sorriso, lui lo sapeva bene. Timido, quasi
impercettibile: di quelli che preludevano sempre a qualcosa. Alzò lo
sguardo e gli sfiorò l'angolo destro delle labbra con le proprie, poi la
guancia ruvida ed il profilo dello zigomo.
- Ti giuro che strapperò la
lingua al primo che oserà dirti qualcosa su di me... su di noi. -
- Non lo so, Joe. E'
complicato. -
- Complicato? Io ti amo
e ti rivoglio. Non c'è niente di complicato in questo. - Replicò. - Se tu- -
- Non dire niente. Non
ho smesso di amarti, ho solo imparato a fare a meno di te. - Non sorrideva più,
gli occhi erano lucidi e le sue guancie arrossate. - La sola cosa che non so è
se sarei capace d'affrontare di nuovo qualcosa del genere. -
- Mar. - Le afferrò
entrambi i polsi e li strinse leggermente, mentre le dita scendevano ad
accarezzare i palmi tesi.
- Capisci dove sta il
difficile, adesso? Sono tornata perché non ce la facevo più a stare lontana,
però sapevo benissimo che rivederti sarebbe stata una maledetta tentazione. -
- Ti prego. - Un singhiozzo
finì per rompergli la voce, insinuandosi fra una parola e l'altra. Esitò, poi
piantò gli occhi ambrati sul pavimento.
- Joe. - Mormorò lei,
improvvisamente pallida. - Non stai seriamente piangendo per me...! Non puoi.
-
- Scommetti? - Il suo sguardo
bruciava come fuoco sulla pelle.
- Con te? - Parlava a voce
bassa, quasi inudibile. Scosse leggermente il capo in segno di diniego e
sollevò una mano ad accarezzargli la guancia umida. - Perderei sicuramente. -
Si ritrovò ad affondare nel
suo abbraccio, anche prima di potersene rendere veramente conto: stretta contro
di lui fin quasi a soffocare, ogni tentativo di resistenza definitivamente e
completamente spezzato. Gli cinse le spalle - nascose il viso nell'incavo del
collo -, inspirando a fondo il profumo familiare della sua pelle. Era
come ritrovare una parte di sé stessa, qualcosa che pensava di essere riuscita
ad abbandonare senza rimpianti, o quasi. E invece no. Il suo corpo non
poteva mentire bene quanto la mente... I brividi lungo la schiena, il calore
sulle guancie e contro i palmi delle mani: una maledetta, incredibile
sensazione di sollievo dalla pianta dei piedi alla punta dei capelli.
- Resta. - La stretta di Joe
si fece più decisa, quasi dolorosa.
- Sono qui, Joseph. - Rispose,
piano. Il cuore le si era annidato in gola e batteva con forza, le toglieva il
fiato. Resistergli, a quel punto, era un atto di puro masochismo. Lo rivoleva.
Almeno quanto lui voleva lei e forse perfino di più.
- Dio, grazie...! -
Lo sentì rilassarsi,
sciogliersi, come se gli avessero appena tolto un enorme peso dalle spalle. Le
sfiorò la schiena attraverso il tessuto leggero dell'abito ed allentò
l'abbraccio sui suoi fianchi, quel tanto che bastava per spingerla nuovamente
al muro. La guardava, senza parlare, spaventato di poter spezzare un equilibrio
appena rinato ed ancora terribilmente fragile. La guardava ed assaporava
ogni più microscopico dettaglio di lei... Le guancie bollenti, i capelli
scomposti sulle spalle. Il modo in cui la catenina che portava - un po' troppo
lunga - lasciava cadere il suo ciondolo al principio di quel piccolo, morbido
solco fra i seni.
- Continuerai solo ad
osservarmi? - Mar lasciò scivolare la sua mano minuta fra i corti capelli scuri
di lui e lo attirò più vicino. Il respiro le si era fatto leggermente corto e
irregolare. Joseph rabbrividì, esitando per un brevissimo secondo, quando le
sue labbra furono di nuovo su quelle di lei: era un punto e a capo. Come
aver riavvolto il nastro, ed essere tornati indietro, sino al primo bacio. -...
Non mi basta, lo sai? -
- Se tu solo sapessi quanto ti
ho desiderata...! -
Le sfiorò il profilo della
guancia con la punta del naso, mentre le sue dita salivano ad accarezzarle le
spalle. Le lambivano appena la pelle accaldata, ad una lentezza estenuante.
S'insinuarono oltre l'orlo del cardigan sbottonato e lo lasciarono scivolare
lungo le braccia, poi si persero a giocare con le spalline sottili del vestito
ed il disegno delicato delle clavicole appena contratte. La stava facendo
impazzire. Sogghignò, nel sentirla quasi sospirare di sollievo quando posò la
bocca all'attaccatura della spalla, scostando la bretellina
di cotone bianco.
- Hn..!
- Arrossì e si morse timidamente il labbro. Forse c'era qualche possibilità che
lui non avesse sentito.
- Così mi fai uscire di
testa...! - Le lasciò un morso delicato sul collo, mentre ne saliva il
profilo, bacio dopo bacio.
Una pigna di t-shirt stampate
franò rovinosamente sul pavimento, travolta dall'impeto con cui lui l'aveva
sollevata di peso e fatta sedere sul piano ingombro dell'espositore. Si lasciò
sfuggire una risata, mentre Joe catturava le sue labbra con le proprie, di
nuovo. Era irruento, istintivo. E i suoi baci soffocanti come onde che
ti s'infrangevano addosso all'improvviso, un impatto da perderci completamente
il respiro.
- Sarà meglio provare a ricontattare
Nick, prima di demolire tutto il negozio...! - Esitò, poi lo spinse leggermente
all'indietro. Doveva riprendere fiato, in qualche modo.
- A proposito di questo,
voglio essere sincero. - Senza proferire una parola in più, Joseph si sfilò
l'i-pone dalla tasca. Lo strinse con un po' più di sicurezza nella mano
tremante, prima di mostrarglielo.
- E' spento. - Mar
sfiorò lo schermo, lasciando una piccola impronta sulla superficie lucida. - E'
sempre stato spento. - Realizzò, all'improvviso. Se lo aspettava anche,
probabilmente.
- Perdonami. Io... l'ho fatto
per noi. Dovevo, capisci? Dovevo giocarmela fino in fondo. -
- Hai vinto di nuovo, a quanto
pare. - Sorrise. La buffa smorfia contrita apparsa sulle labbra di lui aveva sciolto
anche quel briciolo di smarrimento e contrarietà come neve al sole.
- Un autentico trionfo.
- Poggiò delicatamente la fronte alla sua, senza smettere di guardarla negli
occhi. Il cuore gli martellava furioso nel petto, premuto contro quello di lei:
sapeva che Mar poteva sentirlo.
- Aspettavo solo che venissi a
riprendermi, Joe. Tutto il resto sono solo stupide scuse...! - La voce le uscì
in un sussurro strozzato, quasi inudibile.
- Lo so, amore mio. Lo so.
-
***
Ringraziò la proprietaria del
negozio, mentre questa richiudeva le doppie porte e borbottava qualcosa sul
come scegliere il personale. Ridacchiò e rivolse lo sguardo all'orizzonte color
indaco, poi si incatenò nuovamente a Mar, alla breve corsa che spiccò per
raggiungere Nicholas ed al sorriso luminoso che le spuntò sulle labbra quando
si abbracciarono.
In quel momento, tutto era perfetto.
New York, il rumore del traffico, l'odore dell'asfalto umido dopo il temporale
che c'era stato e di cui nemmeno si era accorto. Il riflesso del tramonto sui
grattacieli e l'espressione luminosa di suo fratello, di Chiara quando li aveva
visti uscire mano nella mano. Ogni cosa. Era come essere rinato.
- Mi hai ridato la vita. -
Sussurrò al cielo già privo di nuvole. - Grazie. -
Si avviò per raggiungerli -
con la sua Pulce che lo chiamava ad alta voce e si agitava, come suo solito.
Mar gli andò incontro e gli si strinse addosso, mentre prendevano a camminare
verso casa. Le posò un bacio sui capelli e si beò del suo inconfondibile
profumo. Sì. Se i giornalisti avessero voluto un vero scoop, Joe Jonas
era decisamente - di nuovo - vivo.
Sembrano esplosioni inutili,
ma in certi cuori qualche cosa resterà.
(Le Tasche Piene di Sassi - Jovanotti)