Il tempo
passa ma l'amore resta
Apre
gli occhi a causa dei raggi del sole scappati dalle tende. Si mette a
sedere improvvisamente, non appena realizza dove si trova e con chi.
D'istinto si porta le lenzuola al petto nudo, incurante del fatto che
questo gesto potrebbe svegliare l'uomo accanto a lei.
Voglia di andarsene, voglia di uscire da questa stanza che non ha mai
visto prima d'ora, voglia di scappare, voglia di cambiare vita.
Si alza senza aspettare un secondo di più e si guarda allo
specchio che ha di fronte, ha i capelli spettinati, il trucco sbavato e
un forte mal di testa post-sbornia. Con rapidi gesti si sistema i
ciuffi messi male e si toglie con le dita la matita leggermente colata
sotto gli occhi.
Ma
che ci faccio qui?
«Ehi,
zuccherino.»
Sobbalza.
«Buongiorno» aggiunge lui, mettendo le mani dietro
la nuca e sorridendole in un modo che dovrebbe essere sexy ma che a lei
fa solo ribrezzo.
«Ciao» sbotta, in tono secco.
«Come va?»
«Chi sei?» chiede, sorvolando la sua domanda.
Lui scoppia a ridere, ma in fondo riesce a percepire un po' di amarezza
nella sua risata. «Non ti ricordi proprio niente di ieri
sera?»
Vorrebbe dargli uno schiaffo, insultarlo e dirgli che sa benissimo che
era sbronza e lui si è approfittato di lei e adesso ha pure
la faccia tosta di fare il carino come se gli importasse davvero
qualcosa.
Inizia a vestirsi, sentendosi una stupida. Dà la colpa
all'alcol se ha fatto quello che ha fatto, cosa che la fa sentire un
po' meno responsabile del casino in cui si è ficcata,
nonostante sappia benissimo che è solo colpa sua se ha
iniziato a bere e oggi si è ritrovata nuda sul letto di uno
sconosciuto.
«Dove vai?»
«A casa» risponde in automatico.
«Non mi lasci nemmeno il tuo numero di telefono?»
«No.»
***
Sa
benissimo che aver fatto le valigie e aver preso il primo volo per la
Sardegna nella casa dei suoi genitori che non vede da almeno sette o
otto anni non la aiuterà a voltare pagina. Forse la
distrarrà per qualche giorno dalla sua vita a Milano, dal
suo lavoro, dal suo ex fidanzato, dalla sua famiglia, ma non
potrà mai dimenticare il suo passato, la morte di suo padre,
l'insoddisfazione ostinata di se stessa e delle sue scelte che prova da
anni ormai, il tradimento del suo ragazzo, l'ubriacatura e il risveglio
in casa di un estraneo. Sarebbe solo una povera illusa se lo credesse.
Vaffanculo
a tutti.
«Quanti
cucchiaini, signorina?»
Alza lo sguardo, vede un ragazzo sui trenta con in mano una zuccheriera
di ceramica che la fissa interrogativo. Si riscuote, scaccia dalla
mente i pensieri che non fanno che opprimerla e risponde:
«Due, grazie.»
Prega che quel caffè macchiato le dia un po' di forza, anche
solo per respirare in modo regolare. Non riesce più a farlo
da due giorni, si sente agitata, nervosa, tesa come una corda di
violino.
Quando finisce di bere il caffè, paga ed esce dal bar un po'
barcollante.
Vuole fare qualcosa di diverso, qualcosa che la faccia sorridere, che
le faccia venire voglia di vivere, che le metta carica, che le faccia
tornare il buonumore.
Shopping.
Entra
in un negozio di scarpe, dove ci starebbe per ore. Non ricorda l'ultima
volta di aver passato più di dieci minuti in un negozio.
Dio, è una donna. Una donna cornuta, che ha appena perso il
padre a cui era affezionatissima, stacanovista, che di solito si prende
forse una settimana di ferie all'anno, ma è pur sempre una
fottuta donna. E ha bisogno di un paio di scarpe. Ne ha un assoluto
bisogno.
«Posso esserle utile?»
«Sì, grazie.»
«Cosa sta cercando?»
«Scarpe» e subito dopo si sente un'idiota per la
risposta che ha appena dato alla quarantenne bionda dal seno rifatto
con la puzza sotto il naso che ha di fronte. «Con il tacco,
comode, belle» aggiunge poi per rimediare, guardandosi
attorno smarrita.
«Io le consiglio le zeppe» afferma lei, con l'aria
di chi la sa lunga. «Sono perfette d'estate, e poi quest'anno
abbiamo un sacco di modelli diversi, colorate, classiche, a
fiori...»
«Uh» fa, annuendo.
«Che numero ha?»
«Trentasei.»
Tutto piccolo, ha. Misura del piede, taglia, mani, seno, naso, bocca.
Eccetto le gambe, quelle ce le ha lunghe e le permettono di arrivare al
metro e settanta.
«Venga pure.»
Interi scaffali pieni zeppi di scarpe, dal trentaquattro al
quarantadue, con il fiocco sulla punta, a fiori, semplici, nere,
azzurre, grigie, beige.
Una ventata di pura felicità che non provava da troppo tempo
le invade il petto, seguita dalla voglia di comprare tutto.
«Quali vuole provare?»
«Tutte.»
***
Quando
esce dal negozio tiene in mano tre borsine di plastica che contengono
sei paia di scarpe, il portafoglio svuotato e un'adrenalina nelle vene.
Si avvicina alla macchina, apre il baule, mette gli acquisti dentro,
entra al posto di guida, mette in moto, si dirige al residence sulla
costa dove c'è casa sua con un sorriso sulle labbra.
Mentre guida, la vibrazione proveniente dalla borsa che la avvisa che
le è arrivato un nuovo messaggio sul cellulare la fa
sobbalzare. Colta da una curiosità quasi insopportabile,
aumenta di velocità. Dieci minuti dopo sta parcheggiando al
suo posto, zeta due b quattordici.
Esce, sbatte la portiera e percepisce all'istante un profumo di
salsedine ed eucalipto. Non sentiva questa fragranza da quando aveva
appena vent'anni, un'eternità fa.
Prende le valigie, scende di corsa gli scalini che la portano davanti a
casa sua e appena è dentro non si cura del fatto che il
divano è coperto da un lenzuolo e le saracinesche sono
abbassate e c'è una puzza di chiuso, tira fuori il
telefonino dalla borsa con il batticuore per vedere chi è il
mittente e cosa le ha scritto.
Come sospettava, è lui. L'ex. Il traditore. Lo stronzo.
Non è per niente indecisa su cosa fare. Nei film o nei libri
la protagonista si rifiuta di leggere, cancella i messaggi e le
chiamate o addirittura butta il cellulare dalla finestra, lei no. Anzi,
si chiede come facciano quelle a farlo, a ignorare tutto, a fregarsene
o almeno a fare qualcosa di concreto per auto-convincersi che sia
così. Lei no, non le passa nemmeno per la testa di
cancellare quel messaggio.
Ho fatto una cazzata lo so anche
io cazzo ma mi sono pentito. Ester ti prego devi ascoltarmi. So che mi
credi. Chiamami. Ho bisogno di te.
Parole
che sembrano messe alla rinfusa e punteggiatura quasi inesistente, cose
che la infastidiscono alquanto, vista la sua carriera da giornalista
affermata e la sua perfezione sistematica verso gli scritti, seppur si
tratti di un semplice sms. Ma nonostante questo in fondo in fondo
apprezza il fatto che si sia scusato.
Un
momento, lui non si è affatto scusato.
Con
una smorfia rilegge il messaggio per controllare di non essersi
sbagliata e appena arriva all'ultima frase capisce quanto sia
aggressivo e autoritario il suo tono e di quanto sia egoista ed
egocentrico.
Dio,
come ho potuto pensare di amarlo anche per un solo istante?
***
«Mamma,
ti prego, non sono più una bambina.»
«Lo so, tesoro, è solo che questa tua partenza
improvvisa mi preoccupa... sei sicura di stare bene?»
«Sì, certo» cerca di assumere il suo
solito tono determinato e sicuro, ma con scarso risultato.
«E' successo qualcosa al lavoro, amore?»
I suoi continui soprannomi sdolcinati la innervosiscono e basta.
«No, davvero. Tutto a posto.»
Non hanno mai avuto un buon rapporto essendo troppo diverse,
incominciando dal nome che le ha dato alla nascita. Ester. Che nome
è?, si è sempre chiesta lei. Magari avesse deciso
suo padre come chiamarla. A lui è sempre piaciuto il nome
Elisa. Anche lei lo adora. E invece, sfortunatamente per lei, ha scelto
la mamma il nome.
Non hanno praticamente niente in comune loro due, modo di vestire,
carattere, ambizioni, passioni. La madre ama fino allo sfinimento i
cani e ne ha cinque in casa, nonostante Ester e suo padre non erano
molto dell'idea quando dieci anni fa ne ha voluti prendere quattro
dalla cucciolata della vicina e due anni dopo un altro ancora che
tratta come se fosse una persona, l'ha chiamato Jhonny –
"come un uomo affascinante" dice lei –, lo bacia sulla bocca,
condivide con lui il cibo, dorme con lui, fa la doccia con lui... Senza
contare il modo in cui si veste: indossa abiti e scarpe vecchi e stra
usati e a Ester vengono i brividi ogni volta che la vede con un vestito
sfilacciato e bucato. Inoltre, a confronto di Ester e del marito, non
ha mai puntato in alto in fatto di lavoro, ne è la prova il
fatto che da quando aveva sedici anni è sempre andata nelle
case a fare i mestieri, e per l'amor del cielo, non c'è
niente di male, se solo non facesse anche la dog-sitter e la
"ricama-pezzi-di-stracci-delle-sue-amiche" come dicono segretamente lei
e, da quando si sono separati, anche suo padre. Insomma, sembra quasi
che non abbia un po' di amor proprio, e questo Ester non lo sopporta
minimamente.
E come se non bastasse, l'unica persona con cui stava da Dio
– il suo adorato papà –
è morta di infarto tre giorni fa.
«Come vuoi, in ogni caso sappi che quando vuoi venire a casa
mia puoi benissimo farlo, specialmente ora che», colpo di
tosse imbarazzato, «Beppe è, ehm, morto... Jhonny,
tesoro, non fare così con Lilli, su...»
Il modo con cui sta cercando di cambiare argomento è
sconcertante.
«Va bene mamma, grazie.»
«Oh, non c'è di che. Lilli, ti prego! Lo so che
sei in calore, ma con Pepe proprio...»
Storce il naso e cerca di non immaginarsi la scena a casa della madre.
«Okay, ora pensavo di uscire, ci sentiamo» dice
frettolosamente prima di chiudere la chiamata.
***
Sta
camminando verso la spiaggia, con in mano un cornetto algida comprato
poco fa al bar di Jo, lo sguardo verso il cielo nuvoloso e una gran
voglia di fare il bagno.
E' il venticinque di giugno e sembra settembre a causa delle nuvole
scure che da due giorni non si decidono a far vedere un briciolo di
sole.
Sospira. Dannazione, questo tempo le sta facendo passare ogni voglia di
fare qualcosa. Ieri ha passato l'intera giornata in casa a leggere,
guardare la tv e dormire, e oggi s'è decisa finalmente a
uscire e cercare di fare qualcosa di concreto, ma fin quando non ci
sarà un po' di sole dubita fortemente che ci
riuscirà.
Si avvia verso il pontile di legno accanto alla spiaggia deserta con un
magone addosso assolutamente non piacevole. E' indecisa se buttarsi in
mare così com'è o sedersi sul bordo con le gambe
penzoloni e finire il gelato. Mentre, con suo grande stupore, prende
seriamente in considerazione l'idea di entrare in acqua, una voce
vagamente familiare che sta gridando il suo nome la riscuote. Subito
dopo si volta, spiazzata.
Un uomo alto sì e no un metro e ottanta si sta avvicinando a
lei con un passo svelto e deciso. Quando è a pochi
centimetri di distanza riesce a studiare ogni più piccolo
particolare. Gli occhiali da vista dalle lenti rettangolari e dalla
montatura sottile, i riccioli scuri, il naso dalla forma strana, le
labbra un po' troppo carnose per un uomo, le spalle larghe, la camicia
nera, i jeans a vita alta, i mocassini e l'aria di chi non si lascia
intimidire dai pregiudizi della gente.
«S...Samuel?» balbetta lei, a bocca aperta dallo
stupore.
Annuisce, con un breve sorriso. «Proprio io.»
***
Ha
tanti, troppi ricordi di Samuel. Lo ha conosciuto in estate verso la
seconda metà di luglio all'età di quindici anni,
lui ne aveva quattordici, ed è stata la prima volta che lo
vedeva lì. Era sempre andato nel mese di giugno nella sua
casa al mare, solo che quell'anno a causa degli esami di terza media ha
dovuto cambiare periodo. Così si sono conosciuti e sono
stati insieme tre settimane e mezza. Negli anni successivi invece si
sono sempre beccati per una settimana al massimo, lui è
sempre partito qualche giorno dopo l'arrivo di lei.
Quel che importa è che si sono scambiati il primo bacio il
primo anno che si sono conosciuti e l'hanno sempre fatto nelle estati
successive, nonostante, a volte, lei fosse stata fidanzata con un altro
ragazzo. Non hanno mai perso l'attrazione reciproca, mai. La loro
pseudo-relazione, poi, è cessata quando rispettivamente a
diciotto e diciannove anni hanno deciso insieme che era arrivata l'ora
di finirla di stare insieme d'estate e che non erano più dei
ragazzini di quattordici e quindici anni e che il tempo passava per
tutti e due e le loro vite nelle loro relative città
proseguivano inarrestabili.
Non si vedono da quando lei ha smesso di scendere in Sardegna,
nonostante lui abbia continuato a venirci in vacanza con i genitori.
Quello che hanno condiviso sono dei sentimenti e delle emozioni
bellissime di cui fa fatica lei stessa a definirli con precisione.
L'unica cosa che sa con certezza è che è stato il
primo uomo che abbia veramente amato, nonostante sia un po' ridicolo da
pensare. Ricorda come se fosse ieri le fantasie che faceva di lui
quando a sedici anni trascorreva le giornate e le serate in sua
compagnia. Sognava di vivere insieme a lui, di sposarlo, di avere due o
tre figli con lui, di vivere la vita al suo fianco per sempre felice e
contenta. Lo vedeva come l'uomo perfetto, certo, con qualche difetto,
ma a lei andava bene esattamente così com'era. Aveva
imparato, anno dopo anno, ad accettare il suo carattere alle volte
enigmatico, e, a dirla tutta, non le era stato per niente difficile.
D'altro canto, lui faceva lo stesso. Anzi, quello che faceva lui era
sicuramente di più rispetto a quello che faceva lei, dato
che il carattere di Ester è dieci volte più
complicato del suo. Eppure lui ci riusciva senza sforzi.
Non ha mai creduto alla favole, all'anima gemella o al principe
azzurro, ma con lui s'è dovuta ricredersi. Sembrava che si
completassero, lei aveva bisogno di lui e lui aveva bisogno di lei. Si
amavano per quello che erano insieme, per quello che era Samuel e per
quello che era Ester, per quello che avevano e che non avevano, per i
loro segreti, per i loro pregi, per i loro difetti, per le loro
ossessioni, per i loro interessi.
E ora sorge un'unica domanda.
Perché, se stavano così bene insieme, non lo sono
restati per sempre?
A volte nella vita emergono piccoli o grossi interrogativi, e tutto
quel che si deve fare è semplicemente passarci sopra. Alcune
domande non hanno bisogno di ricevere una risposta.
***
«Allora,
cos'hai fatto in questi ultimi anni?» le chiede Samuel,
fissando il mare cupo davanti a loro con tranquillità
com'è solito a fare.
Ester si stringe nelle spalle e risponde solo dopo una trentina di
secondi che le servono per trovare un modo per iniziare.
«Be', è semplice, dopo essermi laureata ho trovato
un lavoro e mi sono fatta prendere... forse un po' troppo, lo
ammetto.»
Samuel trattiene una risata, ma lei se ne accorge e gli lancia
un'occhiata interrogativa.
«Mi fa ridere perché quando andavamo al liceo
quello che studiava tanto e passava più della
metà del suo tempo sui libri ero io.»
«E' vero» sussurra lei, arrossendo.
Proseguono alcuni minuti di silenzio in cui né lui
né lei sanno come riempirlo. Rimangono semplicemente seduti
uno accanto all'altro, lui si guarda intorno nonostante conosca a
memoria questo posto e lei finisce di mangiare il suo gelato con calma.
«Che lavoro fai?»
«Giornalista, di cronaca tendenzialmente politica.»
«Oh» fa lui, alzando le sopracciglia, colpito.
«E hai solo ventotto anni. Complimenti.»
«Grazie» borbotta Ester, sorridendo fugace.
«Tu invece?» aggiunge poi, spostando l'attenzione
su di lui. Non ama parlare troppo di se stessa.
«Mi sono laureato in biologia marina e adesso non sto facendo
niente di particolare, qualche uscita in sub, qualche lavoretto qui e
là... comunque una delle esperienze più belle che
ho fatto è stata salvare una balena con un mio amico
nell'oceano Atlantico, mentre stavamo facendo sub.»
«Uh, che bello» commenta lei, mentre riflette su
quanto tempo sia effettivamente passato e quanto siano cambiati,
nonostante in un certo senso siano rimasti uguali dall'ultima volta che
si sono visti.
«A cosa stai pensando?»
Ester alza lo sguardo di scatto.
E'
rimasto lo stesso di sempre, ancora in grado di leggermi nel pensiero.
«A
noi» risponde, sincera.
Questa volta è Samuel a guardarla interrogativo.
«Al tempo che passa e ai ricordi. Alle scelte che facciamo
durante la vita e alle cose che guardiamo passare durante gli anni.
Alle occasioni perse.»
Silenzio.
«Mi sei mancata, Ester.»
***
Adesso
stanno camminando a piedi nudi sulla spiaggia, lei tiene le zeppe nella
mano sinistra mentre lui ha lasciato i mocassini sul pontile.
Lei si sente stanca, ha una camminata pesante e fatica a tenere gli
occhi aperti, nonostante siano le cinque del pomeriggio e questa
mattina si sia svegliata alla bellezza delle dieci.
«Possiamo sederci?»
«Certamente.»
Si siedono lì dove sono, a due metri dalla riva, sulla
sabbia.
«Perché sei venuta qui, da sola, a
giugno?» domanda lui dopo un'ennesima pausa.
«E'... è successo un po' un casino»
mormora lei, distogliendo lo sguardo con una punta di distaccamento.
Benché sia Samuel, Samuel il pacifico, Samuel
l'avventuriero, Samuel il serio, Samuel il dolce, non ha troppa voglia
di parlare di quello che le è successo. E' venuta
lì per scappare dalla sua vita, non per raccontare a una
persona che non vedeva da un po' della sua vita negli ultimi anni.
«Aspetta, mi sembra che non hai molta voglia di
parlarne.»
«Esatto...»
«Ho capito.»
«Tu invece cosa mi racconti? Sei sposato?»
aggiunge, con una risata forzata.
Si volta fino a guardarla dritto negli occhi, e nel medesimo istante in
cui i due sguardi si incrociano i due cuori rallentano di battere.
«No» risponde, in un soffio.
«Neanche io» dice lei, con una lentezza
inspiegabile.
Silenzio.
«Sei cresciuto dall'ultima volta che ci siamo
visti» inizia Ester, cambiando tono di voce.
«Vero, mi sono alzato di almeno cinque centimetri, finalmente
sono più alto di te! Ricordi quando da ragazzi non potevi
mettere i tacchi altrimenti mi superavi?»
Ride, mentre nella mente riaffiorano immagini del passato. Immagini di
loro vestiti da sera che camminano per mano tra le bancarelle di Palau.
«Adesso posso metterle» dice, indicando le zeppe
che ha in mano con un sorrisetto.
Samuel in tutta risposta ammicca.
«E ti sei tagliato i capelli» aggiunge subito dopo
lei.
«Sì, ho deciso che i capelli alla Lucio Battisti
erano troppo... uhm, infantili. Ho voluto cambiare un po'
look.»
Gli fa l'occhiolino. «Stai molto bene
così.»
«Grazie.»
Silenzio.
«Posso chiederti una cosa?»
«Cosa?»
«Perché non sei più tornata
d'estate?»
Sposta lo sguardo verso il mare scuro e stringe le palpebre, dentro di
lei un tumulto di emozioni e sensazioni la invadono spietate.
«Non lo so, Samuel, ti giuro che non lo so» ha poi
la forza di sillabare, mentre una lacrima silenziosa le riga la
guancia.
***
«Mamma,
c'è Ester!» dice Samuel entrando in casa sua,
mentre lei lo segue dopo aver mormorato un "permesso" cortese.
«Oh» si sente da dentro, subito dopo esce una donna
mora sui sessant'anni con in mano un canovaccio e un'espressione
sbigottita sul volto. «Dio, Ester, quanto tempo è
che non ci vediamo? Sette, otto anni?»
«Otto» risponde lei, con un sorriso imbarazzato.
«Dio! Sei sempre più bella!»
«Grazie, Desy, anche io ti trovo bene» esclama
Ester, avvicinandosi a lei per darle un bacio sulle due guance.
Quest'ultima, con grande stupore di Ester, la abbraccia leggermente
circondandole il fianco destro con il braccio per poi stamparle un
bacio sulla fronte.
«Che bello che sei qui.»
«Sì... mi è mancato molto questo
mare.»
«Ineguagliabile, eh?»
«Già.»
«Posso offrirti qualcosa? Un caffè, una tazza di
tè, dell'acqua...?»
«Un caffè lo berrei volentieri, grazie.»
«Ottimo, vado subito a prepararlo.»
Intanto Samuel sposta una sedia a Ester con gentilezza, dicendo:
«Siediti pure.»
Sorride, pensando che le erano mancati terribilmente i suoi modi di
fare, la gentilezza e la simpatia di sua madre, la
tranquillità e la presenza silenziosa di suo padre, tutta
l'armonia che percepisce ogni volta che è in casa loro.
***
«Te
lo ricordi questo posto, Samuel?»
«Come potrei dimenticarmelo?»
Gli sorride, gli occhi che le brillano, le labbra incurvate in un
sorriso sghembo, mentre il riflesso della luna illumina il mare scuro e
il vento soffia forte su di loro.
«E' bellissimo rivederlo ora, a distanza di anni, e rivivere
nella mente le emozioni di un tempo.»
«Già...»
Silenzio.
Si fermano, vicino all'albero enorme, sotto un lungo ramo ricco di
foglie, i piedi immersi nella sabbia. Il posto in cui si erano dati il
primo bacio, esattamente dodici anni fa.
«Avevo voglia di vederti, sai?» le dice dolcemente
all'orecchio, abbassando un po' il collo per essere alla sua altezza.
Ester si volta appena fino a incontrare il viso di Samuel a pochissimi
centimetri di distanza dal suo, al che il suo cuore perde un battito.
«Baciami, ti prego» sussurra, con un tono quasi
supplicante.
Samuel unisce le loro bocche in un rapido gesto passionale. A Ester
manca il respiro quando le loro lingue riprendono a ballare la danza
che avevano lasciato lunghissimi anni fa. Eppure è ancora
tutto uguale, come se avessero ancora diciotto e diciannove anni, come
se niente fosse cambiato, come se Ester avesse continuato a scendere in
Sardegna d'estate, come se Samuel fosse ancora il posto sicuro in cui
si rifugiava lei ogni estate.
«Ti voglio, Samuel.»
«Ti amo.»
«Anche io, anche io.»
«Non lasciarmi più.»
«No, non lo farò più.»
«Mai più.»
«Mai più.»
Parole sussurrate a intervalli irregolari, tra un bacio e l'altro, tra
un sospiro e l'altro, tra una stretta e l'altra, tra un gemito e
l'altro.
Il
tuo viso, il tuo mento liscio, le tue labbra carnose, i tuoi ricci ben
definiti, le tue mani grandi, i tuoi occhi scuri, le tue spalle larghe
e muscolose, le tue braccia lunghe, la tua pancia piatta, la tua
schiena ben delineata. Sei perfetto, amore mio.
*** Note dell'Autrice
Se devo essere sincera, questa è una delle
one-shot che più mi ha lasciata soddisfatta e soprattutto ho
scritto con piacere, con la voglia e il bisogno di farlo. E'
praticamente come l'avevo in mente, scenette pensate o realmente
accadute alla sottoscritta... E quando - le poche volte che succede -
una fic esce più o meno uguale a come volevo io, rimango
davvero soddisfatta del risultato e mi sento realizzata, e questa
volta, modesti a parte, dopo tanto tempo è successo, mi
piace molto il risultato finale - a parte il titolo che non mi
entusiasma molto... Soprattutto adoro questa storia perché
la sento molto mia, non so se mi spiego x)
Bom, vi saluto, sperando che sia piaciuta anche a voi (:
Grazie per la lettura ^^
Laura
|