Capitolo 19 -
Madness.
«
Allora, che te ne pare? »
Se possibile, gli occhi di Christal sbrilluccicavano eccitati
più dei miei
quando vidi per la prima volta i Take That a distanza ravvicinata. O
forse no,
insomma, non ricordavo veramente. Comunque i suoi erano carichi di
aspettativa,
mentre era in attesa del mio responso, che probabilmente per lei
contava più di
qualsiasi editore di alta carica.
Avevo passato la notte a leggere tutto d’un fiato il suo
racconto. Lei mi aveva
invitato a riposare e leggere dopo una sana dormita, ma le avevo
risposto che
non avevo nessun bisogno di riposare. E poi sapevo che il mio giudizio
era
importante per lei, per cui perché aspettare?
Erano le cinque del mattino ed avevo gli occhi a pezzi, eravamo nella
sua
camera illuminate dalla lampada sul comodino accanto al suo letto che
ci aveva
tenute compagnia durante la notte. Christal in certi momenti era
sprofondata
nel sonno, ma subito dopo si risvegliava. « Non voglio
perdermi una singola tua
espressione facciale » diceva.
E a fine lettura, cui avevo dedicato particolare attenzione e tempo
perché non
avevo voglia di ritornare indietro con le pagine per ricordare un
particolare
dimenticato, le borse sotto gli occhi la dicevano lunga sulla mia
espressione
facciale.
Passare una notte intera davanti allo schermo di un portatile non
è il massimo,
solo adesso capivo come potesse sentirsi distrutta Christal quando
diceva di
avere “l’ispirazione notturna”, e quindi
trascorrere ore e ore a scrivere,
accompagnata da diverse tazze di caffè per farsi forza.
Abbassai lo schermo del portatile e mi portai una mano alla bocca per
sbadigliare vistosamente. Christal stava quasi per uccidermi per
l’ansia che
aveva.
« Quindi? » ripetè per
l’ennesima volta.
Feci per aprir bocca ma lei mi fermò subito dopo «
Aspetta, aspetta. Non voglio
falsi complimenti perché vuoi compiacermi, ok? E non essere
di parte perché sei
mia amica! »
« Ma io sono tua amica. »
Per quel tentativo di ironizzare mi beccai una sua occhiataccia che
avrebbe
fatto gelare l’oceano.
Alzai le mani in segno di resa « Va bene, scusa! Posso
parlare ora? »
« Te lo concedo » disse.
« Non ho niente da dire » esordii « Solo
che tra breve sarai ricca sfondata e
snobberai la tua vecchia amica Fabiana, sai, quella sempliciotta.
Magari mi
concederai anche una foto con autografo, se proprio sono fortunata.
»
I suoi occhi si illuminarono di gioia. Da un momento
all’altro sarebbe esplosa,
se non stava già implodendo dentro di sé.
« Davvero, se non te lo pubblicano vuol dire che gli inglesi
non ne capiscono
nulla di letteratura, è molto meglio di tanta schifezza che
si trova in giro. »
Christal fece per saltarmi addosso, e infatti lo fece: mi
stritolò e mi disse
che non meritava quei complimenti.
« Sta a te sapere se li meriti o no » affermai,
tornando seria « Tu sei
soddisfatta del tuo lavoro? »
« Be’, sai che non mi vanto mai »
esitò per un momento « ma sì, sono
abbastanza
fiera di come sia venuto. »
« Allora dobbiamo solo sperare che lo apprezzi anche
l’editore. Tu hai fatto la
tua parte. »
Sbadigliai di nuovo, alzandomi dal suo letto. Destinazione: camera mia
per una
sana dormita.
« Hey, dove vai? Devi ancora raccontarmi un po’ di
cose di questi mesi, i
particolari piccanti e tutto il resto! » protestò,
vedendo che mi allonavo per
andare alla porta.
Feci fina di non ascoltare la parte in cui parlava dei particolari
piccanti e
le sfoggiai un sorriso « E tu pensi davvero che dopo tutto questo
io
abbia la testa, la condizione fisica e morale per parlare? Ho bisogno
di
dormire. Decisamente. »
« Va bene, va’ pure » fece, con aria un
po’ delusa.
« Ti prometto che domani, cioè oggi, tra qualche
ora, sarò a tua disposizione
per ogni informazione, rivelazione o ciò che vuoi.
»
Christal sembrò non esserne entusiasta « Penso non
si possa fare, Fab. Durante
la mattinata devo portare il racconto all’editore e per la
serata John mi ha
chiesto di uscire. »
Ed io che avevo pensato di passare una giornata in compagnia della mia
migliore
amica. Avevo anche progettato di dirle del concerto a fine anno.
« Oh » risposta banale sempre
all’occorrenza.
« Mi dispiace, so che volevi passare un po’ di
tempo con me » sembrava davvero
dispiaciuta. Lo ero anch’io, la prospettiva di passare una
giornata da sola in
casa senza far nulla mi sembrava incredibilmente strana dopo aver
passato mesi
sempre a contatto con un sacco di gente: colleghi, popstar, cast e
varie.
Ma non potevo prendermela con Christal, ovviamente. Era una donna con
un
fidanzato, ed era più che normale che uscisse con lui. La
colpa era mia e della
mia incapacità di approcciarmi con l’altro sesso.
Mi venne in mente un certo
bacio e lo scacciai dalla mente. Volevo pensare a qualsiasi cosa tranne
che a quella
questione scottante.
« Potresti sempre chiedere a Kevin di uscire con te, no?
» propose speranzosa.
Kevin. Ormai il suo nome spuntava dappertutto, come prezzemolo.
« Non ho bisogno che tu mi organizzi appuntamenti per non
farmi restare da sola
come un cane a guardare la tv di sera. Un po’ di pace dopo
tutto questo caos
non mi farà che bene. » Acidità a mille.
« Non voglio farti da fata madrina, né tantomento
organizzarti appuntamenti »
ribattè offesa « Era solo un’idea, dato
che vi ho visti, come dire, molto
vicini quando sono venuta a prenderti
all’aeroporto. Ma può essere solo una
mia impressione. »
Sapevamo entrambe che era tutt’altro che una sua impressione,
ma ero troppo
imbronciata per dargliela vinta.
« Impressione o no, mi muoverò solo sotto invito.
Non ho né intenzione né
voglia di organizzare un’uscita » risposi aprendo
la porta « Buona notte,
Christal. »
Non seppi se anche lei mi augurò una serena notte
perché ero già entrata nella
mia, di camera, che era praticamente di fronte alla sua.
Odiavo litigare con Christal, succedeva molto di rado. Avevamo
caratteri così
simili che condividevamo persino i pensieri talvolta. Anche se quello
non
poteva considerarsi un vero e proprio litigio, entrambe non potevamo
fare a
meno dell’altra e i nostri bronci duravano al massimo cinque
minuti.
Mi sfilai gli abiti e indossai il mio completo da notte, nonostante il
cielo
fosse ormai abbastanza chiaro fuori dalla finestra: ma la testa
pulsava, se
fossi stata sveglia avrei sicuramente rimurginato su troppe cose
– come
riappacificarmi con la mia amica, pensare al suo
consiglio di invitare
Kevin per un’uscita, cosa altamente terrificante –
quindi optai senza
ripensamenti al sonno.
Sperando che avrebbe portato consiglio, o sperando che mi facesse
dimenticare
almeno per un po’ di quella situazione.
In realtà sapevo che non avrei dormito a lungo. Era
già un miracolo se
l’orologio sul comodino vicino al letto mi indicava le dieci
e trenta.
Ovviamente del mattino, data la luce soffusa che veniva dalla finestra.
Mi concessi qualche altro minuto per stare a letto, mentre dalla mia
stanza
sentivo chiaramente i passi di Christal che andavano avanti e indietro
per
casa. Probabilmente si stava preparando ad uscire e andare a consegnare
il
manoscritto al suo editore.
E’ sempre traumatico quando di mattina improvvisamente
ricordi ciò che è
successo la sera precedente. E così mi sentivo in quel
momento, alquanto
afflitta e agitata. Agitazione che andava ad aumentare quando sentivo i
passi
di Christal farsi sempre più vicini alla porta della mia
stanza, ma poi mi davo
della stupida, perché la sua era proprio di fronte.
Fin quando la sentii indugiare un po’ troppo lì
vicino. Sospettavo che prima o
poi avrebbe aperto la porta della mia stanza.
… oh, be’.
La porta si aprì cautamente. C’era questo patto
tra di noi, nessuna bussava
alla porta dell’altra, perché nessuna delle due
aveva nulla da nascondere
all’altra.
Avevo già gli occhi chiusi, quindi potevo tranquillamente
fingere di dormire
ancora. Ma quanto poteva valere la mia farsa? Si sarebbe accorta
sicuramente
che quello non era il sospiro di chi dorme.
Avrebbe pensato che non avevo voglia di parlare con lei, e in effetti
era così.
Non sapevo sinceramente il perché di quel mio atteggiamento:
sicuramente era
una mossa infantile e stupida, ma si diceva che chi avesse il broncio
lo faceva
perché si sentiva punto nel vivo.
Kevin. Maledizione a lui.
Dopo qualche secondo, richiuse la porta. E qualche passo dopo
sentii
aprirsi e richiudersi anche quella di casa, segnale che era uscita. E
che avevo
casa libera a mio svago e piacimento. Mi sentivo quasi come una
tredicenne che
viene lasciata da sola a casa per la prima volta. Magari
perché dopo tutto quel
tempo passato lontano, rivedere casa era un piacere.
Così decisi finalmente di alzarmi da quel letto e andare in
cucina a prepararmi
un po’ di caffè. Le abitudini italiane non
cambiavano mai, Christal ancora mi
chiedeva come facessi a bere la caffeina di mattina, mentre lei si
riempiva di
uova e bacon.
Oh, ricordavo ancora la prima volta che vidi quella casa. O sarebbe
meglio dire
appartamento al quinto piano di un grande palazzo. Ricordo quando
attraversai
quella soglia in compagnia di Christal: un anonimo appartamento spoglio
e privo
di alcuna personalità, con pochi mobili e le finestre chiuse
da chissà quanto
tempo. In quel momento io e la mia amica ci eravamo sentite come in
paradiso.
Era la nostra prima casa lontane dai genitori, il passo che avrebbe
dichiarato
la nostra indipendenza. Quasi tre anni in quell’appartamento.
Ci pagavamo l’affitto
con i soldi del mio vecchio lavoro dalla megera delle pezze
pregiate e
con quelli di Christal del suo vecchio lavoro… uno dei
tanti, ovviamente.
Christal inizialmente cambiava lavoro con la stessa frequenza con cui
ci si
cambia le mutande. Poteva dire di avere un vasto curriculum alle
spalle, poi si
era arresa ad accontentarsi del ruolo part-time di agente immobiliare.
Lavorava
di solito mezza giornata, a volte di mattina e altre di pomeriggio, e
il tempo
libero lo trascorreva dedicandosi anima e corpo al suo libro, mentre la
sua
domanda per la cattedra di lettere in una qualsiasi scuola rimaneva
senza
risposta.
Christal era sempre stata una donna ricca di sogni e aspettative.
Diventare
professoressa, scrittrice e trovare un uomo che la facesse stare bene.
L’ultimo
desiderio si era realizzato, dato che frequentava John, il suo ragazzo,
da
ormai molto tempo ed erano sempre affiatati come una coppia di
ragazzini. Il
secondo stava – speravamo entrambe – quasi per
realizzarsi, mentre per il primo
aveva ancora da aspettare.
Mentre io, in fondo, non chiedevo molto alla vita. Il mio sogno da
ragazzina
era sempre stato vivere in Inghilterra, e ormai lì
c’ero da tempo. Avevo una
passione, la fotografia, e per grazia divina un lavoro che la
riguardava. E
poi, dulcis in fundo, avevo avuto l’opportunità di
lavorare con la mia band
preferita. Ed era sicuramente più di quanto avessi mai
chiesto nella mia vita.
Di solito, le fan non chiedevano altro che andare ad un concerto,
magari
vincere anche un meet&greet, fare una foto con il cantante
preferito ed
avere l’autografo. Ma conoscerli di persona, avere a che fare
con loro, capirli
a fondo, era tutt’altra cosa… Una completa pazzia.
E ormai, avevo
imparato da tempo a crederci, nelle pazzie.
Avevo passato gran parte della mattinata a guardare la tv. Tra un
programma di
cucina e l’altro erano passate alcune ore, e di Christal
ancora nessuna
notizia. Mi sentii uno schifo di amica a non esserle vicino nel momento
che
stava aspettando da tempo. Per quanto freddo potesse essere, decisi di
scriverle un messaggio di scuse. Stavo appunto per schiacciare il tasto
“invio”
quando arrivò a me un messaggio. Pensai
subito che fosse Christal che mi
aggiornava sulla situazione. Ma appena vidi il nome sul display
sbiancai.
Oh cazzo. Cazzo cazzo cazzo.
“Ehi, come se la sta passando la mia italiana
preferita?”
Cosa ci faceva sul display del mio cellulare un messaggio il
cui mittente
portava un nome che iniziava per K e finiva per
evin?
E mi aveva davvero chiamata “la sua italiana
preferita? Be’, come se
conoscesse altre italiane, dopotutto.
Rimasi spiazzata. Kevin che scriveva messaggini? Che idea assurda.
Ridacchiai
sadicamente, mi sarei divertita un po’ con lui.
“Non immaginavo fossi un tipo che flirtava
attraverso sms. Mi stupisci,
davvero.” gli risposi poco dopo, sorridendo tra me
e me. Di solito non
usavo di certo il cellulare per mandare messaggi, anche
perché non avevo
nessuno a cui mandarli. Christal mi stava tra i piedi giorno e notte, e
al
massimo se dovevamo dirci qualcosa a distanza usavamo la chiamata.
Il telefono vibrò, segno che era arrivato un altro
messaggio: “Che vuoi
farci, la prossima volta imparerai a non dare il tuo numero di
cellulare ai
colleghi di lavoro che potrebbero usarlo per scopi propri e
oscuri”
Se pensava che l’ironia fosse un modo per
abbindolarmi, aveva centrato in
pieno. Adoravo il suo essere ironico, adoravo il fatto che tra di noi
si fosse
creato quel legame che finalmente l’aveva fatto sciogliere
dal suo perenne stato
di sono-un-pezzo-di-ghiaccio.
“E mi dica, collega, quali sarebbero i suoi oscuri
piani?”
Mi stupivo persino di me stessa: stavo davvero tenendo il suo gioco?
Santo
cielo, ero completamente andata. E non potevo far altro che chiedermi
cosa
avesse in mente, mentre aspettavo la sua risposta.
Risposta che non tardò ad arrivare: “Vorrei
rapirti per questa serata e
sottoporti alla tortura della mia compagnia. Dopo cena, passeggiatina
all’Hyde
Park?”
I miei occhi sarebbero potuti cadere dalle orbite oculari, mentre
inconsapevolmente
facevo una risatina nevrotica ed esaltata.
No, Kevin non mi stava veramente chiedendo di passare la serata con lui
all’Hyde Park, io non avevo lo sguardo perso sul display e
non ero esaltata da
morire. E Christal non era la mia migliore amica e io non avevo mai
conosciuto
i Take That.
Senza nemmeno rendermene conto stavo gli stavo scrivendo un “Certo,
per me
va bene” con la bocca ancora aperta come
un’ebete.
Ovviamente la prima cosa che pensarebbe una donna che si rispetti
è “che cosa
diavolo devo indossare?”, ma a quello ci avrei pensato solo
dopo aver mandato
un messaggio a Christal, in cui le chiedevo umanamente scusa e le
dicevo che
aveva poteri di veggente, senza specificarle il perché:
quella notte lei stessa
mi aveva proposto di uscire con Kevin e all’improvviso lui mi
manda un
messaggio per dirmi che ha voglia di fare una passeggiata con me.
Fatto il mio dovere, mi decisi a correre in camera a cercare qualcosa
di
decente nell’armadio, ma prima che potessi muovere un passo
il cellulare
squillò.
« Pronto? » quasi urlai al mio interlocutore
– sconosciuto, perché ero ancora
troppo esaltata per controllare chi mi avesse chiamata.
« Non mi hai detto dove posso venire a prenderti e a che ora
» mi rispose la
voce metallica di Kevin. Persino dal cellulare notavo il suo tono
divertito.
« Oh, sì, scusa. Ci vediamo all’Hyde
verso le otto, va bene? »
« Non dire sciocchezze » esclamò
« Che razza di prigioniera saresti se non
venissi a prenderti personalmente? Non posso certo rischiare che tu mi
scappi
sotto il naso. »
Sorrisi alla sua frase, voleva venire a prendermi con la sua auto. E
tentare di
oppormi alla sua decisione già presa era tempo sprecato,
così gli dettai il mio
indirizzo.
« Perfetto, alle otto sotto casa tua. Sicura che non hai
altri impegni? »
« Nessuno. E cosa potrei desiderare di meglio, se non essere
rapita da un baldo
criminale? »
« Grazie per il baldo »
ridacchiò, e fui grata al cielo che non poteva
vedere il mio volto arrossito « Allora ci vediamo alle otto!
»
« Va bene. Ciao » lo salutai e chiusi la chiamata,
sorridendo ancor più di
prima.
E nello stesso istante suonò il campanello di casa. Alzai
gli occhi al cielo,
evidentemente non mi era concesso andare in camera e trovare dei
vestiti per
quella sera.
Avevo quasi il sospetto che fosse lo stesso Kevin, ma come avrebbe
potuto, dato
che gli avevo appena dato il mio indirizzo? Non poteva trovarsi in
zona, non
poteva essere lui per il semplice motivo che ero ancora in pigiama e
l’idea che
mi vedesse in quello stato era terrificante.
Comunque, per essere sicura guardai nel mirino della porta, e tirai un
sospiro
di sollievo nel constatare che era solo Christal, con le braccia piene
di carte
e ovviamente impossibilitata a prendere le chiavi.
« Oh santo cielo, menomale che ci sei, ho le mani piene
» disse in fretta e
furia, entrando velocemente in casa « Non avrei saputo dove
metterle, sai che
non metto mai le chiavi in tasca per sicurezza e non le avevo a portata
di
mano, sono entrata dal portone all’ingresso solo
perché stava giusto uscendo la
vicina e… »
« Kevin mi ha invitato a uscire con lui stasera. »
Christal spalancò bocca e occhi come se avesse visto un
fantasma, i fogli le
caddero di mano ed io le feci un sorriso imbarazzato.
« Spero solo che le due bottiglie di birra in frigo ci
basteranno » mormorò con
un perverso scintillio neglio occhi.
Cosa possono fare due donne ormai adulte e vaccinate dopo aver saputo
che una è
stata invitata ad uscire dall’uomo che le interessa e
l’altra presto
pubblicherà un libro? Ovviamente
saltavano sul letto, se non
completamente, almeno mezze sbronze cantando a squarciagola (o meglio, strillando)
Relight My Fire e diverse canzoni dei Take That, che fossero
prevalentemente
energetiche. Durante quel medley che consideravo estremamente
emozionante,
Christal si era dimostrata particolarmente entusiasta, specie quando
per finire
in bellezza si era abbassata i pantaloni e aveva cominciato a cantare
Do What
You Like in mutande.
« Santo cielo Christal, sei senza ritegno! » dissi
fingendomi disgustata,
mentre me la ridevo sotto i baffi.
« Scusami tanto, pensavo avessi altri gusti »
esclamò lei scoppiando a ridere e
buttandosi a peso morto sul letto « E poi devo ricordarti che
la mia bottiglia
di birra è vuota, a differenza della tua? Sei la solita
santarellina del
cavolo. »
« Sono solo più ragionevole di te, o invece devo
ricordarti che ho un
appuntamento? »
« Ooh, è una cosa importante allora »
disse Christal con gli occhi che
mandavano scintille.
Arrossii di botto « Ho solo sbagliato termine, non farne una
questione di
stato. »
« Sì, come no » disse con fare fin
troppo malizioso « Forse hai ragione, non
sei tanto una santarellina sotto sotto, chissà cosa non
farete stasera all’Hyde
Park, sempre se mai ci metterete piede e non vi fermerete troppo nella
macchina
di Kevin… »
Misi a tacere le sue parole insensate con una potente cuscinata in
pieno volto
degna di una combattente di wrestling.
« AHIA! » urlò con le lacrime agli occhi
« Mi hai fatto male! »
« Ecco cosa succede alle ragazzine che si
ubriacano un po’ troppo. »
« Grazie, mammina »
mormorò.
« Di nulla, tesoro. Ora, ti dispiacerebbe rimetterti quei
jeans, indecente che
non sei altro? »
« Mmm » mugugnò per poi afferrare i
pantaloni e indossarli. Guardò di sfuggita
l’orologio al polso « Sono quasi le sei, non ce la
farai mai ad essere pronta
in due ore. »
« Oh, no no no » cominciai, sapendo dove voleva
andare a parare « Tu non mi
aiuterai a scegliere cosa mettere, cara. Farò
tutto da sola, non ho
intenzione di stare ai tuoi giochetti. »
Mettersi nelle mani di Christal per una consulenza
sull’abbigliamento era
peggio che andare al patibolo e farsi impiccare. O almeno lo era per
me, che
amavo le cose semplici e niente affatto appariscenti. Lei era una
maniaca a
tutti gli effetti, quando si parlava di questioni del genere: secondo
la sua
opinione, se un uomo non ti squadrava da capo a piedi per almeno venti
secondi
come se le sue pupille lanciassero raggi infrarossi non eri vestita in
maniera
abbastanza decente. Secondo la mia opinione, invece, che ritenevo
decisamente
più saggia, bastava sentirsi a proprio agio, e trovavo
abbastanza inutile
chiudersi in un vestitino stritolatutto solo per farsi notare.
Perciò fin dall’inizio avevo optato per un
pantalone nero che scendeva dritto
lungo le gambe, una semplice camicia bianca e un giubotto di pelle,
perché
Londra in novembre non era una delle città più
calde del mondo. L’unico momento
di trionfo che Christal si potette concedere fu di vedermi indossare i
tacchi,
perché – ahimè – non ero mai
stata una montagna. Basti pensare che ero qualche
centimetro più bassa di Mark per farsi una vaga idea. Kevin,
da parte sua, era
abbastanza alto, quindi non avrebbe sfigurato.
Intanto anche Christal si stava preparando per uscire con John, ed
erano già le
otto quando sentii bussare al citofono. Mi appostai alla finestra e
individuai
la sua auto.
« Puntuale come il Big Ben, il ragazzo »
commentò Christal dalla sua stanza «
Dacci dentro, tigre. »
Sorrisi alle parole di Christal, presi le mie cose e la salutai
« A stasera! »
« A domani, vorrai dire » la sentii esclamare prima
di chiudermi la porta alle
spalle e scendere le scale.
Kevin mi stava aspettando all’ingresso con le mani nelle
tasche dei suoi
pantaloni grigio scuro, in tinta con la giacca. Sembrava molto
interessato allo spazio intorno a lui, fin quando non mi vide arrivare
e si
aprì in un gran sorriso.
E avrei potuto sciogliermi all’istante nonostante le
temperature.
« Ciao » gli dissi, ricambiando il sorriso.
« Stai benissimo » constatò, studiandomi
da capo a piedi.
Perfetto, ero già in imbarazzo.
« Non attacca con me, furbone » affermai fingendo
disinteresse, mentre andavamo
alla sua auto « Dovrai inventarti qualcosa di più
originale. »
« Oh, certo » ridacchiò con un cipiglio
sarcastico, aprendomi la porta del
passeggero « Hai messo del phard, per caso? »
« No… » risposi confusa.
Kevin mise in moto la macchina e mi rivolse un altro sorriso divertito
« Che
strano, mi era sembrato di vedere del rossore sulle tue guance.
»
Fu un tragitto piacevole, e l’Hyde Park era sempre un luogo
incantevole, che mi
affascinava nonostante l’avessi visitato centinaia di volte.
Adoravo tutto quel
verde, era splendido come natura e luci potessero assemblarsi in modo
così
perfetto. Vivevo da quasi tre anni a Londra, ero stata
all’Hyde diverse volte e
tuttavia ogni volta riuscivo a trovare un angolo nuovo da visitare.
Quella sera con Kevin, ci limitavamo a passeggiare lungo il Serpentine
Lake,
guardando diversa gente pattinare sul famoso lago a forma di
“elle”. Non ci
avevo mai provato, a camminare e correre su quei cosi
chiamati pattini.
Goffa com’ero, dovevo solo ringraziare il cielo se riuscivo a
stare sui tacchi,
era meglio non sfidare ulteriolmente il mio equilibrio precario.
Io e Kevin avevamo cominciato a raccontarci aneddoti divertenti, per i
quali
spesso ridevamo di gusto.
Tutto sembrava gridare la parola “appuntamento”, ma
cercai di ignorare le
coppiette che pattinavano tenendosi per mano, o che passeggiavano
esattamente
come noi. Probabilmente avrei ignorato anche un cartello con caratteri
fosforescenti se lo avessi avuto davanti agli occhi, perché
preferivo
considerare tutto quello una semplice uscita tra amici. Anche se sapevo
benissimo che Kevin era molto più di un amico, non potevo
azzardarmi ad
indovinare i suoi sentimenti nei miei confronti. Restava comunque un
libro
chiuso, nonostante fosse ormai molto più aperto quando era
con me.
« Ci vieni spesso qui? » gli domandai.
Kevin aveva lo sguardo fisso sulla pista di pattinaggio.
« Qualche volta » disse dopo qualche secondo
« Sarebbe più preciso dire che ci
venivo, in realtà. »
« Venivi? »
« Diciamo che… certe abitudini a volte cambiano
» rispose, con un tono che
capii lo aveva messo in soggezione. Avevo ovviamente toccato un punto
dolente,
e con una nota di fastidio pensai che in quelle “certe
abitudini” c’entrasse
qualcosa quella donna di cui mi aveva raccontato, Sophia.
Comunque, non mi persi d’animo: una bella serata come quella
non poteva essere
rovinata da una domanda inopportuna.
« Anch’io ci sono venuta spesso, da quando vivo in
Inghilterra » ripresi.
« Sei praticamente scappata dall’Italia?
» chiese lui, interessato. Ero felice
che avessi spostato l’attenzione su un altro argomento
« Come mai? »
« Mi è sempre stata stretta, come nazione. Mi
sentivo inglese nell’anima, come
dire » confessai con un sorriso « Era sempre stato
il mio sogno vivere qui. »
« Come immagino sia sempre stato il tuo sogno conoscere di
persona i tuoi idoli
musicali. O meglio, lavorare con loro. »
« E’ stato più come un regalo. Non ho
mai espresso grandi desideri nella mia
vita, mi accontentavo di buoni voti a scuola quando ero giovane, ed ora
che
sono un po’ più matura, be’, ho sempre
sognato solo un lavoro che mi
soddisfacesse e… » evitai di dire
“l’uomo della mia vita”, non volevo
sembrare
una stupida sentimentale «… e l’ho
trovato, per fortuna. Ringrazio il destino,
o chiunque altro ne sia responsabile, per avermi fatto lavorare a
stretto
contatto con i Take That, ma sono fermamente convinta che avrei potuto
vivere
ugualmente anche senza di loro e essere comunque felice. »
« Quindi sei felice? » mi domandò
« Intendo, sei soddisfatta della tua vita? »
« E’ una domanda difficile » dissi
sorridendo. In realtà non sapevo che
rispondere. « Immagino di sì, ma nella vita non si
smette mai di avere
aspettative, no? Ho un sacco di cose ancora in cui sperare. »
Come ad esempio che tu non faccia parlare solo me per tutta la
serata,
mi trovai a pensare. Anche perché tra una chiacchiera e
l’altra, qualche
momento di silenzio in cui ci godevamo l’ambiente
circostante, era passato
molto tempo senza nemmeno rendermene conto.
« E tu, invece? Sei soddisfatto? » gli chiesi.
« Bella domanda » disse con un sorrisetto
« Sì, ho un bel lavoro, come sai mi
piace fare foto, anche se vorrei avere uno studio personale. Ma
ciò che sento,
ormai a più di trent’anni, è il bisogno
di… avere una famiglia, forse. »
Inspiegabilmente si era spinto più in là lui che
io. A differenza sua, non
avevo minimamente accennato alla parte sentimentale del discorso, che
aveva
sicuramente un peso maggiore rispetto a quello lavorativo. O almeno,
solo
adesso che ci facevo caso me ne accorgevo.
Cercai di dire qualcosa, in realtà non sapevo come
continuare: ogni domanda mi
sembrava troppo inopportuna, troppo personale. Kevin, da parte sua,
aveva
ancora lo sguardo assorto, i pensieri rivolti a qualcosa che non potevo
vedere.
Tentai dunque di pensare a qualcosa da dire, ma il flusso dei miei
pensieri fu
interrotto da una sensazione di bagnato sul volto. Mi toccai il viso e
trovai
effettivamente un puntino bagnato di pelle. E con una sensazione di
orrore,
alzai gli occhi al cielo.
Oh, no, maledizione.
Avrei dovuto immaginarlo che sarebbe venuto a piovere. Mi
sentii una
stupida a non aver portato un ombrello, ma a quanto pare nemmeno Kevin
ci aveva
pensato: almeno eravamo stupidi in due. In poco tempo –
accadde tutto
velocemente – il parco parve perdere la vivacità
di pochi istanti prima: la
pista si svuotò velocemente, mentre tutti tentavano di
mettersi a riparo sotto
gli alberi o nei diversi bar che si trovavano in giro. Anche noi
cercammo di
ripararci sotto le foglie degli alberi, ma le gocce di acqua avevano
penetrato
il colletto della camicia e cominciavo davvero ad avere i brividi.
Kevin parve accorgersene. Guardò il cielo: la nuvola nera
era molto estesa, ci
sarebbe voluto tempo prima che smettesse. « Sarebbe meglio
tornare in auto. »
disse infine.
Annuii, completamente d’accordo. « Pronto a
correre? »
Mentre correvamo sotto la pioggia – io cercando inutilmente
di riparare il capo
con la borsa – non potei fare a meno di pensare che per la
seconda volta che
uscivo con Kevin, proprio come la prima, il tutto fu rovinato da una
stupida
pioggia.
« Mi dispiace molto » disse Kevin, una volta che
fummo in auto.
« Figurati, non è mica colpa tua. Anzi, dispiace a
me, sto bagnando tutto. »
« Non dire sciocchezze » disse osservandomi
« Sei completamente zuppa. »
Come se la borsa fosse servita a qualcosa, ovviamente. Sembrava che mi
avessero
gettato in mare con tutti i vestiti.
« Nemmeno tu sei da meno » dissi, squadrandolo
« Penso che sarebbe meglio… »
Le mie parole furono bloccate da uno starnuto.
Fantastico. Adesso anche il raffreddore. La serata aveva preso
decisamente una
brutta piega. E da quando il mio corpo era così debole?
Prendersi un
raffreddore per una semplice pioggia…
« Sei raffreddata! » Commento da Capitan Ovvio.
« Mi dispiace davvero tanto,
Fabiana, avrei dovuto portarti in qualche luogo chiuso, scusami.
»
Sembrava davvero mortificato, e non potei far altro che provare un moto
di
tenerezza e affetto verso quelle attenzioni.
« Non preoccuparti, davvero, sarà roba da niente.
E’ stata una bella serata,
comunque. Ma penso sia meglio tornare a casa, non credo
smetterà presto lì
fuori. »
« Sì, hai ragione » disse mettendo in
moto « Ti porto subito a casa. »
Il viaggio di ritorno fu silenzioso. Entrambi eravamo dispiaciuti che
la serata
fosse finita in quel modo, ma evidentemente la fortuna non era dalla
nostra
parte.
« Grazie, Kevin. Buona notte » lo salutai quando mi
fermò di fronte al palazzo.
« ‘Notte. E riguardati » rispose con un
sorriso preoccupato.
Uscii dall’auto e con una corsa arrivai al portone. Cercai le
chiavi nella
borsa, mentre dietro di me sentivo ancora il rumore della macchina di
Kevin,
che voleva accertarsi che fossi entrata prima di andare.
Il cellulare, il portafogli, documenti… le chiavi di casa
non saltavano fuori.
Cercai nelle tasche dei pantaloni e del giubotto, ma nulla. Con un moto
di
terrore pensai che forse non le avevo nemmeno messe in borsa prima di
uscire.
Se quella serata aveva preso una brutta piega, di certo stava finendo
davvero
male. Non mi era mai, e dico mai capitato di dimenticare le chiavi. E
dovevo
fare la figura della sbadata proprio quando ero uscita con Kevin e
quando
Christal non era in casa.
Ero rimasta fuori, con la pioggia scrosciante, un raffreddore e un mal
di testa
in arrivo.
« Qualcosa non va? » mi chiese Kevin dalla sua
auto, affacciandosi dal
finestrino.
« Non trovo le chiavi, penso di averle dimenticate in casa
» dissi disperata.
Kevin scese dall’auto e mi venne vicino.
« Non c’è Christal, la tua amica?
» domandò.
« No, è uscita con il suo ragazzo e non mi va di
disturbarla » sospirai « Penso
che mi farò ospitare dalla vicina finchè non
tornerà. »
« Non ci pensare nemmeno » disse Kevin prendendomi
per mano e muovendosi verso
la macchina « Ti porto a casa mia. »
« Oh, no » dissi, assolutamente contraria
« Kevin, non penso sia una buona
idea. »
Ma parlare era inutile, Kevin mi aveva già trascinata in
auto e stava
rimettendo in moto.
« Kevin, grazie, ma non voglio assolutamente disturbarti, e
poi avrei potuto
perfettamente aspettare Christal… » la testa
cominciava a pulsare. Maledetta
pioggia.
« Farai una doccia calda e ti troverò qualcosa di
asciutto da metterti » disse,
ignorando le mie parole « Non c’è alcun
disturbo, dato che vivo da solo. »
Avrei tanto voluto approfondire il discorso, ma mi sentivo
già completamente
stordita dal naso otturato e il mal di testa. Comunque il tragitto fino
a casa
di Kevin non fu lungo. Giungemmo dinnanzi un’abitazione, una
villetta che non
riuscivo a vedere bene per colpa della pioggia. Sapevo che era casa di
Kevin
perché rallentò ed entrò nel garage.
Una volta scesi dall’auto mi condusse alla
porta ed entrammo.
La prima impressione che ebbi della sua casa era che fosse
più lo studio di un
qualche fotografo professionista. Sulle pareti dell’ingresso
che si allungava
in un corridoio – dalla bellissima tonalità di
rosso scuro – erano esposte
fotografie con diversi soggetti, prevalentemente donne. Rimasi
incantata ad
osservarle, erano foto davvero splendide. Fin quando il mio occhio non
si posò
sulla figura di Kevin che si toglieva la giacca con un gesto veloce e
la
appoggiava all’appendiabiti. Non so se fosse la febbre
imminente, ma qualcosa
nel basso ventre si mosse, e capii perfettamente il perché.
Non avevo mai
negato che Kevin fosse un uomo affascinante: alto, slanciato, con le
linee del
viso marcate ma eleganti, gli occhi e i capelli scuri che gli davano
quell’aria
così particolare, per essere un inglese.
E non mi accorsi che stavo da qualche minuto a fissarlo fin quando non
fu lui a
riportarmi alla realtà.
« Che fai ancora lì? Vieni, togliti il giubotto.
»
« Stavo… guardando le foto » risposi.
Be’, non era del tutto una bugia. Mi
tolsi il giubotto e capii che aveva acceso il riscaldamento,
perché non avevo
alcun freddo.
« Allora, il bagno è in fondo sulla sinistra.
Fa’ presto, o rischi di
ammalarti. Io andrò a prenderti dei vestiti.
Puoi… puoi usare il mio
accappatoio, per asciugarti » disse in imbarazzo. Sorrisi
mentre lui si
dileguava in una stanza. Mi sentivo terribilmente in colpa ad
approfittare
della sua gentilezza, ma avevo davvero bisogno di una doccia calda,
perciò
andai in bagno. Ebbi appena il tempo per togliermi le scarpe che Kevin
bussò
alla porta.
« Entra pure. »
Portava in mano dei vestiti e delle ciabatte. « Ti staranno
un po’ grandi, ma
almeno sono calde » disse rivolto a queste ultime. Mi porse i
vestiti e li
presi. Mi aspettavo di trovare dei suoi pantaloni e una sua t-shirt
– l’idea di
indossare qualcosa di Kevin mi esaltava alquanto – ma quando
mi resi conto che
erano vestiti di donna, mi insospettii.
« E questi? » chiesi rivolto ai vestiti, prima che
lui potesse scappare al mio
interrogatorio.
« Erano della vecchia proprietaria della casa, li trovai
nell’armadio quando la
comprai, probabilmente li aveva dimenticati e non è mai
tornata a riprenderli »
disse con sicurezza. Ovviamente era la balla più grande che
avessi mai sentito,
e la velocità con cui aveva risposto confermava il fatto che
aveva messo su quella
storiella già prima.
« Dovrebbero essere della tua taglia, comunque »
aggiunse.
« Grazie, faccio subito » gli dissi, e lui
uscì dal bagno.
Mi spogliai ed entrai nella doccia, aprendo subito l’acqua
calda. Per fortuna
la biacheria non era bagnata come tutto il resto dei miei vestiti. Mi
concessi
anche uno shampoo veloce. A fine doccia, provai quei vestiti: in
effetti mi
entravano alla perfezione, e forse erano anche una taglia in
più, ma sapevo che
durante quei mesi di lavoro ero dimagrita. Comunque, non potevo sperare
di
meglio. Già trovare abiti femminili in una casa abitata da
un maschio single
era vantaggioso, perché forse mi sarei imbarazzata ancora di
più ad indossare
dei vestiti suoi.
Mi asciugai i capelli, fortunatamente non li portavo mai troppo oltre
l’altezza
delle spalle quindi non ci misi molto.
Una volta uscita dal bagno incrociai Kevin che usciva da una stanza.
Anche lui
si era cambiato.
« Tutto bene? » mi chiese, ed annuii.
« Ho messo i vestiti nell’asciugatrice, spero non
ti dispiaccia. »
« No, anzi, stavo per dirtelo io » mi disse con un
sorriso « Vieni, ti ho
preparato la mia stanza. »
« La stanza? »
Lui alzò gli occhi al cielo « Non avrai pensato di
tornartene a casa. Per
questa notte dormi da me. »
« No, Kevin, non se ne parla. Non posso approfittare
così della tua gentilezza.
»
« Ma ti senti? Hai il naso completamente otturato, devi stare
al caldo. »
« E tu dove dormirai? »
« Ho una stanza degli ospiti » disse semplicemente,
guardandosi i piedi « Dai,
vieni. »
« Santo cielo, scotti » aggiunse poi, quando mi
prese per mano per accompagnarmi
in camera.
« Scusa. »
« Scusami tu, non è di certo colpa tua se hai la
febbre, ma del sottoscritto. »
disse, quando fummo entrati in camera « Per cui ospitarti a
casa è il minimo
che possa fare. »
Mi sedetti sul suo letto. Era tutto buio, riuscivo a stento a
riconoscere il
materasso.
« Ti porto della tachipirina, altrimenti la febbre
salirà ancora » decretò
prima di sparire e tornare quasi subito dopo con un bicchiere
d’acqua. Bevvi la
tachipirina e mi stesi sul letto.
« Se hai bisogno di qualcosa chiamami » disse Kevin.
« Grazie ancora » gli risposi riconoscente. Kevin
mi fece un ultimo sorriso e
chiuse la porta.
Era così strano stare nella stanza di Kevin. Mi chiedevo
perché non avesse
preparato per me la stanza degli ospiti, anziché farmi
dormire in camera sua.
Ma prima che potessi chiudere gli occhi starnutii di nuovo. Con un
immenso
sforzo arrancai carponi fino ai piedi del letto, dove c’era
la mia borsa.
Cercando i fazzoletti, mi ritrovai tra le mani il cellulare e per puro
scrupolo
controllai il display: non c’era alcuna chiamata da parte di
Christal.
Ovviamente stava pensando chissà che cosa, già mi
immaginavo la sua fervida
immaginazione volare in terre lontane. E invece ero a casa di Kevin con
la
febbre. Le mandai un messaggio in cui le spiegavo la situazione e
finalmente
tornai a stendermi.
Hola! :D Come va, tutto
bene? State resistendo a questa odiosissima bolla di calore che ci
avvolge allegramente? Io trovo conforto solo nel condizionatore, mon
amour <3
Dunque, che vi devo dire: capitolo di passaggio. Diciamo che
è la prima parte di un capitolo superipermega lungo, e la
seconda parte è ancora in fase di scrittura, ma dato che
volevo postare ho deciso di tagliare qui. Ovviamente il prossimo
sarà molto più interessante, anche se ho adorato
scrivere questo: sarà per la mancanza dei Take That, mi
accorgo che in questa storia stanno diventando sempre più di
contorno ma ormai sta andando così... la prossima volta, se
mai mi cimenterò di nuovo in long in questo fandom,
vedrò di non mettere in mezzo personaggi inventati e
dedicarmi solo a loro *^*
Be', allora ciao! :D
*va a saltellare in mutande sul letto cantando Do What You Like*
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