Titolo: Nel silenzio…
Fandom: xxxHOLiC
Rating: Verde
Spoiler: sottintesi di tutta la serie, ma
probabilmente non si notano
Personaggi: Doumeki
Parole: 1075 (Word)
Disclamer: xxxHOLiC e i suoi personaggi sono
proprietà del maestre CLAMP
La canzone da cui proviene la citazione è Saying Nothing di THEA GILMORE
Note: scritta per il contest “Wordsmith”
indetto da harriet_yuuko
Team Gilmore:
Citazione:
1. I'm saying nothing, it makes my feelings
just a little louder
(Saying nothing)
Non era mai stato un bambino loquace. Fin da piccolo aveva imparato
l’importanza e la bellezza del silenzio che l’aveva
sempre circondato. Lui primogenito di una famiglia che portava avanti
un grande tempio. Primogenito maschio e come tale in pericolo, gli
avevano spiegato quando era troppo piccolo per capire. Ma non aveva
rifiutato, non un lamento, non una parola, quando gli avevano fatto
indossare un kimono colorato, con ricami di fiori rosa tenuto fermo da
un grande obi con un fiocco elegante. Un kimono femminile, per
nasconderlo da occhi bramosi di esseri a lui invisibili, un kimono
femminile per proteggerlo.
Si era guardato allo specchio il primo giorno che suo nonno lo aveva
vestito in quel modo. Cappelli lucidi tagliati leggermente
più lunghi di un caschetto e quel kimono così da
bambina. Aveva alzato gli occhi verso l’uomo accanto a lui,
non una parola ma tante domande in quello sguardo apatico e che non era
per nulla quello di un bimbo della sua età. Il monaco si era
inginocchiato di fronte a lui, una carezza gentile sulla testa del
nipote e un sorriso dolce su quel volto adulto prima di iniziare a
spiegargli cose che sapeva non avrebbe capito, non ora, ma che in
futuro gli sarebbero state chiare.
Ascoltava Shizuka, in silenzio, come sempre. Ascoltava quei discorsi di
spiriti ed esorcisti, discorsi che avrebbero fatto avere incubi a tutti
i bambini, ma lui ascoltava senza scomporsi, senza ribattere senza fare
domande inutili. Suo nonno avrebbe risposto a tutte quelle che avrebbe
saputo distinguere, intervallate da un battito di ciglia e
l’altro, nei suoi piccoli occhi.
L’aveva preso in braccio quel giorno, lo aveva portato fuori
nel giardino del tempio. Era notte, un’ora nella quale i
bambini della sua età già dormivano da tempo, ma
Haruka doveva mostrargli quel mondo, senza farglielo vedere con gli
occhi, perché lui, piccolo e già potente, non
poteva vedere ciò che la sua strabiliante aura spirituale
già cominciava a repellere.
Ma Haruka sapeva che mostrare qualcosa non significava necessariamente
renderlo percepibile alla vista.
L’aveva portato in giardino, un dolce peso nelle sue braccia
di uomo non più giovane ma non ancora vecchio. Gli aveva
indicato un punto al di là dello steccato di legno che
circondava il tempio. Oltre le fronde dell’albero di ciliegio
secolare che dolcemente regalava al vento piccoli petali rosati.
Gli spiriti danzavano quella notte, in festa per l’arrivo
della primavera. Shizuka non li vedeva ma il suo cuore poteva percepire
qualcosa di diverso, qualcosa di magico nell’aria. Erano
spiriti allegri quelli, gentili, non le nuvole di fumo che fin troppo
spesso tentavano di oltrepassare le barriere di purezza di quel luogo
sacro. Era piccolo Shizuka, era troppo pericoloso mostrargli quelle
nuvole color della pece. Nessun bambino dovrebbe mai avere a che fare
con cose come quelle, purtroppo però non era sempre
così, Haruka sapeva che li fuori sicuramente già
c’era qualche piccola anima che combatteva contro quelle nubi
oscure. Ma prima o poi sarebbe arrivato qualcuno a riportare il sereno
anche li dove ora c’era solo paura. Haruka lo sperava
davvero, con tutto se stesso, mentre abbracciava stretto a lui il suo
piccolo, ma già prezioso, nipote.
Era cresciuto adesso, e ora che avrebbe potuto capire quelle parole,
ora che non c’era più bisogno di kimoni da donna
per proteggerlo, ora che era un ragazzo alto e robusto, ora…
non c’era più quel grande uomo a elargire
spiegazioni e sorrisi. E senza quelle spiegazioni Shizuka si
ritrovò a vivere in un silenzio ancora più
profondo.
Ma la vita doveva andare avanti. In silenzio i giorni passavano, lui
cresceva sempre più robusto, sempre più forte.
Era l’uomo di casa e di quel tempio si era addossato tutti i
compiti più gravosi. Sua madre non poteva fare lavori troppo
pesanti. Shizuka voleva proteggere quella donna gentile che gli era
sempre stata vicino, una madre che l’aveva messo al mondo e
che si rivolgeva a lui con rispetto, perché lui era
l’unico uomo ora in quel tempio dove ancora vivevano antiche
usanze.
In quel tempio dove viveva solo con la madre si ritrovava a suo agio,
li non c’era bisogno di parole per conversare con il vento e
con gli alberi, con la luce che entrava dalla carta degli shoji, con le
stelle che brillavano chiare in cielo, silenziose ancelle della Luna
che come lui si muoveva nell’universo sembrando
però sempre ferma al suo posto, senza una voce eppure
attenta osservatrice del mondo.
Nel suo mondo Shizuka si guardava attorno e aveva imparato a sentire il
suono di un petalo che cadeva sul selciato del giardino, di un passero
che saltellava sul porticato di legno, di un una goccia di pioggia che
colpiva delicata una foglia in una mattina d’inverno.
Viveva nel silenzio da sempre e pensava che mai ciò sarebbe
cambiato.
Finchè un giorno incontrò il mare.
Un ragazzo con gli occhi d’oceano e la pelle nivea e bianca
come la spuma delle onde che si infrangono sulla costa scendeva
tranquillo le scale della scuola. Ma bastò un solo sguardo
nella sua direzione perché quel mare si trasformasse in una
burrasca che lo travolse sotto forma di un calcio volante. Un maremoto
lo investì quel giorno portandolo via con sé,
senza che lui potesse opporsi trascinandolo inesorabilmente verso quel
mondo di cui suo nonno gli aveva accennato parole confuse.
Watanuki era davvero come il mare. Calmo e navigabile a volte, ma
bastava un cambio di vento per far nascere le onde della rabbia in lui
e allora erano rovesci di insulti e temporali di urla. Ma era un mare
pieno di vita quello che si agitava nel cuore di Watanuki, un mare che
andava protetto e conservato perché i frutti che portava con
sé erano troppo preziosi per andare perduti. Era un mare
minacciato da quegli oscuri esseri di cui suo nonno gli aveva parlato,
quelli da cui lui stesso si era nascosto tra i tanti strati di kimono
femminili che aveva indossato da bambino. Ma Shizuka ora era forte,
poteva, e voleva proteggere quel mare rumoroso che però
sapeva anche cullarti dolcemente sulle sue acque. Poteva proteggerlo e
l’avrebbe fatto sempre, silenziosamente, osservandolo senza
perderlo di vista mai. Anche quando le sue due iridi si sarebbero spente i suoi occhi non avrebbero mai smesso di osservare colmi di protezione
e affetto quel mare azzurro.
Egli era Doumeki, il demone dai cento occhi, e anche uno solo di quegli
occhi parlava più forte di milioni di parole.
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