When France's jokes wouldn't go as he wants___
«Dove ho la
testa...? Accidenti!» borbottò Francia, sospirando, mentre
tornava indietro verso la sala riunioni.
Aveva dimenticato di
prendere i suoi documenti e non voleva che inavvertitamente qualcuno li
gettasse via: le risate sguaiate di Inghilterra gli riecheggiavano
già nella mente se fosse accaduta una cosa del genere.
Scosse la testa per
allontanare il pensiero: era tornato indietro subito, per cui non
avrebbe dovuto esserci nessun problema a trovare le sue cose dove le
aveva lasciate.
Arrivato davanti alla porta
della sala, l'aprì senza il minimo garbo - tanto
ormai non c'era più nessuno - ed entrò.
Subito però si
fermò, notando che, anche se la riunione era finita da una
quindicina di minuti, all'interno c'era ancora qualcuno.
«America?!» esclamò ad alta voce, quasi gridando per la sorpresa.
L'americano non diede segno d'averlo minimamente sentito: si limitò soltanto a voltare dall'altro lato la testa.
Il francese si
avvicinò, osservandolo: Alfred era seduto ad un capo del tavolo,
la sedia precariamente in bilico sulle zampe posteriori mantenuta in
quella posizione dalle gambe che il ragazzo teneva accavallate sul
piano innanzi a sé.
Le braccia erano incrociate
sul petto e la testa era reclinata all’indietro in una posizione
che Francis giudicò scomoda, ma che l’altro pareva trovare
piacevole.
In un angolo del tavolo,
c’era appoggiato un bicchierone di coca-cola ed un involucro di
carta bianca nel quale - Francia era pronto a scommetterci qualsiasi
cosa - era avvolto un hamburger.
Bonnefoy prese i suoi
documenti - che fortunatamente erano ancora dove li aveva lasciati -
senza riuscire a staccare gli occhi da lui: perché si era
addormentato - era ovvio che stesse dormendo - nella sala riunioni...?
Va bene che avevano finito
più tardi del solito e fuori il sole era addirittura già
tramontato, ma decidere di passare lì la notte, oltretutto
dormendo su una sedia, non sembrava una decisione molto sensata.
L’indomani mattina -
adesso che ci pensava meglio - ci sarebbe stata un’altra
riunione, e a giudicare dalla circostanza, America sembrava
intenzionato a rimanere fino al giorno seguente - magari non aveva
niente di meglio da fare a casa.
Quando dormiva, Bonnefoy
doveva ammettere che tutto sommato era carino, molto più di
quanto fosse da sveglio; per giunta gli occhiali - che al momento gli
stavano leggermente storti sul naso - gli davano un’aria
più intelligente di quel che avrebbe potuto dare se avesse
cominciato a parlare.
Vedendo che non c’era
nessun altro eccetto loro in quella stanza - e che c’era una
penna nera abbandonata nei pressi del proprio posto - il francese
pensò che forse poteva permettersi di fare uno scherzetto
innocuo all’americano, ancora profondamente addormentato.
Così prese la penna
e si avvicinò ad Alfred brandendola con fare minaccioso, un
ghigno malefico a deformargli le labbra.
America aveva
un’espressione beata nel sonno: le palpebre dolcemente chiuse e
la bocca aperta, dal lato della quale scivolava fuori un innocuo
rivoletto di bava.
Sembrava un bambino.
Francia gli posò la
penna sulla guancia sinistra e cominciò a disegnare, dando
libero sfogo alla sua “arte”.
Pensò di disegnare
dei fiori. In fin dei conti, non sarebbero stati certamente quelli a
farlo scoprire: di fiori ce n’erano dovunque. Era impossibile risalire a lui tramite quelli.
«Francia, sei un genio!» si disse, complimentandosi con sé stesso per la trovata.
Per tutta la durata
dell’operazione, Jones non mosse nemmeno un muscolo: rimase
abbandonato contro la sedia, profondamente assopito.
Quando terminò, l’ignara vittima si limitò semplicemente a voltare di nuovo la testa.
«Ihih...
perfetto!» si compiacque a mezza voce Bonnefoy, osservando il suo
“capolavoro” per qualche minuto, per poi voltargli le
spalle e andarsene.
«Ahah! America! Pfff... AHAHAH!».
Alfred fu svegliato da una risata sguaiata che conosceva perfettamente.
Schiuse gli occhi e fece
per tirarsi su e mettersi a sedere. Spostando il peso del corpo, il
precario equilibrio della sedia sotto di lui - della quale pareva
essersi dimenticato - venne a spezzarsi e l’americano finì
gambe all’aria, sbattendo dolorosamente la testa sul pavimento.
Si mise carponi a fatica,
per poi fissare il tavolo davanti a sé: Inghilterra, piegato in
due, rideva come un matto, indicandolo. Accanto a lui, Cina stava
cercando di soffocare una risata nella manica della casacca e Russia -
innanzi a Wang - semplicemente lo fissava, sorpreso e perplesso.
La sera avanti aveva
pensato che, rimanendo ad aspettare lì fino all’indomani,
quando si fosse svegliato avrebbe potuto vantarsi d’essere
arrivato per primo alla riunione. Non aveva minimamente considerato
l’eventualità di venire svegliato dall’arrivo degli
altri - e per di più in un modo simile.
L’americano si rimise in piedi, senza riuscire a capire perché quei tre stessero palesemente ridendo di lui.
Così - tra le tante
opzioni che gli si affacciarono in testa - optò per la
più semplice e banale: la richiesta diretta.
«Che cosa
c'è?» domandò, una traccia di sonno ancora
percepibile nella voce ma soverchiata dal tono irritato, indignato e
curioso insieme.
Arthur a fatica respirava, perciò non era nemmeno implicata la possibilità che rispondesse.
La replica, infatti, giunse
da Ivan, che con espressione da bambino disse: «Hai il viso pieno
di scarabocchi, America».
«C-come?» fece l'americano, sbattendo perplesso le palpebre.
Scarabocchi...?
«Hai la faccia tutta disegnata, aru» precisò Yao, ridacchiando.
«S-sei... ridicolo! AHAHAH!» riuscì a dire Inghilterra.
Alfred mise su il broncio, scocciato dal suo deliberato prenderlo in giro.
Comunque, per il momento l'unica cosa importante era che riuscisse a scoprire cosa aveva in faccia.
«C'è uno
specchio da qualche parte? Avete uno specchio?» domandò,
guardandosi freneticamente in giro, senza riuscire a trovare l'oggetto
in questione da nessuna parte.
«Uffa, quando Francia
serve non è mai in orario, aru...» borbottò Yao
contrariato, mentre Braginski si toglieva uno minuscolo specchietto
rotondo dalla tasca e glielo porgeva.
Curioso che proprio lui si portasse in giro oggetti simili.
«Tieni» disse il russo, sorridendo gentilmente all’americano.
Dal suo modo di fare
stranamente garbato si sarebbe potuto dire che l’intera faccenda
lo divertisse. Di solito quando si generava il caos nelle riunioni su
di lui sortiva sempre quel genere d’effetto.
America l'afferrò senza tante cerimonie e si apprestò a specchiarsi nella minuscola lastra rotonda.
Tutto ciò che
riuscì a fare fu contemplare il suo viso a bocca aperta,
scioccato: era ricoperto di disegni neri, tracciati con una punta
sottile e con una certa bravura, doveva riconoscerlo.
Sulle guance aveva tanti
disegni di baci a stampo di labbra inequivocabilmente femminili di
varie dimensioni e disegni di rose, la più grande delle quali
gli “decorava” l’occhio sinistro, formando una
corolla di petali attorno all’orbita.
Ne aveva così tanti
che si stupì del perché non si fosse accorto di niente:
chissà quanto c’era voluto al fautore di quello scempio
per portarlo a compimento!
Furono proprio i fiori a
metterlo sull'avviso. Nonostante non fosse particolarmente brillante,
anche lui arrivava alla conclusione che chiunque gli avesse fatto
quell'affronto letteralmente adorava le rose.
E, tra tutte le persone che conosceva, ce n'era una sola che amava così tanto ed in modo decisamente palese quel fiore.
L'unico che - guarda caso - quella mattina non era ancora arrivato.
«Francia...!» sibilò l'americano, furente.
«Come?» domandò Cina.
«Eccomi, vi ho fatto aspettare?».
In quello stesso momento,
Francis apparve sulla soglia con il suo solito atteggiamento da uomo
prezioso che snervava praticamente tutti.
Eccetto Arthur - troppo
impegnato a ridere come un ossesso dell’ex colonia - tutti
fissarono la loro attenzione sul nuovo venuto.
Soprattutto America.
Francia, al vedere il
proprio capolavoro sul suo viso, si lasciò sfuggire una mezza
risatina, ma non osò rischiare di reclamare come propria
quell’opera d’arte.
«Chi ti ha fatto quei
disegni...? Sei ridicolo...!» esclamò, sinceramente
divertito, ma Alfred la prese solamente come una provocazione bella e
buona, di fronte alla quale non riuscì a reprimere la rabbia e
l’indignazione per essere stato oltraggiato a quel modo.
«Tu...!» ringhiò, mentre scattava verso di lui aggirando il tavolo.
Francis lo schivò un
momento prima che l’americano lo investisse letteralmente, ma non
riuscì ad impedirgli di afferrarlo per il collo.
«Francia...!» sibilò, scuotendolo.
«M-mi stai
soffocando...! America!» esalò a fatica il francese,
cercando disperatamente di allentare la sua presa.
«È quello che
voglio fare!» replicò Jones, scoppiando a ridere di quella
sua risata esagerata ed inspiegabilmente inquietante.
«No, as... aspetta... co-come hai fatto a... scoprirmi...?» esalò Francis, lottando per non venire ammazzato.
«Quelle orribili
rose» disse semplicemente Alfred «Sei l’unico
pervertito che disegnerebbe delle rose in faccia a qualcuno!»
esclamò, stringendo la presa.
«America ha
ragione» intervenne Ivan con innocenza «È stata una
mossa stupida da parte tua, visto che sei l’unico che farebbe una
cosa simile» aggiunse.
«C-cosa?! Pervertito...? Stupido?!».
Non accettava di farsi
insultare a quel modo - e poi perché stupida? Lui l’aveva
trovata un’idea intelligente!
Fece per replicare, ma America strinse ulteriormente, impedendo alla sua voce di uscire.
«M-mi
dispiace!» si arrese Francia con un fil di voce «E voi...
aiutatemi!» tentò, rivolgendosi agli altri tre, ma nessuno
in quel momento era disposto a mettersi contro America, non quando
quest’ultimo era così infuriato.
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