Your guardian angel

di LilithJow
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 Il niente, il vuoto.
Dietro la morte, c'era dell'altro?
No, c'era solo il nero, il nulla.
Odiavo tutte quelle persone che continuavano a sussurrare nelle mie orecchie 'si trova in un posto migliore'.
Era morto, Daniel era morto. Il suo cuore non batteva più, il suo petto non si muoveva per farlo respirare, le sue palpebre non si sarebbero mai più sollevate a mostrare quei due diamanti azzurri che aveva al posto degli occhi.
Lui sarebbe rimasto per sempre disteso in quella bara rivestita di raso blu, mentre l'umidità della terra, col tempo, avrebbe corroso il suo corpo perfetto e alla fine tutto sarebbe diventato polvere.
Come poteva esserci qualcosa di buono nel pensare che la sua anima fosse volata chissà dove, in una forse esistente dimensione?
Non esisteva un'aldilà, non esisteva un paradiso, esisteva solo l'inferno e in quel momento ci stavo camminando in mezzo.
Avevo varcato la soglia di ingresso quando avevo dovuto dare la notizia della morte di Daniel a suo fratello. Quella sera era di turno in ospedale. Entrai al pronto soccorso accompagnata dai paramedici, che troppo tardi ci avevano soccorso e vidi venirmi incontro Haley. Fu lei a medicarmi il taglio della fronte, mentre io rimasi immobile, in silenzio, come se avessi perso l'uso della parola.
Haley sapeva già di Daniel. Aveva gli occhi marcati dalle lacrime e il suo restar zitta me ne diede la conferma. Parlò solo per dire: “Dobbiamo dirlo a Lucas. E' di sopra, in chirurgia”. Mi limitai ad annuire e a seguirla, in ascensore.
Salimmo cinque piani, sempre accompagnate dall'assenza di suono.
Quando vidi Lucas, mi bloccai di scatto. Fu Haley a proseguire nella sua direzione. Lo abbracciò e poco dopo lui cadde con le ginocchia a terra. Capii che lei gli aveva rivelato tutto.
Ma non fu quella la parte peggiore.
Tre giorni dopo ci fu il funerale. Non avevo le forze di sistemarmi, anche perchè in nessun modo avrei potuto coprire i miei occhi gonfi e rossi. Uscii di casa, andando dritta verso il cimitero. Scorsi appena la bara bianca, ricoperta da fiori blu che vi entrava, ma poi mi ritrovai Lucas davanti. Nel suo viso, vidi il mio riflesso.
“Lucas..” mormorai, con voce rotta. “Non ti voglio qui” mi disse. Il suo tono era fin troppo serio.
“Cosa? Io..”.
“Ho detto.. Ho detto che non ti voglio qui”.
Perchè non mi voleva? Perchè non mi voleva permettere di dirgli addio?
Avrei replicato, se solo la mia lingua si fosse contorta ad emettere suono, ma ciò non accadde. Haley allontanò Lucas da me e mi parve si sentire un leggero “Mi dispiace” provenire dalle sue labbra.
Probabilmente, Lucas mi riteneva responsabile dell'incidente che gli aveva portato via l'unica persona della sua famiglia a lui rimasta. Come avrei potuto dargli torto? Se solo avessi rifiutato di accompagnarlo a casa, se solo gli avessi rivelato i miei veri sentimenti.. Se solo fossi stata sincera, sin dall'inizio.
Non era Lucas ad essere la causa di rovina della mia vita, era il contrario. Io lo avevo distrutto, letteralmente, e quella mia stupida voglia di vendetta, aveva fatto a brandelli una persona che non c'entrava nulla. E per quello mi odiavo.
Mi odiavo e ogni giorno che passata, il mio odio cresceva. Guardavo il mio riflesso allo specchio e vedevo solo un mostro da eliminare. Ci provai, una sera, immersa nella mia vasca da bagno. Ma ero codarda e la paura mi stava divorando.
Ero riuscita a spezzare il respiro di Daniel ed ero incapace di metter fine al mio.

Passarono sette giorni dalla morte di Daniel Monroe. Li avevo passati chiusi in casa, dandomi per malata sul lavoro. Solo all'ottavo giorno mi decisi ad uscire, ma fu una pessima idea. Ogni luogo in cui capitavo, mi ricordava lui. Ogni suono, ogni odore, ogni cosa mi riportava alla mente i suoi occhi come il mare, le sue labbra e il suo profumo alla vaniglia. Dovetti tornare nella mia stanza messa sottosopra nel giro di sole due ore.
Quando rientrai, chiusi la porta e mi poggiai con la schiena ad essa.
Come sempre, la casa era vuota, silenziosa e io ero distratta. Cercavo di tenere la testa occupata da qualsiasi pensiero, anche dalle cose più stupide, ma per me era dannatamente difficile non pensare a Daniel.
Era così difficile che mi pareva persino di vederlo, proprio come in quel momento.
Lo vidi in piedi, accanto al tavolo, con un mezzo sorriso sul volto, mentre mi guardava con il suo solito sguardo dolce.
“Hey, Sam”.
La mia immaginazione era così fervida che mi sembrò di sentire anche la sua voce. Chiusi per un attimo gli occhi e scossi il capo. Quando li riaprii, mi aspettai che tutto fosse sparito, ma.. Lui era ancora lì, che mi fissava.
“No.. No, tu sei..” balbettai. “Morto?” disse Daniel. “Sì, lo sono e.. Non è poi così male, sai?”. Accennò una risata, subito dopo quella frase. Credetti di impazzire.
Non poteva essere lì, non poteva essere reale.
Ripetei lo stesso gesto di poco prima, sperando e pregando che sparisse, ma non lo fece, anzi: ogni volta che riaprivo gli occhi, mi era più vicino.
“Io sto.. Diventando pazza, ho bisogno di dormire” esclamai. Corsi su per le scale, per andare in camera mia. Non appena aprii la porta, però, vidi Daniel a fianco del letto, con le mani intrecciate dietro alla schiena.
“Sai che non puoi scappare, non in casa tua” commentò.
“Dannazione” quasi urlai, portandomi le mani sul viso, coprendomi gli occhi. “Tu non sei reale”. Tolsi le mani e Daniel era a pochi centimetri da me, che mi fissava con uno sguardo penetrante. “Sono più reale di quanto immagini” bisbigliò.
Era esattamente come lo ricordavo. I suoi lineamenti ben definiti, la forma delle labbra sottili, il taglio degli occhi.
“Tu sei.. Sei morto tra le mie braccia.. Non puoi essere qui” dissi, sforzandomi di non incontrare il suo sguardo.
“Il mio corpo è morto, sì. Ma non c'è solo quello dentro di noi, Sam” replicò lui.
Come poteva essere possibile? Dovetti sforzarmi di abbattere tutte le mie convinzioni, tutti i miei pregiudizi. Non mi importava nemmeno di diventare malata psicologicamente. Lo vedevo, lo avevo vicino e mi importava solo quello. Se era la mia immaginazione, se era solo un sogno.. Era un dato irrilevante.
“Sei un.. Sei un fantasma?” chiesi, tenendo ancora la testa bassa.
“Diciamo così”.
“E perchè sei qui? Hai.. Hai dei conti in sospeso?”.
Lo sentii allontanarsi a quella domanda e potei sollevare lo sguardo, per vederlo di spalle, rivolto verso la finestra mezza aperta. “Non posso dirtelo” mormorò “ma di faccende in sospeso potrei averne e non poche”.
Mossi qualche passo nella sua direzione. Non ne sapevo nulla di fantasmi o spiriti. Per me, non esistevano ed ero ancora convinta del fatto che stesse accadendo tutto nella mia testa.
Arrivai al suo fianco. Nel vetro della finestra, vidi il mio riflesso, ma non il suo.
La mia immaginazione non poteva essere così dettagliata.
Non c'era una spiegazione logica al fatto che lo vedessi, o a quello che lui fosse lì.
Allungai una mano verso di lui. Volevo toccare la sua pelle, volevo ancora sentirla sotto le mie dita. Ma prima che potessi raggiungerlo, lui si dissolse, come fumo e svanì.
“Daniel?” bisbigliai.
“Sono qui”. La sua voce echeggiò nella stanza. Sobbalzai e me lo ritrovai alle spalle. “Non puoi  toccarmi, non ti è permesso” disse, con tono severo.
“Non mi è permesso da chi?”.
“Non.. Non posso dirtelo”.
Sbuffai. La situazione cominciava a irritarmi. “Non puoi venire qui, farti vedere e dirmi che nemmeno posso toccarti” esclamai, risultando acida. Per qualche strano motivo, la mia frase lo fece sorridere.
“Dovrei mentirti, altrimenti, ma non posso fare neanche questo, per cui.. Preferisco tacere” disse.
Mi guardò per qualche secondo e io, come al solito, mi persi nel mare dei suoi occhi.





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