FANSERVICE FF 1
Questa fanfiction ha come protagonisti Ninomiya Kazunari e Ohno Satoshi del gruppo giapponese Arashi.
Il punto di vista è quello di Ninomiya.
Buona lettura,
Shizuka.
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"Ohno, Ninomiya, potete accomodarvi nel mio ufficio solo per un momento?"
Il produttore di 'Arashi ni Shiyagare' ha chiamato me e Satoshi proprio qualche minuto dopo la fine delle registrazioni.
Siamo costretti a lasciare gli altri - che intanto vedo dirigersi nei camerini - e ad accomodarci in ufficio.
La stanza è semplice e piuttosto spoglia. Il produttore si posiziona in piedi vicino alla scrivania di fronte a noi.
Per
quanto mi riguarda, mi sento piuttosto tranquillo: penso che io e il
leader riceveremo solo qualche appunto tecnico, e il volto rilassato
del produttore avvalla la mia ipotesi.
"Avete appena
finito di registrare una puntata e la settimana prossima, conclusosi il
Waku Waku Gakkou*, ne registreremo un'altra."
Con un esordio
così penosamente inutile e un produttore così poco stupido, inizio a
pensare a quella ovvietà come premessa a un discorso di ben altro
spessore.
Improvvisamente il produttore si stampa sulla faccia un sorriso sornione.
"Abbiamo
appena ricevuto dei risultati statistici riguardo al gradimento delle
fan nei confronti degli Arashi, ma soprattutto riguardo a ciò che loro
vorrebbero vedere di più da voi.
Sono risultati indicativi, ma ci servono per indirizzarvi in strade che accolgano i favori del nostro pubblico."
Vedo
Satoshi annuire incuriosito, mentre io vengo scosso da un brivido a
causa del timore di aver finalmente capito il perchè della nostra
presenza lì.
"In base a tali sondaggi..." -si
blocca prendendo in mano dei fogli e facendo finta di leggerli - "Beh... in fondo non c'è neanche bisogno di quelli.. In ogni
caso, le ragazze trovano molto piacevole il vostro copione."
'Copione'
'Copione'
Quella
parola comincia a rimbombarmi nel cervello, causandomi un lancinante
mal di testa. Devo ripeterla a me stesso più e più volte per assimilarla
e abituarmici, proprio come succede quando qualcosa ti provoca dolore.
Quella parola a noi solitamente così familiare, adesso mi ha fatto male.
Sento un crampo allo stomaco. Lo sento distintamente. E ne deduco anche la radice.
Rabbia. Nervosismo. Riluttanza nel voler ascoltare il proseguo di quel discorso.
"Insomma"
- riprende però a dire, assumendo un'espressione maliziosa - "Volevo complimentarmi con voi per il rapporto profondo che avete
mostrato al pubblico sin ora: le ragazze amano la vostra coppia, adesso
siamo convinti di stare seguendo la strada giusta."
Ho Satoshi seduto a mezzo metro da me, ma ne percepisco solo il respiro calmo e regolare.
Io
invece mi sento a disagio: trovo quella situazione assurda, quel
sorriso ipocrita e quel complimento freddo come una foglia ghiacciata
d'inverno.
"In passato eravate più giovani e poco
conoscevate di queste dinamiche. Ma avete messo in pratica il consiglio
dei produttori, avete preso dimestichezza, e infatti il risultato è
stato positivo in crescendo. Molto bene."
Senza una parola dalla bocca mia o di Satoshi, quell'uomo continuava a sputare le sue idiozie.
Me lo ricordo. Me lo ricordo bene il discorso ambiguo fattoci dai produttori anni fa.
Dopo
aver visto i primi concerti e programmi televisivi, ci avevano esortati
a continuare a lavorare con entusiasmo e con 'sempre maggiore
complicità'.
Già allora colsi perfettamente il senso di quelle parole
accompagnato dagli sguardi allusivi che facevano l'altalena tra me e
Satoshi.
E, effettivamente, così come desideravano, misi in pratica
il loro 'consiglio' e fui il primo a dare adito alla complicità
pseudo-amorosa tra tutti noi cinque, sottolineando ulteriormente quella
tra me e il leader.
Ma...
Il tempo, proprio il passare del tempo, mi dette la risposta più chiara.
Col
passare degli anni,infatti, mi resi gradualmente conto che quella
stessa complicità così agognata dagli addetti ai lavori noi la stavamo
già costruendo nell'intima sfera della nostra amicizia privata.
Devo
dire con onestà che fu una certezza acquisita con lentezza e una buona
dose di diffidenza: tuttavia, a un certo punto mi parve totalmente evidente
che io, Sho, Masaki, Jun e Satoshi eravamo cinque petali di un fiore
che stava sbocciando al calore del sole, senza dover essere contaminato
da nessun contadino.
Appena ebbi la certezza di questo, mi si
alleggerì il cuore e la mia gratitudine verso ognuno di loro divenne
immensa: ricordo che fui pervaso da un tiepidissimo senso di protezione
che, inconsciamente, fece scivolare via dietro le mie spalle il
'suggerimento' dei produttori.
"Mi rivolgo specialmente a te, Ninomiya."
Le reminescenze di quando ero più giovane sfumano sentendo chiamare il mio nome.
"Il tuo ormai famoso stereotipo di membro che elargisce abbracci e gesti
ambigui nei riguardi del tuo compagno è diventato un fattore
determinante per tenere alti gli ascolti del pubblico femminile. Poichè
il leader è meno attento a queste dinamiche, chiediamo ad entrambi -
certo - ma specialmente a te, Ninomiya, di continuare con questa linea,
fondamentale per gli ascolti."
Ecco che mi si raggela il sangue nelle vene.
Quella
frase sortisce un effetto lancinante e soprattutto inaspettato: per via
di un conato di vomito comprendo che il mio stomaco si sta ribellando a
quella situazione prima che il cervello ne abbia le forze.
Ora
che quella bocca finalmente ha taciuto, mi sembra di essere appena stato
violentato dalle parole, parole che paradossalmente stavano elogiando
un mio comportamento.
Ora che quella bocca finalmente ha taciuto,
fulminee ma penetranti riflessioni mi martellano nel cervello, facendomi
accapponare la pelle.
Ecco cosa ero stato capace di fare: avevo
commesso l'imperdonabile errore di esporre sulla pubblica piazza uno dei
pochi sentimenti più veri e profondi della mia vita; avevo osato
gettare un sentimento d'amore in una spazzatura stracolma di copioni
televisivi in base ai quali dovevamo interpretare personaggi tanto
sfaccettati quanto lontani da noi; ero stato talmente cieco e idiota da
continuare continuare continuare e continuare, ancora, sempre,
incessantemente, a denudarmi, senza mettere in conto che persino il mio
cuore sarebbe stato mercificato.
E' così.
Ora che quella
bocca finalmente ha taciuto, ho provato l'orribile esperienza del freddo
vuoto che ti lascia il fraintendimento, l'essere scambiato per qualcosa
che non sei, la confusione del limbo tra il tuo ruolo e la realtà.
Col minimo di attenzione che mi è rimasta, noto che il produttore ci sta congedando.
Leader è il primo ad alzarsi e io imito meccanicamente i suoi gesti, ichinandomi con educazione e lasciando la stanza.
Io e Satoshi camminiamo fianco a fianco nel silenzio più assoluto.
Percorrere
accanto a lui quel lungo corridoio che ci separa dai camerini placa
leggermente la mia emicrania, e il senso di nervosismo si acquieta.
Mentre
raggiungiamo il camerino, giro leggermente la testa per poter scorgere
qualche sua reazione, ma il suo volto è sorprendentemente inespressivo:
gli occhi color nocciola - visibilmente stanchi ma sempre luminosi e
tondi - guardano fisso davanti, le braccia gli scendono sui fianchi
oscillando, il passo regolare e non troppo lento.
E' stato uno sguardo fugace il mio, e dubito che se ne sia accorto.
Dubito, in realtà, che si sia mai accorto dei miei sguardi fugaci.
Ma
non mi importa: stavolta cercavo nella sua espressione semplicemente un
supporto alla mia frustrazione, supporto che però non è arrivato.
Entrati
nei camerini, noto che Masaki, Jun e Sho si sono ormai cambiati:
incontro gli occhi di quest'ultimo e subito mi viene una voglia ansiosa
di sfogarmi con il mio migliore amico.
Improvvisamente però, è un'altra voce a parlare:
"Era qualcosa che riguarda il gruppo?"
Jun è di una dolcezza e discrezione disarmanti.
Ho capito il senso di quella domanda.
Lui è preoccupato del perchè il produttore abbia chiamato
solo me e Satoshi. E' realmente preoccupato, glielo leggo in faccia.
Per non sembrare invadente, tuttavia, ha camuffato la domanda affinchè io possa rispondere liberamente.
"No."
- Satoshi prende la parola anticipandomi - "Il produttore ci ha
chiesto di stare appiccicati perchè fa ascolti. Ha detto a Ninomiya che
dovrà toccarmi di più durante le registrazioni."
Mentre apro la mia borsa, ho un sussulto.
Quel ragazzo ha capito tutto. Il produttore non è stato
esplicito neanche la metà, ma Satoshi ha centrato il
bersaglio.
Forse
allora anche il suo silenzio in ufficio e lo sguardo imbambolato in
corridoio erano sintomi di una tacita riflessione? Che anche lui trovi
umiliante quella pretesa assurda?
"E quindi?" - Jun continua a chiedere.
"E
quindi va bene. Dalla prossima registrazione staremo più attenti a fare
così. Non possiamo farci niente, è il lavoro."
Non credo alle mie orecchie.
Riesco
a percepire lo sguardo di Sho su di me, ma io resto ammutolito di
fronte a quell'agghiacciante indifferenza, all'impietoso piattume della
sua voce.
Nessuno dei tre ha osato chiedegli oltre. Nessuno dei
tre ha osato controbattere a quella risposta. Tutti e tre sistemano le
proprie cose mentre Ohno va a cambiarsi.
Io faccio altrettanto.
Poi,
con il morale ormai a terra, prendo la mia borsa, saluto educatamente
tutti, e anche se sostanzialmente libero torno in appartamento, senza
alcun commento per ciò che ho sentito e con solo tanta voglia di
dimenticare questa serata il più velocemente possibile.
*Il Waku Waku Gakkou (Scuola Waku Waku) è un concerto-seminario
tenuto dagli Arashi nel Giugno 2011, i cui proventi sono stati devoluti
in favore delle vittime del terremoto che ha colpito il Tōhoku lo
stesso anno. Interessante è notare che per tale concerto è
stata utilizzata una minima quantità di energia al fine di
diminuire gli sprechi.
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