Beyond the Gates of Graveyard
*} Dedicata
a Bad Devil {*
Erano ormai le venti [...]
quando giunsi all’enorme cancellata principale del cimitero.
All’interno c’erano ancora delle persone intente a
salutare i propri cari venuti a mancare, in attesa della commemorazione
dei defunti del 2 Novembre, e il guardiano già metteva a
posto le proprie carte, pronto a chiudere l’accesso entro
un’ora.
Classificata 1° al
Contest "Le mille e una notte..." indetto
da Ayram e valutato da superkiki92 (giudice sostitutiva) sul forum di
EFP, e Vincitrice del Premio Caratterizzazione al Contest "The Graveyard" indetto da
Forgotten Stories e Eruannë. sul Forum di EFP
Autore:
XShade-Shinra
Titolo:
Beyond the Gates of Graveyard
Rating:
Arancione [violenza]
Genere:
Introspettivo, Malinconico, Slice of Life
Avvertimenti:
Non per stomaci delicati, Storia a capitoli (4)
Disclaimer:
Lo scritto e i personaggi sono interamente di mia
proprietà. Tutti i personaggi di questa storia sono
maggiorenni e comunque non esistono/non sono esistiti realmente, come
d’altronde i fatti in essa narrati.
Note:
Precedentemente, questa storia aveva partecipato al concorso
"The Graveyard", arrivando 6° e vincendo il Premio
Caratterizzazione. La versione che ho postato
è la 2.0, ovvero la quella migliorata e corretta che ha
partecipato al contest "Le mille e una notte...".
- Beyond the Gates of Graveyard -
Capitolo 01
Il 31 Ottobre
è uno dei giorni dell’anno che noi
della polizia odiamo di più, assieme al Capodanno e alla
Notte Bianca: tutte ricorrenze nelle quali le persone si sentono quasi
in obbligo di star fuori fino a tardi e creare situazioni pericolose
per loro stesse e, soprattutto, per gli altri.
La nostra era una piccola cittadina piuttosto tranquilla
– a
parte per gli ubriachi e gli incidenti stradali –, ma un
anno, proprio nella notte di Halloween, ci furono diversi arresti: dei
ragazzi appartenenti a una setta satanica avevano scoperchiato numerose
tombe, distruggendo anche delle statue simbolo del nostro cimitero
monumentale. E una delle tombe violate fu quella della mia defunta
moglie.
Appunto per far sì che non succedesse di nuovo un
fatto del
genere, il 31 Ottobre dell'anno dopo presi la decisione di andare al
camposanto per controllare che non ci fosse nulla di sospetto.
Erano ormai le venti – e la città era
illuminata
solo dai lampioni, dai fari delle auto e dalle fioche luci delle
lampadine che filtravano dalle finestre – quando giunsi
all’enorme cancellata principale del cimitero.
All’interno c’erano ancora delle persone intente a
salutare i propri cari venuti a mancare, in attesa della commemorazione
dei defunti del 2 Novembre, e il guardiano già metteva a
posto le proprie carte, pronto a chiudere l’accesso entro
un’ora.
Nonostante la situazione dall’esterno sembrasse
tranquilla,
decisi di entrare in quel luogo sacro per accertarmene, onde evitare un
altro atto vandalico premeditato.
Camminai per diversi minuti in mezzo a lapidi, statue e
cripte. Il
silenzio avvolgeva quel posto, dove nemmeno gli uccellini sui cipressi
cantavano, come per portare rispetto al lutto degli altri, e tutti
stavano in religioso silenzio.
«Fate la carità…»
D'un tratto udii una voce proveniente dall’uscita
secondaria
che dava sul sagrato della chiesa di Coldineve: era una giovane
mendicante che chiedeva l’elemosina; accanto a lei
c’erano la madre, che teneva un pezzo di cartone con su
scritto qualcosa in un italiano piuttosto stirato, e un fratellino
più piccolo, che dormiva acciambellato assieme al cane.
Scossi tristemente la testa e cercai qualche spicciolo in
tasca, ma
notai che la sua richiesta venne repentinamente accolta da
un’altra persona: si trattava di un ragazzo vestito con capi
firmati da cima a fondo – se anziché sequestrarlo
per un riscatto lo avessero solamente spogliato, i malviventi ne
avrebbero guadagnato sicuramente di più!
«Tenga» disse alla zingara, donandole
una banconota
da ben venti euro. «Le auguro una buona giornata, ma non si
compri le sigarette con questi soldi, per favore» disse
gentile, salutandola con un sorriso e andando via assieme ai suoi due
amici che si erano fermati ad attenderlo.
Rimasi sbalordito.
A prima vista avevo pensato che fosse uno di quei ragazzini
viziati,
invece si era dimostrato molto generoso con quella famiglia in
difficoltà. Non pensavo che un ragazzo così
giovane potesse avere un così gran cuore.
«I
wish the sunrise to come take my soul from this cold,
lonely shell I am free».
Improvvisamente, un assordante frastuono mi costrinse a
voltarmi, e
ciò che vidi mi lasciò di stucco: quel fragore
proveniva da un minuscolo MP3 alle orecchie di un ragazzo. Costui era
vestito interamente di nero – dagli anfibi, al chiodo,
passando ai jeans e i guanti – e ascoltava a tutto volume
quella che doveva essere la sua musica preferita, demolendo la pace di
quel luogo. Con lui c'era una ragazzina, che non notai subito data la
loro notevole differenza d’altezza – nonostante lei
portasse le scarpe con la zeppa e i tacchi alti –, vestita
con un abitino da gothic lolita talmente corto che il prete se
l’avesse vista, l’avrebbe sicuramente scacciata.
Notai, inoltre, che aveva i capelli bianchi, come la pelle diafana:
forse era un’albina.
Li seguii con lo sguardo, finché non sparirono
dalla mia
vista e poi li pedinai, preoccupato. Era stata gente come loro a
distruggere il cimitero e mancare di rispetto ai morti, e non
l’avrei permesso di nuovo, perché conoscevo la
sofferenza dei parenti di quelle vittime uccise due volte, nel nome di
un dio dell’odio.
Girato l’angolo, li trovai davanti a delle tombe
dietro le
lunghe file di loculi di marmo e rimasi a osservarli un attimo. Notai
che la ragazza si era inginocchiata davanti a una lapide, intenta a
pregare, mentre l’altro stava in piedi accanto a lei, con le
braccia conserte. Tutto tranquillo e regolare, finché non
vidi l’albina prendere dalla borsetta un piccolo astuccio,
dal quale tirò fuori degli incensi e un accendino. Non
capendo ciò che volesse fare, decisi di intervenire.
«Scusate» richiamai gentilmente la loro
attenzione,
mentre la ragazza si voltava verso di me, accendendo un incenso, e
l’altro non faceva una piega. Sicuramente non mi aveva
sentito.
«Dica» fece lei, rivolgendo i suoi occhi
rosso
sangue verso di me.
Vedendo che la compagna si era mossa, il giovane si tolse
gli
auricolari e mi guardò severo.
«Che vuoi, sbirro? I tuoi colleghi ci hanno
fermato anche
prima» fece scontroso.
Mi accorsi che aveva gli occhi di diverso colore: uno blu e
uno verde;
i miracoli delle lenti a contatto colorate, presumibilmente.
«Sono l’Agente Antonio Pervinca, e anche
io vorrei
vedere i vostri documenti» dissi deciso, con aria marziale,
fermandomi alla distanza di un metro da loro.
«No» mi rispose lui.
«Prego?» chiesi in tono di sfida.
«Non ora, almeno» precisò.
«Scilla deve salutare suo nonno, prima».
Guardai la ragazzina, la quale annuì:
«Mi dia cinque minuti»
pigolò, piantando
la base dell’incenso acceso nella terra accanto alla tomba in
marmo e congiungendo le mani, pinzandosi il setto nasale.
Guardai la scena, palesemente confuso, e fu ancora il
ragazzo dagli
occhi bicolore a parlare, sottovoce, spegnendo finalmente
quell’aggeggio infernale:
«Suo nonno è morto la notte di
Halloween. Veniamo
qua ogni anno per porgergli un saluto» spiegò con
voce piatta e neutra.
«Da come lo dici, sembra che veniate da
lontano».
«Sì, tre ore di treno penso sia
classificabile
come “lontano”» annuì,
iniziando a porgermi il portadocumenti nel quale teneva la carta
d’identità. «Inizi da me».
Controllai i suoi dati ed effettivamente appurai che non
fosse
residente in città.
«Ofelio Stradivari…»
lessi.
«Parente del…?».
«Magari…»
bofonchiò, facendo
roteare gli occhi. Probabilmente non era la prima volta che qualcuno
glielo chiedeva. E notai in ritardo che aveva fatto rima…
Dopo qualche minuto, nel quale presi i dati del metallaro,
la ragazza
completò le sue preghiere e si avvicinò a me,
porgendomi il passaporto.
«Ersilia Priscilla Glicine» lessi,
appuntandomi il
nome, senza fare ulteriori commenti per non ritrovarmi una risposta
sfottò
come prima. «Mi raccomando, ragazzi, non
state ancora per molto qui: tra poco il cimitero chiude» li
informai.
«Ora andiamo» mi rassicurò
Ersilia,
riprendendosi il proprio documento. «Ho finito di salutare il
nonnino» spiegò, stringendo una Rose Cross che
portava come ciondolo.
«Bene» annuii, ben felice che quegli
strambi
individui se ne andassero. Nonostante si fossero dimostrati innocui, il
loro aspetto non mi piaceva per nulla. «Posso chiedere una
cosa?» domandai, rivolto all’albina.
«Perché hai acceso un incenso? Di solito si
portano i fiori ai morti».
«Opeth ed io non siamo
d’accordo»
rispose.
«Chi è Opeth?» chiesi, non
capendo a chi
si riferisse.
«È il mio soprannome» mi
spiegò Ofelio, indicandosi.
«E perché questa scelta?»
domandai loro.
Dopotutto gli incensi si utilizzavano nei riti satanici; quelli di
loto, uniti ad altri oggetti “magici”, servivano
per aprire le porte degli Inferi.
«Dopo pochi giorni i fiori muoiono e chi siamo noi
per
uccidere un essere vivente? Perché far morire quel fiore
assieme ai nostri cari? Perché regalare dei fiori ai morti?
Non hanno più gli occhi per vederli o le mani per
accarezzarne i petali o sporcarsi con il loro polline»
spiegò lui con voce bassa e calma. «Potrebbero
forse sentirne l’odore, ma è troppo tenue
perché li raggiunga. Quindi pensiamo che sia più
sensato un incenso, il cui odore forte, che sale con il suo fumo,
raggiungerebbe senz’altro quello che voi cristiani chiamate
Paradiso e le ceneri, cadute a terra, raggiungerebbero
l’Inferno, dove un fiore non potrebbe mai
arrivare».
Il suo ragionamento non faceva una piega, in
realtà.
«Ma non penso che sia educato dire che
l’anima di
una persona cara sia all’Inferno…» gli
feci notare, ma la voce di Priscilla mi raggelò:
«Il mio nonnino era un omicida. Ha ucciso sua
figlia e un
altro uomo: mia madre e mio padre. Loro mi volevano portare via da
lui» soffiò piano, guardando a terra.
«Non so se il suo dio ha deciso di accoglierlo in Paradiso o
se è precipitato all’Inferno».
«Ma… Solo un pazzo potrebbe fare una
cosa del
genere!» esclamai, non comprendendo il gesto di
quell’uomo – di quel dannato assassino.
Quelle parole, però, rischiarono di costarmi
caro: Ofelio mi
prese per il bavero della giacca e mi sollevò di una spanna
da terra, guardandomi fisso negli occhi, dai quali divampava odio puro.
«Rimangiati subito quello che hai detto sul nonno
di Scilla,
hai capito?!» ruggì, prima che la ragazza gli
prendesse il gomito – troppo bassa per arrivare oltre.
«No, Opeth! Aspetta!» fece lei.
«Mettilo
giù! Mio nonnino non sarebbe felice se finissi in prigione
per una cosa così!»
Il ragazzo aggrottò le sopracciglia, guardandomi
torvo, poi
mi mise a terra con garbo, ringhiando come un cane.
«Scusi…» fece, cercando di
contenere la
propria collera.
Lo guardai severo e feci per dire qualcosa, ma la ragazza si
mise di
nuovo in mezzo:
«Lo scusi, per favore… Lui ha
conosciuto il mio
nonnino…»
«Odio quando la gente giudica senza sapere tutto
di una
persona!» esclamò il metallaro. «Lui era
una brava persona!»
«Come puoi dire questo?!» feci
lapidario.
«È un assassino! Ha ammazzato delle
persone!»
«Lui…» pigolò
l’albina, «…li ha uccisi per
me».
[ Continua... ]
XShade-Shinra
Nota: La canzone che
ascolta Ofelio è “Forest of October”
(tanto per restare in tema) degli Opeth e il pezzo proposto nella
storia significa:
“Desidero che
venga l'alba
Che prenda la mia anima
(via)
Da questo freddo,
solitario guscio
Sono libero”
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