Le
lacrime più grosse
Chiusi
gli
occhi
Per tre volte
Mi ritrovai ancora lì
Chiesi a mio nonno:
«È solo un
sogno?»
Mio nonno disse sì
Quando Goku si svegliò, era accoccolato
su un fianco in
posizione fetale.
Si sentiva
dolorante e infreddolito, ed impiegò qualche
istante prima di realizzare di essere completamente nudo.
Confuso, il
bambino sollevò faticosamente la testa,
guardandosi attorno con aria spaesata. Un momento dopo,
però, i suoi occhi scuri si sgranarono: attorno a
sé, infatti, poteva vedere i tronchi degli alberi della
foresta, spezzati come se una zampa gigantesca si fosse abbattuta su di
loro.
Rabbrividendo
per il freddo, Goku si alzò in piedi, muovendo
appena la coda. Con il respiro mozzo, si guardò attorno per
un istante, dando un’occhiata al cielo che iniziava a
schiarirsi nel colore roseo dell’alba, dopodiché
iniziò ad arrancare in direzione della casetta in cui viveva
con il nonno.
Via a via
che si avvicinava all’abitazione, però,
notò che le piante distrutte aumentavano sempre di
più, e addirittura ce n’erano alcune che
sembravano essere state strappate da terra con tanto di radici.
Il bambino
iniziò a battere i denti, ma la sua mascella si
richiuse con uno schiocco quando giunse in vista della propria casa: il
tetto era sfondato, un muro crollato.
Goku si
arrestò al limitare della foresta, mentre la paura
si faceva strada sul fondo del suo stomaco, risalendo subdolamente sino
alla gola.
Con il
cuore che iniziava a battere all’impazzata, il bambino
sollevò istintivamente lo sguardo verso il cielo, mentre la
coda gli si infilava tra le gambe. La volta era di un azzurro chiaro
striato di rosa, ma Goku ricordò con precisione la sagoma
della luna tonda che si stagliava contro il buio del cielo notturno.
Già!
La luna piena! Quella notte c’era stata la
luna piena! Quand’era uscito per fare pipì, lui
aveva alzato per un attimo lo sguardo, e l’aveva vista
chiaramente, luminosa e perlacea sul tessuto bluastro della
notte…
Allora…
Era possibile che…
«Il
mostro della luna piena!» esalò il
bambino, con il respiro spezzato, per poi iniziare a correre
più veloce che poteva verso la propria casa.
«Nonno!» chiamò, più forte
che poteva, quando giunse davanti alle rovine.
«Nonno!»
Si
guardò attorno, voltando di scatto la testa di qua e di
là, e il panico gli chiuse la gola quando gli parve di
intravedere qualcosa sotto le macerie. Incespicando, scattò
in direzione di quella sagoma riversa sotto i mattoni e i calcinacci,
iniziando poi a tirar via tutti quei frammenti. Non si fermò
nemmeno quando si tagliò con un coccio di terracotta, ma
solo quando riconobbe senz’ombra di dubbio quella figura
accasciata.
«Nonno!»
esclamò, in un guaito
terrorizzato.
L’uomo
giaceva con la schiena sul terreno e il viso rivolto
verso l’alto. I suoi occhi erano chiusi e le sue vesti
sporche di sangue, ma Goku non volle prestare attenzione a quei
particolari. Appoggiò le mani sulle spalle di colui che
l’aveva allevato e lo scrollò con forza.
«Nonno!»
chiamò. «Svegliati,
nonno!»
La testa
del vecchio dondolò avanti e indietro sotto gli
scossoni del nipote, ma l’uomo non si mosse, né
aprì gli occhi.
«Dai,
nonno!» insistette Goku, con voce incrinata e
immensamente spaventata. «Svegliati, svegliati!»
Era
inginocchiato su alcune piastrelle spezzate e le gambe gli facevano
male, ma non si mosse nemmeno di un centimetro. Afferrò un
lembo della manica di suo nonno e diede uno strattone implorante.
«Nonno…» supplicò, con un
filo di voce, mentre le lacrime iniziavano a rigargli le guance.
Lo fissava,
sperando con tutto il cuore che l’uomo si
muovesse e si guardasse attorno, che si tirasse a sedere e, vedendo la
casa distrutta, gli dicesse che dovevano darsi da fare per
ricostruirla, ma non successe nulla di tutto quello, e quel corpo
anziano rimase immobile a terra.
Il bambino
sbatté le palpebre una volta, una seconda, e la
terza le strinse e le tenne serrate per quasi un minuto.
«È un brutto sogno» sussurrò,
affannato, «è solo un brutto sogno, vero,
nonno?»
Tese le
orecchie più che poteva, e gli parve di sentire un
bisbiglio che rispondeva affermativamente alla sua supplica. Il cuore
gli balzò in petto, ma quando si affrettò a
riaprire gli occhi non era cambiato niente.
Accettare
il fatto che probabilmente quel
“sì” non era stato altro che un fruscio
di vento da lui mal interpretato fu difficilissimo.
Il bambino
allontanò di scatto la mano dal nonno, come se si
fosse scottato, ed iniziò a piangere rumorosamente, con
gemiti straziati, passandosi ripetutamente le mani sulla faccia bagnata
di lacrime. Tremava incontrollabilmente, mentre il vento della prima
mattina sferzava la sua pelle nuda, rendendola bianca come il marmo in
contrasto spaventoso con le sue guance paonazze per il pianto.
Non aveva
mai provato tanto dolore in vita sua. E la paura sembrava
crescere dentro di lui, raggiungendo ogni spazio disponibile,
togliendogli persino l’aria da respirare.
Non
capiva… Non riusciva a capire cos’era successo
quella notte.
Dov’erano
finiti i suoi vestiti? Perché si era
svegliato così lontano da casa? Perché,
ridestandosi, non aveva trovato suo nonno accanto a sé?
Se era
arrivato il mostro della luna piena, perché lui non
si era fatto niente?
Perché?
Serrando i
denti per trattenere i singulti ma sentendosi ugualmente
scuotere da capo a piedi, il bambino appoggiò le mani su
quel vecchio viso tanto amato, accarezzando le rughe come a volerle
distendere… Quando ritirò le mani, il suo pianto
si era quietato.
Con il viso
tondo ed infantile ancora bagnato di lacrime, Goku
guardò con intensità il volto immobile di suo
nonno, e gli parve che le sue labbra fossero incurvate in un sorriso
mite e benevolo.
Fu quel
sorriso che parve cacciare il suo terrore, sciogliendo i nodi
che gli stringevano la gola, lo stomaco e un po’ tutto il
corpo, allentandoli quanto bastava per permettergli di respirare.
Il bambino
si asciugò il viso e sollevò il capo.
In alto, il
cielo si era ormai rischiarato del tutto, e i primi raggi
solari si tendevano a riscaldare il suo corpo nudo e intirizzito.
Suo nonno
aveva fatto di lui un coraggioso guerriero.
Da solo,
Goku seppellì Son Gohan in una radura poco distante.
Con le mani
sporche di terra, con la coda che si muoveva debolmente a
destra e a sinistra, rimase a lungo immobile su quella tomba,
dopodiché ispirò dal naso e si alzò,
tornando verso la casetta distrutta.
Sulla
strada, si fermò davanti ad un albero carico di
frutti. Diede un colpo al tronco, ed uno di quei pomi gli cadde giusto
giusto tra le mani.
Goku lo
divorò con pochi e famelici morsi.
Aveva
freddo, così si mise a cercare tra le macerie qualcosa
per coprirsi. Fortunatamente, gli riuscì di trovare alcuni
abiti che si erano salvati, e li indossò.
Inghiottì
a vuoto, e riprese a scavare tra i detriti.
Continuò sin quando non scese la sfera, fino a quando non si
ritrovò tra le mani la sfera di suo nonno.
Son Gohan
non gli aveva mai detto dove l’aveva trovata.
Improvvisamente, Goku desiderò averglielo chiesto.
Era
rotonda, arancione; aveva sopra quattro stelle e l’odore
del nonno.
Dacché
il bambino aveva memoria, era sempre stata sulla
mensola dove Gohan conservava gli oggetti più preziosi.
Se la
rigirò a lungo davanti agli occhi, in silenzio,
ammirandola con lo sguardo.
Quella
notte, si addormentò stringendola forte tra le mani,
rannicchiato su se stesso con la coda attorcigliata alla gamba destra.
Spazio Autrice:
Non lo so.
Davvero, non lo so.
È stato difficile provare a immaginare Goku di fronte alla
morte di suo nonno e non so nemmeno se ne è uscito fuori un
lavoro totalmente OOC.
Mah. Spero bene.
Ah, la seconda parte suona volutamente maggiormente
distaccata.
Le frasi in corsivo all’inizio del testo sono prese dalla
canzone (bellissima e tristissima T^T) “Fiume Sand
Creek” di De André
(so che non c’entrano
molto, ma tant’è), così come il titolo.
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