Oceani_1
[
Prima classificata al «Pirates
Contest!» indetto da visbs88 ]
[ Vincitrice del Premio Coppia più originale
al «Chi è normale non ha molta fantasia»
indetto da Butterphil ]
Titolo: Oceani
in burrasca
Autore: My
Pride
Fandom: Originali
› Sovrannaturale
Tipologia: Long
Fiction
Lunghezza:
10 capitoli
per un totale di 42 pagine senza contare le 3 pagine con note finali e
precisazioni
Prompt: Doblone
Citazione: Cominciate
a dare credito alle storie di fantasmi? Ci siete dentro.
Rating: Giallo
/ Arancione
Genere: Generale,
Avventura, A tratti vagamente introspettivo, Malinconico,
Sentimentale,
Drammatico
Nota1: Nel
corso della storia potrebbero essere presenti
espressioni come “Aye” e “Nay”,
che significano rispettivamente “Sì” e
“No” in
italiano, e “Och”, che è un rafforzativo
del “Sì”. Esse non sono un errore,
bensì una scelta personale dell’autore, ormai
affezionatasi a tale dicitura
Nota2: Per
un paio di volte i
capitoli saranno alternati sui punti di vista dei protagonisti
principali
Nota3: I
titoli dei capitoli
saranno quasi tutti espressioni piratesche
Avvertimenti: Slash,
Vagamente - o
forse anche troppo - nonsense, Linguaggio a tratti un po’
colorito
Introduzione: Quell’occhiata
avrebbe dovuto mettermi soggezione, probabilmente,
ma in quel momento ero troppo preso dalla foga di quella che sperai
sarebbe
stata la mia prima avventura. Di una cosa, però, ero
sicuramente certo:
non sapevo in che guaio mi ero cacciato.
DISCLAIMER:
All rights reserved
©
I
personaggi presenti in questa storia sono tutti maggiorenni e mi
appartengono, dal primo all'ultimo. Sono comunque frutto di pura
immaginazione. Ogni riferimento a
cose e persone realmente esistite e/o esistenti è puramente
casuale.
This work
is licensed under a Creative
Commons Attribution-Noncommercial-No Derivative Works 3.0 License.
OCEANI IN BURRASCA
Forse lo scopo della nostra
vita è il viaggio stesso, non la destinazione.
Qualunque risposta mi
attenda, oggi è l’inizio del mio viaggio.
La mia storia comincia qui. [1]
ATTO I:
CARAVELLA SENZA
NOME › MAR DEI CARAIBI, 1768
HELM’S
A-LEE! [2]
Il
cielo azzurro sopra di me era
una sconfinata landa di soffici nuvole bianche. Il richiamo dei
gabbiani si
confondeva con il sinistro scricchiolio dei legacci che assicuravano le
vele di
mezzana e trinchetto, e l’oscillazione dello scafo - contro
il
quale le onde del
mare si infrangevano ad ogni movimento, spumeggiando - riusciva a
donarmi una
sensazione di quiete così appagante che quasi stentavo a
credere alla sua esistenza.
Erano passati poco
più di tre mesi
da quando io e il mio vice-capitano ci eravamo rimessi in viaggio, e
dopo tutto
ciò che era accaduto fino a quel momento era alquanto
bizzarro riuscire a
rilassarsi. Esattamente cinque mesi prima avevamo avuto uno scontro con
la
ciurma di un pirata della peggior specie - tale Jack Black, il
più temuto
corsaro del mar dei Caraibi dopo la dipartita di Barbanera
[3]
anni
addietro -, e purtroppo la situazione non si era svolta a nostro
favore:
complice anche l’ammutinamento dei nostri uomini, che avevano
preferito
schierarsi dalla sua parte piuttosto che combatterlo, ci eravamo
ritrovati
senza più una nave e gettati in mare a far compagnia ai
pesci.
Era stata solo fortuna se un
mercantile aveva navigato sulla nostra stessa rotta. Se fosse arrivato
poco
tempo dopo, la corrente ci avrebbe spinti ancor più a largo
e saremmo diventati
cibo per gli squali senza poter far nulla per sfuggire al nostro
destino. E
invece eccoci lì, due uomini scapestrati su una sottospecie
di imbarcazione che
il mio vice si ostinava a chiamare galeone, sebbene avesse appena le
dimensioni
di una piccola caravella.
L’avevamo acquistata a Tortuga
per
pochi dobloni, anche se le riparazioni ci erano costate un occhio della
testa;
ma con la fretta che avevamo avuto di lasciare quel posto, in modo da
poterci
rimettere in viaggio, avevamo inghiottito il rospo e concluso quello
sporco
affare, arrangiandoci in seguito come avevamo potuto. Ci erano voluti
due
lunghi mesi a lavorare in una sudicia locanda per riuscire a pagare il
carpentiere che si era occupato della nave, però alla fine
eravamo riusciti a
partire una volta per tutte. Le vele erano per lo più
composte da pezzi di
stoffa rattoppati alla bell’e meglio e la bandiera era solo
una bandana, certo,
ma per il momento a noi stava bene così.
«Ancora a guardare il cielo,
Gale
[4]
?».
La
voce del mio vice mi giunse vicinissima ad un orecchio, e sussultai nel
rendermi conto che si trovava accucciato vicino a me. Il suo volto
entrò nel
mio campo visivo nascondendo un frammento abbondante di cielo,
però non me ne
curai, anzi; mi ritrovai a rispondere al mezzo sorriso che mi stava
rivolgendo.
«Il navigatore e il cartografo
sei
tu, qui», rimbeccai sarcastico, drizzandomi lentamente a
sedere quando si
allontanò, sgranchendomi anche il collo. Quanto tempo ero
rimasto sdraiato su
quel ponte, diamine? «Io su questa nave sono
superfluo».
Sbuffò e
ridacchiò, dandomi una
pacca su una spalla. «Non sparare stronzate, Gale»,
replicò con fare divertito.
«Immagina la figura che ci avrei fatto se fossi sbarcato da
solo a Porto Rico
con una bagnarola del genere, per lo più ridotta in questo
stato pietoso».
«Chi è che sparava
stronzate?» lo
scimmiottai ironico, poggiando entrambe le mani sul ponte per
sorreggere il mio
peso e guardare nuovamente in alto. L’odore salmastro del
mare mi giungeva
dritto alle narici, liberandomi i polmoni. «Piuttosto, chi
è che guida la nave
se tu sei qui?»
Con la coda dell’occhio, lo
vidi
fare spallucce. «Il vento», rispose semplicemente.
«Si è alzato un vento di
scirocco, e per la direzione in cui stiamo andando è
perfetto. Ho spiegato la
vela maestra e sistemato i legacci di trinchetto; dovremo continuare su
questa
rotta ancora per un po’».
«Non vedo l’ora di
poter fare
rifornimento», dovetti ammettere. «La stiva
è miseramente vuota».
«Se qualcuno di mia conoscenza
avesse mangiato di meno, negli ultimi tempi, a quest’ora non
moriremmo di
fame», mi fece notare lui, e voltandomi appena lo vidi con un
sopracciglio
sollevato. La bandana che indossava gli nascondeva la fronte e i
capelli
biondi, ma dava maggior risalto ai suoi occhi e ai lineamenti del suo
viso.
«Sono rimasti solo frutti marci».
A quel suo dire lo fulminai con lo
sguardo, alzandomi in piedi una volta per tutte ed attraversando il
ponte per
raggiungere il cassero. «Taglia corto, Cid
[5]»,
rimbeccai, sfiorando il timone con due dita prima di gettargli
un’occhiata. «Non
ero io quello che si strafogava durante la notte, quindi direi che
siamo pari,
no?»
Lo vidi alzare entrambe le mani in
segno di resa, però sorrise. «E’ proprio
come dice lei, oh mio buon Capitano»,
mi prese in giro, scendendo sottocoperta e ritornando solo qualche
attimo dopo,
munito di mappa, bussola e cannocchiale. Mi rivolse appena un cenno
aggraziato
con il capo e salì di vedetta, così da
controllare la situazione dall’alto.
Era sempre stato più esperto
di me
per quel che riguardava la navigazione, lui. Sebbene il più
delle volte fossi
proprio io a detenere il controllo di quella bagnarola, era lui che
controllava
la rotta e virava quando ne era richiesta l’occasione,
prendendo nota della
direzione del vento e del suo cambiamento, controllando persino le
stelle
quando calava la sera ed erano visibili nel firmamento.
L’avevo conosciuto durante i
miei
primi anni trascorsi in mezzo al mare. Semplice garzone in una bettola
a San
Salvador, avevo scoperto quel suo talento come navigatore e cartografo
per puro
caso, ed era stato più che felice di lasciare quella merda
di posto per
intraprendere la vita del pirata, per quanto pericolosa fosse. Aveva
così
potuto sfruttare quella sua innata bravura e specializzarsi nelle arti
mediche,
divenendo con il tempo anche un tiratore provetto. Non c’era
ancora stato
nessuno in grado di battere lui e la sua fedele pistola a pietra
focaia, fino a
quel momento.
La cosa bizzarra era che con il
passar del tempo avevo cominciato a vederlo come qualcosa di
più di un semplice
uomo appartenente alla mia ciurma. Sembrava assurdo a dirlo, ma in
seguito era
divenuto una sorta di compagno, e non soltanto in senso figurato.
Peccato che
molto spesso, anche durante quelle rare volte in cui ci trovavamo a
sfogare
qualche basso istinto sessuale, il nostro rapporto si basasse su
imprecazioni a
denti stretti, epiteti volgari e litigi che sfociavano in un
attorcigliamento
confuso di corpi sudati e cosce muscolose. In fin dei conti,
però, non avevo
nulla di cui lamentarmi. La mia vita era quasi perfetta, ad eccezion
fatta per
un piccolo particolare che mi tormentava ormai da anni.
«Terra in vista!» Il
grido di Cid
mi riscosse di botto e, afferrando svelto il cannocchiale che portavo
appeso
alla cintola accanto alla pistola, lo puntai dritto dinanzi a me ed
osservai
attraverso di esso il mare all’orizzonte, scorgendo il
profilo sempre più
marcato di una città in lontananza. Cappe di fumo si
levavano dal mezzo di
quelle abitazioni, simbolo della laboriosità dei cittadini e
della vita
frenetica che la caratterizzava. Si riuscivano anche a scorgere i
contorni
indistinti di alberi dai rami spogli e di colline rigogliose, e non
potei fare
a meno di sorridere al pensiero che, finalmente, avremmo potuto
rifocillarci a
dovere prima di riprendere il largo.
Attraccammo precisamente una
ventina di minuti dopo. Calata l’ancora, ammainate le vele e
raggruppati i
pochi dobloni che ci erano rimasti, scendemmo a terra e attraversammo
il ponte
di legno che conduceva verso il centro vivo della città,
guardandoci intorno
con estrema attenzione. Oltre alla nostra, erano ormeggiate altre sei
navi
dalle più disparate dimensioni, le cui vele bianche si
gonfiavano in conche di
vento ogni qual volta esso soffiava a sferzare il porto.
C’era persino
un’ammiraglia della marina, e fu specialmente a causa della
sua presenza che
affrettai il passo, seguito a ruota da Cid. Non avevamo ancora avuto
grossi
problemi con essa in quella parte del mar dei Caraibi, ma a causa del
nostro
aspetto, che gridava chiaramente pirati,
era meglio evitarli come la peste.
«Non male come posto,
eh?» fece
Cid con vaga ironia, osservando distrattamente una coppia di bambini
che
correva fra le strade impolverate brandendo dei bastoni, giocando
probabilmente
alla guerra. Poco distante c’erano donne dagli sgargianti
vestiti costosi che
ridacchiavano giulive, confidandosi chissà quali scabrosi
segreti.
Mi lasciai sfuggire uno sbuffo
ilare. «Un po’ troppo chiassosa per i miei
gusti».
«Scherzi? In confronto a
Tortuga
questo posto è un mortorio!» esclamò
Cid con fare fintamente scandalizzato. «Niente
fiumi di rum, niente risse scomposte... nemmeno una bella pollastra che
sia
disponibile a farti divertire un po’ per qualche
doblone».
Assottigliai lo sguardo nella sua
direzione e aggrottai le sopracciglia, sibilando,
«Un’altra parola su una
donna, e giuro che quel coso che hai in mezzo alle cosce lo getto in
pasto agli
squali».
Per qualche attimo mi fissò
sgomento e si fermò, spalancando la bocca in
un’esclamazione muta e sgranando
gli occhi, quasi non credesse alle sue orecchie o non volesse per
niente
prendere in considerazione la mia minaccia. Scoppiò in una
risata frenetica
qualche attimo dopo, terrorizzando un povero vecchio che passava di
lì per
caso. «Och, andiamo, Gale, non guardarmi in quel modo
spaventoso», sghignazzò
divertito. «Lo sai che la mia pistola vuole una sola fondina
[6]».
Stirai le labbra in una linea
sottile, decidendo di dargli le spalle e riprendere la mia traversata
senza
dargli più peso. Rispondergli per le rime avrebbe
significato dargli corda, e
sapevo bene quanto si dilettasse a prendermi in giro quando si trattava
della
mia cosiddetta gelosia. Non che lo fossi davvero, ma la cosa mi
snervava lo
stesso.
Le risatine divertite di Cid
continuarono per un buon tratto di strada, anche quando giungemmo
finalmente
nella zona mercantile della città. Bancarelle dalle
più svariate merci erano
accostate ai lati delle strade, e i venditori urlavano la
qualità dei loro
molteplici prodotti con tripudio e orgoglio, decantandone
rarità e bellezza
anche quando si trattava di comuni patacche. Adocchiai difatti un vaso
decorato
che riproduceva in modo perfetto l’originale, ed ero sicuro
che si trattasse di
una semplice imitazione per due buoni motivi: il primo era che quello
vero non
aveva una scheggiatura alla sommità, e potevo saperlo
proprio perché il secondo
motivo era che l’avevo rubato io stesso ad un ricco mercante
britannico poco
tempo prima che il mio equipaggio si ammutinasse. Era dunque quasi
divertente
vedere quegli uomini affaccendarsi a dar credibilità alle
loro merci.
«Patrick! Datti una mossa,
ragazzo!» sentii esclamare d’un tratto, e
voltandomi in quella direzione vidi
un uomo grande e grosso con una folta barba scura richiamare un
ragazzetto
mingherlino dai lunghi capelli castani legati in un codino, intento ad
osservare il fabbro locale mentre batteva l’acciaio per le
sue spade.
«Arrivo subito, mastro
Garrington!» gli gridò di rimando, parlottando
animatamente con il fabbro prima
di dileguarsi, regalandogli un sorriso divertito. Nel voltarsi si
girò senza
volerlo verso di me, permettendomi di vedergli il viso, e raggelai
nello stesso
istante in cui quei suoi occhi marroni incontrarono i miei. Quel
ragazzo di
nome Patrick parve però non farci caso più di
tanto, agitando una mano in segno
di saluto come avrebbe fatto un bambino di cinque anni. Lo vidi poi
correre via
come una tempesta, richiamando più e
più
volte l’uomo che si stava allontanando senza aspettarlo; io
rimasi lì,
immobile, con le braccia distese lungo i fianchi e la bocca aperta in
un’esclamazione senza voce. Non poteva essere. Era
inverosimile. Non era
possibile che fosse lui. Allora perché quel ragazzo gli
somigliava così tanto?
«Ehi, Gale, che
succede?» Faticai
non poco a rendermi conto che il borbottio di sottofondo nelle mie
orecchie era
la voce di Cid, e fu sbattendo furiosamente le palpebre che mi ripresi,
gettando una rapida occhiata verso di lui.
Mi portai una mano alla fronte e
scossi lentamente la testa, quasi cercassi di riprendermi dallo
sconcerto che
mi aveva investito. Ero forse stato suggestionato da qualcosa, se quel
pensiero
mi aveva colto così d’improvviso?
«Niente, Cid. Niente», risposi appena in un
sussurro,
sforzandomi di abbozzare un sorriso. «Cerchiamo piuttosto una
locanda, ho
fame».
Cid, però, mi
osservò guardingo.
«Sicuro che sia tutto okay, Gale?» mi chiese
sospettoso. «Sei diventato bianco
come un fantasma tutto d’un tratto».
Bianco come
un fantasma. Beh, non avrei saputo trovare un modo
migliore per dirlo. Forse anche il ragazzino che avevo visto di
sfuggita era
stato semplicemente un fantasma partorito dalla mia mente rimasta
troppo a
lungo in balia del mare. Già, doveva essere senza dubbio
così.
Decisi dunque di non ribattere,
dandogli semplicemente le spalle. «Andiamo, Cid»,
tagliai corto, non volendo
discutere con lui com’ero solito fare. In altre circostanze
non ci avrei
pensato su due volte, ma quella strana apparizione aveva rimescolato
così tanto
il mio animo che mi sentivo sfatto.
Sperai solo che si trattasse di
una semplice coincidenza.
[1] Citazione
tratta dal primo episodio della terza
stagione del telefilm “The Lost World”, ispirato
all’omonimo romanzo di Sir
Arthur Conan Doyle.
[2] Grido
d’avvertimento per l’equipaggio che la
nave è in procinto di fare il giro, usato specialmente
quando si compie una
virata. Quando si gira bruscamente, difatti, vele e pennoni potrebbero
improvvisamente cambiare posizione.
La scelta del titolo
sarà chiara mano a mano che si andrà avanti con
il capitolo, o almeno questa è
l’intenzione.
[3] Nato
nel 1680 e morto il ventidue novembre del
1718, il suo vero nome era Edward Teach, e fu un celebre pirata
britannico che
ebbe il controllo del Mar dei Caraibi tra il 1716 e il 1718, durante la
cosiddetta età dell’oro della pirateria.
Aveva fama di essere uno
dei pirati più feroci, e alla sua immagine e alle sue
imprese, reali o
leggendarie che fossero, si deve in gran parte lo stereotipo del
“pirata
cattivo” nella cultura. I suoi modi terrorizzavano le sue
vittime ma anche lo
stesso equipaggio; si dice che usasse sparare con la pistola alle gambe
dei
suoi uomini come misura punitiva o semplicemente per mantenere la
disciplina a
bordo.
[4] Il
nome del Capitano non è stato scelto a caso
ed è ovviamente uno pseudonimo. La parola
“Gale” in inglese significa per
l’appunto tempesta, burrasca, e la scelta sarà
chiara solo una volta giunti
alla fine della storia, o almeno questa è
l’intenzione.
[5] Omaggio
ai tanti Cid comparsi in
tutti i capitoli principali, spin-off, film o anime della saga Final
Fantasy.
Assieme ai chocobo e ai moguri, Cid è un marchio di fabbrica
e non appare mai
come la stessa persona, interagendo con il gruppo di eroi di turno in
modo
differenti.
Per
la maggior parte dei titoli, Cid significa aeronave, e quasi sempre il
Cid di
turno guiderà egli stesso un veicolo o ne farà
dono ai protagonisti per usarlo
nelle fasi avanzate del gioco. Cid è solitamente un uomo di
mezza età, se non
più vecchio, che funge da figura di riferimento e fa un
po’ da padre ai
protagonisti più giovani.
Il
ruolo del Cid di questa storia è per l’appunto il
navigatore, dunque neanche il
suo nome è stato scelto a caso. Ha anche un altro ruolo che
si scoprirà andando
mano a mano avanti con la storia.
[6] Modo
non volgare per intendere che l’unica
persona con cui vuole andare a letto è per
l’appunto Gale.
Questa nota è
probabilmente - anzi, sicuramente - inutile, ma ci tenevo lo stesso a
chiarire
la cosa per evitare possibili fraintendimenti.
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Farai felici milioni di
scrittori.
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