Note
Questa What If è
ambientata in un universo in cui Klaus non è scappato davanti allo
spauracchio di Michael, ma l'ha affrontato e l'ha ucciso. Forte del
suo nuovo potere, sta creando ibridi a tutto spiano usando il sangue
di Elena, che tiene prigioniera. Katherine ovviamente non ha un
destino migliore. Questa è la loro breve storia, dieci anni dopo gli
eventi dell'inizio della terza stagione.
[R]Evolve
Cominciò
tutto in maniera casuale. Probabilmente una consegna sbagliata.
Katherine
non poteva uscire, ma era libera di girare per il maniero, luogo che
Klaus aveva eletto a sua base operativa. Tanto lui l'aveva soggiogata
a dovere – ed era stato molto puntiglioso.
Non
poteva parlare con nessuno, né rivelare la sua identità in alcun
modo. Non poteva accedere alle stanze riservate ad Elena e tantomeno
all'ala adibita alla mutazione dei licantropi in ibridi. Non poteva
aggredire nessuno e nessuno poteva aggredire lei. Le era consentito
di nutrirsi esclusivamente della scorta di sangue nel refrigeratore
dello scantinato. Ovviamente, non poteva togliersi la vita o indurre
qualcuno a farlo.
Katherine
era il nuovo passatempo di Klaus e, conoscendo la costanza che lo
caratterizzava, lo sarebbe stata per sempre. Perché non c'era alcun
dubbio che in cima alle sue priorità, dopo “creare quanti più
ibridi possibile”, ci fosse “torturare Katerina Petrova per
l'eternità”. E per un tale progetto a lungo termine, era
necessario che la vittima fosse sempre viva e in buona salute.
Poi
un giorno, nel tardo pomeriggio, era andata a prendere una sacca di
zero negativo e se l'era consumata durante la visione di una stupida
sit-com. Non c'era niente da fare in quel dannato maniero.
Non
si era accorta subito della differenza, ma poi Stefan era arrivato,
aveva afferrato il telecomando e aveva cambiato canale mettendo MTV.
Così, senza chiederle niente. Come se lei non esistesse. Faceva
sempre così e ogni volta Katherine avrebbe voluto ucciderlo in modo
lento e doloroso. Si limitò a fare un commento sarcastico sui suoi gusti
musicali e si alzò per andarsene.
Stefan
le si parò davanti, trattenendosi a stento dal colpirla. Gli era
vietato. Tanto quanto a lei era vietato rivolgere la parola a
chicchessia. Solo in quel momento Katherine si rese conto di ciò che aveva
appena fatto. Non tentò di capire come fosse possibile: la sua
immediata priorità era quella di evitare la furia di Klaus quando
sarebbe venuto a saperlo.
Un
“no” disperato quanto perentorio le sgorgò dalla gola. E Stefan
si pietrificò, gli occhi vacui. Lo guardò sconcertata, senza
capire. Poi, secoli di autoconservazione la spinsero a darsi una
svegliata e iniziò a pensare velocemente. I fatti: aveva eluso il
potere di Klaus, parlando a Stefan e persino soggiogandolo. Come ci
fosse riuscita era un mistero, ma questa era la realtà del momento.
– Oggi
non sei mai stato qui. Esci dal maniero e dimentica che ti ho
parlato. –
Stefan
batté le palpebre lentamente, si voltò e se ne andò.
Immobile
in mezzo al salone, Katherine ascoltò i suoi passi che svanivano
verso l'uscio e il rumore del portone che veniva aperto e richiuso.
Non mosse un muscolo per molti minuti.
Cosa
era cambiato? Qual era il fattore che aveva interferito con il potere
di Klaus? Lo sguardo fu calamitato dalla sacca ormai vuota. La pescò
dal cestino dove l'aveva buttata e la osservò. Che l'etichetta fosse
diversa dal solito, l'aveva notato già prima, ma non ci aveva fatto
caso più di tanto. Aveva pensato semplicemente che avessero
svaligiato una banca del sangue diversa.
L'annusò
e assaggiò i rimasugli del contenuto. Non era verbena: da anni non
le era permesso assumerla, avrebbe avuto una reazione spaventosa sul
suo corpo.
Ma
quello non era il solito zero negativo. Non era il solito sangue.
Anche questo aveva notato prima, ma l'aveva assimilato allo stesso
motivo.
Cosa
conteneva quella sacca?
D-Blood
era scritto sull'etichetta. E la
sacca le sfuggì dalle mani. Katherine tremava.
Da
quel momento visse nel terrore più nero. Si comportava come non
fosse successo niente, ma sentiva che da un momento all'altro sarebbe
stata punita. Ma i giorni passarono uno dopo l'altro, poi le
settimane e infine un mese intero. Capì che Klaus non sarebbe
tornato a reclamare spiegazioni e ad infliggere punizioni. Stefan non
l'aveva mai avvertito.
Un
giorno tornò nello scantinato e come al solito aprì il
refrigeratore. Da quella sera non aveva più toccato le sacche con
l'etichetta sbagliata: le aveva nascoste sotto le altre, aspettando
che l'effetto svanisse. Attese un momento, aguzzando le orecchie:
tutto era tranquillo di sopra. Allora allungò un braccio nei vapori
freddi e frugò, estraendo le sacche “speciali”. Andò in
lavanderia, aprì il rubinetto e ci svuotò dentro tutte le sacche.
Il sangue, mescolato all'acqua corrente, scorse rosato e svanì giù
per lo scarico. Le sacche vuote finirono nell'inceneritore.
Katherine
afferrò l'unica sacca superstite e andò al piano di sopra.
Elena
non la sentì arrivare, ma quando aprì la porta non si stupì di
vederla. Non sapeva dirsi il perché, ma era come se si aspettasse
quella visita da sempre.
Erano
passati più di dieci anni da quella notte di inizio settembre che
aveva trasformato una goliardica iniziazione delle matricole
nell'incubo quotidiano che viveva. Aveva pensato che veder morire le
persone a cui teneva fosse la cosa peggiore del mondo. Non aveva
fatto i conti con la paura e il tempo.
Damon
era morto quella notte, nel patetico ed inutile tentativo di
salvarla. Allora Elena si era accorta di amarlo. Ma di un amore che
non aveva niente a che fare con qualsiasi altro tipo di sentimento,
un amore che travalicava ogni piano. Lo amava come si ama un'ideale:
perché merita questo sentimento.
Lui
era stato l'unico a tentare: Klaus era troppo potente e si circondava
di ibridi devoti. Suo fratello, i suoi amici... uno ad uno, erano
svaniti, tutti fuggiti. Klaus non mancava mai di portarle la notizia
di una nuova defezione. Poi anche quelle erano finite: non c'era più
nessuno che potesse abbandonarla.
Elena
sopravviveva perché era indispensabile a Klaus. Un'intera ala del
maniero era stata adibita a lei. Aveva guardie del corpo e camerieri
soggiogati per servirla in ogni modo possibile, e per impedire che
avesse contatti con l'esterno.
Ogni
novanta giorni arrivava il medico. La faceva spogliare e procedeva ad
un check-up completo, scrivendo i dati su una cartellina. Poi la
faceva stendere sul suo letto a baldacchino, le infilava l'ago
cannula nell'incavo del braccio – sempre l'altro rispetto
all'ultima volta, per evitare trombosi – ed estraeva una sacca di
sangue. Se ne andava via con la sua valigetta termica senza una parola.
Questa
era la vita di Elena in quella dorata prigione.
Due
settimane prima aveva compiuto ventotto anni e Klaus le aveva mandato
dei fiori. Non aveva potuto disfarsene come avrebbe voluto, perché a
suo tempo era stata soggiogata e semplicemente non poteva distruggere
niente di ciò che aveva intorno. Li aveva messi ordinatamente in un
bel vaso, davanti alla finestra inferriata, e li aveva osservati
appassire e morire lentamente.
Adesso
Katherine era lì, che la guardava rinchiusa nella sua bella stanza.
Ed Elena si trovò a pensare che adesso era lei che stava guardando
il suo lento appassire e morire.
Elena
si strinse nelle braccia: – Come l'hai avuta? –
Sapeva
che avrebbe dovuto chiederle come aveva fatto ad arrivare lì, ma
sentiva che tutto partiva da quella sacca vuota che teneva in mano.
Quella sacca che riportava sull'etichetta la scritta D-Blood
e, sotto, la firma del medico che le faceva i prelievi. Per quaranta
volte aveva visto le sue dita attaccare l'etichetta e scarabocchiarci
sopra il suo nome.
– Uno
dei fantasmagorici ibridi di Klaus ha commesso un errore. –
Katherine
avanzò con passo elegante, taccheggiando piano sul parquet. Lasciò
cadere la sacca sul tavolino tra di loro e si accomodò su una delle
poltroncine. Elena la imitò.
Restarono
in silenzio per un bel po'. Katherine seduta come se fosse su un
trono, la mani artigliate sui braccioli e le gambe accavallate, gli
occhi fissi sulla sua
doppelgänger.
Elena
con i gomiti posati sulle ginocchia e le mani intrecciate, una piega
amara sulle labbra, lo sguardo vuoto che ricambiava quello della
vampira.
– Così.
– sospirò – Eccoci qua. –
Katherine
si riscosse. Il suo sguardo cambiò d'intensità, ma non divenne
certo più blando.
Elena
si rialzò e prese a camminare per la stanza.
– Quanto
tempo abbiamo? – le chiese.
Sentiva
che Kaherine la seguiva con lo sguardo.
– Un
paio di giorni. – le rispose – Forse meno. –
– Quante
sacche hai ancora? –
– Nessuna.
–
Elena
si bloccò e alzò lo sguardo incredulo su di lei.
Katherine
scrollò appena le spalle: – Troppo rischioso. –
– Perché
sei qua? – si sentì chiederle in tono duro.
Come
se non lo sapessi già.
– Come
se non lo sapessi già. –
Le
mancò il fiato. Chiuse gli occhi e si sforzò di tornare a respirare
regolarmente.
– Quindi
è questo? – mosse stancamente un braccio, come ad indicare un concetto più grande di lei – E perché non l'hai già
fatto? –
Katherine
si sporse verso di lei: – Vieni via con me. –
Elena
strinse gli occhi. La prendeva in giro?
– Saresti
dipendente da me per sempre. – obiettò con aria scettica – Non
mi sembri il tipo, sinceramente. –
Katherine
saettò lo sguardo, come in cerca di una risposta efficacie. Era
evidente che anche lei l'aveva pensato, ma per qualche oscuro motivo
non voleva fare ciò che andava fatto. Una parte di Elena sentiva che
il motivo non era così oscuro, ma non volle soffermarsi troppo a
pensarci. Era un'idea che faceva risorgere in lei sentimenti sepolti,
sentimenti che le avevano fatto sanguinare l'anima troppo a lungo.
Fiducia.
– E
saresti disposta a morire per me? – fece lei, piena di
sarcasmo.
Elena
si accigliò, rendendosi conto improvvisamente che si trovava
difronte una creatura quantomai simile a Klaus. Doveva giocare bene
le sue carte se voleva uscirne.
– Non
prendiamoci in giro, Katherine. – sbottò dandole le spalle –
Dovrei diventare la tua riserva personale? Non cambierebbe la mia
situazione. Quindi poche storie: soggiogami come ha fatto lui, o
uccidimi. –
Guardò
fuori della finestra, ma non c'era niente da vedere. Era una notte
senza luna.
Glielo
stava chiedendo lei. Era già deprecabile il fatto che avesse delle
remore in merito, se poi era Elena stessa ad offrirsi. Cosa stava
aspettando?
Le
si accostò. Il riflesso del vetro rimandò le loro immagini gemelle.
Elena non era invecchiata in quei dieci anni, ma il suo sguardo
sembrava aver percorso ere intere.
– Di
tutte le volte che ti ho voluta morta. – mormorò.
La
frase restò in sospeso tra di loro e per un attimo infinito le legò.
Quando
Elena si voltò verso di lei, capì che non avrebbe potuto finire
altrimenti.
– Sono
già morta, Katherine. – sospirò – Il fatto che sia tu ad
uccidere il mio corpo fisico, non cambierà questo fatto. –
Non
la interruppe. Per una volta nella vita, Katherine ebbe il buon gusto
di capire che era meglio stare zitta.
– Anzi,
– scrollò le spalle e l'ombra di un sorriso le apparve in volto –
francamente non mi dispiace che tocchi a te. –
Si
sedette sul bracciolo della poltroncina e la guardò, in attesa.
Katherine poteva sentire il battito lento e regolare suo cuore: non
aveva paura. Nessun rimpianto. Questo non le tolse quel retrogusto
agro.
Le
si avvicinò. E il sangue già le affluiva al volto, premendo.
– Addio,
Katherine. – le sussurrò chiudendo gli occhi.
Il
saluto di Katherine si perse nel fremito della sete.
Niklaus
stava morendo.
Quando
si è un Antico con migliaia di anni sulle spalle, quando si è il
vampiro originario, quando si è il primo ibrido di una nuova,
gloriosa razza, si ha l'inaudita capacità di percepire esattamente il momento
della propria morte e di contemplare il proprio destino come se si
fosse spettatori di una tragedia altrui.
Klaus
stava morendo, e la causa era la doppelgänger.
Elena o Katerina non faceva differenza. La maledizione non era mai
stata spezzata, perché
la doppelgänger
era la
maledizione.
– Cosa
hai fatto?! – aveva tuonato.
L'aveva
intuito da ben prima di mettere piede in quella stanza, ma l'unica
reazione che era riuscito ad avere era stata dell'umana incredulità.
Cosa
ho fatto?
La
testa di Katherine si era sollevata dal collo di Elena. Gli aveva
sorriso, tutta sangue e zanne, mentre lasciava andare a terra il suo
corpo esanime. Gli occhi erano di un meraviglioso, terrificante rosso.
Klaus
era già morto e lo sapeva.
Aveva
scavalcato Elena e con passo fluido, senza fretta, si era
avvicinata a lui. Klaus aveva abbassato il capo e aveva visto la mano
di Katherine, lorda di sangue scuro, serrata attorno al suo cuore.
Stefan
ebbe un sobbalzo. Come quando di notte, nel dormiveglia, si ha la
sensazione di cadere.
Klaus
è morto.
La
gioia della liberazione fu oscurata dal terrore. Chi o cosa era stato
in grado di ucciderlo?
Sapeva
che lui era a Mystic Falls: coprì il tratto che lo separava dalla
città in pochi minuti.
Il
maniero era silenzioso. Vi entrò come se non fosse casa sua, come se
stesse visitando la dimora fittizia di un luna park. Quali mostri gli
avrebbe riservato la Casa degli Orrori?
Mentre
saliva le scale, pensava che erano più di dieci anni che non vedeva Elena.
Tutto l'amore, soffocato per così tanto tempo, adesso era libero.
Gli era esploso dentro e lo stava divorando.
Percorse
il corridoio che portava alle sue stanze come un bambino che entra in
un luogo a lui proibito dai genitori. Non erano residui del potere di
Klaus: Stefan sentiva che c'era qualcosa di proibito. In qualche modo sentiva che tra quelle mura
era accaduta una cosa che non sarebbe mai dovuta accadere.
Spinse
la porta con due dita e restò sull'ingresso, immobile. C'erano due
corpi nella stanza. Stefan ignorò quello di Klaus e si avvicinò
all'altro.
Non
voleva dargli un'identità. Non ne aveva il coraggio.
Si
chinò su di lei e la prese un'ultima volta tra le braccia,
imbrattandosi del suo sangue. Respirava ancora. Si era svegliato dopo
dieci anni per vederla morire? La nausea lo investì, mentre l'idea
di morderla e di somministrarle il proprio sangue gli balenava in
testa.
No.
In quella stanza erano stati commessi già troppi delitti.
“Va
tutto bene”, sembrava dirgli, con quegli ultimi battiti.
Le
baciò la fronte e la lasciò andare.
Prima
sentì il dolore. Poi l'odore: sangue. Cieco e sordo, guidato solo
dall'istinto di sopravvivenza, Elijah bevve avidamente.
Quando
la vide, qualcosa si spezzò dentro di lui.
– Elena...
–
La
voce uscì roca e incerta dopo dieci anni di inutilizzo. Katherine –
perché quella era Katherine, non poteva essere altrimenti, come
aveva fatto a confonderle? – gli tese una mano e lo aiutò ad
alzarsi dalla bara senza sforzo.
– Rimettiti
in sesto. – fece, porgendogli un'altra sacca di zero negativo –
Ci sono da svegliare i tuoi fratelli. –
Elijah
la guardò senza capire. O meglio, rifiutandosi di capire. Si era
pulita, ma l'odore del sangue di Elena la impregnava. Aveva la
sensazione che non se ne sarebbe più andato.
– E
datti una sistemata. – gli spolverò con un paio di pacche la
giaccia muffita – Eri sempre così ammodo... non vorrai sfigurare?
–
Ed
Elijah tremò. Non era Katherine, non era Elena. Era entrambe e
nessuna delle due.
– Katarina.
– la chiamò, senza sapere in realtà cosa dirle.
Lei
gli sorrise: – La rivoluzione si fa col vestito buono. –
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