Parti invertite
America si era addormentato sul divano. Un'altra volta.
Lo schermo della
televisione proiettava un fascio di luce di colori di volta in volta
diversi a seconda della pubblicità trasmessa sul corpo
dell'americano.
Quest'ultimo era sdraiato
con una gamba stesa e l'altra piegata leggermente con il ginocchio che
sporgeva oltre il bordo. Le braccia erano ripiegate asimmetricamente e
le mani poggiavano sul suo petto, una in mezzo al torace e l'altra
sulla pancia, scoperta fino all'ombelico.
La testa era voltata dal
lato della tv, gli occhi chiusi dolcemente e la bocca aperta da cui
uscivano ben udibili i suoi respiri. Sulle lenti degli occhiali erano
riflesse le immagini dello schermo.
Inghilterra emise un sospiro d'esasperazione.
«Continua ad addormentarsi qui» borbottò contrariato, aggirando il divano, piazzandosi davanti ad Alfred.
«Scemo,
se continua così si prenderà qualcosa. Menomale che sono
sceso a prepararmi una tazza di camomilla» commentò tra sé.
Da qualche tempo
l’inglese aveva difficoltà a prender sonno e spesso se lo
conciliava con una bella tazza di camomilla a notte fonda. Al
contrario, America prendeva sonno sempre più facilmente ed in
qualsiasi posto.
Un dormiglione coi fiocchi.
Il britannico si
piegò ed infilò le mani sotto le ginocchia ed il collo
dell’americano, sollevandolo faticosamente dal divano: per quanto
si ostinasse a fare esercizio, America era sempre troppo pesante per
lui.
Avrebbe dovuto smetterla di
lasciargli mangiare indiscriminatamente hamburger e patatine fritte.
Gli facevano male e lo facevano ingrassare - e poi lui aveva la faccia
tosta di lamentarsi dei chili di troppo e cercava ad ogni costo di
nasconderli...!
Inoltre, aveva cominciato a
stare un po' più stretto nei suoi pigiami, che aveva sempre
comprato d'una misura più grande - e Inghilterra ne sapeva
qualcosa, visto che quando facevano sesso a letto era lui che gli
toglieva i vestiti.
Stare con Alfred aveva un
sacco di lati positivi a dispetto delle apparenze - l’americano
non era particolarmente possessivo né invadente, almeno
fisicamente parlando - ma aveva anche i suoi lati negativi - ed il
dover far pesi portandolo in camera da letto era uno di questi.
Mentre Kirkland saliva le
scale, osservando l'americano in viso non poté fare a meno di
ripensare al periodo in cui l'aveva allevato come fosse stato il suo
fratellino.
«E pensare che anni fa, quand'era ancora piccolo, era lui a non riuscir mai ad addormentarsi...».
«Inghilterra! Inghilterra! Dove vai?».
Il piccolo America
osservava incuriosito il più grande mentre quest’ultimo si
dirigeva verso il piano di sopra. L'espressione sul suo viso era quella
di chi a malapena riesce a tenersi in piedi e non vedeva l'ora di
stendersi sul letto e riposarsi.
«A dormire» rispose, esibendosi poi in un gran sbadiglio.
Quando era con lui Alfred
esigeva sempre di poter giocare assieme e all'inglese dispiaceva di
negarglielo, visto che lo andava a trovare una volta ogni tanto, per
cui le sue giornate nel Nuovo Mondo le passava giocando con il bambino,
che sembrava essere un'inesauribile fonte d'energie.
Alfred, infatti, era instancabile ed anche la sera, quando Kirkland distrutto se ne andava a dormire, lui non era ancora stanco.
«Piuttosto, anche tu
dovresti andare a dormire...» disse Inghilterra, guardando il
piccolo con una certa severità, resa però tenera dalla
stanchezza che gli si leggeva in faccia.
«Ma io non ho sonno...!» obiettò America, imbronciato.
«Vuoi una tazza di camomilla?» propose l'inglese, per venire ad un compromesso.
Alfred ci pensò su un momento, poi annuì energico, sorridendogli.
Kirkland scese stancamente quei pochi gradini che aveva già fatto e si diresse verso la cucina, seguito dal bambino.
Arrivato nella stanza, mise
a fare la camomilla e si sedette al tavolo accogliendo Alfred sul suo
grembo, accarezzandogli amorevolmente i capelli.
La camomilla fu pronta in
una decina di minuti, tempo che Kirkland dedicò interamente ad
una sessione intensiva di coccole per il suo fratellino, che gli si
addossò contro il petto in cerca d'attenzioni.
Alfred era tanto carino quando faceva così...!
Quando l'inglese lo
posò a terra, l'americano lo seguì con lo sguardo mentre
s'avvicinava al fornello e toglieva il bollitore, versandone il
contenuto in una grossa tazza azzurra facendo attenzione a che non ci
cadesse dentro anche il filtro.
«Ecco, attento che brucia» si raccomandò Inghilterra, porgendogli la tazza.
Il bambino l'afferrò
per il manico e bevve, ma se ne pentì subito: cacciò un
gridolino e si allontanò dal bordo della chicchera, soffiandoci
sopra.
«Te l'avevo detto che
bruciava» lo redarguì Arthur, senza riuscire a reprimere
un sorrisetto: vedere Alfred che soffiava sulla camomilla con le
lacrime che facevano timidamente capolino ai lati dei suoi candidi
occhioni azzurri per la recente ustione era una scena che gli faceva
provare una tenerezza infinita nei suoi confronti.
Quando il bambino
finì di soffiare e l'assaggiò di nuovo - stavolta con
più circospezione - sembrò che la temperatura della
bevanda fosse diminuita almeno un poco e che fosse di suo gradimento.
Bevve senza tanti complimenti, svuotando in pochi sorsi la tazza.
Inghilterra andò a posare l'oggetto nel lavabo e, quando si voltò di nuovo, sorprese America mentre sbadigliava.
Sorrise: forse sarebbe
riuscito a portarlo a letto senza doverlo forzare, una volta tanto - e,
cosa ancora più importante, senza che se lo ritrovasse sotto le
coperte a fissarlo intensamente ed ininterrottamente.
Il potere di una bella e cospicua tazza di camomilla.
Gli si avvicinò
un'altra volta e lo sollevò da terra, stringendoselo al petto
mentre si dirigeva di nuovo verso le scale.
«Adesso andiamo a dormire?» propose.
America appoggiò
stancamente il capo nell'incavo del suo collo, socchiudendo gli occhi,
poi sbadigliò di nuovo, stropicciandoseli.
«Non voglio andare a dormire... è ancora presto...» borbottò, sbattendo le palpebre.
«Dici? A me sembra che tu abbia sonno» commentò ironico Kirkland.
America continuava ad opporre resistenza alla stanchezza che - grazie alla camomilla - stava finalmente avendo la meglio.
«Mmh, no... voglio andare a giocare... andiamo a giocare, Inghilterra...?».
«Io ho sonno, per cui vado a dormire» asserì perentorio il britannico.
Alfred sbadigliò un'altra volta e si sistemò meglio sulla spalla del maggiore.
«Mmmh... a... giocare».
Arrivarono alla camera di
Inghilterra, che decise di tenere con sé il piccolo per la
notte, cosa di cui l'altro era sempre felice.
Tolse con la mano libera le
coperte da sotto il cuscino e adagiò sul materasso l'americano,
che cadde di lato abbandonandosi sul cuscino, chiudendo gli occhi. Non
indossava il pigiama, ma una specie di vestitino bianco dello stesso
tipo di quello con cui l'aveva trovato nella prateria. Ci si trovava
così bene che ne aveva voluto uno uguale per dormire ed
Inghilterra ne aveva approfittato per esercitarsi col cucito oltre che
con il ricamo.
Il biondino si rannicchiò in posizione fetale, aprendo un pochettino gli occhi, osservando il maggiore.
Arthur si cambiò,
mettendo un pigiama bianco decorato con tante piccole raffigurazioni di
tazzine color crema colme di thé fumante, quindi si
sdraiò accanto al fratellino e spense la luce.
«Ora dormi, okay?» fece in tono cordiale, rivolto al più giovane, sfiorandogli una guancia.
«'Notte, Inghilt... zzz».
Doveva ammettere
d’essere sorpreso che la camomilla avesse avuto un effetto
così rapido. Se era così efficace avrebbe dovuto
affidarsi ad essa molte più volte, sia per calmarlo sia per
farlo dormire.
Inghilterra aprì la
porta della stanza sua e di America con una spallata, dato che le
braccia e le mani erano impegnate a sostenere il peso tutt'altro che di
poco conto dell'americano.
Le gambe tremavano leggermente e la spina dorsale gli mandava continue fitte di dolore, però era quasi arrivato.
Non poteva mollare proprio allora.
Attraversò i pochi
metri che lo separavano dal letto e vi lasciò cadere Alfred con
un rumoroso sospiro di sollievo.
Il più giovane non
mosse un muscolo, continuando a dormire come se niente fosse, forse
respirando appena più forte.
Kirkland l'osservò
per qualche momento, comparandolo con il ricordo che conservava di lui
bambino. Doveva ammettere che il modo di dormire assolutamente
scomposto era rimasto, così come quell'espressione di beata
innocenza.
Era difficile credere che,
solo la notte prima, quel faccino innocente fosse contratto e sudato
mentre cercava di spingersi sempre più giù dentro di lui.
Il suo egocentrismo era tale da farlo comportare sempre come se il
ruolo dominante nei loro rapporti spettasse a lui per diritto divino.
Inghilterra lo trovava
insopportabile, eppure non poteva negare a sé stesso che, tutto
sommato, gli piaceva essere violato da lui e che l'americano era anche
discretamente abile in ciò, nonostante desse bene ad intendere
una certa ingenuità intrinseca del suo carattere.
Arthur si allontanò dal letto e si diresse verso la porta della stanza.
Scese di nuovo al piano
inferiore, diretto in cucina, dove si preparò una bella tazza di
camomilla - dopotutto originariamente era sceso per quella.
Quando fece ritorno nella
sua stanza sorseggiandola tranquillo, la prima cosa che notò fu
che la luce dell'abat-jour era accesa e che America aveva cambiato
posizione, sdraiandosi sul fianco sinistro con il braccio destro
piegato e sistemato sotto la testa.
I suoi occhi erano aperti e, non appena Kirkland si materializzò sulla soglia, si appuntarono su di lui.
«Ah, sei sveglio» esclamò il britannico, avvicinandosi.
«Che cosa stai
bevendo?» chiese l'altro, mettendosi seduto a gambe incrociate,
sbadigliando vistosamente senza minimamente preoccuparsi di coprirsi la
bocca.
Inghilterra sorseggiò con tutta calma la sua bevanda prima di replicare: «Camomilla».
America rise con quel suo modo di fare tipicamente irritante e di scherno.
«Non riesci a dormire?».
Inghilterra ribatté
un indignato: «Non sono come te, che ti addormenti dovunque... e
menomale! Se non ci fossi io saresti sempre a dormire giù sul
divano! Un giorno o l'altro ti prenderai un malanno a dormire
lì!».
«Non importa che ti
preoccupi di portarmi di sopra! Posso benissimo venirci da solo!»
sbottò Alfred in risposta, improvvisamente offeso.
«Sì, certo...!
Domattina! Dormivi così profondamente e beato sul divano. E non
è per dire, ma pesi parecchio per essere trasportato dal
soggiorno alla camera tutte le notti!».
Toccare l'argomento "peso"
con America era come rifilargli uno schiaffo morale: Jones
cominciò a sudare freddo e arrossì, indignato e a
disagio, gonfiando le guance.
«Non sono grasso!».
Incrociò stizzito le braccia sul petto ed assunse una deliziosa espressione imbronciata.
Inghilterra non poté
non trovarlo carino oltre i normali limiti. L'inglese gli si sedette
accanto e l'americano, per contro, si girò dall'altra parte.
«Non sono grasso, hmpf!»
«Uff... smettila di essere così infantile» esclamò Arthur.
«Sei tu che hai iniziato!».
Kirkland sospirò.
«E allora me ne vado
io a dormire giù sul divano. Piuttosto che stare a vederti col
broncio...» si risolse il britannico, alzandosi, bevendo altra
camomilla mentre si dirigeva verso la porta.
Alfred, allarmato alla sola idea di dormire tutto solo in camera e per giunta al buio, si alzò e gli corse dietro.
«A-aspetta, Inghilterra!» lo chiamò, allungandosi ed acchiappandolo per una manica prima che uscisse.
L'inglese si girò a guardarlo, stupito.
«Cosa c'è?» domandò.
America lo fissò
attonito per qualche momento. Lo lasciò andare e, guardandolo,
disse: «Non voglio dormire solo».
«Hai paura a rimanere
solo in camera? Lo eri fino a poco fa in soggiorno»
replicò Inghilterra con una certa logicità ed una forte
traccia di provocazione nella voce.
America voleva replicare
efficacemente, ma non se lo sognava nemmeno di dargli la soddisfazione
di sentirgli dire che non voleva dormire solo perché voleva
sentire la sua presenza accanto a sé. Non era abituato a stare
in un letto a due piazze in solitudine. Persino da piccolo non aveva
mai dormito in un letto grande senza Arthur e non aveva certo
intenzione di cominciare allora.
Vedendolo zitto e con
un'espressione così tenera, simile a quella di qualcuno cui era
appena stato fatto un torto senza motivo, Arthur decise di dargli una
seconda opportunità.
Sospirò, scrollando le spalle.
«Okay, dormo qui,
contento? Così non hai più da aver paura del mostro
cattivo sotto al letto» esclamò, senza riuscire ad
evitarsi un po' di sana provocazione «Solo, vado a posare
giù la camomilla».
America gli prese dalle
mani la tazza e ne svuotò il poco contenuto rimasto in un sorso
solo, quindi afferrò l'inglese per un polso e lo tirò
nuovamente verso il letto.
«Questa la porti giù domani» sentenziò, appoggiando la chicchera sul comò.
Sbadigliò
vistosamente mentre si sedeva sul materasso e si spostava verso il suo
posto, sdraiandosi e facendo spazio ad Inghilterra di fianco a
sé. Il britannico non ebbe altra alternativa al di fuori del
prender posto accanto a lui: Alfred lo teneva ben stretto per il polso,
impedendogli ogni eventuale tentativo di fuga. Continuò a
tenerlo saldamente finché Kirkland non si fu nascosto sotto la
coperta e fu girato verso di lui.
Quando la luce fu spenta,
Arthur protestò, cercando di divincolarsi: «Adesso puoi
anche lasciarmi la mano. Non vado da nessuna parte».
Tutto quel che gli giunse in risposta fu un lieve russare che lo mise subito in allarme.
«America? A-America?»
chiamò ad alta voce «Lasciami, mi fai male!!»
soggiunse, cercando di sottrarre la mano, ma non ottenne niente.
Alla fine, non era più lui a crollare addormentato subito, camomilla o meno.
Era il contrario.
«America? Svegliati, idiota! Lasciami andareee...!».
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