Sherlock 1
Questa storia si basa sul presupposto che Sherlock sia tendenzialmente asessuale, cosa della quale sono fermamente convinta, e ruota attorno a 4 canzoni dei Coldplay, in particolare The Scientist, che apre questo capitolo.
I was just guessing at numbers and figures,
pulling your puzzles apart.
Questions of science, science and progress,
do not speak as loud as my heart.
(The Scientist-Coldplay)
Sherlock sentì lo scalpiccio dei passi sulle scale. Prima ancora
che lo sgradito visitatore annunciasse la sua presenza il detective si
strinse nella vestaglia dando le spalle alla porta con fare ostile.
"Signora Hudson, le ho detto che non ci sono per nessuno."
La testa della signora Hudson fece capolino dalla porta.
"Sherlock, sono solo io."
La signora scostò la porta col piede e si introdusse
audacemente nell'appartamento del detective. Poggiò sul tavolo
il vassoio che le ingombrava le braccia e, mani sui fianchi,
puntò i suoi occhi sulla schiena di Sherlock, raggomitolato sul
divano.
"É inutile che se ne stia lì impalata, signora Hudson. Il
suo sguardo implacabile sulla mia schiena non mi convincerà a
voltarmi e prestarle l'attenzione che pretende da me"
La signorà Hudson sbuffò seccata e mosse alcuni passi verso il divano.
"Ha bisogno di mangiare, Sherlock."
"La sua affermazione non è del tutto esatta. É
scientificamente dimostrato che un essere umano può vivere senza
nutrirsi per almeno 40 giorni. Naturalmente sono da considerare le
variabili di età, sesso, peso e condizioni climatiche del luogo
in cui il suddetto essere umano si trova."
"La sua scienza non può nulla contro la mia determinazione. Lei deve mangiare."
La signora Hudson recuperò il vassoio che aveva lasciato sul tavolo e si diresse verso la poltrona affianco al divano.
"Non si sieda lì, per favore. Anzi non si sieda affatto e se ne
vada, se le è possibile. Se non le è possibile se ne vada
lo stesso."
La donna dovette cercare una sistemazione alternativa. Avvicinò
con una certa difficoltà una sedia al divano, facendo tintinnare
le tazze sul vassoio e tremare pericolosamente la teiera.
"Non me ne andrò finchè lei non avrà mangiato, Sherlock!"
"Allora temo che dovrò mettere a dura prova la sua pazienza, signora."
Passarono alcuni minuti durante i quali Sherlock, trincerato in un
ostinato silenzio, si dedicò a sfilacciare la manica della sua
vestaglia, con la stessa minuziosa concentrazione con la quale avrebbe
sezionato il cadavere di un insetto.
La signora Hudson batteva ritmicamente un piede contro il tappeto,
sperando di dare sui nervi al detective. Fu lei a rompere il silenzio,
tentando di catturare l'attenzione di Sherlock con una frase a effetto.
"Ha telefonato John. Mi ha detto che lei ha il telefono staccato."
Sherlock ebbe uno sussulto. Tentativo riuscito. Tuttavia non si voltò.
"É preoccupato per lei, Sherlock. Mi ha intimato di costringerla
a mangiare qualcosa", continuò la donna, scrutando le reazioni
dell'altro. Sherlock affondò la testa contro la spalliera del
divano, dalla quale alcuni secondi dopo provenne un suono soffocato.
"Non ho capito cosa ha detto, Sherlock. Se continua a darmi le spalle sarà difficile comunicare."
Il detective si girò, riluttante.
"Almeno non ha chiamato mio fratello."
La signora Hudson proruppe in una risatina.
"Suo fratello ha telefonato ogni giorno, da una settimana a questa
parte. Ho dovuto mentire sulla sua situazione psico-fisica per
scongiurare il pericolo che si presentasse di persona."
Sul volto di Sherlock apparve un accenno di sorriso.
"Di questo le sarò eternamente grato."
Quando Sherlock si mise seduto, raccolse la testa fra le mani e
fissò gli occhi sul pavimento la signora Hudson temette che il
silenzio sarebbe ripiombato tra di loro, e che Sherlock avrebbe
mantenuto quella posizione per un numero indefinito di minuti, ore, forse. Invece, l'uomo alzò la testa di scatto, come colpito da un pensiero improvviso.
"Torta di mele? L'ha preparata con le sue mani?"
La donna rimase interdetta per qualche secondo, poi abbassò gli
occhi sul vassoio che teneva sulle ginocchia e del quale sembrava
essersi dimenticata e annuì.
"É l'ora del tè, Sherlock. "
"E chi siamo noi per contravvenire a una tradizione britannica radicata e secolare?"
Si allungò per prendere il vassoio e poggiarlo sul
tavolino davanti a lui. La signora Hudson si domandò
perchè non ci avesse pensato prima. Sherlock prese a
versare il tè nelle due tazze. "Zucchero?"
La donna fece cenno di sì con la testa e sollevò due dita
per indicare all'altro la quantità di zollette di zucchero
desiderate.
"Da quanto tempo non risolve un caso?", chiese qualche momento dopo,
sorseggiando il suo tè nero, mentre Sherlock addentava una fetta
di torta, calmo e composto come se non avesse digiunato per giorni.
"Ho risolto due casi questa settimana. Sciocchezze", rispose l'altro dopo aver deglutito.
La signora si fermò con la tazza a mezz'aria.
"Ma l'ispettore Lestrade non viene qui da almeno due settimane!"
"Non ce n'è stato bisogno. Lei non legge il mio blog, signora Hudson?"
La donne scosse la testa, non del tutto sicura di aver compreso la domanda.
"Scrivo sul mio sito le soluzioni agli enigmi che Lestrade mi propone via mail."
Il gergo tecnologico non era del tutto estraneo alla donna, che stavolta si convinse di aver capito.
"La torta è di suo gradimento?"
"Sì, molto. Apprezzo quel pizzico di noce moscata che lei ha avuto l'accortezza di inserire tra gli ingredienti."
La signora Hudson sorrise compiaciuta. Il suo sguardo si posò
sulla poltrona il cui uso prima le era stato interdetto da Sherlock.
"Quella è la poltrona di John?"
"Tecnicamente l'ho comprata io, ma era la poltrona dove lui si siedeva
sempre", rispose l'uomo, apparentemente concentrato a recuperare una
briciola attaccata al copridivano.
"Deve sentirsi solo, da quando John se ne è andato", osservò la donna, con finta noncuranza.
"Non fa differenza. Ero abituato a vivere da solo prima che le
necessità economiche mi spingessero a cercare un coinquilino",
replicò l'uomo, tagliandosi un'altra fetta di torta, avendo cura
di non guardare la signora Hudson negli occhi. Questo tentativo di
sfuggire il suo sguardo non passò inosservato alla donna.
"Ma John non era solo il suo coinquilino", azzardò la signora.
"Dimenticavo la sua ossessione per le coppie di fatto, signora Hudson", rispose secco Sherlock, prima di addentare la torta e voltarsi dalla parte opposta.
La signora Hudson era cosciente di possedere una fantasia galoppante che a volte la spingeva a vedere le cose per come non erano, ma nel caso di Sherlock e Watson credeva di averci visto giusto.
"Sherlock, mi sembra che lei voglia evitare questo discorso."
"Devo prendere atto che lei possiede un ottimo intuito", fece
sarcastico l'altro, sfoggiando un sorriso falso. Poi si passò le
dita affusolate tra i ricci, poggiò la schiena al divano e
accavallò le gambe.
"Intuisce cosa sto cercando di comunicarle adesso?"
"Vuole che me ne vada?", borbottò risentita la donna.
Sherlock non rispose. Lasciò vagare lo sguardo per la stanza, ignorando le proteste della donna.
"Lei ha bisogno di parlare con qualcuno, Sherlock! Non può
starsene chiuso in casa tutto il tempo! Da solo! Impazzirà!"
"Ho già qualcuno con cui parlare, non si preoccupi per me."
"E chi sarebbe, di grazia?"
"Yorick."
All'espressione interdetta della donna Sherlock indicò col mento la mensola del caminetto.
"Il teschio?"
"Esattamente. Sapesse che ottimo ascoltatore che è! E poi non mi parla mai di John e non mi obbliga a mangiare."
"Sherlock, lei è già impazzito!"
Il detective sfoderò un'espressiona fintamente offesa. Poi,
prima che la donna potesse aggiungere altro si sollevò dal
divano in uno svolazzare di vesti, improvvisamente preda di una
frenesia facilmente imputabile a un matto.
"Sono costretto a chiederle di andarsene, signora. Ho voglia di
strimpellare un po' il mio violino. Grazie per la torta. E il
tè. Non dimentichiamo il tè".
L'uomo sparì in cucina. La signora Hudson non fece in tempo ad
alzarsi dalla sedia che vide Sherlock tornare con un'espressione
afflitta sul volto. Si gettò a peso morto sul divano e
puntò gli occhi al soffitto.
"John non ha comprato le corde di ricambio."
"Non poteva comprarle lei?", ribattè la donna.
"Ero occupato a pensare a cose più importanti", rispose l'altro,
poi si voltò verso la sua interlocutrice "ancora qui, signora
Hudson?"
La donna si strinse nelle spalle.
" A differenza di lei io a volte ho bisogno di parlare con una persona viva."
"Allora è lei che si sente sola! Se si è spinta fin nel
mio appartamento a cercare la mia compagnia deve essere davvero
disperata!"
"Non sia ridicolo, Sherlock. Sono qui perchè sono preoccupata per lei!", protestò la donna, indignata.
"Ho mangiato, le ho dimostrato che svolgo ancora il mio lavoro e che non soffro la solitudine. Continua a essere preoccupata?"
"Certo, perchè almeno una delle sue affermazioni è falsa."
Touchè.
Sherlock non replicò . Congiunse le mani sotto al mento e si immerse nelle sue elucubrazioni.
"Cosa le fa pensare che mi manchi, John?", chiese dopo qualche interminabile minuto.
La donna non si aspettava questa domanda a bruciapelo, tuttavia aveva la risposta in tasca.
"A parte il fatto che non mangia, non esce di casa e si comporta in modo ancora più bizzarro del solito?"
Il detective non ribattè alle domande retoriche della donna.
"Sherlock, quando la persona che amiamo ci lascia è normale che ne sentiamo la mancanza."
"Chi ha parlato d'amore? L'amore è un'emozione e tutto
ciò che è emozione contrasta con la fredda logica che io
pongo al di sopra di tutto."*
La donna si avvicinò con la sedia al divano, per poter poggiare una mano sulla spalla del detective.
"Sherlock, lei sarà anche un ottimo detective ma è un pessimo bugiardo."
La consapevolezza di essere stato scoperto si manifestò sul viso di Sherlock sotto forma di una smorfia.
"A quanto pare lei è una detective migliore di me."
Sherlock si passò una mano sugli occhi, gesto che, a dispetto
della vita sedentaria che aveva condotto da due settimane a quella
parte, palesava la sua stanchezza di esistere.
"Chiamerà John?"
L'uomo proruppe in una risatina triste.
"A che pro?"
"Quando qualcosa si rompe, dobbiamo cercare di riparla, con ogni mezzo."**
"E se fosse troppo tardi?"
"Non è mai troppo tardi per fare qualcosa."
Il detective si mise seduto. Sollevò la manica della vestaglia e mostrò il braccio nudo alla donna.
"Secondo lei è un problema da 3 o 4 cerotti?"
La signora scosse la testa con veemenza.
"La pianti con questo stupidi cerotti! Quello che deve fare e alzare il culo dal divano e andare a parlare con John!"
La donna si tappò subito la bocca con la mano, quasi spaventata
dalla propria audacia. Sherlock ridacchiò e si alzò dal
divano.
"Non credevo che avrei mai preso ordini da una donna!", commentò
sarcastico, prima di mettersi a rovistare tra i cuscini del divano.
"Adesso posso andare senza il timore che lei muoia solo e denutrito?"
La signora Hudson si alzò dalla sedia e fece per recuperare il vassoio dal tavolino.
"Se sta cercando il suo cellulare è sulla poltrona di John."
Sherlock interruppe la ricerca sfrenata che lo aveva indotto a mettere sottosopra il divano.
"Sono fuori allenamento. Mi lascio sfuggire troppi dettagli."
Trovato il cellulare, digitò il pin con dita agili e veloci.
C'erano cinque chiamate di John, tre di Lestrade e una ventina di
messaggi in segreteria lasciati da suo fratello.
"Lei e John avete bisogno di ricominciare daccapo", fece la signora
Hudson, prima di andarsene e lasciare Sherlock alle prese col suo
telefono.
*da "Il segno dei quattro"
**traduzione libera del verso di X&Y "When something is broken and you try to fix it, trying to repair it, any way you can"
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