Nickname: SunlitDays
Titolo:
Salty's
Ice Cream
Genere:
Romantico,
Fluff, Comico
Rating:
Giallo/Arancione
Avvertimenti:
piccoli
spoiler
Introduzione:
il
proprietario della voce la guardava con un sorriso di scherno e uno
sguardo interrogativo negli occhi, come se la strana, lì,
fosse lei, come se fosse del tutto normale entrare in una gelateria con
una scintillante armatura romana e un tridente alto due metri in una
mano.
Note dell'Autrice: questa
fic è stata scritta per il contest How Did They
Meet? indetto da nan96. Purtroppo, avendo consegnato solo in due, non
è stata fatta alcuna classifica. Ringrazio comunque la
giudice per avermi dato la possibilità di scrivere una fic
su PJ, cosa che avevo intenzione di fare da tempo.
Note dell'Autrice2:
la storia è composta da tre capitoli, aggiornerò
quindi regolarmente ogni settimana, in più è la
prima fanfiction su Percy Jackson che scrivo. Spero di aver fatto un
lavoro decente.
Capitolo
Primo
Era
una giornata come tutte le altre alla “Creem’s
Cream”, la gelateria più popolare di Montauk. Orde
di bagnanti si accalcavano davanti al bancone gelato sventolando
scontrini e urlando ordini; dei ragazzi si davano gomitate a vicenda
indicando delle ragazzine in costume da bagno che, fingendo interesse
verso i vari gusti, mettevano in bella mostra le gambe lisce e i sederi
sodi, le mani che nascondevano le loro risate civettuole; un bambino,
da qualche parte in fondo alla sala, lamentava il proprio gelato caduto.
Assolutamente una giornata come tutte le altre: calda, frenetica ed
estenuante.
Sally Jackson, diciannove anni e cento sogni, si spostava da un lato
all’altro del bancone, prendendo ordini e preparando coni
gelato, un fazzoletto di stoffa che le penzolava dalla tasca, pronto
per asciugarle il sudore.
Non era un lavoro difficile ed era anche piacevole talvolta; il trucco
stava nel non distrarsi mai, o sarebbe stata la fine.
«Penny,
il cioccolato è finito. Muoviti!».
L’urlo roco del signor Creem arrivò proprio mentre
Sally contava il resto da dare alla vecchia signora Callanger mentre un
posticino della sua mente teneva ben stretto il ricordo delle prossime
ordinazioni da preparare.
«Mi
chiamo Sally» urlò, cercando di sovrastare il
chiacchiericcio della folla.
«Muoviti!».
Naturalmente, non c’era modo di spiegare al suo capo che se
si fosse allontanata anche solo un attimo, ci sarebbe stata una rivolta
dei clienti. Avrebbe potuto andarci lui stesso, ma Sally dubitava che
il signor Creem potesse disturbarsi tanto da alzarsi dal suo comodo
sgabello.
L’umidità
le si attaccava sulla fronte e il labbro, e ciocche di capelli le
sfuggivano dalla cuffietta incollandosi sulle sue guance sudate.
Solo
quando l’ultimo cliente uscì, Sally
poté finalmente sedersi un attimo e massaggiarsi i piedi
stanchi. Non che potesse andare a casa, doveva ancora pulire e
organizzare tutto per il giorno successivo.
La
gelateria “Creem’s Cream” era una
spaziosa e luminosa sala rivestita di marmo chiaro. Sulla sinistra
facevano bella mostra tutti gli attestati e premi che aveva
collezionato il signor Creem, un tempo un noto gelataio dai folti
capelli rossi e la passione per il suo lavoro, divenuto poi un uomo
sovrappeso con una decina di capelli bianchi riportati di lato come per
nascondere la calvizie, e le dita perennemente inumidite per far
scivolare le banconote più fluidamente.
Dietro
al grande bancone gelato, c’erano foto del signor Creem con
gente famosa passata per il locale negli anni: un’ulteriore
dimostrazione dell’egocentrismo e amore per gli affari
dell’uomo.
Sulla
destra, invece, c’erano decine di tavoli di metallo messi a
disposizione della clientela, e, in un angolo, una porta conduceva al
magazzino e alla cucina.
La
parte che Sally preferiva era la parete d’ingresso: era
completamente di vetro e, nelle ore morte — non che ce ne
fossero molte — Sally spesso si scopriva a fissare i vari
bagnanti e a desiderare di essere una di loro.
Come
dipendente di una gelateria di successo, non aveva molto tempo per se
stessa, ma il salario era abbastanza da conservare i soldi necessari a
pagarsi gli studi, e il suo capo le aveva permesso di usare la sua
cabina: una minuscola catapecchia dalle tende sbiadite e il perenne
odore di muffa. Ogni sera, prima di andare a letto, Sally doveva
agitare le lenzuola per liberarsi della sabbia entrata dalle
innumerevoli fessure e, ogni mattina, si svegliava con una sensazione
di prurito e la pelle che sembrava un’arancia. Ma all'alba,
Sally apriva la finestra facendo entrare il profumo di salsedine e
osservando la spiaggia bianca e vuota, l'oceano che si estendeva
immenso. Un posto magico. Sally sognava di tornare lì ogni
anno, magari col suo futuro marito e il loro bambino.
Sapeva
di meritare di più, ma la vita le aveva riservato diverse
difficoltà, quale la perdita prematura dei suoi genitori, la
malattia e, successivamente, la morte di suo zio. Ma non se ne
rammaricava. Avrebbe lavorato di più e più
duramente. La fortuna bisogna crearsela da soli, le ripeteva zio Rich.
«Penny,
è arrivato un nuovo carico da sistemare. Che fai
lì impalata, muoviti!» la rimproverò il
signor Creem. Sally sospirò in silenzio. Adesso si sarebbe
alzata e gli avrebbe urlato che non era lei quella che se ne stava impalata,
e il suo nome non era Penny, per la miseria!
«Arrivo
subito, signor Creem» rispose, invece. Lo guardò
mentre si allontanava, il solito sguardo scorbutico, il pancione che si
appoggiava sul pantalone come una pasta da pane lievitata troppo. Poi
il suo sguardo si spostò verso gli scatoli da sistemare e
sospirò di nuovo.
«Buongiorno»
disse una voce limpida e con un accento orientale alle sue spalle.
«Mi
dispiace» disse Sally con voce forzata, mentre cercava di
issare una scatola di latte in polvere. «Siamo
chiusi».
Riuscì
finalmente a posizionare la scatola precariamente tra le sue braccia,
si voltò, sorriso in volto, verso il cliente ritardatario e
lanciò un urlo. La scatola cadde a terra con un tonfo
aprendosi, e il latte in polvere si sparse ai suoi piedi. Il folle pensiero di Sally, mentre guardava con occhi sgranati l’uomo bizzarro che le si parava davanti, fu: il
signor Creem mi detrarrà i soldi del latte dal mensile.
Nel
frattempo, il proprietario della voce la guardava con un sorriso di
scherno e uno sguardo interrogativo negli occhi, come se la strana,
lì, fosse lei, come se fosse del tutto normale entrare in
una gelateria con una scintillante armatura romana e un tridente alto
due metri in una mano.
Il
signor Creem entrò correndo e allarmato, un sigaro cubano
che gli penzolava tra le labbra.
«Che
succede?».
Esaminò
per qualche secondo la situazione, poi il suo sguardo divenne vacuo e,
inspiegabilmente, s'inchinò verso il nuovo cliente.
Evidentemente sembrò giudicare le sue azioni e
l’abbigliamento dell’uomo del tutto regolari,
perché si raddrizzò e, sbuffando una nuvola di
fumo, sorrise al cliente. Poi si voltò verso Sally.
«Guarda
cosa hai combinato, sciocca ragazza. Adesso—». Si
bloccò come se qualcuno avesse premuto il tasto
“pause”. Restò per qualche secondo con
la bocca aperta e il dito indice puntato verso la sua dipendente, e
proprio mentre Sally stava per chiedergli se stesse bene, lui sorrise e
disse: «Adesso perché non prepari al gentiluomo
qui un bel gelato al cioccolato? Penso io a pulire».
Aggrottò
le sopracciglia come se anche lui, come Sally, si stesse chiedendo il
motivo dietro le sue parole. Poi si voltò rigidamente e si
diresse verso l’armadio delle scope.
Sally
respirò profondamente, gli occhi incollati verso il posto
dove un momento prima si trovava il suo capo. Cominciava ad avere un
sospetto: non era la prima volta che le capitava di vedere cose strane
che, a quanto pareva, non esistevano. Come quella volta, quando aveva
nove anni e suo zio l'aveva portata al centro commerciale. Avrebbe
potuto giurare che nella lunga fila per il bagno, ci fosse stato un
enorme serpente con la testa da leone. Quando l'aveva detto ad alta voce,
una signora si era voltata e l'aveva guardata male, come se
avesse detto una cosa terribilmente scortese verso un uomo
perfettamente rispettabile. E quell’altra volta, in terza
elementare, aveva costretto zio Rich a cambiarle scuola perché la
sua maestra non le piaceva: aveva otto tentacoli e un becco
d’aquila.
Zio
Rich le diceva sempre di smetterla di giocare con i suoi amici mostri
immaginari.
Ma
quella non era immaginazione, e, di certo, non era neanche la
realtà. Forse era un qualche disturbo post traumatico dovuto
alla perdita dei suoi genitori? Sally sapeva soltanto che in quei
momenti l’unica cosa da fare era comportarsi come se non ci
fosse nulla d'inusuale.
Sorrise
forzatamente all’uomo bizzarro appoggiato al bancone,
cercando disperatamente di non guardare il letale tridente che lui
stringeva nella mano destra, né la porzione di pettorali che
s'intravedeva dall’armatura. Tossicchiò.
«Gelato
al cioccolato, dunque? Subito». Cominciò ad
armeggiare con la spatola, la mano che le tremava e i capelli umidi che
le finivano negli occhi.
«Ecco
a lei» disse quando ebbe finito, porgendogli il cono gelato.
L’uomo la guardava con una tale intensità che
Sally si sentì vacillare. Nei suoi occhi verdi vide un mare
in tempesta, maremoti, resti distrutti di un’imbarcazione, un
marinaio dallo sguardo disperato. Ebbe il folle istinto di inchinarsi,
di promettere eterno servigio...
Batté
le palpebre. Aveva ancora il braccio teso verso lo strano uomo, la voce
dei bambini che giocavano sulla spiaggia arrivava fresca e gaia nelle
sue orecchie. Guardò il cono gelato che stringeva in mano,
aspettando di trovarlo sciolto. Era intatto: era passato solo un attimo.
Adesso
l’uomo la guardava con sguardo interrogativo.
«Grazie»
disse lui, la voce limpida e profonda. Prese il gelato che Sally gli
porgeva, ma non lo mangiò, non si mosse. Continuava a
guardare Sally come se lei avesse appena fatto apparire un coniglio dal
suo cilindro e lui stesse cercando di capirne il trucco. Era snervante.
Sally si rimise a lavoro, accanendosi su una ciotola particolarmente
incrostata.
Dovevano
esser passati svariati minuti quando alzò di nuovo gli
occhi. L’uomo la stava ancora osservando, il tridente nella
mano destra e il cono nella sinistra. Non una goccia di gelato era
colata. Devo
diminuire la dose di latte in polvere,
pensò Sally.
Aprì
la bocca, decisa a dirgli che c’erano dei tavolini molto
comodi laggiù e che la vista, lì, era migliore,
ma l’uomo la batté sul tempo.
«Straordinario!»
disse inspiegabilmente. «Erano anni che non ne incontravo
una». Sally stava cominciando ad avere seri dubbi sulla
propria sanità mentale.
La
porta si aprì ed entrò Tommy Fragola e Pistacchio
Nel Cono Grande Grande: un bambino di non più di cinque anni
che ogni giorno scappava dallo sguardo vigile della madre per scroccare
un gelato gratis. Sally lo adorava.
«Fammi
indovinare» disse Sally, fingendosi seria. «Una
vaschetta di cioccolato e vaniglia» finì, con un
gesto teatrale.
Il
bambino gonfiò le guance con espressione frustrata.
«Nooo» cantilenò. «Fragola e
pistacchio nel cono grande grande».
«Oh,
perdoni una gelataia distratta, messere. La servo subito»
rispose lei. Prese la spatola e il cono più grande che
avevano, consapevole che il bambino non l’avrebbe mangiato
tutto.
Felice
per l’enorme cono ricevuto, Tommy andò a sedersi
su una delle sedie, leccando entusiasta il suo gelato, mentre Sally,
avvertendo lo sguardo dell’uomo strambo su di sé,
si accovacciò dietro al bancone con la scusa di pulire il
danno che aveva fatto. Il signor Creem, notò distrattamente,
non era ancora tornato dall’armadio delle scope.
«Bella
canna da pesca, signore» sentì dire il bambino.
«Ti
piace? È una Michell, un assetto perfetto. Ottimo se vuoi
pescare dei bei pezzi grossi» rispose l’uomo, e il
sorriso che accompagnò quelle parole si poteva percepire
chiaramente.
Sally
guardò attraverso il vetro e vide Tommy annuire con
convinzione, come se lui fosse un esperto di pesca.
«Ti
piace il mare?» gli chiese l’uomo. Aveva delle
rughe attorno agli occhi, segno che dovesse ridere spesso. La sua
zazzera spettinata di capelli neri suggeriva lunghe notti fredde
passate sulla riva dell’oceano. E quegli occhi
così verdi... un momento. Canna da pesca?
«Il
mio papà mi porta sempre a pesca» stava dicendo il
piccolo Tommy.
Canna
da pesca, pensò
Sally, ma
certo! Deve essere un aggeggio che serve a pescare pesci, non un'arma
letale.
Si
sentì rincuorata e anche un po’ stupida per non
averci pensato prima. Che poteva mai farci un uomo con un tridente?
Certo, un’armatura non le sembrava un abbigliamento adatto a
quel tipo di sport, ma cosa poteva mai saperne lei. E la reazione del
signor Creem... l’uomo losco doveva essere un tipo famoso o
molto ricco. Non era raro vedere gente del genere a Montauk.
Pulì
con più vigore, sentendosi come una pazza a cui era stato
detto di essere perfettamente sana.
Quando
ebbe finito, si alzò dalla sua posizione accovacciata,
sentendo la schiena scricchiolare.
L’uomo
aveva appoggiato un gomito sul bancone, mentre con l’altra
mano batteva il tridente ritmicamente a terra. Di Tommy Fragola e
Pistacchio nel Cono Grande Grande non c’era traccia.
«Erano
anni che non incontravo una come te» disse l’uomo e
la guardò come il signor Creem guardava una catasta di
banconote.
«Oh,
ma dove sono le mie maniere. Le chiedo umilmente perdono, signorina, io
sono Poseidone. Onorato di fare la sua conoscenza». Le prese
la mano con delicatezza, chinandosi e sfiorando lievemente il dorso con
le labbra.
Sally
era senza parole, l’unica cosa che riuscì a
blaterare fu: «Quale genitore chiamerebbe suo figlio
Poseidone?» e poi si maledì fino al profondo del
suo essere.
Ma
l’uomo, Poseidone, rise, una risata profonda e di gola, come
se mai avesse ascoltato qualcosa di più comico. Sally
avrebbe voluto sprofondare.
Si
trovava al suo posto di lavoro, con la divisa
da
lavoro, sudata e appiccicaticcia, i capelli umidi e in disordine, in
compagnia di un uomo affascinante e bizzarro vestito come se fosse
appena tornato dalla guerra di Troia, e doveva anche farsi prendere in
giro. Ritirò la mano e le incrociò entrambe
dietro la schiena.
«Chiedo
scusa, signor Poseidone, ma come può ben vedere, siamo in
orario di chiusura. Sarebbe molto cortese da parte sua se potesse
mangiare il suo gelato fuori, grazie» disse gelidamente,
perché Sally Jackson era sempre gentile e disponibile, e
raramente diceva di no, ma non sopportava di esser presa per i
fondelli, e grazie tante.
Il
signor Creem scelse quel momento per tornare, secchi, stracci, spugne e
detersivi di ogni tipo incastrati in ogni giuntura del corpo.
«Sono
venuto a pulire» disse, come se non fosse stato ovvio, e
s'inchinò per eliminare lo sporco che non c’era
più.
Chiaramente,
Sally doveva tornare a casa e farsi una lunga dormita.
Lo
guardò incredula e frastornata per qualche momento e, quando
rialzò lo sguardo, l’uomo non c’era
più.
Un
bambino dalla spiaggia urlò più forte: aveva
fatto goal. Sally si voltò verso di loro, poteva vederli
chiaramente dalle porte di vetro del locale. Correvano, urlavano, si
spingevano. Uno di loro doveva considerare il goal irregolare, o forse
non voleva accettare la sconfitta, perché prese il pallone
sotto braccio e cominciò a protestare. Una donna adulta, una
madre, si avvicinò a loro, un pareo rosso alla vita e un
cappellino di paglia in testa. Prese il bambino piagnucolante per il
braccio e lo portò via. Dai suoi gesti, Sally dedusse che lo
stesse rimproverando, dopodiché gli accarezzò la
testolina e gli dette un bacio sulla fronte. Poi entrarono nel fitto
degli ombrelloni e Sally li perse di vista.
Il
signor Creem canticchiava una canzone anni ‘60 mentre puliva,
e Sally, gli occhi sui padri che insegnavano i figli a nuotare,
sentì una morsa allo stomaco. Pensò a zio Rich
che le prendeva la testa e con poca delicatezza la spingeva
sott’acqua. “Nuota, Sally. Andiamo,
nuota!”
Improvvisamente,
una brezza entrò nel locale, portando con sé
l’odore di salsedine, di libertà e speranza.
Sentì tutta la stanchezza della giornata scivolare via dal
suo corpo, portata via dal vento e, mentre guardava la spensieratezza
dei bambini e l’amore negli occhi dei genitori, sorrise.
[continua...]
Nota:
in
“The Battle Of The Labyrinth” Sally afferma che da
giovane aveva la capacità di vedere oltre la Foschia e che
questa era una delle cose che aveva attirato l’attenzione di
Poseidone su di lei.
Nota2:
in
nessun libro viene indicato quanti anni avesse Sally quando ha
incontrato Poseidone, né se si fosse trovata a Montauk per
vacanze o lavoro. Ma essendo ancora giovane durante la saga, ho pensato
che all’epoca avrebbe dovuto essere appena maggiorenne, e
considerati i suoi problemi economici, dubito avesse sprecato soldi per
una vacanza a mare.
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