blu 35
35.
[Prato]
“Lo abbiamo trovato. Signore.”
“Sì.” Sussurra.
Un suono indescrivibile esce
dalla sua gola e si allunga in un sospiro di dolore e di nebbia.
Il giorno sta per sorgere sulle
bianche colonne dei Templi.
“Mai più,” Dice. “neanche in
questa luce di Grecia, mai più saranno così chiari.”
Saga abbandona per un istante la
maschera e gli abiti sacerdotali.
Con l’ultima forza che gli resta,
diluita nel colorarsi del giorno, esce di nascosto dal suo Tempio e cammina per
quella strada che non vuole percorrere mai più. Corre su quelle scale che non
desidera più salire mai più.
C’è una porta bianca, e oltre
alla porta, una lunga stanza vuota e fredda. Accanto alla parete, un semplice
tavolo di marmo.
“Ricordo questa scena.”
E sul tavolo lui.
“Aiolos.”
Si avvicina. Passi che rimbombano
tra pareti silenziose. Ha come la sensazione che questa stanza per cadaveri, di
cadaveri ne contenga due.
“Ai –“
Lo sfiora con una mano. Appena,
gli accarezza la guancia, le labbra, il volto coperto di terra e di sangue. Nessuno
l’ha ripulito.
“Cosa abbiamo fatto? Cosa ti ho
fatto? Io?” Sussurra.
E all’improvviso, si rende conto.
Ci sono tante cose che vorrebbe
chiedergli. Ma lui non può parlare. Non parlerà mai più. È morto e non parlerà
mai più, mai più sentirà il timbro della sua voce, o il calore del suo petto,
mai più potrà toccare e vedere quel corpo così bello, mai più potrà sentirsi a
casa assieme a lui.
È morto.
“Cos’ho fatto?”
C’è un pallido riflesso celeste
tra i capelli di Saga in questo momento. Lui lo sa. Che è il regalo dell’alba,
il più prezioso dei doni, e sparisce con il tempo di una meridiana celeste che
segna i minuti, le ore.
Si inginocchia accanto al corpo
inerte e piange. Per tutto il tempo che gli resta, prima di morire un po’ anche
lui.
È morto.
“Non piangere, Saga.” Diceva un
tempo Shion. “Un Cavaliere non piange.”
Un Cavaliere non piange alla luce del giorno.
Per un attimo, si ricorda di
Kastor. Di quell’immagine che col tempo si è sbiadita come molte cose nel suo
cuore, e lo rivede steso su questa stessa tavola, rigido di morte e bianco come
il mantello di un guerriero, come le vele che solcano il mare di prima mattina.
Era fiero e maestoso, il suo volto compunto, e sapeva di essere morto nel
giusto.
Così Saga l’aveva lasciato
andare.
Ma Aiolos, Aiolos sapeva di non
essere morto nel giusto. Aiolos sapeva di essere morto nella sofferenza, e di
essersi condannato. Sapeva di aver trattenuto il fiato per salvare un essere
indegno. Sapeva di morire perché amava un essere indegno.
Credeva di salvare un uomo
celeste che si era solo addormentato.
E il suo viso, così abbagliante
ora, porta per Saga i segni di questa pena.
Morto nel disonore e nella pena.
“Cosa potevo farti di peggio,
amore mio?”
Si rialza. Gli sfiora i capelli.
“Nessuno ti ricomporrà. Perché
sei morto da traditore, e ai traditori la sepoltura non è concessa. Sei morto
da empio, e hai rovinato l’attesa di questo Santuario. Per me, anche, sei morto
da traditore. Ma come faccio a lasciarti qui nelle loro mani?”
Non riesce a smettere di toccare
quel viso. Fa male, è gelido, ad ogni tocco sembra bruciarlo. Fa male anche vederlo.
Ricorda la pelle dei morti, quella dei bambini coperti di lividi blu e macchie
di sangue, quella di Kastor che era bianca come un mantello. Anche la sua è bianca
come un mantello. Pallida come il marmo su cui riposa. Non c’è vita in essa.
Tutto il suo colore splendente… Aiolos il luminoso non emana più rilessi
dorati.
“Non sanno nulla. Non sanno…
nulla… io... ti porterò lontano.”
C’è un prato, dietro ai campi di
allenamento, sempre battuto dal sole fino a tardi. Oggi che è quasi terminata
l’estate verdeggia come una volta.
Saga se lo ricorda bene, colorato
e odoroso in quella stagione lontana. La stagione splendente.
Che non tornerà mai più.
“Da domani questo prato sarà popolato
dai fantasmi, e nessuno disturberà il tuo sonno.”
Finché non tornerò.
Ha scavato una fossa, smuovendo
la terra come un animale. Ha respirato l’odore umido della profondità ctonia, e
ne è rimasto intossicato. La terra è marcia, sotto. È bagnata. Ha guardato
Aiolos e si è chiesto quanto in fretta questa terra possa consumare il suo
splendido viso.
Ha baciato le sue labbra inerti e
fredde – ed è stato colto da un brivido di orrore.
L’ha avvolto in un mantello
candido come un giglio, candido come le vele che solcano il mare dirette in
posti forse più felici.
L’ha lasciato scivolare. Il suo
ultimo abbraccio. Nel petto profondo e mutevole della terra l’ha richiuso, per
l’eternità confinato sotto la luce solare che gli appartiene. Per l’eternità
spoglio, e disadorno, per l’eternità condannato.
Ora guarda il tumulo di terra
fresca e odorosa che si riscalda sotto la luce di questo mattino. Una giornata
di fine estate.
Saga sorride.
Ironia.
Il nostro prato. La nostra stagione.
“Avevi gli occhi davvero troppo belli.”
Si scosta un filo d’erba dai
capelli, vaghe sfumature celesti.
E piange ancora. Inonda la terra
di lacrime.
“Sono le lacrime più sincere. Di
tutto il male ch ho fatto, Aiolos, di tutto il sangue di cui mi sono macchiato,
il tuo solo brucerà in eterno. Il tuo solo non doveva… non doveva essere…”
Non un nome resterà inciso nella
pietra, consegnandolo all’immortalità come il più santo, e il più luminoso, e
il più bello tra i Cavalieri di Atena. Nulla. Sarà presto polvere.
Saga disegna il suo nome con la
punta delle dita sul terriccio, poi cancella.
Perché? si chiede. Da domani
il nostro prato sarà popolato dai fantasmi.
“Io – cosa posso fare ora, che ho
perso tutto?”
Indugia, Saga. Non se ne vorrebbe
andare. Se potesse, scaverebbe una fossa accanto alla sua, si coricherebbe
nell’abbraccio di morte della terra, e, sfiorandolo, si lascerebbe ricoprire.
Se potesse.
“In fondo, sono già morto. Qui. Muoio
anch’io.”
È giorno pieno, ormai.
Si spegne la meridiana celeste.
Il sole accarezza capelli dai pallidi riflessi blu, e un volto sofferente come
la luna.
“Qui, con te, ritornerà anche il
mio corpo. Promesso, amore mio.”
Il più santo, il più luminoso, il
più bello di tutti i Cavalieri, questa notte ha accettato il suo destino di
morte. Per salvare la Dea,
e per salvare l’uomo che ama. Non importa quanto dovrà costare.
Saga non saprà mai perché Aiolos
s’è portato il suo nome nella tomba.
Eppure, nel momento del loro
addio, quando si è voltato verso di lui prima di scomparire dalla finestra, ha
sorriso.
“Svegliati.” Ha detto.
Saga si risveglierà, un giorno, da questo lungo sonno.
Convocare tutti i Cavalieri,
pensa Saga.
Allontanarli.
Si immerge nella vasca da bagno
con un sospiro.
Il cielo è già azzurro, fuori
dalla finestra, ma per quanto sole splenderà sulla Grecia, i Templi non saranno
mai più chiari come prima.
Spegnere i Templi. È l’ora
stabilita?
Scivola più in basso, sommerso
dall’acqua. I suoi capelli volteggiano come onde sulla superficie, morbidi,
serici. Pallidi.
Fili di nebbia.
Finita anche l’ultima ora di Saga
celeste.
Un colore
Così vuoto,
il tuo.
***
Basta,
mi metto a piangere. Non pensiamoci più. Come ho fatto a scrivere questa roba? Sono
appena tornata da Lucca, sono ancora mortalmente stanca. Quest’anno è successo
anche a me il celebre: “Ho fatto milioni di foto e non c’è manco un album con
me in tutta facebook.” I miei 15 minuti di gloria sono sfumati nel nulla.
Meglio concentrarsi su Blu.
Al solito,
le risposte alle recensioni, sotto le recensioni!
I luf
yah!
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