A
Rose's Tale
L'uomo
dalla maschera di ferro
Aphrodite
– così si chiamava il ragazzo che mi venne a
prendere – mi
portò, per prima cosa, nel negozio di fiori dell'Acropoli,
quello
che vendeva le rose più belle di Atene. Questo
perché erano le rose
che Aphrodite coltivava personalmente, col suo cosmo, infondendovi un
po' della sua enorme bellezza.
Con
la corolla di una di queste rose mi asciugò l'ennesima
lacrima che
era uscita dai miei occhi. Non avevo smesso di piangere da quando
avevo lasciato il negozio di mio padre, dopo che lui mi aveva
regalato un orsacchiotto di peluches da portare con me, l'unico
oggetto legato alla mia precedente vita che Aphrodite aveva
acconsentito che tenessi. Da come mi aveva guardata appena ero
scoppiata in lacrime, avevo capito che non approvava il mio
comportamento, così avevo cercato di piangere il
più
silenziosamente possibile.
“Dove
stiamo andando adesso non si può piangere, Psiche”
mi disse,
osservando la piccola sfera trasparente che una volta era stata la
mia lacrima. “Oltre questa bottega, oltre il villaggio dopo
di
essa, ci troveremo in un posto dove bisogna essere forti per
sopravvivere e dove chi si lascia sopraffare dagli eventi è
perduto.
Io so che tu sei forte, Psiche, ma sappi che dovrai esserlo da
subito, perciò basta lacrime. Quando mi hai detto di
sì, al
negozio, hai anche accettato questo destino. Dimostrami che ho fatto
bene a portarti qui”
Aphrodite
mi mise i fiore tra i capelli e rimase in attesa.
In
quel momento avevo una paura terribile, ma ero anche consapevole
della scelta che avevo fatto e delle sue conseguenze. Non volevo
deludere quel ragazzo che aveva visto in me qualcosa di speciale.
Tirai
su col naso e mi asciugai gli occhi con la manica, quindi annuii.
Aphrodite si distese in un sorriso soddisfatto e, presami per mano,
mi condusse fuori dalla bottega. Ci addentrammo nell'antico villaggio
di Rodorio, custode del segreto dei Cavalieri di Atena e del loro
Santuario, con le sue botteghe e le sue piccole abitazioni d'altri
tempi. Ero talmente affascinata da quel luogo che mi dimenticai per
un attimo della tristezza di prima.
Dedussi
che Aphrodite doveva essere una persona importante, perché
tutti si
inchinavano al suo passaggio e lo salutavano con riverenza. Tuttavia
lui sembrava restio a ricambiare i saluti, solo qualche volta si
sbilanciò con un cenno della testa.
Lo
seguii fiduciosa tra quel dedalo di vicoli, finché non ci si
parò
davanti il tempio più grande che avessi mai visto, forse
più del
Partenone, per i miei occhi di bambina. Mi lasciai scappare
un'esclamazione estasiata che fece sorridere il mio cicerone.
“Benvenuta
al Santuario, Psiche. Questa è la Casa dell'Ariete Bianco,
la prima
delle Dodici Case dello Zodiaco che ci accingeremo ad attraversare.
Al momento questa è vuota, perciò non occorre
chiedere il permesso
di passare. Vieni”
Salimmo
la breve scalinata di marmo bianco che ci condusse alla soglia del
tempio e ci addentrammo dentro di esso senza indugi, col solo
rimbombo dei nostri passi ad accompagnarci.
“Conosci
lo Zodiaco, Psiche?” mi domandò Aphrodite.
Feci
di no con la testa. “So solo di essere del Toro, ma non ho
mai
capito cosa significa”
“Significa
che sei nata sotto il segno del Toro, che, guarda caso, è
quello
della prossima Casa che attraverseremo” mi spiegò,
paziente.
“Memorizza bene tutti i segni delle prossime Case. Quando
saremo
arrivati all'ultima, la Dodicesima, la mia, te li chiederò
tutti”
Annuii
con vigore, fermamente intenzionata a non deluderlo.
“Questa
è la base da conoscere, per diventare un guerriero di Atena.
Oh,
ecco Aldebaran, il custode della Casa del Toro”
Aphrodite
mi indicò un energumeno che, dalla mia prospettiva, sembrava
occupare tutta l'entrata del tempio. Se ne stava lì davanti
a
braccia conserte e con un cipiglio che non prometteva niente di
buono.
Ci
fermammo a pochi passi da lui. Sapevo che lo stavo guardando dal
basso in alto con tanto d'occhi, ma non potevo farne a meno. Era
l'essere umano più grosso che avessi mai visto.
“Nobile
Aldebaran, ti chiediamo il permesso di attraversare la tua
dimora”
domandò cortesemente Aphrodite, che si ritrovò,
però, la manona di
Aldebaran davanti alla faccia.
“Momento”
disse perentorio, prima di accovacciarsi per raggiungere la mia
altezza.
Seguii
la sua discesa sempre con gli occhi spalancati, ma mi ricordai di
chiudere la bocca. Mi vergognavo dei denti mancanti.
Aldebaran
mi squadrò con gli occhi socchiusi e in silenzio per molti
secondi,
prima di parlare.
“Tu
sei del Toro, vero?” mi chiese ed io annuii lentamente.
“Lo
sapevo, il mio intuito non fallisce mai”. Sapeva che stava
continuando a sorprendermi da tanto grandi erano diventati i miei
occhi. Forse fu per questo che, subito dopo, si mise a ridere a
crepapelle.
“Ahahah!
Ma no, ti ho preso in giro, funghetto. Ho sentito che lo dicevi al
coso qui poco fa”
“Mi
chiamo Aphrodite” puntualizzò stizzito il mio
accompagnatore.
“Come
ti pare. Passate pure, comunque, e tu vieni a trovarmi, qualche
volta, funghetto”
Mentre
lo sorpassavamo ad una velocità più alta di
prima, Aldebaran mi
fece l'occhiolino e io gli risposi salutandolo con la mano.
Non
dovemmo chiedere nessun permesso nemmeno nella Terza Casa, quella dei
Gemelli. Aphrodite mi spiegò che era disabitata da molti
anni e che
del suo custode non erano più pervenute notizie.
Il
custode della Casa del Cancro non era grosso quanto Aldebaran, ma se
possibile mi mise ancora più paura. Aveva un ghigno perenne
stampato
sul volto e sembrava guardarmi famelico, nonostante i rimproveri di
Aphrodite, che sembrava essere l'unico a cui desse ascolto. Non ci
fece comunque problemi per passare, ma, col senno di poi, avrei
preferito il contrario. Le pareti del tempio erano un museo di volti
straziati dal dolore. Dovetti impormi di non piangere, non volevo
rompere la promessa che, dentro di me, avevo fatto ad Aphrodite, la
cui mano stringevo convulsamente tra le mie.
“Capisco
il tuo turbamento, Psiche, ma ho voluto che vedessi quell'orrore per
testare la tua forza. Sapevo che non mi avresti deluso.
Procediamo”
Al
centro della Casa del Leone troneggiava, su un piedistallo, uno
scrigno d'oro con incisi dei bassorilievi raffiguranti, appunto, un
leone. L'armatura stava per essere assegnata, mi spiegò il
mio
amico, ma non riteneva il futuro custode della Quinta degno di tale
ruolo.
Il
Cavaliere della Vergine era estremamente giovane, ma emanava un'aura
di estrema saggezza. Nonostante la mia inesperienza, ero in grado di
percepire il suo cosmo potentissimo. Probabilmente era impossibile
non sentirlo. Il giovane si chiamava Shaka e si diceva fosse la
reincarnazione del Buddha, nonché l'essere umano
più vicino agli
dei. Quando lo raggiungemmo, stava ad occhi chiusi e a gambe
incrociate su un grandissimo fiore di loto. Aphrodite mi disse che
stava meditando.
Potete
passare. Le
sue parole
rimbombarono nella mia testa e, pensai, anche in quella di Aphrodite,
perché subito dopo mi condusse fuori dal Sesto tempio.
Non
incontrammo altri ostacoli fino al decimo tempio. Come per il
Cavaliere di Gemini, anche il guerriero di Libra non dava notizie di
sé da molto tempo. L'armatura dello Scorpione non era stata
ancora
né trovata né tanto meno assegnata. Su di essa e
su quella
dell'Acquario correvano varie leggende, mi disse Aphrodite, la
più
attendibile delle quali riferiva che esse fossero imprigionate nei
ghiacci eterni dell'Artico da più di duecento anni,
esattamente dove
i loro precedenti possessori persero la vita.
Sorte
simile era capitata all'armatura del Sagittario, ma su di essa non
giravano leggende bensì sospetti. Il suo ultimo proprietario
era
considerato dagli abitanti del Santuario un traditore che si era
macchiato di colpe indicibili ad una bambina di sei anni quale ero,
di cui la meno grave pareva essere il furto delle sue sacre vestigia.
Oltre a questo, Aphrodite mi avvertì che non era prudente
parlare di
quell'uomo, all'interno del Santuario come, e soprattutto, al
cospetto del Cavaliere successivo.
Shura
di Capricorn era un uomo taciturno, più grande e maturo
della mia
guida, che ispirava rispetto alla prima occhiata. Il suo volto
sembrava scolpito nel marmo tanto era fermo e impassibile e quasi non
mosse le labbra quando ci disse che potevamo passare.
Superata,
infine, l'Undicesima Casa ancora incustodita, raggiungemmo l'ultima,
la Dodicesima, la Casa dei Pesci.
Non
era molto diversa dalle precedenti, alte colonne che sorreggevano una
volta cassettonata e delimitavano i vari luoghi della casa, primo fra
tutti la sala dei combattimenti.
Aphrodite
si fermò al centro di essa e mi affrontò a
braccia conserte, lo
sguardo serio e non più dolce come prima.
“Bene,
Psiche, adesso ripetimi i dodici segni dello Zodiaco” mi
ordinò
con fermezza ed io eseguii subito.
“Ariete,
Toro, Gemelli, Cancro, Leone, Vergine, Bilancia, Scorpione,
Sagittario, Capricorno, Acquario, Pesci”
“Eccellente,
ma questo è solo l'inizio” mi disse il Cavaliere,
senza scomporsi.
“Ora aspettami qui, non muoverti, chiaro? Io torno
subito”
Aphrodite
sparì tra le colonne, lasciandomi sola a contemplare
l'immensità
della sua dimora. Provai ad allungare il collo nella speranza di
scorgere qualcosa di interessante tra le colonne, ma non vidi nulla.
Tornai allora all'entrata per osservare la maestosità degli
undici
templi sotto di me, le altre undici perle di quella stupenda collana
che era il Santuario di Atene. Oltre di esso si poteva scorgere il
mare, le cui propaggini raggiungevano anche il lato orientale del
promontorio su cui il complesso si estendeva. Oltre alle Dodici Case
dello Zodiaco riuscii a scorgere molti altri edifici, che si
alternavano a rovine di ogni sorta ed epoca. Vidi anche uno stadio e
mi sembrò che, al suo interno, vi fossero delle figure in
movimento.
Lasciai
l'ingresso della Casa per andare dalla parte opposta, anche se non mi
aspettavo di vedere qualcosa di più bello di quel panorama.
Quanto
mi sbagliavo. Il tappeto di rose che ricopriva la scalinata dietro la
Dodicesima mi tolse il fiato. Le rose che avevo creato io non erano
neanche l'ombra di quelle che mi trovai davanti, così rosse
e
cariche di petali da sembrare finte. Subito mi venne voglia di
coglierne una, ma non feci in tempo a muovere il primo passo che una
mano ferma si chiuse sulla mia spalla, bloccandomi. Quando alzai gli
occhi incontrai quelli cerulei di Aphrodite. Era vestito della sua
armatura d'oro ed era più bello di un dio, tuttavia il suo
sguardo
era contrariato.
“Ti
avevo detto di restare nel tempio” mi rimproverò.
“Mi
dispiace, scusami, ma sono così belle...”
“Non
sei ancora ufficialmente mia allieva, perciò
chiuderò un occhio, ma
la prossima volta che mi disobbedirai, sarò costretto a
punirti,
Psiche”
Annuii
svelta. “Non succederà più, lo
giuro”
Aphrodite
mi squadrò con severità ancora per qualche
secondo, prima di
volgere lo sguardo al giardino di fronte a noi.
“Questo
giardino è l'ultima difesa posta a salvaguardia del Gran
Sacerdote e
di Atena stessa e, pertanto, è letale per chiunque lo
attraversi”
disse solennemente, ma riuscii a percepire una nota di orgoglio nel
suo tono.
“E
noi come facciamo a passare?” chiesi ingenuamente,
suscitandogli un
sorriso spontaneo.
“L'ho
creato io, Psiche, e io posso annullarne l'effetto affinchè
possiamo
passare oltre. Stammi vicina”
Aphrodite
mi prese di nuovo per mano ed accese il suo cosmo quel tanto che
bastava perché inglobasse anche me, quindi ci accingemmo ad
attraversare la distesa di rose. Queste sembravano spostarsi al
nostro passaggio, in modo da non essere calpestate, quindi tornavano
al loro posto.
Ben
presto tornammo a camminare sul marmo e salimmo l'ennesima scalinata,
quella che ci avrebbe condotto nelle stanze del Gran Sacerdote di
Atena. A quanto pareva, serviva il suo benestare perché
diventassi
allieva di Aphrodite.
Ci
accolsero due guardie, che ci sbarrarono la strada incrociando le
lance.
“Gigars
mi aspetta” disse semplicemente il Cavaliere e una delle
guardie si
congedò per riferire.
Riapparve
poco dopo, preceduta da un ometto basso, con barba e capelli lunghi e
grigi e un diamante al posto dell'occhio sinistro. Aveva una specie
di elmo in testa e, per camminare, si sorreggeva ad un lungo bastone
di metallo.
Arrivò
al cospetto di Aphrodite con lentezza e lo guardò con
disprezzo,
prima di parlare.
“È
questa la bambina?” domandò con voce gracchiante.
“Sì,
è lei. Desidero presentarla al Gran Sacerdote”
“Mmh...”
mugugnò l'uomo, per poi voltarsi e farci strada tra i
corridoi del
tempio, fino alle porte della Sala del Trono. Ci disse di aspettare,
quindi entrò per annunciarci.
“Sommo
Arles, Aphrodite dei Pesci chiede la vostra udienza per mostrarvi una
bambina che sembra avere del potenziale”
“Molto
bene, fallo entrare” rispose una voce profonda e metallica,
che
riecheggiò per tutta la sala. “E tu sparisci. Hai
cose molto più
importanti di cui occuparti, se non sbaglio”
“Sì,
certo” balbettò Gigars, mentre arretrava.
“Ai vostri ordini,
Eccellenza”
Raggiunta
la soglia della sala, decise finalmente di voltarsi e di correre
altrove, sotto lo sguardo soddisfatto di Aphrodite.
“Entra,
Cavaliere di Pisces” ordinò Arles, permettendoci
così di entrare
nell'immensa sala.
Arrivammo
a qualche metro dall'immenso trono che stava in fondo alla stanza e
su cui era seduto il Gran Sacerdote. Ebbi timore di lui al primo
sguardo. Indossava una lunga tunica scura tenuta in vita da una
cinta, il volto era coperto da un'inespressiva maschera di metallo e
dagli occhi rossi come il sangue, e rosso era anche l'elmo che gli
sormontava il capo e che raffigurava una creatura alata. Distolsi
subito lo sguardo da lui, in quanto approfittai del fatto che
Aphrodite si era inchinato a lui per imitarlo e concentrarmi sul
tappeto rosso sotto i miei piedi.
“Alzatevi”
comandò di nuovo e noi eseguimmo, seppur fossi un po'
riluttante.
“Parla Aphrodite, perché mi hai portato questa
bambina?”
“Possiede
un cosmo acerbo ma potente, Sommo Arles, e penso di essere in grado
di farglielo sviluppare al meglio. La piccola Psiche ha della
capacità affini alle mie e già senza un
allenamento sulle spalle è
in grado di fare molto” spiegò il Cavaliere in
modo conciso.
“Mostramelo”
fu l'ennesimo ordine del Gran Sacerdote.
Aphrodite
annuì col capo e mi porse una delle sue rose, che
però non mi
azzardai a toccare, memore del suo avvertimento del giorno prima.
“Tranquilla,
non ti farà niente” mi rassicurò lui,
al che la presi tra le dita
tremanti.
“Cosa
devo fare?” gli domandai, tremante, ma il guerrieri mi
sorrise
teneramente.
“Cosa
sei in gradi di farle fare?”
Mi
venne in mente una volta in cui dovevamo pulire il retrobottega da
tutti i petali di rosa caduti dal cespuglio, ma sapevo che avrei
dovuto fare molto di più per sorprendere il Gran Sacerdote.
Presi
un respiro profondo e mi concentrai. Ad uno ad uno, i petali della
rosa si staccarono dal fiore e si incolonnarono a mezz'aria, formando
un nastro che fluttuò per tutta la stanza, intorno a noi e
davanti
al volto mascherato di Arles, che ne seguì il volo
finché non
tornarono a costituire la corolla del fiore, esattamente come prima.
Quando
l'ultimo petalo tornò al suo posto, distolsi la
concentrazione della
rosa e guardai Aphrodite. Sembrava soddisfatto.
“Sono
d'accordo, la bambina ha del potenziale e tu solo, al momento, sei in
grado di coltivarlo. Va e istruiscila secondo le regole del Santuario
e di Atena” decise il Celebrante.
Il
Cavaliere accennò un inchino e, presami per mano, mi
condusse fuori
dalla Sala del Trono.
Psiche ©
Martyx1988
Aphrodite e gli altri Gold Saint, Gigars e Arles © Masami
Kurumada
Salve a tutti! Ecco a voi l'arrivo di Psiche al Santuario e la sua
presentazione ad Arles. Spero che il capitolo sia di vostro gradimento
e di essermi abbastanza attenuta allo spirito di Saint Seiya. A voi i
commenti!
Martyx1988
|