Una Casa
alla Fine del Mondo
Hello
darkness my old friend, I've come to talk with
you again
Because
a vision softly creeping , left it's seeds while I was sleeping
(Sound of
Silence, Simon & Garfunkel)
1998
Onestamente
non pensavi saresti sopravvissuto alla guerra.
Nagini
aveva morso, tu avevi detto addio al mondo guardando per
l’ultima volta gli
occhi di Lily sulla faccia del suo irritante moccioso. Fine
della storia.
Una
morte eroica, una morte catartica.
E
invece no.
Qualcuno
ha pensato bene di venir a recuperare il tuo corpo alla Stamberga
Strillante e
– sorpresa! - ha scoperto che nel tuo
vecchio cuore
rinsecchito batteva ancora della vita.
Tenace,
inopportuno, pipistrello.
Madama
Chips ha stabilizzato le tue condizioni e i Guaritori del San Mungo
hanno fatto
il resto.
Quando
hai riaperto gli occhi erano trascorse settimane e molti fiori erano
stati
cambiati nella tua stanza d’ospedale.
Con
autentica irritazione, hai scoperto che la maggior parte di essi veniva
da
Potter e i suoi amici.
Sapevano, hai intuito, avevano visto. Conoscevano la verità.
La
cosa più sensata da fare a quel punto, è stata
rimettersi in posizione
verticale, racimolare i pochi effetti personali scampati al crollo dei
Sotterranei e andarsene. Via.
Non
che qualcuno ti abbia esattamente trattenuto. O cercato. Hai percepito,
anche
senza dover incontrare facce conosciute, l’imbarazzo di
averti malgiudicato.
L’imbarazzo di non saper cosa fare dei vecchi pregiudizi su
di te.
Hai
scelto di rendere le cose facili al Mondo Magico. Sparire dalla vista
comune è
stata la scelta più assennata che potessi fare e, a conti
fatti, l’unica per te
sopportabile.
Scegliere
la tua nuova casa non ti ha preso più di una mezza giornata,
passata a
riflettere nel misero salotto di Spinner’s End; l’Irlanda.
Paese con una buona comunità magica, ma sparsa a manciate
sulle coste. Paese
civile, che comprende il rito del the. Terra in cui la magia si respira
ad ogni
passo, in cui spazi sconfinati spingono lo sguardo più in
là di quanto tu abbia
mai fatto ad Hogwarts o a Cokeworth. Paese per solitari.
E
così, Severus Piton ha lasciato l’Inghilterra. Per
sempre.
Non
è stato difficile. Non è stato doloroso come
avresti pensato; troppi ricordi,
troppo odio e amarezza al di là del mare. La ricostruzione,
la speranza e la
somma di certe melensaggini da propaganda non hanno mai fatto per te.
Dopotutto,
la tua rinnovata vita è stata solo la coincidenza di uno
sciocco ragazzino che
è venuto a recuperare il tuo corpo.
2008
Dieci
anni precisi. Dieci anni di meravigliosa e compatta solitudine.
Il
Connemara¹ è stato amico e complice perfetto per
quello che è diventato un
quieto vivere piuttosto soddisfacente.
La
tua casa è il tuo rifugio; hai adocchiato, non appena messo
piede sulla regione
che ospita la Sky Road² – nome evocativo, bisogna
ammetterlo – poco meno di un villaggio,
un aggregato di
casupole, Ardmore³. Ti
sei fermato per qualche giorno nell’unica locanda della zona, ti
sei guardato
attorno. E poi l’hai trovata; una casa a picco sulla
scogliera, così in cima ad
un crinale che sembrava impossibile credere che qualcuno fosse davvero
riuscito
a costruircela. Lontana, fiera, distante. I muri in pietra grigia, il
tetto
spiovente d’ardesia. E il lento digradare verso gli scogli
perigliosi del mar
d’Irlanda.
L’hai pagata in contanti alla vecchia e confusa proprietaria,
una sciocca
babbana che ha preferito mandarla in rovina piuttosto che impiegarla in
usi
migliori.
Vi
hai lavorato anni, che davvero ce n’era bisogno. Senza la
magia ti sarebbe
crollata in testa alla prima mano d’intonaco.
Ma
il lavoro non ti ha mai spaventato, e attualmente sei il fiero
proprietario di
una casa che rispecchia le tue esigenze.
Ad
Ardmore pochi ti conoscono, e ancor meno ricordano la tua faccia. Ci
vai poco e
preferisci farti spedire i beni essenziali tramite posta. La tecnologia
babbana
si è evoluta rispetto ai tuoi anni inglesi e i babbani hanno
sempre avuto una
deliziosa tendenza all’isolamento che è invece
sempre mancata al Mondo Magico.
In
effetti, in questi anni alcuni dei protagonisti della tua vecchia vita
hanno tentato di riportati indietro.
Minerva,
prima di tutti. Lettere da Caithness⁴ che ti invitavano per una
chiacchierata
tra vecchi amici, lettere da Hogwarts che ti spronavano a tornare alla
tua
vecchia occupazione.
No,
grazie.
Hai
sempre cortesemente rifiutato ogni esortazione e alla fine Minerva ha
smesso.
Continua a scriverti però. Le rispondi e finisci
inevitabilmente per
consigliarla a proposito dell’incompetente che ha assunto per
sostituirti.
Supponi
che non vi sia nulla di male; abbandonare completamente il vecchio
mondo è
impossibile, ma prendervi le distanze è consigliabile.
Poi
c’è Potter; Potter e le cronache familiari che ti
fa recapitare ogni mese, inevitabili
come una bolletta. Non hai idea del perché pensi tu possa
essere interessato al
suo fidanzamento, all’inevitabile matrimonio con la minore
degli Weasley e alla
nascita della sua irritante prole.
(Gli
hai affidato i tuoi ricordi sperando di morire, risparmiandoti
così la sua
inopportuna gratitudine. E invece no.)
Hai
avuto un moto di stizza quando hai scoperto che ha chiamato uno dei
suoi
orribili marmocchi come te. Ti sei controllato. Era una trappola,
chiaro come
il sole.
Non
hai mai risposto alle sue lettere; dare corda
ad un Potter, l’hai imparato sulla tua pelle, è lo
sbaglio peggiore che un uomo
sano di mente possa commettere.
Poi
un giorno, arriva un’altra delle sue rivoltanti missive piene
di buoni
sentimenti. Ed è la peggiore di tutte.
Salve
Professore,
Come
sta? So che non riceverò risposta, ma come
dico ogni volta, sono un tipo testardo. Così ecco qua.
È nata mia figlia, e
spero davvero che sia l’ultima perché abbiamo
raggiunto il limite massimo di
urla infantili. Il battesimo si terrà la settimana prossima
e sarebbe
fantastico se lei potesse partecipare.
Harry
Ps: Si chiama Lily.
Sei
rimasto con la lettera in pugno, mentre dalla brughiera risaliva il
vento
salato del mare, che ha fatto sbattere le ali al Gufo che aspettava la
risposta.
Sei
rimasto fermo per dieci minuti
quasi
ti avessero fulminato sul posto.
Infine hai accartocciato la lettera, questo lo ricordi bene.
Probabilmente hai
anche imprecato come un gentiluomo mai dovrebbe fare. Poi hai congedato
il gufo
senza allungargli un solo croccantino. Era il gufo di Potter, meritava
di rischiare
la morte lungo la traversata.
Hai
cercato di non pensarci, esattamente come avevi fatto per James Sirius
– seriamente? –
e Albus Severus – solo
ripensarci ti dà la bile.
Non
ci sei riuscito.
Due
giorni dopo, come spiritato, sei andato al villaggio,
all’unica libreria ed hai
comprato un ridicolo libretto gommoso con all’interno
un’altrettanto ridicola
storia su un orsetto e la sua sciocca famiglia.
L’hai
gettato nel primo cassonetto che hai trovato sulla via di casa.
Tre
giorni dopo, spinto da una forza che ormai sei certo fosse demoniaca,
sei
tornato alla stessa libreria, ma stavolta hai acquistato il libro
più difficile
possibile per una creatura che dovrà soffrire i geni Potter;
hai semplicemente
attinto dal mucchio.
Con
sgomento, archiviando la ricevuta assieme alle altre che detrarrai
secondo le
leggi della gloriosa repubblica d’Irlanda, ti sei accorto di
aver spedito Cime Tempestose ad una
bambina di pochi
giorni.
Oggi è arrivata la risposta di Potter.
Lei
ha un senso dell’umorismo
davvero malato.
Speri
quindi di esserti liberato di
lui; un regalo inadeguato ad un infante è, per certe
famiglie, punibile quanto
un omicidio a sangue freddo. Damnatio
memoria.
E
invece no.
Arriva
l’autunno e il Connemara
non è mai stato così bello e insieme malinconico.
Si ammanta di bronzo e passi
tutto il giorno a guardare il mare lambire le coste color ruggine
mentre
sorseggi occasionalmente il buon whisky torbato che producono in queste
zone.
La compagnia di un buon libro completa il quadro.
Sei
in contemplazione del tuo
infinito personale quando qualcuno suona alla porta.
La
sorpresa è tale che quasi ti
fa rovesciare il bicchiere panciuto che avevi appoggiato alla vecchia
poltrona
della veranda sul retro.
Non
aspetti la tua spesa
settimanale ed è raro che qualcuno si avventuri fin qua; a
volte però capita
che turisti con un pessimo senso dell’orientamento abbiano
bisogno di aiuto per
tornare in città.
(Cambiano
idea appena ti vedono
in faccia e notano la tua notevole cicatrice.)
Di
pessimo umore, ti appresti al
compito; la sorpresa ti ghiaccia le viscere quando ti trovi di fronte
il
Bambino Che è Sopravvissuto Per Dannarti
l’Esistenza.
“Salve
professore!” Esclama con
quel suo irritante accento che ormai lo colloca nel Devonshire.
“È incredibile,
non è cambiato affatto in questi anni… anzi, la
trovo persino meglio!” Fa una
pausa assolutamente maleducata. “Ha un colorito
sano!”
Avresti voglia di sbattergli la porta in faccia, ma poi noti che ha il
piede in
dirittura dello stipite della porta. Se lo aspetterebbe.
Potresti
romperglielo ma poi è
certo che l’intero Mondo Magico verrebbe a reclamare la tua
testa per aver
fratturato il prezioso piede del Salvatore.
“Cosa
vuoi Potter?” Ti scolli dal
palato. Anche lui è sempre uguale; stessi capelli
impossibili, stessa faccia da
schiaffi… e stessi occhi che ti tolgono il respiro.
Bentornata,
sensazione di aver
sbagliato tutto nella vita.
“Mi
fa entrare? Qua fuori si gela
e…” E poi apre il mantello mostrando un fagottino
che si muove come farebbe un
gattino. Solo che non è un felino, è…
È
sua figlia, realizzi con
orrore, ti ha portato a conoscere
sua figlia.
Potter
sorride a trentadue denti.
La cicatrice non si nota più un granché ma quel
sorriso che è stato di James
sì, eccome.
“Questa
è Lily Luna.” E toglie la
copertina dalla testa della marmocchia.
Ed
ha i capelli rossi. Lo vedi
dalla lanugine che ha sulla testa, abbastanza per vedere che no, non
sono color
carota Weasley.
E
poi spalanca gli occhi, e quasi
urleresti di sollievo, perché li ha celesti.
Un
banalissimo celeste.
Ti
fissa, la marmocchia, ti fissa
con la stessa sfacciata supponenza del padre. Poi ti sorride. O meglio,
fa le
tipiche smorfie che fanno i bambini e a cui gli adulti idioti danno
consapevolezza.
“Le
piace!”
Ecco, per l’appunto. Questo ti permette di ricominciare a
respirare. “Potter,
finalmente la mia posizione mi permette di dirti che sei un imbecille e
che
meriteresti Azkaban. Ti rendi conto che le Passaporte non sono fatte
per
trasportare neonati?”
“Veramente non si è fatto mai problemi a dirmi
come la pensava su di me.”
Replica imperturbabile. “Ed è tutto a posto, a
Lilù è piaciuto.” Soggiunge.
“Però,
se continuiamo a stare qui fuori, si ammalerà.”
Non
hai scelta. Ti senti come se
avessi di nuovo di fronte Voldemort o
Silente.
Nessuno
dei due ha mai avuto
pietà di te. E comprensibilmente, non ne ha Potter.
“Entrate.”
2013
La
bambina continua a venire a farti visita. Lei e il suo irritante padre.
Hai cercato in ogni modo di evitare la cosa, ma Potter non è
esattamente un
campione di empatia umana, e non sembra capire che per te è
un supplizio e per
un bambino passare ore a fissare il tappeto di un salotto
può non essere
esaltante.
Che
poi, per inciso, te la scarica.
Pare
che sia un auror. Per questo ha spesso affari da svolgere al Centro
Operativo
Distaccato di Galway che gli prendono tutta la giornata.
Inizialmente
non riuscivi a capire perché te la lasciasse, quando
è ben chiaro che possa
usufruire di baby-sitter migliori di un arcigno ex-professore.
(Per
esempio, tutto il clan di teste rosse a cui si è affiliato.)
Poi,
un giorno, ti sei accorto che la ragazzina non parla; non che sia muta.
Secondo
Potter – e le sue non richieste chiacchiere – la
mocciosa non ha niente che non
vada, nessuna malattia o deficienza. Semplicemente, non apre bocca.
È
chiaramente viziata, direbbe la parte più carogna della tua
coscienza; la
realtà è che difficile accostare la parola ad una
ragazzina che praticamente
sparisce nella tappezzeria.
Hai temuto che urlasse, pretendesse attenzioni, si annoiasse e volesse
giochi;
invece si limita a colorare di volta in volta degli album disegnati che
si
porta dietro. Punto.
Allora
hai ricordato com’erano gli Weasley; ed hai semplicemente
immaginato che la
ragazzina e il caos che riescono a produrre quando sono concentrati non
andassero d’accordo.
Questo
non significa che non sia irritante come il genitore; hai sperato che
bastasse
darle un tetto sopra la testa, e che non dovesse essere necessaria la
tua
presenza. L’unica volta che hai provato ad allontanarti dal
salotto però, ha
alzato la testa di
scatto e ti ha
fissato sperduta.
Per
inciso, è stato pochi secondi fa.
Vedi
qualcosa tremarle nella piega delle labbra; deve aver capito che avevi
tutte le
intenzioni di piantarla lì per una rinfrancante passeggiata
sulla scogliera.
Non
le è piaciuto.
“Cosa
vuoi?” Dici, e ti senti un idiota. Non sai trattare con i
bambini, e hai la
netta impressione che capiscano solo ciò che fa loro comodo.
La
ragazzina si alza a sedere – colora sempre scompostamente, a
pancia in sotto e
allungata sul tuo tappeto come se fosse un comodissimo materasso, il suo – e aggrotta le
sopracciglia.
È
chiaramente contrariata. Non parlerà, ma sa esprimersi a
dovere.
In
effetti,
sarebbe irresponsabile
lasciare una bambina di cinque anni da sola in una casa piena di
oggetti
pericolosi.
Tipo
quelli presenti nel laboratorio di pozioni.
Non
per lei, per loro.
“Va
bene. Rimarrò qui finché tuo padre non
verrà a prenderti.”
La
marmocchia sembra rasserenata dalle tue parole, e riprende la sua opera
di
colorazione. Stavolta, noti, ha con sé un album di fogli
bianchi. Ha iniziato a
dar forma alle sue idee, supponi sia giunta l’età.
Non sai nulla invece della
sua Magia.
Forse
non ne ha, come non ha parole. Forse è per questo che Potter
se la porta
dietro, con quell’aria ansiosa, come se avesse il terrore che
si potesse
strozzare con il suo stesso respiro. Da quanto hai evinto, il mutismo
della
bambina non è preso con serenità in famiglia. Da
come oggi è venuto cupo e
contratto supponi una nuova lite.
Gli
Weasley hanno più lentiggini che pazienza, e non
è difficile immaginare che, riuniti,
premano affinché la bambina dia prova di poter essere della tribù.
La
guardi distratto e vedi i capelli ramati acconciati in tante morbide
onde –
mani materne, indubbiamente. I vestiti curati, la ruga concentrata che
ha
adesso che sta colorando il contorno di qualcosa di scuro.
Non
sembra una Weasley. Non ha neppure le loro lentiggini.
La
bambina sentendoti fissata, alza
lo
sguardo e ti sorride.
Ti
sovviene un pensiero.
“Forse
tuo padre pensa che portandoti da una persona che parla poco tu sia
stimolata a
colmarne i silenzi…” Osservi. Sai bene di parlare
troppo complicato. È questo
il punto. “… dovrei avvertire Potter che non ho
intenzione di improvvisarmi
logopedista. Del resto, se non parli, suppongo tu abbia le tue
ragioni.”
La
marmocchia batte le palpebre. Ovviamente non ti ha compreso. Sciocco da
parte
tua lasciarti andare a questo sfogo. Vecchio adagio: la solitudine fa
brutti
scherzi.
Lasci che torni al suo disegno mentre tu torni al tuo libro.
Un’ora dopo ti senti tirare la manica. Abbassi lo sguardo e
la ragazzina ti
tende il disegno. Nello stesso momento senti suonare la porta e un
bacio sulla
guancia.
Assieme.
Ti alzi, sdegnato dalla familiarità con cui la ragazzina ti
si è aggrappata
addosso. Apri la porta lanciando un’occhiata distratta al
foglio; è la tua
casa, dato che la scogliera è riconoscibile e
così il picco a cui tende.
E
sotto, la scritta sgranata e incerta di chi ha da poco imparato la
sequenzialità dell’alfabeto.
Mi
piace il silenzio
2015
La
marmocchia ha sette anni. È un anno importante per un
bambino del Mondo Magico.
È a quest’età che si scopre se si ha
poteri o meno, definitivamente.
Se episodi di Magia Accidentale non sono ancora occorsi, è
difficile che il
ragazzino sia un mago. O una strega, nel caso di Lily, che ancora, a
detta del
suo ansiogeno padre, non ha dato prova di nessuna dote magica.
Non
è raro che nasca un Magonò, anche nelle migliori
famiglie magiche. Sai di come
i Malfoy abbiano allontanato i loro ‘piccoli, sporchi
segreti’.
Lily
è nel campo vicino casa. E’ una distesa smeraldo
liquido in questa primavera,
piena di boccioli non ancora schiusi.
Sta leggendo un libro. Non riesci a capire se faccia finta,
perché la vedi più
volte alzare il naso per aria per seguire il volo delle farfalle che
impazzano di
cespuglio in cespuglio.
Potter sta portando la figlia da fior fior di specialisti magici e
babbani.
Niente fino ad adesso l’ha smossa dalla sua idea di tenere la
bocca chiusa.
Ora
sai perché continua a portarla da te; qui la ragazzina non
è forzata a parlare.
Difficilmente apri bocca tu.
A
quanto pare, è per lei un ambiente sereno.
Ti
verrebbe da ridere, ma probabilmente sarebbe la risata disperata di un
uomo
oberato da una corvèe che durerà per il resto
della sua lunga vita da mago.
Badare
ai Potter.
Finisci
di ammucchiare l’erba che è cresciuta
spropositatamente nel tuo prato. Questi
piccoli riti necessari sono parte della tua routine.
Quando fai per rientrare e preparare del the per spegnere la sete
– oggi fa
curiosamente caldo – ti sovviene che stavolta devi preparare due tazze. Ti volti per chiamare la
marmocchia e…
Non
c’è.
Un’ondata di sentimenti non ben identificati ti placca in
pieno petto come un
centauro irascibile; non è facile spaventarsi quando si
è passato una vita a
fingere di non farlo, e diciassette anni a scordarsi come funziona
quella
sensazione.
Corri
– no, sono falcate
– nel campo e la
cerchi. Il libro non c’è e non
c’è lei.
Dove
può essere andata una ragazzina che normalmente ha il
terrore di perderti di
vista per più di mezzo istante?
Torni
in casa, la cerchi in casa. Non è in casa.
Potter tornerà tra un paio d’ore e tu sarai qui,
pronto a spiegargli che hai perso sua figlia.
Forse
è giunta la tua ora. Adesso, durante una gloriosa primavera
del Connemara per
colpa di una ragazzina
che ha il nome
dell’unico amore della tua vita.
Rifletti.
Puoi
averla persa di vista per…
Merlino,
per quasi un’ora. Sei talmente abituato ad avere la certezza
che non si
allontanerà dalla tua ombra che hai dato per scontato non
sarebbe mai scappata;
peccato i bambini lo facciano in continuazione.
Esci
di nuovo e batti palmo a palmo la tua proprietà. Poi guardi
oltre il crinale,
verso il villaggio. Impossibile sia andata così lontano.
Impossibile…
Percorri la strada, a piedi, cercandola. È una bambina ma ha
avuto un’ora per
camminare.
Ardmore ha le prime case a venti minuti da casa tua. Vieni guardato con
perplessità, e salutato. Non ricambi. Non chiedi se
è stata vista una bambina,
perché è semplicemente grottesco
che
sia successo.
Hai
disciplinato per anni mocciosi la cui missione principale era
infrangere le
regole e improvvisamente non sei capace di badare ad una settenne che
non richiede
più di qualche occhiata?
È
umiliante.
Arrivi
fino alla locanda che ti ha ospitato nei primi giorni della tua
permanenza.
“Signor
Piton!” Ti apostrofa la padrona, che sta spazzando
l’ingresso. Non è di molte
parole, ed hai apprezzato il suo servizio discreto quando hai
soggiornato lì. “Bella
giornata, ah?”
“Ha visto una bambina dai capelli rossi? Sette
anni.” Ti scolli dal palato,
riluttante. Non puoi setacciare tutto il villaggio senza scatenare
domande.
“Oh,
come no.” Dice senza scomporsi. “Era con Eamon e
gli altri ragazzini.”
È andata a giocare. Il
sollievo e la
rabbia sono talmente confusi che la donna ti fissa come se stessi per
avere un
infarto. Non sei più l’Occlumante di una volta.
È difficile esercitarsi quando
non c’è nessuno nel raggio di miglia da ingannare.
“È
sua figlia?” Chiede curiosa. Eccola là,
l’indole da paesana. Non puoi ammettere
di non essertelo aspettato.
“No,
è figlia… di un conoscente.” Per
eufemizzare. La tua nemesi non sarebbe suonata
bene alle orecchie di una donna dalle gioie semplici. “Da che
parte?”
“Verso l’Auld Haunt.” Indica addirittura.
“Questi bambini…” Sbuffa
compartecipe.
Non empatizzi e tiri dritto. Arrivi al pub e, a parte il solito
folklore di
vecchi paesani con pinte di lager
alle tre del pomeriggio, non vedi nulla.
Però
senti. Uno strillo, infantile e
femminile.
Vecchi
riflessi – o traumi, più probabile – di
guerra ti fanno estrarre la bacchetta
non appena sei fuori vista.
E quel che vedi, dietro l’angolo del pub, ti sconcerta.
Il
libro che hai dato alla marmocchia è sparso, in pezzi, a
terra. Il lavoro di mostriciattoli
incivili, indubbiamente. Solo che i suddetti non sembrano gioire della
loro
bravata ai danni di una bambina indifesa.
I suddetti non ci sono: ci sono però tre rospi gracchianti .
Lily è al centro del gracidio, con i capelli arruffati e il
viso rosso come una
mela. Ha gli occhi lucidi e l’espressione furiosa.
…
hai già visto un’altra Lily con
quell’espressione e sai esattamente chi sono
quei tre rospi. Chi erano.
Lily
poi ti nota, e apre la bocca. “Zio Severus!” Dice.
Parla. Esprime verbo.
Poi ti placca la vita, ma sei troppo sbalordito per scacciarla.
Naturalmente,
scoppia in lacrime non ha appena a disposizione i tuoi vestiti per
soffiarcisi
il naso.
“Sei stata tu?” Chiedi, anche se è
ovvio. I tre rospi hanno bistrattato la
bambina sbagliata.
“Cattivi!”
Spiega. Ha la voce leggermente roca; non la usa tanto, ma è
evidente che sa usarla. Come
è evidente sia una
strega piuttosto vendicativa.
Potter
avrà un colpo apoplettico per la gioia.
“Immagino
sia una confessione.” Le dai una pacchetta sulla schiena.
È la prima volta che
la tocchi, e, in generale, che lasci avvicinare così tanto
un bambino.
“Era…”
Un singhiozzo. Ha una vocetta infantile, nulla di particolare. Sentirla
per la
prima volta è un po’ straniante però.
“… era il tuo libro.”
Con un colpo di bacchetta incolli le pagine, pulisci la carta e te lo
porti
alla mano. Lily sgrana quei suoi grandi occhi celesti. Forse
è la luce del sole
di questa improbabile primavera che riflette il verde che ingloba
tutto, ma...
sembrano…
Comunque.
Con
un altro colpo di bacchetta riporti i marmocchi paesani alla loro forma
originale e mentre sono ancora storditi ti premuri di cancellar loro la
memoria.
Le espressioni confuse e la momentanea afasia saranno un problema dei
loro
genitori.
“Smettila
adesso.” Le intimi. “Non sono un
fazzoletto.”
“Non sto piangendo.” Prevedibile risposta da
arroganza Potter.
Rassegnato,
lasci che si aggrappi ai tuoi poveri, bistrattati pantaloni mentre
tornate
indietro. L’altra mano è saldamente ancorata al
provato libro. Non ricordi
neppure di cosa tratti. Probabilmente di argomenti che una bambina di
quell’età
non dovrebbe affrontare.
Sei
decisamente un pessimo babysitter – e questo ti dà
molta soddisfazione.
“Credo
sia mio diritto sapere perché hai deciso di scappare,
sciocca ragazzina.”
Lily
si morde un labbro. Non te lo dirà, e in fondo non ti
interessa. C’è altro che
sei curioso di sapere. Pensavi che la curiosità fosse morta
con la tua
adolescenza.
(Non
è che ti abbia precisamente portato fortuna.)
E invece no.
“Sai
parlare.”
La bambina annuisce. “Sì, lo so fare.”
Conferma. “Non mi piace.”
“Curioso,
per una Potter…” Ti esce spontaneo. Il sarcasmo
è l’unico bagaglio che ti sei
portato dietro nella tua nuova esistenza. Quello e le tue pozioni. In
fondo, un
uomo non può mai completamente reinventare se stesso.
Lily
aggrotta le sopracciglia. “Io sono Lily.” Lo
pretende. Il tono è quello.
“Attestazione
superflua.” Ribatti. Perché una replica del genere
ti turbi a distanza di
decenni è cosa che non vuoi indagare.
Sono
i Potter il problema. Da sempre. Voldemort è stato qualcosa
di collaterale; a
posteriori, davvero, lo pensi.
È
Harry Potter e questa ragazzina. Ora le tue nemesi sono ben due.
Ti
afferra la mano, e lo fa con una forza che può avere solo
una bimbetta che non
sa dosare. Non ricordi l’ultima volta che qualcuno ti ha
preso la mano. Forse è
stata un’altra Lily, in un altro tempo.
I
ricordi sono una cosa buffa; a volte sono così nitidi che ti
sembra di
maneggiarli, come fragile vetro che potrebbe tagliarti le mani. A volte
sono
distanti quanto il Connemara lo è da Cokeworth. Ma non ti
serve un Pensatoio
per ricordare la presa tiepida di una mano infantile sulla tua.
Saresti
dovuto morire in quella vecchia catapecchia, con la gola squarciata e
gli occhi
pieni di lei.
Invece
sei qui, con una vecchia cicatrice fibrosa, una casa sul ciglio del
mondo e una
bambina silenziosa che ti tiene la mano ed ha il suo sguardo.
È
chiaro che il Destino, il Fato o chi per lui non ha ancora finito con
te.
Lo senti quasi ridere.
2019
Lily
quest’anno è andata ad Hogwarts.
Passano
i mesi e arrivano le lettere. Sai che è stata smistata, con
gran sorpresa del
suo ottuso branco, a Corvonero. Tu l’avevi intuito; al di
là dell’irritante
faccia da schiaffi che ha ereditato dal padre, la marmocchia Potter
possiede un
cervello. Ha più interesse nella speculazione che
nell’affermarsi con chiasso,
ed era consequenziale che il Cappello scegliesse la Casa delle menti
superiori.
(Che
certo, ha ospitato anche quel babbeo di Allock. Ma
c’è sempre l’eccezione alla
regola.)
Le
sue lettere sono lunghe e piene di dettagli inutili. Le leggi con un
sottile
sconforto; del resto ormai l’intero consesso magico che
ancora ricorda la tua
esistenza, sembra convinto che tu sia il padrino della ragazzina e, che
per
tale motivo, tu sia preoccupato della sua vita scolastica. Lei
compresa.
Non
sei il suo padrino.
E
non sei preoccupato.
Le
giornate scorrono lente, nel Connemara. Le stagioni sembrano
intrappolate in un
ciclo eterno, che non era così immobile neppure nei tuoi
anni scozzesi.
A volte ti accorgi che il tempo scorre solo perché la tua
casa ha continui
bisogni di manutenzione.
Anche distillando pozioni che vendi ad una ditta di Galway passano
comunque
interi giorni senza che tu abbia contatti con l’esterno.
È… strano.
Per anni è stato perfetto; di contatti ne hai avuti fin
troppi, fin troppo
complessi, sbagliati, orribili. C’è stata la
guerra, e la guerra è una fornace,
un mostro che ingloba, tritura e ferisce. Quando ti sei svegliato in un
letto
del San Mungo l’ultima cosa che hai voluto fare è
stata guardanti indietro. O
avanti, se è per questo. Hai preso una pausa dalla vita; del
tutto legittimo.
Poi,
la solitudine.
Intendiamoci,
continua a cullarti. Ma a volte è come se fosse tutto quello
che ti è rimasto.
E
ti interroghi. Spesso. Ti chiedi perché proprio tu sia
sfuggito alla morte,
quel maledetto giorno campale, perché semplicemente non sia
finita lì, come
avrebbe dovuto.
Perché tu e non Lupin e la sua sfacciata compagna, per
esempio; avevano un
bambino.
Dei
tuoi compagni – maldigeriti o meno – non
è più rimasto nessuno.
Potter
non è più il ragazzino che ti urlava contro,
sputando quel ‘signore’ come se
non ci credesse neppure un po’. È un adulto dallo
sguardo sereno, un padre di
famiglia.
La
pace. È arrivata per tutti, meno che per te.
E
ti chiedi come sarebbe stato se Nagini avesse affondato ancora una
volta i
denti nella tua gola.
Qualcuno la chiamerebbe depressione; tu odi certe etichette fatte per
chi ama
crogiolarsi nella propria miseria. Sei solo immensamente annoiato.
E
quella ragazzina era la cosa più snervante, ma perlomeno non
prevedibile, che
avessi nelle tue giornate.
Ma
è la pace; la pace fa andare avanti, ed ecco che tutti
crescono, hanno vite.
Tu? Rimani bloccato.
Arriva
Natale e te ne accorgi solo perché al villaggio hanno issato
un gigantesco e
abete, pieno di decorazioni pacchiane. Riesci a vederlo persino da casa
tua, il
che è notevole. Gli irlandesi hanno questo senso della
teatralità che non
capirai mai.
Stai
tagliando la legna nella rimessa quando senti suonare il campanello.
Non
aprirai, saranno le solite premature carole da parte dei mocciosi del
villaggio.
(Per
inciso hanno cominciato a chiamarti Scrooge.)
“Zio
Severus!”
Solo
una persona al mondo riesce a chiamarti in quel modo senza avere la
minima
consapevolezza dell’assurdità del titolo. Lily
Luna.
“Zio
Severus, so che ci sei!” Continua. “Sono venuta a
trovarti!”
Devi risalire prima che cominci a prendere a calci la porta; non
l’ha mai
fatto, ma sono mesi che non la vedi e Hogwarts gioca brutti scherzi.
Te
la trovi però ordinatamente seduta sulle scale
dell’ingresso. Riconosci la
sciarpa con i colori Corvonero, portata con fierezza.
“Zio
Severus, Buon Natale!” Esclama entusiasta. Le avranno
inculcato nel cervello la
gioia primitiva Weasley per qualsiasi festività.
“Mancano
tre giorni.” Le fai notare.
“Dov’è tuo padre?”
“È dovuto andare. Quelli dell’ufficio di
Galway chiedono sempre di lui…” Si
stringe nelle spalle. È cresciuta: è in
quell’età dove i ragazzini sembrano
piante continuamente innaffiate. Ricordi come ti abbracciava la vita e
ti
ficcava la testa nello stomaco. Ora ti sfonda il plesso solare.
Anche
il viso, prima tondo come una mela, si è affilato. Sta
crescendo.
Tu
stai invecchiando.
“Entra.”
Le dici, e la spingi dentro, rimediando un risolino divertito. Si
guarda
attorno e quasi ficca la testa nel camino per scaldarsi il viso, quando
siete
in salotto.
Poi
ti guarda e ti sorride. Sembra stare … bene. Di certo
Hogwarts deve averla
cullata nella bambagia di chi è figlio d’arte.
Prepari
il the e te la trovi a due passi di distanza, come al solito. Sua padre
ha
blaterato qualcosa sul fatto che ti segua come un pulcino.
L’ha fatto una sola
volta; il tuo sguardo deve averlo dissuaso dal provarci una seconda.
“Due
cucchiai di zucchero, e latte.” Dice, picchiettando sulla
tazza.
Conosci la marmocchia; non lo fa apposta e questo rende estremamente
difficile
riprenderla.
“Ricordo
come prendi il the.” Replichi secco.
“Sono
passati tanti mesi da quanto ci siamo visti…”
Argomenta con naturalezza. “Le
persone dimenticano.”
Se
fosse stupida, non sarebbe una Corvonero. Equazione semplice. Ma Lily
ha una
singolare luce nello sguardo, una serietà che non si addice
ad un undicenne.
(Tu
eri in quel modo alla sua età, ma tu… beh, tu non
eri certo la norma.)
“Mi
sei mancato.” Aggiunge, tirandoti la manica per sottolineare
il concetto.
Non
sai cosa si risponda in questi casi, quindi opti per un doveroso
silenzio e la
spingi con un gesto verso il salotto. Ti obbedisce, ma noti la ruga che
le solca
le sopracciglia.
Quando
qualcosa la contraria le si legge in faccia.
Sugge
il suo the accoccolata vicino al fuoco, lanciandoti occhiate di
sottecchi. Ti
saresti aspettato un fiume di chiacchiere sulla scuola, sui nuovi
compagni.
Niente.
Troppo fortunato per crederci, ti limiti a sederti sulla poltrona e
riprendere
in mano il libro che avevi interrotto.
“L’insegnante
di Pozioni è un cretino.”
Alzi lo sguardo e trovi che ti sta guardando in aspettativa.
Ti ha lanciato un’esca, è talmente palese che non
riesce a trattenere il
sorrisetto monello che le trema all’angolo delle labbra.
“E
questo tuo giudizio è dovuto al
fatto…?”
“… che
ci fa leggere dal libro di testo.
Dice che al Primo anno non c’è bisogno di fare
lezioni operative. Che potrebbe
essere pericoloso.”
Inarca le
sopracciglia. “Gli ho detto che tu avresti detto che
è un incompetente.”
“Hai detto cosa?”
“Mi
ha messo in punizione.” Aggiunge subito vedendo la tua
espressione. “E poi il
Preside ha detto che avrei dovuto chiedere scusa.” Arriccia
il naso. “L’ho
fatto. Però non ci credevo davvero. Vale lo stesso,
no?”
Ti passi una mano sulle labbra nella speranza di trattenere il ghigno
che
affiora prepotente. Hai sempre detto a Minerva che aveva assunto un
incapace.
Sapere che la tua ragazzina…
…
Beh, hai solo avuto conferma da una matricola. Se lo capisce una
matricola, è
palese il fatto. È soddisfacente.
“Mi
aspettavo che tu sapessi cos’è il rispetto per un
insegnante. O un adulto.”
“Lo conosco!” Ribatte. “Ma bisogna
meritarselo. Anche gli adulti. O gli
insegnanti.”
Geni
Potter, indubbiamente; ma il fatto che argomenti con una certa
cognizione di
causa ti lascia sperare che non sia completamente perduta.
“Mostrare
rispetto verso le autorità è un dovere basilare
per una persona educata in una
società civile, e non mi risulta tu sia una
selvaggia.”
Si morde il labbro. Poi sorride di nuovo. “Ma io
l’ho mostrato. Poi se ci
credo, è una cosa mia.”
Quasi provi pena per il poveraccio che se l’è
trovata in classe. O per il nuovo
corpo docenti in toto.
“Finisci
il tuo the.” Ti risolvi a dire. La lasci al compito e ti
immergi nella lettura;
pochi momenti dopo ti senti toccare la mano. Te la trovi a due
centimetri dal
braccio che ti scruta.
“Sì.”
Attesti rassegnato.
“Stai
preparando nuove pozioni?” Captatio
benevolentiae. La ragazzina è sempre stata brava
in questo. Fin troppo,
dice la tua coscienza, che ti sottolinea come potresti tranquillamente
impedirle di infastidirti.
Ci
sei mai riuscito? Onestamente.
“Cosa
ti fa credere che ti lasci entrare nel mio laboratorio?”
Sorride. “Ora so come funziona.”
Quando la vedi sminuzzare con autentica allegria le radici di asfodelo,
pensi
che dovresti davvero prenderti un gatto; perché se non hai
l’urgenza di
spedirla fuori dal tuo spazio più privato, più tuo, beh, significa che la solitudine ti
ha finalmente roso il
cervello.
“Mi
piacciono le pozioni.” Interloquisce. Ecco tornata la
parlantina. Va’ ad
ondate, come le maree. “Sono precise. Mi piacciono le cose
precise.”
I
marmocchi hanno la strabiliante capacità di parlar da soli
per ore intere.
“Mi
piace anche Trasfigurazione. È forte…”
Ci riflette. “È interessante.”
Corregge il tiro a tuo beneficio, lo vedi da come ti
guarda di sottecchi. Controlli la pozioni e la ignori. “E poi
mi piace la
nostra Sala Comune… è in alto, sulla torre
più alta e c’è tanta luce. Quasi
come qui, quando arriva il tramonto.”
Chiacchiere
umane. Certe persone ne sentono la necessità come respirare.
Per te è stato
sempre un fastidio. Ma si dice che invecchiando i gusti cambino
e…
No,
continui a mal tollerare le esternazioni altrui. È Lily che
sopporti, perché è
una bambina, perché è portata in pozioni e Dio,
perché devi davvero prenderti
un gatto.
“Non
mi sono fatta tanti amici.” Sbotta di colpo, dopo un attimo
di silenzio. “Tutti
parlano un sacco. Troppo. Perché tutti sentono sempre la
necessità di dire tutto?
E chiedere… tante cose. Fatti
tuoi.”
I figli d’arte. Non dev’essere facile avere
un’etichetta per una gloria che non
ti appartiene.
Non che ti interessi.
“L’interlocuzione
umana è doverosa se si vuole intraprendere relazioni
sociali.” Ti limiti a
dire. Sembra preso da un libro, è il genere di cosa che
confonderebbe un
bambino e lo farebbe tacere.
Magari
fosse così per Lily.
“A
me non serve parlare con te.” Ti allunga il tagliere con le
radici. “Tu sei mio
amico.”
“La differenza d’età potrebbe al massimo
identificarmi come tuo mentore. E non sento
la necessità di avere un’allieva.”
Sarcasmo. Per fortuna ha ancora problemi a
comprenderlo, perché se così non fosse avresti di
fronte un piccolo specchio di
te stesso, con più sorrisi ma la stessa inquietante
capacità di capire troppo.
Questo
non ti ha fatto avere un’infanzia felice, per inciso.
“Quando
sto con te sono felice, mi piace stare qui.” Replica.
“Mi sei mancato quando ero
ad Hogwarts. Tu sei mio amico.” Attestazione.
Ci
sarebbero molti modi per rispondere e distruggerle infantili speranze
di un
rapporto nato solo perché suo padre non riusciva a gestire
il fatto di avere
una figlia muta.
Ci
sarebbero.
Preferisci
rimanere in silenzio.
La
ragazzina non aggiunge altro; sa quando non insistere con te,
l’ha imparato.
Fingi
di ignorare i suoi occhi lucidi.
Potter
torna a prendersela e non puoi dire di esser sorpreso quando allontana
la
figlia e ti si avvicina con l’aria affranta del genitore che
cerca
rassicurazioni.
“Lilù
le ha detto niente di…” Esita. “Di come
si trova a scuola?”
“Potter, se non smania per avere la luce dei riflettori su di
sé non significa
abbia problemi a scuola.”
“Quindi gliene ha
parlato.” Sembra
davvero sollevato. Hai quasi la certezza che Potter, che ha la
deprecabile
tendenza ad indossare i suoi sentimenti come giacche vistose, non
riesca a capire
sua figlia. Non che non la ami – è un genitore fin
troppo protettivo, come
supponevi sarebbe diventato, del resto. Ma non ha idea di che pesci
prendere
quando è con lei.
Hai
passato anni a scrutare le indoli altrui; sai riconoscere quando
è qualcuno è a
disagio con il suo stesso sangue.
“Sì.”
E non aggiungi altro, beandoti della ruga nervosa che si disegna poco
distante
dalla sua cicatrice. È sparita ormai, ne intravedi solo i
bordi.
“Con
me non parla.” Butta fuori infine.
“È… non è esattamente una
chiacchierona.”
“E questo sarebbe un difetto?”
Schiocca la lingua, stavolta apertamente infastidito. “Lily
ha problemi a
scuola e non ne parla con nessuno. Ma con lei lo fa.”
Noti
un lampo di capelli rossi alla porta dello studio in cui Potter ti ha
costretto
a riceverlo.
“Onestamente,
Potter.” Inarchi le sopracciglia e ti culli in vecchi
ricordi; era dolce
riuscire a fargli abbassare la cresta. “Cosa vorresti fare?
Arrivare in sella
alla tua scopa e risolverle i problemi? Quando presumibilmente uno dei
problemi
è la notorietà della sua famiglia? La
tua?”
Ammutolisce. Sai di averlo colpito a fondo. Sei un vecchio pipistrello
odioso e
amareggiato. Sperava in un consiglio rassicurante?
Forse, da come ti rivolge un’occhiata di fuoco.
“Buon Natale professore.” Borbotta.
Se ne va dal salotto e poi lo senti chiamare Lily, che sarà
tatticamente
scappata dove avrebbe dovuto essere, ovvero all’ingresso.
La
marmocchia in compenso irrompe in salotto pochi secondi dopo. Ti fa un
gran
sorriso. “Allora ciao! Torno a trovarti, okay?”
“C’erano dubbi?” Replichi, facendola
ghignare. Oh, la conosci quella smorfia.
James Potter si rivolterebbe nella tomba. Perché te la sta imitando.
Ti
placca in uno dei suoi abbracci, e sei costretto a darle un colpetto
sulla
spalla per ricordarle che certe manifestazioni hanno una durata. Per
quanto ti
riguarda, brevissima. “Va’ adesso. Tuo padre sta
aspettando.”
“Buon Natale zio Severus!”
Alla
Vigilia arrivano i suoi auguri ufficiali e un nuovo disegno. Sai che
sta
tentando con gli acquarelli. Piuttosto acerba, ma promettente.
Il disegno va’ a finire assieme agli altri. Nessuno entra in
camera tua e
nessuno può sapere dove sono pateticamente appesi.
No,
davvero; l’idea del gatto è ottima.
2021
Tieni
Lily tra le braccia e non hai la minima idea di come tu sia finito in
questa
situazione.
In
realtà lo sai benissimo. Potter ha divorziato da sua moglie.
Questa,
la causa scatenante.
Avevi subodorato già da qualche tempo che il paradiso del
Salvatore aveva
smesso di esser roseo. Le lettere di Lily parlavano di liti sedate con
l’aiuto
dei fratelli, vacanze mortificanti, recriminazioni vecchie di anni e
lettere
separate da parte dei genitori.
Non
puoi dire di esserne stato sorpreso; statisticamente, i matrimoni
contratti in
giovane età sono destinati a non arrivare alla vecchiaia.
Potter è sempre stato
un impulsivo. Sposare la prima donna deputata a sentimenti
più complessi di una
cotta gli sarà sembrata un’idea splendida, specie
perché Weasley.
Questo
pomeriggio - è un estate ordinariamente piovosa - ti sei
trovata Lily di fronte
alla veranda mentre la bufera impazzava, gonfiando il mare e sbattendo
le
persiane delle finestre.
Non
dentro, davanti.
Tremava,
perché indossare un vestito di cotone leggero per affrontare
l’imprevedibilità
irlandese è stupido.
Tremava
e piangeva in mezzo alla pioggia. Non sapevi se era più
acqua piovana o lacrime
quelle che le scorrevano sul viso.
Lily,
come ha dedotto Potter, non è una chiacchierona.
È una ragazza quieta, dai
lunghi silenzi e dagli strani sguardi. Se non si è abituati,
può mettere a
disagio.
Tu
conosci i suoi occhi da tredici anni, e sai accorgersi al volo quando
è il caso
di lasciar perdere i convenevoli e portarla dentro casa.
Una
tazza di the caldo più tardi finalmente parla.
“Si
sono lasciati.” Dice e non c’era traccia di
incredulità o rifiuto. Era chiaro
se lo aspettasse quanto l’avevi intuito tu.
“Papà ha preso le sue cose ed è
andato dagli zii. Stamattina a colazione eravamo solo
…” Si blocca mentre vedi
le unghie che dipinge sempre di colori allegri affondare nel palmo.
“… non ci
ha detto niente. Se n’è andato e basta.”
Non dici nulla, perché supponi che altri abbiano
già detto troppo per cercare
di calmarla. Peccato che con Lily le parole abbiano l’effetto
opposto.
Vedi
i palmi contrarsi, stringere. Stringere e trovare vuoto,
perché nella foga di
uscire e lasciarsi tutto alle spalle si è dimenticata anche
la propria
bacchetta.
Poi
arriva l’urlo. È uno solo, rabbia e frustrazione
pura. Ha tredici anni, e
ricordi i tuoi tredici anni mentre la tazza tra le sue mani si spacca,
mentre
lo specchio sopra il camino si incrina e le fiamme beccheggiano alla
forza
della sua magia.
Avresti
voluto spaccare il mondo a mani nude, e non potevi farlo. Non eri
neppure
capace di difenderti da Tobias.
L’urlo
si quieta com’è iniziato. Con un colpo di
bacchetta asciughi il the che ha
bagnato il tappeto, le sue mani e le gambe nude e sottili, dai ginocchi
sbucciati. È caduta mentre cercava la passaporta con cui lei
e suo padre si
materializzano qui.
(Tra
parentesi, premuroso da parte di Potter lasciarle almeno quella.)
“Tornerà.”
Dici. “Si può dire tante cose di tuo padre, ma non
che sia un codardo o che
lasci le cose a metà.” È la prima volta
che fai un complimento a quell’idiota e
pensi che, dopotutto, non se lo merita.
Ma
ne ha bisogno Lily, che ti guarda con quei suoi occhi troppo grandi,
troppo
vasti, troppo celesti. Ti ricordano il cielo di qui, quando le nuvole
vengono
spazzate via dal vento del Nord. Non sono gli occhi di lei,
sono diversi. Eppure, sono uno dei motivi per cui comprarti un
gatto non ha funzionato come speravi.
Piange.
La vedi singhiozzare mentre i capelli le chiudono il viso allo sguardo
altrui.
Ti
senti sconfortato, perché realizzi che vorresti prendere
Potter per i piedi ed
appenderlo ad un posto alto, con sotto una buca profonda, possibilmente
piena
di creature rivoltanti. E mortali.
Perché
se non è una colpa sposarsi per un’urgenza di
lombi, lo è far piangere sua
figlia, che non lo capisce, che non viene capita, ma che lo adora come
lo stupido
idolo d’oro che è sempre stato per tutti.
“Abbracciami…”
Dice. Le tue riflessioni ti hanno portato di nuovo nella parte meno
piacevole
di te e la guardi senza capire. Si ferma e ripete.
“… abbracciami, per favore.”
Non te l’ha mai chiesto. Te l’ha semplicemente
fatto sopportare, e andava bene.
Severus Piton non è fatto per abbracciare: non ha
abbracciato neppure sua madre
sul letto di morte.
(E se n’è sempre pentito.)
Per
fortuna sei sempre stato un discreto equilibrista con le parole.
“Pensi davvero
che mi voglia sedere per terra?”
(Complimenti per l’equilibrio.)
Lily
ti guarda battendo le palpebre. Poi fa un sospiro e sorride appena.
“Sei
proprio impossibile, zio Severus…”
“Non è la prima volta che mi è stato
fatto notare.” Appunti e poi, semplicemente,
lasci che si sieda sulle tue ginocchia e appoggi la testa contro il tuo
petto.
Non sarebbe il caso, ti dice una voce. Lily comincia a non essere
più una
bambina, sta diventando un adolescente. Un adolescente che sta
abbandonando la
crisalide dell’infanzia e… tutte quelle
sciocchezze. È alta, è sottile come un
giunco e puoi stare certo che i suoi coetanei hanno già
cominciato ad
infastidirla.
Dovresti
farle notare che il modo in cui si accoccola contro di te è
inappropriato.
Però.
Sta piangendo. È una maledetta bambina spaventata, ed
è venuta da te perché è
ovvio che non ha ricevuto a casa ciò di cui aveva bisogno.
È
sempre stato questo il punto.
Non riesci a capire, però, come diavolo riesca ad averlo da te.
Lasci
che riduca la tua camicia ad un disastro, sopportando stoicamente. Hai
affrontato di peggio. Voldemort, ad esempio. Silente e il suo
stramaledetto
Bene Superiore, anche.
“Sono
contenta che tu sia qui, Zio Severus…” Mugugna con
il tono impastato tra il
sonno e il pianto. Una mocciosa che, sfinita, si addormenta dopo
essersi
soffiata il naso addosso a te. Dovresti essere furioso. Da anni, sei
solo rassegnato.
“Non
vedo dove altro dovrei andare. Questa è casa mia.”
Alza
il viso dalla tua spalla. Sorride tanto, ma allo stesso modo
è seria. Un equilibrio
perfetto. “Non qui… non qui a casa tua. Io intendo
dire… che sei ancora
qui.” Le vedi le guance colorarsi
di rosso. “Io… sarebbe stato orribile se tu non ci
fossi stato. Se non ti
avessi mai conosciuto.”
Un
ciocco scoppia nel camino nel mezzo del silenzio che segue.
Niente fiori e onori sulla tua tomba,
Severus. Sei ancora vivo. Congratulazioni. Scusaci. Ora sparisci per
favore; ci
metti a disagio.
Una
strana sensazione, spaventosa e sconcertante ti si diffonde addosso
come
un’improvvisa febbre.
Sconcerto,
spavento. Quand’è stata l’ultima volta
che ti sentito felice, Severus?
Fa
male come usare di nuovo un arto anchilosato.
“Il mondo sarebbe continuato a girare anche senza di
me.” Distanza. Distanza
anche se senti il suo respiro tiepido sulla spalla, e sai che
è viva. Che sei
vivo anche tu.
Ma
come, te n’eri dimenticato?
Sbadato
da parte tua.
(Perché
diavolo la voce della tua coscienza
ha il tono di Albus, adesso?)
Lily
scuote la testa. Sottolinea un concetto. “Non il mio, non
bene. Tu sei il mio
migliore amico, zio Severus.”
Ti sembra che la ferita di Nagini ti blocchi la gola come un laccio. In
tutta
franchezza, anche respirare è difficoltoso.
“Alzati.” Le intimi brusco. Ti guarda confusa, ma
obbedisce come sempre. Non è
stato Potter a dirti come sia testarda e risponda a primo comando solo
a te?
Sicuramente.
“Voglio
restare qui.” Esclama mentre cerchi di trovare un modo per
rispedirla a casa e rimanere
solo con i tuoi pensieri. Stanno premendo per uscire e non puoi
costringerli a
lungo. “Posso dormire qui, stasera?”
No,
neanche tra un milione
di anni.
“…
vado a
prepararti la stanza.” Replichi docile come un povero idiota
che cerca ancora
di capire cosa l’abbia colpito e, soprattutto, dove.
La lasci che sta prendendo in braccio il gatto di casa –
Cagliostro,
scelta sua il nome, per quanto ti riguarda poteva rimanerne privo
– e sali al
piano superiore.
Apri
la finestra della camera degli ospiti, per darle aria. Sa di chiuso,
com’è
naturale: chi ci ha mai soggiornato del resto?
Un
raggio di sole buca le nuvole spesse come acciaio e colpisce il mare
facendolo
esplodere di piccole schegge d’argento.
Non
credi nelle epifanie. Sono idiote.
Ma
per la prima volta in vent’anni – perché
quando qualcosa cambia, deve metterci
così tanto per te? – ti percepisci
respirare.
Sei vivo. Sbadato da parte tua scordarlo.
****
Note:
Woah. Non so davvero cosa ne
potrà venire fuori, perché onestamente il POV di
Piton in seconda persona è…
beh, meno difficile che la prima, ma comunque problematico.
Questa due-episodi è tutta dedicata alla favolosa e neonata
pagina Facebook – e
un po’ anche community –
Repayement Ita, fondata da Emme e che mi vede come
goffa
co-amministratrice.
Cos’è
il Repayement?
Una possibilità. Dare a
Severus un addio o un bentornato come si deve.
Ci sono molti forse: Severus può non essere più
trai vivi, Lily Luna può essere
una figura di contorto, o fondamentale, può essere amore o
solo una possibilità
di riscatto.
In senso romantico o meno, facciamo tutto questo per un personaggio che
forse
doveva morire per riscattarsi, ma forse anche
no.
Passiamo
alle note va’, che i pipponi non piacciano a
nessuno.
Il
titolo è preso da libro di Michael Cunningham, che peraltro
non c’entra un
cavolo. Ma è bello, se avete occasione, leggetelo.
La canzone la potete trovare qui
ma spero anche nei vostri Mp3. ;D
1.Connemara:
Il Connemara
(nome originale, in gaelico irlandese, Conamara)
è una regione selvaggia
e aspra situata nell'Irlanda occidentale, più precisamente
nella Contea di
Galway.
Qui
per maggiori informazioni.
2.Sky
Road: (dall'inglese, "Strada del cielo") è una
strada
costiera del Connemara.
Qui per info.
3. Ardmore:
in realtà non è una vera e propria
località e, suppongo,
neppure un villaggio. È un agglomerato di case nella contea
di Clifden, il
centro culturale e capitale del Connemara. Mi piaceva il nome. :P
4. Caithness:
Dove la Rowling ha rivelato sia nata la McGrannit.
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