~APOLOGIZE~
[Damien]
Sono
già sveglio da
un po’ quando Arthur entra, una tazza in mano.
«Buongiorno»
mi
dice con un sorriso teso. «Ti ho portato del
caffè.»
«Grazie.»
Lo
osservo
attentamente mentre chiude la porta, mi porge la tazza e si siede sul
bordo del
mio letto. Mi metto a sedere e soffio sul liquido bollente.
«Ho
anche qualche
biscotto, se ti va» propone speranzoso, allungandomene uno.
Solo
a guardarlo mi
viene la nausea.
«Magari
dopo»
mento, e lo vedo rabbuiarsi.
«Come
vuoi.»
«È
successo qualcosa?»
indago delicatamente, notando la sua tensione e il disagio che
dimostra,
evitando di guardarmi negli occhi.
Annuisce.
«Io
… ho fatto una
cosa molto stupida» annuncia.
Mi
preoccupo
immediatamente.
«Cosa?»
«Ieri
ho litigato
con Charlotte.»
«Non
mi sembra una
novità.»
«Ero
furioso, e …
l’ho baciata.»
Spalanco
gli occhi,
incredulo.
«Hai
baciato
Charlotte?» ripeto, sconcertato.
«Sì.»
Faccio
una smorfia,
ma non riesco a trattenermi. Scoppio a ridere.
Arthur
mi guarda
come se fossi impazzito.
«Scusa»
mugolo «È
solo che … l’idea è veramente esilarante.
Ok, no, scusa. Ho finito. Non preoccuparti. Sono cose che capitano.
Posso
accettarlo.»
«Non
è tutto.»
«No?»
«No.
Eravamo tutti
e due molto arrabbiati e molto sconvolti.» Non posso
fare a meno
di notare l’uso eccessivo ed enfatizzato
dell’aggettivo molto.
«E le cose sono … sfuggite al nostro controllo,
ecco.»
Lo
guardo
seriamente, stavolta, e stringo gli occhi.
«Avete
fatto
l’amore?» chiedo, cercando inutilmente il suo
sguardo.
«Abbiamo
fatto
sesso» mi corregge debolmente. «Sono stato un
idiota, Dam, lo so. Ero fuori di
me, non stavo pensando razionalmente, e neanche Charlotte. Me ne sono
pentito
così tanto … io non provo nulla,
nulla per lei, te lo giuro. Non so
cosa
sia successo. Mi dispiace da morire.»
Rimango
in silenzio
per un po’, ascoltando le sue scuse.
«Beh»
dico alla
fine «Ci sarei rimasto molto peggio se fosse stato Blake, o
Jonathan.»
«Cosa?»
«Nonostante
tu non
riesca a dirlo a voce alta» spiego «Tu sei gay,
Art. Ti conosco meglio di
quanto conosca me stesso, e ne sono assolutamente certo
–anche se tu non lo
sei, almeno non consciamente. E questo vuol dire che con Charlotte
… è stato
veramente solo sesso.»
«È
così» mormora.
«Ma per lei era la prima volta, e adesso mi sento
così in colpa … avrei dovuto
pensare. Stavo così male, Dam, e lei ha detto che tu saresti morto comunque –avrei
voluto ucciderla.»
Lo
osservo. Sto
facendo il possibile per essere ragionevole e comprensivo, ma
è difficile. È
vero che sarebbe stato peggio se fosse stato un ragazzo –ma
questo non
significa che io sia del tutto indifferente. È un assaggio
di come sarà la vita
di Art dopo che io me ne sarò andato.
«Art»
dico,
tentando di restare calmo e non farlo sentire in colpa «Ti
capisco. Io sto male
da mesi e non
… non abbiamo più … »
«No»
mi interrompe
lui con fermezza. «Non c’entra nulla. Io ti amo,
Dam, lo sai, e ti avevo
giurato che non ti avrei abbandonato-»
«Ma
non l’hai
fatto» dico ragionevolmente. «Sei qua, giusto? Mi
hai detto la verità quando avresti
potuto tacere.»
«Sì,
ma questo non
rende meno grave … »
«Art.
Basta. Ti amo
anche io. Non mi importa di Charlotte, ok? L’hai detto tu,
eravate sconvolti. E
poi dobbiamo accettare che tra non molto tu potrai fare ciò
che vorrai perché
…»
«Non
dire così»
sussurra lui. «Ti prego, Damien. Non troverò
nessun altro. Charlotte è stata un
errore. Sai a cosa pensavo in quei momenti? A quanto avrei voluto che
al suo
posto ci fossi tu, e a quanto fosse ingiusto tutto quanto.»
Faccio
per ribattere
ma un attacco di tosse me lo impedisce. Fatico a riprendere a respirare
e sento
il poco caffè che ho bevuto rivoltarsi nel mio stomaco. Ci
vogliono un paio di
minuti, ma poi riprendo il controllo.
«Sto
bene» taglio
corto, in risposta all’evidente ansia di Arthur. «E
… non parliamone più, ok? È
successo, ma è tutto perdonato.»
Lui
fa per
obiettare, ma poi si limita a fare un cenno con la testa.
«Va
bene.»
«Sai
che cosa … »
comincio, ma la porta della camera si apre.
Jonathan
entra a
grandi passi.
«Tu»
ringhia,
rivolto ad Arthur «Brutto bastardo
…
»
Art
si alza e
indietreggia appena.
«Jonathan»
dice con
calma «Non … »
Ma
Jon, furioso, lo
raggiunge e gli sferra un pugno in pieno viso.
Sussulto.
«Jon,
calmati»
provo a farlo ragionare, ma so che da qui non posso fare nulla. Con
cautela, mi
alzo e mi avvicino.
«Come
hai potuto
fare questo a Charlotte?» ruggisce, cercando di colpirlo
ancora, ma Arthur lo
schiva e tiene le mani sollevate, dimostrando di non volerlo colpire a
sua
volta.
«Non
ho fatto» dice
chiaramente «nulla che lei non volesse.»
Capisco
che ha
detto una cosa stupida prima ancora di Jon. Si trasforma in lupo e si
scaglia
verso Art.
«Jon!»
sbotto, e mi
avvicino.
Arthur
e Jonathan
rotolano a terra, avvinghiati. Mi chiedo perché Arthur non
si teletrasporti
lontano, poi mi ricordo del bracciale al Pentothal ancora al suo
braccio.
Questo significa che non è neanche invulnerabile, e che gli
artigli e le zanne
di Jon potrebbero fargli male sul serio.
Il
lupo
indietreggia ringhiando e mi dà l’occasione di
vedere il morso sul braccio di
Arthur.
«Basta,
Jonathan»
sbotta lui.
Ma
lui, furioso, fa
per attaccare ancora. D’istinto, senza pensare, lo afferro
per la collottola
per impedirgli di attaccare ancora. Lui, altrettanto istintivamente, si
volta
di scatto e mi allunga una zampata.
Sento
gli artigli
affilati tagliare la mia maglietta e la pelle sottostante con un dolore
sordo
che mi fa ansimare. Scivolo a terra, il battito accelerato. Prendo
fiato ma i
polmoni non mi obbediscono. Annaspo in cerca d’aria.
Vedo
confusamente
Art che mi raggiunge e Jon che torna umano.
«No!»
urla Arthur.
«Non toccarlo. Il sangue è infetto.»
Jonathan
indietreggia, pallido.
«Vai
a chiamare
Charlotte!» gli ordina Art.
Questa
è l’ultima
cosa che sento. Il bruciore ai polmoni si fa insostenibile e scivolo in
un buio
che, lungi dall’essere confortante, è spaventoso
come il pensiero che potrei
non svegliarmi più.
Sento
le voci ma
non riesco ad abbinarle ai loro proprietari.
I
miei polmoni sono
forzati a respirare da ossigeno artificiale.
«C’è
qualcosa che
possiamo fare?»
«Non
lo so …»
«Ti prego, Charlotte!»
«L’unica
cosa … l’ultima cosa
che potremmo tentare è il
trapianto di midollo.»
«Quello
che ha
fatto Vahel?»
«Sì.»
«Ma
potrebbe
ucciderlo.»
«Sì.»
«Se
non lo facciamo
… quanto potrà andare avanti
così?»
«Non
più di
ventiquattr’ore. Probabilmente di meno.»
Un
lungo silenzio,
poi un sussurro.
«Non
so cosa fare.»
«Sei
tu il suo
tutore legale, Arthur. Devi decidere per lui.»
«Sarai
tu ad
operarlo?»
«Dovrà
farlo
Jonathan.»
«È
colpa sua se adesso
è qui!»
«Primo:
è la vostra
unica possibilità. Secondo: su di te è riuscito.
E terzo: sarebbe successo
comunque entro breve.»
«Hai
della
morfina?»
«Poca.
Ma non credo
che sentirà molto, è incosciente.»
Un
altro silenzio,
più lungo del primo.
«Va
bene. Fallo.»
La
poca morfina non
fa altro che placare il dolore per qualche minuto. Poi, più
in là, nei brevi
momenti di lucidità, niente può fermarlo.
Grido
e cerco di
muovermi, ma sono immobilizzato.
E
allora posso solo
concentrarmi sulla sensazione della mano di Arthur stretta nella mia
–il
mantenimento di una promessa.
«Allora?»
«I
segnali sono
buoni. Credo che si risveglierà presto.»
«Ma
… è guarito?»
«Non
possiamo
ancora saperlo. Per prelevare il sangue aspetterei che
l’invulnerabilità abbia
tempo di guarire tutto il sistema immunitario.»
«Pensi
che possa
sentirci?»
«Non
ne sono
sicura, ma credo di sì. Vieni qui, ti medico quel morso.
Jonathan non è stato
delicato, eh?»
«Non
esattamente.»
«Hai
sentito quello
che ha detto Lily?»
«No.»
«Vahel
si è ripreso.
Pare che voglia portarci veramente da qualche parte.»
«Dovrà
aspettare
che Damien si riprenda.»
«Non
sei riuscito a
togliere il bracciale con il Pentothal?»
«Non
ci ho pensato,
onestamente.»
«Ho
sfruttato un
corso in nanotecnologie a cui avevo partecipato e sono riuscita a
toglierlo a
Blake, Jon e a me stessa. Dammi il polso.»
«Oh.
Grazie.»
«Figurati.
I tuoi
poteri torneranno presto.»
«Immagino
che tu
abbia parlato a Jonathan.»
«L’ho
fatto. Non
l’ha presa bene.»
«L’ho
notato.»
«E
Damien?»
«Ha
capito e mi ha
perdonato. Spero solo che continui ad essere così ora che
forse abbiamo più
tempo davanti a noi.»
«Andrà
bene,
vedrai. Ora vado a riposare. Dovresti farlo anche tu. Sono sicura che
Vanessa
ti darebbe il cambio volentieri.»
«Non
mi muoverò da
qui.»
«Come
preferisci. Fammi
chiamare se si sveglia, o se succede qualunque altra cosa,
d’accordo?»
«Va
bene.
Buonanotte.»
«Altrettanto.»
«Damien?
Non so se
riesci a sentirmi. Secondo Charlotte sì, e lei non sbaglia
mai un colpo,
giusto? Pensavo che questa cosa del trapianto fosse stato un suo
errore, ma
sembra che abbia funzionato. Che fortuna sfacciata.
«Spero
che ti
sveglierai presto. Io sono qui accanto a te, comunque. Te
l’avevo promesso,
ricordi? Bene, dovresti sapere che Vanessa è venuta a
trovarti. È
molto preoccupata per te. Lei sta
bene, ha detto che la bambina fa le capriole oggi.
Sono
passati anche
Blake e Lily … e Charlotte, ovviamente. Jonathan non si
è ancora fatto vedere,
penso che si senta in colpa. Fa bene. Capisco che abbia aggredito me
–anche se
non avevo fatto niente di male a Charlotte, in realtà-, ma
non avrebbe dovuto
toccare te. Comunque credo che le cose torneranno a posto, col tempo.
«Bene,
ho finito
gli argomenti … adesso riposati bene e, appena te la senti,
se puoi, svegliati,
ok? Perché qui siamo tutti abbastanza in ansia. Io sono qui
e non mi allontano
neanche per un minuto. Ti tengo la mano, senti? Ti amo. Torna
presto.»
Un
filo di luce
attraversa le tende tirate e raggiunge il letto. Batto le palpebre e mi
guardo
intorno.
Art,
ovviamente, è
accanto a me, su una sedia, e tiene la mia mano. Ha gli occhi piccoli,
come se
non dormisse da tempo, e i capelli arruffati, lo sguardo perso nel
vuoto.
«Ehi»
mormoro con
un filo di voce, la gola secca.
Art
sussulta e si
rianima subito.
«Damien!
Oh, Dio.
Stai bene?» chiede, preoccupato.
Con
cautela mi
metto a sedere.
«Bene»
confermo,
godendomi la sensazione dell’aria che entra ed esce
liberamente dai polmoni
senza impedimenti, e dei miei muscoli intorpiditi che si tendono.
«Mai stato meglio»
confermo.
Lui
sorride, un
sorriso vero e sincero che non posso non ricambiare.
«Vuoi
dell’acqua?»
chiede.
«Sì,
grazie. In
realtà ho fame … c’è
qualcosa da mangiare?»
Art
si illumina a
queste parole.
«Tutto
quello che
vuoi. No, aspetta. Non alzarti. Prima fammi chiamare
Charlotte.»
«Al
diavolo
Charlotte» replico, ma obbedisco e resto seduto, lasciando
che sia lui,
recuperata l’acqua, a raggiungermi.
Bevo
tutto il
bicchiere e poi, senza riuscire ad aspettare, lo attiro a me e lo bacio.
Avidi,
non ci fermiamo
fino a quando la porta non si apre.
«Damien!
Beh …
sembra che tu stia bene» commenta Charlotte.
Vagamente
imbarazzato, confermo. Cercando di non pensare che non molto tempo fa
lei è
andata a letto con Arthur.
Mi
misura la febbre
e preleva del sangue per avere la certezza che il virus sia sparito,
quindi si
dilegua, lasciandomi solo con Art.
«Quanti
giorni sono
passati?» gli chiedo mentre divoro uno a uno un pacco di
biscotti.
«Tre.»
«E
Vahel?»
«È
ancora
fermamente convinto a portarci via con lui. Aspettava solo che tu ti
risvegliassi.»
«Ma
… pensavo che
senza quel bracciale ti fossero tornati i poteri.»
«Ecco
… sì, sono
tornati, ma per il momento non riesco a teletrasportare nessuno insieme
a me.
Ho provato.»
«Oh.»
«Già.
Ma tutto il
resto funziona bene, invulnerabilità compresa.»
Arthur
evita il mio
sguardo. Credo ci sia qualcosa che mi sta nascondendo, ma non ho cuore
di
indagare adesso.
«Charlotte
cosa
dice?» chiedo.
«Che
è colpa dei
troppi prelievi. Ma secondo lei si rigenererà nel giro di
qualche mese.»
«Di
sicuro?»
«No,
ma sai che lei
non sbaglia mai.»
Queste
parole mi
ricordano qualcosa.
«Mi
hai parlato»
dico lentamente «Mentre dormivo.»
«Quindi
sentivi. Un
altro punto per Charlotte.»
«Non
mi hai
lasciato un attimo.»
«Te
l’avevo
promesso.»
Gli
sorrido.
Qualcuno bussa alla porta, che si socchiude.
Vedo
Arthur
irrigidirsi immediatamente.
«Jon.
Vieni.»
«Ciao.
Sono felice
che tu ti sia svegliato.»
Fa
qualche passo
dentro, senza guardarmi negli occhi.
«Volevo
solo …
chiederti scusa. È colpa mia. Non avrei dovuto aggredirti
così.
E
... anche te, Arthur. Scusatemi.»
«Va
tutto bene»
replico con un sorriso.
Jon
lancia
un’occhiata ad Art, che si stringe nelle spalle.
«Quello
che va bene
a Dam va bene anche a me. Ma non riprovarci.»
«Non
lo farò.»
Art
annuisce.
«Vado
a prenderti
qualcos’altro da mangiare» annuncia, e si allontana.
Io
e Jon restiamo
un attimo in silenzio.
«Come
fai ad
accettarlo?» chiede poi lui, sottovoce, sedendosi accanto a
me.
«Cosa?»
«Arthur
e
Charlotte.»
«Mi
ha assicurato
che è stato un errore.»
«E
tu ti fidi?»
«Certo.»
Jon
socchiude gli
occhi.
«Vorrei
potermi
fidare anch’io.»
«Verrà
con il
tempo.»
«Lo
spero proprio.»
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