dominance
Dopo una lunga pausa mi sono rimessa a scrivere, ed ho
partorito questo drammone natalizio.
Che dire, è un inizio..
E’ un po’ lungo, perché come al solito
il racconto mi si è allargato a dismisura tra le mani (non
ho il dono della sintesi) e ogni riferimento a pratiche mediche reali,
o tipiche del mondo di Naruto, è del tutto casuale.. ovvero
ho fatto a caso.
Buon Natale, in ritardo!
NODI IRRISOLTI
Sakura fece cadere il rotolo che reggeva in mano e lo lasciò
scivolare sopra la pila di carte che ricopriva la scrivania. Seguendo
un impulso si alzò di scatto, nervosa, e si
avvicinò alla finestra.
Era arrivata da diverse ore, prestissimo, che era ancora buio, dopo
aver trascorso un’interminabile notte insonne ed aver deciso
che preferiva aiutare l’hokage a sbrigare qualche scartoffia
piuttosto che continuare a rigirarsi nel letto in agonia. Aveva pensato
che il cambiare routine, che il fare qualcosa di nuovo potesse
aiutarla, ma l’inquietudine sembrava averla seguita fin
lì.
Doveva essere il Natale che si avvicinava: era da un po’ di
anni che diventava nervosa durante le feste, non sapeva bene il
perché, era solo che… Le sembrava di vedere tutti
felici, tutti accoppiati, e lei si sentiva inquieta, sola, amareggiata.
E’ questa la mia vita? Tutto qui?
Era una domanda futile, stupida, perché lei aveva tutto,
tutto, aveva ancora i genitori (e non era poco lì a Konoha,
soprattutto dopo la guerra), aveva un lavoro che amava, in cui era
piuttosto brava e da cui riceveva soddisfazioni, aveva amici che le
volevano bene. Non le mancava niente, e si vergognava di essere
così infelice quando c’era così tanta
gente che stava peggio di lei.
Forse era solo l’inquietudine del vivere, forse era solo
quella, e lei doveva ancora abituarcisi.
Ferma, in piedi, guardò le case, e il cielo limpidissimo, e,
più lontano, la familiare collina, nitida sullo sfondo, con
le forme abbozzate del nuovo hokage. Infine, quasi riluttante,
abbassò lo sguardo sulla strada che si stendeva dritta di
fronte a lei, due piani al di sotto, ora illuminata dalla luce pura
delle ore centrali del mattino, e diede un’occhiata,
distratta, alle persone che vi passavano velocemente, dirette
chissà dove.
Lo sguardo che vagava irrequieto si fermò di botto su una
figura lontana, indistinta, che si avvicinava lungo la strada.
Incapace di distogliere gli occhi iniziò a seguire con lo
sguardo quell’immagine che prendeva lentamente forma in
movimenti fluidi, eleganti, che qualcosa dentro di lei riconosceva.
Forse era solo uno scherzo della memoria che la portava ad immaginare
una figura alta, snella, dai capelli scuri e scompigliati, la schiena
dritta.
Rimase a fissare quell’ombra del passato fino a distinguerne
le forme, a riconoscere i lineamenti di quel viso non dimenticato, e
forse era solo il ricordo, forse erano solo i suoi occhi che credevano
di coglierne l’espressione, la calma apparente che celava un
grumo di emozioni pronto ad affiorare.
… Il suo ex compagno di team, l’ex traditore, ex
nemico, ex amico (se mai lo era stato), ex amore non corrisposto,
indelebile come la cicatrice di una ferita troppo profonda…
Era lui che si avvicinava, e una sensazione confusa, ma mai
completamente cancellata, le faceva battere più velocemente
il cuore nel petto.
Nostalgia, forse rimpianto, forse, ancora, desiderio.
– Sakura! –
La voce squillante di Naruto la riscosse.
Si allontanò di scatto dalla finestra ed entrò
nell’altra stanza. Naruto stava buttando all’aria i
plichi di carte che già si ammucchiavano disordinatamente un
po’ ovunque nella stanza, alla disperata ricerca di qualcosa.
– Dov’è? –
esclamò infervorato – tra poco arriva, cazzo!
–
– E’ qui, l’ho visto dalla
finestra –
– O cc… Ce l’ha? –
Lo guardò perplessa.
– Il cappello!–
– … No… Non ha niente in
testa –
– Però io lo voglio… Aiutami
a… Ah! Eccolo! – gridò trionfante
mentre tirava fuori da sotto un mucchio di rotoli il cappello, ora
malconcio, da hokage.
Mezza divertita e mezza spazientita, lo guardò mentre
cercava di sistemarlo alla bell’e meglio e se lo ficcava in
testa.
In fondo era da poco che era diventato hokage, poteva quasi capirlo,
quasi...
– Appena in tempo – borbottò
Naruto proprio mentre Sai entrava ad annunciare, assai formalmente (era
ancora piuttosto preso nella parte), l’arrivo
dell’otokage.
Sakura si riscosse.
– Vado a finire di là –
– No! Perché! Resta! – Naruto
si era seduto al di là della scrivania e cercava di mettere
in ordine le pile di carte, invano – Scommetto che il
bastardo ha tutto perfettamente allineato… –
borbottò sconsolato.
Lei fece per rispondere che era un po’ tardi, ora, per voler
sistemare la scrivania, ma in quel momento la porta si aprì
e Sasuke entrò, e la guardò.
Nonostante sapesse che era lui, nonostante fosse preparata, rimase
immobile, incapace di respirare, incapace di distogliere lo sguardo dai
suoi occhi neri, stanchi, tormentati.
Finalmente abbassò la testa, sconfitta, e come in trance
ascoltò, provò ad ascoltare mentre lui e Naruto
parlavano, di cosa, non sapeva.
– Sì ma Konoha è
più grande! – esclamava nel frattempo Naruto,
l’idiota – io sono un kage più
importante di te! –
– Se hai bisogno di compensare qualcosa…
–
– Cosa c’entra, bastardo! Non cercare di
sminuirmi solo perché sai che ho ragione! –
Due idioti.
E per un momento non riuscì a trattenere il principio di un
sorriso.
– Comunque non era quello che volevo dirti…
– borbottò Naruto dopo un po’
– E' che… Puoi sederti Sakura? Mi metti ansia
lì in piedi! –
Lei notò solo ora che Sasuke si era seduto. Si decise a
spostare l’onnipresente pacco di carte dall’unica
sedia libera e si sedette dalla parte di Sasuke, il più
lontano possibile da lui.
– Perché non torni a casa? –
buttò lì Naruto.
Sasuke non rispose ma lei si accorse che se ne stava seduto
più rigido, ora, accanto a lei. Lo guardò di
sottecchi. Se ci pensava non si erano neppure salutati. Non che si
sorprendesse, non erano in rapporti particolarmente amichevoli. Non
andava bene tra loro due.
O meglio, andava bene, benissimo.
Si parlavano (solo quando necessario), e interagivano correttamente
(freddamente). Forse era anche colpa sua, non lo negava, ma non sapeva
cosa fare, non sapeva come comportarsi, e non capiva perché
per loro fosse così difficile, perché per loro
non fosse possibile dimenticare tutti gli errori, tutte le ferite, e
diventare amici.
Perché Naruto sì e lei no?
Era perché lei non aveva creduto in lui, perché
per un momento lo aveva creduto perduto, perché una volta,
una sola volta aveva rinunciato a lui come tutti gli altri?
A volte le pareva come se la crudeltà di quel maledetto
incontro aleggiasse ancora tra loro.
– … E uniamo i due villaggi…
– continuava intanto Naruto, e poi si buttò a
spiegare, infervorato, che avrebbero potuto costruire un villaggio
nuovo, migliore, loro due, con un nuovo modo di fare i kage –
Potresti occuparti degli ANBU, e aiutarmi a prendere le decisioni
difficili e... –
– No –
– Ascolta prima di dire no! Potresti decidere cosa
fare con gli Uchiha! Ti ho detto che quando sarei diventato hokage
avrei sistemato le cose, e ci sto lavorando, ma spetta a te prendere la
decisione, dovresti essere tu quello che decide se rivelare il segreto!
–
Lei avvertiva, come un’onda di energia che le toccava la
pelle, il nervosismo di Sasuke, e non osava guardarlo.
– … E Itachi, Itachi sarebbe considerato
come merita, un eroe! –
Sentì prima di vedere la rabbia che Sasuke si sforzava di
trattenere, e forzò la mano che voleva appoggiarsi sul suo
braccio, rassicurante.
– No – e questo no conteneva una rabbia
repressa che anche Naruto doveva essere in grado di percepire, o almeno
lei lo sperava.
– No – ribadì Sasuke prima di
alzarsi – Se era solo di questo che volevi parlarmi qui me ne
vado, ci vediamo dopo –
– Aspetta! –
Ma Sasuke ovviamente non aspettava, e se ne andò sbattendo
la porta, evidentemente furioso.
__
Naruto rimase seduto dietro alla scrivania, circondato dalle pile di
scartoffie, le braccia allargate sopra di esse, il naso contro la carta.
– Secoo e peche così aabbiato?
– bofonchiò a fatica.
– Non ho capito niente, e mettiti composto che se
ti vede qualcuno… – Sakura lasciò la
frase a metà.
Finalmente lui si sollevò e si mise un po’
più composto sulla sedia, sistemandosi meglio il cappello da
hokage che gli era scivolato di sghimbescio e che aveva indossato per
fare il pagliaccio con Sasuke, invece di considerarlo un simbolo da
rispettare.
A volte Sakura si chiedeva se non fosse troppo presto per lui, se non
fosse ancora troppo giovane.
– Dicevo, perché si è
incazzato così? Pensavo fosse felice che chiamassi Itachi un
eroe! –
La guardava un poco preoccupato, sentendosi un po’ colpevole.
– Perché Itachi è un martire,
non un eroe – gli aveva risposto finalmente Sakura.
– Sì ma.. –
– Gli eroi fanno cose eroiche…
sterminare un clan non rientra in quelle – concluse in
fretta, brusca, perché quello era un argomento
tabù anche per lei, forse perché Naruto glielo
aveva taciuto, l’aveva tagliata fuori, impedendole di capire,
e forse semplicemente perché si trattava di una cosa
orribile, ed era stata fatta a Konoha, da loro, dal villaggio che lei
credeva diverso, migliore.
– … Sì, capisco…
– mormorò Naruto.
Lui faceva fatica a capire le sfumature, era vero, ma credeva di capire
cosa intendeva Sakura, o almeno sperava. Itachi era una vittima, i
genitori di Sasuke erano vittime, nessuno era un eroe, né i
morti ammazzati, né quelli che li avevano uccisi,
perché se uno dei due era un eroe, l’altro... Che
casino.
– E' tutto un casino… –
mormorò sconsolato – E fare l’hokage
è una gran rottura… Se lo sapevo, col cazzo che
lo facevo – sospirò rumorosamente, mentre guardava
avvilito la scrivania ricoperta di carte.
Fece per alzarsi, rovesciandone una pila – devo prendere un
po’ d’aria, continui tu intanto? –
– Non ci penso nemmeno! –
– Però oggi mi hai aiutato! …
Cioè… Pensavo fossimo un team! Potremmo diventare
una specie di… di… Triumvirato! –
piagnucolò indecorosamente – insieme siamo
invincibili! –
Ma Sakura era già alla porta. Da quando era diventata
così veloce?
– Lo dici solo quando fa comodo a te… E
poi al massimo vorresti un ‘duumvirato’ –
gli fece amara – tu e Sasuke, io sono fuori, come al solito
–
Si voltò a guardarlo prima di uscire, le labbra chiuse in
una piega amara.
Restò a fissarla a bocca aperta fino a quando lei non
richiuse la porta dietro di sé.
Improvvisamente si era reso conto che era da un po’ che non
la guardava, che non la guardava veramente. Da quando era diventata
così? Da quando Sakura era diventata una persona
così… triste?
Aveva creduto che tutto fosse a posto, aveva creduto che i suoi amici,
la sua famiglia, fossero salvi, che fossero felici, che fosse tutto
sistemato. E invece erano ancora così tristi, e amari.
Perché? Cosa aveva sbagliato?
Cosa poteva fare?
Si lasciò cadere sulla sedia con un tonfo e
scostò con il braccio tutte quelle cartacce inutili. Sul
piano della scrivania ora libero piazzò il suo ridicolo
cappello da hokage e di fianco ci appoggiò la guancia, le
braccia che scendevano inermi ai lati. Si sentiva un po’
triste anche lui.
____________
Sakura si era precipitata in strada, pentita di quelle parole acide che
Naruto non meritava, e neppure si accorse di Sasuke fino a quando lui
non le si parò davanti.
Aspirò l’aria, spaventata, e poi rimase muta,
immobile, a guardarlo. Le sembrava davvero stanco, preoccupato, e
aspettò con il cuore che le batteva all’impazzata
e non si voleva calmare.
L’avrebbe mai smessa di comportarsi come un’idiota
ogni volta che lo incontrava?
– Ho bisogno di un favore –
– Dimmi – fece uscire a fatica,
incredula. Sasuke aveva bisogno di lei?
– Mia figlia… Non sta bene… I
medici non capiscono cos’ha, se tu potessi darle
un’occhiata… –
– Certo! E’ qui a Konoha? Con
te?–
Lui accennò di sì e si avviarono lungo la strada
in silenzio.
Camminarono appaiati, e mentre lei domandava qualche dettaglio pensava
a lui, a quello che era diventato, a quello che sapeva di lui.
Sapeva che in qualche modo aveva trovato un equilibrio,
perché era un kage rispettato, giusto, e sapeva che non era
solo. Aveva una figlia di cinque o sei anni, e lei aveva superato da
tempo lo shock che la notizia le aveva procurato. L’aveva
anche vista un paio di volte, ma non la conosceva, e non sapeva bene da
dove fosse spuntata. Nessuno lo sapeva.
Sasuke dopo la guerra aveva vagato da solo per un paio
d’anni, ed un bel giorno era tornato a Konoha con un
fagottino in braccio.
Aveva chiesto aiuto a Tsunade, l’hokage di allora, e lei era
stata così folle da aiutarlo davvero. Era stato anche grazie
agli uomini che Konoha gli aveva assegnato che lui era riuscito a
riorganizzare e far rinascere il paese del suono e a creare un nuovo,
vero villaggio, e in pochi anni aveva già ripagato
abbondantemente Konoha per il suo aiuto.
I due villaggi ora erano molto uniti e la gente circolava liberamente
tra l’uno e l’altro. Naruto e Kakashi naturalmente
erano stati tra i primi ad aiutare, e con qualche intervallo si erano
fermati ad Otogakure, nel nuovo villaggio, per quasi un anno e mezzo.
Anche lei era stata lì, saltuariamente, ma si era fermata
ogni volta solo pochi giorni. Aveva lasciato uno dei suoi
più promettenti allievi ad aiutare ad organizzare
l’ospedale, e costui aveva deciso di restare lì.
Si fidava di lui, e se lui non sapeva cosa fare la situazione doveva
essere grave.
Si fermarono di fronte alla porta del piccolo alloggio in cui lui
risiedeva quando era a Konoha, e lui la guardò un momento
prima di aprire la porta. Sembrava esitante, una cosa così
poco da lui.
Non appena entrati lei si guardò intorno. C’era
una donna, probabilmente quella che si occupava della piccola quando
Sasuke era assente. Ora che ci pensava qualcuno gliene aveva parlato,
doveva essere una di Konoha che si era trasferita ad Otogakure.
Era una di quelle persone insignificanti di cui dimenticavi il viso
subito dopo averlo visto: corporatura media, capelli castani di media
lunghezza, volto comune. Sakura si ritrovò a sorridere
involontariamente, stupidamente sollevata, e non voleva neppure
iniziare a chiedersi il perché di quella reazione.
Spostò subito lo sguarda sulla piccola, seduta in poltrona.
Era pallida e minuta, più pallida e più minuta di
come la ricordava. Non sorrideva ed aveva gli occhi seri, scuri,
grandissimi.
Assomigliava così tanto a suo padre che la lasciava senza
parole ogni volta, e per l’ennesima volta si chiese se aveva
anche qualche tratto della madre, che lei, non avendo mai visto, non
poteva riconoscere.
– Come stai? – le chiese dopo essersi
avvicinata a lei.
– Bene – mormorò la bimba.
Lei si chinò fino ad essere alla sua altezza. Bene? Davvero?
Fiera e testarda come suo padre.
Le tastò la fronte e le fece alcune domande generiche.
La ricordava come una bambina normale, sorridente e vivace, e si vedeva
ad occhio nudo che non stava bene: sembrava come spenta.
Ascoltò mentre Sasuke le spiegava che da un mese la piccola
si indeboliva e dimagriva senza apparente ragione. Le analisi a quanto
pareva non avevano evidenziato nulla, sembrava tutto a posto.
– E’ meglio se la porti in ospedale
– mormorò infine – Qui non posso fare
niente –
__________
Sakura entrò in ospedale e salutò distratta gli
altri dottori mentre camminava.
Erano ormai passati un paio di giorni da quando la piccola, Mitsuko,
era stata ricoverata.
Ovviamente al momento Sakura aveva in mano solamente i risultati delle
prime analisi, le più superficiali, però qualche
cosa si sarebbe dovuto vedere, soprattutto per il fatto che si era
occupata personalmente dell’analisi manuale, tramite chakra,
e normalmente riusciva da subito a farsi una qualche idea. Era una
brava diagnosta.
Invece lì davvero sembrava tutto a posto, nessuna sbavatura,
nessuna alterazione. Avevano provato anche con il byakugan, e con lo
sharingan, niente.
Solo che qualcosa c’era.
Era preoccupata, non poteva negarlo, perché la bambina
sembrava deperire a vista d’occhio, e qualcosa doveva
esserci. Paradossalmente sarebbe stata meno preoccupata se fosse stato
qualcosa di grave, ma evidente, almeno avrebbe potuto fare qualcosa,
mentre al momento non sapeva che pesci pigliare.
E poi c’era Sasuke...
Il primo giorno, quando aveva visitato la bambina, gli aveva permesso
di assistere, benché di solito preferisse restare da sola
con il paziente, ma per qualche secondo aveva letto
l’angoscia nei suoi occhi stanchi, e come al solito era
debole, troppo debole quando si trattava di lui.
Subito dopo la visita lui l’aveva seguita fuori dalla stanza
per parlarle, e lei aveva spiegato, con il suo migliore tono
professionale, che al momento non era in grado di formulare ipotesi,
che avrebbero dovuto fare altre analisi.
Lui l’aveva guardata con una maschera impassibile che
l’aveva un poco scombussolata. Proprio per quello,
perché pensava di non meritarsi quella chiusura totale,
aveva parlato d’impulso.
– Ti fidi di me come medico? –
– Ti ho chiesto io di guardarla, mi pare
–
– Ti fidi di me… come persona?
–
Lui aveva continuato a guardarla freddo, distantissimo, e a quel punto
era crollata miseramente.
– So che i nostri r… rapporti non sono
dei migliori – aveva balbettato vergognosamente –
… Mi dispiace tantissimo, se è per
quella volta… Che… Che non riesci più
a fidarti di me, sappi che non mi sono mai perdonata di averti
ingannato, di avere provato a... –
Non era riuscita a proseguire, ma sapeva che lui aveva capito, e per un
momento le era parso di notare qualcosa negli occhi scuri di lui, prima
che la maschera tornasse al suo posto.
– Non so di cosa ti preoccupi – le aveva
risposto – Cosa dovrei dire io? –
– Ma tu… Tu non sapevi quello che
facevi! –
Era stato in quel momento che lui aveva sorriso, un sorriso appena
accennato che lo aveva reso meno distante, più reale.
– E’ questa la giustificazione che mi hai
dato? E tu? Non hai giustificazioni?… Non tormentarti per
cose che non hanno più importanza, hai fatto solo quello che
in quel momento ritenevi giusto –
– Non è quello che fanno tutti? Non
è quello che hai fatto anche tu? – Non
è quello che ha fatto Itachi? Ma questo, non aveva osato
dirlo.
– Forse sì… Ma sono i fatti
quelli che contano... I tuoi rimorsi sono privi di senso, io sono vivo,
non mi hai ucciso, e mi fido di te –
– … E allora... Perchè sei
sempre così distante? – aveva mormorato titubante.
– Mi sono solo adeguato – aveva risposto
lui, lo sguardo stanco, lontano –… Pensavo fossi
tu quella che non si fidava di me... Lo penso ancora…
–
Lei lo aveva guardato sconvolta e non aveva potuto rispondere, non
aveva saputo cosa rispondere. Era rimasta in silenzio ed aveva guardato
impotente mentre lui rientrava in stanza, da sua figlia.
__________
Sapeva che avrebbe dovuto parlargli ancora, sapeva che dovevano
chiarire quel… quel malinteso, ma ora non era il momento, in
fondo Sasuke aveva detto che si fidava di lei, e lei doveva riuscire a
trovare la causa di quella malattia. Non voleva neppure pensare alla
possibilità che la piccola morisse, che lui restasse solo,
ancora. Non riusciva ad immaginare tanto dolore, non voleva pensare a
cosa sarebbe stato di lui.
Non poteva accadere, era l’unica cosa che lui aveva, che gli
restava.
Non lo avrebbe permesso.
Si fermò davanti alla stanza per sbirciare attraverso la
finestrella che si trovava sulla porta.
C’era quella donna con la bambina, evidentemente Sasuke aveva
dovuto assentarsi, perché lui era rimasto seduto accanto a
sua figlia sempre, durante il giorno e per tutta la notte, senza
chiudere occhio.
Non sapeva come facesse.
Lo aveva guardato spesso dalla porta come guardava ora, ed aveva
provato un dolore così forte al pensiero di come dovesse
sentirsi lui, che alcune volte non era neppure riuscita ad entrare,
troppo scossa.
I medici imparano presto a distaccarsi da quello che vedono, e ancor
più lo imparano i ninja. Lei era ambedue le cose, avrebbe
dovuto essere capace di distacco, ma con Sasuke si era sempre trattato
di qualcosa di personale, non poteva farci niente. Provava compassione,
ma non quella superficiale di un cuore tenero di fronte al dolore,
quella vera, potente, di un cuore che sentiva in parte quello che
sentiva lui, e che avrebbe voluto così tanto sollevarlo,
almeno un poco.
Rimase a guardare, gli occhi stupidamente lucidi, mentre la donna
cercava di fare mangiare qualcosa alla bambina, che si rifiutava
ostinatamente di aprire bocca.
– Sembra buono – commentò
infine, entrando.
– Non ho fame –
Mentre lei controllava la cartella clinica che sapeva a memoria
(passava troppo spesso di lì perché potesse
sfuggirle l’esito di qualche esame), la donna insisteva e
cercava di convincere la bambina.
– Devi mangiare qualcosa – la redarguiva
con il cucchiaio in mano, pronto – o non guarirai mai, e il
tuo papà non sarà contento di te. Vuoi deluderlo?
–
La bimba si irrigidì e lei guardò seccata la
donna. Poteva riconoscere il buon intento dietro a quelle parole, ma se
davano fastidio a lei, poteva immaginare quanto fastidio potessero dare
alla bambina.
Non era colpevolizzandola che poteva farla mangiare, lo comprendeva
perfino lei che non ci capiva un’acca di bambini.
– … Che ne dici se ci provo io mentre la
tua baby sitter va a riposarsi? – buttò
lì.
La bambina annuì e l’altra la guardò
esitante – Il signor Uchiha non vorrebbe... –
iniziò.
– Insisto! Sono il medico che la cura, la lascia in
buone mani… Ma se preferisce chiamo Sasuke kun e gli chiedo
se va bene – e sorrise mentre metteva l’accenno su
quel modo informale di chiamarlo.
– Non occorre, so che Mitsuko è in buone
mani con lei, torno più tardi allora– si arrese
l’altra e finalmente si alzò, dopo aver appoggiato
il vassoio sul comodino.
La seguì con lo sguardo fino a quando non chiuse la porta
dietro di sé.
– Che… Che… –
cercò il termine più adatto per una bimba
– … Che befana!–
La bambina rise, una risatina sottile sottile, e lei si
sentì scioccamente orgogliosa di essere riuscita a farla
ridere.
Non si occupava spesso di bambini in ospedale, non era il suo campo, e
tantomeno ne aveva a che fare fuori di lì, per cui non
sapeva come si trattavano o come si parlava con loro. Si sentiva un
po’ impacciata. Non solo per il padre.
La guardò sorridente e le sistemò i cuscini sulla
schiena perché potesse rimanere seduta più
comodamente, e nel farlo notò i capelli lunghi e neri
pettinati con cura e fermati in una coda. Aveva visto Sasuke pettinarla
il giorno prima, e si era intenerita di fronte alla delicatezza di
quell’atto che in qualche modo non le era sembrato fuori
luogo, o strano. In qualche modo le era sembrato
così… Sasuke… quel dimostrare
l’attenzione e l’amore con dei gesti invece che con
le parole. Così da lui quel voler occuparsi di tutto, anche
delle cose minime, con efficienza e precisione.
Se pensava che c’era gente che lo considerava freddo,
incapace di amare.
– Ho notato che effettivamente mangi poco
– le fece sorridendo, cacciando quei pensieri – ti
manca l’appetito? –
La bimba la guardò incerta.
– Può essere importante. Dimmi tutto
quello che ti viene in mente, anche le cose che ti sembrano
insignificanti… –
La bambina guardò il vassoio, ed allacciò le
manine davanti a sé, in un gesto di difesa.
– Forse non hai fame, magari hai un po’
di nausea – suggerì incoraggiante.
– Ho fame ma… Dopo un po’ mi passa, ha
tutto un gusto… Cattivo… –
– Cattivo come? –
– Non lo so… –
mormorò avvilita la bambina – E' come quella volta
che ho bevuto un po’ di detersivo… Mi fa
vomitare... –
Questo era un sintomo. Ma di cosa?
– Vedi che hai fatto bene a dirmelo? Può
aiutarci a capire di cosa sei ammalata! Fammi rivedere la lingua
–
La piccola spalancò la bocca il più possibile e
le mostrò la lingua. Non aveva un colore strano, era un
po’ biancastra, tutto lì.
– Non è che la befana non sa cucinare?
–
La bambina ridacchiò, ma più debolmente di prima.
Stringeva il cuore vederla così debole.
– No, tutto quello che mangio, anche il gelato
–
– Va bene… –
sospirò lei – non preoccuparti, troveremo che
cos’hai e tornerai sana come un pesce, e il cibo
avrà di nuovo il suo buon sapore, e allora ti rimpinzerai di
gelati... –
– … Davvero? –
– Davvero –
La piccola alzò la testa e guardò davanti a
sé con due occhi stanchi spaventosamente simili a quelli del
padre.
– Perché mi sembra che non
passerà mai –
– Credimi, passerà – le
sussurrò accarezzandole i capelli.
– Se non passa… Morirò?
–
– Come ti vengono queste idee! No che non
morirai!–
Ma in quel momento si sentiva una bugiarda. Che ne sapeva lei. Sapeva
solo che Mitsuko era una bambina, che aveva appena iniziato a vivere,
che non conosceva ancora niente della vita, niente. Che aveva ancora
tante cose da scoprire, tante cose da vivere.
Che era tutto quello che restava a Sasuke.
La guardò pensosa: aveva quel pallore innaturale, da malata,
che accentuava le occhiaie scure sotto i bellissimi occhi. Gli occhi di
suo padre. Da grande sarebbe diventata bellissima, e lei voleva
vederla, quella splendida ragazza che ora era solo una bambina.
– Ha detto che morirò –
Sakura la guardò sorpresa.
– Chi? –
La bambina fissò la porta senza rispondere.
– Il papà? –
domandò inorridita, il cuore in gola.
Le fece segno di no.
– La… Befana? – come osava
quella... Quella befana! – Allora sta tranquilla, non ci
capisce niente, sono io il dottore! Ma cos’ha detto
esattamente quella strega? – befana era troppo poco.
– … Nana ha detto che il
papà… Se muoio…
sarà… tanto disperato… L’ho
sentita... –
Lei rimase in silenzio. Era evidente che la bambina aveva
origliato una conversazione che non doveva sentire, ma questo non
scusava quella donna. Avrebbe dovuto stare più attenta.
– Parlava con qualcuno? –
– Con qualcuno, non so chi, parlava piano ma io
l’ho sentita… Cercavo il papà, mi ero
svegliata… Ma dopo sono tornata a letto... –
– Lo hai raccontato a tuo padre? – le
pareva strano che Sasuke non avesse fatto niente, lei
l’avrebbe licenziata in tronco al posto suo, anzi, lei non
l’avrebbe proprio assunta. E non le importava di essere
esagerata o prevenuta.
– No. Lui ha tante preoccupazioni –
– Te l’ha detto la befana scommetto
– borbottò indignata – non badarle e
racconta tutto a tuo padre, fa male tenersi le cose dentro…
Anzi, facciamo così – continuò poi
– se ci sono cose che non puoi dire al papà le
dici a me, ok? –
E visto che la bambina pareva incerta e pensierosa, aggiunse
– C’è qualcosa? Hai qualche domanda? Non
trattenerti, sputa fuori –
– Perché le persone si ammalano?
–
Cavolo, questa era una domanda difficile.
– Ci sono diversi motivi, vediamo… Di
solito ci sono queste bestioline invisibili che aggrediscono il nostro
corpo, e se noi le incontriamo quando il corpo è un
po’ più debole, o se quelle bestioline sono molto
forti, ci ammaliamo – che spiegazione scema!
– Allora non è perché le
persone hanno fatto qualcosa? –
– Dipende. Qualcosa di che tipo? –
– Perché sono cattive? –
Due grosse lacrimone le scendevano sulle guance, e lei la guardava
agitata, senza sapere cosa fare. Doveva abbracciarla? Era troppo? Le
scostò un ciuffo di capelli dalla fronte e poi le
asciugò le lacrime con un fazzoletto, intenerita.
– No, non dipende da quello che uno fa, o
pensa… Le malattie capitano ai buoni e ai cattivi senza
distinzione – mormorò incapace di trovare parole
più adatte – ma a quali persone cattive pensavi?
– provò a chiedere – Qualcuno che
conosci? Una tua amica? Puoi dirmelo, perchè i medici devono
mantenere i segreti dei pazienti – non era esattamente una
bugia.
– Davvero? –
– Davvero… Basta che dici prima
"è un segreto", e sei a posto, io ho la lingua bloccata
–
Rimasero in silenzio e lei poteva quasi immaginare i pensieri, le
incertezze, che in quel momento passavano per la testa alla bimba.
Aspettò paziente, decisa a non insistere.
– E’ un segreto –
mormorò poi la piccola.
– Bene… Recepito... –
–… C’è una bambina
che… Voleva stare solo con il suo papà, e allora
ha fatto andare via quella che c’era prima…
–
Se non fosse stato che Sakura sapeva di che bambina si trattava non ci
avrebbe capito niente, ma supponeva che quella che c’era
prima fosse la tata che c’era prima di Nana, e non voleva
interrompere, avrebbe fatto i collegamenti dopo, sperava.
– … Non le piaceva– riprese la
bimba – … Le diceva sempre che aveva bisogno di
una mamma e le chiedeva sempre del papà... E poi quando
c’era il papà cercava sempre di parlargli e lo
guardava sempre e faceva la stupida... Alla bambina non piaceva
–
A dire la verità non piaceva neppure a lei questa tipa,
quasi era meglio Nana – Un po’ fastidiosa in
effetti – commentò – in fondo avrebbe
dovuto occuparsi della figlia, non del padre, continua... –
La vide che stringeva i pugni, un gesto che le ricordò suo
padre, ed aspettò paziente che facesse uscire quello che
l’angustiava così tanto.
– … Io…– ormai
aveva dimenticato di usare la terza persona – … Ho
detto ’spero che muoia’…–
restò rigida, in silenzio, e poi la guardò di
sfuggita, spaventata – camminavo con Nana e
l’abbiamo vista, e ha chiesto del
papà…Mi ha fatto arrabbiare, allora ho
detto… che speravo… così…
piano, ma Nana ha sentito e ha detto che è una cosa
o… orrenda, che è qualcosa nel… nel
mio sangue… Allora forse è quella che mi fa stare
male...–
Di sicuro con questo la cara Nana si era giocata il posto, almeno per
quanto la riguardava.
– Nana è una befana, cosa vuoi che ne
capisca… Sapessi a quanti ho augurato la morte io!
– minimizzò – Certe volte perfino a
Naruto, che è più di un fratello per me, ma
continuava a parlare, e parlare, e avevo un mal di testa! E sai il
segreto… Sono solo parole stupide, un po’
sciocche, ed è meglio non dirle, ma significano solo che in
quel momento quella persona ci sta un po’ sulle scatole, e
tutti ci stanno sulle scatole a volte… E quella signorina
era lì per stare dietro a te, mica per fare gli occhi dolci
al tuo papà, per cui ti capisco perfettamente, ecco!
–
Mentre parlava si rendeva conto che probabilmente quelle non erano le
cose giuste da dire, che non era stata per niente educativa, ma non
aveva alcuna esperienza in materia di educazione infantile ed aveva
seguito l’istinto. Chi lo sapeva che fosse così
difficile parlare con i bambini! E cosa potevano dire loro, gli adulti,
che le persone le uccidevano davvero… E cosa poteva dirle
lei, che aveva provato ad uccidere suo padre perché non
credeva più in lui?
Almeno la bambina aveva sorriso… Prima di scoppiare a
piangere… Così, all’improvviso. E
adesso lei non sapeva proprio che fare.
Non restava che continuare ad affidarsi all’istinto.
Si chinò su di lei e la strinse a sé.
– Non è niente, davvero –
sussurrò.
– Non voglio più che il papà
stia soltanto con me… – fece uscire la bambina tra
i singhiozzi – Non voglio che sia disperato per colpa mia!
–
– Non preoccuparti, non succederà,
vedrai… –
Si ritrovò a parlare dolcemente, la bambina che singhiozzava
tra le sue braccia, e continuò a parlare, a confortarla,
fino a quando questa non si calmò un poco.
Nel frattempo pensava che doveva fare qualcosa, che doveva triplicare
gli sforzi, trovare un sistema, trovare una cura, perché
quelle parole, quelle promesse, non potevano rivelarsi solo vuote bugie.
Se la bambina stava male c’era un motivo, e lei lo avrebbe
trovato.
Aveva continuato ad abbracciarla fino a quando la bimba non si era
addormentata, e poi aveva aspettato seduta lì accanto che
tornasse Sasuke.
– Si è addormentata
–sussurrò facendogli segno di uscire.
Uscirono insieme dalla stanza e gli parlò di Nana. Non gli
raccontò tutto, gli fece solo notare che non le piaceva e
non le pareva adatta.
– Neppure a me piace molto, ma ha delle ottime
referenze, e sono stanco di cambiare tata –
– Qui in ospedale non c’è
bisogno di lei, lascia che ci pensi io a Mitsuko quando tu non puoi
–
Sasuke stranamente aveva annuito. Per uno che doveva decidere
sempre tutto da solo era quasi un miracolo.
__________
Sakura si era immersa nelle ricerche con rinnovato vigore, aveva
predisposto nuove analisi, aveva fatto ripetere quelle già
fatte, ed aveva controllato più volte la bambina
personalmente, ma i giorni passavano e loro non venivano a capo di
niente.
Sasuke stava accanto alla figlia giorno e notte e le si stringeva il
cuore quelle volte in cui li sbirciava dalla finestrella della porta,
la bimba che dormiva e lui sveglio, seduto, che le stringeva la mano,
un paio di rotoli nell’altra mano, perché comunque
era l’otokage, aveva degli obblighi da espletare.
La bambina era dimagrita ancora in quei giorni, nonostante lei si fosse
premurata di farla mangiare personalmente (e non con i metodi di Nana).
Ora Sakura non si sentiva più impacciata con lei,
perché non era più una bambina per lei, era
Mitsuko, con i suoi sorrisi un po’ stanchi e le domande
improvvise, la sua Mitsuko.
E quando si fermava lì e Sasuke era con loro, seduto nella
poltrona che lei aveva fatto sistemare al posto della sedia,
apparentemente preso dalle sue carte, lei provava una strana sensazione
di completezza, di appagamento, che non riusciva a comprendere
pienamente.
Si sentiva a casa.
Poi pensava alla malattia e ripiombava nella realtà.
E la realtà era che non capivano cosa avesse, che la
vedevano spegnersi a poco a poco senza poter fare niente.
Ormai tornava a casa raramente. Se ne stava reclusa in ospedale, a
volte anche l’intera notte, nel tentativo disperato di
risolvere quel puzzle.
A volte lei e Sasuke parlavano, a volte di cose senza significato, a
volte gli chiedeva qualcosa della bambina, ed in quel modo veniva a
sapere qualcosa di lui.
La madre della bambina non aveva importanza, le aveva spiegato un
giorno, quando la piccola dormiva (dormiva sempre più
spesso). Era stata solo un altro errore, di quando vagava senza meta e
cercava di sentirsi vivo in qualche modo (invece di tornare da loro, da
lei… Stupido… Stupido).
Sasuke aprì gli occhi che gli si stavano chiudendo e
guardò sua figlia.
Sua figlia.
Dormiva e minuscole gocce di sudore le imperlavano la fronte.
Era così pallida, così fragile.
Come la prima volta che l’aveva vista.
Una donna gliel’aveva messa tra le braccia, bruscamente,
sostenendo che era sua, e che dato che la madre non la voleva avrebbe
dovuto occuparsene lui.
Era rimasto paralizzato, incantato a guardarla, il cuore che batteva
forte, come non gli batteva da tempo, come non gli era mai battuto,
neppure quando era nell’apice della battaglia e sentiva
scorrere l’adrenalina, neppure nell’euforia, venata
di follia, dei suoi momenti più bui.
Così piccola. Così fragile.
Aveva paura di romperla, di farle del male.
Sua figlia.
Aveva continuato a guardarla imbambolato per
un’eternità.
Non aveva mai creduto all’amore a prima vista, ma in quel
momento aveva capito che da qualche parte un pezzo di cuore doveva
essergli rimasto, perché sapeva che avrebbe amato e protetto
quella creatura con tutte le sue forze, per tutta la vita.
Lei lo aveva ripagato con un amore che sfiorava l’adorazione,
che lui non meritava. Lo aveva ripagato dandogli uno scopo, un motivo
per ricominciare, qualcosa in cui credere… Una nuova vita.
Avrebbe dato tutto per lei, tutto.
E invece doveva rimanere lì, a vederla soffrire, senza poter
fare niente, ed era un peso che lo trascinava giù,
giù, in un luogo in cui si faceva fatica a respirare, si
faceva fatica a vedere, in cui c’era solo il vuoto.
Aveva fatto di tutto per garantirle un’esistenza felice,
spensierata, sicura, ma non era bastato.. Non bastava. Non bastava mai.
Tutta la sua forza, tutti i suoi poteri, non erano niente…
Lui non era niente, era impotente, completamente impotente, come
sempre, come sempre.
E mentre restava lì a guardarla, la vita che le sfuggiva a
poco a poco, come se all’interno di lei una fiamma non
alimentata si stesse spegnendo, sentiva che il calore, la vita,
lasciavano a poco a poco anche lui.
Era meglio non avere un cuore, meglio non sentire niente.
Sono stanco di svegliarmi ogni volta in un incubo, non voglio
più… Almeno una volta, una sola volta…
E non sapeva più se stava pregando, e chi stava pregando.
Perché se c’era un Dio che lo puniva in quel modo,
invece di fare ammalare lui, invece di uccidere lui, allora era un Dio
cui lui non aveva niente da dire.
– Ti prego… –
mormorò ugualmente mentre allungava la mano e le sfiorava la
fronte sudata (sudava sempre di più) – ... Non
lei… –
Perché lei era la luce nel suo mondo buio, il suono nel suo
mondo sordo, i colori nel suo mondo grigio… Lei era quel
pezzetto di cuore che credeva di non avere più, quella parte
di anima che ancora gli restava.
Lei era tutto quello di bello e di buono che c’era al mondo,
che lui aveva al mondo, e attraverso di lei tutto acquistava un senso,
tutto diventava nuovo, tutto ricominciava.
– … Ancora un poco... –
sussurrò, e non sapeva nemmeno lui cosa volesse dire.
– Sasuke... –
Non si voltò, riconosceva la voce. Era Sakura.
Naruto era venuto spesso a trovare la bambina, e la faceva ridere con
le sue smorfie e le sue battute stupide, ma Sakura, Sakura era sempre
lì. Si chiedeva se dormisse.
E non capiva, perché non era sua figlia, non era niente per
lei.
Sentì la sua mano sulla spalla, dapprima esitante, poi
più sicura. Non si scostò, non ne aveva la forza,
e lei lasciò la mano lì, il calore della sua
pelle che lo ancorava a terra, che lo faceva sentire vivo, che la
rendeva viva, reale, così reale.
Mentre tutto il resto era solo un brutto sogno.
– Dimmi Sakura, morirà? – le
chiese in un soffio.
Lei esitava, e lui sapeva il perché, sapeva che lei voleva
dirgli di no, voleva giurargli che non lo avrebbe permesso, che
l’avrebbe salvata, ma non riusciva a fare uscire quella che
temeva fosse una bugia.
– Non mentirmi anche tu, ti prego, sono vissuto di
troppi segreti e bugie –
– … Non è ancora detto
– si decise a rispondere lei – Farò di
tutto per impedirlo, credimi –
– Le ho promesso che l’avrei protetta,
che niente le sarebbe accaduto... –
Lui non aveva aggiunto altro ed erano restati ancora così
per alcuni secondi. Sentiva la mano di lei sulla spalla che si muoveva
appena e lo accarezzava lentamente.
Quando si voltò a guardarla, con uno sguardo stanco, vuoto,
lo sapeva, lei lo fissò a sua volta con gli occhi lucidi,
pieni di calore, pieni di... affetto.
D’istinto si irrigidì, lo sguardo di nuovo freddo,
distante. Ma lei, invece di ritrarre la mano, l’aveva
lentamente sollevata per scostargli un ciuffo di capelli dagli occhi.
Aveva un tocco leggero, e le sue dita avevano lasciato
un’ombra di calore nel punto in cui lo avevano sfiorato.
Lottò contro la tentazione di chiudere gli occhi ed
abbandonarsi tra le sue mani.
– Non perdere le speranze, non ancora –
gli sussurrò, e probabilmente perché lui non si
scostava e le permetteva di toccarlo, lei scese con le dita ad
accarezzargli la guancia – per quel che serve, io ci sono
– gli mormorò – … Ci sono
sempre stata, anche quando non sembrava, quando non mi vedevi, non lo
sentivi, ho sempre pensato a te…Sempre…
–
Sasuke chiuse gli occhi, e quasi poteva immaginarla, lei che pensava a
lui, che si preoccupava per lui quando lui era perso, quando lui
brancolava nel buio, solo, completamente solo.
– ... Lo so – mormorò.
Aprì a fatica gli occhi e la guardò. Rimasero a
fissarsi per un momento sospeso, un filo invisibile che in quel momento
li univa.
Poi Sakura lasciò che lui le scostasse la mano senza
protestare, e rimase a guardarlo (sentiva il suo sguardo su di
sé) mentre si voltava verso sua figlia, e le prendeva la
manina fredda sulla sua, così piccola al confronto.
__________
– Cosa fai a Natale? –
Le parole di Ino la fecero ritornare al presente.
Stavano mangiando qualcosa, in fretta (almeno lei), perché
dovevano tornare all’ospedale e riprovare per
l’ennesima volta a ricontrollare gli ultimi esami, ormai non
sapeva neppure più perché. Era diventata
un’ossessione.
Sembrava un’infezione del sangue, qualcosa di simile, era
l’ipotesi più probabile, ma nel sangue non
c’era niente, era tutto a posto, tutto normale.
Figuriamoci se aveva il tempo di pensare al Natale che si avvicinava.
– Andrò dai miei suppongo, come ogni
anno – si decise a rispondere.
– La sera pensavo di fare una festicciola tra
amici, che dici? Fa anche rima –
Come se lei avesse voglia di festeggiare.
Se fosse stato per lei il giorno di Natale lo avrebbe passato in
ospedale, con Mitsuko, con Sasuke.
Anzi, probabilmente avrebbe fatto così.
Non appena rientrata in ospedale passò davanti alla porta di
Mitsuko e sbirciò dentro la stanza, come
d’abitudine.
Invece dell’immagine cui era abituata (un’immagine
che amava e contemporaneamente l’angosciava), c’era
Nana, con dei dolcetti in mano che sapeva essere i preferiti della
bambina.
Sasuke l’aveva licenziata, ma Nana veniva lo stesso a trovare
Mitsuko, e ogni volta le portava un regalino che mettevano sotto il
piccolo albero di Natale che le avevano sistemato accanto al letto, e
poi le offriva quei dolcetti, nell’evidente tentativo di
farle mangiare qualcosa.
L’aveva malgiudicata, perché si mostrava davvero
disinteressata e preoccupata, e un poco si sentiva in colpa per averla
fatta licenziare.
Proseguì senza entrare e solo più tardi
ripassò davanti alla stanza.
Naruto ridacchiava con la bambina che lo guardava, seduta con un
cuscino che le sorreggeva la schiena, e sorrideva appena, sempre
più pallida. Sembrava ancora più stanca del
solito.
Sasuke se ne stava seduto nella solita poltrona, accanto a lei, e la
guardava con tanto amore e preoccupazione che a lei si stringeva il
cuore.
Distolse lo sguardo e notò la metà mangiucchiata
di uno dei dolcetti nel cestino. Almeno un pochino ne aveva mangiato.
Finalmente si decise ad entrare, con il suo sorriso migliore, quello
pieno di sicurezza ed ottimismo, che sfornava appositamente per loro,
perché non pensassero che fosse preoccupata,
perché non perdessero le speranze, non ancora.
Spedì i due uomini fuori dalla stanza… Anche tu,
Sasuke… Aveva dovuto specificare, perché voleva
visitarla ancora una volta. Più tardi lo avrebbe anche
costretto a tornare a casa per riposarsi un pochino, era sfinito.
Fece scorrere il chakra sulle braccia della bambina con
un’attenzione infinitesimale, alla ricerca di un segnale, di
un indizio.
– Fammi vedere le dita –
Le punte delle dita erano arrossate, era qualcosa che aveva notato
anche prima senza riuscire a dargli una spiegazione plausibile. Adesso
le parevano anche gonfie, e in una c’era una piccola puntina
rossa, un petecchia quasi invisibile. Le suonò un
campanello, qualcosa che forse aveva letto una volta, ma non riusciva a
ricordare, e forse lo immaginava solo.
Non riusciva a capire, non ancora.
Spossatezza, dimagrimento, sapore sgradevole in bocca,
estremità delle dita gonfie e arrossate. Aveva fatto tutti i
controlli possibili ma non si trattava di alcuna malattia conosciuta,
non da lei almeno. Petecchie. La fece spogliare e controllò
ogni millimetro del suo corpo. Niente, niente di niente. Avrebbe
ricontrollato più tardi.
– Sei stanca? – le chiese mentre
l’aiutava a rivestirsi.
Niente febbre, sudorazione eccessiva.
– Un po’ –
Parlava e si muoveva sempre meno, notò agitata.
– Allora dormi, resto io qui con te, ti va?
–
Quando Sasuke e Naruto erano tornati la bimba dormiva, e lei
riuscì a convincere Sasuke a tornare a casa, con la promessa
che sarebbe restata lei lì, con Mitsuko.
– Vado a farmi una doccia e torno –
mormorò lui, così stanco che gli occhi gli
stavano aperti a fatica.
Era tornato decisamente troppo presto, ma lei nel frattempo aveva fatto
stipare nella stanza un letto in più. Lo aveva proposto
altre volte, ma lui aveva sempre rifiutato.
– Almeno dormirai un po’ – gli
spiegò – una poltrona non è come un
letto –
Lui non aveva risposto, si era sistemato nella solita poltrona ed aveva
iniziato a leggere le carte che si era portato dietro.
Andò a casa anche lei alla fine, a riposare, non
c’era niente che potesse fare, niente. Tanto valeva dormire e
recuperare forze. Magari dopo un bel sonno riusciva a ragionare meglio,
magari le veniva qualche idea.
Una volta a casa pensò che non aveva neppure preparato uno
straccio di albero di natale, non ne aveva avuto il tempo.
La buttarono giù dal letto che non era ancora mezzanotte: la
bambina era improvvisamente peggiorata.
Corse sopra i tetti delle case illuminate dalle luci natalizie senza
quasi vederle, e il freddo della notte invernale dissipò i
rimasugli di sonno. Arrivò in ospedale perfettamente sveglia.
C’era il caos nella stanza.
Mitsuko era in preda a convulsioni e Sasuke era fuori di sé,
lo sguardo disperato di un animale braccato. L’infermiera ed
il medico urlavano, non sapeva bene perché e non le
importava.
Mandò fuori tutti e si mise al lavoro. Con sottilissimi fili
di chakra sfiorò i centri nervosi del cervello di Mitsuko
fino a quando non riuscì a sedarla, e subito dopo
controllò il battito del cuore. Lento, troppo lento.
Provò a farlo accelerare con il chakra. Se solo avesse
capito!
– Non morire non morire non morire –
sussurrava spaventata – non puoi morire –
Controllò ancora le punte delle dita: erano piene di
petecchie.
Fu in quel momento che qualcosa le scattò in testa.
Si trattava di qualcosa che aveva letto tanto tempo fa. Qualcosa di
raro, qualcosa che non esisteva più da decenni.
Improvvisamente i pezzi di puzzle si incastrarono e lei sapeva
esattamente di cosa si trattava.
Un testo che aveva creduto inutile, letto per pura
curiosità. Un veleno. Un veleno rarissimo, introvabile.
Quasi solo una leggenda.
Avrebbe dovuto capirlo prima, avrebbe dovuto…
Si precipitò fuori dalla porta , e mentre correva al
laboratorio urlava ordini a tutti quelli che incontrava. Non sapeva
come curarlo, non ancora, ma poteva bloccarlo, e questo le bastava. Se
lo sarebbe fatto bastare.
Quasi un’ora dopo, un tempo lunghissimo, troppo, troppo
lungo, era lì che faceva bere la pozione alla bambina
esanime.
Con l’aiuto di altri tre medici, per fare più in
fretta, ricoprì il corpicino di minuscoli segni. Un sigillo
potente, il più potente.
Più tardi appoggiò il capo un momento sul bordo
del letto, spossata. La bambina dormiva e avrebbe continuato a dormire
fino a quando non trovavano una cura, e il suo cuore batteva lento, ma
regolare.
Chiuse gli occhi e sentì una mano sulla spalla. Stava bene
così, con gli occhi chiusi e la mano di lui sulla spalla.
Dopo alcuni minuti aprì gli occhi e lo guardò.
Sasuke sembrava aver ripreso il controllo per il momento, e lei avrebbe
voluto dirgli di non togliere la mano, di toccarla, di toccarla ancora,
ma non osava.
– Finalmente ho capito. Abbiamo fermato
il… il male, non corre più pericolo di vita
immediato – spiegò.
Si sollevò e guardò di sfuggita il corpicino
immobile nel letto – Ora dovrò farle un altro
prelievo del sangue, ma sarà l’ultimo. Dobbiamo
riuscire a scovarlo, a trovare una specie di liquido di contrasto per
stanarlo. Se lo vedo posso toglierlo... Ora vado in laboratorio, voglio
visionare di persona le ricerche – arrivò fino
alla porta e si fermò – Adesso posso dirti che
guarirà. Lo so –
Aveva appena finito di parlare e stava per fare un passo oltre la
soglia, quando lo sentì dietro di sé, il respiro
di lui che le aleggiava sul collo. Così vicino.
Un ricordo, una sensazione che non aveva mai dimenticato la
immobilizzò, ed un lungo brivido le passò lungo
il corpo.
– Sakura… Grazie –
Non rispose nulla, non ne era in grado, non aveva voce. Una potente
ondata di nostalgia le impediva di farla uscire. Nostalgia per un tempo
in cui erano innocenti, in cui ancora pensavano che tutto fosse
possibile, che i loro sogni fossero possibili, che la forza del loro
desiderio fosse sufficiente.
Si sentiva le gambe molli, e c’erano due stupide lacrime che
le scendevano sulle guance.
Ti amo ancora, pensò.
Ma non fece uscire quelle parole stucchevoli, ridicole, ed in qualche
modo riuscì ad uscire dalla stanza e a camminare, aveva
così tante cose da fare.
Prima di entrare in laboratorio diede un’occhiata al tempo
attraverso la finestra del corridoio. Era quasi l’alba e lei
non aveva chiuso occhio.
Il sonno poteva aspettare.
Mentre iniziava a controllare di persona i campioni di sangue, con
l’adrenalina che non le faceva neppure sentire la stanchezza,
fece chiamare Naruto. Lei non poteva muoversi, non ne aveva il tempo,
per cui, hokage o non hokage, avrebbe dovuto muovere le chiappe lui.
Tre quarti d’ora ed era finalmente arrivato, sbadigliando e
stropicciandosi gli occhi. Ma qualcuno doveva avergli comunicato le
ultime novità perché aveva un sorrisone che gli
arrivava da un orecchio all’altro.
– Lo sapevo che ce l’avresti fatta
– le disse non appena la vide – Ora vado dal
bastardo… –
Non gli diede il tempo di muoversi, lo prese per il braccio e
si chiuse con lui nel suo studio, a parlare.
– Avvelenata? Ma sei sicura? –
– Sì che sono sicura! –
Naruto ora era perfettamente sveglio, e la guardava con
un’espressione seria e preoccupata. Restarono per qualche
minuto in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri.
– E’ stata Nana, non può
essere stata che lei – riprese lei – ho fatto
portare via i dolci avanzati che voleva far mangiare a Mitsuko, e li
stiamo esaminando, ma non possiamo aspettare. La devi far arrestare
subito, prima che Sasuke lo scopra, devi tenerlo lontano da lei, o la
ucciderà –
Anche se onestamente l’istinto omicida era venuto anche a
lei. Solo che lei pensava, mentre Sasuke agiva.
– Ma… Perché lo avrebbe
fatto? –
Sakura continuò a guardare fuori dalla finestra: la luce
fredda del mattino iniziava ad illuminare le case e la luce fredda,
irreale, rispecchiava i suoi pensieri.
– Non lo so – ammise – ma so
che lei è di Konoha, forse qualcuno l’ha pagata,
qualcuno che odia a tal punto Sasuke... – si
fermò, gli occhi di nuovo pieni di lacrime. Doveva essere la
stanchezza, perché non piangeva così tanto di
solito. Non più. Ma in fondo la fonte delle sue lacrime era
sempre stata una, no? Perché sorprendersi.
– Non pensavo che fosse così odiato, non
così tanto cioè – spiegò.
Quel pensiero la angosciava enormemente – Neppure Itachi era
così odiato, e Itachi ha sterminato donne e
bambini… Sasuke, qualunque fossero le sue intenzioni, alla
fine non ha fatto niente, anzi, ci ha aiutati… Gli unici che
potrebbero avercela siamo noi due se ci pensi… E poi, far
del male ad una bambina… Non capisco, è per via
degli Uchiha? –
– Ma no, Sakura! Non lo odiano, lo so!
All’inizio qualcuno era un po’ spaventato, ti
ricordi? – minimizzò enormemente – Ma
è passata ormai! Ormai c’è solo qualche
vecchio che brontola! Secondo me è stato uno un
po’ via di testa, anzi, di sicuro è stato un
pazzo, non c’è altra spiegazione…
Avrà pagato la tata per avvelenarla, o magari le ha
spacciato il veleno come una medicina, qualcosa del genere…
Quando avrò fatto interrogare quella donna da Ibiki
scopriremo chi è e perchè, e tutto
sarà finito, ok? –
Lei lo guardò dubbiosa, ma quando c’era di mezzo
Sasuke non era mai interamente lucida, e doveva fidarsi di Naruto,
perché lui vedeva con più chiarezza di lei, e
perché voleva che avesse ragione lui, lo voleva a tutti i
costi.
Dopo essersi asciugata gli occhi con un fazzoletto si lasciò
abbracciare e abbassò le palpebre pesanti sentendosi
finalmente più tranquilla. La stanchezza le stava piombando
addosso, non riusciva a ragionare, doveva affidarsi a lui.
Non poteva che essere un pazzo, o un mitomane.
__________
Pochi minuti dopo l’hokage se ne era andato e lei era di
nuovo al lavoro.
Ora che sapeva cosa cercare non era poi così difficile, i
veleni erano la sua specialità in fondo.
Si era completamente immersa nel lavoro, e ad ora di pranzo si era
finalmente aperto uno spiraglio: le analisi avevano confermato la
presenza di un veleno nei dolci, e soprattutto promettevano di
rivelarsi preziose per sconfiggerlo.
Erano quasi le tre quando si era decisa a lasciare proseguire gli
altri. Erano a buon punto e lei doveva assolutamente riposarsi, e
mangiare qualcosa, ormai non ci vedeva più.
E poi c’era un’altra cosa da fare, una cosa che
l’angustiava: doveva parlare con Sasuke.
A questo punto doveva essere informato, ormai avevano le prove e quella
donna era al sicuro e sotto interrogatorio, non avevano più
scuse per rimandare.
Ne aveva parlato brevemente con Naruto quando era passato a dirle le
ultime novità, ed era stato proprio lui a sostenere che non
potevano aspettare e ad insistere per fare in fretta: Sasuke aveva il
diritto di sapere, soprattutto non potevano rischiare che lo venisse a
sapere per caso, da terzi.
Sakura aveva chiesto di poter essere lei ad informarlo, non
perché avesse chissà quale diritto, ma
perchè le pareva di essere più adatta, le pareva
che ci fosse un legame tra loro due ora, magari flebile, ma evidente.
Prima di chiudersi nello studio lo mandò a chiamare, inutile
rimandare.
Arrivò prima il cibo, abbastanza per un reggimento, e aveva
già iniziato a mangiare quando lui entrò. Lo fece
sedere di fronte a sé e gli mise davanti un piatto.
– Mangia –
Mangiarono in silenzio per alcuni minuti.
– Volevi dirmi qualcosa su Mitsuko? –
interruppe il silenzio lui.
Lo guardò pensosa. Sapeva che aveva ragione Naruto, che non
dovevano esserci più segreti e bugie tra loro, e che non
dovevano esserci più segreti e bugie a Konoha, ma lui era a
pezzi ora, gli occhi cerchiati di scuro, troppo stanco per mantenere la
perfetta maschera di indifferenza.
E ugualmente così bello…
Cincischiò ancora un poco con il cibo, sempre meno sicura.
Forse doveva aspettare che lui si riprendesse, che riposasse un poco.
Forse così rischiava di risvegliare qualcosa, o di spezzare
qualcosa, di spezzare un equilibrio.
– C’è qualcosa che devo
sapere, Sakura? –
Ormai il dado era tratto, non poteva più rimandare.
Fissò lo sguardo davanti a sé, in un punto del
muro alla destra di Sasuke, un poco spaventata. Non intendeva parlare
di Nana, ma lui non era stupido, avrebbe subito capito chi era il
colpevole.
– Prima non te l’ho detto…
– iniziò titubante – ma ho scoperto che
quella di Mitsuko non era una malattia… –
– Cosa vuoi dire –
– … Si tratta di un… veleno
–
Fatto.
Lo guardò col fiato in gola mentre la fissava a sua volta
dapprima incredulo, poi consapevole, infine furioso.
Sakura si precipitò fuori dalla sedia, verso di lui, nel
momento in cui lui si alzava di scatto.
– E’ già in prigione, la
stanno interrogando! – quasi urlò.
Nella foga lo prese per il braccio per fermarlo, e si rendeva conto che
lui la guardava senza vederla, lo sharingan involontariamente attivato,
accecato dalla rabbia.
– Lasciami, Sakura –
Senza darle il tempo di ribattere le scostò la mano e si
avviò alla porta.
Ma lei non poteva lasciarlo, non poteva permetterlo… Non
sopportava di vederlo così. Col cuore che batteva
all’impazzata gli si gettò contro e lo
abbracciò da dietro.
Si appoggiò a lui, stringendo con tutte le sue forze, e
poteva sentire il calore della sua pelle attraverso il tessuto della
maglietta, e forse anche il battito impazzito del suo cuore, che
eguagliava il suo.
Restarono immobili per alcuni secondi interminabili.
– Non sono riuscito a vedere, come sempre. Non sono
riuscito a proteggerla –
– Non dire così, non dire
così – sussurrò senza smettere di
stringerlo a sé – lei starà bene,
presto… Solo questo conta, solo i fatti contano, il resto
non conta… –
Sentì la mano di lui sopra alla sua, che cercava di
staccarla, di liberarsi, ma lei non poteva lasciarlo andare, era
terrorizzata all’idea di quello che lui poteva fare,
all’idea che lui potesse perdere il controllo, che potesse
andarsene di nuovo.
Prima che lo facesse, prima che lui agisse, lei sciolse
l’abbraccio e con uno scatto gli si parò davanti,
pronta a sbarrargli la strada.
Ma lui non si muoveva, guardava a terra, gli occhi nascosti dai
capelli, e lei aveva bisogno di vederli, di vederlo, di sentirlo.
–Sasuke… – mormorò
scostandogli i capelli, accarezzandogli il viso, e ancora i capelli
– Sasuke... –
Lo abbracciò ancora, e non le importava se lui non
rispondeva al suo abbraccio mentre affondava il viso sul suo collo, e
poi gli baciava il mento, e la guancia.
I loro cuori battevano ancora all’impazzata,
all’unisono, e lei non sapeva cosa le fosse preso, doveva
essere ebbra di stanchezza, perché non ragionava
più, agiva, e basta, mentre gli baciava le labbra.
Per alcuni infiniti minuti non pensò più a
niente, non esisteva più niente, solo loro due che si
baciavano.
Avvertiva il bisogno bruciante che aveva lui, se lo sentiva addosso, e
non le importava se era contro il muro, se non c’erano
carezze, se non c’era amore. Perché in quel
momento avrebbe fatto qualsiasi cosa per farlo stare bene, qualsiasi
cosa.
E i loro corpi premuti, la pelle di lui contro la sua pelle, le davano
una nuova ebrezza.
Anche lei lo voleva, anche lei aveva bisogno di lui, qui, ora.
__________
Presto, troppo presto, erano stati interrotti da qualcuno che bussava
con insistenza alla porta e chiamava.
Si erano staccati a fatica e ricomposti in fretta, e Sakura aveva
aperto con la sensazione di avere scritto in faccia quello che stavano
facendo.
– Ce l’abbiamo! –
urlò il giovane dottore alla porta, gli occhi che gli
brillavano per la contentezza, perché ce l’avevano
fatta, e perché sapeva quanto era importante per lei.
Sakura tornò di corsa al laboratorio, non prima di aver
avvisato Sasuke che doveva andare da sua figlia, che presto, forse, si
sarebbe svegliata.
Scoprì che uno degli antidoti che stavano provando, un
antidoto per un veleno vagamente simile, su cui non avevano riposto
grandi speranze, aveva fatto effetto. Un effetto limitato,
insufficiente, ma, ed era quello che più importava, con esso
Sakura era in grado di riconoscere attraverso il chakra le cellule di
veleno, e scinderle dal sangue.
Subito dopo erano dalla bambina, e lei iniziò ad estrarre il
veleno, goccia a goccia. Si sentiva euforica.
– Vedrai, dopo starà bene –
spiegò a Sasuke che questa volta non aveva voluto far uscire
dalla stanza (che non gli venisse qualche idea) – subito dopo
le toglieremo i sigilli, e poi la sveglieremo…
Sarà solo stanca, e debole, niente cui una serie di pasti
abbondanti non possa rimediare… Presto sarete fuori di qui!
–
Lontani da me, si rese conto all’improvviso.
Naruto non aveva dormito bene quella notte, cosa che non succedeva
spesso, infatti, salvo rare eccezioni, come quella volta in cui qualche
idiota aveva messo qualcosa nel suo ramen e lui aveva dovuto alternarsi
tra il bagno e il letto per tutto il tempo, Naruto dormiva sempre e
comunque.
A parte queste ultime notti.
Tutta colpa di quel casino che gli era capitato tra capo e collo
proprio nel periodo di Natale. Un casino di cui gli importava
particolarmente visto che riguardava Sasuke.
In realtà, nonostante ogni tanto brontolasse, Naruto amava
fare l’hokage.
E’ vero, a volte era più complicato del previsto,
e a volte era una noia (guardò di sfuggita le pile di
carte), ma era qualcosa che lui amava fare. E non perché era
la realizzazione di un sogno, o perché era divertente
vantarsene con Sasuke. No, era la possibilità che finalmente
aveva di sistemare le cose come andavano sistemate, la
possibilità di fare qualcosa per le persone attorno a lui.
La possibilità di vedere felici le persone.
Come hokage aveva raggiunto traguardi importanti, aveva stabilito
un’alleanza duratura con gli altri villaggi, aveva modificato
procedure e leggi di Konoha che riteneva ingiuste, fregandosene delle
opposizioni e delle proteste, ma sembrava che quello che gli premeva
davvero, ovvero che ‘loro due’ stessero bene,
dovesse sfuggirgli sempre per un pelo.
Non tutto era semplice e lineare come aveva creduto.
Ad esempio si era immaginato di poter rendere giustizia ad Itachi, di
rendere giustizia a tutti, di sbugiardare gli anziani e metterli al
cospetto delle loro azioni. Ma ci volevano prove. Prove!
E se non esistevano prove? Allora quelli se la passavano liscia e
continuavano a stare lì a testa alta? Ma allora come si
distingueva il bene e il male? Allora come si poteva insegnare alle
nuove generazioni che Konoha era ‘il bene’?
Su suggerimento di Sakura aveva messo a lavorare lì accanto,
all’archivio, Sai, ufficialmente per permettergli di cercare
qualcosa che lo aiutasse a ritrovare le proprie origini, ma in
realtà per conto di Naruto stesso, per indagare. Finora
avevano trovato un vecchio documento che sembrava dimostrare come gli
anziani fossero a conoscenza, prima che avvenisse, del massacro degli
Uchiha: un debole legame, ma un legame. Ora stavano controllando i
documenti personali del terzo hokage, sperando che lì ci
fosse qualche prova della complicità degli anziani nel
massacro, che ormai, lo ammetteva, era diventata
un’ossessione.
Voleva giustizia per un suo personale senso della giustizia, per un suo
personale odio verso le misure sporche, verso i sotterfugi, per un suo
personale odio verso l’idea che il fine giustificasse i
mezzi.
Voleva giustizia per Konoha, e per Sasuke.
E forse sperava anche che dopo Sasuke sarebbe tornato definitivamente a
casa, perché no!
Si rigirò sulla sedia, a disagio.
Aveva pensato che con la scoperta dell’avvelenatrice almeno
quel discorso fosse sistemato, e invece...
A quanto pareva gli interrogatori della tata non andavano per niente
bene. Quella donna non aveva fiatato, e difficilmente lo avrebbe fatto,
perché a quanto pareva la sua mente era protetta da
meccanismi complicati, pericolosi. Forzarla senza ucciderla era quasi
impossibile.
Una cosa assurda. Soprattutto tenendo conto che si trattava davvero di
una cittadina di Konoha, di una civile. Ma quale civile era in grado di
resistere ad un interrogatorio di Ibiki?
Un mistero.
Si mise a camminare avanti e indietro per la stanza, troppo nervoso per
rimanere fermo, e ogni tanto dava un calcio ad una pila di carte.
Sakura lo trovò così.
Era finalmente fuori dall’ospedale dopo giorni e giorni, e
per prima cosa veniva ad informarsi sull’interrogatorio.
Evidentemente non era l’unico ossesso, e la cosa era un poco
confortante.
La mise al corrente della situazione e riprese a camminare avanti e
indietro senza più parlare.
Lei invece si era appoggiata alla scrivania con un’aria
pensosa, e preoccupata. Se era venuto fuori qualcosa di buono da quella
faccenda, era il fatto che lei e Sasuke si erano riavvicinati, che loro
tre erano di nuovo un trio, come doveva essere.
– … Non ha senso… –
gli fece dopo un po’ – se lei è di
Konoha e se è in grado di proteggersi così,
com’è che non ne sappiamo niente? Non
può essere una civile qualunque… –
Come se non lo sapesse anche lui!
– Cosa può essere, se non è
un’ANBU? – continuò Sakura.
– Non lo so! – altro calcio al povero
mucchio di carte innocente – Se almeno ci fosse Shikamaru,
invece è in missione! – non era che lui fosse un
genio in questo genere di cose! Lui aveva altre doti!
– Ma chi può esserci di così
addestrato che non conosciamo? Chi può sfuggire al controllo
dell’hokage? –
– Non so, prima c’era la radice, ma da
quando Danzo è morto è stata sciolta! –
– E che fine hanno fatto i suoi membri? –
insisteva Sakura – Alcuni sono confluiti negli ANBU, ma sei
sicuro che non ce ne siano ancora, in giro? Forse sono nascosti,
infiltrati! Magari lavorano per conto proprio, magari qualcuno lo
sapeva e ne ha assunto uno... –
Ninja segreti all’interno di un villaggio segreto? E nessuno
ne aveva sentito parlare?
– Magari c’è
un’altra organizzazione segreta di cui non sappiamo niente
– continuò lei.
Era stato allora che gli era venuta un’ispirazione.
– Non posso crederci! – ringhiò furioso
– … Hanno finto di sciogliere la radice, e
invece…–
Guardò Sakura e lei lo guardava a sua volta, agghiacciata.
Aveva capito anche lei.
E ora che ci pensava avrebbe dovuto arrivarci prima, era logico, era il
loro stile... Gli anziani erano gli unici cui poteva venire in mente
una schifezza del genere!
– Vogliono ucciderlo –
continuò furioso – hanno paura che salti fuori la
verità sul massacro! Ma lui è troppo forte e
allora… E allora... –
Ma questa non gliela perdonava, questa volta andava lì e li
prendeva per il collo! Li costringeva lui a parlare! Li voleva proprio
vedere!
– Calma Naruto, può essere che tu abbia
ragione, ma non abbiamo prove – lo smorzò Sakura,
rovinandogli quella bella immagine mentale.
Quelle stupide prove… Non occorrevano prove! Era
così! Lo sapeva! Qualcuno nell’ombra tirava ancora
le fila di coloro che una volta si chiamavano
‘radice’, e lui si mangiava il cappello da hokage
se quegli schifosi degli anziani non erano coinvolti!
E poi erano gli unici che avevano un vero motivo per volere distruggere
Sasuke… Sapeva quante resistenze sotterranee stavano facendo
al suo tentativo di scoprire qualche prova sul massacro degli Uchiha!
Lo avevano costretto a fare le cose lentamente e di nascosto, cosa che
odiava!
Ed era stufo di non poter fare niente a causa di quelle stupide prove!
Non le avrebbero ottenute mai!
– Quella non parlerà mai! –
urlò esasperato – finirà come con gli
Uchiha! La scamperanno! E io non posso! Mi vergogno! Mi vergogno di
essere a capo di questo villaggio!!!–
– Proprio tu parli così! –
esclamò indignata lei – Ti arrendi già?
–
– E’ che io non ci capisco
un’acca di queste cose! Queste cose nascoste non le capisco!
Non le so affrontare! – Lui affrontava tutto a viso aperto!
Questi giochetti subdoli lo mandavano in tilt!
– Be’ devi imparare a farlo se vuoi
essere un hokage! –
– Io sono l’hokage! –
– Appunto! –
Avrebbero potuto continuare ad urlarsi contro a vicenda ancora per un
po’, almeno sfogavano la rabbia e la frustrazione, ma la
porta si era aperta e Sai aveva fatto capolino con la testa.
– Avete bisogno di consigli? – esclamò
con il solito sorriso sulle labbra.
– Sai! La devi smettere di origliare!–
gli urlò Naruto – o ti licenzio! –
– Parole grosse, a differenza di altre tue cose
che… –
– Non osare! –
– Ora basta! Mi fate venire mal di testa!
– li fermò Sakura prima che la situazione
degenerasse, e dopo aver constatato che la minaccia aveva sortito
l’effetto sperato (nessuno dei due aveva osato fiatare),
continuò – … Sentiamo cosa ha da dire
Sai… –
Naruto sbuffò un poco (cos’era tutta questa
mancanza di rispetto per l’hokage!), ma poi si
sistemò sulla sua sedia, anche perché sapeva per
esperienza che era meglio non irritare ulteriormente Sakura.
Gli altri due presero posto sulle sedia libere e lui aspettò
impaziente: in fondo Sai era quello che se ne intendeva di
più dei metodi della radice.
Questi iniziò con lo spiegare che i giorni precedenti aveva
assistito ad uno degli interrogatori di quella donna, e che ci aveva
pensato molto, ma ora era quasi sicuro di averla già vista,
e pensava che si trattasse effettivamente di un membro della radice.
– E adesso ce lo dici? –
– Nessuno me lo aveva mai chiesto –
– Tu sei inutile anche quando sei utile –
borbottò Naruto esasperato.
– Forse ci sarebbe un sistema per farla parlare –
continuò Sai per niente scomposto – …
Mi serve solo uno del clan Yamanaka–
Alla fine la soluzione di Sai non era poi così geniale,
né sicura, ma avevano comunque fatto chiamare Ibiki e
Kakashi e avevano formulato un piano, non uno dei piani che amava lui,
quelli in cui andavi lì e facevi, quelli diretti e sicuri,
ma poteva funzionare, avrebbe funzionato, si corresse.
Avrebbero finto di liberare la prigioniera adducendo la scusa di ordini
superiore, l’avrebbero portata al cospetto di uno degli
anziani, e lì lei avrebbe abbassato la barriera per qualche
secondo, almeno così sosteneva Sai. A quel punto uno
Yamanaka sarebbe entrato nella sua mente.
Ovviamente tutto l’incontro con un anziano sarebbe stata
un’illusione creata dallo sharingan, e perciò,
eliminato Kakashi, il quale non era in grado di usare il suo occhio per
questo scopo, avevano bisogno di Sasuke.
Nonostante tutti gli altri pensassero che fosse una mossa azzardata,
rischiosa, perché forse Sasuke era troppo coinvolto per
riuscire a rimanere freddo, Naruto era convinto che da quel punto di
vista non ci fossero problemi.
Avrebbe parlato direttamente con Sasuke non appena possibile.
Più ci pensava più era sicuro che in un modo o
nell’altro avrebbero fatto, che ci sarebbero riusciti.
Insieme.
… E questa volta gli anziani erano fregati, se li vedeva
già sotto processo… La soddisfazione! Aveva
già pensato anche alla punizione: li avrebbe fatti esiliare,
gli ultimi anni della loro vita se la sarebbero passata altrove, a
meditare sui loro errori.
– Andrà tutto bene, lo so –
rassicurò Sakura mentre uscivano – insieme siamo
invincibili –
Erano rimasti solo loro due e si avviarono insieme lungo la strada
ormai deserta. La guardò con la coda dell’occhio:
era preoccupata, si vedeva, ed ancora stanca, ma non aveva
più quell’aria spenta e triste di un mese prima,
sembrava in qualche modo più…
Luminosa… E lui credeva di sapere perchè. Un
ghigno gli si allargò involontariamente sul volto.
A questo servivano i problemi, gli ostacoli: a superarli, insieme, e a
ritrovarsi più uniti e migliori di prima.
– Ah Sakura! A Natale siamo da voi, come al solito,
vero? – si ricordò di chiedere.
Era una cosa scontata, ormai erano anni che lui e Sai passavano il
Natale da loro (si rifiutava di passarlo assieme ad Hinata, con la sua
formalissima famiglia), ma non avevano mai avuto l’occasione
di parlarne finora.
– Penso di sì, perché, quando
è Natale? – domandò lei trattenendo uno
sbadiglio.
– Dopodomani –
Dall’espressione sbalordita di lei capì che non ne
aveva la più pallida idea.
– Non lo sapevi? –
– No – ammise lei –non ho
neppure più sentito i miei, non ho più sentito
nessuno… Mi sono resa irreperibile per tutti, lo sai, e ho
perso completamente la cognizione del tempo –
– Allora vuol dire che non facciamo il Natale
insieme quest’anno? – questa sì che era
una tragedia.
– Sciocchezze! Ovvio che lo passiamo insieme! E
invitiamo anche Sasuke e Mitsuko! – assicurò lei
– ora è tardi ma chiamo i miei domattina per
dirglielo. Ti immagini le lamentele di mia madre, te la vedi?–
– Forse tua mamma ha ragione a brontolare questa
volta! – fece notare lui, pronto a congedarsi in fretta (i
pugni di Sakura erano il terrore dell’intera Konoha) .
Ma lei non sembrava arrabbiata, sembrava sconvolta.
– Sakura!? – domandò perplesso.
– Non ho preso neanche un regalo! Nemmeno uno!
Aiuto! – gli urlò disperata.
__
Sasuke stava giocando a carte con Mitsuko.
Erano usciti dall’ospedale quella mattina, dopo gli ultimi
controlli effettuati da un dottore che non era Sakura, ed ora si
trovavano finalmente a casa (o meglio, nell’alloggio che lui
occupava quand’era a Konoha).
Mitsuko stava visibilmente meglio, era ancora stanca, ma sorrideva,
guardava, parlava come prima.
– No! Papà! Hai sbagliato di nuovo!
–
Lui la guardò raggruppare le carte vinte davanti a
sé, soddisfatta, e sorrise. Ogni tanto si riprometteva di
non lasciarla vincere troppo spesso, ma non ci riusciva, non resisteva.
Voleva vederla felice, e se fare finta di essere meno bravo di lei la
faceva felice, lui si adeguava.
Sua figlia aveva avuto a che fare anche troppo con i lati bui
dell’esistenza, quelli da cui avrebbe dovuto proteggerla.
Erano arrivati fin lì, a casa sua, tra ciò che
gli era più caro, proprio dove credeva di essere al sicuro,
e non riusciva a non pensare che avrebbe dovuto accorgersi di qualcosa
che ora gli appariva così evidente: il fatto che Mitsuko
avesse iniziato ad ammalarsi poco dopo che avevano assunto Nana, il
fatto che Nana ci tenesse così tanto a preparare in casa
quei dolcetti, il fatto che insistesse così tanto per
farglieli mangiare.
Avrebbe dovuto vedere.
Avrebbe dovuto capire… Ma neppure ora capiva… Era
veramente solo il gesto di un pazzo come sospettava Naruto? O gli
errori del suo passato erano destinati a pesare sulle spalle di
Mitsuko, sulle spalle di chi gli era vicino, per sempre?
Era questo che lo tormentava.
Forse si era rilassato un po’ troppo, forse si era solo
illuso di poter ricominciare forse, forse...
E se fosse successo ancora, se anche la prossima volta non fosse stato
in grado di vedere?
Prese le carte che Mitsuko aveva distribuito e le guardò
senza vederle… Solo l’idea che qualcuno volesse
uccidere sua figlia, che fosse così pesante
l’eredità che le aveva lasciato, lo riempiva di
angoscia e paura, ma non poteva farci niente, non poteva tornare
indietro, cambiare le sue scelte, cambiare quelle degli altri.
Non poteva neppure cambiare completamente se stesso: quando Sakura gli
aveva rivelato che si trattava di veleno aveva provato un impulso che
credeva di avere soppresso… Non aveva più visto
niente, non aveva capito niente, si era mosso d’istinto
pronto a seguire quell’impulso omicida, pronto ad uccidere.
Ma non lo aveva fatto. Non lo aveva fatto.
Strinse le dita che reggevano le carte fino a quando non si accorse che
le stava rovinando.
– Tocca a te – gli fece Mitsuko.
La guardò, concentrata sul gioco, il visetto ancora pallido
tutto intento a studia le carte, e fece cadere sul tavolo una carta a
caso tra quelle che aveva in mano, senza neppure guardarla.
– Vinco ancora io! – esclamò
subito dopo lei tutta eccitata – Sei proprio scarso!
– Ridacchiava tra sé e sé.
– Hn… Sei davvero forte –
Lei stava bene, ora stava bene.
– Chiamiamo lo zio Naruto e la dottoressa Sakura?
Così possiamo giocare tutti insieme! –
– Quando starai meglio –
– Ma io sto bene! La dottoressa Sakura mi ha
salvato! –
– E’ vero, ma sei ancora debole, devi
riposarti... – chiuse il discorso lui, poi radunò
le carte ed iniziò a mescolarle.
Era da due giorni che il nome di Sakura veniva fuori continuamente:
Sakura l’aveva salvata, Sakura aveva i capelli bellissimi,
Sakura aveva promesso che sarebbe venuta a trovarla...
Ed erano giorni che lui tentava invano di non pensare a lei…
Ai baci che si erano scambiati, al desiderio potente, incontrollato,
che lei aveva risvegliato in lui.
Ma non era solo quello, erano altre sensazioni, altri… i
desideri che lei gli aveva risvegliato…
Non sapeva definirli, erano solo un grumo di sensazioni
confuse… Ma c’erano stati dei momenti in cui aveva
provato qualcosa che non provava da troppo tempo, qualcosa che credeva
dimenticato, e irrecuperabile.
Momenti in cui erano solo lui, Mitsuko e Sakura, ed era come se
l’atmosfera cambiasse leggermente: non sapeva descriverla, ma
pur con tutto il dolore, con tutta la preoccupazione, con tutta la
stanchezza, aveva pensato, così, di sfuggita, che doveva
essere quello il significato di famiglia.
Un uomo, una donna, un bambino.
Non voleva pensarci, non voleva investire in qualcosa che forse era
solo legato al momento, ma una parte di lui, una grossa parte di lui,
si chiedeva se non era il caso di afferrare quello che la sorte
sembrava offrirgli, che Sakura sembrava offrirgli.
Una parte di lui voleva ancora disperatamente una famiglia.
E una parte di lui voleva disperatamente Sakura… Ma non
sapeva se lei era pronta ad accettare il bagaglio ingombrante che lui
si portava dietro. E non sapeva se aveva il diritto di infliggerglielo.
Una parte di lui… Voleva scappare prima di rischiare di
rimanere deluso.
Bussarono alla porta, e si alzò per aprire a Naruto che
veniva a parlargli.
______
Era la vigilia di Natale.
Quella mattina Mitsuko era stata rilasciata dall’ospedale, e
Sakura non era lì per salutarla.
A parte questo era piuttosto soddisfatta della sua vigilia, quel giorno
aveva fatto tutto quello che doveva fare, e aspettava il Natale con una
trepidazione che non avvertiva da anni.
Intanto la notte aveva finalmente dormito il sonno dei giusti, e la sua
pelle aveva un’aria meno smorta. Poi aveva chiamato i suoi
(ma quanto brontolava sua madre! Non avrebbe mai capito che lei era un
ninja?), spiegando che ci sarebbero stati due ospiti in più,
e non si riferiva a Naruto e Sai, che comunque ormai si davano per
scontati.
Infine aveva fatto tutti gli acquisti di Natale, perdendoci
l’intera giornata e dando anche fondo ai suoi risparmi: una
borsa per sua madre, un maglione per suo padre, il solito buono per una
settimana di ramen per Naruto ed un libro per Sai (dal promettente
titolo: ‘le cose che non si devono mai dire’).
Aveva anche trovato una serie di pensierini per le amiche, e aveva
preso un pupazzo che si poteva scaldare in forno e diventava una borsa
dell’acqua calda (bellissimo!) per Mitsuko… E
infine una sciarpa per Sasuke, rossa, che le era costata una piccola
fortuna (una pazzia tenuto conto che probabilmente lui non
l’avrebbe usata mai). Non aveva resistito, aveva notato che
lui non ne aveva una e a Konoha faceva freddino d’inverno, e
per quanto lei amasse il collo di lui, come tutto di lui (ricordava
perfettamente il sapore della sua pelle), preferiva saperlo al sicuro e
ben coperto.
Era assurdamente euforica quel giorno, come se fosse ancora bambina, e
sapeva perfettamente il perché.
Era euforica ed aveva anche un poco di paura.
Non lo aveva più incontrato da solo da quel giorno.
Si rendeva conto che in fondo non era successo niente (purtroppo), che
era stato lo sfogo di due persone in un momento particolare, dopo
giorni e giorni di tensione, e che probabilmente non contava niente. Ma
era successo, ed era qualcosa che lei aveva voluto fortemente che
succedesse, che avrebbe voluto ancora che succedesse.
Bisognava vedere cosa pensava invece lui, ed era quasi sicura che lui
avrebbe fatto finta di niente.
Lo avrebbe scoperto presto, perché doveva ancora invitarlo
al pranzo del giorno dopo, e voleva farlo di persona. Per quel motivo
si fermò di fronte al suo alloggio così nervosa
che continuava a sudare, e la mano sollevata per bussare le tremava un
poco.
Prima che si decidesse a bussare una seconda volta la porta si
aprì. Era lui.
Sembrava stare meglio, ancora stanco ma più rilassato,
più… Controllato.
Distolse a fatica lo sguardo ed entrò nella
stanza… Essere di nuovo in sua presenza le dava una leggera
vertigine e le toglieva lucidità.
– Come va Mitsuko? – chiese.
– Dottoressa! Sei venuta a trovarmi? –
Lei si voltò sorpresa. La piccola si stava alzando dalla
sedia e sorrideva felice, entusiasta, gli occhi vivaci, proprio come
dovevano essere quelli di una bambina, niente a che vedere con la
creatura spenta che aveva conosciuto in ospedale. Di riflesso, un
sorriso si allargò anche nel suo volto.
– Sì, mi è dispiaciuto molto
non poterti salutare questa mattina, ma ora sono qui! –
– Il papà vuole mandarmi a letto, ma io
non ho sonno! – esclamò Mitsuko. Ora camminava
verso di lei un poco incerta, e sembrava ancora piuttosto debole
fisicamente, come prevedibile, ma si sarebbe ripresa in fretta.
– … Deve andare a letto –
intervenne lui – è tardi, ed oggi non si
è mai riposata –
– Ma c’è Sakura! Voglio giocare con lei!
–
La bambina la guardava così speranzosa...
– Be’, magari solo per un poco –
suggerì.
Mitsuko si voltò verso il padre con occhi imploranti.
– Facciamo l’ultima partita –
si arrese lui.
Sakura non aveva mai visto in Mitsuko un’espressione
così spensierata, e la prese per mano sentendosi
improvvisamente più leggera anche lei. Si sedettero attorno
al tavolo e la bambina le spiegò il gioco di carte che
stavano facendo, a modo suo purtroppo, ma era talmente semplice che lei
aveva capito lo stesso.
Alla fine costrinsero Sasuke a fare due partite, e Sakura si
divertì tantissimo, contagiata dall’entusiasmo di
Mitsuko che rideva divertita ogni volta che vinceva la mano, o che
rubava il mazzo di carte a qualcuno. Loro due si erano in qualche modo
alleate e tutte le volte che Sasuke perdeva le veniva da ridere come
una scema, neanche avesse avuto cinque anni anche lei. E faceva finta
di non vedere quando Mitsuko regalava un paio di carte a suo padre, per
non farlo perdere troppo.
– Oggi ho giocato anche con lo zio Naruto
– raccontò la bambina ad un certo punto, euforica
nonostante gli occhi quasi le si chiudessero – Ma lui piange
quando perde! Bisogna sempre farlo vincere un poco! –
E Sakura poteva perfettamente immaginare le pagliacciate che inscenava
il loro hokage.
– Non fidarti di lui – la mise in guardia
lei – imbroglia! –
Nel frattempo era terminata anche la seconda partita.
– Adesso basta, a letto… –
concluse Sasuke dopo avere perso ancora una volta, ovviamente di
proposito. Lo amava ancora di più per questo.
– Ancora una! –
– No, basta, è tardi –
Sakura riconobbe il tono perentorio, definitivo.
– E se ti raccontassi una storia nuovissima, mai sentita,
andresti a letto più volentieri? –
buttò lì.
– Sì! – esclamò la
bambina con un sorrisone che le andava da un orecchio
all’altro.
Lasciarono il papà in cucina, a mettere a posto le carte, e
dopo avere aiutato la piccola a lavarsi i denti, Sakura la
seguì nella sua stanza.
– Arrivo subito – gli mormorò
prima di sparire dietro alla porta.
Mitsuko, che era già in pigiama, si sistemò in
fretta sotto le coperte, poi la guardò in attesa, con
quell’espressione così eccitata che trasmetteva
entusiasmo anche a lei.
Si sedette al suo fianco e le rimboccò le coperte mentre
tentava di farsi venire in mente, invano, una delle fiabe della sua
infanzia.
– Allora… – che cavolo le
raccontava adesso? Lei non sapeva raccontare storie! –
c’era una volta… C’erano una volta tre
ragazzini – continuò più decisa
– uno pasticcione e sempre allegro, uno bellissimo e molto
triste, e per ultima una ragazza che amava sognare… La
conosci questa storia? –
– No! –
– Bene… Allora, questi ragazzi erano i
futuri cavalieri del re, ma prima di diventare cavalieri dovevano
affrontare molti ostacoli e uccidere un drago… –
Sapeva come andare avanti e continuò a raccontare, a
raccontare, persa nel filo dei ricordi, fino a quando non si accorse
che la bambina dormiva già, probabilmente da un
po’. Si alzò dalla sedia, le rimboccò
nuovamente le coperte, e prima di spegnere la luce rimase a guardarla
ancora un poco.
Le si era affezionata tanto in quei giorni, sarebbe stata dura non
vederla per mesi.
Se solo fosse stata sua… Se solo fosse stata loro…
Cacciò il pensiero futile e tornò di
là.
– Sas… – si zittì
quando lo vide, davanti all’acquaio, intento a lavare i
piatti.
Le dava le spalle e lei si avvicinò il più
silenziosamente possibile con l’intenzione di fargli uno
scherzo. Non sapeva neppure bene quale, forse un semplice BUU! alle
spalle. L’allegria di Mitsuko era contagiosa.
– Dorme? – la fermò lui quando
quasi ce l’aveva fatta. Acc!
– Come un angioletto – con finta
noncuranza gli si mise a fianco ed afferrò un canovaccio per
aiutarlo ad asciugare.
– Lascia stare, sono due piatti –
Lo ignorò, e dopo aver asciugato il primo piatto lo
impilò nello scolapiatti.
Quella specie di ebbrezza che l’accompagnava dalla mattina si
sciolse in una improvvisa sensazione di calore, di gioia: essere
lì con lui, compiere insieme quel rito domestico le dava una
completezza che pensava impossibile, almeno per lei. Come
un’idiota si accorse che aveva gli occhi lucidi.
Prese in mano un bicchiere e nel frattempo lo sbirciò. Lui
stava passando con la spugna l’ultima pentola, con la
precisione e l’attenzione che gli erano propri. Si
voltò meglio dalla sua parte e rimase a guardarlo intenta,
così come aveva guardato sua figlia. Si soffermò
sul volto ora rilassato, sulle ciglia lunghe, sulle guance…
Sulle labbra… Sul collo…
Aveva voglia di toccarlo, aveva voglia… Di lui.
Scordatelo, cercò di dirsi, è stata la foga del
momento, niente più.
Si accorse che senza volerlo si era protesa un poco verso di lui.
– Sakura –
La voce improvvisa di lui la riportò alla realtà.
La guardava con un’espressione attenta negli occhi scuri,
profondi, occhi che aveva imparato a conoscere ancora, e ad amare
ancora. Il cuore le batteva all’impazzata.
– … Sei un ottimo massaio... –
borbottò rimettendosi ad asciugare.
– Hn –
Continuarono a lavorare in silenzio, ma sembrava che il sorriso quella
sera le si fosse stampato in faccia.
– Ti offro qualcosa? – le chiese lui
mentre si asciugava le mani. Ormai avevano finito, e lei rispose di
sì improvvisamente eccitata.
– E’ venuto Naruto oggi, mi ha parlato del piano
– la disilluse subito mentre si sedevano attorno al tavolo.
Ah già. Voleva parlarle del piano. Chissà come lo
aveva completamente dimenticato. Era lontano. Apparteneva ad
un’altra dimensione, meno intima, meno vera.
Cercò di concentrarsi sul piano, sulle cose da dire, e
riluttante rientrò in quell’altro mondo, quello
pericoloso, quello pieno di gente pericolosa, quello in cui Sasuke era
un individuo ancora parzialmente sconosciuto, imprevedibile, forse
pericoloso anch’esso.
Rabbrividì.
Naruto aveva detto che era tutto a posto, ma lei era ancora
preoccupata… In fondo si trattava di sua figlia, era
naturale che fosse preoccupata per lui.
– … Pensi di riuscirci? – gli
chiese pacatamente.
– Perché non dovrei? Non sono
più così instabile –
Per fortuna lui non la guardava, intento a versarle sul bicchiere la
semplice acqua che aveva chiesto, o avrebbe notato
l’espressione dubbiosa prima che lei riuscisse a nasconderla.
Prese in mano il bicchiere e continuò a fissare
ostinatamente davanti a sé, agitata, l’atmosfera
serena di prima completamente svaporata.
Le pareva di sentire lo sguardo di lui sulla pelle e le guance le si
arrossarono un poco.
– … E' solo che… –
iniziò decisa a non lasciare dubbi, o malintesi –
… Che ho provato una rabbia tale anch’io che
pensavo che tu... –
Si zittì di nuovo, profondamente a disagio.
– … Che io non fossi in grado di
controllarmi, visti i precedenti – concluse lui per lei
– Non ti fidi di me –
– Non è così –
replicò in fretta, troppo in fretta.
– E com’è allora? –
e il tono duro, leggermente sarcastico di lui, aveva cancellato
definitivamente ogni residuo di calore, di intimità tra
loro.
– Mi fido di te – ribadì,
intanto rigirava il bicchiere pieno d’acqua tra le dita, lo
sguardo abbassato – … Solo penso che per certe
cose, che in certe circostanze… –
continuò più incerta… Ci aveva
ragionato così tanto, ci aveva pensato così
tanto, ed ora non le veniva in mente niente – penso che sia
comprensibile preoccuparsi, no?! Non significa non fidarsi…
–
– Balle. Tu credi che io possa tradirvi di nuovo
–
Sakura sollevò la testa di scatto e lo guardò
sconvolta, incapace di negare.
Avrebbe voluto urlargli che non era così, che si sbagliava,
che non credeva che lui potesse tradirli ancora… Ma non ci
riusciva, non poteva… Semplicemente non poteva…
Perché come faceva a spiegargli la differenza tra quello che
credeva, e quello che temeva così tanto? Come faceva a
spiegargli che non lo credeva, ma aveva ugualmente paura?
… Come pensava di costruire qualcosa con lui
quando…quando… C’erano ancora quegli
abissi di incomprensione tra loro?
Gli occhi le si riempirono di lacrime mentre cercava disperatamente di
trovare una soluzione che forse non esisteva.
– Ora vado a letto, è tardi –
Le parole di lui erano fredde, distanti, e lo vide alzarsi sentendosi
assurdamente impotente, sentendosi davvero tradita. Per lui il discorso
si chiudeva qui, tutto si chiudeva qui, non gli interessava andare
avanti, trovare una soluzione.
Lo guardò allontanarsi e si rese conto che, dopo tutti
quegli anni, ancora non sopportava di vedere la sua schiena mentre se
ne andava.
– Vigliacco – mormorò di
getto, senza pensare.
– Come? –
Lui si era fermato e se ne stava rigido, in piedi, in mezza alla stanza.
– Vigliacco – ripeté
più sicura.
– … Va' a casa, Sakura –
Neppure si degnava di guardarla.
– No –
– Va a casa, non provocarmi... –
Fissò la sua schiena sempre più
arrabbiata… Perché, cosa poteva farle? Prenderla
per il collo? Andarsene come stava già facendo?
– Non ho paura, non sono una vigliacca come te
– sibilò alzandosi a sua volta dalla sedia. Questa
volta avrebbe chiarito tutto, basta dubbi, basta incertezze, domande
–… E' così frustrante avere che fare
con te! – continuò, attenta a non alzare troppo la
voce per non svegliare la bambina – un momento mi tratti come
se fossi importante… e poi… e poi…
– si interruppe ancora e rimase a guardarlo a testa alta
mentre lui si girava e la fissava freddo, lontano –
… Sappi che ti sbagli su di me – riprese,
finalmente sicura di cosa voleva dire – non è come
dici tu, non è assolutamente come dici tu, non è
che non mi fidi… ho solo paura… Solo umanissima
paura… Perché sei importante…
– ecco le lacrime – Perché sei tanto
importante… –
Non riusciva a vederlo chiaramente attraverso le lacrime, e domani se
ne sarebbe sicuramente pentita ma ora si sentiva meglio, si sentiva
libera – Io penso che sia tu a non fidarti di te stesso, e
penso che tu stia scappando – concluse in qualche modo
più serena.
Rimase in piedi ad affrontarlo, senza abbassare lo sguardo, quando lui
si avvicinò.
– E da cosa starei scappando? – le chiese
amaro.
– Da me, dal mio amore –
– E non ti sei mai chiesta il perché?
Non ti è mai venuto il dubbio che io non lo voglia questo
amore? –
Quelle parole la svegliarono improvvisamente. Come una doccia fredda.
Cos’aveva sperato… Cosa aveva creduto di capire,
di vedere…
Improvvisamente si sentì una perfetta idiota e la
consapevolezza della completa inutilità delle sue parole
sincere, come dei suoi sentimenti, le franò addosso.
Abbassò la testa, incapace di affrontare ancora il suo
sguardo.
– Scusami… – fece uscire in
qualche modo – Non ti disturberò più,
mai più… –
Si voltò e si avviò alla porta senza
più guardarlo. Voleva solo uscire di lì e
richiudere quella porta dietro di sé.
Una volta fuori lasciò che l’aria fredda le
asciugasse gli occhi, poi si arrampicò in fretta in cima
alla casa di fianco, e corse sopra i tetti, con le lacrime agli occhi,
per fare più in fretta.
Stupida stupida stupida.
Ripeteva sempre lo stesso errore, doveva essere davvero stupida.
Ma questa era l’ultima volta.
Aveva voglia di urlare, e urlare… Di tirare pugni, e calci,
di spaccare qualcosa… Di scaricare tutta
l’umiliazione, la rabbia, l’amarezza...
Invece di andare a casa continuò a correre come una pazza
sopra i tetti, fino ai confini di Konoha e poi ancora indietro, sopra
le case illuminate a festa, sopra gli alberi di Natale, sopra ai
pensieri, ai sogni impossibili, fino a quando i polmoni non stavano
quasi per scoppiarle.
Stupida, stupida, stupida.
Tornò verso casa lentamente, le gambe che tremavano ancora
per lo sforzo, con un solo pensiero: avrebbe ficcato la testa sotto il
cuscino, avrebbe perso la cognizione del tempo ed avrebbe saltato il
Natale.
Meglio passare direttamente all’anno successivo.
Si accorse solo all’ultimo, quando ormai era arrivata sopra
il tetto di casa sua, che c’era qualcuno che aspettava
davanti alla porta.
Era Sasuke e aveva qualcosa in braccio. Mitsuko, avvolta in una coperta.
Il pensiero che fosse successo qualcosa, che si fosse sentita male di
nuovo, la riempì di un’angoscia tale che tutto il
resto perse d’importanza.
– Mitsuko? – domandò
spaventata quando gli piombò davanti.
– Sta bene. Dorme. Non potevo lasciarla a casa da
sola –
Sollevò la testa a guardarlo sbalordita.
Allora...
Restarono lì come due stupidi, in silenzio, a guardarsi,
alla luce dei lampioni, lui con la bambina in braccio e lei confusa,
senza parole.
– Prima… Non hai capito... –
ruppe il silenzio lui.
Certo, ovviamente era lei quella che aveva capito male… Ma
non riusciva ad arrabbiarsi, non quando Sasuke aveva avvolto sua figlia
addormentata in una coperta ed era corso lì per lei, non se
continuava a guardarla così, come se fosse importante, come
se fosse… Preziosa…
– Spiegami allora –
– Non è vero che… –
lui si era zittito, e lei non aveva alcuna intenzione di riempire i
vuoti ed aiutarlo.
Rimase ferma ad aspettare che lui continuasse.
– Io… – riprese lui, e
sembrava stanco – … Io…non sono un gran
partito, ho fatto troppi errori… E poi
c’è Mitsuko... –
– Se è questa la tua scusa sappi che fa
pena –
Ma ora davvero non era più arrabbiata, e neppure triste.
– … Non capisci… –
continuò lui – … Se Nana mi si fosse
parata davanti in quel momento probabilmente l’avrei davvero
uccisa –
– Immagino – gli fece per niente colpita.
– … E Mitsuko è qui, viva,
con me… Non sono sicuro di come avrei reagito se fosse morta
–
Sì, lo capiva, per la prima volta riusciva a capirlo
perfettamente: Sasuke era arrabbiato, ma non era disperato.. era stata
la disperazione, non la rabbia, che lo aveva mosso quella volta.
– Chi lo sa, nessuno può dirlo, no?
– rispose tranquillamente.
– Meriti di meglio... – continuò
l’elenco lui.
– Questa risparmiatela… Altro? –
domandò mentre si sporgeva verso di lui, perché
sapeva esattamente cosa stava cercando di fare lui, e sapeva
esattamente cosa significava questo.
Si accorse che stava sorridendo. Non aveva vaneggiato, non aveva visto
cose che non esistevano, Sasuke era lì, per lei, e in quella
maniera assurda le stava dicendo che gli importava.
– Ho paura – sussurrò lui.
E la guardava così limpido, così
sincero… Così vero…
Incapace di resistere oltre fece un passo avanti ed allungò
la mano per accarezzargli il viso. Il cuore le batteva forte, ed era
sicura che il suo battito veloce fosse perfettamente
all’unisono con quello di lui – Allora siamo in
due… Siamo in due… – mormorò.
Lui la guardava con due occhi brucianti, con
l’intensità della fiamma nera che gli era
familiare, cui somigliava in fondo, e lei si poteva specchiare nelle
sue iridi scure, così piena di colore al
confronto… E sorrideva, stava sorridendo.
– Entriamo – gli fece mentre ritornava
lentamente alla realtà – Portiamo Mitsuko dentro,
può dormire nel mio letto –
Aprì la porta in fretta, entrò e accese la luce
lasciando che lui la seguisse all’interno.
Lo guidò in camera e lo seguì con lo sguardo
mentre deponeva la bambina addormentata nel letto e le sistemava con
amore le coperte attorno al corpo. Poi lo vide sollevarsi ed
aspettò che si avvicinasse con il cuore che batteva
all’impazzata.
Ex compagno di team, ex traditore, ex nemico, ex amore non
corrisposto… Ed ora?
Non lo sapeva con precisione, era tutto all’inizio,
pensò mentre lui la raggiungeva.
Lo guardò, ora fermo davanti a lei, e lui la
guardò a sua volta.
– Ascolta – mormorò, con la
paura di star sbagliando tutto, di stare rovinando tutto
– ..mi fa male sapere che pensi che non mi fido.. –
– Ma è
così… – il cuore le si
fermò – e lo capisco.. ma… sono
disposto a provare lo stesso se a te va.. spetta a me dimostrarti il
contrario.. con il tempo.. –
– Ma… –
– Sssh.. non importa Sakura,
non importa.. –
Solo che importava.
Importava…ma non tanto, non ora.
Non sarebbe stato facile, lo sapeva, avrebbero dovuto costruire insieme
una relazione vera, avrebbero dovuto imparare a non avere
più paura. Avrebbero dovuto imparare a fidarsi.
Ma lui era lì, con lei.
Insieme avrebbero affrontato tutto, avrebbero affrontato i momenti
duri, difficili, la lotta contro gli anziani, contro una parte di
Konoha.
Insieme potevano riuscirci, insieme erano invincibili come diceva
Naruto.
Senza più esitare, senza più domande, lo accolse
tra le braccia, le labbra pronte ad aprirsi alle sue.
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Più tardi, quando erano riusciti a raggiungere in qualche
modo il divano, Sakura si ricordò del motivo per cui lo
aveva cercato quella sera.
– Domani venite a mangiare dai miei. E’ Natale
– mormorò mentre lui l’aiutava a
sbarazzarsi del reggiseno (le loro maglie erano volate da qualche parte
nella stanza).
– Non è un po’ presto?
– le sussurrò sul collo, le dita sul suo seno nudo.
– Che c’entra… Ci sono anche
Naruto… E Sai… E comunque sono anni che aspetto,
non è… presto e… –
Le mani che ora le accarezzavano i seni non l’aiutava molto a
formulare pensieri coerenti.
– Vieni? – riuscì a fare
uscire nonostante le labbra di lui avessero iniziato a seguire le mani.
– Hn… – le rispose senza
staccare le labbra dal suo seno.
Sakura fece scorrere le unghie lungo la sua schiena e scese con le dita
sotto i pantaloni aperti – Vieni? –
ripeté, la voce un po’ roca.
– … Va bene... – si arrese lui
respirando a fatica.
Lo strinse a sé, con tutte le sue forze, e solo in quel
momento, per la prima volta, fu pienamente consapevole di essere
lì, pelle contro pelle, con lui.
Lei, Sakura, lui Sasuke.
Loro due, con il loro corpo, con la loro mente, con il loro cuore.
La perfetta felicità di quell’istante sembrava
come uscirle dal cuore ed avvolgerli, ed era così forte,
così vera, che le impediva di respirare, che le riempiva gli
occhi di lacrime.
In qualche modo sapeva che anche lui la sentiva.
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