Chrysantemum Hill

di Ilarya Kiki
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Prologo

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Scoccò la mezzanotte, a Chrysantemum Hill.
Rintocchi sordi e lugubri di lontane campane vibravano nell’aria, innalzandosi tra lo stormire degli uccelli notturni sui comignoli
e il frusciare delle nere fronde, su, in alto, oltre il campanile fino al pallido circolo della luna piena.
L’antico villaggio risuonava di lutto, Ogre Lucifer era morto.

Una ragazza era stata chiusa a chiave in una stanza buia, ed il canto funebre delle campane, giungendo a lei attraverso le imposte di noce
sbarrate, le fece scorrere un brivido di gelo per la spina dorsale. Era il momento di andare.
Si avvicinò per l’ultima volta al grande tavolo di legno, e raccolse le poche cose che era riuscita a radunare prima di essere imprigionata in quella stanza,
infilandole con strenuante lentezza nella sua bisaccia di cuoio, come per guadagnare tempo, per allungare fino allo stremo ogni istante, per allontanare il più possibile quel momento fatidico.
Aveva paura, davvero, calde lacrime di terrore le rigavano le bianche gote, ma doveva fuggire.
Doveva fuggire di lì, o adesso o mai più.
Raccolse dalla superficie di legno un vecchio pezzo di carta piegato in due, che aveva appoggiato lì poco prima, lo aprì e lo guardò; questo le diede forza,
la ragazza si morse le labbra, baciò il foglio e se lo infilò in un taschino sul petto, dopo averlo ripiegato.
Avvicinatasi alla pesantissima porta, sussurrò un incantesimo alla serratura, e questa rispose con uno scatto soffocato.

La processione funebre incedeva lentamente al ritmo pesante e sordo del tamburo che scandiva la nenia, voci di creature oscure intonavano il triste e monotono canto, composto di parole sconosciute al linguaggio umano. La luce delle fiaccole illuminava a stento la via principale, e pertanto le sentinelle poste a guardia delle porte della reggia di Lucifer avrebbero dovuto prestare molta più attenzione al loro compito, aguzzando gli occhi indagatori nell’oscurità, piuttosto che starsene a fissare il funerale, grugnendo di frustrazione per il fatto che erano ancora costrette a lavorare anche dopo la morte del loro sommo padrone.
Se la prigioniera, come aveva previsto il Cerimoniere, avesse tentato di fuggire, non doveva assolutamente riuscire nell’impresa, o la punizione sarebbe stata terribile.
Infatti, naturalmente, nessuno si accorse di una ragazza che con movimenti spezzati e tremanti rotolava al di fuori di una delle finestre delle cucine sul retro, sobbalzando per il terribile fracasso che era convinta di aver provocato, e che trattenendo il pianto sgattaiolava oltre gli alti cancelli di ferro ricoperti d’edera attraverso una fessura che aveva notato già molti anni prima, e che aveva conservata nella mente per tutto quel tempo proprio in vista di quel sospirato momento.
Corse a perdifiato tra tassi e querce, con il viso sferzato dai rami, in discesa, giù per la collina, lontano da Chrysantemum Hill, lontano dal suo passato, verso un futuro ignoto, ma con una missione nel cuore.
“Sto venendo a prenderti, mia dolce Cherì!”




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