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Il Patrigno
Capitolo I
Due al prezzo di uno
La
prima volta che vidi Tess se stava in un supermercato a comprare degli
osceni cereali color rosa. Non osavo immaginare come doveva essere
mangiarli, affogati nel latte dovevano avere un aspetto alquanto
bizzarro. Tuttavia, non curandomi di quelle che potevano essere
rovinose abitudini alimentari, mi avvicinai ed esordii con un:
«Cacchio! Immagino che siano tanto cari giusto perché
trovare un colorante rosa digeribile dev’essere complicato».
Tess si volse verso di
me con aria scombussolata, come se non avesse affatto capito quel che
avevo detto. Poi scoppiò in una risatina e disse:
«Forse».
«Li comprerai
davvero? Hanno un’aria…», li osservai facendo una
smorfia, «disgustosa!»
Tess li guardò
a sua volta. «Tu dici? Vediamo che hanno dentro.»
Girò la scatola e iniziò a leggere velocemente:
«Avena, mais, zucchero, sciroppo di glucosio, sale, fosfato di
calcio…».
«Ahia!»,
esclamai allora alzando le sopracciglia. Tess mi guardò e io
indicai la scatola: «E’ quello, quello io non lo mangerei
davvero. Il… cos’è?», mi scappò una
sorriso, «fosfato di… glucosio?».
Tess rise e mise a posto la scatola, riprendendo le redini del carrello. «Mi hai convinto.»
«Menomale», commentai. Tesi la mano. «Piacere, Benjamin.»
«Tess»,
fece lei stringendomi la mano, aveva una di quelle strette decise ma
gentili, che non ti strapazzano troppo il polso.
«Fai sempre qui la spesa, Tess?», domandai, sinceramente interessato.
Lei si guardò
attorno per qualche secondo, come sospettando che fossi uno stalker che
la voleva molestare, ma poi parve aver deciso che non lo ero,
così disse: «A volte. Molte volte. E tu?».
«Veramente mai, è la prima volta che ci metto piede. Ma forse ci dovrei tornare.»
«Per i cereali
atomici.» Tess rise ancora, come se non riuscisse a smettere.
Più tardi imparai che rideva per delle sciocchezze e che quando
le veniva una crisi di riso ci metteva almeno dieci minuti a smettere.
«Ah, certo. Per
quelli, ma anche perché così, magari, potremmo
rivederci.» Non ero mai stato troppo bravo con le ragazze, ma
quella la buttai lì con tranquillità, tanto per provare.
«Appuntamento ai cereali per la prossima volta, allora.»
«Sarebbe perfetto», dissi entusiasta.
Il nostro primo
appuntamento non fu ai cereali rosa, per fortuna, fu in un ristorante a
Londra. Nel giro di due settimane scoprii diverse cose su Tess: faceva
la segretaria in uno studio dentistico e aveva la mia stessa
età. Per quanto avevo capito non c’erano uomini nella sua
vita che non fossero suo fratello maggiore e John Ronald Ruel Tolkien,
di cui aveva tutte le opere. Al supermercato avevo notato Tess
perché era una donna davvero bella ma pareva anche semplice.
Aveva i capelli biondi, gli occhi verde scuro, era un po’
più formosa delle attrici che avevo conosciuto a iosa negli
ultimi anni, ma questo le donava ancor più fascino. Le avevo
detto che lavoravo nel cinema, ma non aveva mai visto nessuno dei miei
film. Sinceramente non era una cosa che non mi aspettassi, dato che la
maggior parte delle produzioni con il mio nome erano film per ragazzi.
La cosa non la disturbò quando venne a saperlo, anche se mi
confessò di aver controllato la portata della mia fama su
internet. Per fortuna nessuna delle volte che eravamo usciti mi avevano
fermato per autografi o cose simili (in realtà per strada credo
di essere invisibile), e tutto quanto sembrava andare alla perfezione.
Fin quando non le chiesi se voleva diventare la mia ragazza.
Eravamo in una barca
che faceva un tratto di Tamigi, era sera e si vedeva persino qualche
stella fra le nuvole. Ci eravamo appena spostati dal bar sottocoperta a
sopra, e avevamo preso posto vicino alla punta più estrema della
nave – poppa, prua, non ne ho idea. Stavamo lì davanti e
mi venne in mente Titanic.
Non potevo competere con Leonardo Di Caprio, né per fama
né per fascino nel film sopracitato, tuttavia intrecciai la mano
di Tess con la mia e ci appoggiammo alla ringhiera di ferro, guardando
le onde che la piccola nave in miniatura formava sul Tamigi.
«Tess»,
chiamai. Lei si volse a guardarmi e fui certo, in quell’istante,
che era il momento giusto per chiederlo. «Mi piaci tanto, sai? Mi
piacerebbe che… mi piacerebbe se stessimo insieme.»
Gli occhi di Tess
guizzarono fulminei via dai miei, quasi terrorizzati. Lasciò la
mia mano e abbassò lo sguardo.
Certo che ho un intuito di merda.
Mi affrettai a
chiarire, sporgendomi verso di lei: «Guarda che se non vuoi va
bene. Cioè me ne farò una ragione. E’ normale, sono
cose che capitano. Possiamo restare amici, solo amici, tu mi piaci come
amica», parlavo velocemente, come se avessi fretta di farle
vedere che non ero poi così disperato. Lei scuoteva la testa.
«C’è qualcosa che non va?», domandai allora.
Tess alzò lo
sguardo e deglutì, mordicchiandosi un labbro, le mani giunte in
grembo. «Devo dirti una cosa.»
«Sei sposata.»
«No.»
«Sei malata.»
«No.»
«Sei un uomo!»
«No!»
Mi guardai attorno
umettandomi le labbra: alcune persone ci fissavano. Tess abbassò
la voce e sussurrò: «Ho una figlia».
Rimasi per un secondo
bloccato. Non sapevo bene cosa pensare, non sapevo se essere felice che
la cosa fosse una tale sciocchezza o essere spaventato perché,
in fondo, non lo era. Non andavo in cerca di relazioni usa e getta e
scoprire che una donna con la quale volevo una relazione seria aveva
già un passato – molto, molto presente – alle spalle
fu come un fulmine a ciel sereno. Potevo sentirmi in tanti modi in quel
momento, la gamma di emozioni provabili è vastissima. Ma quando
lo stupore finì e la mia mente si sbloccò allora sospirai
di sollievo, sorridendo. Per il momento ero felice che nulla si
frapponesse in mezzo a noi. «Tutto qui?», domandai
avvicinandomi a lei e prendendole entrambe le mani. Tess corrugò
le sopracciglia. «Cioè…», sobbalzai una
risata, «credevo fosse qualcosa di grave. Avevi una faccia da
funerale, sembravi l’urlo di Munch.»
Tess fece un sorrisino e domandò: «Sei assolutamente certo che per te non sia un problema?».
«Perché
dovrebbe?!» Mi strinsi nelle spalle, continuando a sorridere.
«Senti», proseguii per rassicurarla, «non ci
conosciamo da tanto e forse un giorno mi dirai com’è
andata, che ti sei ritrovata con una bambina, ma non importa
perché tu sei favolosa.
Cioè, voglio dire… non me ne frega niente quanti figli
hai, puoi anche averne cinquanta per quel che m’importa! Io
voglio stare con te lo stesso.»
Tess sorrise e ci baciammo per la prima volta. Fu magnifico.
Quando mi scostai le presi il viso fra le mani, e sorridendo le chiesi: «Come si chiama?».
«Melany.»
«Quanti anni ha?»
«Quattordici.»
In quel momento non
registrai alla perfezione il fatto, perché ero troppo preso da
strofinare con un minimo di dolcezza il mio naso contro quello di Tess
(sono un uomo romantico dopotutto), tuttavia una volta a casa feci due
conti. Significava che l’aveva avuta a soli sedici anni. Ma, cosa
più importante che ancora non avevo calcolato: significava che
dovevo guadagnarmi la simpatia di una ragazzina appena entrata nella
fase adolescenziale. Quando me ne resi conto erano quasi le due di
mattina e in quel momento, preso dall’euforia del primo bacio e
del fidanzamento, non pensai che doveva essere tanto complicato.
Ebbene, avrei presto scoperto che mi sbagliavo.
Avevo già
invitato Tess a cena da me due volte e tutte e due le volte avevo
tentato di cucinare un pasto elaborato, per poi finire inevitabilmente
per gettare tutto nella spazzatura e chiamare il servizio a domicilio
(anche se la seconda volta me l’ero cavata meglio ed ero riuscito
a preparare un dolce e un primo decenti). Un giorno, dopo essere andato
a prendere Tess al lavoro, mi fece una proposta.
«Ben, ti va di venire a cena di me? Così conosci Melany.»
Mi volsi verso di lei
piacevolmente stupito. Ero felice che volesse farmi conoscere la sua
famiglia, era una strana sensazione, un po’ come quando da
adolescente si dovevano conoscere i genitori della propria fidanzata
solo che la situazione era rivoltata al contrario. «Sì
certo. Quando?»
«Ti va Sabato sera? Ti aspetto per le sette, okay?»
«Perfetto, porto
qualcosa? Non so, da bere, un dolce…» Svoltai a sinistra
ed entrai in una strada meno trafficata.
«No, no, faccio
io.» Tess sorrise. «Le altre volte hai fatto tutto tu, sei
un ottimo cuoco.»
«Sì», borbottai guardando la strada.
Arrivammo a casa di
Tess e la lasciai di fronte alla porta con un bacio, diretto dal mio
agente che doveva parlarmi di una proposta di lavoro. Ero abbastanza
eccitato all’idea di conoscere Melany, da quando Tess mi aveva
detto della sua esistenza mi aveva parlato di lei diverse volte, ma
conoscerla sarebbe stato meglio, immaginavo. A volte fantasticavo e
pensavo che, se tutto fosse andato bene, allora forse io e Tess ci
saremmo sposati, e sarebbe stato come essere già papà.
Certo, non era proprio la stessa cosa, ma in un certo senso mi faceva
sentire elettrizzato, non mi dispiaceva per niente. Accettavo il fatto
che Tess fosse una donna con una sua storia alle spalle, ma adesso
c’ero io con lei e vi sarei rimasto per sempre se fosse dipeso da
me. Tess era la persona migliore che avessi mai conosciuto, ne prendevo
tutti i pregi e i difetti e, se stare con lei significava prendere
anche sua figlia potevo essere solo più entusiasta. Ci
immaginavo già come una famigliola felice che passeggia nel
parco la domenica, era una visione idilliaca splendente. Ma non poteva
essere più lontana dalla realtà, come scoprii quel Sabato
sera.
Alle sette in punto
avevo parcheggiato la macchina in una via non lontano da casa di Tess e
mi avviavo verso il portone del suo palazzo. Non avevo mai visto casa
sua ed ero curioso di vedere dove abitava, come viveva. L’avevo
immaginata spesso ad aggirarsi per stanze non ben definite, a cucinare
a fornelli inesistenti per quella nostra cena, e adesso finalmente le
mie fantasticherie avrebbero avuto una visione di contorno. Suonai alla
porta e Tess rispose, indicandomi un ‘secondo piano porta a
sinistra’.
«Ciao», la
salutai con un bacio e le porsi un fiore che avevo colto da un prato
pubblico. Non era così romantico come lo avevo immaginato, ma
almeno le avevo portato qualcosa. La verità era che ci avevo
pensato solo dopo essere uscito, siccome non volevo arrivare in ritardo
fermandomi da un fioraio (oltretutto non conoscevo bene la zona e
trovarlo sarebbe stato un colpo di fortuna) ripiegai per il giardino
pubblico, nascondendomi dal poliziotto che sicuramente mi avrebbe fatto
la multa. Ma era un rosa niente male.
«Grazie»,
disse Tess prendendola radiosa e facendomi segno di seguirla.
«Allora ti faccio fare un giro panoramico della casa, poi devi
darmi una mano a girare quel budino che non si vuole staccare dalla
forma.»
La casa non era molto
grande ma aveva tutto il necessario, in salotto una grande libreria
piena di Tolkien e di altri libri del genere, poi un piccolo bagno, la
cucina con un tavolo abbastanza grande per quattro persone e due camere
da letto, una delle quali sbarrata con un messaggio inquietante scritto
su una lavagnetta: Non aprite questa porta.
«Questa è
la stanza di Melany, te la faccio vedere ma non dirle che l’ho
fatto altrimenti comincia a parlare di privacy», disse Tess
agitando le mani come se parlasse di sciocchezze.
«Ma… lei dov’è?», domandai togliendo le mani dalle tasche.
«E’ fuori,
dovrebbe tornare fra poco, le ho dato l’obbligo di arrivare per
cena e di tenersi libera per questa sera. Di solito esce con gli amici
il Sabato e il Venerdì.» Tess aprì la porta e mi
mostrò quella che poteva passare per la stanza di Lucifero.
Un mucchio di poster
di gruppi metal e cd probabilmente dello stesso genere sparsi qua e
là, qualche libro sul letto, una marea di vestiti e tutto un
caos che nemmeno io, non esattamente un maniaco dell’ordine,
potevo sopportare. La scrivania con un pc portatile sopra era inondata
da trucchi e scatolette varie, invece l’unico angolo della stanza
a salvarsi era incastrato fra la scrivania e l’armadio, dove
c’era posato un porta cd a muro tenuto con una sorta di riverenza.
«Le piace musica?», domandai indicandolo.
Tess roteò gli
occhi sul soffitto. «Pure troppo. Non sai che tormento quando
mette uno di quei suoi dischi satanici, mi vanno le orecchie in
pappa!» Chiuse la porta della stanza e domandò: «Mi
aiuti con quel budino? E’ un impresa impossibile da soli».
«D’accordo.»
In cucina era tutto
pronto, la tavola apparecchiata elegantemente, la prima portata e tutto
quel che poteva servire già pronto in attesa che mangiassimo.
Mancava solo che quel maledetto budino si capovolgesse per poterlo
mettere su un piatto. Quando Tess mi mostrò la forma in acciaio,
fredda da frigo, mi domandai come si poteva indurre un budino a venir
fuori da quella scultura ad incastro. «Credo che dovremmo
metterla sotto il getto dell’acqua calda», proposi.
«D’accordo
proviamo», acconsentì Tess. Prese un piatto e lo
piazzò alla base della forma, poi aprì il rubinetto e
girammo il tutto un paio di volte sotto l’acqua bollente.
«D’accordo… tiriamolo su», fece Tess
ribaltando la forma. Io chiusi l’acqua e poi iniziai a scuotere
il povero budino. «Okay, okay», disse Tess tentando di
fermarmi, mentre sulle labbra le si formava un sorriso, «credo
che sia a posto».
Poggiai il budino sul
tavolo e alzai lentamente la forma, scoprendo un meraviglioso tortino
al cioccolato dall’aria deliziosa. Sorrisi soddisfatto e dissi:
«E’ venuto bello». In quel momento il budino cedette
e si spaccò letteralmente in due, scivolando da una parte e
aprendosi a metà. Il mio sorriso si sciolse, Tess piegò
la testa di lato con una smorfia.
Restammo in silenzio per qualche secondo finché non disse: «E’ un… pasticcio…
al cioccolato. Vedi?» Ci guardammo per qualche secondo e poi
iniziammo a ridere sui resti del dolce, che ci osservava massacrato dal
basso.
Quando ormai stavo
iniziando a sentire la fame, udii il rumore di una chiave che gira
nella toppa e mi preparai a conoscere Melany. «Ciao,
ciao!», disse una vocetta leggermente annoiata
dall’ingresso.
«Mel!»
Tess si avventò all’ingresso e sentii che parlavano ma non
mi diedi la pena di ascoltare. Decisi di lasciare loro un po’ di
intimità. Tess tornò in cucina sorridendo e disse:
«Questa è Melany. Melany lui è Benjamin.»
Ero pronto ad
affrontare di tutto, e devo ammettere che la mia più profonda
paura era quella che Melany fosse una sfegatata fan che non avrebbe
fatto altro che osservarmi con occhi languidi e domandare cose
già trite e ritrite sui film che avevo fatto. Ma nulla mi aveva
preparato a quanto avevo davanti: per avere solo quattordici anni era
una ragazzina abbastanza precoce, pareva averne almeno un paio in
più. Era alta per la sua età, mi arrivava già al
petto, probabilmente aveva preso da sua madre. Aveva capelli neri e
spettinati, probabilmente quelli erano del padre. Portava un chiodo di
pelle con sotto una maglietta leggera bianca e nera con il disegno di
una band, dei jeans scuri e lisi e degli anfibi neri. Mi guardò
con quello che pensavo fosse odio puro, scoprii solo in seguito che
quella era la sua perenne espressione di noia, in quell’istante
però mi raggelò. Melany lanciò la borsa a
tracolla, che a vederla pareva dovesse spaccarsi da un momento
all’altro, in un angolo della cucina. Fantastico, un’adolescente perduta. Mi mancava proprio qualcosa del genere, pensai amaramente.
Nonostante tutta
quell’ostilità palpabile nell’aria fui gentile e mi
avvicinai sorridendo. «Piacere, sono Benjamin.»
«Mel»,
rispose lei con tono piatto. La sua stretta di mano non era affatto
come quella di sua madre, era secca e forte, da staccarti le dita. In
effetti tutta quanta Mel ti dava l’idea che prima o poi ti
avrebbe staccato qualcosa, nonostante rientrasse nella categoria pesi
minimi.
«Allora possiamo
iniziare la cena, ho fatto le lasagne per primo Mel. Le piacciono
tanto, sono il suo piatto preferito», aggiunse Tess rivolta a me.
«Alleluia», mormorò Melany sedendosi mollemente su una sedia con le sopracciglia alzate.
Io andai ad aiutare Tess con
i piatti e quando fummo tutti seduti tentai di intavolare una
conversazione, a cominciare dall’argomento più semplice:
il cibo. «Oddio sono favolose, ma come fai?»
«Grazie. In
realtà è una ricetta di mia madre, è la
besciamella il segreto. Se vuoi ti do la ricetta.»
Quasi mi andò
di traverso un boccone particolarmente grosso. «No, non
importa.» Tess mi osservò perplessa. «La
verità…», iniziai, «è che io faccio
schifo ai fornelli.»
«E le due cene?»
«La prima ordinata, la seconda arrangiata», ammisi a malincuore.
Melany intervenne per
la prima volta, il che mi mostrò subito il suo carattere
estremamente machiavellico. «Quindi hai aspettato di essere alle
strette per rivelare il tuo segreto.» Lo disse con voce tanto
piatta e naturale che non ebbi l’impressione nemmeno per un
secondo che stesse scherzando.
«Be’, credo che
questo spieghi molte cose», disse Tess accennando un sorriso.
Distolsi lo sguardo allucinato da Melany e la osservai. «Ad
esempio perché c’era la cucina piena di contenitori del
take away.»
«Li hai visti!», esclamai contrariato.
«Quando ho portato tutto a lavare.»
Feci un sorrisino e
alzai le braccia in segno di resa. «Okay, sono patetico. Non so
nemmeno come si tiene in mano una padella.» Quando esaurimmo
l’argomento, ignorando l’uscita di prima, domandai a Mel:
«Allora Mel, che cosa fai?».
«Mangio», disse lei come se fosse ovvio.
«Ha appena iniziato il liceo», disse Tess.
«Ah», commentai soltanto.
Melany parve ritrovare
l’uso della parola. «E tu? Hai fatto la scuola? Che ci
racconti di te? Hai un passato torbido?»
«Oh», intervenne Tess, «E’ vero Ben, non mi hai detto niente».
«Mio padre ha voluto
che facessi l’università, ma almeno mi ha lasciato
scegliere la facoltà. Laureato in Arti Drammatiche e Letteratura
Inglese. Tu vuoi studiare qualcosa di particolare?», domandai
rivolgendomi a Mel.
«No.»
Certo non incoraggiava al
dialogo. Per fortuna che c’era Tess che cercava di riportare la
conversazione a livelli umanamente sopportabili. «Anche Mel
farà l’università. Deve solo trovare qualcosa che
le piace. Io da giovane volevo diventare archeologa.»
«Io da piccolo volevo fare il cantante in una rock band», ricordai.
«Davvero? Avrei giurato che avessi la faccia da astronauta», commentò Melany.
«E tu cosa vorresti fare?»
Lei scosse le spalle.
«Non lo so. Forse…» Lasciò la frase in
sospeso e riprese a mangiare come se nulla fosse.
«Forse?», la incoraggiai.
«Forse non lo so.»
«Hm, Mel»,
cominciò a dire Tess ritirando i piatti, «mi sono
informata su quel viaggio che volevi fare, ho parlato con Fatima, mi ha
detto che il padre di Nandika non vorrebbe mandarcela.»
Melany parve gettare
alle ortiche la sua facciata da ragazza scontrosa e cominciò a
dire: «Ma se Nandy lo convincesse?».
«Allora va bene, ma da sola non ti ci mando.»
«Non sarò da sola, ci saranno anche gli altri…», le ricordò con eloquenza Melany.
«Gli altri chi? Non li conosco nemmeno.»
Mel sbuffò sonoramente. Io mi sporsi verso di lei e domandai: «Vuoi fare un viaggio?».
Parve riluttante a
parlarne con me: doveva essere combattuta fra il tentare di trovare un
alleato per il suo piano e parlare con il nuovo fidanzato di sua madre.
Alla fine però cedette: «Si. Io e i miei amici volevamo
andare in America quest’estate».
«Ah davvero? Dove?»
«In New Jersey principalmente, ma se riusciamo vogliamo anche girare un po’.»
Tess la guardò con le sopracciglia corrugate. «Non se non va anche Nandika.»
«Chi è Nandika?», chiesi.
«E’ la mia
amica. Ha dei parenti in America e noi due andremmo a stare da
loro.» Melany si voltò verso sua madre. «Ma
perché non ce la vuole mandare?»
«Quest’estate probabilmente ci sarà il matrimonio di sua sorella.»
Mel fece una smorfia. «Ma dura un giorno solo!»
«Mel mica devi
dirlo a me, va a dirlo al padre di Nandy», fece Tess servendo
purè di patate e stufato di carne a quantità ingenti.
Melany sbuffò e incollò gli occhi al piatto.
Per il resto della cena non
fece che sporadiche domande, soprattutto a me, e velenosi interventi
che Tess rimbeccava con gentilezza. Non appena il dolce fu spazzolato
si fiondò in camera sua mormorando un ‘ciao’ a occhi
bassi. Restammo solo io e Tess, finimmo il vino rosso mentre parlavamo
sul divano e quando decisi che era ora di andare era già
mezzanotte passata. Tess mi accompagnò alla porta e, mentre
stavo sulla soglia, sospirò. «Scusami per Mel, non
immaginavo che sarebbe stata così dura questa sera.»
«Non
importa», dissi scuotendo la testa, «davvero non fa niente.
Immagino che le dia fastidio sapere che stai con un altro che non
è suo padre.» Tess sospirò in silenzio, gli occhi
fissi su un punto lontano. «Possiamo riprovarci lo stesso.»
Sorrisi e dissi: «Un giorno della settimana, uno qualunque:
così non rubiamo il Venerdì e il Sabato a Melany, ti va?
Venite tutte e due a casa mia».
Tess sorrise. «Possiamo fare qualcosa di diverso al posto della solita cena.»
Ci pensai su qualche
secondo. «Magari possiamo andare al cinema, e poi a mangiare
qualcosina. Una cosa veloce, in giro, al bar. Ti va?»
«Sì! Sì, facciamo… Mercoledì, sei libero?»
«Perfetto. Passo
a prendervi alle sette.» Mi chinai e le diedi un bacio, salutai e
uscii. Una volta fuori dal palazzo mi volsi e tentai di capire
dov’era la finestra di Tess. Al secondo piano c’erano una
sola luce accesa: un ombra sottile mi osservò per qualche
istante, la sua incertezza si poteva leggere fin dalla strada. Ci
osservammo qualche secondo, consci che nessuno dei due avrebbe mai
parlato di quell’episodio. Infine Melany tirò le tende e
dopo qualche secondo spense la luce. Mi volsi nell’aria fredda
della sera e m’incamminai verso la macchina.
Non c’era nessuno.
Buonsalve!
Allora, non che abbia molte cose profonde da dire, solo che il "Non
aprite questa porta" attaccato alla porta di una camera l'ho copiato
dalla stanza del mio ragazzo, che l'aveva appeso lì ed era un
po' inquietante xD E poi che il titolo della fanfiction proviene dal
film "Il Padrino", anche se modificato perché mi faceva ridere.
A parte questo, spero che qualcuno legga la storia e se volete recensite.
Mi sento in dovere di dirvi che questa non è una storia d'amore,
ci si concentra di più sul rapporto fra Ben e Melany. Poi, che
altro? Ah sì, ogni capitolo sarà da un punto di vista
diverso, siccome questo è di Ben il prossimo sarà di
Melany, e così via.
Ditemi un po' che ne pensate, saluti!
Patrizia
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