Cimitero di Detroit in quel piccolo angolo che in breve tempo è
diventato custode di parte del mio cuore: mia madre e mio fratello Jack
riposano sotto uno strato di neve.
Sono rimasto il tempo di sistemare la casa, sono rimasto per
partecipare al matrimonio di Angel, sono rimasto per le litigate con
“la vida loca”, sono rimasto per vedere il sogno di Jeremiah
realizzarsi, per avere per un po’ la famiglia che ho perso. Ora però
non so più perché rimanere, mi serve una scusa per restare in questo
piccolo angolo del mio paradiso e non tornare a essere il solito
vecchio Bobby. Gli altri sono andati avanti, gli altri sono cambiati
per amore, io per l’amore perso potrei perdermi, voglio una scusa per
restare qui.
La cerco qui in questo piccolo pezzo di terra che custodisce il mio
cuore, la cerco nella terra dove mia madre riposa, ma il suo sorriso
nella foto mi dice che lei mi seguirà ovunque come ha sempre fatto, la
cerco nel mio fratellino Jack e il ricordo del mio nome sulle sue
labbra morenti mi colpisce il cuore e inonda i miei occhi di lacrime.
Sono cosi preso dal dolore che quasi mi sfugge la tua risposta alle mie
preghiere, un piccolo ciuccio di gomma con un fiocchetto blu e quasi
sommerso nella nave. Strano posto per perdere un ciuccio, sul nastro a
penna c’è scritto: “A Jack, l’angelo custode del nostro bambino. Ti amo
Alex.”
Alex, chi è Alex?
Jack era diventato padre?
In filo in tasca il piccolo tesoro e a grandi falcate torno a casa, mi
precipito nella stanza di Jack e inizio a rovistare tra le sue cose,
tra quel poco che si era portato dietro da New York. Trovo un quaderno,
dove Jack appuntava la sua musica, le sue canzoni e il nome di Alex è
scritto su molte pagine, questo nome lo stava torturando.
Seduto sul pavimento della sua stanza con la schiena appoggiata al
letto, come la prima notte passata qui dopo la morte della mamma,
Jeremiah e Angel sono nel corridoio come allora, mi manca la tua risata
dopo aver preso in giro Angel.
Ed ecco arrivare le spiegazioni dalla tua calligrafia storta
sull’ultima pagina del quaderno, l’hai strappata e stropicciata per poi
riporla nuovamente al suo posto, era troppo importante.
“Alexandra incinta,
Alex è un nostro bambino,
Alex e mio figlio,
un bambino che vorrà un padre ...
Io padre? Io non ho mai avuto un padre.
Io ho avuto Bobby, Angel e Jeremiah.
Ho avuto Evely Mercer,
non credo che nel mondo ci sia un'altra Evely per mio figlio.
Alex vuole questo bambino, lo terrà anche senza di me al fianco.
Ma cosa potremmo dargli di diverso dallo squallido mondo da cui
veniamo?
Alex dice:
l’amore che avrei ricevuto da Evely, Bobby, Angel e Jeremiah, l’amore
di una famiglia legata solo da questo sentimento e non dal Dna.
Non voglio che con il mio bambino ci sia solo il Dna, voglio essere al
suo fianco.
Ho paura.
Dopo il funerale della mamma, dopo aver passato un po’ di tempo con la
mia famiglia, tornerò è pregherò Alex di accettarmi nella sua vita e in
quella del bimbo che cresce in lei, di nostro figlio. Sarà il padre
migliore che posso essere.
Bobby mi ucciderà ma voglio che sia lui il padrino, deve insegnargli il
mondo che io non conosco,
il mondo che ha insegnato a me, al resto penserà Alex. ”
Ora tocca a me spiegare a Jeremiah e Angel cosa stia succedendo, perché
ho le lacrime agli occhi, le cose di Jack sparse per la stanza e il
ciuccio di un bambino in mano, il ciuccio di mio nipote, un altro
Mercer.
- Alex? Jack non ci ha mai parlato di nessuna …
- Non ha mai parlato di donne.
- Siamo sicuri che sia proprio di Jack questo bambino? C’è ne avrebbe
parlato.
- Perché avrebbe portato il ciuccio di suo figlio sulla tomba di Jack
se lui non è il padre?
- Perché non farsi viva con noi allora?
- Non voleva niente da Jack, non vuole niente da voi, non sa neanche
che lui ha cambiato idea. Dovete trovarla è farglielo leggere, è con un
figlio da sola. Lei è l’unica che può darvi tutte le risposte.
- Facile: è solo una mamma single di nome Alex, che ha un maschietto di
chi sa quanti mesi, a NY!
- Hai affrontato dei killer professionisti e ti arrendi con un bambino?
Chissà che Jack è morto a NY?
A chi lo avete detto?
- Ho mandato un sms al suo amico Smile, è l’unico che conosco, ma non è
venuto al funerale.
Sul cellulare di Jack non c’è nessuna Alex o Alexandra ma ci sono un
sacco di numeri di donne, il ragazzino aveva davvero un sacco di fan,
cerco tra le liste delle chiamate un numero composto più volte ma
nulla. Tra gli sms invece c’è ne sono tanti dolcissimi a un numero che
non è più attivo, il ragazzino era davvero smielato, ti avrei dato la
morte solo al sospetto di una cosa del genere, ora invece devo chiudere
gli occhi e respirare profondamente per non piangere. Un Jack diverso
da quello che conosco è vissuto lì fuori, lo sapevo che non eri solo
quello che conoscevo, anche tu non vedevi tutto quello che in realtà
sono, il carcere ha visto la parte migliore di me.
Cerco di dormire ma non ci riesco, resto steso su questo duro materasso
a giocare con le coperte perché se chiudo gli occhi c’è il tuo viso e
il desiderio di tornare da lei a dirgli d’amarla, c’è il viso non
definito di un bambino che non saprà mai che il padre è morto prima di
potergli dire che l’amava. Si sentirà abbandonato come tutti noi prima
che Evelyn ci desse questa casa e non ci facesse sentire persi.
Mi alzo, mi vesto, devo cercare tuo figlio per dirgli che non l’hai
lasciato, non l’hai abbandonato come hanno fatto i nostri genitori, sei
morto ma lo hai amato.
- Dove credi di andare?
- Dal figlio di Jack.
- Andiamo a cercare il nostro bel nipotino.
Io e Angel partiamo alla volta di NY, il sonno non conta, non credo di
riuscirci fin quando non avrò conosciuto l’ultimo dei Mercer.
La prima cosa che facciamo a NY è cercare Smile, lui risposte titubante
al telefono, beh abbiamo usato il numero di Jack avrà pensato che lo
chiamasse dalla tomba ...
Lui però di Alex non sa nulla, è sparita da prima che Jack tornasse a
Detroit, ci dà l’indirizzo dell’appartamento di Jack qui. C’è il caos,
sporcizia ovunque, frigo vuoto ma su di esso c’è una foto di una
ragazza bionda che fa l’occhiolino, è vestita di nero, dietro quello
che sembra un palco, uno di quei raduni che Jack chiamava concerto.
In un cassetto altre foto della stessa biondina, le butto sul tavolo e
scorgo un po’ della tua vita, sorridi felice al suo fianco, in evidente
imbarazzo copre con una mano l’obbiettivo della macchina fotografica
mentre tu la baci, dietro una data e i vostri nomi.
Bella vita fratellino!
Angel mi sveglia con una novità, nel piccolo e sgangherato mobiletto
dell’ingresso c’erano un volantino con date di altri concerti e un
mazzo di chiavi con inciso il nome “Alex”.
- Gliele avrà restituite dopo la litigata.
- Già, la domanda è: Jack già sapeva che lei era incinta?
- Stasera c’è un raduno ci andiamo con una delle foto?
- Muoviamoci.
I giovani che ci circondano sono rockettari, tu qui saresti stata a tuo
agio, tu saresti stato sul quel palco a far un sacco di baccano con la
tua chitarra, a sentire le urla delle tue fan, posso solo immaginare
tutto ciò perché io non ti ho mai visto. Ora scopro che è stato un
errore, una mia dimenticanza non averti visto neanche una volta suonare
su un palco, mi sono sempre limitato ad ascoltarti strimpellare in
camera tua.
Nel caos perdo Angel e trovo un attraente barista che tra un occhio
languido e un sorrisino mi dice che conosceva Jack, di Alex sa che si è
rinchiusa nel suo dolore.
Sembra che nessuno sappia del bambino.
Chiedo se ha un recapito, lei prova a chiamarla ma non risponde,
sorrido e Angel mi raggiunge, lui ha avuto più fortuna: a dato il suo
indirizzo.
Ci precipitiamo lì, tutto è nel buio più totale e la posta è accumulata
nella casetta.
Nel buio della casa di Jack il suo cellulare suona, sul display non
appare il numero ma rispondo.
- Pronto?
- Bobby Mercer?
- Si, tu sei?
- Alex, ho saputo che mi state cercando.
- Possiamo vederci?
- Dove sei?
- Nell’appartamento di Jack.
- Io sono a Detroit.
- Ci vediamo a casa nostra domani pomeriggio.
- L’affitto scade alla fine del mese, prendete o mettete da parte ciò
che volete al resto penserò io …
- Non serve.
- Serve … sono le cose di Jack. A domani.
Riempio una scatola e la metto nel portabagagli della mia auto.
A casa ci aspetta Jeremiah e Sofi, non abbiamo che quella scatola da
mostrare per quella vita che ormai è un mistero, per il fratello che
abbiamo sepolto non c’è altro ma nel pomeriggio ci sarà.
Aspettare non è mai stato il mio forte, aspettare tra queste mura gli
ultimi atti della vita del mio fratellino e un nipote che crescerà
senza mai sapere quando importante, tenero, forte sia stato suo padre.
Il campanello suona e in un lampo sono ad aprire quella porta, ad
accogliere in casa Alex infagottata per bene nel suo cappotto e con un
pancione, mio nipote non è ancora nato.
- Io sono Alex.
- Bobby, loro sono i miei fratelli Angel e Jeremiah.
- Jack mi ha parlato spesso di voi.
- Noi abbiamo scoperto di te solo ieri da questo.
- Il ciuccio. Scusate non pensavo potesse darvi fastidio.
- Nessun fastidio, lo riporteremo lì, e solo che non sapevamo …
- Che ero incinta? Jack aveva deciso … beh speravo che gli servisse del
tempo per schiarirsi le idee.
Si accarezza la pancia, sorride, anche se gli occhi sono sul punto di
riempirsi di lacrime.
- Abbiamo avuto una breve relazione molto tempo fa, capimmo che era
solo un momento difficile per entrambi e che avevamo cercato di
ricucire le nostre ferite insieme ma che questo era sbagliato per
entrambi. Lui però è venuto dopo, in una serata di felicità vera,
dall’alcool e di nostalgia.
- Perché non ci hai cercato?
- Avevo paura di scoprire che … potevo superare l’idea di Jack che non
voleva essere padre e la sua paura di esserlo diventato, ma solo l’idea
che avrebbe pensato all’aborto o all’adozione, di abbandonare me ci
sono abituata ma lui …
- Anche i tuoi genitori?
- Sono stata abbandonata davanti ad un orfanotrofio ma io non ho avuto
la fortuna di Jack, nessuna Evely mi aperto le porte di casa e del suo
cuore. Ha sedici anni ho ottenuto l’emancipazione e da allora bado a me
stessa. Voglio qualcosa di diverso per lui, io darò a mio figlio tutto
l’amore che merita, certo un padre a fianco sarebbe stato tutt’altra
cosa ma non importa. Mio figlio non entrerà nel sistema che mi ha
rovinato l’infanzia.
- Ci dispiace.
- E’ il passato.
- Tra le cose di Jack abbiamo trovato qualcosa che devi leggere. E’ in
camera sua.
Sul letto di Jack leggi le sue ultime parole per lei, accarezza la
pancia con il vostro bambino, piange e poi si addormenta sul quel
cuscino che ha ancora il tuo odore.
Resto a guardarla nel corridoio per poi scendere a parlare con i miei
fratelli, ha detto che non vuole niente ma in grembo porta il figlio di
nostro fratello, lei non ha una famiglia alle spalle, lasceremo davvero
da sola questa giovane donna con nostro nipote?
Jack voleva ritornare al suo fianco, noi saremmo stati al suo come
sempre ed è quello che faremo.
Dopo alcune ore scende lentamente quelle scale.
- Scusate, non dormivo da giorni.
- Hai fame?
- Si, grazie.
- “La vida loca ” aggiungi un posto in più.- il solito giornale fende
l’aria - Mi hai mancato.
Ride.
- Senti noi ne abbiamo parlato, quel piccolino è nostro nipote, tu sei
sola e vogliamo che resti qui se vuoi, noi ci siamo.
- Non siete costretti.
- Sei della famiglia.
A cena è il tuo posto che occupa, parla ed io non riesco a togliergli
gli occhi di dosso, non è difficile capire com’è riuscita a fare colpo
su di te, ha già conquistato tutta la famiglia Mercer, la guardo e mi
chiedo se sarà la mia scusa per rimanere, la mia scusa per una vita
diversa.
Dopo cena ci fa vedere dei video di te che suoni, di te su un palco, di
te lontano da questa casa.
Piange ma resta a osservarti con un sorriso triste, non c’è rabbia né
rancore sul suo volto, io invece mi sento sprofondare da tutte quelle
cose che non ho fatto, dal vedere un tuo concerto dal vivo, a salvarti
la vita, a morire al tuo posto.
Pensaci io sono l’unico vero Mercer che il mondo poteva facilmente
rinunciare, l’unico di cui nessuno sentirebbe la mancanza, altre hai i
miei fratelli. La mia vita è solitaria.
Ha indossato il cappotto ed è uscita in giardino, la seguo, ho paura
che scompaia ancora nell’oscurità.
- Bobby com’è morto Jack?
Mi guarda dritto negli occhi e in silenzio aspetta la risposta.
- I killer che hanno ucciso mia madre ci hanno teso un agguato, Jack ha
aperto la porta ed è uscito in giardino. E’ morto tra le mie braccia
proprio lì tra la neve.
- Hai vendicato entrambi.
- Si.
- E ora che farai?
- Non lo so. E tu che vuoi fare?
- Valuto l’idea di provare a vivere nella famiglia del padre del mio
piccolino, non ne ho mai avuta una e non perderò l’occasione di
provarne ad averne. Non posso chiudere la porta in faccia a questa
possibilità.
- Puoi stare qui quando vuoi, in casa ci sono solo io ed è abbastanza
grande.
- Bobby posso essere sincera con te?
- Spara.
- Come vi ho detto Jack ha parlato spesso di voi ed io sono brava a
inquadrare le persone, ne ho viste tante e di tutti i tipi. La domanda
è questa: tu che ci fai ancora qua? Cosa stai cercando?
- Una scusa, cerco una scusa per non tornare a essere il solito vecchio
Bobby.
Sussurro a bassa voce, non so neanche perché gli ho detto la verità.
- Che ne dici di Ben Mercer?
- Spero non sia il nome di mio nipote.
- Non voglio chiamarlo Jack ... non riesco a ... il suo nome ...
farebbe troppo male pronunciarlo ... speravo che potesse avere il
cognome di suo padre. Il cognome è una cosa che io non ho mai avuto.
- Per Mercer sarà un onore ma Ben …
- Ok niente Ben ma questo piccolino nascerà a breve né avrà bisogno.
- Tranquillo piccolino lo zio ti troverà il nome adatto!
- No da pugile o da carcerato però!
James Mercer è nato tre giorni fa, oggi lo riporto a casa, abbiamo
organizzato una festa di benvenuto per tuo figlio. Sono tre mesi che
Alex è a casa nostra, tre mesi ed è una della famiglia ormai. Si è
trasferita definitivamente qui a Detroit, abbiamo chiuso le vostre case
a NY, ora occupa la camera che era della mamma. Per il momento James
starà lì con lei, stiamo già organizzando la sua camera nella tua, le
pareti blu lo attendono insieme a orsacchiotti e sonagli.
Come da te deciso sono il suo padrino, non penso d’essere all’altezza
ma se tu saresti tornato a coprire il tuo ruolo di padre, anche se non
ti senti all’altezza, io non posso tirarmi indietro, non posso essere
meno coraggioso del mio fratellino.
C’è un problema però, e per questo che sono qui sulla tua tomba prima
di recarmi a prenderli in ospedale, mi sento un ladro nei tuoi
confronti, ho paura di starti facendo un torto vivendo gli attimi che
toccavano a te in qualità di padre, ho paura di essermi d’innamorato di
quella che doveva essere la tua famiglia, la tua donna e il tuo
bambino, fratellino.
Sei anni dopo.
- Zio Bobby perché la mamma è in giardino al buio?
- Non saprei James, tu aiuta la zia con la cena ed io chiamo la mamma.
- Va bene.
- James si sta preoccupando e la cena è quasi pronta.
- Sei anni fa qui decisi di provare ad avere una famiglia.
- Pentita?
- No. Sono rimasta perché James potesse avere e conoscere la sua
famiglia, alla fine ne ho trovata una anch’io.
- Potevo prenderci solo James?
- Penso che l’FBI lo definisca “rapimento di minore”.
Silenzio mentre si gira per fronteggiarmi, mi guarda negli occhi.
- Bobby dopo sei anni cerchi ancora una scusa?
- Una scusa no, ora ho un motivo, due bei motivi.
Sorride per la spiazzante sincerità della mia risposta ed io non posso
far altro che imitarla. |