N/A:
Scritta per la prima settimana del COW-T #2,
per il mio bellissimo
team cavalleresco, i Mighty Knights, con prompt Guerra.
C'è
un'alternanza di timeline da paragrafo a paragrafo, ma spero si
capisca, e che la storia risulti scorrevole ugualmente :D
Il
cielo, dietro gli alti profili dei grattacieli, comincia a scurirsi.
Nessun
tramonto illumina quel pomeriggio di frenetiche compere
pre-natalizie; le nuvole grigie, semplicemente, acquistano una
tonalità più cupa che ben si accorda alle numerose insegne
luminose, neanche fosse l'ennesima trovata dei negozianti per mettere
in luce i proprio negozi.
Le
vetrine ben allestite attirano, come una calamita, ogni passante che
si trovi a confondersi nella folla affaccendata delle prime ore della
sera.
“Guarda
che bello!”, dice entusiasta una ragazza indicando un vestito di
taffetà rosso esposto in uno dei negozi più costosi della via. “Me
lo compri?”
“Certo”
ribatte con un sorriso sfacciato il suo accompagnatore, cingendole le
spalle con un braccio. “Tutto per te”.
Lei
ride, divincolandosi senza molta convinzione.
“Ma
dai! Il solito cascamorto...”
Le
sue
parole si perdono nel brusio della massa, mentre la coppia avanza
verso la prossima vetrina.
Ridacchiano,
si stringono l'una all'altro in un perfetto equilibrio di frecciatine
e sorrisi. Giovani, innocenti e innamorati.
Nina
Williams si stringe nel suo cappotto nero.
All'orizzonte,
quel giorno, c'è un grattacielo in meno.
“Abbiamo
una ribellione interna da sedare”.
L'annuncio
di Nina è lapidario.
Impassibile,
ferma davanti alla scrivania di Jin, riferisce l'ultimo, allarmante
aggiornamento sulla situazione della Zaibatsu con la stessa
nonchalance con cui si potrebbe parlare dell'ultima manicure fatta
dall'estetista.
“Non
è nulla di inaspettato” prosegue, monotonale. “Ci sarebbe stato
da stupirsi se la Tekken Force avesse accettato la presa di potere di
un ragazzino senza insorgere. Senza offesa”, aggiunge, davanti al
silenzio del suo superiore. “Sto solo esprimendo il punto di vista
della maggioranza della Zaibatsu, che Eddy ha provveduto a
raccogliere e a riferire”.
“Eddy?”,
le fa eco Jin, il mento posato sulla mano destra in un'espressione
pensosa. Con quel completo elegante e quello sguardo cupo quasi
sembra adattarsi all'ufficio che ha occupato da poco più di due
settimane.
“Esatto.
Presso i sottoposti della Zaibatsu, è opinione comune che non ti sia
fedele, e che anzi sia ben contento di sostenere il loro colpo di
stato. Perciò è riuscito a guadagnarsi la loro fiducia senza alcuna
difficoltà e a entrare in diretto contatto con i fomentatori di
questa piccola ribellione. Sedarla sarà ancora più facile”.
Nina
passa ad illustrare, con ordine metodico, i punti del piano per
stanare e distruggere sul nascere quel focolaio di ribelli. Lui la
ascolta in silenzio, senza riuscire a stabilire se la sua efficienza
gli desti ammirazione o paura.
In
fondo, si dice, è di gente come lei che ha bisogno se vuole riuscire
a mettere in atto il suo piano. Gente spietata, fredda, calcolatrice.
Gente che, con la sua vicinanza, riesca a far mettere da parte le
emozioni anche a lui, ancora troppo ragazzino per riuscire a
gestire quel potere che si è preso a metà tra la rabbia e la
disperazione.
“Credi
che ci si possa fidare di Eddy?”, domanda, quando Nina finisce il
suo discorso.
“Sì.
Cova del risentimento nei tuoi confronti, ma è leale al patto
stretto. Non ti tradirà”.
Ogni
parola che esce dalla sua bocca è intrisa di sicurezza. Nina ha
tutte le risposte di cui ha bisogno, ed è l'unica a cui riesca a
fare domande, perché, davanti al resto del mondo, è troppo
impegnato ad indossare la nuova maschera da tiranno che ha rubato ad
Heihachi per potersi concedere di far trapelare dubbi che lo
assillano ogni minuto.
Neppure
tre anni prima, Nina Williams aveva l'obiettivo di ucciderlo.
I
suoi
occhi freddi, che lo scrutavano con la freddezza che usa il
cacciatore per scegliere il modo migliore di ammazzare la sua preda,
gli aveva gelato la spina dorsale. Davanti a quella donna alta venti
centimetri meno di lui, aveva provato più paura che al cospetto di
Ogre, per il semplice fatto che nessuna rabbia e nessun desiderio di
vendetta potevano vincere i brividi che gli provocava quello sguardo.
Sapeva solo di non poter abbassare la guardia neppure un istante,
perché un proiettile avrebbe potuto trapassargli il cranio non
appena avesse posato la testa sul cuscino, pronto ad abbandonarsi
alle dolci rievocazioni di un passato ormai remoto.
Nina
non giocava pulito. Nina era un'assassina, e lo è anche adesso che
ha riacquistato la memoria ed il libero arbitrio.
Continua
a spaventarlo: per questo ha accettato senza indugi la sua proposta
di fargli da guardia del corpo.
Non
ha
chiesto perché – sapeva che una risposta soddisfacente non gli
sarebbe mai arrivata. Ha solo detto sì
e le ha consegnato le chiavi dell'ufficio di fronte al suo.
Nonostante
ci siano un milioni di buoni motivi per non fidarsi di lei, Jin lo
fa.
E
le affida la sua vita.
“Un
caffè”, ordina, asciutta, prima ancora che il cameriere apra
bocca.
Posa
il cappotto sulla sedia di fronte alla sua, e sospira, sfregando tra
loro le mani intirizzite dal freddo.
Dall'angolo
silenzioso del piccolo caffè che si è scelta, osserva il resto
della clientela chiacchierare animatamente davanti ad una tazza di
cioccolata calda, o di caffè latte.
Sembrano
tutti felici, spensierati.
Nina
allunga la mano verso il quotidiano posato sul tavolino attiguo.
“La
guerra è finita”, titola.
“Bisogna
dare un segnale forte”, ribatte Nina, con una freddezza che cozza
ferocemente con la foga del suo interlocutore.
“Segnale
forte? Lasciali marcire in cella, questo è un segnale forte!”
Eddy
gesticola, le si fa più vicino nella furia della discussione,
sovrastandola con la sua altezza.
Lei
non arretra, con alza la voce.
“Metterli
in cella è una punizione da bambini. Tra una settimana saremo punto
e a capo, con un altro manipolo di soldati scontenti che attenterà
alla vita di Jin”.
“La
maggior parte della Tekken Force ha accettato la nuova leadership.
Non ci saranno altre ribellioni!”
“Una
soluzione drastica è l'unico modo di comunicare il giusto messaggio
a tutti i sottoposti della Zaibatsu: mettendosi contro il nuovo capo,
firmano la loro condanna a morte”.
“Non
puoi ammazzare la gente solo per comunicare un messaggio!”, sbotta
Eddy. “Non puoi disporre della loro vita come se fossi Dio!”
“No,
non posso”, gli accorda lei, senza scomporsi. “Ma Jin, in quanto
capo della Zaibatsu, sì”.
Solo
in quel momento Eddy sembra ricordarsi della sua presenza, e si volta
verso la scrivania.
E'
con
sguardo supplicante che lo fissa, con gli occhi di chi spera di
trovare, nel giovane uomo che gli sta davanti, l'umanità che ha
imparato a conoscere nel ragazzo di diciannove anni che aspettava il
suo match sempre in disparte, e si allontanava in silenzio dal ring
non appena l'arbitro decretava il k.o. dell'avversario, e che l'ha
convinto – più delle promesse di curare il suo maestro – ad
accettare quel patto con il diavolo.
“Jin...”,
supplica a mezza voce, in un mormorio che fa molta più presa delle
urla che hanno riempito lo studio fino a pochi istanti prima.
“Non
si vince una guerra senza spargere del sangue”.
Nina
professa questa verità intaccabile senza guardarlo, appoggiata alla
parete in fondo all'ufficio.
Le
ragioni del cuore contro la logica inoppugnabile di chi un cuore non
ce l'ha.
Jin
vorrebbe avere scelta, ma sa di aver perso la facoltà di decidere
nel momento in cui ha usurpato il trono di suo nonno.
Per
raggiungere il suo obiettivo, la strada da seguire è una sola.
“Date
l'ordine di procedere con la fucilazione”.
Una
figura si avvicina al suo tavolino, gettando un'ombra imponente sulle
pagine del quotidiano che sta sfogliando.
“Non
sei il cameriere, e non porti il mio caffé”, dice Nina, senza
alzare lo sguardo dal giornale.
“No”,
ribatte una voce maschile, piena e roca, che conosce molto bene.
“Direi di no”.
“Siediti,
forza”, gli intima. “Mi copri la luce”.
“Ci
hai preso gusto a dare ordini, eh?”, commenta, amaro e sardonico,
lui, ma esegue il comando, scostando il cappotto di lei per poter
sederlesi di fronte.
Nina
lo ignora deliberatamente a favore dell'articolo che ha riempito la
sua attesa.
Il
cameriere, nel frattempo, le posa davanti la tazzina con il suo
caffè, senza aprire bocca – evidentemente quella donna di poche
parole lo intimidisce – e prende scrupolosamente l'ordinazione di
Eddy.
“Piuttosto
scortese da parte tua ignorarmi, dato che sei stata tu ad invitarmi”,
dice, quando restano di nuovi soli.
“Sono
sorpresa che tu abbia accettato”, ribatte, da dietro le pagine del
quotidiano.
“E
io che tu mi abbia chiamato. Credevo che, finita quella follia, non
ti avrei più rivista”.
Quella
follia.
Così
Eddy riassume il lungo periodo trascorso tra le mura della Zaibatsu.
Il
resto del mondo – compreso l'autore di quell'articolo – usa
grosso modo le stesse parole per descrivere l'impero di Jin Kazama.
La
statica immobilità che precede la morte lo lacera in ogni secondo di
assordante silenzio.
Si
trincera in una maschera di impassibilità, deglutisce piano e tiene
lo sguardo fisso sulla schiera di uomini che, ordinatamente in fila
davanti a lui, attende la fine giungere a un suo cenno della mano.
Non
indossano il casco d'ordinanza, i ribelli. Non sono soldati senza
volto reclutati da suo nonno, ma uomini con gli occhi pieni di paura.
In alcuni riesce a leggere la rassegnazione disincantata di chi sa di
pagare l'inevitabile conseguenza delle proprie azioni, mentre in
altri non vede altro che la disperazione più profonda di ragazzi
troppo attaccati alla vita per accettare di morire.
Automaticamente,
Jin abbassa lo sguardo.
Chissà
cosa direbbe sua madre, se lo vedesse in questo momento, pronto a
macchiarsi le mani del sangue di un centinaio di uomini.
Una
mano gli sfiora la spalla, facendolo sussultare.
Nina
accosta le labbra al suo orecchio, il suo respiro caldo smorza la
fredda aria invernale.
“Devi
guardare, o non servirà a nulla”, sussurra.
Jin
annuisce appena, e rialza a fatica il capo.
Nina
ha ragione. Nina, con la sua logica inoppugnabile, con le sue
razionali strategie di guerra, ha sempre ragione, su questo non ha
dubbi.
L'intera
Tekken Force è riunita attorno al perimetro del campo di
addestramento, i reparti a lui fedeli pronti a venir ammoniti
dall'esempio di chi, invece, ha scelto di ribellarsi al quel tiranno
dal viso troppo giovane. I traditori sono schierati sul fondo del
campo, tenuti sotto tiro dai fucili dei fedelissimi.
Nina
gli batte la mano su una spalla, due colpetti in rapida successione
quasi ad incoraggiarlo, poi si allontana a passo svelto, una falcata
sicura dopo l'altra, fino a posizionarsi di fianco alla linea di
tiro.
E'
lei
ad aprire le danze.
Avanza
di un paio di metri, estrae la semiautomatica senza neppure fermarsi,
spara senza alcun bisogno di prendere la mira.
Il
proiettile si conficca dritto in fronte del primo ribelle in fila, e
il cadavere stramazza al suolo, scomposto.
Qualcuno,
dall'estremità opposta della schiera, caccia un urlo, che copre il
cupo rimbombo dello sparo.
Qualcun
altro stringe le gambe, se la fa sotto.
Nina
arretra, abbassa l'arma ancora calda.
Stende
il braccio disarmato, dà il segnale al piccolo plotone di esecuzione
di continuare a sparare.
Per
i
dieci minuti seguenti, nell'ampia proprietà della Zaibatsu risuonano
solo spari e tonfi di cadaveri che cadono a terra, l'uno dopo
l'altro.
Ucciderli
uno per uno è un modo più incisivo di comunicare il messaggio:
questo ha sostenuto Nina, e a questo Jin non si è opposto.
In
silenzio, guarda la morte.
Non
può concedersi di distogliere lo sguardo.
“Dunque,
di cosa volevi parlare?”, domanda Eddy, da sopra il suo drink.
Lì
seduti l'uno di fronte all'altra, a chiacchierare sotto la luce
soffusa e accogliente del caffè, sembrano quasi due ex-colleghi che
si ritrovano dopo aver preso strade diverse. Non è poi troppo
lontano dalla realtà, in fondo.
Nina
rimesta con la linguetta di plastica lo zucchero nel caffè, elegante
nella sua compostezza.
“Volevo
sapere come te la cavi, se sei riuscito a riprendere in mano la tua
vita...” dice, vaga.
“Sono
tornato in Brasile”. Prende un sorso dal suo aperitivo, forse per
temporeggiare. “Il primo posto che ho visitato è stato il
cimitero. Ho trovato Christie piangere sulla lapide di suo nonno: è
morto, alla fine. E' stato tutto inutile”.
Sorride,
amaro. Per Eddy il tempo speso alla Zaibatsu non è mai stato altro
che una discesa nell'inferno, un susseguirsi di atrocità che a
stento sopportava solo per amore del suo maestro.
Jin
se
ne è andato senza riuscire a rispettare la sua parte del patto, e
per questo ai suoi occhi ora deve apparire ancora più mostruoso di
quanto non gli sembrasse prima.
E'
sempre stato all'oscuro di tutto, Eddy.
Con
la
sua onestà, non avrebbe mai capito. Riparlarne, ora che Jin è
morto, non servirebbe a nulla.
“Agli
occhi di Eddy sono un mostro”.
Quella
di Jin è una constatazione rassegnata, come rassegnato è lo sguardo
che si riflette nella vetrata del suo grande ufficio; sotto di lui,
ancora stanno ripulendo il cortile dai cadaveri.
Nina
si avvicina a passi misurati alla scrivania. Sfiora distratta le
carte che la ingombrano, posa gli occhi sull'unica foto che vi
troneggia, un'immagine dai colori vivaci che immortala lo sguardo
puro di Jun Kazama.
Con
la
coda dell'occhio, Jin segue la direzione del suo sguardo, e le è
grato per il silenzio che riserva a quella scoperta. Con una foto di
sua madre sulla scrivania, non può andare lontano nei suoi efferati
piani, lo sa bene; eppure, non trova la forza di mettere da parte
quell'ultima traccia di lei.
“Agli
occhi del mondo sarai un mostro”, replica Nina. Non lo dice con
cattiveria, né per provocazione; ancora una volta, dalle sue labbra
non esce che la cruda verità.
“Se
credi di non poterlo sopportare”, prosegue, “devi tirarti
indietro ora, prima che sia troppo tardi”.
Gli
si
accosta, chinando il capo come lui verso il macabro via vai
sottostante, la sua spalla magra che sfiora il profilo tonico del suo
braccio.
Jin
fissa l'ennesimo corpo malamente trascinato via; anche se la notte ne
confonde la figura, i tratti di ogni vittima di quel pomeriggio di
punizioni esemplari li è rimasto impresso a fuoco nella mente.
“E'
troppo tardi per tirarsi indietro. La guerra è cominciata”.
Eddy
insiste per accompagnarla alla macchina, ma lei l'ha lasciata nel
parcheggio dell'albergo, e preferisce camminare, da sola.
Alla
fine, riesce a spuntarla sul suo impeccabile galateo, e quella
disputa quasi le strappa un sorriso: neppure la ricorda, l'ultima
volta in cui un uomo l'ha accompagnata alla macchina.
Si
congedano con una stretta di mano, di nuovo inglobati in una strana
imitazione della normalità.
Nina
si incammina verso l'hotel perplessa e vagamente stranita da
quell'incontro, dall'atmosfera che sembra avvolgere la città –
anzi no, il mondo intero.
Ogni
singolo componente della folla in cui si è mischiata per tutto il
giorno, e in cui continua a mischiarsi anche in quel momento, pare
aver ritrovato una serenità smarrita da tempo, e da ogni angolo
provengono sorrisi e risate.
E'
l'unica che, in quell'esuberanza collettiva, mantiene l'indifferenza
di sempre, l'indifferenza di prima.
La
guerra è finita, la normalità è tornata.
Rientrata
in albergo, controllerà la posta elettronica, la casella vocale,
sceglierà quale incarico accettare per segnare il suo ritorno alla
sua consueta attività lavorativa.
Nel
chiudersi in una nuova stanza d'albergo sconosciuta, nel nascondere
caricatori sotto i vestiti e prenotare un aereo con un omicidio per
destinazione, per lei non c'è proprio nulla di entusiasmante.
Solo
lei, alla normalità, preferiva la guerra.
Forse
perché solo lei conosceva le ragioni dell'uomo del grattacielo
caduto.
Word
Count: 2442 (FDP)
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