La
chiave finale
Una giornata no
“Fabio Grosso…è ancora
una volta in mano sua il destino di questa coppa del mondo…Fabio Grosso parte…”.
Questo diceva la telecronaca, prima che tutto il bar
esplodesse in un urlo gioioso: “GOOOOL!!! CAMPIONI DEL
MONDO!!!”.
“Evvai! Campioni del mondo!” gridò
Michael Fodder, saltando
all’impazzata, mentre subito ordinava tre birre, tutte per lui.
Si fecero le due. Uscì di corsa dal bar, e si ritrovò
davanti a Buckingham Palace,
nella più completa desolazione.
“Ecco il brutto di vivere a Londra, quando l’Italia vince la
Coppa del Mondo…che entusiasmo” mormorò ironico Michael.
Dentro gioiva come non mai, ma a quanto pare non
poteva sfogarsi.
Era euforico, doveva fare qualcosa.
“Sigh…sigh…”.
Dei singhiozzi provenivano da un vicolo lì accanto. Michael, curioso, raggiunse una ragazza piangente. Doveva avere più o meno diciotto anni, come lui, aveva
lunghi capelli rossi. Il viso non poteva vederlo, perché era nascosto da
graziosissime mani.
“Scusi…” la chiamò, destandola dai singhiozzi.
La ragazza scoprì il volto. Il volto più carino che Michael avesse mai ricordato
di aver visto, forse non ricordava per colpa dell’alcool, ma era sicuro che era
carinissima.
“Perché piangete?” gli domandò,
tenero, cercando di non traballare e di non cadergli addosso.
“Beh…niente…la vita…” mormorò la ragazza, tra un singhiozzo
e l’altro.
“La vita…già, gran brutta cosa. Io ne so
qualcosa, sa? Non ricordo un fico secco della mia
vita, se ne rendo conto? Niente di niente! Mi ricordo solo di voler
tifare Italia, e sono inglese…non le sembra una cosa strana? Sono solo, qui,
ubriaco, in balia del destino”.
“Il destino? No…ormai non ci credo più”.
“Non c’è bisogno di credere al destino, signorina. Il
destino fa avvenire le cose e basta. Per esempio…ora ha fatto incontrare noi
due. E non lo dico solo perché sono ubriaco”.
La ragazza sorrise.
“Visto? Il destino ha fatto in modo che la incontrassi, così
lei smettesse di essere infelice”.
“Infelice…lo sono stato per troppo tempo. Ha
ragione, Michael, devo smettere di odiare la
vita”.
“La vita…già, gran brutta cosa. Io ne so…”.
La ragazza si alzò, e gli si avvicinò.
“Forse è meglio andare a casa mia, a farvi
passare la sbronza, non credete?”.
Quella mattina Michael si alzò di
buon umore. Era il suo compleanno. Trentaquattro anni. Ed
era felice, come non mai. Quando si era svegliato,
quella notte di sedici anni prima, ricordandosi solo il suo nome, pensava che
la sua vita fosse finita. Invece aveva deciso di non
restare con le mani in mano, e di mettersi a lavoro. Così era arrivato dove
nessuno poteva immaginare. Ora era presidente di una compagnia vinicola, famosa
in tutto il mondo. “The Magic Wine” così diceva l’etichetta delle bottiglie dei
suoi vini. Quando andò in bagno a lavarsi, rimase allo
specchio per quasi cinque minuti, a fissarsi. Era diventato un uomo di successo.
In quegli ultimi sedici anni aveva imparato parecchio. E poi non era stato per
niente facile riuscire a lavorare; quasi due volte al
giorno, nel mondo, avveniva una catastrofe. Ed era
stato così per dodici anni ininterrotti. Qualcosa di strano accadeva nel mondo,
ma sembrava che gli esseri umani non potessero scoprire cosa, non potessero
sapere. Gli scienziati più conosciuti e famosi non erano riusciti a venirne a
capo.
Così la popolazione viveva in pieno terrore ogni giorno, e allietava
il malessere con qualche bicchiere di vino, preferibilmente “The Magic Wine”.
Si prospettava una giornata felice e lunga.
“Trent’anni non si compiono tutti
i giorni” pensò Michael, mentre scendeva le scale della
sua immensa villa.
Una villa che era il simbolo della sua
impresa, della sua vita. Niente e nessuno avrebbe
mai potuto portargliela via. Uscì di casa, e oltre il cancello lo aspettava la
sua limousine.
“Buongiorno, Pierre” disse Michael, salutando il suo autista.
“Buongiorno signor Fodder” rispose
lui, aprendogli lo sportello della macchina. “A proposito…buon compleanno
signore”.
“Grazie, Pierre” disse Michael con un sorriso, entrando in macchina.
Ma la giornata non sembrava voler
continuare su quell’andamento. Appena Pierre arrivò davanti alla sede dell’azienda, un operaio in
uniforme bianca, abbastanza corposo, li raggiunse correndo in fretta e furia,
con la faccia del colore della sua uniforme.
“Signore, signore, è successo un disastro! Presto, correte!” esclamò l’operaio.
“Cosa è successo, Vincent?” domandò Michael,
uscendo di corsa dalla macchina.
“Venite con me, signore, venite con me!” disse l’operaio,
frenetico.
Vincent lo condusse in
sala-macchine dove veniva lavorata l’uva. Appena entrato il volto di Michael
si sbiancò, di botto.
“Signore…avete visto? Cosa succede?”.
“Oh…no…uscite tutti da qua!” urlò Michael
a tutti gli operai presenti, anche loro preoccupati fino al midollo.
L’intera macchina traballava, era
sul punto di esplodere.
“Tutti fuori, veloce!” gridò ancora Michael.
Appena uscirono tutti, anche lui
iniziò a percorrere l’ampia scalinata, che conduceva al piano di sopra.
“Dov’è il ca…?”
domandò Vincent ai suoi colleghi, ma un improvviso
botto lo interruppe.
“Signor Fodder!” strillò un altro
operaio.
“Tutto ok! Sto bene!” esclamò Michael, mentre apriva la
porta.
Lui stava bene, ma il suo vestito,
probabilmente, non era più utilizzabile.
Corse subito nel bagno del suo ufficio, all’ultimo piano, dove
posò gli abiti zuppi di vino sul gabinetto, e si buttò sotto la doccia. Ma la sfortuna, quel giorno, non voleva lasciarlo. Appena
girò il pomello della doccia un getto di acqua gelata
si scaraventò su di lui.
“AAAAH!!!!” urlò Michael, scaraventandosi fuori dalla doccia.
“Mi sembra che la caldaia si sia rotta, signor Fodder” disse l’idraulico, un’oretta dopo.
“Grazie…può…ripar…la?” domandò Michael, tremante, sotto l’accappatoio.
“Sì, ma ci vorrà un bel po’, le consiglio di tornare a casa”
disse l’idraulico, in tono cordiale.
“D’accordo…grazie” disse Michael.
Una volta chiamato Pierre, tramite il cellulare, si precipitò subito alla sua
villa, tremante, sotto l’accapatoio. Non vedeva l’ora
di farsi una doccia, come si deve.
“Brutta giornata, signor Fodder?”
gli domandò l’autista.
“Già…come ha fatto ad indovinare?” disse Michael,
ironico.
Solo quando arrivò davanti al cancello della sua dimora si ricordò di aver dimenticato le chiavi in ufficio.
“Vuole che le vado a prendere, signore?” domandò Pierre, cordiale.
“No, Pierre, grazie. Puoi andare…me la caverò” disse Michael,
piuttosto irritato, sull’orlo di una crisi di nervi.
Appena la limousine sfrecciò via, Michael
si guardò intorno, e decise di scavalcare. Sembrava che ce l’avesse
fatta, quando, proprio mentre scendeva, dall’altra parte, l’accappatoio restò
impigliato agli spuntoni del cancello. Cadde a terra, nudo
come mamma l’aveva fatto.
“AAAH!” urlò una donna, che aveva appena girato l’angolo
della strada, e l’aveva visto.
Rosso come un peperone, Michael
lasciò perdere l’accappatoio e corse subito in casa, entrando da una finestra.
“Che schifo di giornata!” esclamò Michael, mettendo la vasca a riempirsi d’acqua. Aspettò una
decina di minuti, e poi, si tuffò.
“AAAH!!!!” uscì immediatamente
dall’acqua, quasi ustionato. L’acqua era bollente.
DLIN! DLON!
“E ora chi diavolo è!” pensò Michael, mettendosi un asciugamano intorno alla vita, e
correndo alla porta, scivolante più di una volta.
Ma quando prese la cornetta, gli
sorse un dubbio.
“Ehi, ma chi sei? Hai scavalcato il cancello?” domandò Michael,
diffidente.
“Sono venuto a portarle l’accappatoio, signore” disse la
voce di un bambino.
Rincuorato, Michael aprì la porta,
e un ragazzo, di sedici anni circa, gli sorrideva, con l’accappatoio in mano.
“Ma tu non sei un bambino! Ma che
diavolo credi di fare?” domandò Michael,
furioso.
“Volevo solo incontrare mio padre”.
“Pa…padre?!”.
Ecco finito il primo capitolo della mia seconda Fan-Fiction…spero non
sia noioso, e che vi abbia interessato, perché presto ne vedrete delle belle…scusate
per l’inizio ma l’ho voluto dedicare ai grandi azzurri campioni del mondo! Non
succederà più…alla prossima!