Lo
faccio per te
Sussulto,
lasciando cadere sul letto di mia sorella le foto
che ho trovato nel cassetto dei trucchi. Le mie mani tremano, mentre un
brivido
finisce in questo istante di percorrermi la schiena.
Ero
entrata nella sua stanza per prendere un rossetto da
abbinare alla mia nuova maglietta rossa; fra un’ora Matteo
verrà a prendermi,
ma probabilmente non sarà l’assenza di quel
rossetto a fargli notare che
qualcosa non va. Come potrei spiegargli? Come posso spiegarlo a me stessa?
Con
un dito sfioro appena la foto in cima al mucchio, in
modo da girarla e guardarla di nuovo: non riesco a credere che quella
ritratta
sia Nicoletta.
No,
non può essere lei, non lei, non quella che prende otto
in tutte le materie, non quella sempre disposta ad aiutare gli altri.
Faccio
un respiro profondo e provo a ragionare. Come
potrebbe essere possibile? No, mi rispondo, quella foto è
solo un caso, un
gioco tra amiche; tuttavia, le altre fotografie non lasciano dubbi.
Mi
afferro la testa tra le mani, cercando di riflettere.
Quando potrebbe essere successo? Quando potrebbe avere iniziato? Forse
l’altra
estate, a quella festa sulla spiaggia: i nostri cugini avevano detto di
stare
attenti, che quella non era gente
raccomandabile. E lei cos’aveva fatto?
C’era andata lo stesso!
Oddio, oddio, oddio,
penso, chiudendo gli occhi e tentando di ricacciare indietro le lacrime.
Incapace
di pensare ad altro, dimenticando anche
l’appuntamento con Matteo, mi lancio nella ricerca di altre
prove o – lo spero intensamente
– di qualcosa che
possa smentire ciò che trovato tra i trucchi. Apro
l’armadio, rovisto tra i
vestiti, ma non ci sono segni di debolezza: le gonne sono le stesse che
indosso
io quando mi serve qualcosa da mettere, c’è anche
il mio vestito azzurro,
quello che avevo il primo giorno di scuola. Rabbrividisco al pensiero
che possa
esserselo messo in un’occasione del genere; tormentata da
questo pensiero,
corro a controllare le foto.
No,
non lo indossava. Tiro un sospiro di sollievo, ma mi
dico subito che le altre volte potrebbero non essere state documentate.
Oddio, le altre volte?
Mi
immergo di nuovo nella ricerca, svuotando cassetti,
frugando tra i quaderni dell’università, ma niente
– niente – di
ciò che trovo farebbe pensare una cosa del genere.
Non
i poster di Johnny Depp che tappezzano la parete.
Non
le scatole di ombretti sulla scrivania.
Non
il diploma del liceo con la votazione massima.
Non
le foto che ci ritraggono da piccole.
Non
il ciondolo che le aveva regalato il suo ex ragazzo e
che ora tiene tra le altre collane.
Non le piace nemmeno
il calcio, maledizione!
C’è
solo un autografo di Totti riposto nel diario della
terza media, glielo avevo fatto fare io. Oddio, mia madre
dirà sicuramente che
è colpa mia, che con le partite della Roma a tutto volume
ogni settimana l’ho fatta
diventare così!
Mia madre.
Osservo
il mio riflesso allo specchio sulla porta: mia madre
non poteva saperlo. Sarebbe crollata quando l’avrebbe
scoperto.
In che cazzo di
situazione mi hai cacciata, Nico?!
Improvvisamente
il rombo di un motorino raggiunge le mie
orecchie; corro alla finestra, Nicoletta è tornata a casa.
Ma non aveva lezione
di danza fino alle otto?
Metto
in ordine i cassetti e l’armadio, mia madre sarebbe
fiera della velocità con cui riesco a mettere a posto.
Ripongo le foto tra i
trucchi e, mentre mia sorella entra in casa, afferro il maglione che
aveva
lasciato sul letto e corro fuori dalla stanza.
–
Ale, – mi saluta, aggrottando la fronte. – Che ci
facevi
in camera mia?
–
Cercavo questo, – rispondo prontamente, mostrando il
maglione. Non posso certo dirle che mi serviva il rossetto, capirebbe
che ho
trovato le foto.
–
Che hai? Come mai sei agitata?
Non le sfugge niente.
–
Sono di fretta, devo uscire con Matteo tra mezzora…
Nicoletta
mi rivolge uno sguardo allusivo. – Dormi fuori
anche stanotte, immagino.
Sono
talmente sconvolta dalla scoperta appena fatta che non
arrossisco nemmeno alla sua insinuazione.
–
E danza?
–
Non c’era l’insegnante, – sospira
Nicoletta, appoggiando
la borsa della palestra a terra. – Vorrà dire che
chiamerà Tania per andare a
cena fuori, è un po’ che non la vedo.
–
Tania? – chiedo, sicura di non avere mai sentito questo
nome uscire dalla bocca di Nicoletta.
–
La sorella di Michele, – risponde evasiva lei, e allora
capisco: è la ragazza nelle foto.
–
Non è una delle tue compagne di università.
–
No, l’ho conosciuta qualche mese fa al compleanno di
Michi. Vado a chiamarla, tu cambiati, che fai tardi.
Lo faccio per lei.
Mi
sono ripetuta quelle quattro parole mentre mi vestivo,
mentre entravo in macchina di Matteo, mentre cenavamo al nostro solito
ristorante.
Lo faccio per lei,
mi dicevo. Lo faccio per lei.
Ero
consapevole di sembrare distante agli occhi del mio
ragazzo, ma non potevo fare a meno di pensare alle foto di Nicoletta e
Tania.
Ai
loro baci.
Agli
abbracci davanti al Colosseo.
Allo
sguardo malato
di mia sorella quando Tania le aveva scattato una foto da sola.
Malato,
già, ed era per quello che avevo deciso di farlo, di
prendere coraggio e rivelare tutto a mia madre.
Lo faccio per lei.
Lo
sto facendo per lei, sto andando in cucina, approfittando
dell’assenza di Nicoletta, per raccontare a mia madre delle
foto: lei potrebbe
aiutarla, insieme la porteremo da uno psicologo, uno psichiatra, quello
che è.
Mi basta avere indietro la mia sorellina.
Stringo
con forza le palpebre, ripetendomi di non piangere.
Devo essere forte.
Riaverla
indietro: la cosa che mi dà più fastidio di tutto
ciò è che Nicoletta sembra non essere cambiata
per niente. Ci saluta con un
bacio sulla guancia quando esce di casa, ha sempre il sorriso sul
volto, si
ostina a mostrarsi felice. Ma non
lo
è, forse serve davvero un medico per farglielo capire.
Lo faccio per lei.
E’
una malattia, non può essere altro. Lo pensavo ieri sera
mentre accarezzavo la schiena nuda di Matteo: come può
toccare una ragazza,
come può provare piacere sapendo che potrebbe sfiorarle il
seno? Rabbrividisco,
è talmente insano.
Forse
lo psicologo dirà che Nicoletta ha cercato di prendere
il ruolo dell’uomo, dal momento che non abbiamo un padre da
tanto tempo. O che
ha cercato in un’altra donna l’affetto che mia
madre non le dà.
Crudele,
è veramente crudele. Nostra madre la ama, ha fatto
tanto per noi, e Nicoletta come la ripaga?
Lo faccio per lei.
Con
quella frase bene impressa nella mente, entro in cucina
e trovo mia madre immersa nella preparazione del pranzo. Mi tormento le
dita,
cerco il modo migliore per annunciargli la notizia.
–
Oh, Ale, sei tu, – esclama non appena mi vede. –
Pensavo
che fossi Nico. Non è ancora tornata?
–
No, – rispondo. – Senti, mamma, a proposito di
Nico…
–
Dimmi
Faccio
un respiro profondo e mi preparo a parlare,
osservando mia madre che, tranquilla e ancora inconsapevole, gira il
sugo.
Lo faccio per te,
Nico.
–
E’ lesbica. Ha una ragazza.
Mia
madre si gira, mi guarda e, interessata, chiede: –
E’
carina?
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Boh,
da me ci sarebbe potuti aspettare il contrario: un "Abbasso
l'omofobia!", un'introspettiva Femslash, un ragazzo che di fronte
all'intera scuola ammette di essere omosessuale. Non questo, non una
storia dal punto di vista di una ragazza omofoba.
Che,
poi, non riesco neanche ad odiare Alessia. Nemmeno a ridere di lei.
Alessia non sa di essere omofoba, non ci hai mai pensato prima, lei
viveva la sua vita, vedeva sua sorella baciarsi con i diversi ragazzi
che ha avuto... E poi, un pomeriggio, quella scoperta. Io non credo che
la maggior parte degli omofobi sappia di esserlo.
La
reazione finale della madre può sembrare "esagerata", troppo
positiva per essere vera, ma io reagirei così. Il problema
sarebbe se me lo dicesse direttamente mia figlia: comincerei a
chiederle ogni dettaglio, a esigere una foto della ragazza, e a quel
punto lei sarebbe talmente imbarazzata che dimenticherebbe perfino la
paura di un momento prima! O forse la rimpiangerebbe.
Questa
storia mi è uscita così. Spero vi sia piaciuta :)
Med
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