Danse
Macabre.
La
notte era rassicurante in maniera inspiegabile, o forse no. La pelle
sfregava contro l'asfalto mentre un sorriso poco rassicurante le
distorceva il volto pallido. Come lame malate, gli occhi risplendevano
di una luce inquietante, perversa. La sua risata roca sembrava intenta
ad uccidere il silenzio. L'odore della morte le grondava dalle mani.
Barcollava, ebbra di una follia così umana da far paura. I
vestiti sporchi, i piedi nudi, martoriati da una miriae di sassolini
appuntiti. Nessuna bottiglia in mano, solo un coltellaccio.
Entrò in una stanza dal pavimento in gomma rossa, lercio. Le
pareti potevano vantare qualche incostrazione di pittura qua e
là. Il resto era sangue e paura. Liquido vischioso che le
avvolgeva i piedi in una carezza familiare. Lanciò il
coltello addosso alla parete da cui scivolava fuori la paura. L'avrebbe
trovata, ma lei sarebbe stata più veloce, lo era sempre
stata. Boom. Polvere e topi troppo spaventati per uscire dalle loro
sudice tane. I capelli biondi, quasi bianchi, lunghissimi, in netto
contrasto con la poltrona rattoppata e stanca, vecchia e polverosa,
insudiciata, incavata, affamata e morente. Gli occhi gelidi avanti a
sé, persi. Le labbra strette attorno alla sigaretta, poi
fumo in fiotti, come sangue che sgorgava dalla parte sbagliata.
Ammaliante. La brace come unica luce nella stanza. Le gambe lunghe sul
tavolo. Le autoreggenti distrutte, il corpetto macchiato. Le dita
affusolate a torturare la stoffa sgualcita della poltrona non
più imbottita da tempo. Si alzò velocemente dopo
aver scorto qualcosa di diverso. Fuoco. Mai nottata le parve
più piacevole. Volevano giocare e lei amava quel genere di
divertimento macabro e sbagliato. Tutto quello era lei.
Strappò via le autoreggenti e slacciò il
corpetto. Nuda e pallida come la luna che le accarezzava le forme e le
ciocche mosse. Indossò un cappotto e uscì
nuovamente. Il freddo della notte le pizzicava la pelle provocandole
perversi brividi di piacere. Arrivò al primo Hotel di
strada. Una catapecchia cadente e buia, ma decisamente più
pulita della sua ultima dimora. Le chiesero una miseria e lei ci mise
un secondo ad accontentarli. La ragazza che puliva le stanze era una
studentessa seria e compita. Una di quelle rompicoglioni tutte casa e
chiesa che poi fottono il mondo. Le pulì la stanza e
cambiò le lenzuola accennando ai pochi, invisibili, clienti
di quella specie di trappola mortale. Tentò anche di farsi i
cazzi suoi, si divertì a vederla sbiancare e perdere i
sensi. Represse una sonora risata mentre i capelli perdevano colore e
volume, mentre la pelle si seccava e decadeva, lasciando le ossa a
brillare sotto la luce della luna. Lei non era un'assassina. Era anche
peggio. Tolse il cappotto mentre ogni traccia di sangue incrostato
pareva sparita dal suo corpo longilineo. Con uno scatto stridente
aprì la finestra arrugginita e saltò
giù dal terzo piano. Le scarpe basse, in pelle, la gonna a
pieghe, da scolaretta, lunga fino al ginocchio. La camicia
così bianca e pura e il maglioncino nero come il trucco che
risaltava la luce perversa dei suoi occhi. Rise e per miglia
risuonò il sonoro rombare di un tuono senza che nessun lampo
rischiarasse il cielo. Lungo la strada incontrò un uomo,
sulla trentina, doveva aver litigato con la moglie perché
l'anulare sinistro vantava una fascetta pallida nelle mani callose e
abbronzate. La barba brizzolata era incolta, ma non troppo lunga e gli
occhi erano opachi e languidi. La risata grassa l'aveva subito
infastidita e le parole sucessive le fecero arricciare le labbra in un
ghigno compiaciuto «Hey! Le belle ragazze come te non
dovrebbero girare da sole di notte e in queste strade...»
Rise e poi riprese «qualche malintenzionato potrebbe farle
del male. Chi sei, ragazzina?» Puzzava di alcool e idiozia e
ansimava vergognosamente. I vestiti erano strappati e lerci, ma lei gli
tese la mano e sorrise, sadica e gli occhi dell'uomo diventarono due
puntaspilli tremanti, la pelle gli scivolò via dal corpo,
mentre, in un sussurro appena udibile, la voce graffiante della ragazza
gli perforava i timpani «Io? Oh, io sono la morte.»
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