The little brother's heart
Nella silenziosa
penombra del soggiorno di Feliciano, Lovino sonnecchiava abbandonato
sul divano con un braccio a cavallo dello schienale ed il capo
abbandonato contro l'angolo dello stesso. Sembrava che niente potesse
disturbare il suo placido riposo, quando il suo stomaco
gorgogliò a volume decisamente alto.
Il ragazzo socchiuse gli occhi, emettendo uno sbuffo scocciato.
Romano stava aspettando che
il suo fratellino finisse di preparare la cena. Si era rifiutato
categoricamente di aiutarlo a preparare il pasto dopo che aveva
inciampato nel tappeto della sala da pranzo, rischiando di cadere con i
piatti in mano. Non era bravo nelle faccende di casa, non lo era mai
stato e non aveva senso provare ad imparare adesso dato che suo
fratello - almeno nelle piccole cose - sembrava cavarsela egregiamente.
Lovino iniziava ad avere
davvero fame, come ben esprimevano i brontolii frequenti del suo
stomaco.
«Speriamo che Veneziano sia a buon punto...»
bofonchiò con un fil di voce, raddrizzandosi sul divano.
Stufo di aspettare, si
alzò in piedi e si diresse in sala da pranzo, intenzionato a
vedere come se la stava cavando il più giovane.
La stanza era separata
dalla cucina solo da una parete e lo stipite dell'uscio. Non c'era la
porta tra sala da pranzo e cucina perché una volta, a casa del
meridionale, Veneziano era caduto con due piatti colmi di pasta
bollente nel tentativo di spingere con una spallata l'uscio socchiuso.
Era stato un incidente che aveva lasciato una paura profonda non solo nella vittima, ma anche nel fratello.
Non appena quest'ultimo
varcò la soglia della sala da pranzo, un odore dolce ed
invitante di cioccolato fondente lo colpì immediatamente,
facendogli venire l'acquolina in bocca.
Il suo stomaco brontolò un'altra volta, sottolineando il suo apprezzamento.
Camminò fino al
varco della cucina e si affacciò all'interno: c'era un cumulo di
ciotole sporche nel lavabo che si trovava proprio innanzi alla soglia,
assieme ad una frusta da cucina e qualche mestolo.
Suo fratello gli dava le
spalle, piegato su un bancone a lato dell'entrata ed intento a far
qualcosa che Romano non riusciva a vedere.
«Ehi, Veneziano! È pronto?» domandò il maggiore in tono un po' brusco, venato d'una nota d'impazienza.
Feliciano sobbalzò e
si girò verso di lui prontamente, facendo attenzione a coprire
alla sua vista l'oggetto delle proprie attenzioni.
Lovino lo squadrò:
sopra la sua camicia bianca a righe verdi e i pantaloni blu indossava
un grembiulino rosa pallido molto femminile che lo rendeva molto carino.
«Ancora un momento, fratellone! Ho quasi fatto» assicurò, tremando impercettibilmente, come fosse impaurito.
«Okay, ma sbrigati...» esclamò l'altro, proprio mentre il suo stomaco si faceva sentire di nuovo.
Romano uscì, andando
a sedersi a tavola. Si sorprese di non trovare né la caraffa
dell'acqua né quella del vino, bensì una semplice
confezione di latte.
«Latte...? Perché il latte?» si chiese, scrutando il contenitore di cartone «Si
sarà confuso quando l'ha preso dal frigorifero... però sa
perfettamente distinguere il cartone del latte da quello del vino» rifletté.
Erano italiani, e gli italiani non si confondevano quando si trattava di cibi e bevande.
Ancora un po' perplesso, si
versò un bicchiere di latte ed iniziò a sorseggiarlo
mentre guardava con la coda dell'occhio la porta che dava sulla cucina.
Era curioso di sapere cosa
stesse facendo di così segreto il suo fratellino. Era strano che
si comportasse in modo così misterioso con lui. Di solito era
più gentile e gli raccontava tutto quel che faceva, anche quando
a lui non importava saperlo.
Mentre si lambiccava sul
mistero del più giovane, si ritrovò a pensare a Veneziano
con il suo grazioso grembiulino rosa. Arrossì senza neppure
accorgersene: già il settentrionale aveva un modo di fare ed un
aspetto molto infantili. Se poi si metteva pure un grembiulino rosa
diventava qualcosa di assolutamente adorabile.
Lovino sbatté
perplesso le palpebre e scosse la testa vigorosamente per allontanare
quel pensiero: non doveva pensare a Feliciano in quel modo! Non era
assolutamente da lui fare certi pensieri sdolcinati.
«Fratellone, che
hai?» chiese all’improvviso la voce di Veneziano proprio
dietro di lui, talmente vicina da far sobbalzare il maggiore sulla
sedia.
«Idiota!
Perché mi sei arrivato alle spalle all'improvviso?! Volevi farmi
morire, imbecille?!» inveì quest'ultimo, il cuore
che gli palpitava a mille in petto per lo spavento.
Il più piccolo emise uno stridio intimidito, tremando: quando Romano si arrabbiava e lo sgridava gli faceva paura.
«S-scusami, fratellone...! Non volevo, io...»
«Uh? La cena...?» lo interruppe Lovino, posando gli occhi sul vassoio che il più giovane reggeva tra le mani.
Feliciano sorrise, completamente dimentico del terribile rimprovero di qualche attimo prima.
«Sì, la cena» annunciò, posando davanti al piatto del meridionale il vassoio.
Feliciano quella sera non
aveva preparato il solito piatto di spaghetti con il sugo di pomodoro,
ma si era cimentato nella preparazione di un dolce al cioccolato che
emanava un aroma a dir poco delizioso.
Quello che però
sorprese ed imbarazzò al tempo stesso il Vargas più
grande fu il cuore di zucchero a velo che faceva bella mostra di
sé sulla sommità dello strato di cioccolata.
«Perché ci hai
disegnato sopra un cuore di zucchero, stupido?» domandò
Lovino burbero, stringendosi nelle spalle mentre avvertiva il proprio
viso andare letteralmente a fuoco. Le dimostrazioni d’affetto
così palesi lo mettevano a disagio.
«Perché, non
ti piace?» chiese Feliciano triste, cingendogli le spalle da
dietro, strofinando una guancia contro la sua.
«È carino, no...? L'ho fatto per te» proseguì in tono assolutamente spontaneo.
Perché riusciva sempre a rendere così dolce ed innocente il fatto che si amassero pur essendo fratelli...?
Lovino non era proprio il
tipo da sbandierare ai quattro venti i suoi sentimenti, specialmente
nei confronti di altri maschi; invece, suo fratello era molto
più estroverso per quel genere di cose, per cui compensava la
sua mancanza.
«Come sei sdolcinato» notò il meridionale, come se l’essere dolce fosse un difetto.
«Non ti è
piaciuto davvero il cuoricino?» insistette l'altro, piegando le
labbra in una smorfia carica di tristezza. Sembrava veramente
demoralizzato.
Lasciò andare il
fratello e prese posto sulla sedia accanto a lui, guardandolo in viso
con i suoi occhioni ambrati, nei quali il maggiore lesse chiaramente un
turbamento profondo.
Si sentì subito
colpevole per quello sguardo, però non sapeva cosa dire per
tirar su di morale il suo fratellino: anche se lo nascondeva, aveva
apprezzato il suo gesto e l’aveva persino trovato carino. Se
però gliel’avesse detto sarebbe apparso troppo romantico e
l’ultima cosa che voleva era sembrare un sentimentalista,
specialmente con Veneziano.
«È...»
iniziò, le guance che arroventavano un’altra volta mentre
spostava gli occhi nella direzione opposta rispetto al viso dell'altro.
«È...».
Il settentrionale assunse
un cipiglio confuso: suo fratello all’improvviso aveva iniziato a
sudare e le guance erano diventate come fuochi ardenti.
Il meridionale non riusciva
a dirgli che quel cuore era carino, così cambiò
semplicemente tattica, andando a cercare una parola che - benché
gli fosse poco congeniale - gli fosse un po’ più
familiare.
«G-grazie...» riuscì a dire, dopo qualche momento di silenziosa meditazione.
Quando si fu pronunciato, gli parve di aver appena compiuto uno sforzo enorme.
Feliciano lo fissò per un istante, meravigliato: l’aveva appena... ringraziato. Non era mai accaduto salvo qualche rarissima eccezione.
D’istinto si
gettò addosso al più grande, abbracciandolo e posando le
labbra sulle sue, stampandovi un bacio carico d'affetto.
«Sono contento, fratellone» esclamò con un sospiro estasiato, appoggiando il capo sulla sua spalla.
Si sentiva soddisfatto per
essere riuscito a realizzare una cosa che suo fratello apprezzava. Era
sempre difficile riuscire a dimostrargli apertamente i sentimenti che
nutriva nei suoi confronti.
Lovino, colto di sorpresa
dall’impetuosità del gesto, rimase per qualche momento
spiazzato a guardare i suoi occhi chiusi, l’espressione beata che
gli distendeva i tratti.
Senza pensarci gli
sfiorò un fianco con affetto, mosso dall'intimità del
momento. Non tolse subito la mano, ma la lasciò adagiata contro
il corpo del più giovane.
Nel silenzio che era calato
nella stanza riecheggiò il brontolio simultaneo dei loro
stomaci. I due si allontanarono l'uno dall'altro scambiandosi
un'occhiata imbarazzata.
«È meglio se mangiamo» si affrettò a dire Romano, girandosi per primo verso il piano del tavolo.
«Sì,
altrimenti il dolce si rovina...» convenne Veneziano sospirando
«Tu che parte del cuoricino vuoi?» chiese in un secondo
momento, impugnando il coltello.
«Fa' un po' come
vuoi...» borbottò in tono ruvido il maggiore, incrociando
le braccia sul petto con aria sostenuta.
Arrivare a chiedere
addirittura una cosa simile - a parer suo - era una scemenza,
un’ulteriore romanticheria cui poteva pensare solo suo fratello.
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