Incontri
ravvicinati del terzo tipo
[
Attenzione: Ciò che
disgraziatamente vi state apprestando a leggere è qualcosa di
estremamente demenziale, ma desideravo
scriverlo da così lungo tempo che alla fine, pur cercando di
pensare sempre a qualcos'altro non ce l'ho fatta ed è venuto
fuori quanto segue.
Io
vi ho avvertito, gente, poi non presentatevi davanti al cancello di
casa mia con mazze chiodate e forconi, se cercavate qualcosa di serio
rifuggite questa pagina, allontanate dai vostri occhi queste righe!
Buona
lettura! :) ]
“Desidera
dell'altro tea?” la gentile domanda del dottor Watson si udì
appena nel bisticcio di urla che provenivano dalla sala accanto.
“Oh,
sì, volentieri, ma la prego, non si scomodi, faccio da
solo...” rispose l'altro rivolgendogli un sorriso sinceramente
compiaciuto e versandosi una seconda tazza della profumata bevanda
bollente che la signora Hudson aveva preparato per loro “Con
questo tempo da lupi che fa fuori qualcosa di caldo è proprio
quello che ci vuole!” dovette alzare la voce per farsi sentire
dal suo interlocutore, mentre tutta una fantasiosa serie d'insulti e
d'invettive si rimestava poco lontano da lì, nella stanza
adiacente, un po' in inglese, un po' in francese, un po' in una
lingua sconosciuta che i due uomini non avrebbero saputo né
identificare, né, tanto meno, decifrare.
“Mi
perdoni l'audacia, dottore, ma devo proprio farle i miei più
sentiti complimenti: ho letto tutti i suoi racconti editi e mi creda,
li ho trovati tutti, nessuno escluso, estremamente appassionanti e
coinvolgenti! Così ben scritti e puntuali nel lessico!”
l'uomo innanzi al buon coinquilino del 221/b di Baker Street si animò
come al cospetto di un amico di vecchia data, benché la loro
prima stretta di mano non risalisse che a meno di mezz'ora prima
“Quanta passione, quanto coraggio nelle sue parole! Con pochi
tratti, come un pittore, lei riesce a dare l'essenza di un uomo; con
poche stilettate, rapide, ma, ahimè, insanguinate, ci rende
tutto l'orrore del delitto e nel fulgido, ultimo attimo della
vicenda, là dove nulla da noi dista il colpevole, ecco ch...”
La
porta della stanza si aprì di colpo sbattendo pesantemente
contro la parete facendoli sussultare entrambi, mentre i cucchiaini
buoni della signora Hudson, quelli del servizio d'argento,
tintinnarono come spaventati contro i rispettivi piattini del
servizio da tea.
“Fuori
da questa casa! Fuori immediatamente!” il grande detective
privato Sherlock Holmes, rinomato in ogni dove londinese per la sua
innegabile educazione ed insuperabile savoir-faire, irruppe nella
stanza in cui i due uomini stavano sorseggiando la loro bevanda come
un uragano, sbracciando frenetico, tutto scarmigliato e rosso in
volto, con gli occhi sbarrati che lanciavano fuoco e fiamme.
“Al
diavolo monsieur Holmes, non c'è bisogno che sia lei a
dirmelo, sono io che me ne vado!” un secondo uomo, alto circa
la metà del detective inglese e largo pressapoco il doppio si
catapultò anche lui nella stanza, scalpicciando sulle corte
gambette tozze, mentre dal suo largo torace salivano violente parole
di sdegno “Hastings, amico mio, prenda la sua roba: ce ne
andiamo da questa gabbia di matti!”
“Poirot,
ma che cosa...?” ma Holmes non gli dette neppure il tempo di
finire la frase.
“Sì,
bravo, esca da questa gabbia di matti e se ne vada al diavolo!”
tuonò con le vene delle tempie che, inferocite, minacciavano
di saltare da un momento all'altro.
“Holmes,
come si permet...!” questa volta furono le parole del buon
dottore a venir messe a tacere, non ebbe infatti lunga vita il suo
rimprovero contro le urla francesi del detective belga.
“Si
permette perché è un idiota, ecco perché!”
“Poirot!”
Hastings, divenuto paonazzo, era balzato su dalla sua poltrona con
uno scatto più atletico di quanto la sua età, non più
propriamente giovanissima, gli avrebbe permesso normalmente, ed aveva
puntato minacciosamente l'indice contro il compagno di mille
avventure “Chieda immediatamente scus...!”
“Bando
alle ciance, Watson, mi tolga subito dalla vista questa palla di
lardo o giuro che non risponderò più di me ed userò
la rivoltella!”
“Amico
mio, per l'amor del cielo, si scusi immediatamen...!”
“Oh
certo, mais oui!”
esclamò il francofono, che delle parole dell'altro inglese non
doveva essersi neppure avveduto, con gli scenografici baffi che
parevano essersi raddrizzati come le spine di un istrice infuriato
“Detto da un cocainomane della peggior specie quale siete voi
potrebbe sembrare addirittura divertente!”
“Basta
signori, io vado a prendere la rivoltella!” annunciò
l'investigatore inglese con un espressione in volto a metà tra
il funereo e l'omicida “E lei, monsieur Poirot, se tiene un
minimo alla sua vita e possiede almeno un briciolo di cervello,
allora, uscirà da quella porta e non si farà più
vedere!”
Un'altra
smitragliata d'invettive, in francese e poi in inglese si alzò
nell'aria, mentre gli sguardi del
dottor Watson e quello del buon Hastings s'incontravano sconsolati e
l'uno come l'altro scosse desolato il capo.
“Sta
andando peggio di quanto non avessi pronosticato...” ammise in
un sospiro l'ospite più ragionevole dei due che quel giorno
avevano varcato la soglia del 221/b di Baker Street “E sia ben
chiaro che non mi ero pronosticato nulla di buono.” a quelle
parole il suo interlocutore, ancora scuotendo il capo, alzò le
spalle, dirigendosi ad un mobiletto lì accanto.
“Chissà...
forse non avremmo mai dovuto farli incontrare...” constatò
avendo l'accortezza, nel contempo, di schivare una scarpa che, preso
il volo da chissà quale mano doveva aver mancato il suo
bersaglio principale “Piuttosto che ne dice di un buon brandy?”
“Oh,
questa sì che è un'ottima idea!” e mentre un
numero imprecisato di pistolettate tuonavano nell'aria brindarono
alla loro.
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