I miei sogni andati in frantumi

di Neko
(/viewuser.php?uid=29466)

Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Salve a tutti. Sono nuova in questa sezione e sinceramente non avrei mai creduto di postare una fanfic qui e forse non lo avrei ancora fatto, se non mi fosse capitato uno strano compito scolastico che mi costringesse a scrivere una storia originale.

Non è niente di particolare, ma mi sono divertita molto a scriverla. Spero possa piacervi.

Fatemi sapere

Buona lettura,

Neko =^_^=

I miei sogni andati in frantumi

 

Non credevo che la mia vita sarebbe giunta al termine così presto. Sapevo di essere fragile e delicato, ma nel profondo del mio cuore, speravo di vedere quelle cose del mondo, che per sbadataggine mi sono state negate.

È proprio vero che quando si arriva agli ultimi istanti della propria vita, si rivive ogni momento della propria esistenza, come se si stesse guardando un film. Proprio ora mi vedo trascorrere i momenti belli e brutti che ho vissuto. Risento addirittura le stesse emozioni provate in quei momenti, riprovo l’entusiasmo provato a scoprire nuove cose, per quanto banali potessero essere, e la paura avvertita davanti a cose che non conoscevano e che mi sembravano pericolose e troppo grandi per me.

Ricordo quando ero semplice argilla di una forma insolita, lasciato dentro a un involucro di plastica, insieme ad altri miei simili, tutti in attesa che giungesse il nostro momento…il momento di essere scelti, di essere lavorati e di acquistare una qualsiasi forma che sarebbe tornata di qualche utilità a qualsiasi persona, grande o piccino che fosse. Finalmente il giorno tanto desiderato giunse. Ero felice e spaventato allo stesso tempo. Mi sentii afferrare da due mani callose e venni appoggiato su di un supporto circolare girevole. Venni ripetutamente bagnato, affinchè non mi asciugassi e diventassi più facile da plasmare. Non era sufficiente la nausea che provavo a girare in continuazione, ci si misero anche quelle mani inopportune che presero a toccarmi ovunque, allungandomi, tirandomi, appiattendomi più volte, finchè finalmente decise una volte per tutte cosa sarei diventato: un piatto.

Ero sdraiato sulla schiena e non sentendo più alcun rumore e alcun tocco, mi domandai cose mi sarebbe successo da quel momento in avanti, ma il guardarmi intorno non era sufficiente per trovare una risposta a questa domanda, poiché ero in grado di vedere solo un soffitto sporco e scrostato.

Nell’attesa mi addormentai, svegliandomi improvvisamente a causa di una forte fonte di calore soffocante, che  mi stava ustionando ovunque. Dovetti perdere i sensi a causa di un malore, dato che quanto aprii nuovamente gli occhi mi ritrovai appoggiato su di un tavolo, vicino ad altri miei compagni dalle forme  più disparate.

Ero sorpreso di essere riuscito a sopravvivere a quell’arnese, che solo successivamente scoprii chiamarsi forno. Dovevo essere cotto per essere finito e diventare ceramica.

Quante domande ronzavano nella mia testa, molte delle quali rimarranno sempre senza risposta. Perché cuocermi? Non andavo bene come ero prima? 

Quella curiosità e felicità che avevo sentito all’inizio era sparita, ora vi era solo la paura di cosa ne sarebbe stato di me. Parlai con i miei compagni per non pensarci, ma servì a poco, poichè tutti temevamo la stessa cosa: l’ignoto.

Eravamo o siamo, per chi non ha fatto la mia stessa fine, degli oggetti, quindi nell’immaginario collettivo cose senza anima, inanimati, ma anche noi abbiamo sentimenti e dei sogni da realizzare, molti dei quali impossibili. Anche io ne avevo uno. Avevo trasformato il mio sogno, in base alla forma che mi avevano dato.

Ero un piatto? Bene, il mio desiderio era quello di assaggiare tutti i cibi del mondo, ma per quanto fosse abbastanza realizzabile, non mi è stato concesso nemmeno l’ultimo pasto di un condannato a morte.

Quello che accadde dopo, non fu spiacevole. Sentii improvvisamente un solletico percorrermi la pancia e vidi un lungo bastone con dei peli alla punta, impregnato di colore, colorarmi.

Non riuscii a vedere cosa mi avevano fatto, ma un vaso, posto su di uno scaffale, mi disse che mi avevano decorato  come tutti i piatti presenti in quella stanza piccola e piena di cianfrusaglie. Avevo dei fiorellini sulla pancia  di colore giallo e fucsia. Rimasi deluso. Quei colori non mi andavano proprio a genio, volevo anche io dei fiori blu o rossi  come il vaso che mi aveva parlato, ma non assolutamente fucsia. Sono un maschio e anche io volevo la mia dignità, per quanto anche i fiori non mi si addicessero proprio. Avrei preferito una decorazione semplice, costituita da linee che percorrevano il bordo del mio corpo, ma sapevo che era inutile rimuginarci sopra. Così ero e così sarei rimasto.

Venni messo ad asciugare per un paio di giorni, i più lunghi della  mia vita, quando finalmente venni posizionato su di uno scaffale per essere venduto.

Avessi potuto avrei saltato di gioia. Finalmente sarei uscito da quel posto dove ero nato e avrei visto un po’ di mondo e avuto una famiglia con cui deliziare i palati, quando sarei stato riempito di leccornie.

Ero posizionato davanti all’entrata e vedevo ogni singola persona che entrava in quel negozio di artigianato, vi erano persone di tutti i generi, dai più normali ai più buffi e divertenti.

Adocchiai un paio di persone che mi sembravano simpatici e sperai vivamente di essere acquistato da loro, ma le mie speranze vennero infrante, quando vedevo le loro figure oltrepassare la porta per andarsene.

I bambini che venivano a fare visita con i loro genitori al negozio, erano molto carini, ma avrebbero fatto meglio a stare alla larga. Infatti, cominciavo a sudare quando vedevo un bambino allungare le mani verso di me, cercando di afferrarmi. Rischiai un paio di volte, ma fortunatamente vennero fermati nel loro intento dalla proprietaria del negozio. Le ero debitore, anche se non avrei mai potuto saldare il mio debito.

Passò un mese intero, senza che accadessero delle novità. Mi ero rassegnato all’idea di invecchiare in quel posto o in uno scantinato dove venivano messi gli oggetti invenduti, ma non accadde.

“Voglio quel piatto con i fiorellini gialli e fucsia!” disse una voce di donna.

Sentendomi interpellato guardai chi avesse parlato. Era una giovane donna dall’aria simpatica, ma sembrava anche svampita e imbranata. Nel giro di pochi secondi, aveva fatto cadere la borsa, il portafoglio e tutte le monetine rinchiuse in quest’ultimo. Temetti per la mia incolumità.

La proprietaria del negozio mi afferrò e guardandomi con orgoglio disse “Ottima scelta signora, questo è proprio un bel pezzo di artigianato!”

Mi sentii orgoglio al sentirmi chiamare in quel modo.

Venni sistemato in una busta di carta  senza alcuna protezione , questo mi inquietò e una brutta sensazione si impossessò di me.

Finalmente misi il “naso” all’aria aperta e quel gelido vento invernale, mi fece dimenticare per un po’ quella sensazione di disagio che provavo.

Sentivo un sacco di rumori intorno a me, alcuni conosciuti altri nuovi: migliaia di voci, rumore di passi e altri a cui non saprei dare una vera e propria definizione.

La signora che mi aveva acquistato, camminava a passo svelto, quando ad un tratto si fermò per afferrarmi e osservarmi.

Mi sorrise. Sembrava soddisfatta del suo acquisto, ma non fece in tempo a rimettermi i nella busta che la sentii dire “Oh no, il tram!”

Prese a correre velocemente, rischiando di cadere un paio di volte. Ecco che la mia sensazione di disagio tornava a farmi visita. Sperai che si fermasse al più presto, ma ad un tratto mi vidi arrivare qualcosa incontro, qualcosa di duro, che colpendomi, mi fece provare un dolore inimmaginabile. Mi sentii il corpo andare a pezzi e solo qualche istante dopo, quando vidi la signora guardarmi dall’alto verso il basso con un aria dispiaciuta, compresi che quello che avevo provato non era solo una sensazione, ma ero veramente andato in pezzi.

Ed eccomi qua! In frantumi in mezzo alla neve a una fermata del tram. Vedo tanti piedi passarmi vicino e vari occhi osservarmi, domandandosi come ci fossi finito in quel posto. Tante persone e nemmeno una disposta ad aiutarmi. Sento le mie palpebre sempre più stanche e arrendendomi al mio destino, chiudo gli occhi per sempre.

 

Fine





Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=982124