sherlock 4
...and I never meant to cause you trouble
and I never meant to do you wrong
ah, well if I ever caused you trouble
oh no I never meant to do you harm
(Trouble - Coldplay)
Sherlock pagò il tassista e lo salutò con un cenno del
capo. Si mosse verso il portone e rimase qualche secondo a fissarlo,
prima di decidersi a bussare.
Ingannò l'atteso guardandosi intorno distrattamente, tradendo
una certa ansia. Non avendo ancora ricevuto risposta decise di sfilarsi
un guanto e riprovare a bussare.
Aveva appena allentato la pressione sul campanello, quando la porta si aprì. Sapeva chi si sarebbe trovato davanti.
"Disturbo?", domandò a colei che gli aveva aperto.
Sarah era genuinamente sorpresa.
"John è al supermercato", riuscì ad articolare.
"Posso aspettarlo dentro?".
La donna annuì, dopo un momento di incertezza, e spalancò
la porta per lasciarlo passare. Sherlock le rivolse un sorriso di
ringraziamento, chiaramente di circostanza, e si affrettò a
entrare.
"Andiamo in cucina", propose Sarah, facendo strada. Sherlock
annuì e la seguì, lanciando occhiate in giro, come un
gatto curioso fuori dal suo habitat.
Non avevano mai avuto modo di parlare da soli, loro due. Non si erano
visti molto in quei due anni durante i quali John e Sarah, tra alti e
bassi, si erano frequentati e l'imbarazzo di essere due sconosciuti
era palpabile.
"Gradiresti un tè?", domandò Sarah, muovendosi
automaticamente verso il bollitore, come per tenersi occupata con
qualcosa.
"Sì, ti ringrazio", rispose Sherlock sfilandosi l'altro guanto e iniziando a slacciarsi il cappotto.
"Purtroppo non ho niente con cui accompagnarlo, John è appunto
andato a fare la spesa", Sarah distolse l'attenzione dalla credenza,
dalla quale aveva estratto due tazze e si accorse di Sherlock che
armeggiava col cappotto, "oh, che sbadata, da' qua!".
Sherlock le fece cenno di non preoccuparsi e andò da solo ad
appendere il cappotto all'attaccapanni. Colse l'occasione per dare un
altro sguardo intorno.
"John non dovrebbe tardare ancora molto", lo rassicurò Sarah,
disponendo le bustine di tè nelle tazze, "ah, non ti ho chiesto
se il Principe di Galles ti andasse bene!".
Sherlock annuì distrattamente e distolse lo sguardo, aumentando
la confusione, e l'imbarazzo, che già albergavano in Sarah da
quando si era presentato alla porta di casa.
"Non dovresti sentirti minacciata da me", asserì Sherlock,
guardando fuori dalla finestra, "dal momento che tu e John non state
più insieme".
Sarah si bloccò col bollitore in mano.
"Non disturbarti a chiederti come lo so", Sherlock posò
nuovamente gli occhi su di lei, "è piuttosto ovvio, sarebbe
un'offesa alla mia intelligenza".
"Ma tu muori dalla voglia di dirmelo", ribattè Sarah, dopo essersi ripresa dalla sorpresa.
Sherlock ridacchiò, punto sul vivo.
"Basta che ti dica che John dorme sul divano da un po' e che tu non
indossi più il braccialetto che ti ha regalato per il vostro
anniversario. Niente zucchero per me, grazie, solo un po' di latte".
Sarah allungò a Sherlock la sua tazza.
"Dal momento che era piuttosto ovvio", gli fece il verso, "non mi
disturberò a dirti che hai ragione". Sembrava aver recuperato un
po' di sicurezza, anche se non aveva ancora debellato l'imbarazzo.
Sherlock prese un sorso di tè, lasciandosi sfuggire un mugolìo di apprezzamento.
"Sono contenta che ti piaccia", commentò la donna.
"Da quando vivo da solo non ne bevo molto", si limitò a rispondere Sherlock.
Dopo alcuni secondi di silenzio, scanditi dal ticchettìo dell'orologio della cucina, Sarah cominciò a parlare.
"É finita poco dopo che John si è trasferito qui-"
Sherlock la bloccò con un cenno della mano.
"Non è necessario", disse semplicemente.
Sarah parve ferita dall'ostentata insensibilità di Sherlock, ma lui se ne rese conto in tempo e corse ai ripari .
"Mi dispiace", mormorò.
"Non è colpa tua", disse Sarah, sorseggiando il tè, "nonostante tutto non è colpa tua".
Sherlock valutò per un allarmante secondo la possibilità
di prenderle una mano, come per consolarla, quando lei
parlò di nuovo.
"Il fatto che non se ne sia ancora andato, quello sì che
è colpa tua", aggiunse la donna, poggiando di nuovo le labbra
sulla tazza e guardandolo di sottecchi.
Sherlock si mosse nervosamente sulla sedia.
"Se non vuole tornare a Baker Street io non posso farci nulla".
"Allora che ci saresti venuto a fare qui?", ribattè Sarah in tono canzonatorio.
Sherlock sospirò.
"Mi è stato detto di riprovarci".
"E da quando Sherlock Holmes prende ordini da qualcuno?"
Fu Sarah ad allungare una mano a toccare la sua.
"Sarai anche un genio, ma a volte ti comporti proprio da idiota!"
La risata di lei fu coperta dal suono del campanello.
Sherlock scattò in piedi.
"Non agitarti", gli intimò la donna, "vado ad aprire."
Sarah si diresse verso la porta. Dopo qualche secondo la voce di John lo raggiunse.
"Scusami, ho di nuovo dimenticato le chiavi. Aiutami a portare dentro i sachetti."
Il rumore della porta che si richiudeva e i passi nel corridoio aumentarono il groviglio di ansia nello stomaco di Sherlock.
"Ho comprato il latte di soia come mi avevi chie-"
John si bloccò sulla porta della cucina. Lasciò scivolare
con noncuranza i sacchetti della spesa per terra e mosse alcuni passi
verso Sherlock.
"Ehi", mormorò Sherlock con un filo di voce.
"Che ci fai qui?", domandò John, sulla difensiva.
Sherlock abbozzò un sorriso, ma ne venne fuori una specie di smorfia.
"Immagino che voi due dobbiate parlare", Sarah fece capolino dietro le
spalle di John, "sistemeremo la spesa più tardi", gli
strinse il braccio a mo' di incoraggiamento e se ne andò.
Sherlock, temendo che le gambe non lo reggessero, si rimise a sedere.
"Da quanto sei qui?", lo interrogò John.
"Abbiamo bevuto un tè", si limitò a rispondere il
detective, come se quella semplice informazione fosse sufficiente a
John per inquadrare cronologicamente la durata della sua visita.
"Che vi siete detti?", continuò John con tono diffidente.
"Lo so, John."
John lo squadrò interrogativo.
"Cosa sapresti, di grazia?".
L'atteggiamento scontroso di John non aiutò Sherlock a
rilassarsi. Se qualcuno gli avesse detto che un giorno avrebbe perso il
controllo in quella maniera, gli avrebbe riso in faccia.
"Che vi siete lasciati".
"Già, tu sai sempre tutto".
"Perchè non me l'hai detto?", chiese Sherlock, timidamente. Si
sentiva un equilibrista inesperto che rischia di cadere dalla fune
da un momento all'altro. Se avesse sbagliato a parlare avrebbe
rischiato di mandare all'aria la sua ultima possibilità.
"Perchè prima o poi lo avresti dedotto. Non sei tu quello
intelligente tra noi?", ribattè John velenoso, prima di
avvertire una fitta di rimorso. Se quello davanti a lui non fosse stato
Sherlock avrebbe giurato che c'era un velo di lacrime a coprire i suoi
splendidi occhi.
John si passò una mano sulle palpebre e si sedette, dove prima c'era Sarah.
"Non potevo continuare a stare con lei, visto che sono innamorato di
un'altra persona", incrociò lo sguardo di Sherlock, "e mi sembra
superfluo specificare di chi sto parlando".
Sherlock ebbe un tuffo al cuore. Non che John non glielo avesse
già urlato in faccia quello che provava per lui, ma la prima
volta era suonata più come un'accusa che come una confessione.
"E perchè continui a vivere qui e non torni da questa persona?", azzardò.
"Perchè questa persona non prova per me quello che io provo per
lei e viverle accanto sarebbe una tortura", e dal tono di voce sembrava
che John quella tortura la stesse già provando.
Fu il turno di Sherlock di sentirsi in colpa.
Prese un respiro profondo e si schiarì la voce, sperando che l'equilibrista dentro di lui non lo tradisse.
"Sono sicuro che questa persona ti ama come non ha mai amato niente e
nessuno in vita sua e ti rivuole con se. A qualunque condizione".
Sherlock trattenne il fiato, scrutando il viso dell'altro per vederne la reazione.
John alzò il capo di scatto. Gli si erano rimepiti gli occhi di lacrime.
"Dici sul serio?", domandò con voce rotta.
"Non potrei scherzare su una cosa simile."
John cominciò a singhiozzare, senza vergogna, di cuore.
Sherlock lo invidiava, lo invidiava da morire, avrebbe dato metà
del suo cervello per poter avere metà del cuore di John, per
riuscire a esprimere i suoi sentimenti senza quella reticenza alla
quale era stato abituato sin da bambino, per poter avere quella
spontaneità grazie alla quale non avrebbe mai rischiato di
perderlo, per lasciarsi andare senza remore alle emozioni, quelle
emozioni che guidavano le vite degli altri, ma mai la sua,
perchè le emozioni non hanno niente di logico,
non possono essere studiate al microscopio, sezionate, catalogate!
Quante cose si era perso nella vita a causa della sua assurda
convinzione di dover separare cuore e cervello? Adesso, l'uno aveva
rischiato di atrofizzarsi e l'altro di implodere! Se non ci fosse stato
John a rimettergli in moto il cuore...
"John", lo chiamò con voce carezzevole, "John, vieni, vieni a sentire come mi batte forte il tuo cuore*".
John si ritrovò a sorridere tra le lacrime. Si alzò dalla
sedia e con passo incerto si diresse verso Holmes. Allungò una
mano verso di lui, chiedendogli con lo sguardo il permesso di toccarlo.
Sherlock si alzò in piedi e John posò la mano sul suo
cuore, che batteva a ritmo forsennato.
"Allora ce l'hai un cuore!", ironizzò, per allentare la tensione.
"Sì e tu ne sei la prova vivente!", Sherlock gli regalò
un sorriso obliquo, prima di prendere con dolcezza la mano di John tra
le sue e poggiarvi sopra le labbra.
John ebbe un sussulto quando Sherlock baciò la sua mano.
"Come primo bacio non è male, devo dire", sussurrò sopraffatto.
Sherlock si rabbuiò, ma non lasciò andare la mano dell'altro, stringendola anzi con più fermezza.
"Dico sul serio", disse John, con trasporto.
"I primi baci non sono più...appassionati di solito?".
"Sherlock, sto tremando, ti rendi conto di che effetto mi fai?".
Sherlock non era mai stato così vicino alle lacrime in tutta la sua vita e lo doveva a John.
"Mi dispiace", sussurrò John.
"Per cosa?", domandò Sherlock con una nota di panico.
"Per quello che ti ho detto l'altro giorno".
"Sono io che devo essere dispiaciuto", ribattè Sherlock, sollevato.
"No, Sherlock, sono stato un egoista, fammi parlare", gli intimò
dato che Sherlock aveva cercato di interromperlo, "sono stato uno
stronzo, non avrei dovuto trattarti in quel modo".
"Va tutto bene, John".
"No, ascoltami, Sherlock", lo pregò," io ti amo per quello che
sei, per come sei, e non è giusto pretendere di cambiarti, tutto
ciò che desidero è vivere con te, passare con te il resto
della mia vita, a qualunque condizione! Quel giorno ero spaventato, ho
avuto paura per tanto tempo, Sherlock, paura di essere il solo a
trovarmi in questa condizione, non sai quanta paura può fare il
pensiero di non essere ricambiato, ti fa impazzire!, ero geloso del tuo
lavoro, del tempo che dedicavi ai tuoi esperimenti, che cosa
ridicola!", si fermò a prendere fiato, "avevo paura di essere
per te solo un immagine sullo sfondo, prima venivano le tue indagini e
poi io, prima venivano le tue teste mozzate in frigorifero e poi io-"
"Come hai potuto pensare una cosa simile?".
"Infatti è una cosa stupida da pensare, me ne rendo conto. Ma
l'idea che io ti avrei amato con tutto il cuore e con tutto il corpo e
sarei stato ricambiato con del tiepido affetto, non la potevo
sopportare! Sai quante volte avrei voluto solo tenerti la mano come
stiamo facendo adesso? Quante volte avrei voluto poggiare la testa
sulla tua spalla mentre guardavamo la tv? E quante volte avrei voluto
scivolare nel tuo letto dopo un brutto sogno e accoccolarmi contro di
te? Non pretendevo molto! Ma tu mi avresti respinto, perchè il
tuo amore non era abbastanza grande-"
"Non è per quello", lo interruppe Sherlock, posando un altro bacio sulla sua mano
"Lo so che non è per quello, lo so, e per questo mi dispiace di
averti detto quelle cose, di averti fatto sentire a disagio, di
averti trattato come fanno Donovan e Anderson, come le persone che non
ti capiscono, e non ti rispettano e non ti amano! Non ti
spingerò mai a fare cose che non vuoi fare, a me basta stare con
te, ogni giorno. Non immaginavo che sarebbe stata così dura
starti lontano. Mi manca essere svegliato nel cuore della notte dal tuo
maledetto violino, mi manca alzarmi la mattina e sentire l'odore
di quegli intrugli chimici che ti piacciono tanto al posto dell'odore
del caffè, mi manca essere trascinato in giro per i tuoi casi,
mi manca rischiare la pelle, perchè mi fa sentire vivo, mi fai
sentire vivo, Sherlock, come mai nessuno mi ha fatto sentire vivo, e
chi se ne frega di scopare!"
Sherlock rise.
"John, sei un miracolo".
"Siamo diventati religiosi?", lo prese bonariamente in giro l'altro.
"Non essere sciocco, sai cosa intendo", replicò Sherlock,
posando piccoli baci sulle dita di John e mandandogli brividi lungo la
schiena.
"Sherlock, non devi, se non vuoi", protestò John, tentando di allontanarsi.
"Non ho mai fatto niente che non volessi e non inizierò adesso".
"Ma tu...non fai queste cose".
"Prima di incontrarti erano tante le cose che non facevo, che non
credevo di essere in grado di fare", Sherlock si bloccò, "è
interessante".
"Cosa?", chiese John, non staccando gli occhi dalle labbra dell'altro.
"L'amore".
John ridacchiò.
"Hai trovato una nuova materia di studio".
"E tu mi farai da cavia".
FINE
* Dovete perdonarmi se ho preso in prestito questa frase, tratta dalla splendida poesia "Ogni caso" di Wislawa Szymborska.
Sono giunta alla fine di questo mio piccolo esperimento. Non sono del
tutto soddisfatta del risultato, ma è stato divertente (e
liberatorio, dopo l'ultima puntata della seconda stagione).
Grazie a tutti quelli che l'hanno seguito. Un ringraziamento particolare va alla mia amica e beta Blaise, che mi incoraggia sempre e mi ispira (perchè invidio le cose che scrive e provo ad eguagliarla! xD).
Spero di tornare presto in questo fandom con un'altra storia,
dato che Sherlock e John sono sempre nel mio cuore e nella mia mente.
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