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Camminava lungo quel sentiero ormai
da ore. Si sentiva i piedi a pezzi, le gambe che a malapena reggevano il peso
del suo corpo. Si sedette sul prato accanto, poggiando lo zaino a terra. Doveva
raggiungere i Varden al più presto ma sapeva che se non si sarebbe riposata
sicuramente sarebbe morta prima. Tirò fuori un pezzo di pane e lo addentò con
foga.
Si guardò attorno: non c’era
nessuno, nemmeno un animale animava quello strato di terra su cui adesso
sedeva.
Aveva sentito che i Varden erano un gruppo
di ribelli che combatteva contro Galbatorix, e lei aveva tutto il diritto di
unirsi a loro. Sapeva che si trovavano nel Surda adesso, sulle Pianure Ardenti.
Probabilmente nascosti in qualche roccia. L’unico problema era come far capire
ai Varden che non stava dalla parte del nemico.
Tirò su col naso. Quel raffreddore
era straziante. Si distese a terra, gli occhi al cielo. Le stelle splendevano
alte e luminose. La affascinavano; da piccola aveva sempre sognato di poter
volare in mezzo a quelle lucciole enormi, poterle toccare, poterci giocare.
Rimase così per qualche minuto, forse mezz’ora, poi chiuse gli occhi,
addormentandosi.
Erano sicuramente mezzo giorno
passare quando Elvin aprì gli occhi. Si sentiva riposa e si rimise subito in
marcia. Anche verso quell’ora, se non per un gruppo di mendicanti, la strada
era completamente deserta. Viaggiò fino alle quattro del pomeriggio,
costeggiando un torrente. L’acqua era così limpida che ci si poteva
rispecchiare dentro “Fantastica!” pensò.
Quella solitudine la rilassava, da
una parte, mentre la opprimeva dal’altra. Fin da quando era piccola aveva
vissuto in compagnia, sempre accompagnata da qualcuno, e adesso che si trovava
sola qualcosa in lei la metteva in guardia.
Si tirò all’indietro i capelli
castani ormai appiccicati alla fronte sudata. Faceva talmente caldo che era
stata costretta a tagliarsi le manichee una parte del vestito verde che indossava. Alla cintura portava un
pugnale ornato con un serpente d’oro. La lama era di un verde inteso, come l’erba
quando, dopo una tempesta, si asciuga al sole. Era di suo padre, che glielo
aveva lasciato prima di andarsene per sempre. Sospirò. Odiava ricordare il
passato; una vita che ormai non le apparteneva più.
Camminava quando incontrò una figura
piegata sul ruscello. Si fermò. Probabilmente stava prendendo dell’acqua.
Aveva i capelli castano scuro,
leggermente lunghi. Erano arruffati e impregnavano il collo del giovane con
goccioline di sudore. Il mantello gli copriva interamente il corpo, mentre le
mani erano tenute in un paio di guanti. Una spada gli pendeva ad un fianco,
lasciando, fuori dal fodero, un piccolo spazio rosso. Il colore della lama,
pensò Elvin.
Rimase lì, ferma a guardarlo. Non
sapeva se potesse fidarsi, e forse la cosa migliore da fare era proseguire per
la propria strada. Ma non riusciva a muoversi. Era come se quel ragazzo
l’avesse bloccata lì, senza riuscire a farla smuovere.
Il moro chiuse la borraccia e si
rialzò, voltandosi. Vide la ragazza. Era castana, i capelli lunghi tirati all’indietro.
Il vestito verde le ricadeva morbido sul fisico minuto, strinto con una cintura
di pelle di cervo; alla quale era agganciato un piccolo pugnale.
Continuò a fissarla, senza muovere
un muscolo. Poi prese e si diresse verso la parte opposta.
Elvin continuò a guardarlo, seguendo
la sua figura con lo sguardo. Si stava dirigendo verso il prato più a ovest.
Mosse qualche passo verso il giovane, che però parve accorgersene, dato che si
voltò e le chiese: - Cosa c’è? – la sua voce era calda. Mentre il suo volto
mostrava sofferenza e dolore.
Elvin non rispose, e il giovane si
ritrovò a rifare la domanda.
- N..niente…-
mormorò la ragazza. Continuava a guardarlo negli occhi.
Il moro scosse la testa e si
ridiresse verso il luogo in cui stava andando. Elvin si mise a seguirlo. Non
sapeva nemmeno lei cosa la animasse, cosa la spingesse a seguire quel ragazzo.
- Sono Elvin – disse avvicinandosi –
Tu? – chiese.
Dopo un po’ che il ragazzo non
rispose si maledisse. Perché cavolo aveva detto il suo nome. Se ne sarebbe
dovuta andare via subito.
Il ragazzo la guardò negli occhi: -
Che vuoi? – chiese ancora.
Elvin abbassò lo sguardo: - Cerco un
posto…-
- Bene continua a cercarlo allora! –
grugnì il giovane-
Lei lo guardò ancora, avventurarsi
verso il bosco. Lo seguì da lontano, di soppiatto.
Continuava ad inoltrarsi nel folto
degli alberi, verso una cascata, così sembrava dal rumore. Si nascose dietro un
albero. Strabuzzò gli occhi. Davanti a lei si stagliava un enorme drago rosso,
le squame che rilucevano quando i pochi raggi del sole le illuminavano.
“Mio dio!”
Il giovane, che adesso era sicuro
essere un cavaliere, si sedette accanto al drago, a gambe incrociate.
- So che sei lì dietro avanti esci!
– disse mettendo fra i denti un pezzo di carne che il drago aveva arrostito ben
bene.
Elvin uscì dal suo nascondiglio,
incerta. Come aveva fatto a sapere che era dietro quell’albero? Ma cosa più
importante: un cavaliere dei draghi non doveva stare dalla parte dei Varden? E
soprattutto: poteva andare a giro così liberamente senza essere scoperto da
Galbatorix?
Gli si avvicinò, appoggiando la mano
sull’elsa del pugnale.
- Tranquilla, non ho motivo di farti
del male – sorrise il moro.
Lei non rispose. Guardava il drago, per
metà affascinata e per metà impaurita. Non si era mai trovata davanti ad un
animale tanto maestoso.
- Chi sei? – chiese al giovane.
- Mi chiamo Murtagh…-
la guardò da sotto la frangia – Tu invece hai detto di chiamarti Elvin vero? –
Lei non rispose.
- Cosa è che cercavi? – chiese
ancora Murtagh.
Lei si sedette su un sasso vicino a
lei: - Nulla – scosse le spalle.
Lui continuò a guardarla: - Come
nulla? – rise – Tu cerchi il nulla? Wow! –
Non era simpatico, e lei non era
venuta lì per perdere tempo: - Ma i draghi non sfuggono facilmente a
Galbatorix! – si pentì subito di ciò che aveva detto. Non aveva la più pallida
idea da che parte stesse Murtagh, poteva benissimo essere un cavaliere di Galbatoriz. Per la prima volta si sentì veramente stupida.
Lui la guardò, obliquamente. Poi
rise. La risata infastidì Elvin, la stava prendendo in giro – Sai che sei
strana?! – disse lui.
Lei assunse un fare altezzoso: - Che
vuoi dire? – non gli piaceva quel ragazzo, anche se da un lato la affascinava.
Lui scosse le spalle e non rispose.
Si alzò e sistemò la sella sul dorso del suo drago: - Allora dove sei diretta?
– chiese ancora.
Lei non rispose.
Murtagh si voltò, scocciato: -
Potrei darti un passaggio se tu mi dicessi d0ve sei diretta –
- Nel Surda – rispose lei. Non volle
stare a precisare il punto preciso, non sicura di potersi fidare – Ma posso
benissimo andarci a piedi! – sbuffò.
Murtagh continuò a guardarla, e lei
fu costretta ad abbassare la testa. Murtagh salì in groppa al drago: - Vai dai
Varden vero? –
Lei alzò di scatto la testa: -
Come?! –
- Tranquilla – si massaggiò la
spalla – Anche io sono diretto verso il Surda, e non sono dalla parte di
Galbatorix. Non faccio nemmeno parte dei Varden perché sinceramente non mi
interessa che fine farà questa terra. Però posso portarti il più vicino
possibile, così che tu possa arrivare da loro il prima possibile e senza
correre rischi – la guardò, sperando in una sua risposta.
- Non so se potermi fidare – rispose
Elvin avvicinandosi e squadrando il drago.
- Giusto – continuò Murtagh – Ma ti
permetto di pugnalarmi se ti farò qualche torto – le allungò una mano per
aiutarla a salire.
Elvin lo guardò ancora, dubbiosa;
poi gli afferrò la mano. Salì in groppa al drago e sentì il drago che si issava
su. I muscoli tesi per lo sforzo. Istintivamente cinse il corpo del cavaliere
con le braccia, stringendo.
Murtagh rise: - Così mi fai male! –
le prese le braccia e le allargò un pochino – Mai volato? – chiese infine.
Lei annuì debolmente.
Il drago si puntò con le gambe
posteriori e si diede lo slancio. Il terreno cominciò ad allontanarsi e il
freddo dell’aria cominciò a pungergli le guancie. Strinse nuovamente il corpo
di Murtagh e chiuse gli occhi. Sentì il cavaliere gemere sotto la sua stretta
ma non smise di tenersi attaccata. Aveva paura, un terrore enorme e non
intendeva aprire gli occhi per nessun motivo. Si ricredette sulla bellezza del
volo che pensava fosse da bambina. Si sentì alzare il vestito quando il drago
virò lateralmente e si diresse verso sud. Dopo qualche secondo prese
un’andatura normale, probabilmente voluta da Murtagh.
- Adesso puoi aprire gli occhi
fifona! – disse lui allargandole le braccia intorno alla sua vita.
Lei aprì lentamente gli occhi, aveva
paura di ciò che avrebbe visto. Quando li ebbe definitivamente tutti e due
aperti spalancò la bocca per lo stupore. Davanti a lei si innalzava uno
spettacolo mai visto. Fiumi, laghi, montagne; a quell’altezza tutto sembrava un
modellino di legno, come quelli che si regalano ai bambini piccoli. La valle
Palancar si stendeva dietro di lei, mentre davanti, in lontananza, si trovavano
i Monti Beor. Le Pianure Ardenti erano alla sua destra, lontane.
- E’ bellissimo! – mormorò mentre
volgeva il suo sguardo da una parte all’altra.
Murtagh rise: - Te lo avevo detto o
no? – sghignazzo ancora, dando una leggera pacca sul collo del drago.
- Come si chiama – urlò Elvin, per
farsi sentire, a Murtagh, riferendosi al suo drago.
Murtagh girò la testa all’indietro:
- Castigo! – urlò.
Il vento non permetteva certo lunghe
chiacchierate, e per tutto il tempo Elvin rimase muta a guardare a volte il
paesaggio, a volte la schiena di Murtagh. La affascinava ancora, e provava uno
strano sentimento per quel ragazzo, benché l’avesse conosciuto da poco. Ciò la
traumatizzava un po’. Non aveva mai provato niente di simile per un ragazzo e
questo la spaventava.
Sentì il drago tendere i muscoli
quando volò in picchiata. Elvin urlò, aggrappandosi a Murtagh con tutta la
forza che aveva. Il drago atterrò con un sonoro frastuono.
Inghiottì, mettendosi
la faccia fra le mani: - Non lo fare mai più! – urlò dando una manata sulla
schiena di Murtagh.
Il moro rise: - Tranquilla…- scese da Castigo, atterrando con un leggero stonf.
Un
po’ fifona la ragazza. Disse
Castigo nella mente a Murtagh. Il moro rise.
- Cosa c’è?! – chiese Elvin
scendendo anche lei, sebbene malamente, dalla sella del drago rosso – Che è
successo? – chiese ancora stizzita.
Murtagh la guardò di
sbieco, osservandola da capo a piedi. Quella ragazza gli ricordava tanto una
persona, anche se in quel momento non ricordava chi. Si sentiva a disagio,
quasi senza respiro; ma non lo diede a vedere: - Ha detto che sei una fifona! –
indicò il drago – Castigo! –
Elvin sbuffò: - Vorrei
vedere lui al posto mio.
Murtagh si voltò e
rise ancora: - Se lui fosse al posto tuo non penso che riusciresti a reggerlo –
- Ah ah…- Elvin si sedette su un masso, togliendosi lo zaino
dalle spalle. Sentiva le gambe a pezzi, e, se non fosse stato per la sella, lei
ne era sicura, si sarebbe ritrovata con le gambe completamente macchiate di
sangue; il suo. Guardò il cielo. Fino a qualche minuto prima erano lassù, a
volare. Le era piaciuto, solamente l’atterraggio non l’aveva molto convinta: -
Ma il tuo drago sa atterrare come si deve? –
Castigo fece una
smorfia. Ovvio!
Murtagh scoccò un’occhiata
al drago: - Perché? Pensi di poter giudicare? – chiese accigliato.
Elvin scosse la testa
con un fare dubbioso: - No…- rise – Si! – si alzò in
piedi e cominciò a mimare Galbatorix; cosa molto pericolosa dato che si
trovavano nel territorio dell’Impero. – Io sono Galbatorix, signore del fuoco! Signore
della terra! Signore di tutta Alagaesia! Sono imbattibile e riesco a decifrare
qualsiasi lingua terrestre! –
Murtagh si sedette e
cominciò a sghignazzare. Quella ragazza era davvero strana. Chi se lo sarebbe
immaginato che si sarebbe messa a mimare Galbatorix.
Elvin continuò,
scoccando un’occhiata al moro: - Tu! Tu e tu! – cominciò ad indicare prima un
ramo di un albero, poi il ruscello e infine un sasso – Voi! Miei schiavi! Avete
osato ribellarvi a Galbatorix, cioè me – a questo punto Castigo e Murtagh
scoppiarono in una sonora risata, seguiti da quella leggere e trattenuta di
Elvin. Quella continuò: - E per questo io vi dico!....- ci fu un momento di
attesa, dove nessuno osò fiatare, come quando sei a teatro e sta per succedere
qualcosa di importante – Di portare la vostra mamma a farsi benedire! – una risata
clamorosa e un battito di mani travolse il silenzio che si era formato poco
prima.
Elvin fece un inchino,
poi un altro, finché non si fu inchinata a tutti gli oggetti di quel posto.
- Ma sei diventata
pazza! – disse Murtagh continuando a ridere e asciugandosi gli occhi – Ti avesse
sentito Galbatorix! –
Elvin fece un gesto di
non curanza e si rimise a sedere: - Non ho paura di lui –si guardò intorno e
tremò, fingendo.
- Ah! Dai basta! –
Murtagh tirò fuori, da una delle bisacce attaccate a Castigo, un pezzo di
stoffa, con dentro qualche pezzo di carne: - Avrai fame –
Elvin tirò fuori dallo
zaino un pezzo di formaggio: - Ho questo – disse, sventolandolo davanti al naso
di Murtagh. L’odore gli arrivò così forte che fu costretto a scostarsi,
inorridito. – Ma che roba è?! – chiese – Coraggio, un po’ di carne non ti farà
male –
Dopo che ebbero messo
su un piccolo fuoco e arrostito per bene la carne, Murtagh ne diede un pezzo a
Elvin. La ragazza lo afferrò intimidita, aveva perso tutta quella spavaldità che aveva prima. Adesso era stanca e voleva
solamente riposare, anche se non si fidava abbastanza per riuscire a dormire
con accanto uno sconosciuto.
- Oggi la faccio io la
guardia, ma poi dovremmo cominciare a fare a turno. Non sono un dio lo sai –
disse Murtagh tirando fuori da un’altra bisaccia un paio di coperte – La sera
fa molto freddo – ne porse una a Elvin.
- Grazie…-
mormorò la ragazza. Appoggiò il bastoncino su cui era messa la carne a terra e,
con un elastico si legò i capelli.
Murtagh rimase a
guardarla, posando a volte il suo sguardo sul naso, altre sulla bocca, per poi
finire guardando gli occhi. Erano di un blu intenso, che a lui ricordarono
subito le squame di Saphira. Si riscosse: non doveva andare a pensare a loro,
nemmeno ad Eragon. Altrimenti si sarebbe ritrovato nuovamente con strizze allo
stomaco per tutta la notte. Sbuffò.
- Che c’è? Non mi va
più la carne scusa, ma se vuoi la finisco, se per te è un’offesa – disse Elvin
afferrando nuovamente il bastoncino.
Murtagh rialzò lo
sguardo dal terreno: - Cosa? – rimase così, ammutolito, poi si riscosse - No no! Non è quello
tranquilla. Stavo solo pensando – fece un leggero sorriso, poi fece cenno a
Elvin che poteva mettersi a dormire, e le disse che sarebbe stato lui a
vegliare su di lei, e che non doveva avere timore.
La ragazza si distese
sull’erba, gli occhi se passavano da Murtagh a Castigo e viceversa. Qualcosa in
lei la avvertiva che sotto l’apparenza si nascondeva qualcos’altro. Ovvero che
quei due nascondevano qualcosa, un qualcosa che lei non avrebbe mai immaginato.
Si tirò la coperta fin sopra il naso e chiuse gli occhi, fidandosi di quel
ragazzo che aveva appena conosciuto.
Fine primo capitolo della mia prima
vera ff su Eragon, il libro, a parere mio, più bello
in assoluto. Vorrei lanciare auguri a Christopher Paolini che è stato
bravissimo a cerare una storia così avvincente e piena di colpi di scena! W Alagaesia,
Murtagh e Christopher Paolini! E ovviamente W a chi recensirà la mia ffxD.
Ringraziamenti di: Lui era Murtagh.
Ikarikun: grazie davvero per i complimenti Ika (posso chiamarti Ika vero?
^_^). Sono felice che ti piaccia il mio modo di scrivere e spero di non averti
delusa con questa ff. grazie ancora cara!!! E grazie anche per averla messa
trai preferiti!!!! ciao bella!!!
Recensire non costa nulla e fa felici gli scrittori.
Elvin aprì lentamente gli occhi. La
luce del sole quasi l’accecò, costringendola a chiudere nuovamente gli occhi.
Si mise a sedere e si tolse la coperta di dosso: il caldo aumentava ogni minuto
di più. Si stropicciò gli occhi per poi guardarsi attorno. Di Murtagh non c’era
traccia, solamente Castigo era ancora lì, al suo posto, a dormire. Fece un
sospiro di sollievo: quel ragazzo non l’aveva abbandonata. Si permise di
ispezionare alcune sacche appese alla sella di Castigo che adesso si trovava
appoggiata ad un masso. Era sempre stata curiosa, fin da piccola, e adesso che
Murtagh non c’era poteva degnarsi di una piccola occhiatina. Indugiò, dicendosi
che non era una cosa giusta da fare. Poi scosse le spalle e ne aprì una. Era
marrone ed era chiusa con una cinghia d’oro. La cucitura era esterna e sembrava
fatta da un artigiano professionista; probabilmente l’aveva pagata molto.
Sciolse il fiocco e aprì la sacca. Dentro vi erano alcune pergamene e qualche pezzo
di stoffa. Una camicia pulita nera e un altro paio di pantaloni, anch’essi
neri. Prese una delle pergamene, chiuse tutte con un nastro rosso. Non era
sicura di poter aprirle. Già guardare dentro le borse di qualcun altro senza il
suo permesso la metteva in difficoltà, poi leggere qualcosa che magari doveva
restare segreto! Si guardò attorno, per poi volgere lo sguardo verso Castigo:
dormiva ancora. Ripose la pergamena dov’era per poi passare ad un’altra sacca.
Mentre ne scioglieva il fiocco vide accanto a sé il fodero della spada di
Murtagh. Si fermò ad osservarlo. La spada si trovava al suo interno. Era un
fodero marrone, con rune elfiche incise sopra. L’impugnatura della spada aveva
un cristallo blu, era ad una mano. O prese e se lo rigirò fra le mani. Non
pesava affatto, probabilmente era una spada elfica. Il fodero era lisco, di
camoscio, lavorato con mani d’angelo. Impugnò la spada e la estrasse con un
sibilo. Si voltò di scatto verso Castigo, ma il drago continuava a dormire
beato. Si tranquillizzò e guardò la lama davanti a sé. Era rossa come il
sangue, e sembrava che fosse priva di ammaccature e graffi. Era perfetta. Elvin
ne rimase talmente affascinata che non si accorse del ritorno di Murtagh.
- Di solito si chiede il permesso! –
La ragazza si voltò di scatto,
nascondendo la spada dietro la veste: - Di che parli? –
Castigo si alzò sbadigliando, mentre
Murtagh si avvicinò a grandi passi vero Elvin. Erano vicinissimi, e la ragazza
fu costretta a fare un passo indietro per non trovarsi faccia a faccia col
giovane. Murtagh afferrò la spada dalle mani della ragazza: - Guai a te se ci
riprovi! – imprecò rinfoderandola.
Elvin abbassò la testa: - Scusami…-
Murtagh si voltò a guardarla,
agganciandosi la spada alla cintura. Posò poi il suo sguardo su Castigo, che lo
guardava con una certa dubbiosità. Murtagh sospirò: - Avanti mettiamoci in
marcia. Da ora in poi dovremmo andare a piedi, dato che qui vicino sorgono
troppe città per passare inosservati – chiuse tutte le sacche e legò la sella a
Castigo.
Elvin lo guardò mettersi il mantello
e poi agganciarsi alcune sacche alla cintura. Dentro si trovavano qualche soldo
e dei documenti falsi, se mai li avessero fermati per controlli.
Murtagh le porse un bastone.
- Non ne ho bisogno! – rispose
stizzita. Non era così vecchia o debole da aver bisogno di un bastone.
Murtagh ritrasse il braccio ma non
disse nulla. Si voltò verso Castigo. Vola
in alto. Non voglio che le truppe di Galbatorix capiscano che sono qui.
Altrimenti potrebbe mettersi male.
Castigo annuì. Si protese in avanti
a con le zampe posteriori si lanciò in aria. Una folata di vento investi i due
giovani, facendo cadere a terra Elvin. Tossì e per poco non soffocò.
Murtagh rise: - Tutto ok? – le porse
una mano per rialzarsi. La ragazza afferrò il guanto del cavaliere e si rimise
in piedi. Quando si rialzò si trovò faccia a faccia, nuovamente, con Murtagh.
In quel momento rimase immobile a guardare gli occhi del giovane. Erano così
intensi. Dopo qualche minuto fu Murtagh a volta tarsi e a prendere un sentiero
vicino a loro. Elvin non poté far altro che seguirlo.
Camminarono lungo quel sentiero per
circa cinque ore quando Elvin si gettò a terra esausta, le ginocchia poggiate
al terreno: - Ti prego! Possiamo fermarci? –
Murtagh si voltò. Quella ragazza non
aveva forza nelle gambe: - Ma quanti anni hai? – chiese sbuffando e tirandola
su.
Quella si pulì il vestito dalla
polvere. Lo guardò un po’ accigliata: - 17 perché? – chiese infine.
Murtagh si mise le mani sui fianchi
e scosse la testa: - E a 17 anni sei così debole! Poveri noi! – continuò
alzando le braccia al cielo: - Che Dio venga in nostro soccorso! –
Elvin si morse le labbra: - Non sei
divertente! – non le piaceva quando la si prendeva in giro. Fin da piccola
aveva sempre preso a pugni i bambini che osavano derirla,
adesso però era diverso: non poteva certo mettersi a picchiare un ragazzo più
alto di lei di almeno 20 centimetri! Scosse la testa: sarebbe tornata
volentieri ai bei tempi passati.
La voce di Murtagh la rianimò: - Non
volevo esserlo infatti – Murtagh indicò una città in lontananza: - Non possiamo
fermarci per strada, desteremo sospetti. Passeremo la città a Daret, sempre che
tu cela faccia ad arrivarci – le labbra gli si arricciarono in un sorriso quasi
perfido.
Elvin mosse la testa, delusa da quel
comportamento: - Mi sottovaluti! – disse. Tirandosi all’indietro i capelli.
Murtagh le si avvicinò e le afferrò
il mento con le mani, tirandolo a sé. Portò le sue labbra all’altezza
dell’orecchio della ragazza: - Dimostramelo! –
Elvin non fece discorsi, sferrò un
calcio nello stomaco del ragazzo, facendolo indietreggiare. Murtagh soffocò un gridolio di dolore. – Accidenti! – tossì – Non intendevo
così! – ringhiò.
La ragazza rise, posando le mani sui
fianchi: - La prossima volta impari a sottovalutare una donna! – sbuffò lei,
soffiando su un ciuffo di capelli che le ricadeva sugli occhi, per mandarlo
indietro.
Murtagh rise massaggiandosi lo
stomaco: - Potrei sempre abbandonarti qui e lasciarti andare nel Surda da sola.
Scommetto che non ne saresti capace. – la schermì.
Un lato della bocca di Elvin si
contorse: - Vuoi un altro calcio o preferisci cominciare a camminare verso
Daret? –
Murtagh annuì e voltando le spalle
alla ragazza si rimise in marcia verso Daret. Era da tanto che non tornava in
quella città. E un po’ gli mancava, era lì vicino che aveva conosciuto Eragon.
Quando lui e Brom erano stati catturati dai Ra-zac e a lui era toccato
salvargli la vita. A quel tempo non pensava che quel giovane ragazzo potesse
diventare il suo acerrimo nemico, e nemmeno che potesse essere suo fratello.
Ciò lo metteva in crisi. Da una parte avrebbe dovuto ucciderlo, per ordine di
Galbatorix, dall’altra avrebbe dovuto proteggergli le spalle, come compito di
fratello maggiore. Come anche da un lato lo odiava, siccome Selena aveva scelto
di portarsi via Eragon e non lui, dato che lo riteneva un perfetto idiota e gli
ricordava troppo Morzan, da un’altra provava un senso di amore nei suoi
confronti. Avevano passato del tempo insieme. Si erano salvati la vita a vicenda,
si erano presi a cazzotti, ma mai si erano ritrovati a doversi uccidere. Anche
se quel senso di amore lo disgustava. Lui, Murtagh, il figlio di Morzan, si
ritrovava ad amare una persona. Sapeva che per amore si soffre, anche se ciò è
per una persona cara. Si riscosse dai suoi pensieri e continuò ad avanzare a
grandi passi verso Daret. Prima sarebbero arrivati nel Surda, prima poteva
tornarsene a Urù- baen.
Sentiva i passi della ragazza dietro
di sé, leggeri, quasi come il tocco di una farfalla su un fiore. Anche
l’attrazione per quella ragazza lo disgustava. L’aveva appena conosciuta
dannazione! Non poteva certo mettersi a sognare su qualcosa che sarebbe stata
irraggiungibile!
Continuò a camminare finché non
raggiunsero le porte della città. Murtagh si celò il cappuccio sul volto, e lo
stesso fece Elvin, con il mantello che il moro le aveva dato prima di
ripartire. Entrarono indisturbati nella città, anche grazie alla formula magica
detta da Murtagh verso le guardie.
La città era completamente distrutta.
Lecase erano, spesso, in macerie; solo
una decina ne rimaneva in piedi. Le persone vagavano a caso per le strade,
facendo leggeri cenni di saluto a chi incontrassero, persone o animali che
fossero. I maiali invece erano sparsi ovunque, mangiando il resto del cibo e
degli escrementi che si trovavano a terra. Il puzzo era opprimente, e Elvin fu
costretta a mettersi una mano davanti alla bocca per non vomitare. I soldati se
ne stavano in disparte, o a giocare a carte o seduti ai tavoli a chiacchierare,
lo stemma di Galbatorix sul petto. Elvin fece una smorfia: odiava chi si
vendeva a Galbatorix per qualche privilegio.
Entrarono in una locanda vicino al
secondo cancello della città. Era spoglia e sudicia all’interno, mentre
all’esterno era coperta di fuliggine. Dentro si trovava circa una cinquantina
di persone, tutte indaffarate a fare qualcosa. In un angolo un gruppetto di
soldati parlottava di un cavaliere con un drago azzurro, ma non riuscì a
sentire il nome del cavaliere in questione. Al centro un gruppo di bambini
giocava con giocattoli di legno. Vi erano tre bambini e due bambine. Una delle
quali aveva una benda sull’occhio ed era senza un braccio, segno evidente della
guerra che si stava svolgendo in tutta Alagaesia. Rimase ferma alla porta mentre
Murtagh andava verso il bancone. Si sentiva a disagio, anche se nessuno, almeno
così pensava, la stesse osservano. Continuò a guardarsi intorno mentre voci
assurde le rimbombavano in testa. C’era una tale confusione in quella stanza
che non ci volle molto per farle venire il mal di testa.
Quando quasi stava per uscire
esausta Murtagh la afferrò per un braccio e la portò su per le scale. Una volta
salito un po’ la sbatté al muro: - Ma dico sei impazzita? – urlava sottovoce,
quasi per non farsi sentire – Se stai lì da sola a guardarti intorno attirerai
sicuramente l’attenzione! – continuò a guardarla fissa, aspettando una
risposta: che però non arrivò.
Murtagh perse la pazienza e spinse
Elvin ancora più forte al muro: - Rispondi! – urlò. Stavolta per davvero.
Forte, e a Elvin fecero male le orecchie. Si sentiva una stupida. Come poteva
non averci pensato.
- Nessuna mi ha vista – provò a
scusarsi, anche se ciò non stava in piedi.
- Nessuna ti ha vista, ma ti rendi
conto di ciò che stai dicendo?! –
- Scusa….-
- Non bastano le tue scuse! Potevi
farci ammazzare! Lì dentro c’erano i soldati del re! –
- Scusa – ripeté a bassa voce.
Murtagh la lasciò andare, facendo un
segno di impazienza. Poi disse: - Avanti, la nostra stanza è al terzo piano –
cominciò a salire le scale.
Elvin lo vide scomparire nell’ombra,
per poi sentire dei passi sopra la sua testa. Rimase lì, appoggiata al muro,
senza sapere cosa fare. Quel ragazzo stava facendo così tanto per lei. Perché
doveva sempre essere un peso per tutti?! Per un momento le affiorò l’idea di
scappare, non farsi più vedere così permettendo al ragazzo di vivere in pace.
Poi ci ripensò e cominciò a salire le scale. Probabilmente se fosse scappata
avrebbe fatto preoccupare per nulla Murtagh e magari il giovane si sarebbe
incolpato di una colpa che non era sua; ovvero di non essere riuscito a
proteggere la ragazza come avrebbe dovuto.
La stanza era esagonale, con due
letti accostati alle pareti, uno dalla parte opposta della stanza. Le pareti
erano di legno intarsiato, mentre una luce fioca proveniva da una lanterna
posata su un mobile al lato di ogni letto. Il pavimento era anch’esso di legno,
solamente più vecchio e consumato di quello alle pareti. Negli angoli della
stanza si trovavano enormi ragnatele, fortunatamente però prive di ragni. In un
angolo un vaso da notte.
Murtagh posò le sacche a terra e,
togliendosi gli stivali, si gettò sul letto.
Elvin rimase un po’ perplessa da
tutto ciò, quindi rimase in piedi dov’era. Poi si decise a posare anche lei lo
zaino a terra e a sedersi a gambe incrociate sul letto; lo sguardo fisso su
Murtagh.
- Cosa eri prima di diventare
cavaliere? – chiese ad un certo punto poggiandosi al muro.
Murtagh alzò la faccia dal cuscino e
guardò il muro di fronte a sé. Non rispose. Poi rise: - Cosa ero? Niente –
Elvin continuò a guardarlo,
impassibile.
- Vagavo di terra in terra, senza
sapere davvero cosa ero, o cosa sarei diventato. Non avevo la minima idea che
prima o poi avrei incontrato Castigo. – sorrise e con la sua mente toccò quella
del drago, che ricambiò il suo sorriso con un guaito.
Elvin fece un’altra domanda: - Sono
i cavalieri che danno il nome ai loro draghi vero? –
Murtagh annuì.
- Allora come mai tu lo hai chiamato
Castigo? Insomma, non è un nome proprio normale – continuò la ragazza,
guardando il soffitto per poi tornare al moro.
Murtagh non disse nulla, quasi non
volesse ricordare ciò che era accaduto a Urù-baen. Poi disse: - Perché è
accaduto qualcosa che adesso ho timore a raccontare, e poi non capiresti-si alzò e si rimise gli stivali – Avanti –
aprì la porta – Andiamo a mangiarci qualcosa –
Elvin lo seguì fino ad un tavolo
vicino alla finestra. Dopo qualche minuto arrivò una cameriera vestita con un
abito di pizzo nero: - Posso esservi utile? – chiese, posando lo sguardo prima
su Murtagh, che adesso si era tolto il cappuccio, poi su Elvin, squadrandola da
capo a piedi.
Murtagh sorrise: - Io prendo un
bicchiere di idromele e una fetta di carne -poi si volse lo sguardo a Elvin, di fronte a sé.
- Anche io – concluse la ragazza.
La cameriera si allontanò, in
direzione del bancone.
Murtagh rimise a posto il menù,
poggiando la testa sulle mani e guardando Elvin: - Come mai così timida? –
chiese
Quella scosse le spalle, arrossendo.
Ma non rispose.
Dopo un quarto d’ora arrivò la loro
ordinazione, e i due consumarono il pasto in perfetto silenzio.
Una volta finito di mangiare
tornarono in camera, per coricarsi.
Elvin non era abituata a condividere
la sua stanza con qualcun altro, soprattutto se quel qualcuno era un perfetto
sconosciuto. Perfino da piccola aveva sempre temuto di dormire con qualcuno,
anche se fosse stato un familiare.
Cercò di inghiottire quel sapore
amaro che aveva in bocca e chiuse gli occhi. Doveva dormire, o il giorno dopo
non sarebbe riuscita a reggersi in piedi.
Murtagh si addormentò poco dopo,
sempre vigile.
Ecco il secondo capitolo della mia ff su Eragon!!! ^^ spero vi piaccia anche questo!!
Ringraziamenti:
stefy_81:
grazie per aver
recensito e per aver messo la mia ff tra i
preferiti!! ti ringrazio davvero molto e spero che anche questo capitolo sia di
tuo gradimento! Ciao bella!
Elvin
si svegliò di soprassalto, mettendosi di colpo a sedere: qualcosa l’aveva
svegliata. Guardò fuori dalla finestra. Fuoco. Tutto era completamente avvolto
dalle fiamme: Galbatorix feriva quella città ancora più forte. Urla di donne e bambini
arrivavano dalle strade, e a lei il tempo parve fermarsi. Tutto cominciò a
girare e un brivido le passò lungo la colonna vertebrale. Ricordava quella
scena, l’aveva rivista milioni di volte nei suoi sogni, nei suoi ricordi.
Una bambina camminava lungo l’argine di un fiume, in mano una rosa bianca. Gliela aveva
regalata il suo fidanzato, adesso partito per la guerra. Quel gioco lo facevano
spesso, soprattutto d’estate, quando il sole era alto
nel cielo per più tempo.
Si mise in ginocchio vicino ad un masso, sul
quale si ergeva un piccolo ranocchio verde marino. Gli occhi erano di un
azzurro intenso e il verde diventava giallo dove il sole batteva di più. La
bambina ne rimase affascinata e la prese in mano. Era viscida e scivolosa,
umida e meticcia. Le accarezzò gli occhi e l’animale,
con un solo balzo, si rigettò in acqua. La bimba la guardò nuotare via,
tristemente.
Si alzò e si rimise in viaggio verso il suo
castello. La dama di corte la stava aspettando. La bambina che faceva la dama
era una ragazzina bionda, due occhi azzurri grandi quanto due nocciole. Teneva,
legati fra i capelli, due nastri rossi che le incorniciavano il viso. Due
orecchini a forma di drago le colorivano la pelle bianca.
La bambina la salutò dalla torre del
castello. Una roccia appuntita, dove vi avevano messo delle scale di legno, con
un pianerottolo dello stesso materiale. Quello era il castello.
La bambina si avvicinò e si sedette sull’erba, nel cortile del palazzo. Aspettava il suo promesso
sposo, colui che avrebbe dovuto dare al regno pace e figli.
Stava per mettersi la rosa fra i capelli
quando sua madre arrivò trafelata.
- Avanti Elvin! Vieni! –
la afferrò per un braccio e la strattonò via. Lo stesso fece la madre dell’altra bambina con la bionda.
Le case del villaggio bruciavano e Elvin
dovette tapparsi gli occhi per non rimanere accecata.
La madre la fece salire su un carro, al
comando suo padre.
- Mamma che succede?! –
urlò la bambina in preda al panico.
- Urgali! Urgali di Galbatorix! – rispose la madre salendo sul carro.
Il carro prese a viaggiare quando un’esplosione lo scaraventò a terra. Elvin volò al di là del
fiume. Batté la testa e svenne.
Quando riaprì gli occhi il villaggio era
completamente distrutto, niente più era rimasto delle case, della locanda o
degli alberi. Gli animali vagavano liberi e sanguinanti.
Si alzò, tremando. Le sanguinava la testa e
tutto intorno a lei girava vorticosamente. Mise le gambe nell’acqua
gelida e sussultò. Raggiunse la riva opposta dopo pochi minuti.
Si guardò attorno. Cadaveri giacevano sul
terreno, alcuni addirittura privi di carne, probabilmente mangiati dagli
uccelli o altri animali.
Elvin si mise una mano davanti alla bocca.
Lontano, vicino al carro che avrebbe dovuto trarli in salvo, c’erano
sua madre e suo padre, a terra, privi di sensi.
Si avvicinò piano, cercando di scacciare
indietro le lacrime. Non credeva ancora a ciò che era successo, e una domanda
continuava a balenarle nella mente: chi era Galbatorix? Chi poteva essere un
uomo così malvagio da fare certe cose?! Scosse la testa: proprio non capiva.
Quando raggiunse i suoi genitori cadde in
ginocchio, in lacrime. La vista le si annebbiò pian piano, causa delle lacrime.
Il volto di sua madre non c’era più, e dalla pancia gli
sgorgava un fiume di sangue. Suo padre invece era stato mutilato, e gli occhi
gli erano stati scavati via. Elvin afferrò la terra con le mani e la scagliò
lontano, urlando. Non era possibile! Non era possibile che tutto ciò era
davvero accaduto.
Cominciò a tirarsi i capelli. Doveva
svegliarsi, si, svegliarsi da quell’orribile sogno che
la stava invadendo. Niente. Non riusciva a ritornare alla realtà. Ma forse
perché era quella la realtà. No, non voleva crederci.
Si alzò e guardò a terra, stringendo i
pugni. Non poteva rimanere immune e tutto ciò, non poteva restare a guardare
quando tutta quella gente soffriva, e lei sapeva quanto si soffre a perdere
qualcuno; aveva provato tutto ciò adesso.
Guardò avanti a sé, asciugandosi le lacrime.
Da quel giorno si promise che avrebbe sfidato Galbatorix, qualunque fosse stata
la pena che avrebbe dovuto subire per riuscirci. Perfino morire.
Fu ridestata dal suo sogno da Murtagh, che
adesso le stava stringendo il polso.
- Che diavolo stai facendo?! – urlò – Dobbiamo
andarcene! – sul suo volto si era dipinto un terrore folle, e Elvin non riuscì
a decifrarne il motivo. Benché si fece qualche presupposto: poteva avere paura
di essere catturato, di morire, o semplicemente voleva trarla in salvo.
Si alzò di scatto, nascondendo quei pensieri
nel posto più remoto della sua mente, così da non doverci ritornare sopra. Si
infilò gli stivali e indossò il mantello nero di Murtagh, mentre lui ne
indossava un altro. Prese al volo il pugnale e se lo infilò nella cintura, lo
stesso fece Murtagh con la spada.
Una volta prese le sacche e lo zaino i due si
precipitarono per le scale, rischiando di rompersi l’osso del collo.
Elvin seguì il moro, ritrovandosi presto nella
stalla.
- Ma che ci facciamo qui? – chiese guardando
gli animali che la ospitavano.
Murtagh mise le sacche sulla schiena di un
cavallo, afferrando le briglie di un altro: - Monta – le disse porgendole le
redini.
La ragazza afferrò i pezzi di stoffa e guardò
perplessa Murtagh: davvero pretendeva di rubare due cavalli e scappare senza
dire nulla?
Murtagh dovette accorgersi del suo sguardo
perché disse: - Cosa c’è? Vuoi forse morire?! – quella ragazza proprio non la
capiva. Aveva davvero paura di rubare un cavallo?!
Elvin rimase ancora ferma a guardarlo,
arrabbiata. Non voleva rubare un cavallo. Non voleva rubare niente!
Un movimento dietro di lei la fece voltare
appena in tempo. Un soldato del re si era lanciato su di lei, la spada in
pugno. Murtagh però fu più svelto di lui e si mise in mezzo a lui ed a Elvin.
Tirò fuori la spada e parò il fendente, allontanando il soldato, il quale
riconobbe immediatamente la spada.
Indietreggiò di qualche passo e accigliò un
sopracciglio: - Ma cosa sta facendo?! –
Murtagh non gli diede il tempo di parlare e lo
sbatté al muro, facendogli volar via la spada. Gli si avvicinò, schiacciandolo
ancora di più: - Perdonami – fece ruotare la spada ancora una volta e trafisse
l’uomo con un colpo netto, che so accasciò in terra senza un lamento.
Murtagh si ritirò su, voltandosi verso Elvin ,
che teneva in mano le redini del cavallo, spaventata. – Tranquilla, adesso è finito…èmorto…- precisò.
Elvin ancora non credeva ai suoi occhi. Gli
c’era voluto così poco per uccidere quell’uomo. Così poco per spegnere ciò che
una madre ci mette nove mesi a partorire. Inoltre, la spada che aveva perforato
l’addome del giovane soldato non era macchiata di sangue, come di solito
succede alle spade normali.
Guardò spaventata Murtagh, il quale le si stava
avvicinando. Lei fece qualche passo indietro.
Murtagh si fermò, vedendo lo sconforto negli occhi
della ragazza. – Cosa c’è? – chiese, allargando le braccia, rinfoderando Zar’roc. La
ragazza non rispose e Murtagh fece ancora qualche passo avanti, causando
l’arretramento di Elvin.
Elvin scosse la testa: - Lo hai ucciso! – urlò,
sconvolta.
Murtagh accigliò un sopracciglio: - Lui avrebbe
ucciso te! – protestò.
Elvin scosse la testa con più forza, facendo
ricadere un ciuffo di capelli sul viso: - Non dovevi ucciderlo! –
- E lasciarti morire? –
- Non sarei morta! –
- Come lo sai? Per caso pensi che ti avrebbe
risparmiata dopo aver scoperto che eri una donna?! – prese un grosso respiro: -
Gli uomini di Galbatorix sono spietati! Uccidono chiunque senza fare
distinzione! Sono stati creati per non provare dolore né sofferenza! Spesso
sono contadini che vengono portati via dalle loro famiglie, alle quali, dice,
verranno donate delle terre in cambio del servigio del figlio o del padre!
Galbatorix non si ferma davanti ad un bambino in lacrime! Non si ferma davanti
ad una donna in cinta che implora pietà perché vuol far nascere il suo bambino!
Non si inchina a nessuno e ammazza chiunque! Speravi forse che facesse uno
strappo con te?! –
Elvin ispirò, una lacrima le rigava il volto: -
Come fai a sapere tutte queste cose? – chiese con soffocando un singhiozzo.
Murtagh ammutolì. Aveva parlato senza
riflettere e aveva detto qualcosa che non avrebbe dovuto. Abbassò la testa:
ormai non poteva tacere. – Perché l’ho visto… -
rispose.
- Quando? – continuò imperterrita.
Murtagh allargò serrò la mascella,
assottigliando le labbra: - Tanto tempo fa…-
Elvin non rispose. E Murtagh continuò.
- Ero bambino a quel tempo. Mio padre e mia
madre servivano Galbatorix. Erano poveri e avevano bisogno di terre da
coltivare. Così mio padre si arruolò nell’esercito di Galbatorix. Riportò
vittorie su vittorie, uccidendo chiunque Galbatorix dicesse di uccidere. Era
sicuro che con il suo sacrifico io e mia madre saremmo potuti vivere in pace.
Ma si sbagliava. Quando mio padre morì a me e a mia madre non toccò nulla. –
alzò lo sguardo da terra per incontrare quello di Elvin, poi continuò – Io ho
visto cosa succede agli uomini che recluta. Cambiano carattere, aspetto fisico,
i loro occhi diventano vuoti e i loro volti privi di espressione. Non provano
più dolore né sofferenza e continuano ad avanzare sul campo di battaglia anche
con una lancia che gli trafigge il petto. – abbassò il tono della voce – Già…successe anche a mio padre –
Murtagh sentì Elvin avvicinarsi e posargli una
mano sulla guancia: - Mi dispiace…non lo sapevo…- piangeva. Lei si, mentre lui, che aveva, almeno in
parte, vissuto ciò che aveva appen a raccontato non
lo faceva. Probabilmente era perché quelle erano solo bugie, almeno una parte
di bugie.
Scosse le spalle: - Andiamo – la scostò di poco
e salì sul cavallo vicino all’entrata – Dobbiamo andare –
Elvin lo guardò salire sul destriero nero. Era
imponente, quasi magnifico su quel cavallo, e a lei parve come di averlo già
visto, magari in qualche dipinto in un libro o qualche statua.
Si asciugò le lacrime a salì sul suo destriero.
Era un cavallo marrone, con una macchia bianca sulla fronte. Sembrava portasse
i calzini dato che un paio di macchie bianche si trovavano anche all’estremità
delle gambe. Agganciò lo zaino alla sella del cavallo e seguì fuori Murtagh.
Nelle strade milioni di abitanti urlavano
terrorizzati, mentre un gruppo di soldati del re massacrava gente innocente.
Murtagh parve rabbrividire, e in effetti era così. Odiava pensare che in quel
momento anche lui poteva essere lì.
Spronò il cavallo, che vene seguito da quello
di Elvin. Cavalcarono nel caos fino alla porta ovest di Daret, quando due
uomini si piantarono davanti a loro. il primo, il più grasso, doveva essere un
capitano, osservano gli le spille sulla maglia. L’altro invece doveva essere un
fante, e in mano teneva una lancia con l’araldica del re.
- Fermi! – urlò l’uomo più grasso, il capitano.
Quando però si accorse di chi sedeva sul cavallo nero fece un sorriso: - E’ qui
per…- Murtagh non gli diede il tempo di finire la
frase. Sfoderò Zar’roc
e tagliò la testa all’uomo. Il fante se la diede a gambe.
Murtagh rinfoderò l’arma e voltandosi verso
Elvin, che guardava il cadavere traumatizzata, disse: - Avanti! Dobbiamo
lasciare più leghe possibili tra noi e Daret. I soldati del re potrebbero
inseguirci. – detto questo spronò il cavallo al galoppo.
Ecco a voi il terzo capitolo, spero
vi piaccia anche questo se bene è un po’ più corto ^_^
Ringraziamenti:
stefy_81:
sono contenta che
la mia storia ti piaccia così tanto!! (ti piace tanto vero? O_oxD) comunque grazie, sono felice che il mio lavoro
venga apprezzato ^^ (ma mica sono un artigiano….aspè….O__O)
veri_lupi: sono contenta che ti piaccia e tranquilla,
no problem ^_^..comunque ecco a te il seguito!!! xD (grazie per aver messo la mia fan fiction tra i tuoi preferxD)
Ringrazio anche giovy39 e nan96 per
aver aggiunto la mia fan fiction ai preferiti! grazie!!! ^_^
Recensire non costa nulla e fa felici gli scrittori
L’uomo si alzò dallo scranno su cui
sedeva. Il mantello gli ricadeva pesante sulle spalle robuste e la barba bianca
gli pizzicava il mento. Quando scese dagli scalini prima del trono gli stivali
fecero un leggerò suono, simile all’armatura di un Urgali in avvicinamento.
Aveva sentito delle voci che gli
facevano girare le scatole. Odiava quando quel ragazzo si metteva nei guai.
Scese le scale che portavano alla
sala del trono, ritrovandosi nel corridoio centrale. Il corridoio era
illuminato da piccole torce alle pareti, le quali non lo illuminavano del
tutto. Ma a lui piaceva quell’oscurità che si creava, soprattutto le ombre che
si proiettavano alle pareti.
Aprì la porta della sala delle
conferenze e vi entrò. Si sedette. Intorno a lui le sedie erano vuote, se non
fosse stato per un paio di soldati che facevano la guardia. Per terra,
ripiegato su se stesso, un soldato.
L’uomo tremava, e in mano teneva
ancora stretto lo stendardo con l’araldica del re. Veniva da Daret, così gli
avevano detto, e gli avevano anche detto che aveva notizie importanti. E lui,
anche se con mala voglia, aveva dovuto ricevere questo soldato di basso rango.
Sbuffò e con un gesto della mano gli fece cenno di parlare.
Quello cominciò a balbettare: - E…era con una…una ragazza mio…miosignore….ha…ha ucciso il
capitano Ghervil…eio….io
sono corso subito da lei…si…signore…- sudava, e
temeva che gli venisse tagliata immediatamente la testa, dato che era scappato.
Galbatorix si spostò in un’altra
posizione, sulla sedia, sporgendosi in avanti: - Chi? – chiese con un sibilo,
semplicemente.
Il soldato scosse la testa: - Io…-
- Io cosa? – urlò alzandosi – Non è
così difficile! Chi era con una donna?! – gli si era avvicinato, e ora si
trovava quasi sopra di lui, imponente.
- Era il cavaliere signore…M…Murtagh…signore…- continuò: - Non…non
potevo fermarlo da solo…midispiace…-
Galbatorix continuò a guardarlo,
impassibile. Poi conun cenno della mano
dette l’ordine a due soldati di portare via il giovane. I due lo afferrarono
per le ascelle e lo trascinarono via, incuranti delle urla del poveretto.
Galbatorix si sedette sullo scranno,
sbuffando. Odiava i soldati che scappavano davanti al nemico, ma soprattutto si
chiedeva con chi diavolo fosse quel piccolo delinquente. “Odio corrergli
dietro! Il piano era semplice!”
- Mio signore…-
una voce lo ridestò dai suoi pensieri, e lui lo ringraziò mentalmente. La
tunica della figura volteggiava ad ogni suo passo verso il re, i capelli dorati
che gli ricadevano su corpo. Continuò ad avanzare finché non fu proprio di
fronte al re. Si inchinò e poi disse: - I ragazzi giovani sono sempre
inaffidabili mio signore –
Galbatorix sorrise: l’adorava. Quel
viso pallido e quei capelli leggiadri la rendevano bellissima e terribile allo
stesso tempo.
- Ma è probabile che la ragazza, o
la donna che sia, in questione la conosca mio signore. E, se lei me lo
permette, potrei andare a dare un’occhiata –
- Murtagh non ti ha ancora vista –
rispose il re – Non sa che sei al castello, ma se anche gli comparisse un’altra
ragazza al fianco si sentirebbe a disagio, oppure penserebbe a qualche trucco;
che sia dei Varden o mio o di qualsiasi altra razza. – si fermò, afferrando un
cioccolatino alla sua destra: se lo mise in bocca.
- So cosa vuoi dirmi mio signore –
continuò la figura. – E so anche cosa fare. Stai tranquillo, non intendo farmi
vedere, almeno non in forma normale – si guardò attorno e si dileguò in un
secondo, scivolando nell’ombra.
Galbatorix rimase fermò lì ancora
per qualche minuto, il sorriso beffardo ancora dipinto sul volto. Qualcosa in
lui si stava eccitando, sentiva l’ansia crescere. E ancora, dopo tutti quegli
anni, era convinto che arruolare Thendra era stata una buona idea.
Si alzò e si diresse verso la stanza
delle torture. Da poco avevano catturato una spia dei Varden, e lui Godeva nel
vedere i suoi nemici soffrire.
La stanza si trovava nei sotterranei
del palazzo, alla fine della svolta a destra. Davanti alla porta stazionavano
sempre un paio di guardie, con in mano due sciabole sempre ben affilate.
Accanto a loro, sopra ad un tavolino, stavano due bottiglie di idromele, usato
spesso per alleviare il dolore delle prime ferite dei torturati. Solamente per
poi poter ricominciare.
Galbatorix era dell’idea che uno,
quando è troppo ferito, comincia a non aver più percezione del dolore, e
continua a essere mutilato, frustato, senza provare niente, anzi, come un lieve
senso di piacere.
Quando arrivò davanti alle guardie
quelle si misero subito sull’attenti, aprendogli la porta. L’interno odorava di
sangue, di morte, di corpi carbonizzati. Grandi cisterne di olio bollente si
trovavano ai bordi della stanza, appoggiati alle pareti. A destra si trovavano
i lettini spinosi, usati soprattutto per torturare giovani fanciulle. In fondo
alla stanza, invece, si trovava il palo al quale era stato legato Murtagh
quando era stato portato da lui: il sangue ancora sul palo.
Sorrise: quando aveva goduto di
quelle urla. Si avvicinò ad un secondo palo, dove era stato legato il Varden. Era
un ragazzo più o meno sulla ventina d’anni umani, i capelli castani arruffati
in una capigliatura scomposta. Sulle braccia aveva tatuato un drago, che gli
avvolgeva tutti i tricipiti. Addosso aveva solamente le braghe. Lo avevano
trovato al confine dell’accampamento lungo il fiume Jiet, vicino a
Feinster.Era appostato dietro un masso,
sicuro di non essere visto grazie alla pelliccia d’orso che indossava; ma non
aveva fatto i conti con l’olfatto di un drago. Infatti, fortunatamente per
loro, Castigo si trovava nei paraggi, e lo aveva localizzato immediatamente.
Si avvicinò di più e i due soldati
incaricati di frustarlo si misero sull’attenti.
- E’ lui signore! – disse il primo,
un uomo di colore.
Galbatorix passò a guardare il volto
del giovane. Aveva uno sguardo sofferente ma deciso, e questo a lui piacque.
Amava le persone decise e forti, come lui. Anche per questo aveva scelto Morzan
come suo braccio destro: niente lo fermava!
- Ma non vuole parlare, signore –
continuò il secondo, quello più basso.
L’uomo castano bofonchiò qualcosa e
il soldato di colore lo afferrò per i capelli, urlando: - Cosa hai detto
verme?! –
Galbatorix lo afferrò per la mano e
gli spostò il braccio dai capelli del giovane, poi si chinò all’altezza della
testa del Varden: - Perché non vuoi parlare? – chiese, sghignazzando – Ti
risparmieresti tutta questa sofferenza, e, forse, potresti rimanere in vita –
rise ancora di più.
Il Varden lo guardò con odio,
incurvando le sopracciglia. Poi disse: - Noi non siamo gente spregevole come
voi! – urlò – Non tradiamo la nostra gente! – uno schiaffo arrivò netto sulla
sua guancia.
- Non provare più a rispondere così!
– disse Galbatorix alzandosi – Aumentate le frustate, e se dice qualcosa,
chiamatemi! – detto questo uscì a passi lunghi. Odiava i Varden, non avevano
mai accettato la sua forza, la sua supremazia! Invece lui era un re! Era il più
forte di tutta Alagaesia e lo avrebbe dimostrato a poco. Andò in camera sua e
sbatté la porta con violenza: appena Murtagh sarebbe tornato se la sarebbe
vista con lui!
Cavalcarono per quasi tutta la notte
e, a giorno inoltrato si fermarono vicino ad un ruscello.
Elvin scese da cavallo, cadendo a
terra, le gambe distrutte. Sentiva tutto il corpo a pezzi e non si reggeva in
piedi. La testa le doleva e non riusciva ad emettere nessuno suono dalla bocca.
Prese lo zaino e ne tirò fuori una sacca piena d’acqua. Ne buttò giù quasi
tutta la sacca e, dopo essersi dissetata, si asciugò la fronte con una manica
del vestito.
Murtagh, sceso anche lui da cavallo,
non sembrava affatto stanco, anzi, sembrava che si fosse appena svegliato.
Stava in piedi su un masso, a guardarsi attorno. Una volta controllato si
metteva da qualche altra parte e faceva lo stesso. Quando ebbe finito si mise a
sedere, le gambe incrociate. Aprì una sacca e bevve anche lui. Elvin sorrise:
allora non era un Dio!
La ragazza richiuse la sacca e la
rimise a posto, poi chiese: - Perché Galbatorix fa tutto questo? –
Murtagh alzò lo sguardo dalla sacca
di idromele. Sospirò e la rimise a posto: - Mi pare di avertelo già detto no? È
la sua natura. Lui gode nel vedere la gente soffrire. – Si levò il mantello che
appoggiò su un masso accanto a lui e Elvin, per la prima volta, video cosa
indossava sotto. Era una casacca di velluto nero, mentre sopra teneva un gilè
di pelle, anch’esso nero. Anche i pantaloni erano di pelle e dello stesso
colore. La mancia destra sembrava fosse stata ricucita. Continuò a guardare la
cucitura: sembrava fatta da una sarta non proprio brava, infatti in dei punti
era staccata. – Ti ha per caso morso una tigre su quel braccio? – chiese
ridendo.
Murtagh la guardò, poi passò a
toccarsi la manica. Sorrise: - Qui? Na! È stato più
che altro uno sfogo…- bofonchiò tirando fuori pezzi
di carne.
Castigo arrivò qualche minuto dopo,
atterrando sopra un albero che si piegò sotto il suo peso. Quando chiuse le ali
il vendo scompigliò i capelli di Elvin che borbottò: - Mi ci devo ancora
abituare! –
Murtagh levò un pezzo di carne e
Castigo lo ingoiò senza difficoltà: per lui quei pezzettini non erano niente.
Elvin si mise la coperta intorno
alle spalle e sospirò. La notte era fredda e quel giorno c’erano milioni stelle
in cielo. Il cielo sembrava esserne pieno. Da piccola si divertiva a guardare
le stelle con i suoi amici. Giocavano a chi vedeva più costellazioni, a chi
trovava più soggetti interessanti. “Quello è un leone” pensò, volgendo lo
sguardo a ovest.
Murtagh, intanto, la osservava.
Quella ragazza gli ricordava troppo sua madre. Una donna bellissima, priva di
qualsiasi preoccupazione. Amava sua madre, ma in parte la odiava, anche. Lo
aveva abbandonato, non voleva portarselo via. No, aveva salvato solo Eragon; e
ciò non gli piaceva! Perché Eragon si e lui no?! Erano così tanto differenti?!
Serrò la mascella e abbassò lo sguardo. Doveva cominciare a reprimere quei
sentimenti. Erano stupidi!
- Qual è la costellazione che ti
piace di più? – chiese ad un tratto Elvin, destandolo dai suoi pensieri. Lui
dovette ringraziarla mentalmente perché emise un sospiro di sollievo. – Cosa
intendi? – le chiese a sua volta.
Lei gli fece cenno di avvicinarsi e
lui obbedì, come un cane obbedisce al suo padrone. Lei gli mise una mano sulla
spalla e indicò il cielo. Un gruppo di stelle andava a formare un leone con due
teste e quattro code. Murtagh arricciò un sopracciglio: - Non vedo niente! –
sbuffò.
Elvin allora gli afferrò il viso e
se lo portò vicino al suo, sfiorandogli la guancia con la propria. Indicò
ancora il punto: - Adesso la vedi? È un leone…-
sorrise e lo guardò roteando gli occhi. Incontrò quelli di lui. Rimase a
fissarli fino a che Murtagh non mosse i suoi. I loro sguardi si incontrarono
per qualche istante poi Murtagh si allontanò.- Si, molto belle…-
mormorò avvicinandosi alle sue coperte, e allontanandosi da Elvin. Cosa diavolo
stava facendo?! Guardava costellazioni attaccato ad una ragazza? Arrossì
lievemente e nascose il suo volto sotto le coperte: - Stanotte tocca a te fare
la guardia. – disse prima di cominciare a far finta di dormire.
Elvin fissò la schiena del ragazzo
che si alzava e si abbassava ad ogni respiro, colpita. Si era allontanato con
una velocità incredibile. Sorrise. Sua madre aveva ragione: i maschi erano
davvero vigliacchi quando si trattava di amore! Arrossì e abbassò la testa.
Amore? Ma che stava pensando! Lei voleva solamente guardare le costellazioni!
Fargliele vedere! Chiacchierare! Che centrava l’amore adesso?! Sbuffò e si
coprì ancora un po’ con la coperta. Il freddo la stava congelando. Dopo qualche
secondo si sentì avvolgere da un calore immenso. Castigo gli si era accoccolato
vicino, per riscaldarla. – Grazie – gli disse accarezzandogli, sempre con un
po’ di timore, una zampa. Le squame erano dure, ma allo stesso tempo morbide e
lisce. Alla luce del fuoco le squame risplendevano di un rosso accesso, quasi
caldo e rassicurante. Aveva sempre odiato il rosso come colore, invece adesso
si ritrovava a contemplarlo con una nota di entusiasmo nelle vene.
Figurati.
Le disse il drago,
nella mente.
Elvin fece uno scatto e si rialzò in
piedi, sussultando. Guardò il drago con occhi spalancati e la bocca aperta in
un piccolo urlo strozzato. Cosa era successo? Aveva appena sentito una voce
nella sua testa. Eppure lei non aveva immaginato nulla! Non era la sua voce né
quella di qualunque persona avesse mai incontrato! “Che succede?!” si disse
dentro di sé.
Tranquilla,
sono io che ti parlo, sono Castigo. La
sua voce rimbombava nella mente della ragazza forte e possente, anche se c’era
un pizzico di giovinezza e tristezza. Sembrava come se quel drago fosse stato
cresciuto più in fretta, con una sorta di qualche incantesimo.
Riesci
a sentire i miei pensieri? Chiese
al drago attraverso la sua mente.
Così
sembra. Rispose il
drago con tono austero. Di solito per un
drago giovane come me è difficile riuscire a penetrare nella mente di una
persona che non è il mio cavaliere. Ma con te è stato più facile del previsto.
Vuol
dire che non sono abbastanza forte da resisterti?! Incrociò le braccia e alzò un
sopracciglio in segno di sfida.
Castigo emise un borbottio che
sembrava una risatina sommessa. Più o
meno.
Ah
grazie! Sbuffò
Elvin, rimettendosi a sedere tra le zampe del drago rosso. Poi chiese. Quindi è così che comunichi con Murtagh?
Attraverso la mente?
Si.
Ecco
perché a volte Murtagh non mi risponde subito e ti guarda. Parla con te giusto?
Si.
E
io che pensavo fosse sordo o scemo! Rise
insieme al drago.
Ho
visto che hai avuto paura di me la prima volta. Continuò la conversazione Castigo.
Già.
Ammise Elvin. Purtroppo non avevo mai incontrato un drago
prima d’ora e quindi mi sono spaventata. Spero tu possa perdonarmi.
Tranquilla,
ci sono abituato. Sai, mi succede spesso.
Davvero?
Castigo annuì.
Mi
dispiace. Elvin
abbassò la testa, poi lo ritirò su di scatto. Perché da chi altro ti sei fatto vedere?! Murtagh mi aveva detto che
non ti eri mai fatto vedere da nessuno perché non voleva che Galbatorix vi
trovasse! Dico bene?
Ops. Castigo serrò la mascella.
Elvin si alzò e guardò storto il
drago. Cosa mi nascondi?
Niente.
Intendevo per gli animali. Sai, quando caccio…Ingoiò un po’ di saliva. E mosse le
ali.
La ragazza mise le mani sui fianchi.
Ma non disse nulla. Rimasero in silenzio per tutto il resto della notte, almeno
fin quando Murtagh si svegliò e prese il suo posto.
Elvin si alzò e gli gettò la coperta
addosso. Murtagh trasalì: - Che succede?! – urlò.
- Mi hai detto una bugia! – rispose
a tono la mora, incrociando le braccia.
- Che bugia?! – domandò Murtagh,
allargando le braccia.
Lei non rispose e raccolse la sua
roba. Si mise lo zaino in spalla e cominciò a camminare lungo il ruscello,
dirigendosi verso il fiume Ninor.Murtagh la guardò allontanarsi poi rivolgendosi a Castigo. Che le hai fatto?
Io
niente!
Abbassò un sopracciglio. Cosa le hai detto?
Uff.
mi è scappato!
Cosa
le hai detto?! Continuò
Murtagh con voce più alta.
Castigo abbassò la testa e toccò la
fronte di Murtagh. Ricordi del discorso avuto con la ragazza gli si stamparono
in mente, mentre quella si allontanava velocemente.
Ringraziamenti:
stefy_81:
ecco a te il quarto
capitolo xD. Sono contenta che la parte dei ricordi
di Elvin ti sia piaciuta, pensa che mentre scrivevo vedevo tutto. grazie graziexD
veri_lupi: sono ultra contenta che ogni giorno
guardavi se avevo recensito! Davvero sono molto contenta!! ^_^…comuqnue ti
capisco bene cara anche io adoro Murtagh con tutta me stessa!! Baci!
Martyx1988:
grazie cara xD.
Recensire non fa male a nessuno e fa felici gli
scrittori.
Correva, le sue gambe non sentivano
la stanchezza ormai da quasi due ore. Paura, ecco cosa si sentiva dentro
adesso. Era stata presa in giro, e lei ci era cascata come una sciocca.
Corse per ancora qualche minuto poi
si fermò vicino ad un fiume. Non aveva la minima idea di dove si trovasse e ciò
la mise ancora di più in ansia. Se Murtagh avesse voluto raggiungerla l’avrebbe
fatto senza tropi problemi, e lei non aveva intenzione di tornare a viaggiare
con lui.
Si mise a sedere su un masso che
costeggiava il fiume. Il vento soffiava verso nord, probabilmente proveniente
dai Monti Beor. E lei era diretta là.
Si guardò intorno. Alberi di
ciliegio costeggiavano il torrente, il quale creava piccoli laghetti a seconda
di dove andava a finire. Accanto a lei si ergeva una quercia, altra più o meno
5 piedi. Vi si appoggiò e chiuse gli occhi, cercando di non pensare a niente.
Solo adesso si rendeva conto dello sforzo che aveva fatto correndo
ininterrottamente per due ore filare, e resto. Si toccò le gambe indolenzite. I
muscoli sembrava gracchiassero sotto il leggero strato di pelle che aveva. Era
sempre stata una ragazza magra, dalla poca forza. Nei combattimenti con i suoi
compagni di giochi perdeva sempre, e le toccava fare la penitenza ogni volta.
Rise a quei ricordi. Ogni tanto riaffioravano come riaffiorava il ricordo del
suo vecchio maestro, colui che l’aveva scoperta nel fango e tirata su come una
vera e propria figlia. Lei gli era grata ma non era mai riuscita ad amarlo come
si amano i genitori, e si era sempre detta che forse era normale dato che lui
non lo era. Sentì una morsa al cuore e dovette sforzarsi per non pensarci più.
Riaprì gli occhi, concentrandosi su
uno scoiattolo su un ramo della quercia. Stava sbocciando una noce e Elvin si
meravigliò di come ci riuscì pochi attimi dopo. Non aveva usato nessun martello
o attrezzo, come facevamo solitamente gli umani; no, lui aveva usato solamente
la forza dei denti. Sorrise. Le sarebbe piaciuto essere uno scoiattolo; non
avere problemi per tutta la vita, vivere per sempre in pace. Sospirò e
riappoggiò la schiena all’albero.
Tirò fuori dallo zaino un pezzo di
pane che si mise in bocca. Adesso arrivava il problema che era punto e
d’accapo. Adesso doveva arrivare ai Varden da sola, e per lei non era alquanto
facile orientarsi in Alagaesia.
Si rialzò e si rimise lo zaino in
spalla. Doveva lasciare più leghe possibile tra lei e Murtagh, almeno da
costringerlo a faticare un po’ per cercarla.Si guardò intorno ancora una volta per decidere la strada da seguire.
Secondo ciò che ricordava delle lezioni di geografia che il maestro le aveva
fatto quello accanto a lei doveva essere il fiume Ninor. E dietro di sé doveva
trovarsi Daret, quindi avrebbe dovuto dirigersi a ovest per poi raggiungere un
altro versante del fiume, vicino a Gil’ead. Non era
molto sicuro passare per quella città ma lei non aveva idea di che altra strada
poter prendere senza perdersi.
Prese un grosso respiro e si mise in
marcia. Le dolevano ancora le gambe ma la cosa non le importava. Prima avrebbe
raggiunto i Varden e prima avrebbe potuto rilassarsi.
Seguì il fiume per un po’ poi prese
un sentiero verso ovest, costeggiato da palizzate in legno. Probabilmente era
una strada che prendevano in molto e Elvin si ritrovò a sperare che portasse
direttamente a Gil’ead. In città avrebbe potuto
comprare un cavallo e qualche provvista, i soldi certo non le mancavano.
Continuò a camminare finché non
avvistò da lontano un gruppo di soldati, l’insegna di Galbatorix ricamata sul
petto. Si accucciò dietro un masso e attese. Erano diretti verso di lei,
probabilmente a Daret, oppure a Yazuac.
Non aveva intenzione di farsi
scoprire quindi attese. Passò qualche minuto prima che i soldati scomparissero
dalla sua vista. Ciò l’aveva rallentata, e adesso Murtagh poteva essere più
vicino di quanto pensasse.
D’un tratto sentì delle voci dietro
di lei. Si voltò di scatto, la mano sopra l’elsa del pugnale. Era pronta a
qualsiasi evenienza e per questo ringraziò il suo maestro che le aveva insegnato
anche l’arte del combattere.
Il cuore cominciò a batterle a mille
e sentì vari brividi correrle per tutto il corpo. Rimase col fiato sospeso per
vari istanti quando una mano l’afferrò per la spalla. Elvin cercò di
divincolarsi, scalciando in avanti e indietro. Sfoderò il coltello e sentì del
calore inondarle la guancia sinistra, seguito da un leggero lamento. Dopo pochi
attimi fu libera e si diede la briga di voltarsi a guardare. A terra, senza
vita, si trovava un uomo più o meno sulla mezza età, il volto coperto da un
velo blu. Sul petto era ricamata una saetta rossa, simbolo di Galbatorix. Elvin
fece un passo indietro. La gola dell’uomo era completamente sporca di sangue,
il quale sgorgava senza fermarsi. Anche la casacca adesso era completamente sporca
di sangue.
Elvin guardò il pugnale che teneva
in mano: era rosso. Si toccò la guancia e sentì che era bagnata: era sangue.
Indietreggiò ancora, inorridita da ciò che aveva fatto. Altri passi e voci la
fecero trasalire e il petto smise di alzarsi ed abbassarsi per qualche istante.
Aveva davvero ucciso un uomo? Ma l’aveva fatto per legittima difesa giusto? Si
toccò la fronte: completamente medita di sudore.
Si accucciò a terra, la pancia
completamente attaccata al terreno. Due uomini si avvicinarono furtivi e una
volta avvistato il compagno a terra corsero verso di lui, le spade sguainate.
Elvin trattenne il respiro, frenando
l’agitazione che aveva in corpo. Qualcosa in lei le suggeriva di scappare, di
mettersi in salvo, ma le gambe non si muovevano, e il corpo sembrava non
volerle obbedire.
Uno dei soldati toccò il petto dell’uomo a
terra e scosse la testa, rivolto al compagno. Questi rinfoderò la spada e
disse: - Andiamo…probabilmente è stato un animale…- si allontanarono di poco quando un serpente strisciò
verso Elvin. Questa si smosse e le guardie la scoprirono.
Elvin si alzò di scatto e cominciò a
correre dalla parte opposta, uscendo allo scoperto. Il cielo azzurro
troneggiava sopra la sua testa e il vento le faceva andare i capelli sul viso.
A tratti non vedeva niente e per un pelo non cadde a terra. Il vestito verde si
confondeva con il verde del prato e per fortuna non era lungo come quando lo
aveva comprato, altrimenti sarebbe stato un vero impiccio.Sentì dietro di lei i due soldati avvicinarsi
sempre di più. In quando forza fisica avrebbero sicuramente vinto loro, ma per
quanto riguardava l’agilità lei era avvantaggiata.
Si voltò a guardare quanto distavano
da lei e un groppo in gola le fece mancare il fiato. Erano vicinissimi. Le
gambe cominciarono a fremere per la stanchezza e la testa cominciò a girargli
vorticosamente. Ingoiò la saliva e si fece forza. Non sapeva per quanto avrebbe
potuto andare avanti così ma contro due soldati del re non c’era storia. Si
maledisse per aver lasciato Murtagh. Con lui sarebbe stata al sicuro, al
diavolo le bugie! A lei importava solamente raggiungere i Varden no? E
raggiungerli viva!
Il pugnale nella mano sudata
cominciò a scivolarle e fu costretta a rimetterlo nel fodero, mentre lo zaino
le impediva di andare più veloce. Se fosse stata un elfo avrebbe potuto
seminarli senza difficoltà, e invece era una donna. Aveva sempre odiato essere
un esemplare femmina, e spesso si vestiva da maschio per nascondere le forme, e
quali forme! Avesse avuto qualcosa!
Inciampò in un masso e cadde. Si
sbucciò le ginocchia e sentì il polso fare crack.
“Ti prego no!” pensò osservandolo. Era proprio così: gli si era rotto il polso.
Guardò indietro: i soldati erano
vicinissimi. Per lei era la fine. Avevano una marea di scelte per lei: poteva
essere portata da Galbatorix, poteva essere molestata su due piedi, oppure
essere uccisa. Tra le tre ipotesi che le si stamparono in mentre preferì la
terza, quella meno dolorosa.
Sapeva che i cavalieri per
comunicare con i propri draghi usavano la mente. E così fece. Provò ad aprire
la propria mente in cerca di quella di Murtagh o Castigo ma non riuscì nella
sua impresa.
Il maestro le aveva accennato una
volta che gli avrebbe insegnato come fare ma era morto prima, e lei non aveva
fatto pratica.
Una lacrima le scese lungo la
guancia macchiata di sangue, lasciando una riga di pelle più chiara.
I due soldati le furono sopra e uno
l’afferrò per le spalle. Lei urlò e cominciò a scalciare. L’altro l’afferrò per
il polso e una fitta di dolore la trapassò per tutto il corpo, da parte a
parte. Chiuse gli occhi e si morse le labbra, che cominciarono a sanguinare.
Chiamò più forte il nome Murtagh ma
non ricevette risposta. Era davvero la fine? Sul serio non sarebbe riuscita a
raggiungere i Varden e a vendicarsi?
Si lasciò andare e i due soldati le
legarono i polsi. Un’altra ondata di dolore la invase. “Ma fate attenzione!”
imprecò.
Uno dei due soldati le si piantò
davanti, sorridente. Poi disse: - Ma guarda guarda
che bella giovane ragazza che abbaiamo qui! – rise insieme al compagno poi
continuò: - Rispondi bellezza…sei stata tu ad
uccidere il nostro compagno? – sogghignò.
Elvin gli sputò in un occhio, per
poi ricevere uno schiaffo che le fece vibrare il polso, seguito da un’altra
fitta di dolore.
- Non ci riprovare! – il soldato che
era accucciato le puntò un dito contro poi si alzò.
- Che facciamo? – chiese l’altro. A
differenza del primo questo era meno esperto, lo si vedeva bene. Era biondo con
un ciuffo che gli ricadeva sull’occhio, il resto dei capelli raccolto in una
coda folta. Era piccolo e magro e aveva le gambe storte. Ma di viso non era
brutto.
Orribile era il primo invece. Era
enorme e le braccia gli ricadevano sul corpo come due mazze da pasteggio. Al fianco
portava un ascia lunga mezzo metro, mentre l’elmo era attaccato alla cintura.
Aveva un naso aquilino che gli faceva assumere un’aria da venditore ambulante,
mentre gli occhi erano contornati da un rigo nero, che faceva trasparire le
enormi occhiaie che aveva sotto di essi. Era completamente pelato. Rispose al
compagno: - La portiamo al campo…poi sarà il capo a scegliere…- detto questo l’afferrò sotto le ascelle per poi
caricarsela come un sacco su di una spalla.
Elvin cominciò a scalciare ma niente
riusciva a smuovere quel colosso che la sorreggeva. Si rassegnò e chiuse gli
occhi, mentre lacrime calde cadevano a terra con un leggero movimento
dell’erba.
Era da tanto tempo che Eragon non
andava in quel luogo, precisamente da quando si era messo in viaggio con
Murtagh. Quel giorno, invece, Nasuada gli aveva lasciato un giorno di riposo e
lui ne aveva approfittato per andare a trovare Brom.
Saphira era accanto a lui, guardava
il cristallo, la sua opera. La sua tomba per Brom. Avevano passato molto tempo
insieme e adesso che erano tornati lì si sentì stringere il cuore. Solitamente
non si affezionava facilmente ad una persona, se non al proprio cavaliere, ma
in quel momento si accorse che anche per lei Brom era stata una persona
speciale. E vederlo disteso inerte la fece rabbrividire.
Eragon non sembrava turbato, era
solamente triste. In quel momento nella sua mente c’era soltanto il vuoto più
totale, coperto da un velo di nostalgia.
Si rigirò un pezzo di stoffa tra le
mani. Quel pezzo di stoffa che aveva strappato dalla casacca di Brom prima che
egli morì. Tirò su col naso e Saphira si voltò verso di lui.
Ti
manca? Chiese
Tanto…
Manca
tanto anche a me…ma è morto con onore.
Lo
so, ma non doveva morire…
Non
possiamo interrompere il ciclo che un uomo compie nella sua vita. E questo
comprende anche la morte. E non possiamo nemmeno arrabbiarci con noi stessi. I
Ra’zac erano più forti di noi…
Potevamo
sconfiggerli però…
No.
Non potevamo. E lo sai bene.
Eragon strinse i pugni. Saphira
aveva ragione. Non erano in grado, almeno fino a quel momento, di competere
contro quei mostri orrendi e le loro cavalcature, che Brom aveva detto essere i
loro genitori. Si sentì una nullità. Forse se fosse stato un po’ più coraggioso
sarebbe riuscito a salvarlo.
Invece era stato Murtagh a salvare
loro, e questo da una parte gli faceva rabbia. Dopo lo scontro nelle Pianure
Ardenti gli aveva rivelato cose che non avrebbe voluto sentire e aveva perso
anche Za’roc, il regalo da parte di Brom. E aver
scoperto di essere figlio di Morzan, il traditore, di certo non lo aiutava ad
essere più felice.
Ringraziò Saphira che lo distrasse
dai suoi pensieri.
Non
essere triste piccolo mio. Abbiamo aiutato molti Varden nelle scorse battaglie.
Disse la dragonessa
per alleviare il suo dolore. Ma nel profondo anche lei soffriva.
Lo
so, ma ne è morta anche molta.
Non
possiamo salvare ogni singola persona di questo mondo Eragon. Non ne siamo in
grado. Nemmeno se fossimo più potenti di Galbatorix.
Vorrei
riuscirci però.
Lo
so.
Rimasero con lo sguardo fisso sulla
tomba di Brom per un po’, poi Eragon si avvicinò e la sfiorò con una mano. Il
cristallo divenne pian piano azzurro, con dei fiori rifiniti sopra d’oro.
“Per adesso non posso fare di più,
Brom. Ma posso tornare ogni volta per far si di rendere la tua toba perfetta.”
Saphira gli toccò la spalla col
muso. Brom sarebbe fiero di te, Eragon. Gli
occhi della dragonessa si illuminarono e Eragon capì che stava sorridendo.
Ricambiò il sorriso.
Torniamo
da Nasuada? Le
chiese.
Saphira annuì e si accucciò per
permettere ad Eragon di salirle in groppa.
Una volta sopra Eragon strinse le
cinghie che gli legavano i polpacci e disse: Puoi andare.
D’accordo.
Veloce?
Veloce.
La dragonessa dispiegò le ali e
balzò in avanti, salutando Brom con la coda. Il vento prese in faccia Eragon
che si appiattì sul dorso di Saphira, reggendosi ad una delle spine del collo.
Adorava volare con Saphira,
soprattutto perché nessuno poteva andare a disturbarlo; se non qualche uccello
rapace che era tanto stupido da avvicinarsi a Saphira.
Le accarezzò le squame del collo. Ti ricordi la prima volta? Le chiese.
Quella
volta in cui sei stato una schiappa? Lo
punzecchiò lei con una torsione del collo.
Eragon dovette attaccarsi con più
forza al suo collo. Si. Borbottò.
Certo
che me lo ricordo! Come scordarlo! Rise
mentre virava verso Sud.
Quella
volta è stata la prima in cui Brom mi disse che ero un incapace!
Già,
e questo ti ferì molto.
Più
che altro pensavo fosse andata bene. Ma tu mi hai difeso.
Ovvio.
Mica posso lasciare che un Cavaliere dei Draghi venga preso in giro a questo
modo no?
Eragon rise e guardò sotto di lui.
Il paesaggio era bellissimo. Sotto di lui il terreno viaggiava ad una velocità
impressionante e gli animali correvano impauriti al passaggio di Saphira. Con
l’aiuto dell’antica lingua usò gli occhi della dragonessa e in lontananza
scorse un accampamento. Erano dei soldati del re.
Sbuffò. Non aveva voglia di mettersi
a combattere e fece finta di nulla, quando Saphira virò verso i soldati disse:
- Che stai facendo? – la dragonessa non rispose. Allora provò mentalmente. Che stai facendo?!
Li
attacco.
Perché?
Come
perché sono nemici!
Lo
so ma siamo in territorio nemico e poi non sono una minaccia!
Si
ma…le parole gli morirono in bocca. Aveva
ragione. E si sentiva uno stupido ad aver detto una cosa del genere.
D’accordo
ma facciamo attenzione!
Sicuro!
Saphira scese in
picchiata sputando una fiammata sui carri dei soldati.
Questi si alzarono di corsa
sguainando le spade. La dragonessa ne afferrò uno per il collo e lo scaraventò
via con un ringhio.
Eragon scese dal dorso della
dragonessa e, sfoderando la spada, squarciò a metà un soldato. Quello cadde a
terra, morto. Passò ad un secondo facendo roteare la spada sopra di sé e,
colpendolo al petto con una gomitata, gli lacerò il petto. Un terzo soldato gli
arrivò da dietro ma Eragon fu abbastanza svelto da parare il colpo che gli
avrebbe rotto il cranio. Provò un fendente laterale ma il soldato era
abbastanza in gamba da poterglielo parare. Allora provò a colpirlo roteando la
spada verso destra ma anche questo attacco non riuscì. Sbuffò e si spinse in
avanti cercando di far cadere a terra il soldato. Ma l’uomo era molto più robusto
di lui. Le braccia possenti reggevano un’ascia lunga mezzo metro, che
controllava senza un briciolo di fatica.
Eragon parò a fatica un colpo del
soldato, sentendo il braccio vibrare. Fece un salto indietro per battere la schiena
contro un albero. Vide il soldato sopra di lui sghignazzare per poi accasciarsi
a terra. Saphira lo aveva trapassato con una zampa. Eragon trasse un sospiro di
sollievo e, rinfoderando la spada, guardò ciò che avevano appena compiuto: una
strage. Qualcosa in lui si mosse a compassione per quei soldati, quando una
voce lo fece riavere. Si voltò e vide una ragazza castana poggiata ad un
albero, le mani legate e la bocca tappata.
Lei si avvicinò e questa si mosse.
Eragon si fermò a guardarla poi rivolto a Saphira disse: chi è?
Che
vuoi che ne sappia!? Sbuffò
la dragonessa.
Eragon tornò a guardare la ragazza e
le tolse il bavaglio. Quella gli urlò contro ed Eragon fu costretto a
tappargliela nuovamente con la mano.
- Ehi calma! – disse Eragon
slegandole le mani. Quella gridò per il dolore e Eragon si accorse della mano
ferita – Mi dispiace – disse aiutandola ad alzarsi.
Era messa male, ma per fortuna non
l’avevano toccata: era arrivato in tempo. La ragazza stava in piedi a malapena
e i capelli sudati le si attaccavano al corpo in maniera incredibile. No, forse
l’avevano toccata.
- Stai bene? – chiese sorreggendola.
No che non stava bene che gli veniva in mente?
La ragazza scosse la testa e cadde
inerte fra le braccia di Eragon. Quello la sorresse e si mise a sedere. Vedi perché non volevo attaccarli?
Se
non li avessimo distrutti a quest’ora questa ragazza sarebbe morta.
Lo
so ma…
Niente
ma piccolo mio…horaione io
mi dispiace…disse sbuffando la dragonessa.
Ecco a voi il capitolo xD.
Ringraziamenti:
veri_lupi: baci anche a te mia sorella Murtagghosa!! ^_^…sono contenta che ti piaccia…comunque
per il Murtagh alla sua ricerca più o meno, come vedi xD…
Martyx1988:
ihih…carino vero? Sono contenta che ti piaccia
continua a seguirmi!!!! xD baci!
Stefy_81:
ihih…per il Galbatorix grazie cara! Per la “figura”
si, è una donna, e poi vedrai chi è xD. Per il Varden
invece non posso dirti niente. Sorry U//U…ahah! Visto? Possiamo dire che Castigo è proprio imbranato
^_^…no poverino dai!!! Un attrazione è?...MMMmmm…ihih…leggi
vai…^_^
Alla prossima ciao!!!
Recensire non costa nulla e fa felici gli scrittori
Una miriade di stelle le vorticavano
attorno, rendendola ceca e sorda ad ogni altra cosa la circondava. Sentiva il
calore di un corpo addosso al suo ma non riusciva a capire perfettamente chi
fosse e cosa volesse. Inoltre del vento tiepido le scompigliava i capelli e un
sorriso le si affiorò sulle labbra quando un sospiro le riscaldò il collo. I
suoi pensieri vagarono per tutta Alagaesia, incontrando la presenza di un
animale magnifico e leggendario. Le parve di averlo già incontrato. Viaggiò dal
fiume Jiet fino alla Grande Dorsale per poi finire nel Surda. Tutto le pareva
così splendido e feliceche poteva
benissimo essere morta. Già, morta. L’ultima cosa che ricordava era di essere
stata catturata per poi essere portata ad un accampamento dei soldati del re.
Eppure tutto ciò era così sfuocato e veloce. Così difficile da ricordare che le
sembrava mancasse qualcosa, un passaggio importante. Qualcosa traballò e lei
sentì una fitta al polso. Questo la rianimò. Aprì gli occhi e si ritrovò ad
almeno 40 metri da terra. Trasalì e si mosse, rischiando di cadere. Un braccio
la tenne ben stretta.
Elvin tirò un sospiro di sollievo:
Murtagh era venuto a salvarla. Poi dette uno sguardo al drago. Non era rosso,
bensì azzurro. Le sue squame rilucevano alla luce del sole e i ciuffi sulla
testa ondeggiavano al soffio del vento. Le ali del drago invece battevano
freneticamente. Provò a mettersi seduta per bene ma il dolore la fece ricadere
sul corpo della bestia.
Eragon la strinse a sé e disse a
Saphira di atterrare. Sarebbero arrivati più tardi da Nasuada ma poi era sicuro
che non si sarebbe arrabbiata dato che la causa del ritardo era una buona
scusa. Odiava vedere Nasuada arrabbiata, in quello gli ricordava troppo suo
padre.
La dragonessa sterzò di lato per poi
scendere in picchiata. Si rimise orizzontale appena in tempo. Le zampe
fremettero quando toccarono terra ed Eragon e Elvin sobbalzarono, facendo
uscire un leggero lamento dalla bocca della ragazza.
Eragon scese e fece altrettanto con
la ragazza. Era stanca ma sul suo viso sembrava essere tornato il buon umore.
La fece sdraiare a terra e poi le
prese con delicatezza il polso. Non era bravo a fare certe cose ma provò lo
stesso a fermarglielo con un bastoncino. Avrebbe potuto curarglielo con la
magia ma in quel momento non si sentiva abbastanza bene per farlo e la sua
testa vagava oltre; poteva sbagliare qualche parola e fare peggio.
Elvin aprì gli occhi. Davanti a sé
si trovava un ragazzo biondo, gli occhi castani e una bocca carnosa. Alle sue
spalle un drago azzurro si puliva le squame. Si mosse leggermente. – D…dove sono?...- chiese toccandosi la fronte. Si sentiva
terribilmente stanca.
- Tranquilla…adesso
sei al sicuro…- rispose Eragon. Quella ragazza aveva
un viso così dolce e delicato.
Eragon?!
Saphira si insinuò
nei suoi pensieri.
Si?
Chiese il cavaliere
continuando a guardare la ragazza.
Non
ci pensare nemmeno!
A
cosa?!
La dragonessa sbuffò e si allontanò,
lasciandolo solo nei suoi pensieri.
Elvin provò a mettersi a sedere. –
Cosa è successo? – chiese.
Eragon si rilassò: - Ti hanno
catturata. Non so cosa ti abbiano fatto ma hanno pagato con la vita il loro
affronto, tranquilla. – sforzò un sorriso.
La ragazza ne abbozzò un altro,
toccandosi il polso ferito. Poi porse l’altra mano: - Piacere Elvin…- sorrise.
Eragon gliela strinse: - Eragon….- si morse il labbro inferiore. Non doveva dire il
suo vero nome! Quella poteva benissimo essere una spia di Galbatorix! Cosa
diavolo gli era saltato in mente?! Che stupido.
Abbassò la testa. Stupido.
Già.
Gli rispose
Saphira.
Eragon lanciò un’occhiataccia alla
dragonessa, che rispose con uno sbuffo di fumo. Ho detto solo cosa pensavo.
La
prossima volta risparmiatelo.
D’accordo…anzino…adoro stuzzicarti
piccolo mio.
Eragon no rispose e si rivolse alla
ragazza: - Cosa ci facevi tutta sola? –
Quella scosse le spalle: - Crecavo…- si interruppe e guardò il drago azzurro: - Sei
anche tu un cavaliere dei draghi? – chiese socchiudendo gli occhi per la luce
del sole.
Eragon annuì. Poi chiese: - In che
senso “anche tu”? hai già conosciuto qualcun altro? –
Elvin stava per rispondere quando si
ricordò che Murtagh non aveva intenzione di far sapere a qualcuno che lui era
un cavaliere, quindi se ne stette zitta. Per un attimo aveva anche sperato che
fosse Murtagh ad averla salvata. Una speranza caduta in pezzi. Qualcosa dentro
di lei si mosse. Quel ragazzo l’aveva affascinata da primo momento che lo aveva
visto, e adesso si ritrovava ancora una volta a rimpiangere di averlo lasciato.
Ritrasse una lacrima. Poi scosse la testa alla domanda di Eragon, il quale
parve parecchio dubbioso.
Poi il biondo disse:- Lei è Saphira – indicò la dragonessa – Il
mio drago…attentaperò…è
parecchio suscettibile..- sorrise fra sé squadrando la dragonessa che sbuffò.
Elvin si alzò lentamente, aiutata da
Eragon. Si sentiva talmente debole. Davvero aveva bisogno dell’aiuto di un perfetto….già…anche la volta prima aveva avuto bisogno di
uno sconosciuto…che poi si era ritrovata ad amare. Già,
forse era quello il sentimento che provava in quel momento verso il cavaliere
nero.
Si avvicinò e provò a toccare il
muso di Saphira. La dragonessa si ritrasse al primo contatto, poi si avvicinò
cauta. Era più grande di Castigo. Pensò Elvin e un sorriso le comparve sul
volto. Ed anche più bella, più elegante. Probabilmente perché era una femmina.
Piacere
dolce donzella, io sono Saphira, anche detta Squame di luce.
Elvin conosceva bene quel contatto.
L’aveva provato con Castigo. Quindi rispose, cordialmente, come le aveva
insegnato il suo maestro. Io sono Elvin
squame di luce. Piacere mio di conoscere un animale così antico, prestigioso, e
magnifico come te.
Saphira fece un gesto di
superiorità, poi rivolta a Eragon. È
brava la ragazza. Mi piace.
A
te piaci solamente te, Saphira. Scherzò
Eragon sorridendo alla dragonessa. Lo stesso fece Elvin.
La ragazza si guardò il polso
fasciato poi disse: - Grazie Eragon. Se non fosse stato per te sarei ancora fra
le grinfie di quei soldati..- si sentiva davvero in debito con quel ragazzo.
Grazie a lui adesso era di nuovo libera…ma
soprattutto salva e viva.
Eragon scosse le spalle, lusingato
da quel ringraziamento. – Ho fatto solo il mio dovere – rispose grattandosi la
testa. Una mano Saphira?
Cosa?
Non te la sai cavare da solo? Lo
stuzzicò ancora la dragonessa.
Preferisco
combattere contro Murtagh per tutta la vita.
Io
non credo. Gli
rispose a tono sollevando la testa minuta.
Eragon tornò a guardare la ragazza
che adesso osservava il panorama. Poi disse: - Non mi hai risposto prima, cosa
ci facevi tutta sola? –
Elvin lo guardò negli occhi, poi
osservò Saphira. Probabilmente erano dalla parte dei Varden, dato che qualcuno
conGalbatorix non avrebbe massacrato i
propri amici. Almeno così pensava. In effetti a lei Galbatorix poteva anche
sembrare tanto pazzo da far uccidere i suoi soldati solamente perché deboli o
inutili. Ma decise comunque di rischiare, al massimo si sarebbe ritrovata
nuovamente con i soldati del re. – Cerco i Varden – rispose – Tu sei con loro
vero? – cercò il pugnale, ma non lo trovò. “Accidenti!” pensò.
Eragon non rispose subito. Dentro di
lui si mescolavano decisioni su decisioni, paure su sicurezze, terrore su
trepidazione. Poi alzò il mento e rispose: - Si…posso
fidarmi? – le chiese. Che domanda sciocca, pensò.
Elvin annuì, sorridendo appena: - Mi
hai salvato la vita, anche per principio non potrei tradirti giusto? – rise e
sul viso gli si stampò un’aria così serena che Eragon ne rimase incantato.
Anche sotto tutto lo sporco di terra e sudore era comunque bellissima. Cacciò
indietro quei pensieri. Per lui doveva esserci semplicemente Arya.
On
è furbo sai? Gli
disse Saphira insinuandosi dentro la sua mente. Arya ti ha respinto…e magari non ti vorrà mai…
Grazie
per la fiducia, Saphira!
Figurati.
Rispose lei
leccandosi un ala.
Eragon tornò a parlare a Elvin: - Giusto…- riuscì solo a dire. In effetti aveva ragione.
Passarono la notte a raccontarsi
della loro vita e di cosa gli piacevano fare. Ovviamente Eragon non raccontò di
Morzan né di Murtagh, sicuro che la ragazza si sarebbe spaventata. E poi non ne
andava molto fiero, anzi! Ciò gli dava noia. Odiava pensare che era figlio e
fratello di due traditori. L’unica persona che poteva amare ancora per bene era
sua madre.
Dopo qualche ora Elvin si addormentò
e Eragon rimase solo con Saphira. La dragonessa era intenta a levarsi un osso
di una mucca dai denti, mentre Eragon ad osservare il petto della ragazza che
si alzava e si abbassava. Seguì il contorno del suo corpo per poi tornare al
viso. Se pur con gli occhi bendati l’aveva aiutata a lavarsi e a pulirsi, e
adesso addosso le aveva messo il mantello che si era portato dietro in caso
facesse freddo. Era corto e le gambe le rimanevano completamente scoperte,
mostrando i muscoli ben lavorati che aveva.
Eragon sorrise, pensando che
assomigliava molto ad Arya. Anche lei aveva muscoli degni di una vera
combattente e quando rideva sembrava un angelo. Solo i lineamenti del viso
erano più dolci di quelli di Arya; e pazienza, le orecchie. Si guardò le mani.
Il Gedwey ignasia riluceva al fioco bagliore che le fiamme creavano attorno a
loro. da quando era diventato cavaliere tutta la sua vita era cambiata. Si era
smosso qualcosa in quel ciclo monotono della sua vita. Arare i campi non era
più il suo lavoro, adesso doveva proteggere tutta Alagaesia, e ciò non era
facile. Sospirò. Qualcosa in lui voleva, però, tornare a quella monotonia, a
quella tranquillità. Se fosse rimasto tutto com’era prima forse però Katrina e
Roran non avrebbero potuto stare insieme. In effetti Sloan non l’avrebbe
permesso. Un po’ gli dispiaceva di aver mentito sia a Roran sia a Katrina sul
conto di Sloan, da un’altra era contento di averlo allontanato da loro due.
Anche se a Katrina era dispiaciuto che fosse morto.
Si riscosse da quei pensieri e
guardò Saphira, che si era messa a fissarlo. L’aveva sempre sentita nei suoi
pensieri ma non aveva fatto nulla per cacciarla. Per lui lei era parte
integrante del suo corpo. Come una doppia anima. Sono penoso vero? Le disse.
Saphira scosse la testa. Non posso capirti fino in fondo Eragon, dato
che non provo molto verso tu cugino Roran e la sua ragazza, ma posso dirti che
secondo me hai fatto la scelta giusta. Se Sloan fosse rimasto fra noi
sicuramente Katrina e Roran sarebbero stati più infelici. Certo potevi dirmelo
così potevo mangiarmelo io! Scherzò infine muovendo il collo lungo e
facendo ondeggiare i ciuffi che aveva sulla testa. Ma sono felice della scelta che hai fatto, piccolo mio.
Eragon sorrise. Amava la sua
dragonessa più di ogni altra cosa. Si domandò se anche per gli altri cavalieri
era la stessa cosa, infine un dubbio lo assalì. E chiese a Saphira: Secondo te Castigo è come il drago di
Galbatorix o come te?
La dragonessa parve rifletterci su
qualche instante, poi rispose. Non lo so,
sinceramente, ma spero per Castigo…e per Murtagh, che
siano come noi. Non deve essere facile convivere con qualcuno che non si è
scelto, soprattutto per noi draghi. Immagino la sofferenza di Shruikan. Non
deve essere bello ciò che prova. Soprattutto stare con Galbatorix.
Eragon abbozzò ad un sorriso. Già. Sospirò e si distese, preparandosi
per la notte. Vegli tu su di noi Saphira?
La dragonessa annuì e Eragon venne a
poco avvolto dalle tenere ombre della notte e dei sogni.
Ringraziamenti per questo capitolo:
Martyx1988:
grazie cara!! E si
Eragon arriva sempre al momento giusto ^_^
Veri_lupi: ihih..susu…sai
quante case mi becco io in testa quando penso una cosa su una storia e poi
cambia tutto!! ihih…spesso al posto delle case però
ci sono solo dei pali della luce ad aspettarmi xD…grazie!!
Baci!
Stefy_81:
eheh! Scrivi sempre tanto è? ^_^ mi fa felice…all: si, Elvin mi piace molto perché ha coraggio e
un bel caratterino, almeno per come la vedo io, e siccome mi hai detto che la
rendo bene sono davvero felice ^_^. Riguardo a Eragon e Saphira io li adoro
insieme e adoro anche il loro legame!! Comunque grazie ciao!!!
Recensire non costa nulla e fa felici gli scrittori
Quando Elvin aprì gli occhi la luce
del sole quasi non l’accecò e il dolore al polso la fece mugolare. Si mise a
sedere e vide Eragon intento a sellare Saphira. Ciò gli riportò alla mente
Murtagh, quando la invitò a salire su Castigo. Un groppo le si creò in gola e
quasi non soffocò. Si alzò e si diresse verso Eragon. I l biondo si voltò e le
sorrise: - Ti ho preparato la colazione – le disse e indicò del cibo accanto al
fuoco che aveva spento.
Elvin ringraziò con un gesto del
capo e si sedette a mangiare. Le aveva preparato del formaggio e qualche pezzo
di pane, perfetto per una colazione. Mangiò senza fiatare e, dopo aver finito,
si alzò e si pulì il mantello: era davvero troppo corto.
- Hai qualcos’altro da farmi
indossare? – chiese arrossendo. In effetti dopo tutto quello che aveva fatto
per lei, un’altra richiesta non era proprio educato. Ma non poteva fare senza.
Eragon scosse la testa, scusandosi,
poi le passò il suo vecchio vestito: - Puoi staccare il sotto e indossarlo. Con
la magia potrei farti una cintura – si offrì porgendole la veste.
Era così gentile con lei che Elvin
non poté far altro che accettare.
Una volta che furono pronti Eragon
la invitò a salire su Saphira. Elvin aveva volato per due volte e quella
sarebbe stata la terza. Anche se era così si sentiva ancora impaurita dall’idea
di non riuscire a toccare terra con i propri piedi. Poi si fece coraggio e
salì.
Saphira era più magra di Castigo e
lei si trovò meglio. Per Eragon sarebbe stato uguale, mentre per lei, che aveva
le gambe talmente magre da sembrare scheletriche, era più comodo stare seduta
su Saphira.
La dragonessa prese il volo e balzò
giù dalla collina su cui erano accampati. Il mondò comincio a vorticare e
raffiche di vento la investirono facendole fischiare le orecchie. Il cuore le
batteva all’impazzata e poteva sentirne i battiti fin dentro le cavità più
nascoste del cervello. Si strinse ad una delle punti cervicali di Saphira e si
abbassò. Eragon dovette accorgersi della sua paura perché l’afferrò e la
strinse a sé.
Elvin rimase immobile fra le braccia
del cavaliere. Non le piaceva. Già, per un attimo sperò che al suo posto ci
fosse stato qualcun altro. Magari Murtagh. Arrossì violentemente e si staccò.
Poi disse: - Non ho paura, grazie. – abbozzò ad un sorriso per sembrare più
cortese, ma in realtà non aveva punta voglia di stare a contatto con quel
giovane, se pur l’aveva salvata.
Guardò avanti a sé, concentrando il
suo sguardo sui Monti Beor. Mancava davvero poco al ritrovo dei Varden, e il
suo cuore non aspettava altro che quel giorno. Si disse che era stato tutto più
facile del previsto. Se non avesse conosciuto Murtagh non sarebbe arrivata ad
Eragon, e senza Eragon probabilmente a quell’ora era morta o tra le braccia di
Galbatorix come schiava. Sorrise all’idea che presto si sarebbe potuta unire ai
ribelli per combattere Galbatorix.
Viaggiarono per un paio d’ore poi
Saphira virò a destra per dirigersi verso il Surda.
Dopo poco si vide la distesa delle
Pianure Ardenti e Saphira atterrò. Secondo le istruzioni di Eragon avrebbero
proseguito a piedi. Almeno, se ci fossero state delle guardie di Galbatorix,
non si sarebbero fatti notare.
Camminarono lungo un sentiero per
poi infilarsi nel folto del bosco. Eragon fu costretto a portarsi, spesso,
Elvin sulle spalle dato che la ragazza era costretta a camminare a piedi nudi.
Nelle zone più fertili invece era lei che protestava per voler camminare da
sola.
Una volta usciti fuori dal folto
degli alberi, davanti a loro si stagliò una prateria enorme, che fece
spalancare la bocca alla giovane. Aveva sempre pensato che il Surda fosse un
campo di deserto, di rocce e di aridità, invece quello era tutta un’altra cosa.
Si avviarono verso il centro della
radura quando Eragon si fermò. Aveva sentito un rumore. Proveniva dal folto
della foresta. Si voltò ma non vide nulla. Anche con gli occhi da elfo non
riusciva a scorgere che gli animali e gli insetti che abitavano quella foresta.
- Cosa c’è? – chiese Elvin
squadrando Eragon. Al contrario del biondo, lei non aveva sentito niente.
Eragon scosse la testa: - Mi era
sembrato di…- si bloccò. Sentiva la presenza di
qualcuno dietro di loro. cercò di mantenere la calma e cercò Saphira con la
mente. Quella gli rispose quasi subito.
L’ho sentito
anche io.
Elvin fece per parlare ma Eragon la
zittì con un gesto della mano. Mise mano all’elsa della spada e, con un scatto
felino, si gettò all’indietro. Cadde a terra, la spada accanto. Qualcosa sotto
di lui si mosse.
Eragon alzò la testa e incontrò
quella di Murtagh.
- Tu!? – imprecò.
Il moro rise e provò a liberarsi.
Eragon si alzò, ma non rinfoderò la
spada. – Cosa ci fai qui?! – chiese, la spada stretta in pugno.
Murtagh si alzò, sogghignando. – Ciò
che ci fai tu, Eragon. – rispose quello in modo enigmatico. Poi notò la ragazza
dietro Eragon. – Elvin? – disse.
La ragazza si avvicinò piano e un
sorriso gli comparve sul viso: - Murtagh! – fece per andare incontro al moro
quando Eragon la fermò con un braccio. – Cosa c’è?! – chiese – Vi conoscete? –
la domanda sembrò volatilizzarsi nel vento.
Eragon e Murtagh erano uno di fronte
a l’altro, e al biondo quell’istante che passò sembro durare un eternità.
Possibile che doveva sempre fare i conti con il sorriso beffardi del fratello.
Quella volta non avrebbe vinto Murtagh. Erano soli e nessuno li avrebbe
interrotti. Elvin non era in grado di combattere, solo per quello Eragon non
attaccò il compagno.
- Vattene! – disse semplicemente. Lo
sguardo fisso negli occhi celesti di Murtagh. Quello non si mosse né emise un
suono; solo mise mano alla spada.
Elvin parve accorgersene e si mise
in mezzo: - Cosa significa?! – urlò – Come fate a conoscervi!? – poi si voltò
verso Murtagh – Non avevi detto che nessuno sapeva della tua esistenza?! –
Fu Eragon a rispondere per lei: -
Scommetto ti abbai raccontato tante cose, ma la metà è falsa sicuramente. –
mosse leggermente la spada. Tutto ciò era terribilmente strano. Ripensò a
Rotghar che giaceva esanime a terra, trafitto dalla lancia che Murtagh aveva
lanciato durante la battaglia nelle Pianure Ardenti. Ripensò alla strage che
aveva fatto di Varden. Ripensò al viaggio che avevano fatto attraverso il
deserto di Hadarac, insieme ad Arya e Saphira. Ciò lo fece trasalire. Voleva
ritornare a quei tempi. Quando tutto poteva avere un briciolo di speranza.
Mentre adesso Galbatorix si era portato via un altro pezzo della sua famiglia.
Prima Garrow, poi Brom, che considerava come un padre, Selena, sua madre, e
aveva fatto soffrire Roran e Katrina. Tutto ciò non poteva permetterglielo.
Fece un passo indietro, attirando a
sé Elvin, che non riusciva a capire. Di chi avrebbe dovuto fidarsi? Di Murtagh?
Di Eragon? Vide Saphira ringhiare e qualcosa in lei si smosse. Ripensò a quando
erano entrati nella locanda di Daret, e Murtagh aveva fatto strani cenni alle
guardie. A quando erano scappati e uno dei soldati lo aveva trattato come un
capo. Scosse la testa. Sicuramente era una strana coincidenza.
Eragon si mise in posizione, e
Murtagh fece per attaccare quando un suono di trombe risuonò nell’aria.
I tre si guardarono attorno e di lì
a poco furono circondati da soldati di varie dimensioni e di varie razze,
alcuni coperti da veli.
Eragon abbozzò un sorriso mentre
Murtagh parve disorientato. Elvin si strinse a Eragon e cercò nuovamente il
pugnale. Non l’aveva. Ancora una volta si ritrovava disarmata davanti alla
morte. Trasalì e cercò di stare calma. Sarebbe andato tutto bene.
Murtagh estrasse la spada rossa che
scintillò alla luce del sole. Eragon la riconobbe. Murtagh gliel’aveva fregata
durante il combattimento nelle Pianure Ardenti, e lui la desiderava indietro.
Murtagh se l’era presa con la scusa che gli doveva appartenere per diritto,
essendo il primogenito di Morzan. Ma per lui era un importante dono di Brom, il
suo mentore.
I soldati incoccarono le frecce e
puntarono gli altri contro Murtagh, che si ritrovò ben presto in difficoltà.
Cercò con la mente Castigo e il drago arrivò poco dopo. Un suo ruggito squarciò
l’aria e a Murtagh comparve un lieve sorriso sulle labbra. Anche quella volta
Eragon aveva perso. Anche se erano in molti non sarebbero riusciti a
sconfiggere Castigo.
Il drago rosso afferrò gli uomini
per le spalle e li mangiò senza far distinzione. Si avventò su Saphira che
cadde a terra sotto il peso del drago. Eragon indietreggiò mentre sentiva il
dolore di Saphira fin dentro le viscere. Tieni
duro. Le disse.
Non
preoccuparti per me! Pensa a Murtagh!
Eragon scattò in avanti, lasciando
indietro Elvin. Mise la spada davanti a sé e parò il colpo di Murtagh. La
potenza con cui il moro usava la spada era impressionante. Era migliorato dalla
battaglia sulle Pianure Ardenti e ciò mise Eragon in allarme. Se Murtagh era
diventato più forte anche Castigo lo doveva essere, e per lui e Saphira, che
non avevano fatto molti progressi, le cose si mettevano male.
Scartò di lato, evitando un colpo al
fianco. Murtagh ne approfittò per puntare alle gambe ma Eragon fu abbastanza
rapido da andare all’indietro per poi parare il colpo successivo. Murtagh
vacillò e Eragon ne approfittò per provare un affondo dall’alto. Ma qualcosa
andò storto e Eragon si ritrovò con la punta di Za’roc
puntata alla gola. Fece appena in tempo ad evitare la lama che Murtagh era già
ripartito all’attacco. Anche la velocità del fratello, oltre alla forza, era
aumentata a dismisura. Probabilmente Galbatorix non li faceva riposare un
attimo perché raggiungere quei livelli in soli 4 mesi non era possibile. Parò
un settimo colpo e saettò a sinistra, per colpire Murtagh al fianco. Quello
parò il colpo quando un soldato lo colpì alla spalla.
Il moro lanciò un urlo di dolore e
con un fremito di labbra mormorò la parola “Brisingr”. Il soldato prese
fuocoe i due furono di nuovo soli. I
soldati intorno erano impegnati a liberare Saphira e, nello stesso tempo, a
catturare Castigo.
Il drago rosso si dibatteva, ora
sotto le zampe possenti di Saphira. Era meno esperto e Saphira se ne approfittò
subito. Non essendoci Murtagh a proteggerlo, la dragonessa puntò alle ali,
lasciando stare il collo. Non aveva intenzione di ucciderlo, non per il momento
almeno. Lo considerava comunque suo fratello. Una volta staccata un pezzo di
membrana dell’ala del drago, questi ruggì e colpì Saphira in pieno muso con una
vampata di fuoco. Saphira indietreggiò e cerò di spengere le fiamme. Sentiva
gli occhi che le bruciavano e, disparata, raggiunse Eragon con la mente.
Il cavaliere si voltò immediatamente
e con un urlò si lanciò verso Saphira. Murtagh fu più rapido e lo fermò con un
movimento della spada. Eragon fu costretto ad arretrare. Maledisse Murtagh e
provò a colpirlo alla spalla ferita. Murtagh parò il colpo ma la fitta di
dolore gli fece stringere i denti. Eragon provò allora a spingere ma il
fratello sembrava ben addestrato a resistere al dolore.
Dopo qualche istante Eragon non
avvertì più il dolore di Saphira e una mano lo afferrò per fargli scansare un
colpo di Murtagh che, molto probabilmente, sarebbe andato a segno.
Eragon si trovò al suo fianco Arya,
che stringeva una delle sue lame elfiche così forte da far trasparire le
nocche.
Stupito, Eragon si voltò verso
Saphira e trovò la dragonessa seduta con la coda sopra il corpo di Castigo,
completamente legato da catene di ferro. Il drago rosso sbuffò, e a Ergon,
guardando Saphira, uscì un sorriso poco voluto.
Tornando a guardare Arya, si accorse
che Murtagh era circondato da almeno una cinquantina di Varden, pronti a
scoccare le frecce se il cavaliere nemico avesse provato a fare qualcosa.
Il moro lanciò un’occhiata d’odio a
Eragon che però si ritrovò ad avere un espressione soddisfatta dipinta sul
volto. Finalmente era riuscito a fare vedere al fratello che Galbatorix non può
tutto. In effetti la sua vittoria era stata un po’ falsa, ma si tenne comunque
la soddisfazione di aver sconfitto almeno una volta il fratello.
Da dietro Arya sbucò Nasuada, che,
rivolta a Murtagh, disse: - Mi spiace, oh giovane cavaliere, ma pare che tu e
il tuo drago abbiate perso. Cosa pensavi di riuscire a fare provando a
combattere da solo contro tutti noi Varden? Ti sei forze illuso che Galbatorix
potesse rendere un uomo più forte di un intero esercito? – le sue parole si
persero nel vento come il polline passa da un fiore all’altro, trascinato dalle
api.
Murtagh serrò la mascella e strinse
la spada con più forza, tuttavia non rispose.
Elvin, che fino a quel momento se ne
era stata scostata e distante da tutto quel putiferio, si diresse verso Eragon
e, una volta accanto, disse: - Che…che cosa è
successo? – non capiva. Perché Murtagh e Eragon si erano messi a combattere?
Perché Saphira aveva quasi staccato un’ala a Castigo? Ma soprattutto: chi era
quella gente?! Guardò la ragazza mora accanto ad Eragon. Aveva le orecchie a
punta, era un elfo! Volse lo sguardo ai soldati: Varden. Ma allora perché
attaccavano Murtagh?!
- Probabilmente non ti ha detto niente
– era stata la ragazza di carnagione scura a parlare e a Elvin sembrò di
risentire sua madre. La voce alta e seria. – Ho capito subito chi eri
dall’aspetto, Eragon me ne aveva parlato l’altro giorno..-
Elvin scoccò un’occhiataccia al
biondo, che scosse le spalle. Davvero aveva osato parlare di lei a qualcuno
senza dirglielo?!
Poi la donna continuò: - Forse non
te ne ha parlato perché pensava che avrebbe potuto sottrarti informazioni
riguardo a noi ricevendo la tua fiducia. Ma dietro all’apparenza si nasconde un
ragazzo tutt’altro che buono! –
Elvin guardò Murtagh negli occhi.
Nasuada continuò: - Costui è il
figlio di Morzan, Elvin. Il traditore, il primo dei Rinnegati. E adesso serve
Galbatorix come anni fa fece suo padre.–
Murtagh abbassò lo sguardo e mormorò
un flebile “mi dispiace”. Gli dispiaceva davvero.
Elvin scosse la testa e una lacrima
le scese lungo la guancia. Non poteva, non poteva essere vero.
Se ne stava seduta su quel masso ormai
da quasi tutto il pomeriggio. Appena le aveva svelato quella verità Murtagh
aveva sorriso, continuando a dire che non sarebbero riusciti a estorcergli
nemmeno una minima parte delle informazioni che aveva su Galbatorix. Mentre lo
avevano portato via lei era stata esaminata da un mago appartenente al clan
Durgis dei Varden. Quell’uomo le era entrato nella mente per poi esaminare
pezzo per pezzo ogni suo ricordo. Non era stato piacevole e spesso Elvin si era
ritratta a quel contatto, aumentando i dubbi sul suo conto. Era stato solo
grazie a Eragon se quel mago non continuò a perforarle la mente. Lei lo aveva
ringraziato e si era lasciata condurre ad una tenda che le dissero sarebbe
diventata la sua. La lavarono e gli misero delle vesti nuove, pettinandola a
dovere per il ricevimento con Nasuada. Fu accompagnata al padiglione di Nasuada
da due Kull, accompagnati da tre soldati di carnagione scura. La tenda della
donna era di un rosso acceso, e Eragon era sulla soglia che l’aspettava. Si era
cambiato d’abito anche lui, e adesso indossava una casacca bianca contornata di
piccole scaglie blu, che si intonavano con le scaglie blu di Saphira, che si
ergeva imponente al suo fianco. Lei lo salutò entrando nel padiglione.
L’interno era spoglio, solo uno scranno e uno specchio vi erano, da una parte
un tavolo. Salutò la donna con un inchino, poi disse: - Sono felice di essere
finalmente giunta alla meta, mia signora dei Varden…-
si inchinò ancora una volta, sotto lo sguardo divertito di Eragon. Era davvero
impacciata.
Anche Nasuada parve divertita: -
Chiamami semplicemente Nasuada, odio le formalità – sorrise, ed Elvin si trovò
a pensare che quella donna, oltre a essere il capo dei Varden, era anche
bellissima.
Le fecero domande su domande e lei
fu costretta a raccontare tutta la sua vita, benché quel mago le avesse estorto
tutti i suoi segreti. Così, una volta congedata, era ritornata alla sua tenda,
per poi lasciarsi alle spalle il campo dei Varden e sedersi vicino al fiume
Jiet.
Lo scroscio dell’acqua la rilassava,
e quel silenzio riusciva a farla concentrare. Tutto era così assurdo che anche
lei faticava a capirne il senso. Non poteva pensare che quel ragazzo fosse
davvero dalla parte di Galbatorix, anche se quello spiegherebbe tutto.
Era così assorta dai suoi pensieri
che non si accorse che qualcuno le si era avvicinato e le si era seduto
accanto.
Voltò la testa e incontrò lo sguardo
di una giovane ragazza dai capelli color bronzo. Sorrideva e stringeva a sé dei
panni bianchi. Indossava un leggero abito di lino rosa, con una cintura di
perle che le ricadeva sui fianchi, davanti un lungo filo. I piedi nudi
sull’erba bagnata. I capelli erano ornati da perline e fiori azzurri.
Elvin abbozzò ad un lieve sorriso,
per poi tornare a guardare l’acqua del fiume correre via. Quanto le sarebbe
piaciuto essere una goccia d’acqua, non sentirsi mai sola, continuare a correre
via per poi ritrovarsi finalmente a casa, nel mare. Ebbe un lieve fremito a
quel pensiero e di li a poco si ritrovò a immaginare di essere davvero una goccia
d’acqua e di attraversare tutta Alagaesia senza fermarsi mai.
- Mi dispiace…-
quella voce la fece voltare. Era stata la giovane a parlare. Poi continuò: -
Immagino che sia doloroso sapere che una persona a noi cara sia un traditore…-la sua
voce era leggera e soave, mentre le sue labbra si muovevano così lentamente che
potevano incantare perfino un drago.
Elvin scosse la testa e cercò di
sorridere, sembrando cortese. Le riuscì male. – Tranquilla…volevo
solo prendere una boccata d’aria…- mentì. Sapeva perfettamente
che la ragazza aveva centrato il punto della situazione. Si sentì sopraffare.
Davvero le si leggeva tutto in faccia?! Davvero non riusciva a nascondere
niente!?
La bronzea scosse la testa e le
porse uno dei panni: - Lo so che soffri, l’ho visto…-
sorrise debolmente – Sono Katrina…-
- Elvin…-
rispose la mora. Sentiva di potersi fidare di quella ragazza, forse perché le
assomigliava in qualche modo. – Perché ti sei unita ai Varden? – domandò.
Katrina ravvolse il panno, poi
rispose: - Non l’ho deciso io. Ero stata catturata dai Ra’zac
e sono stata salvata da Roran, il mio ragazzo. Sono qui solo perché lui serve i
Varden – abbassò la testa e cominciò a giocherellare con i panni bianchi, che
odoravano di pulito.
Elvin si pentì della domanda fatta:
- Mi dispiace…- poi si ricordò di cosa era successo
ai suoi genitori – Anche i miei genitori sono stati uccisi dai Ra’zac, perfide creature…- mormorò
fra i denti.
Katrina si alzò e le fece un gesto
di andare: - Ci staranno aspettando per il banchetto, oggi Nasuada cena con
noi. Vuoi unirti? – chiese, cambiando discorso.
Elvin la ringraziò per essere
riuscita a sdrammatizzare la situazione, ciò che lei non sarebbe mai riuscita a
fare. Si alzò e si pulì la veste bianca. Poi disse: - Non saprei. Non conosco nessuno…-
- Me si! – sorrise lei, afferrandola
per un polso e portandola con sé. – Per prima cosa devo pettinarti, così non mi
piaci – sorrise ancora, mentre correvano verso l’accampamento dei Varden.
Da lontano, qualcuno le osservava
nascosto.
Elvin è riuscita ad arrivare dai
Varden ed è venuta a sapere della verità su Murtagh; ma non nel modo migliore
è? ^_^
Ringraziamenti:
veri_lupi:
grazie cara! Per la
questione di Murtagh bè..guarda! ^_^
Martyx1988:
ihih…un po’ di scompiglio??? Èèèèè..le donne!!! Ihih…
Stefy_81:
io penso che il
legame tra Castigo e Murtagh e quello tra Eragon e Saphira sia diverso anche
nel libro. Non so forse perché lui è nato in circostanze diverse; ma qualcosa
mi dice che è diverso. Sono contenta che si sia notato ^//^..io odio Sloan..e
ho detto tutto U.U..ihih..vero!
Eragon non è proprio fortunato con le donne!! xD
Recensire non costa nulla e fa felici gli scrittori
Katrina era davanti a lei, che
ammirava la sua opera finita. Le aveva raccolto tutti i capelli castani e
ondulati in una coda alta, alcuni ciuffi che le si univano alla coda decorati da
fiori rossi. Il vestito, anch’esso rosso, le si stringeva in vita per poi
allargarsi di poco lungo i fianchi. Una cintura appoggiata leggermente sulle
poche curve che aveva, marrone, contornata da piccoli diamanti azzurri. Ai
piedi indossava un paio di sandali di pelle marrone, di camoscio. Katrina le
aveva anche dipinto dei fiori lungo il viso, secondo le usanze della sua
famiglia. Mentre gli occhi erano incorniciati da righe viola.
Si sentiva a disagio con quel
vestito, il quale le lasciava scoperto gran parte del seno, anche se non
possedeva molto.
Katrina, a sua differenza, si
sentiva a perfetto agio. Indossava anche lei un vestito simile a quello di
Elvin, solamente verde, con delle sfumature azzurre. Era a maniche lunghe. Al
posto dei sandali di camoscio portava delle scarpette anch’esse verdi. I
capelli erano sciolti, e la maggior parte le ricadeva avanti, incorniciandole
il viso. Gli occhi color nocciola le risplendevano sotto il trucco celeste.
Le sorrise: - Adesso sei perfetta! –
le si avvicinò e le fece un giro attorno – Si! Davvero perfetta! – concluse
soddisfatta.
Elvin abbozzò ad un sorriso debole:
- G…grazie…- balbettò. Si sentiva davvero, ma davvero
molto a disagio!
Uscirono dalla tenda della giovane
bronzea e si diressero verso la zona ovest del campo dei Varden, dove si doveva
svolgere la festa. Aveva saputo che vi avrebbe partecipato anche Eragon, dato
che era nato e vissuto per un certo periodo a Carvahall. Eppure i suoi pensieri
erano ancora rivolti a Murtagh. Non sapeva dove si trovasse né che cosa gli
stessero facendo. Sperava solo che non esagerassero con lui, dopo tutto aveva
passato comunque del periodo con lui, e non le aveva mai fatto niente di male;
a parte mentirle.
Cercò di non pensarci e seguì
Katrina tra la folla. Katrina doveva averla resa davvero carina perché tutti
gli sguardi dei Varden erano posati su di lei; quindi: o era diventata tanto
carina da attirare l’attenzione di tutti, oppure si prendevano gioco di lei
perché più che ad una ragazza con belle forme sembrava uno spaventapasseri.
Rise fra sé: l’idea dello spaventapasseri era carina, magari avrebbe potuto
essere il suo lavoro far i Varden d’ora in avanti!
Dopo qualche minuto raggiunsero il
prato dove una tavolata si ergeva per quasi 10 metri. Intorno alcune persone
chiacchieravano sedute, altre in piedi. Tra le tante Elvin riconobbe Eragon,
lontano, che parlava con un ragazzo anche lui biondo e molto simile a Eragon.
Sorrise: c’era davvero.
Il ragazzo con cui stava parlando si
volse e corse verso di loro. Katrina fece qualche passo avanti a abbracciò
Roran. Si scambiarono un breve bacio sulle labbra, poi il ragazzo disse: -
Eragon! Guarda chi c’è! –
Il biondo si avvicinò sorridendo, la
mano appoggiata sull’elsa della spada. Una volta accanto al ragazzo gli diede
una botta sulla spalla e disse: - Su via Roran! Prima di chiamarmi dovevi
salutarla! – le sorrise.
Elvin arrossì e porse la mano al
compagno: - Elvin..-
Roran le strinse la mano e si
presentò.
Una volta finite le presentazioni,
tutte le persone presenti si sedettero a tavola, compresa Nasuada che sedeva
capotavola con al suo fianco i Falchineri, le sue guardie del corpo. I due
Urgali mettevano un po’ di timore alla ragazza, dato che non era mai stata in
compagnia di quelle creature.
Il primo piatto del banchetto fu
portato da una decina di camerieri vestiti di bianco, che faceva contrasto con
la pelle scura. Avevano portato del pesce affumicato e della pasta con
insalata. Da bere invece c’era del vino e dell’idromele, che Elvin preferì
all’altra bevanda.
Eragon era di fronte a lei, mentre
da un lato aveva Roran, dall’altro un’abitante di Carvahall. Era un ragazzo
sulla trentina d’anni, gli occhi verdi e la pelle chiara. Al collo portava una
collana rossa che si rifaceva ai suoi capelli, legati con una coda. Indossava
una casacca marrone e delle braghe bianche. Gli stivali erano di camoscio,
bianchi e marroni.
Elvin distolse lo sguardo dal
giovane e guardò il suo piatto, nel quale adesso si trovava il pesce. Era da
tempo che non ne mangiava. Al villaggio c’era solo carne, dato che andare al
fiume era già un’impresa; e il suo maestro era vegetariano per principio.
Quindi rivedere quell’animale viscido dopo tanto tempo le fece venire la
nausea, ma non mangiare era come un’offesa.
Cominciò a mangiare lentamente,
mettendo piccoli pezzi in bocca. Eragon rise sommessamente, poi disse: - Non
c’è bisogno di tutta questa formalità. Qui la gente mangia come le pare! –
indicò tutti gli abitanti di Carvahall. Ognuno mangiava come meglio credeva,
senza pensare a ciò che era educato o no.
Gli sorrise, poi si rimise a
mangiare, lo stomaco in subbuglio. Quel pesce non le piaceva proprio.
Quando passò prese un po’
dell’insalata e cominciò a mangiarla. Quella si che era buona. Insieme vi erano
uova, pomodori e carciofi; tutte leccornie per il suo stomaco. Sorrise: era da
tempo che non mangiava più così.
Eragon la guardò mentre sorrideva.
Era davvero bellissima. Le guancie rosee le coloravano gli occhi castani,
mentre i capelli la facevano brillare di luce propria. A Carvahall non c’erano
mai state ragazze così belle, a parte Katrina, s’intendeva. Guardò il suo
piatto,ancora pieno. Non aveva mangiato niente, mentre Saphira, al suo fianco,
aveva già finito il suo alce, e passava ad un secondo, leccandosi i baffi con
la lunga lingua. Non si era accorta del suo disagio, o almeno così sembrava.
Una volta che si fu pulita i denti
Saphira guardò Eragon, facendogli l’occhiolino. Poi gli disse nella mente. Parlale, cerca di sbloccarti un pochino
piccolo mio. Altrimenti addio amore. Gli fece un altro occhiolino. E poi sei un cavaliere! Il mio cavaliere!
Mica posso vantarmi che Eragon Ammazzaspettri ha paura di parlare con una
ragazza! Schioccò la lingua e tornò a mangiare il cervo.
Grazie!
Sbuffò Eragon,
tornando a guardare Elvin. La ragazza aveva finito di mangiare e adesso si
stava guardando i grembo. Dopo poco provò a parlarle.
- Tu…- si
grattò la schiena, imbarazzato.
Elvin alzò la testa e gli sorrise.
Era imbarazzato quanto lei, e questo la mise di buon umore. – Si, sono felice
di essere riuscita a raggiungere i Varden – rispose lei, facendo finta che il
ragazzo le avesse fatto quella domanda. D’altro canto era l’unico modo per
rompere il ghiaccio.
Eragon annuì, giocherellando con il
bicchiere. Accanto a lui Katrina rideva. Lei e Roran non erano mai in imbarazzo
quando erano insieme. Non avevano paura a dirsi nulla, potevano confidarsi uno
con l’altra quando e dove volevano, e non avevano timore a mostrare se stessi.
Lui invece? Si era sempre sentito attratto da Arya, e adesso spuntava questa
ragazza che gli faceva battere il cuore forse più dell’elfa. Ciò non gli
piaceva. Si era sempre detto che non si sarebbe mai dovuto innamorare di nessun
altro, soprattutto se era mortale, e quella ragazza lo era. Chiuse gli occhi
per qualche instante, cercando di mettere ordine fra i suoi pensieri. Quando li
riaprì tutti erano a ballare, intorno ad un fuoco. Solamente Elvin era ancora
seduta al suo posto, e Nasuada, che li guardava sorridente. “Ma cosa vuole
anche quella?!” pensò Eragon imbarazzato.
Guardò ancora Elvin poi trovò il
coraggio di dirle: - Andiamo a ballare? –
La ragazza alzò gli occhi dal
tavolo. I suoi pensieri altrove. – Va..va bene..- rispose. Si alzarono e si
diressero verso gli altri abitanti di Carvahall.
A Eragon tutto ciò ricordo i vecchi
tempi, quando ancora viveva nella Valle Palancar. Gli amici, i parenti, lo zio
Garrow, la zia Marian. Tutto era come un nodo alla gola, un pezzo di pane mal
digerito, che si trovava ancora in lui. Si sentì mancare quasi, e stava per
andarsene quando Elvin gli disse: - Come sta Murtagh? –
La domanda arrivò come un pugno al
cuore del biondo. Lei pensava a lui. Murtagh.
Abbassò la testa. Sapeva come stava Murtagh, dov’era, e cosa gli stavano
facendo. Ma non poteva dire niente a Elvin, ordine di Nasuada. – Sta bene
–mentì, la voce impastata. – E’ nelle prigioni ma sta bene – cercò di
sorriderle, e Elvin si sentì rassicurata, anche se sapeva che tutto quello che
aveva detto il biondo non era vero.
Cominciarono a ballare insieme agli
altri, uno davanti all’altra.
- Non devi preoccuparti, davvero! –
continuò a rassicurarla Eragon, vedendo che la ragazza non era convinta.
Lei lo guardò, le lacrime che
cercavano disperatamente di uscirle dagli occhi e rigarle il volto, ma lei le
cacciò indietro, cercando di sorridere: - Lo so...mi fido di te..- rispose.
Intorno a loro gli abitanti di
Carvahall ridevano e scherzavano felici, senza la minima preoccupazione che
Galbatorix avrebbe potuto colpirli da un momento all’altro.
Nasuada, ancora seduta al tavolo, li
fissava, cercando in loro la sua vita passata, quando non doveva pensare ai
suoi doveri e suo padre era ancora capo dei Varden. Si guardò l’anello che
portava all’indice sinistro, quello appartenente a suo padre. Qualcosa in lei si
mosse, e in quel giorno felice trovò un nido di tristezza, che la circondava
come un alone velenoso di acqua suadente. Sorrise appena quando Saphira entrò
dentro i suoi pensieri, scoprendo così tutto il suo rancore.
Le disse: Non rovinarti questo bel giorno con pensieri cattivi, Lady Nasuada.
Oggi è un giorno di festa, alla quale tu sei stata invitata. Non serbare
rancore per le cose che sono oramai accadute e che noi non possiamo cambiare.
Nasuada le toccò il fianco con una
mano. Lo so, Saphira Squamediluce, ma
dentro al mio cuore c’è caos. Caos totale. Non so più cosa fare, Saphira. Non
so più cosa è giusto per i Varden e tutto è sempre più confuso. Sto
invecchiando, splendida creatura? Domandò.
Saphira rise sommessamente, e un
gorgoglio arrivò dal suo stomaco. Se tu
fossi vecchia allora Jormondur sarebbe decrepito cara mia!
Risero insieme, cercando di
scacciare via i brutti ricordi.
Tutto le sembrava troppo felice,
davvero arrivare dai Varden era stato così semplice? Quella domanda le
rimbalzava per la testa mentre ballava, attaccata a Eragon. Quella vicinanza la
infastidiva. Non sapeva perché ma quel ragazzo non le piaceva. Non perché non
fosse gentile, anzi. Ma il suo cuore batteva per qualcun altro. Qualcun altro
che adesso lei sapeva essere nei guai.
Immagini del giorno prima le
ritornarono in mente. La cattura. Il sorriso di Murtagh. Le parole di Nasuada.
Davvero era figlio di Morzan? Davvero era dalla parte del re? Doveva
assolutamente parlargli, o sapeva che sarebbe scoppiata. Ma come poteva fare?!
Poi prese coraggio e chiese a
Eragon: - Vorrei vederlo! – disse tutto d’un fiato. Sperò che nessuno l’avesse
sentita.
Eragon smise di ballare,
guardandola, impassibile. Erano passate poche decine di minuti e lei pensava
ancora a Murtagh. “Perché?” si domandò. Ma quel perché a quale domanda si
poneva? Non c’era risposta.
Abbassò lo sguardo:- N...non saprei…sai…nn
so..- stupido. Era stupido. Come si faceva a balbettare ad una domanda del
genere. Poi, ricomposto, disse: - Non è possibile, ordine di Nasuada. – gli
costava molto dire di no a Elvin, e non aveva la minima idea del perché.
Elvin lo afferrò per la camicia,
alzandosi in punta di piedi: - Perché?! Se sta bene perché non lo posso vedere?
– la sua voce era roca e soffocata, ciò causato dal non voler piangere della
ragazza.
Si sentì stringere il cuore e
abbassò il capo, volgendo lo sguardo lontano. Cosa doveva fare? Disubbidire?
L’afferrò per le spalle e si nascose
dietro un albero.
Poi disse: - Ciò che sto per fare mi
metterà nei guai lo sai questo? –
Elvin abbassò il capo, le lacrime
che le scendevano ormai lungo le guancie. Si, lo sapeva perfettamente che così
avrebbe causato problemi a Eragon. Ma non poteva farci niente. Il suo cuore
voleva avere ciò che desiderava. E lei non poteva disubbidire al suo cuore.
Eragon la fissò per qualche altro
istante poi la lasciò lì e andò a dirlo a Saphira, che rimase a distrarre
Nasuada.
Quando il biondo tornò
sgattaiolarono via dalla festa, dirigendosi verso l’accampamento dei Varden.
Il cuore di Elvin cominciò a battere
sempre più forte.
Ringraziamenti alle recensioni:
stefy_81:
sono felice che la
parte del combattimento ti sia piaciuta..avevo timore a che impatto avrebbe
avuto xD. In quanto al rapporto tra Murtagh e
Nasuada, no. Non c’è poi tutto quel trasporto. Infine per le tante domande che
ti stai ponendo bè..spero che avranno presto una
risposta ^_^
veri_lupi:
già, Murtagh,
possiamo dire, se l’è cercata adesso. Per quanto riguarda Katrina ed Elvin, bè, Katrina, come hai detto tu, nel libro non c’è molto
(nel film per niente ^^’’), e quindi me la sono inventata come la vedo io; per
Elvin già, non se l’aspettava proprio ^_^. Comunque grazie bella anche a te
tanti baci!!
Martyx1988:
ecco a te il
continuo xD. Sono contenta che la mia storia ti
piaccia! E sono ancora più felice nel vederti fare “fufu”…che bel termine shiiii!!! (è
diventata pazza..ndMurtagh) (o te? Che vuoi? Torna dentro
la storia! *lo butta dentro a calci*ndMe…scusateloxD)
Recensire non costa nulla e fa felici gli scrittori.
Corsero in mezzo alle tende,
furtivi, fino ad una più grande, color erba e con di guardia due guardie.
Indossavano due casacche rosse, contornate con fiori d’oro. Un’armatura gli copriva
il petto, risaltando gli addominali. Dei pantaloni di pelle nera erano stretti
con dei lacci di pelle più chiara, e degli stivali color ocra gli tenevano
caldi i piedi. Nella mano destra tenevano stretta una lancia mentre nella
sinistra uno scudo gli copriva metà corpo.In testa un turbante gli teneva i capelli. Uno era di carnagione più
scura dell’altro.
Eragon e Elvin si appostarono dietro
una tenda più piccola, bianca, probabilmente di un Varden di basso rango.
Rimasero fermi e immobili per qualche minuto, pensando a come fare per
distrarre i due Varden. In circostanze diverse Eragon avrebbe potuto
addormentarli con la magia, ma davanti a tutti era impensabile. Poteva anche
rendersi invisibile, ma per Elvin non era lo stesso. Rimuginò su come fare per
quasi un quarto d’ora, quando la voce di Elvin lo distrasse. – Cosa c’è? -
chiese, un po’ scocciato per essere stato distratto.
Elvin lo guardò, per poi tornare ad
osservare i due Varden: - Come pensi di fare? – domandò, il cuore che rischiava
di uscirle dal petto.
- Non lo so! – rispose Eragon a
bassa voce, ma facendo intendere di essere stato deconcentrato.
La ragazza abbassò lo sguardo,
colpita; e Eragon fu costretta a chiederle scusa, altrimenti avrebbe tenuto il
muso tutto il tempo. “Che bel tipino che mi è
capitato!” pensò, roteando gli occhi per l’impazienza della giovane.
Dopo un po’ gli balenò in testa
un’idea. Avrebbero aspettato l’imbrunire, poi lui sarebbe diventato invisibile
per poi distrarre le due guardie. Elvin così sarebbe potuta entrare. Il
problema è che anche lui avrebbe voluto parlare con il moro. Si sentì soffocare
al pensiero di che cosa gli avrebbero potuto fare. E per di più non sapeva in
che condizioni era. Aveva detto a Elvin che stava bene e che non gli avevano
fatto niente, ma era puramente una bugia. Sentì attanagliarsi le viscere. La
ragazza gli avrebbe dato del bugiardo e dell’infame a vita. Ma lui mica voleva
farla soffrire! Gliel’aveva detto solamente per non farla preoccupare! Era
così? O forse lo aveva fatto solo per sé. Scacciò indietro quei pensieri e
disse del suo piano a Elvin. Aspettarono fino al calare del sole.
Quand o il buio avvolse il campo, Eragon
sgusciò fuori dal suo nascondiglio, dirigendosi verso le guardie. Mormorando
una frase nell’antica lingua scomparve, senza lasciare traccia del suo
passaggio. Aveva imparato anche a cancellare le orme.
Si avvicinò piano ai due Varden, che
adesso si scambiavano parole che nelle sue orecchie di elfo risuonavano come
due forti tamburi.
Inghiottì della saliva che gli era
andata in bocca e scivolò dietro il primo Varden. Da dietro la tenda Elvin
guardava la scena, il fiato sospeso.
Eragon diede una botta sulla spalla
del Varden e si nascose dietro un palo della tenda verde, aspettando di vedere
la reazione della guardia. Quella si voltò, chiedendo al compagno se era stato
lui a fargli uno scherzo. Eragon ne approfitto e cominciò a correre verso
destra, lontano. I due Varden si scrutarono per un attimo, poi uno dei due
cominciò a rincorrerlo, seguendo il rumore dei suoi passi.
Elvin rimase sola. Il piano di
Eragon non era andato a gonfie vele e adesso lei si ritrovava a dover eludere
una guardia dei Varden. Non aveva mai fatto niente del genere e non aveva la
minima idea di come fare a raggiungere l’entrata senza essere vista. Si scostò
un ciuffo di capelli ribelli che le era finito sul viso e, mordendosi il labbro
inferiore cominciò a pensare.
Quando viveva ancora con i suoi
spesso si ritrovava a doversi nascondere da sua madre o da suo padre, quando
combinava qualche scorreria e i due la volevano punire. Spesso si nascondeva in
soffitta e aspettava che i suoi genitori si calmassero, ma adesso la cosa era
ben diversa. Si sedette sull’erba fresca. Cominciava a fare freddo e quel
vestito leggero che le ricopriva il piccolo corpo non le bastava più.
Ciò le mise fretta e la soluzione
arrivò presto. Era complicato ma se riusciva nel suo intento forse sarebbe
riuscita ad aggirare la guardia.
Si alzò e cominciò a correre nella
direzione opposta a quella di Eragon, sperando con tutto il cuore che il Varden
la rincorresse. E così fu. Un “chi va
la?” arrivò prima che i passi dell’uomo cominciarono a risuonare forti
dietro di lei.
Non vedeva niente e rischiò di
inciampare per più di una volta. Si ritenne fortunata dato che il Varden dietro
di lei, impedito dallo scudo e dalla lancia, era più lento. Corse fino ad
arrivare al fiume Jiet, poi tornò indietro, infilando i piedi nell’acqua
gelida. Trasalì a quel contatto.
Il Varden inciampò nell’acqua e vi
cadde dentro. Elvin approfittò di quell’stante per correre via, mentre “ferma! Torna qui!” le risuonava nella
testa.
Quando arrivò davanti alla tenda di
Eragon e dell’altra guardia non c’era traccia. Fece un sospiro di sollievo e si
appoggiò al palo della tenda, per riprendere fiato. Il Varden doveva essere
ancora impegnato a uscire dal fiume, dato che la corazza lo avrebbe mandato a
fondo. Pregò che andasse tutto per il meglio, ma quando stette per entrare
qualcosa la fermò. Si sentì soffocare al pensiero che dall’altra parte avrebbe visto
Murtagh. Non sapeva se era la cosa giusta né sapeva se avrebbe avuto il
coraggio di vedere come era conciato.
Si fece coraggio ed entrò. L’interno
era illuminato da una fievole luce, emanata da una piccola candela posta su un
tavolino, in un angolo. In terra c’era un tappeto rosso, contornato di draghi e
serpenti blu. Accanto all’entrata stavano diversi catenacci, tutto legati con
un filo di pelle. In fondo alla tenda si trovava un letto, sulla quale una
figura nera era distesa.
Elvin trattenne il fiato e si
avvicinò piano. Ogni passo che faceva le sembrava di spostare un macigno, e
ogni secondo che passava le sembrava un’eternità.
Quando arrivò alla sponda del letto
si mise una mano davanti alla bocca e un filo di lacrime cominciò a rigarle il
volto. Ricordi le si affollarono in testa, sovrapponendosi uno su l’altro. Le
immagini dei suoi genitori a terra le si piantarono davanti agli occhi,
costringendola a chiuderli. Non voleva rivedere quelle cose, non voleva
soffrire ancora.
Si accasciò per terra, cadendo sulle
ginocchia. Alzò lo sguardo, incontrando la schiena sanguinante di Murtagh.
Gli toccò una spalla, e quello
sussultò, voltandosi lentamente.
Aveva gli occhi chiusi, coperti da
un leggero strato di sangue rappreso. Mosse piano la bocca ma uscì solo un
leggero mugolio. Gli toccò una guancia e lui cercò di aprire gli occhi, senza
successo. Le mani erano legate ai pali del letto con due catene talmente
strette che facevano sanguinare leggermente i polsi.
Si asciugò le lacrime e cercò di
sorridere. Poi si guardò attorno, in cerca di un panno pulito e dell’acqua.
Trovò entrambe le cose vicino al tavolo e cominciò, bagnando il panno, a lavare
gli occhi di Murtagh dalla crosta di sangue. Il moro si mosse appena, quando la
fitta alla schiena lo fece boccheggiare.
- Chi ti ha fatto tutto questo? –
mormorò tra sé Elvin, continuando a lavare via la crosta.
Quando ebbe finito gli occhi di
Murtagh si aprirono lentamente, scoprendo due iridi di un azzurro gelido,
freddo, quasi glaciale. Ma a differenza della prima volta che li aveva visti,
adesso erano spenti, privi di qualsiasi espressione.
Lei sorrise debolmente, un sorriso
forzato e doloroso. – Tranquillo..ci sono io qui ora...non ti faranno più alcun
male..vedrai...-gli disse con una voce flebile,
quasi soffocata.
Lui continuò a guardarla, senza
risponderle. Era cosciente? La sentiva? La capiva? Le si strinse il cuore e
disse: - Adesso proverò ad alleviare il tuo dolore...ma devi stare calmo..- lo
girò lentamente, facendo più attenzione possibile.
Immerse il panno dell’acqua e
cominciò a ripulirgli anche la schiena, mentre qualche lamento usciva dalla
bocca del giovane. Quando ebbe finito si sentì da una parte sollevata. Forse,
almeno un po’, era riuscita ad alleviare il suo dolore.
Murtagh la guardò, muovendosi
lentamente. – G…gr..- provò a parlare, ma le parole
gli si mozzarono in gola. Un colpo di tosse.
Elvin gli posò un dito sulle labbra.
– Non sforzarti... – gli accarezzò i capelli, mandandogli indietro la frangia
sudata. “Chi è che ti ha fatto una cosa del genere?” si ripeté dentro di sé.
Non osava andare a pensare a chi potesse essere stato a fare una cosa del
genere. Ma la cosa che la faceva rabbia più di tutte era che Eragon era a
conoscenza dello stato di salute di Murtagh, e non le aveva detto niente. Aveva
fatto finta che stava bene, che non gli avevano fatto niente, invece lei lo
aveva ritrovato grondante di sangue e in fin di vita. Probabilmente sarebbe
morto se lei non fosse andata da lui. Imprecò a bassa voce e maledisse Eragon
mentalmente.
Si sedette accanto al moro,
continuando a fissarlo. Lui, al contrario, guardava il tessuto verde della
tenda. Gli occhi spenti, oscurati da una nube d’ombra. La mani che stringevano
la coperta, doloranti.
Elvin cercò le chiavi delle catene
ma non le trovò. Probabilmente doveva averle una delle due guardie Varden. Si
rimise a sedere accanto a Murtagh, e disse: - Mi spiace ma non trovo le
chiavi..- si guardò ancora una volta intorno, cercandole ancora per l’ultima
volta. Niente. Sospirò. Un sospiro di rassegnazione.
Stava per andarsene quando la mano
di Murtagh sfiorò la sua. Elvin trasalì a quel contatto, e lacrime gli
affiorarono negli occhi. Lei ricacciò indietro, cercando di credersi forte. Non
voleva che la vedesse piangere. Non ancora almeno.
- Devo..d…devorimgraziarti..hai..hai fatto molto..- disse lui, la
voce bassa e roca. Usata, come consumata. Graffiata e afflitta.
La ragazza gli afferrò la mano,
stringendola fra le sue: - Non devi ringraziarmi. Sono felice di averlo fatto!
– sorrise. Questa volta era felice che si sentisse bene.
Passò qualche minuto, forse
mezz’ora, quando la tenda si aprì di schianto.
Nasuada entrò furiosa, seguita dai
suoi Falchineri. Indossava lo stesso abito del banchetto, solo non aveva il
diadema blu tra i capelli che le faceva risaltare gli occhi. Eragon era accanto
a lei, scuro in volto. Jormondur era a fianco della donna di pelle scura, anche
lui arrabbiato.
Elvin si alzò di scatto, portando
una mano al corpetto, nel quale era nascosto un pugnale. Avrebbe difeso Murtagh
a costo della vita.
Nasuada si sistemò i capelli, poi,
composta e fiera, disse: - Elvin Filiathin! Cosa devo dedurre dal tuo
comportamento? Sono stata clemente con te! Non sapevo chi eri né cosa volevi!
Ti ho curato il braccio, affidandoti ai miei migliori sacerdoti! Potevi essere
una spia di Galbatorix ma mi sono fidata grazie a Eragon, dato che non tutti i
tuoi ricordi sono stati esaminati! E tu cosa fai per ringraziarmi? Curi i
nostri nemici? – la sua voce si perse nella notte quando tacque.
La ragazza strinse a sé una piega
del vestito, voltandosi a guardare Eragon. Il giovane scosse la testa, con uno
sguardo supplichevole. Non era certo stata colpa sua se Nasuada era venuta a
sapere che aveva aiutato Elvin ad andare da Murtagh. Anche se pure a lui non
stava bene ciò che avevano fatto al fratello, non doveva disubbidire, Nasuada
lo aveva avvertito.
Elvin alzò lo sguardo da terra,
assumendo ciò che si poteva definire uno sguardo da leone. Ispirò a fondo prima
di cominciare a parlare, poi disse: - Fin da bambina sono cresciuta pensando
che i Varden fossero l’unica via di salvezza per tutta Alagaesia. Sono
cresciuta sotto le orme di due genitori che mi hanno insegnato a distinguere il
bene dal male, il giusto dal sbagliato. Sentivo spesso leggende sui Varden, che
raccontavano delle loro gesta e del loro coraggio. Delle loro buone azioni! –
prese fiato e continuò, alzando sempre di più la voce – Sono cresciuta pensando
che fossero brave persone! Che non facessero soffrire nessuno! – indicò Murtagh
e si ritrovò ad urlare- Ma questo non è
ciò che mi aspettavo! Queste non sono di certo buone azioni! E..e..- abbassò lo
sguardo, tornando in silenzio, poi continuò – Siete uguali a Galbatorix, forse
peggio..non pensavo arrivaste a tanto..forse mi sono sbagliata sul vostro
conto..- tacque, aspettando risposta.
Nasuada rimase a osservarla scura in
volto, mentre Eragon passava dal guardare la giovane castana e poi il capo dei
Varden, spaventato. O meglio, aveva paura di un prossimo attacco d'ira della
più grande, Nasuada non era uno scherzo quando si arrabbiava. Passò qualche
secondo di silenzio, poi Nasuada prese parola.
- I Varden hanno sempre difeso
Alagaesia, ma qui non si tratta di difendere i GIUSTI di Alagaesia, ma i
cattivi. Se vuoi combattere questa guerra al nostro fianco e sconfiggere
Galbatorix, devi imparare a saper affrontare le situazioni di sofferenza e
morte. Devi riuscire a infliggere al tuo nemico ciò che lui infligge a te. E
cioè tortura e morte. Non mi diverto a fare ciò che faccio ma non posso
permettermi di governare i Varden senza commettere certi crimini. Ma quando
scegli di comandare un popolo sai anche che dovrai sporcarti le mani, prima o
poi. Quel ragazzo è un traditore, e io ho fatto solo il mio dovere. – mosse
leggermente le mani, poi si voltò e fece qualche passo verso l’uscita.
Poi disse: - Domani deciderò la
giusta punizione per te, nel frattempo vedi di non fare altre mosse false..-
Elvin fece un passo avanti: - Ma! –
Nasuada voltò la testa, e i suoi
occhi color nocciola incontrarono quelli medesimi di Elvin: - Non fare mosse
false, rimani nella tua tenda e stai calma. Questi sono gli ordini, Elvin
Filiathin. Ricorda che sono io, che ho in mano il potere qui. – detto questo,
se ne andò.
Ringraziamenti alle recensioni:
veri_lupi:
grazie cara! xD..come ho già detto è bello sapere che qualcuno apprezza
i tuoi sforzi…^_^..e visto che ti piace così tanto ecco a te il capitolo dopo!!
Spero ti piaccia anche questo baci!
Martyx1988:
mi piace la tua
determinazione! (w le/i determinate/i!!!! ndMe)
(pazza isterica…-.-‘’’..ndEragon) (cosa??!!! ndMe) (ecco vedi…ndEragon) *Eragon viene
spiaccicato al muro* scusami U//U dicevamo? Ah si
grazie cara e ancora w le/i determinate/i!!!! ;-)
Stefy_81:
allora U_U: iniziamo col dire che come hai potuto leggere qui no,
Murtagh non è stato proprio trattato coi guanti..bè..la
reazione di Elvin è sempre scritta sopra ^_^..inoltre sono contenta che ti sia
piaciuta la descrizione del vestito..me lo sono immaginato in un certo modo e
spero di averlo reso bene xD. In quanto al ballo…e io che pensavo di aver fatto una schefezza!!!
Ruchan:
e allora ben venuta su EFP cara mia!!! xD..tranquilla
no problem..sono contenta che ti piaccia e che sia
scorrevole (le mie prime ff non lo erano affatto, e
anche la mia profe di italiano lo diceva…naturalmente
non leggeva le ff ^_^)..alla prossima!!!
Recensioni per i preferiti (nuovi):
Ruchan
Imkira
Recensire non costa nulla e fa felici gli scrittori
La bestia avanzava silenziosa fra le
tende dei soldati, mentre questi dormivano ignari della sua presenza. Il lieve
vento gli muoveva i peli rossicci, mentre le labbra si contorcevano in un
ghigno di felicità assurda, mostrando i denti aguzzi e affilati. Un movimento
vicino la fece voltare, il respiro affannoso che aleggiava nell’aria. Si
nascose dietro una botte, ad aspettare. Le passarono vicino due guardie, le
quali discutevano di cosa dire ad una donna per conquistarla. L’uomo più basso
sembrava quasi inesperto, e la bestia se ne compiacque sogghignando. Sgusciò
veloce e silenziosa fuori dal suo nascondiglio e si avvicinò alla tenda che
l’aveva attirata fin dall’inizio. Si guardò attorno, sperando che l’unica
guardia che stazionava era quella davanti all’entrata. Una volta sicura si
avvicinò cauta alla guardia, la quale era sul dormiveglia. La mezzanotte era
passata, ed era ovvio che quegli essere, da lei chiamati così, avessero sonno.
Mise un piede in fallo e fece rumore. La guardia trasalì ma non fece in tempo a
fare niente che la bestia gli saltò alla gola, sgozzandolo. La guardia cadde a
terra, senza vita. La bestia la nascose tra dei cespugli ed entrò, scostando
uno dei lembi della tenda. L’interno era completamente buio, e una bacinella
d’acqua sporca di sangue era adagiata a terra. Delle fasce pulite invece erano
appoggiate ad una sedia; quelle sporche a terra. In fondo alla tenda, la quale
possedeva solamente un armadio e un tavolo, c’era un letto, sul quale era stesa
una figura. Ansimava, e le coperte erano sporche di sangue rappreso. cercò di
non far rumore e si avvicinò, mesta. fatto qualche passo sorrise e una luce
sprigiono dalla bestia. I peli caddero al suolo, lasciando lo spazio a una
pelle rosea e tiepida. La criniera si trasformò in una capigliatura quasi
d’oro, che ricadde sul corpo della figura dolcemente. Il torace divenne più
piccolo, lasciando crescere due piccole protuberanze all’altezza del seno;
mentre un abito di lino bianco, leggero, andava creandosi. Sorrise, e le labbra
fecero trasparire de denti bianchi come la neve. Si avvicinò di più al ragazzo
che dormiva, agitato. Gli accarezzò la guancia, e il giovane fremette. Era
fredda, e la pelle poteva sembrare trasparente. Si sedette accanto a lui e lo
osservò attentamente. Segni vaghi le ricordavano Morzan, e a quel pensiero una
lacrima d’oro gli scese lungo la guancia. Guardò l’entrata della tenda per
assicurarsi che nessuno ci fosse, poi pronunciò qualche parola nell’antica lingua.
Il giovane aprì lentamente gli occhi, mostrando due iridi azzurre. Si mosse
appena ma la figura lo fermò con le mani. Gli sorrise.
- Sei messo male vero? – la voce
della figura era esile e dolce, ma con un accento duro e privo di animo.
Lui la guardò senza capire chi
stesse parlando. Era Elvin? Oppure Nasuada? O ancora qualcun altro? Non lo
sapeva, riusciva solo a percepire il calore di un’altra persona accanto a sé.
La figura mise un pezzo di stoffa
nell’acqua gelida e gliela mise sulla fronte, senza smettere di sorridere. Quel
sorriso aveva qualcosa di spaventoso, ma anche attraente.
- Sai..pensavo fossi più
forte..invece ti hanno steso in men che non si
dica..-
Murtagh si mosse a quell’offesa, ma
il dolore alla schiena lo fece tornare immobile. Soffocato.
Lei gli toccò i capelli: - Non ti
agitare, figlio di Morzan, o peggiorerai la situazione. – si fermò, lasciando
Murtagh sulle sue, poi disse: - Tranquillo, sono qui per aiutarti. –
Murtagh si accigliò. Qui per
aiutarlo? Ma chi era quella figura indistinta che vedeva? Quell’oro che
emanavano i suoi capelli di chi erano? Non ricordava nessuno che avesse i
capelli così, ma allora chi era?
Provò a mettersi a sedere e a
malapena ci riuscì.
La figura gli bagnò gli occhi e pian
piano il giovane ricominciò a vedere. Davanti a lui c’era una ragazza
bellissima. Gli occhi di un viola intenso facevano contrasto con la chioma
d’oro che le ricadeva sulle spalle, fino alla schiena. Indossava un leggero
abito bianco che le faceva trasparire la sottoveste, anch’essa bianca. Ai piedi
non portava niente, mentre al polso sinistro si trovavano cinque bracciali,
tutti sulla sfumatura del rosso.
Provò a parlare ma dalla bocca non
gli uscì alcun suono. Abbassò lo sguardo, cercando di concentrarsi su delle
pieghe del letto.
- Galbatorix ti attende ad Urù-baen,
e non intende aspettare oltre. Ha bisogno di te per battere i Varden, e finché
rimani qui li sei solo d’intralcio. – smise di parlare, aspettandosi una
reazione del moro, ma quando questa non arrivo, allora disse: - Io posso
aiutarti a scappare, ma non subito. Prima Galbatorix vuole riuscire a liberare
Castigo e creare un esercito per attaccare i Varden il prima possibile. Pensa
che così i Varden verranno presi alla sprovvista e costretti a scappare. – lo
guardò negli occhi e Murtagh fu costretto a fissarla, imbambolato.
Non voleva rimanere dai Varden
ancora, ma l’idea di ritornare a combattere per Galbatorix lo riluttava.
Strinse un lembo della coperta, poi, sforzandosi, disse: - Come pensa di
riuscirci? – probabilmente si avvicinava l’ora in cui anche Galbatorix entrava
in azione; e per la prima volta, lo avrebbe visto combattere sul dorso del suo
drago nero. Scosse la testa. No, mancava ancora molto a quel giorno.
La ragazza si alzò e andò a dare
un’occhiata fuori dalla tenda. Non c’era nessuno e questo la tranquillizzò.
Tornò da Murtagh e si sedette nuovamente sul letto.
Prese un profondo respiro e
ricominciò a parlare: - Inizialmente mi ha mandata a cercarti, quando ha saputo
che stavi viaggiando verso i Varden con una ragazza, che a mio parere non è
pericolosa. Vi ho seguito fin qui. Non ho mosso un dito quando ti hanno
catturato, anche se avrei potuto ucciderli in un colpo solo, perché mi era
stato espressamente chiesto di non farlo..-
- Da chi? – domandò Murtagh
corrugando la fronte.
- Questo non deve interessarti, non
per adesso almeno..- si guardò per un attimo una piega del vestito, poi tornò a
fissare Murtagh – Per prima cosa vuole che tu ne resti ancora qui per un bel
po’, e che faccia la parte della vittima. Dovrai soffrire un po’, ma così
avremmo la scusa per attaccare i Varden..-
Il moro fece per protestare quando
la ragazza lo zittì con un gesto del dito. Poi continuò: - Riguardo a Castigo
so dove lo tengono prigioniero ma se lo liberassi subito tu verresti
sicuramente ucciso, e non è ciò che vuole il re. Per questo anche lui dovrà
aspettare un po’. Però..- si voltò e da una sacca tirò fuori una pietra rossa.
Gliela diede a Murtagh: - Questo è il Cuore dei Cuori del drago di tuo padre,
Murtagh. Il drago vi ha infilato la sua linfa vitale prima di spirare l’ultimo
respiro. Con questa sarai in grado di comunicare con Castigo, dato che i due
draghi si assomigliano. – lasciò la pietra nelle mani del moro, che la osservò
con attenzione.
Stava tenendo in mano il drago di
suo padre. Suo padre che aveva sterminato tutti i Cavalieri con l’aiuto di QUEL
drago che adesso stringeva fra le dita. Una rabbia incontrollabile lo pervase e
la voglia di spaccare in terra quel Cuore era incredibile. Poi rigettò indietro
la rabbia e cercò di tranquillizzarsi. Almeno così avrebbe potuto comunicare
con Castigo quando voleva.
- Ma come farò a tenerlo nascosto? –
chiese una volta osservata la dimensione del Cuore dei Cuori. Sicuramente i
Varden se ne sarebbe accorti. E per lui sarebbe stata la fine. Non gli
importava molto la sua vita, mentre quella che gli stava realmente a cuore era
quella di Castigo. Il suo drago.
La ragazza si alzò e fece un passo
indietro. Poi disse: - Troverai il modo. Magari dalla a Castigo...lui la può tenere
nascosta meglio di te..- detto questo si avviò verso l’uscita della tenda. Ma
si fermò. Si voltò e con un sorriso disse: - Il mio nome è Shiel – detto questo
uscì di corsa.
Una volta lontano dalla tenda si
ritrasformò nella bestia che era prima. Un lupo bianco grande quanto un orso,
dalla cui bocca uscivano due zanne lunghe quanto i denti di un tricheco. La
coda folta di muoveva veloce nel buio. Gettò un ultimo sguardo alla tenda e,
con un sorriso stampato sulle labbra, corse via. Lontano. Forse da Galbatorix.
Quando aprì gli occhi il sole era
già alto nel cielo, e la confusione che i soldati facevano fuori dalla sua
tenda era assordante. Elvin si stropicciò gli occhi e si mise a sedere, facendo
scendere la coperta fino in fondo ai piedi.
Si stiracchiò e, alzatasi, si
diresse verso il catino che Nasuada le aveva fatto portare per lavarsi. Vi si
infilò dentro. L’acqua era gelida e la ragazza rabbrividì. Si immerse
completamente, e i capelli ondeggiarono entrando nell’acqua.
Dopo poco sentì dei passi avvicinarsi
e uscì con la testa fuori dall’acqua, comprendoni le parti intime.
Vicino al letto si trovava una
ragazza mora e alta. I viso era allungato e sottile, mentre le orecchie si
allungavano per finire con una piccola punta. “Deve essere un elfo” pensò Elvin
tirandosi su, a sedere.
- Cosa vuoi? – chiese, assumendo un
tono aspro. L’aveva comunque interrotta mentre faceva il bagno.
L’elfa si avvicinò, piano. La sua
bellezza era insuperabile. Poi disse: - Tu sei Elvin vero? Io sono Arya,
principessa di Ellesmèra. Ti vuole Nasuada..- detto questo fece un leggero
inchino e uscì dalla tenda.
Elvin si immerse nell’acqua fino
alle labbra e fece qualche bollicina. Certo che tra quella gente ce n’erano di
tutti i tipi.
Raggiunse Nasuada dopo quasi un’ora.
Non aveva voglia di rincontrare quella donna. Già dal primo giorno che l’aveva
vista le era rimasta antipatica. Dopo quello che aveva fatto poi ancora di più.
Davanti al tendone rosso
stazionavano i soliti Falchineri, da cui la “signora cioccolata” non si separava
mai.Appena arrivò davanti ad essa i
Falchineri la bloccarono e, solo dopo averla annunciata, la fecero entrare.
All’interno si trovavano alcuni capi
guardie o ufficiali, compreso Jormondur e l’elfa che era entrata nella sua
tenda prima. In un angolo, lontano dagli altri e accanto alla testa di Saphira
che sbucava da sotto la tenda, c’era Eragon. In mano teneva la sua spada blu,
che rigirava affannosamente fra le dita. Il pomello della spada riluceva di una
luce sua. Saphira, accanto, la osservava incantata; ed Elvin fu costretta ad
abbassare lo sguardo, non riuscendo a sorreggere quello del drago.
Sullo scranno, in mezzo alla stanza,
sedeva Nasuada. Imponentee bella come
una regina. Quello spettacolo le fece ribrezzo, pensando a cosa le aveva detto
il giorno prima. “Non fare mosse false, rimani nella tua tenda e stai calma.
Questi sono gli ordini, Elvin Filiathin. Ricorda che sono io, che ho in mano il
potere qui.” Già, era lei che aveva in mano la situazione. Eppure lei non
voleva sottomettersi a quella donna. No, non l’avrebbe mai fatto.
Si avvicinò di poco e poi, facendo
un inchino, disse le parole di buona salute nell’antica lingua, come le aveva
insegnato Eragon; il quale si voltò guardarla quando sentì la sua voce.
Quando si rialzò, Nasuada la stava
osservando scura in volto. Poi, con voce alta e fiera, degna di lei, disse: -
Ieri sono stata clemente con te, dicendoti di andare nella tua tenda, mentre
avrei potuto benissimo farti arrestare o ucciderti. Ma ti avevo avvertito che
la tua azione avrebbe portato ad una punizione degna di nota. O sbaglio? – la
guardò interrogativa, aspettando risposta.
Elvin abbassò lo sguardo e mormorò
un lieve “Si”.
Nasuada si alzò dallo scranno.
Avvicinandosi alla ragazza: - Tuttavia, ho riflettuto molto sulle tue azioni, e
sono giunta alla conclusione che non sempre il male vien per nuocere. – sorrise
e le mise una mano sulla spalla.
La ragazza alzò la testa e incontrò
gli occhi quasi neri della donna. Non capiva. Dove voleva arrivare? Forse
l’aveva perdonata? Ma se così fosse per quale motivo? Forse la stava solo
prendendo in giro?
In quel momento intervenne
Jormondur, dicendo: - Abbiamo discusso tutta la notte. Abbiamo analizzato ogni
dettaglio della tua vita e della relazione che c’è con il figlio di Morzan. La
quale potrebbe tornarci utile..-
Elvin lo squadrò dubbiosa. Cosa
intendeva dire? Volevano approfittare del suo amore per dei loro scopi?
Nella discussione si intromise un
altro uomo. Aveva la barba lunga e rossa e una mano mozzata, mentre la sua voce
era roca e chiusa: - Abbiamo pensato che col tuo aiuto potremmo ingannare
Murtagh e costringerlo a portarci fino da Galbatorix. Così da permetterci di
sconfiggerlo facilmente..-
- Ma la cosa riguarda soprattutto
te, Elvin Filiathin. – concluse Nasuada, sospirando – In questo modo abuseremo
dei tuoi sentimenti per permetterci di sconfiggere Galbatorix e portare la pace
in tutta Alagaesia. Certo, una volta sconfitto il re tu potrai stare in pace
con Murtagh, anche se non penso che gli abitanti di Alagaesia lo lasceranno
vivere in pace. Ma è anche probabile che lui cominci a odiarti per questo. Ed è
sempre per questo che ti abbiamo fatto venire qui stamattina, per riceve il tuo
consenso. – disse infine, sedendosi nuovamente sullo scranno.
Elvin abbassò lo sguardo, mentre
sentiva su di sé gli sguardi di tutti i presenti; compreso quello di Eragon.
Strinse i pugni. Davvero volevano giocare con i suoi sentimenti? Davvero erano
disposti a tanto pur di raggiungere i loro obbiettivi? Era vero che riguardava
il futuro di Alagaesia ma come poteva, lei, che si era sempre aggrappata
all’amore e alla vita per andare avanti, giocare con i propri sentimenti, ma
soprattutto con quelli di qualcun altro..chiuse gli occhi, cercando di rimanere
calma. Se avesse accettato probabilmente avrebbe davvero aiutato a portare la
pace nel regno, ma a quale costo? Doveva tradire la persona che amava?
Scosse la testa: - No..mi spiace ma
non accetto..non giocherò con i sentimenti miei né con quelli di
Murtagh..qualunque sia l’esito di ciò. – era decisa, ma la sua voce tremava, se
ne era accorta. Ma più cercava di tranquillizzarsi, più si trovava a mormorare.
Eragon parve accorgersene, perché si mosse sulla sedia, alzandosi.
Jormondur si alzò dalla sedia,
dicendo: - Ma pensaci! Grazie a te tutta Alagaesia potrebbe tornare a fiorire!
A vivere in pace! – era sconvolto, lui avrebbe sicuramente accettato – Non puoi
pensarci ancora un po’!? Anche noi a volte siamo costretti a fare cose che non
ci piacciono, ma lo facciamo così da aiutare tutta Alagaesia! Non puoi..- si
fermò quando Nasuada lo zittì con un gesto della mano.
La ritrasse e disse: - Questa è
stata la sua scelta, e noi non possiamo farci niente. È libera di scegliere la
via che le sembra più giusta, benché noi non la comprendiamo fino in fondo.
Tuttavia devo ribadire che se non accetterai dovrai comunque subire una
punizione, che ti avverto non sarà piacevole. – disse con tono amaro in bocca.
Non le piaceva cosa stava facendo. Ma era la volontà del consiglio, e lei non
poteva tirarsi indietro.
Elvin sorrise, accigliando un
sopracciglio. La stavano usando: - Così è un ricatto, non ti pare? – le dava
del “Tu”, oramai non le importava nulla del rango di quella donna, che per un
attimo aveva pensato avesse buon senso.
Nasuada trasse un respiro profondo,
poi, sicura, parlò: - No. Forse lo è per te ma non per noi. Non esistono più
ricatti in questa guerra. Tutto è lecito in battaglia, e la nostra è una lotta
alla sopravvivenza e alla libertà al tempo stesso. Nessuno può permettersi di
fare i propri comodi senza pagarne le conseguenze. Noi eravamo pronti a
dissolverti dalla colpa se tu avessi accettato la nostra offerta, ma ciò non è
accaduto. Mi dispiace ma così stanno le cose. Non ci avevi pensato quando hai
intrapreso il tuo viaggio per arrivare fino a noi? Pensavi forse che una volta
qui avresti potuto passare parte della tua vita in felicità? O pensavi che noi
Varden fossimo come raccontano le leggende? Impavidi e invincibili. Bé se è
così allora sei ancora una bambina, perché le favole non esistono e nessuno è
invincibile. – sospirò, cercando sostegno nello sguardo dei presenti, poi
concluse: - Ti rifaccio ancora una volta la domanda: sei intenzionata ad
aiutarci, facendoci usare i tuoi sentimenti per i nostri obbiettivi? – tacque,
aspettando una risposta.
Elvin non rispose, semplicemente
faceva scorrere il suo sguardo da un uomo all’altro che sedevano in quella
stanza, osservandone il portamento. Alla fine si fermò a guardare Eragon. Il
ragazzo era al suo posto. Non aveva proferito parola al riguardo, né l’aveva
difesa né si era schierato contro di lei. Da una parte lo ringraziò, ma
dall’altra avrebbe preferito un po’ di sostegno.
Infine alzò la testa, orgogliosa. La
decisione l’aveva fatta, e poteva solamente sperare che anche agli altri
andasse bene. Parlò con voce alta: - Io non voglio abusare dei miei sentimenti.
Non sono cose con cui si può giocare. Però posso aiutarvi a uccidere
Galbatorix, se è questo che volete. Potete decidere voi se punirmi o no per ciò
che ho fatto, ma io sono fiera di me stessa e sono sicura che ho fatto la cosa
giusta ieri notte. Se fosse stato per voi l’avreste lasciato morire. Bene,
allora fatelo, ma prima dovrete uccidere me, e dimostrarmi che avete un buon
motivo per fare ciò che fate. E ciò non riguarda solo il destino di Alagaesia.
Ho sentito delle guardie l’altro giorno, dire che volevano che Murtagh morisse,
siccome aveva ucciso Rotghar, re dei nani. Bene! Quindi è per vendetta che
uccidete la gente! Come Galbatorix, più o meno. – attese qualche reazione da
parte degli ascoltatori, ma non accadde nulla, oltre a qualche borbottio.
Poi fu un nano a parlare: - E come
pensi di aiutarci a sconfiggere Galbatorix? – chiese, guardando Eragon.
Elvin sapeva che quello era il nuovo
re dei nani. Lo era diventato da poco e il suo nome era Orik. Probabilmente era
stato lui a parlare siccome Rotghar era suo padre. Trasse un profondo respiro,
poi disse: - Mio padre parlava sempre di Urù-baen quando ero piccola, e una
volta mi ci portò perché doveva andare là per questioni di lavoro. Conosco ogni
strada di quella città, e anche ogni passaggio segreto. L’unico problema è che
molti sono chiusi da barriere magiche. – guardò il nano – Perdonami se ti ho
offeso in qualche modo, ma è la verità dato che trattare le persone allo stesso
modo di Galbatorix..-
Jormondur fece per protestare ma
Elvin lo fermò con un movimento del polso, poi continuò: - Lo so cosa vuoi
dirmi. Siamo in guerra e tutto è lecito. Ma quindi, secondo i vostri
ragionamenti, sarebbe anche giusto uccidere un bambino innocente figlio di un
ufficiale del re, ad esempio. Ma non lo è. Non è giusto uccidere un bambino
perché non può combattere. E fin qui ci arrivate anche voi. Ma le cose stanno
così. La mia metafora è appropriata e Eragon lo può costatare. – indicò Eragon
con la mano, che la guardò interrogativo. Poi capì dove voleva arrivare.
Si alzò e andò davanti a Nasuada,
accanto ad Elvin. – Elvin ha ragione, da una parte. Mia signora, lascia che io
e la ragazza andiamo fino alla fortezza di Galbatorix per riuscire a rompere le
barriere di protezione. Penso di esserne capace con l’aiuto di Saphira. –
disse, facendo un lieve inchino.
Elvin lo ringraziò con la mente. Non
era proprio ciò che aveva sperato, ma poteva andare.
Nasuada guardò Eragon, poi tornò a
guardare la ragazza. Dopo qualche minuto di silenzio disse: - Tu sei d’accordo
ad andare fino ad Urù-baen con Eragon? –
Elvin annuì.
Poi la donna bruna si rivolse al
giovane: - Quanti sarete? –
- Io e lei, dobbiamo essere veloci e
scaltri, se fossimo in tanti ci scoprirebbero..- disse. Saphira, intanto, si
leccava una zampa, indifferente a quella discussione. Per lei bastava stare con
Eragon.
Nasuada abbassò lo sguardo,
sospirando: - Con te può venire anche Roran? In due siete pochi, mi spiace. –
disse, convinta che Eragon avrebbe accettato di sicuro.
Eragon strinse le spalle: - Per me
va bene..quando dobbiamo partire? – chiese infine
Nasuada sorrise: - Appena potete e…Eragon! Prima di andare, ricordati che dovete riparare la
tenda di Ghritgh. –
Eragon sorrise:- Non l’ho
dimenticato! – detto questo uscì con Elvin.
Una volta fuori la ragazza disse: -
Grazie per avermi aiutata, Eragon..- gli sorrise.
Lui ricambiò il sorriso, annuendo: -
Era mio dovere..- abbassò lo sguardo – Però ti ho messo nei guai..Urù-baen è
pericolosa..se vuoi..ci andiamo tutti e due ma poi entro solo io..-
Lei scosse la testa, e i capello
ondeggiarono piano: - No. Mi sono presa un impegno e lo porterò a termine. Sono
venuta qui con l’intenzione di aiutare i Varden a sconfiggere Galbatorix. E non
lo posso certo fare standomene qui senza fare niente, ti pare? E comunque mi
hanno risparmiata. Devo essergliene grata..- guardò il sole, era alto nel cielo
ed era ora di pranzo. – Scusa ci vediamo stasera al banchetto! – gli diede un
legger bacio sulla guancia e andò via.
Eragon rimase lì, a fissarla andare
via. Mentre la sua mano andava lentamente alla guancia. Guardò la sua immagine
riflessa in un secchio d’acqua: era arrosito.
Finito! Qui le cose si sbloccano
visto? Certo andare a Urù-baen! Che paura! ^_^
Ringraziamenti:
stefy_81:
punizione per
Elvin? Eheh..eccola qua! più che Nasuada l’ha decisa
Eragon! ^_^..comunque si..qui i Varden sono veramente cattivi..volevo dare l’idea
di altri Varden..e non solo quelli buoni che aiutano i poveri. E poi io Nasuada
me la immagino così ^_^. In questo capitolo ci sono tutte le risposte..xD
Martyx1988:
abbasso il
cioccolatino! ^_^
Veri_lupi:
sono contenta che
ti piaccia! Ed ecco a te quello dopo! Che dici? È bello anche questo? *dabacino*
Ruchan:
siete tutti d’accordo
con Elvin! Bene! Sono contenta! Perché anche io lo sono! U_U
(abbasso il cioccolatino!)
Per chi
volesse votare contro il cioccolatino è pregato di farlo
Nelle recensioni…U_U
Recensire non costa niente e fa felici gli scrittori
Eragon camminava fra le file di
tende intento a toccarsi la guancia. Al suo fianco Saphira lo seguiva. Era
stato baciato da una ragazza, o meglio, una ragazza gli aveva dato un bacio sulla
guancia. Si schiaffeggiò, pensando a quanto potesse essere stupido. Un bacio
sulla guancia non voleva dire nulla! Svoltò verso il centro dell’accampamento,
diretto alla tenda di Ghritgh. Una volta, durante la battaglia contro Castigo e
Murtagh, Saphira era piombata sopra la sua tenda, costruita con legno e
mattoni. In effetti più che una tenda poteva sembrare una casa. All’interno
però si trovavano enormi forni, che venivano spesso utilizzati dai Varden per
forgiarvi delle spade. Ghritgh era un vecchio mugnaio che abitava lì fin da
prima che i Varden giungessero nel Surda. Non era schierato dalla parte di
nessuno, benché odiasse Galbatorix con tutto se stesso, però se serviva aiuto
lo dava volentieri, soprattutto se era Nasuada a chiederglielo. Amava quella
ragazza, l’aveva vista crescere e aveva aiutato i suoi genitori a tirarla su. E
adesso che era diventata adulta, per lui era come essere riuscito a impastare
il più grande pane del mondo. Viveva da solo nella sua “tenda”, ma adesso che
essa non aveva più il tetto era costretto a convivere con una famiglia di
Varden che risiedeva accanto a lui. Erano in quattro. I genitori più i figli.
Eragon non li conosceva bene, ma poteva dire che erano brave persone.
Mentre camminava una mano si posò
pesantemente sulla sua spalla. Eragon trasalì e si voltò di scatto, mettendo
mano sull’elsa della spada. Si tranquillizzò quando vide chi lo aveva toccato.
Era Ghritgh, che rideva come un forsennato contento di avergli fatto paura.
Indossava una casacca rossa, decorata con degli intrecci di fili di colori
diversi. Dal collo gli pendevano due grosse collane d’oro, mentre due grandi
orecchini a forma di occhio scintillavano alla luce del sole. Le braghe erano
di un verde accesso, tenute ferme da un grembiule sudicio di farina.
Eragon sbuffò. Odiava quando faceva
così.
Ghritgh gli mise una mano intorno al
collo, poi disse: - Sei venuto qui per ripararmi il tetto finalmente? – sorrise
e i capelli unti e scuri gli ricaddero davanti al viso. Poi, però, scostandoli
e tornando serio disse: - A parte gli scherzi, ho saputo che andrai ad
Urù-baen. Devi stare attento, Eragon, lì si concentra tutto il potere di
Galbatorix. – parlava sottovoce, come se non volesse farsi sentire nemmeno da
una mosca.
Eragon scostò il braccio dell’uomo dalla
sua schiena e si diresse verso la casa. Una volta davanti, disse: - Lo so, ma è
l’unico modo per far si che i Varden abbiano una possibilità. Non piace nemmeno
a me l’idea ma è ciò che devo fare..- guardò Saphira, poi tornò a osservare il
tetto semi distrutto – Ma tornando a noi, è davvero messo male il
tetto...-
Ghritgh si mise le mani sui fianchi,
e disse: - Si. Tu e Saphira avete proprio fatto un bel macello. Pensa che mi ci
era voluto quasi un anno per costruirlo. Ma per fortuna non si è sciupato nulla
all’interno. Comunque..- schioccò la lingua – Sei un Cavaliere dei Draghi no?
Sarà facile per te mettere tutto a posto. Giusto? – lo guardò con occhio
obliquo, come aspettandosi una risposta.
Eragon si limitò ad alzare le spalle
ed entrò nella casa. Ghritgh aveva ragione, l’interno era ancora tutto intatto.
Dopo poco il sole che filtrava
attraverso il tetto rotto, svanì e, alzando la testa, Eragon si accorse che
Saphira stava guardando dentro. Sperò che non facesse altri danni poi chiamò
Ghritgh.
L’uomo arrivò correndo, mentre il
grasso ballava ad ogni suo passo. – Cosa c’è? – chiese, guardando anche lui il
tetto.
Eragon indicò il tetto: - Che forma
aveva? – non era sicuro di riuscire a rimontarlo com’era prima. Sicuramente una
cosa fatta con la magia in pochi istanti era peggiore di qualcosa fatto con
fatica per un anno.
Ghritgh guardò il soffitto,
pensieroso. Dopo qualche minuto disse: - Era più o meno fatto a triangolo, ma
aveva qualche sporgenza..- guardò Eragon, che cominciava ad agitarsi, poi sorrise:
- Ma non importa che sia come prima, fidarti! – detto questo e avendogli tirato
una pacca sulla spalla uscì, dicendo che sarebbe tornato verso sera.
Eragon si sedette su una sedia che
era l vicino. Probabilmente non gli sarebbe bastata tutta la giornata per
rimettere a posto il tetto. Ne osservò le dimensioni e emise un leggere guaito
quando si accorse di quanto era grande la “tenda”. Si mise la testa fra le mani
e disse, mentalmente, a Saphira. Certo
che questa volta l’hai combinata grossa! Prima lo Zaffiro Stellato, ora questo!
Mica
è colpa mia se quel vermiciattolo di drago rosso mi è venuto addosso. Ringhiò lei. E comunque lo Zaffiro Stellato l’ho riparato! E adesso è ancora più
bello!
Si,
si, c’hai ragione. Come sempre..sbuffò
Eragon alzandosi. Mettiamoci a lavoro!
Saphira! Avrò bisogno del tuo aiuto quindi smettila di pulirti e dammi una
mano! Disse lui guardandola.
Saphira sbuffò, poi scomparve dalla
volta e il sole ricominciò a spuntare dalle travi del tetto ancora intere. La
testa della dragonessa sbucò da una finestra e si accoccolò l’ vicino. Ok, piccolo mio.
Cambi
facilmente in questo modo? Chiese
sorpreso del cambiamento di carattere della dragonessa.
Quella fece un leggero rumore senza
però rispondere.
Eragon sospirò e cominciò ad analizzare
il tetto. Le travi erano di un legno antico, quasi ammuffito se non fosse stato
per una magia che lo proteggeva. Era di un legno pregiato, oltretutto. Sbuffò.
Sarebbe stato ancora più difficile ricostruire il tetto. Mi sa che non potremmo fare tutto con la magia. Disse rassegnato.
Ma
ci sono io qui. Ribatté
la dragonessa, leccandosi una zampa.
Già..mormorò Eragon. Dopo aver preso un
grosso respirò dilatò la mente, in cerca anche del più piccolo essere vivente
nei dintorni, così da poterne trarre forza. Ne prese da alcuni scoiattoli, da
qualche pianta e da un corvo che volava lì vicino. Un nodo gli si strinse in
gola. Stava ancora utilizzando energia altrui per i suoi scopi; ma fu
abbastanza intelligente da nonutilizzare tutta la loro energia vitale.
Quando arrivò la sera Eragon era
distrutto, e anche Saphira si sentiva prosciugare le forse.
- Forse abbiamo esagerato. – disse
Eragon rivolto alla dragonessa.
Quella sbuffò, e una leggera
nuvoletta le uscì dalle narici. Forse.
Uscirono dalla casa trascinandosi
sulle gambe. Non aspettarono nemmeno che tornasse Ghritgh. Erano troppo stanchi
e Eragon gli aveva lasciato un biglietto sul tavolo. Non erano ancora riusciti
a riparare del tutto il tetto, ma erano a buon punto e Eragon aveva promesso
che sarebbe passato a finire il giorno dopo.
Una volta giunti alla tenda Eragon
si gettò sul letto, stanco. Gli girava la testa e l’idea che doveva andare a
cenare da Nasuada lo disgustava.
Si mise lateralmente e chiuse gli
occhi. Sognò sua madre, anche se non l’aveva mai vista. Era rappresentata da un
alone luminoso. Poi apparve Brom, vicino a Selena. Erano abbracciati, e in
mezzo a loro c’era un bambino. Era biondo. E Eragon vide per la prima volta
cosa sarebbe accaduto se avessero vissuto una vita normale, e Morzan non
avrebbe diviso i due amanti. Pianse, lo sentiva, ma non riusciva comunque a
fermarsi. Quanto avrebbe voluto rivedere Brom..ancora una volta.
I raggi del sole lo accecarono
quando trapassarono il leggero tessuto della tenda. Si mise a sedere e si stropicciò
gli occhi. Non era andato alla cena la sera prima. Chissà cosa avrebbe pensato
Nasuada a proposito.
Scosse la testa e si alzò. Si lavò e
si mise delle vesti pulite. Saphira lo aspettava fuori, a crogiolarsi al sole.
Quando uscì dalla tenda li lo salutò
con un grugnito.
- Giorno anche a te – rispose lui
sorridendo.
Andò verso le cucine e prese un
pezzo di pane che era sul bancone. Fece per dirigersi verso la casa di Ghritgh
quando qualcosa si strusciò sulle sue gambe. Solembum lo guardò con i suoi
occhi rossi e miagolò.
- Cosa c’è? Adesso non ho tempo per
i tuoi indovinelli..- sbottò Eragon infastidito. Quella giornata era iniziata
davvero male per lui.
Il gatto mannaro lo guardò storto,
poi, con uno scatto felino, se ne andò.
Eragon non era mai riuscito a capire
alla perfezione quell’animale. E inoltre detestava i suoi indovinelli, anche se
quello sull’albero di Menoa si era rivelato utile.
Scrollò le spalle e ricominciò a
camminare. Il sole picchiava forte sulla sua schiena e cominciò a sudare dopo
poco.
Saphira lo seguiva silenziosa
dietro, osservando ogni uomo che le passava vicino.
Finì di mangiare il pane e anche
quella giornata la passò a rimettere a posto il tetto. Gli ci vollero altri tre
giorni primadi riuscire a finirlo.
Una volta finito Ghritgh lo
ringraziò e Eragon si diresse verso la sua tenda, ancora una volta stanco.
Mentre camminava incrociò Arya.
Andava al padiglione di Nasuada e Eragon le chiese il perché. L’elfa accennò
solo ad una riunione straordinaria, alla quale però lui non era invitato.
Eragon fu grato di questo e, una
volta arrivato alla sua tenda, si addormentò dopo poco.
Quella notte non sognò niente.
Questo capitolo è simile ad un break,
spero che sia comunque di vostro gradimento ^_^ e scusate davvero tanto per l’incredibile
ritardo ma non ho davvero avuto tempo per postare questo capitolo dato che gli
altri due seguenti sono già pronti.
Scusate.
Ringraziamenti:
Martyx1988:
grazie bella! Mi sono
divertita molto a scrivere quel pezzo soprattutto perché quella figura mi piace
un sacco! Ecco a te il capitolo, che dedico a tutti i miei lettori! xD e scusa ancora per il ritardo.
veri_lupi:
forse questo capitolo è
un po’ peggio rispetto agli altri e anche un po’ corto ma serviva a breakfare(che
termine xD) la storia. E poi un po’ di lavoro fisico
a Eragon serviva no? E’ così gracilino! Eheh
stefy_81:
povero Eragon a questo
punto! Ahah! No scherzo dai! Si, ho voluto rendere
Nasuada davvero diabolica. Non la sopporto, come mi pare di aver già detto, e
quindi l’ho resa come la vedo io. E pensare che neanche me la immaginavo come l’hanno
resa nel film. Bo, vabbè. Comunque grazie per i
complimenti cara! Davvero! Bacioni a tutti/e!!
Un saluto laramao.
Recensire non fa male a nessuno e fa felici gli scrittori
Il lavoro di rimettere a posto la casa di Ghritgh lo aveva sfiancato. L’uomo era stato gentile con lui anche se le tegole del tetto non erano proprio al loro posto.
Saphira gli trottava accanto mentre passeggiavano per il campo. Lei non lo aveva aiutato più di tanto, più che altro se ne era stata al sole, pulendosi le scaglie lucenti.
Alcuni soldati Varden si allenavano con le spade, mentre gli arceri si esercitavano a perforare ometti di paglia.
Arya era in un angolo del campo intenta a saggiare le corde del suo arco. Indossava un paio di brache di pelle nera, una casacca marrone infilata nella cintura che le ricadeva sulle forme leggiadre e degli stivali di cuoio nero. Al fianco la lunga spada sottile.
Eragon le si avvicinò e la salutò agitando la mano. Quella ricambiò il saluto con un movimento del capo; i capelli, legati a coda di cavallo, ondeggiarono leggermente.
Quando Eragon si sedette accanto all’elfa, Saphira si accovacciò dietro di loro, cominciando a leccarsi una zampa.
- Hai parlato con Roran? – chiese improvvisamente Arya, incordando una freccia.
Eragon scosse la testa. Aveva acquistato più familiarità con l’elfa. – Ancora no. Pensavo di farlo stasera o domani. – sapeva che suo cugino, appena tornato da una battuta di caccia ai soldati di Galbatorix, voleva passare un po’ di tempo con Katrina; e informarlo della vicinissima partenza non gli sembrava il caso.
Arya si alzò e scoccò la freccia, che si conficcò nel legno di una quercia sibilando. – Giusto. Ma vedi di farglielo sapere in tempo. Non vorrei che Nasuada si spazientisse. –
- Lo so – posò lo sguardo sulle sue mani, mentre il calore del sole gli riscaldava il viso. La missione che lo aspettava non era certo un gioco da ragazzi. Per di più metteva a rischio due persone le quali gli stavano molto care. Come gli era saltato in mente di chiedere di fare una cosa del genere? Se fosse morto per tutta Alagaesia non ci sarebbe stata più speranza. E Murtagh? Cosa gli avrebbero fatto quando lui se ne sarebbe andato? Cercò di non pensarci e chiese ad Arya: - Tornerai da tua madre? – non voleva che l’elfa se ne andasse.
Arya scoccò un’altra freccia, poi rispose osservando la sua opera. La freccia si era conficcata sopra quell’altra, tagliandola a metà. – Non lo so ancora. A quanto pare Nasuada se la cava abbastanza bene, e io non potrò stare lontana dal mio popolo tanto a lungo, ancora. Mia madre ha bisogno di me. Comunque sia – si voltò verso Eragon e sorrise: - Rimarrò qui fino al tuo ritorno. –
Eragon ricambiò il sorriso. Era felice che comunque l’avrebbe potuta rivedere. Quelli erano anni duri, e dalla morte di Garrow Eragon aveva visto talmente tante cose che si sentiva vecchio e stanco. Oromis gli aveva insegnato che la conoscenza non deriva da quanti anni uno possiede, ma da quanto intensamente vive la vita. E lui l’aveva vissuta in quel modo, fino a quel momento. Sorrise fra sé ripensando ai mesi di allenamenti passati con Glaedr e Oromis. I due maestri erano severi, e spesso lui e Saphira si ritrovavano boccheggianti a terra. Ma comunque fosse gli mancavano quei giorni. Guardò Saphira e quella gli strizzò un occhio, divertita. Aveva una certa ammirazione per Glaedr. Una forte ammirazione.
Arya lo osservò sorridere, e disse: - Ripensi ai tuoi giorni felici, cavaliere? – un colorito rossastro si disegnò sulle guancie dell’elfa.
Eragon si strinse nelle spalle, diventando rosso a sua volta. Poi rispose: - Più che altro ripensavo a Oromis e Glaedr. Sono vecchi si, ma la loro saggezza non ha confini..-
Arya si rimise a sedere e guardò davanti a sé, gli occhi perso nel vuoto. – Ci sono molte persone sagge a questo mondo, ma spesso dietro la loro saggezza si covano tremendi tranelli e agguati. Non è il caso di Oromis e Glaedr ma devi stare in guardia, Eragon. Non tutti sono tuoi amici. – la voce dell’elfa era grave e bassa.
Eragon abbassò la testa e osservò i piedi dell’elfa. Erano sottili e piccoli. Non si poteva immaginare come facesse a correre così velocemente. Comunque fosse aveva ragione. Doveva stare attento di chi si fidava, non tutti erano dalla parte giusta.
Si scrocchiò la spalla e si alzò. Aveva bisogno di riflettere. – Io vado, ho da fare. Allora..- si grattò la testa, imbarazzato – Allora ci vediamo..- si rivolse a Saphira e le disse di andare. Quella si alzò e lo seguì.
Arya lo salutò con la mano. Sei sempre più cotto. Lo stuzzicò Saphira.
Lui le scoccò un’occhiataccia obliqua. Senti chi parla. Chi è che è innamorato del dragone d’oro? I draghi non si innamorano! Ribatté la dragonessa. No infatti, e io sono Galbatorix. Se tu fossi Galbatorix io non mi sarei schiusa.
Eragon la guardò esasperato, poi decise di non continuare quella discussione, già era inutile di suo.
Camminarono lungo il fiume Jiet per un po’, poi Eragon si mise a sedere su di un masso sulla riva. Saphira gli si mise accanto.
- Sai..ora che ci penso Brom mi manca molto..da quando se ne è andato c’è come un vuoto dentro di me..- disse lui, giocando con un bastoncino. Quando qualcuno ti lascia è sempre doloroso. E ora che sappiamo la verità la cosa è anche più tragica. Rispose la dragonessa con uno sbuffò di fumo.
Eragon sospirò. – Già. Ancora mi chiedo perché Oromis e Glaedr ce lo avessero tenuto nascosto. – Forse non volevano che tu ti distraessi con quei ricordi. Quei pensieri. Sai..quando un cavaliere non riesce a concentrarsi, neanche il suo drago ci riesce. E io e te saremmo stati potenti quanto un coniglio in mezzo ad un branco di lupi.
Eragon creò un cerchio di onde con il bastoncino, poi lo fece roteare verso destra, creando altri due cerchi. Fece lo stesso tre volte, infine davanti a lui si stagliò l’immagine di Isidar Mithrim (non ricordo come si scrive ^^’’’). Davvero Brom era suo padre? E davvero Selena era scappata per metterlo in salvo? Anche l’idea che sua madre potesse essere la Mano Nera di Morzan non lo faceva certo stare meglio.
Saphira lo tranquillizzò con delle immagini e quando si sentì meglio si alzò: - Andiamo da Roran..-
La dragonessa si alzò e cominciò a camminare.
Fortunatamente i Varden avevano smesso di seguirli e di chiedere benedizioni ogni volta che li incontravano. Eragon ne era stufo ma si era esonerato dal dirlo a Nasuada. Mai lagnarsi troppo con lei.
Roran era seduto su un ceppo abbattuto, Katrina davanti a lui che raccoglieva dei fiori. L’aveva sempre vista come una ragazza bellissima, e adesso l’aggettivo bellissimo le stava tropo stretto.
Da quando era stata rapita dai Ra-zac non aveva fatto altri che pensare a lei. E adesso che era davanti a lui si sentì rinascere. Incrociò le braccia e sorrise. Era tutto così tranquillo e perfetto lì, e per un secondo sperò che quell’attimo durasse all’infinito. Katrinaalzò lo sguardo e incontrò il sorriso di Roran. Rise: - Cosa c’è? – aveva una note buffa nella voce, quasi ironica.
Lui scrollò le spalle e le prese le mani tra le sue. Erano candite e morbide, al contrario di quelle di lui. Rozze, dure. Le si avvicinò e sussurrò: - Come ali d’orate nel cielo d’autunno..- poi si ritirò su, continuando a sorridere.
Lei abbassò la testa, arrossendo. Poi si alzò e si sedette accanto a Roran. Quello si voltò a guardarla. Lo sguardo di lei perso nel vuoto.
- Mia madre mi ripeteva sempre questa poesia prima di andare a letto. Diceva che faceva bene al sonno. – sorrise, incontrando gli occhi di lui. – Sai..pare che l’abbiano scritta gli elfi..-
Lui accennò ad un sorriso, poi guardò i fiori che la ragazza teneva in mano. Erano Olyvion. I fiori del bosco. Li avevano portati gli elfi, dall’oltre oceano.
Fece per dire qualcosa quando dei passi non gli permisero di parlare. Alzò lo sguardo e incontrò la figura di Eragon che li salutava muovendo il braccio. Al suo fianco camminava Saphira, imponente.
- Sempre al momento sbagliato..- borbottò lui mentre Katrina si alzava, rispondendo al saluto. Roran la imitò.
Quando Eragon li raggiunse il sorriso di Katrina sparì. Era cambiato ancora. Il suo volto era sempre più affilato, mentre le sue orecchie diventavano sempre più lunghe.
Il giovane strinse la mano al fratello, mentre accennò a Katrina con un movimento del capo.
Di getto Roran chiese: - Cosa c’è? – non aveva voglia di stare col cugino. Non adesso che poteva stare con Katrina.
Eragon lo guardò interrogativo, non capendo la sgarbatezza di Roran, ma si limitò a dire: - Devo parlarti..- guardò Katrina – E’ importante..-
Roran sbuffò e fece cenno a Katrina di aspettarlo alla loro tenda. La bronzea salutò Eragon, diede un leggero bacio sulle labbra a Roran e s’incamminò verso il centro dell’accampamento. Roran cominciò a camminare.
- E’ sempre più bella, non trovi? – disse ad un certo punto Eragon per rompere il silenzio.
Roran bofonchiò un leggero si poi, voltandosi verso Eragon e fermandosi, disse: - Ho paura per lei. Non è sicuro qui..e poi...sai..io e lei vorremmo andare a vivere in pace e formare una famiglia. E qui la cosa non è possibile. Ho promesso di servire i Varden ma fino a quando? Quanto durerà ancora questa guerra? – le sue parole erano piene di pietà, di terrore. Terrore non per lui, ma per lei. Eragon lo sapeva. Roran aveva ragione. Quella guerra si svolgeva da almeno cento anni, e ancora i Varden non erano riusciti a spodestare il re.
Abbassò la testa. La richiesta che stava per farli non l’avrebbe certo ben accettata. – Non lo so..anche per me è dura..credimi. Io e Saphira dobbiamo sopportare l’idea di dover combattere contro Galbatorix giorno dopo giorno. Non so quando giungerà la fine. Ma ti giuro che quando finalmente tutto questo finirà, tu e Katrina sarete vivi e liberi di crearvi una vostra famiglia. Hai la parola di un Cavaliere. – si, lui parlava. Ma sarebbe stato davvero così? Strinse i pugni. Doveva crederci, altrimenti tutto sarebbe finito male, su questo c’era da contarci.
Roran sorrise e gli mise una mano sulla spalla, tirandogli una lieve pacca. – Fino a qualche tempo fa non riuscivi nemmeno ad acchiappare un cervo. E adesso ti ritrovo a essere più importante di me. – si sedette su un tronco vicino ad un nido di formiche.
Eragon si sedette accanto a lui. – Ma tu copri un ruolo importante tra noi, tra i Varden..sei il grande Fortemartello! – rise. Risero insieme. Poi Roran tornò serio.
- Prima mi volevi parlare di una cosa importante. Cos’era? – lo guardò. Gli occhi fissi su quelli di Eragon. Il giovane fu costretto ad abbassare la testa. Come poteva chiedergli di aiutarlo ancora?
Saphira gli diede una botta sulla spalla, chinando il volto e facendogli l’occhiolino per intimarlo a parlare.
Eragon sospirò: - Io e Elvin andiamo a Urù-baen, dobbiamo scoprire i punti deboli della città. In due siamo pochi e deboli, e siccome Saphira non potrà entrare nella città. – sospirò, poi riprese a parlare – Abbiamo bisogno di qualcuno che ci guardi le spalle mentre distruggiamo le difese di Galbatorix. Nasuada vuole che tu venga con noi..- disse quelle ultime parole tutto d’un fiato, ritrovandosi a corto di fiato.
Roran non si mosse, semplicemente si limitò a rispondere: - E io dovrei tornare vivo per poi stare con Katrina e vivere felice? – guardò Eragon. Negli occhi ardeva un fuoco incredibili, degno di lui. – Verrò – disse poi, sicuro. La sua voce non tradiva la sua sicurezza.
Eragon alzò la testa e lo guardò sbigottito. Aveva pensato che non sarebbe voluto venire, e invece eccolo lì, pronto a rischiare nuovamente la vita per lui. Poi disse: - Come pensi che la prenderà Katrina? Sei appena tornato..- si sentiva in colpa.
Roran scrollò le spalle: - La prenderà come la prenderà. Non può obbligarmi a rimanere, e comunque sa benissimo che anche se mi legasse ad una sedia con una corda spessa due ante e con dieci nodi..- sorrise – bè..riuscirei comunque a scappare..- strinse a sé Eragon, poi si alzò. – Sono pronto a proteggere un Cavaliere dei Draghi se necessario. Soprattutto se questo Cavaliere dei Draghi è mio cugino.. Quando partiamo? –
Eragon si alzò, scuotendosi la casacca: - Domani, all’alba. Prima partiamo meglio è. Quando Galbatorix saprà che non sono qui manderà sicuramente i suoi soldati ad attaccarci. Non ha più né i Ra-zac né Murtagh con sé ma non è detto che celi qualcosa di ancora più mostruoso sotto il suo mantello..- guardò Saphira.
La dragonessa annuì e disse ad entrambi. Il male si annida ovunque. Anche dentro ognuno di noi. E non si sa mai quando questo decida di uscire allo scoperto.
Elvin aprì di colpo gli occhi. Era notte, probabilmente mancavano ancora molte ore all’alba. Si mise a sedere. Le mancava qualcosa. Sentiva come se dovesse fare qualcosa prima di andarsene. Ma cosa?
Si tirò indietro i capelli: erano sudati. Le coperte del letto erano tutte ammassate in fondo al letto, mentre il cuscino era finito a terra.
“Ho avuto un incubo?” si domandò prima di alzarsi e rimettere a posto il cuscino. L’aria della notte era fredda e pungente, ma il leggero abito di lino che aveva indosso non serviva a riscaldarla. Si strofinò le braccia e si risedette sul letto.
Il cuore le batteva regolarmente e il respiro era calmo. Ma allora cosa era quell’ansia che la ricopriva da capo a piedi? Qualcuno la stava forse osservando? Le era capitato spesso di sentirsi così quando qualcuno la osservava, da piccola. Si voltò a destra, poi a sinistra. La porta della tenda era chiusa. Non c’era nessuno. Sospirò. Non era nemmeno quello. Forse era qualcosa che aveva mangiato. No non era possibile. Aveva cenato insieme a Eragon e Nasuada, ripassando il piano d’azione che tra poco avrebbero compiuto; e non le pareva che il cibo fosse diverso dal loro.
Si sdraiò sul letto, pancia in su. Non riusciva a venire a capi di quell’enigma. Poi qualcosa dentro si sé si mosse. Murtagh.
Si alzò di colpo, infilandosi gli stivali e un mantello di pelle di camoscio, datogli da una certa Angela. Uscì dalla tenda e rimase ferma a guardarsi intorno. L’accampamento era completamente deserto, fatta eccezione di qualche sentinella e qualche gatto.
Camminò piano verso la tenda di Murtagh, facendo attenzione a non far rumore. C’era sempre la solita guardia davanti a quella, ma Nasuada le aveva dato il permesso di vederlo almeno una volta al giorno. Si diresse cero la guardia e questa, dopo aver capito chi era, la fece entrare.
La tenda era sempre la stessa, spoglia di tutto. Murtagh dormiva sul suo letto, di lato. Gli si avvicinò piano, facendo cadere il mantello a terra.
Sorrise. Quella notte non l’avrebbe abbandonato. Quella poteva essere l’ultima volta che avrebbe potuto vederlo. No, non l’avrebbe lasciato solo. “Starò con te..”
Si sedette sul letto, le mani in grembo, lo sguardo fisso sul volto del ragazzo. Quello si mosse un po’ e, incontrando con i piedi il corpo della ragazza, trasalì, mettendosi a sedere. Non indossava niente oltre ai pantaloni neri di pelle. Il petto era cosparsi di cicatrici ancora fresche, segno indiscutibile delle frustate dei Varden. Lei si alzò di scatto: - Tranquillo..sono io..-
Murtagh si rilassò, sospirando, mentre Elvin si rimetteva a sedere sul letto. Lui la guardò da sotto i ciuffi di capelli, poi brusco chiese: - Ti manda Nasuada? Eragon? –
Lei scosse la testa: - Sono qui per mia volontà. –
Murtagh si sistemò meglio, mettendosi a sedere con le gambe penzoloni dal letto. –Perché? –
La ragazza scosse le spalle, arrossendo: - Mi andava di vederti..- era la verità. Si disse.
Murtagh continuò ad osservarla, e Elvin avvampò ancora di più, poi si disse di tranquillizzarsi e il colorito sul suo volto tornò normale. Fortuna che era buio e Murtagh non avrebbe potuto vedere il cambiamento di colore del suo viso.
Rimasero immobili per un attimo, poi Murtagh disse: - Faresti meglio a tornartene a letto..non sei sicura qui..cosa penserebbe Nasuada..- quel nome gli faceva uno strano effetto. Per qualche settimana era stato sotto il controllo di suo padre, Ajihad, ma poi era stato catturato dai Gemelli e portato al cospetto di Galbatorix. Da quel giorno lo aveva servito anche senza il suo volere, seminando morte e distruzione.
Elvin scosse le spalle: - Non mi interessa cosa pensa Nasuada..e poi ha detto che una volta al giorno posso venire a trovarti..- si voltò verso Murtagh, guardandolo negli occhi, il quale, alzandoli, incrociò quelli della ragazza.
Non mancava niente. Solo un attimo fugace perso nel tempo.
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Ringrazio loro! Che mi seguono sempre!! Realmente!! GRAZIE INFITE!! Elly Mercer Ecco la prima che chiedeva di continuare presto. Realmente PERDONAMI, non saprei come farmi perdonare (chiedetemi qualsiasi cosa. Penso si veda che sono dispiaciuta…). Contenta che il capitolo ti piaccia! PROMETTO DI CONTINUARE UCCIDETEMI SE NON LO FO! stefy_81 Riguardo ai discorsi me ne sono stupita anche io rileggendoli. Dalle role che faccio su GdRs sono molto più pesanti o.o Grazie!! <3 Thyarah …ecco…una storia che non va assolutamente sospesa. Raga mi fate piangere, realmente, vorrei poteri tornare indietro nel tempo…mi dispiace…
Mi dispiace...
il cinguettio degli uccelli la svegliò dolcemente, e quando aprì gli occhi tutto intorno a lei sembrava scomparso. Non era più trai Varden e suo padre era ancora lì con lei. Sospirò e le lenzuola scivolarono a terra. Un leggero venticello la fece sussultare. Si mise a sedere, le braccia che reggevano la schiena. Il padiglione era completamente deserto. Strano che non ci fosse Elva a fissarla; solitamente la mattina l’attendeva sempre. Scese dal letto e si guardò allo specchio. Le sue forme la rendevano una donna bella, poco aggraziata però. Si toccò la pelle scura. Nuda di sentiva persa, quasi improtetta. Aprì una cassa e tirò fuori un vestito blu oltreoceano. Se lo infilò e si strinse il corpetto sopra. Poi afferrò la spada e la cintura che legò in vita, infine indossò i sandali. Si pettinò alla meglio i capelli quando Jormondur entrò nella tenda.
- Eragon, Elvin e Roran la stanno aspettando..- disse poi uscendo.
Nasuada annuì e uscì, sperando solo che il giovane cavaliere non si mettesse nei guai. Una volta fuori i Falchineri le si misero attorno e la scortarono fino al limite dell’accampamento, dove i tre giovani la stavano aspettando. Saphira giaceva accucciata accanto ad Eragon, la mano del giovane sul suo ventre.
Quando arrivò Roran si alzò dal masso su cui era seduto e s’inchinò. La donna fece cenno di alzarsi, poi disse: - Buon giorno Roran Fortemartello, Eragon Ammazzaspettri e Elvin Filiathin. Spero che non abbiate dovuto aspettare troppo..- la sua voce era alta e fiera, senza un briciolo di incrinazione.
Eragon scosse la testa e rispose: - No mia signora..siamo qui da poco..e comunque attendere lei non è certo una sofferenza..- sorrise. La sua lealtà a Nasuada non poteva essere piegata, altrimenti i Varden avrebbero certamente dubitato di lei, e lui non voleva certo questo.
La donna sorrise: - La tua devozione verso di me mi rende felice Eragon, tuttavia io sono preoccupata. La missione che andate a svolgere non è certo delle più semplici. Anzi. Siete completamente in territorio nemico. Nella sua tana. Lì Galbatorix ha il completo controllo su tutto. gioca in casa. Le possibilità di successo sono basse, molto basse. Siete ancora sicuri di voler andare? -chiese, un tono di amarezza nella voce. Aveva paura per Eragon, soprattutto perché senza di lui la Resistenza avrebbe perso ogni speranza.
Eragon guardò Elvin. La ragazza era radiosa, in qualche modo anche più bella degli altri giorni. Solare. Teneva le mani strette nel vestito marrone, il quale ricadeva sopra due pantaloni di pelle nera. I capelli legati in una coda di cavallo. Al fianco le pendevano due pugnali, mentre un arco e una faretra piene di frecce erano legati alla schiena, in basso.
Poi il biondo rispose: - Non abbiamo intenzione di ritirarci. Ora più che mai. I Varden hanno bisogno di noi. E noi abbiamo bisogno di vincere questa battaglia. –
Nasuada abbassò la testa con un sorriso quasi forzato. Si sentiva piccola di fronte a quel coraggio. Certo anche lei avrebbe fatto come Eragon, ma si sentiva inferiore in qualche modo. Non sapeva perché. Suo padre le diceva sempre che uno deve fare tutto quello che va fatto, e Eragon adesso stava seguendo gli insegnamenti di suo padre. Bene. L’avrebbe fatto anche lei. Alzò la testa e incontrò lo sguardo di Eragon, poi disse: - Sono contenta che il tuo spirito non sia venuto a mancare Eragon Ammazzaspettri, tuttavia vi do la mia benedizione, ribadendo che è una missione rischiosa. – fece un grosso respiro per riprendere fiato: - Fate attenzione..e ritornate vivi..- mormorò.
Eragon le strinse la mano e sorrise: - Tranquilla..torneremo..e vinceremo questa guerra..insieme..- non si sentiva affatto sicuro. L’dea di andare dritto da Galbatorix non lo allettava affatto. Ma doveva superare le sue paure se voleva che Alagaesia venisse liberata dal re. Lui era l’unica speranza del regno, e non poteva certo rimanere chiuso in una tenda senza fare niente. Comunque fosse, la sua voce non assunse nemmeno un briciolo di incrinatura, e per un attimo Roran si meravigliò di suo cugino.
Nasuada ritrasse la mano e assunse nuovamente un comportamento onorevole: - Bene..adesso potete andare..e che la fortuna vi assista..-
Eragon s’inchinò, seguito a ruota da Elvin e Roran. Era felice che Nasuada credesse in loro. poi si voltò verso Saphira e nella mente le disse: Tranquilla..tornerò vedrai.
Devi tornare. Rispose la dragonessa alzandosi sulle zampe. Qui hanno bisogno di te e non riusciremo a coprire la tua assenza per molto. L’abbiamo già fatto una volta ma per un arco di tempo minore. Vedi di fare in fretta.
Tranquilla. Giungeremo a Urù-baen, scopriremo i passaggi segreti e torneremo vittoriosi. Fidati di me.
L’ho sempre fatto. Detto questo Saphira se ne andò piano, lanciando un’ultima occhiata triste al suo cavaliere.
Eragon sospirò. Gli dispiaceva lasciare la dragonessa ancora una volta. Ma non c’era altra scelta. Poi, finito di rimuginare, afferrò lo zaino e se lo mise in spalla, avviandosi a piedi verso il fiume Jet. Roran e Elvin dietro di lui.
Avevano quasi passato il fiume quando Eragon sentì qualcosa che lo chiamava. Si voltò di scatto e su una roccia, in alto, con appoggiata un’aquila sul braccio, stava Arya. Alta e fiera come non mai. Gli sorrise, per poi dirgli: Atra esternì ono thelduin, Eragon Shur’tugal. *
Il biondo sorrise. Arya era e sarebbe rimasta sempre la stessa. Le rispose: Atra du evaarìnya ono varda, Arya alfa-kona. **
La guardò per ancora qualche secondo, poi raggiunse Roran e Elvin dall’altra parte del fiume. Era felice, sapeva che qualcuno lo avrebbe aspettato. E non perché era il Cavaliere dei Draghi che doveva sconfiggere Galbatorix, ma perché lui era Eragon.
Si accamparono quando il sole scese dietro ai monti. La radura era coperta da folte chiome di abeti e cipressi, mentre massi e sassolini accerchiavano l’accampamento provvisorio che i tre avevano realizzato.
Eragon si sedette su uno di quelli più grandi, i gomiti appoggiati sulle ginocchia. Vari pensieri gli imperlavano la mente, mentre suoni e voci in lontananza gli ronzavano attorno. Urla di bambini, grida di donne disperate che cercavano di tenere stretti i loro bambini. Nitriti di cavalli a fuoco. Cos’era tutto quello? Forse l’inferno? Forse Urù-baen? Probabilmente era la paura che lo rendeva ceco e sordo a qualunque altra cosa.
Elvin lo scuoteva infatti da ormai qualche minuto ma lui non sembrava accorgersene, finché Roran non gli gettò dell’acqua ghiacciata addosso.
- Stai bene? – gli chiese poi tirandolo su, il cugino.
Eragon annuì asciugandosi la faccia con una manica della casacca che adesso si ritrovava essere mezza. – Però potevi evitartelo..- borbottò andando a prendersi un’altra casacca dallo zaino.
Intanto Elvin si era rimessa seduta accanto al fuoco, lo sguardo fisso sulle fiamme.
Roran sorrise e diede una pacca sulla spalla di Eragon: - Va bene..la prossima volta ne userò di più, almeno ti rinfreschi anche le idee – aiutò Eragon ad attaccare la casacca ad un ramo di un abete, poi si sedettero anche loro intorno al fuoco. La legna ardeva creando sbuffi di fumo.
- Penso che non sarà affatto facile entrare nella città del re – disse all’improvviso Roran, per rompere quel silenzio che si stava facendo pesante – Probabilmente impossibile –
- Non abbiamo mai detto che fosse facile..- rispose Eragon – Però probabilmente un modo c’è per eludere Galbatorix..dopotutto non sarà certo perfetto..- non credeva affatto a quelle parole. Aveva sempre visto il re come una persona irraggiungibile, come un Dio. Anche quando viveva nella Valle Palancar l’idea di andare a visitare Urù-baen non l’aveva mai attirato. E adesso che tutta Alagaesia sapeva chi era, era ancora meno felice di andare a fare un salto da Galbatorix. Sbuffò e si guardò le mani. Erano sporche, consumate. Non erano più le stesse di quando viveva a Carvahall. Non era più un ragazzino. Adesso era un uomo. Un uomo con dei doveri. Guardò Elvin. Era ancora una ragazza. Probabilmente non aveva mai combattuto. E che cosa le toccava fare: andare in bocca al leone. E tutto per colpa sua. Scosse la testa e i capelli che ora quasi gli arrivavano alle spalle, si mossero leggermente. Alcuni gli paravano perfino gli occhi.
Roran dovette accorgersi della preoccupazione del fratello, perché si rivolse a Elvin: - Come mai sei venuta anche tu? Avresti fatto meglio a rimanere dai Varden no? Sarebbe stato più sicuro. – in effetti anche lui era preoccupato per la ragazza. Non che sottovalutasse le donne, però era un dato di fatto che come forza fisica erano inferiori. Poi però ripensò alle parole di Eragon di qualche giorno prima. In effetti Elvin era l’unica a sapere dove si trovassero i nascondigli e i passaggi segreti ad Urù-baen, ed era stata lei ad insistere per andare con loro. aspettò risposta.
Questa alzò il capo e incontrò lo sguardo di Roran. Eragon guardava altrove. Sospirò e si alzò in piedi, dirigendosi verso un pesco secco. Vi si appoggiò la testa. Poi rispose: - I miei genitori furono assassinati dagli uomini di Galbatorix. Per l’esattezza da un gruppo di Urgali che si aggiravano lì intorno. O almeno così mi hanno detto poi. Dopo quel giorno sono stata tirata su da un signore anziano..non ricordo il suo nome, ma penso non me lo abbia mai detto. Mi insegnò a combattere, a distinguere il bene dal male e a usare un po’ di magia; anche se diceva che per questa non ero molto portata..- abbassò lo sguardo e tirò su col naso. – Dopo la sua morte mi diressi ad Urù-baen, la capitale di Alagaesia. Lì incontrai un vecchio mercante che aveva conosciuto i miei genitori. Ne parlò molto bene e io ne fui felice. Poi quest’uomo venne catturato e ucciso davanti a tutti. – si voltò verso Roran e Eragon, il quale adesso aveva iniziato a guardarla – Aiutava i Varden – cominciò a camminare, poi si fermò ad osservare il fiume che scintillava in lontananza. – Avevo sentito parlare dei Varden, e dal primo giorno dopo la morte dei miei genitori avevo deciso di andare da loro. Così feci poi. Pensavo che avrei potuto riscattare i miei genitori aiutando i ribelli a sconfiggere Galbatorix, colui che aveva fatto ammazzare mamma e papà. Ma tutto era sbagliato. Pensavo fossero persone oneste, che non facevano ciò che invece era solito fare Galbatorix. E mi sbagliavo..- si voltò a guardare negli occhi Eragon, un moto di rabbia e dolore negli occhi. – Comunque..- tornò tranquilla, o almeno così sembrava – L’unico modo che ho per ripagare all’errore che ho fatto è portarvi ad Urù-baen anche a rischio della mia vita. Ecco perché devo venire. È mio dovere dato che adesso faccio parte dei Varden. E non voglio stare insieme alle loro donne a tessere e a fare da mangiare. Io voglio distruggere Galbatorix. –
Roran sospirò, mentre Eragon continuò a fissarla, finché Elvin non abbassò la testa, arrossendo.
Lui sorrise. Era davvero una donna forte. Come Arya dopotutto. Lei aveva sopportato le torture di Durza a Gil’ead; mentre Elvin aveva sopportato la perdita di tutte le persone care che aveva intorno. E lui? Si era vero che anche lui aveva sopportato molte sofferenze, ma non certo quanto le due donne. Qui si trattava di forza d’animo, non di forza corporea. Batté le mani sulle cosce per poi dire: - Avanti..la strada per Urù-baen è lunga e faticosa. Dobbiamo riposare per poi partire il prima possibile..- si accucciò a terra, coprendosi con le coperte che avevano legato al cavallo. Chiuse gli occhi quando sentì i respiri dei due compagni farsi pesanti. Li chiuse piano, con un sorriso sulle labbra che durò tutta la notte.
* Che la fortuna ti assista, Eragon Cavaliere dei Draghi
** Che le stelle ti proteggano, Arya donna elfo
Ok, ho postato questo capitolo a distanza di un anno quasi e chiedo realmente ancora perdono per il tempo passato. Avevo promesso di postare presto ma non ce l’ho fatta. SCUSATE REALMENTE TANTO!! Vi prego di perdonare questa mia mancanza perchè me ne sto vergognando da fare schifo, soprattutto con la storia che, fra tutte, ho scritto meglio e alla quale sono più affezionata!!
Mi sono riletta anche io tutti i capitoli per poterla continuare con le stesse idee che avevo 2 anni fa e spero che continuiate comunque a leggerla perchè siete voi che la fate andare avanti!
Non ho ricevuto recensioni riguardo lo scorso capitolo e mi sono sentita davvero male….Mi dispiace…tanto…
Spero che sia di vostro gradimento comunque! Grazie!
Camminava lungo i corridoi come fosse inseguito da qualcosa, e per la prima volta aveva veramente paura. Si sentiva in pensiero per quel ragazzo, non in modo paterno, ma ogni minuto che non aveva sue notizie sentiva l’ansia aumentare. Non poteva permettersi di perdersi un Cavaliere. Ne aveva bisogno e non avrebbe lasciato che un mucchio di stupidi Varden gli mettessero i bastoni fra le ruote.
Erano quasi tre settimane che aveva mandato Airad sulle tracce di Murtagh e l’ultima volta che l’aveva sentita le sue parole non erano state delle migliori. “Murtagh è stato catturato dai Varden”.
Quando i Gemelli gli avevano detto che il figlio di Morzan lottava coi Varden lui sperava in un Cavaliere dalla stessa forza del suo predecessore; ma Murtagh non aveva niente di suo padre. Perfino il coraggio veniva meno in lui!
Passò a grandi passi davanti ad una guardia che sonnecchiava, che si alzò immediatamente in piedi salutando Galbatorix.
Questo si voltò, bloccandosi poco più avanti dell’uomo, guardandolo minaccioso.
- Si evince dal lavoro?
- No signore stavo solo… - la guardia si guardò intorno, cercando lo sguardo di un suo compagno al di là del corridoio. Questo non si mosse, spostando lo sguardo freneticamente da lui a Galbatorix.
- E dunque? – Galbatorix lo guardava dritto negli occhi mentre questi cercava le parole per salvarsi la vita.
Già Galbatorix era pericoloso quando allegro, quando era nervoso era meglio evitare di stargli a contatto.
- Nelle segrete! – urlò infine il re al soldato che gli stava accanto, il quale andò subito a guardare sconcertato il compagno.
Ma nulla poteva far cambiare idea a Galbatorix. Si sentiva sconfitto e messo con le spalle al muro e considerare che erano un insieme di sudici vermi come i Varden che erano riusciti a catturare un suo Cavaliere, che lui stesso aveva istruito, lo faceva andare su tutte le furie, rendendolo cieco a qualunque ragione.
Lasciò il corridoio svoltando un angolo che portava alla Sala dei Draghi, la più grande del palazzo. L’aveva fatta costruire quando era salito al potere, lasciando che Shruikan riposasse all’interno. Ovviamente non l’aveva fatto per il drago, bensì per rendere più sfarzoso e più visibile il suo potere. Agli angoli di Alagaesia si parlava di quella stanza come fosse la stanza divina, un’enorme cerchio cui all’interno si stagliavano alte rocce di perla nera rivestite da lucide perle rosse, dove il drago del re riposava e si accingeva a mangiare coloro che Galbatorix riteneva più “gustosi”.
In realtà era una si, enorme stanza, ma di semplice legno, ripiena di scaffali di libri e in cima, raggiungibile con una scala a chiocciola in ebano, il giaciglio di Shruikan. L’unica cosa vera è che il drago spesso mangiava i Varden o i cittadini che avevano osato ribellarsi all’Impero.
Galbatorix entrò sbattendo la porta con violenza e destando il drago dal suo sonnellino, il quale fece capolino dall’alta rupe che si stagliava sulla stanza circolare.
Il pavimento, d’avorio, era decorato da vari intarsi di perla azzurra e al centro vi era infisso lo stemma di Galbatorix, di un rosso sangue che ricordava molto quello che anni orsono era sgorgato fatidicamente dalle ferite dei draghi, e dei loro cavalieri, sconfitti dal re.
Galbatorix si avvicinò ad uno scaffale prendendo un libro e lanciandolo contro la parete di fronte con un grido, mentre il drago si metteva a sedere e univa le zampe, guardandolo con i suoi due occhi rossi.
Qualcosa ti infastidisce mio signore?
Galbatorix lanciò un’occhiata al drago poggiando le mani sui fianchi, ringhiando. Murtagh è stato catturato dai Varden e non ho più avuto notizie da parte di Airad!
Probabilmente devi solo darle il tempo necessario.
Galbatorix alzò nuovamente lo sguardo sul drago corrugando la fronte a quelle parole, e stavolta rispondendogli ad alta voce e con tono poco carino.
- Galbatorix non deve niente a nessuno!!!
Il drago si allontanò, nascondendosi dietro il giaciglio, mormorando flebili scuse. Sta arrivando qualcuno.
Aggiunse poi, mentre flebili ma veloci passi si avvicinavano, divenendo percettibilmente più acuti.
Galbatorix si voltò verso il suono, rispondendo viscidamente a Shruikan un L’avevo sentito!
Dal buio comparve una figura esile e bionda ma di una tale bellezza da attrarre anche il più integerrimo degli uomini.
Airad si avvicinò al re con passo lento e con un sorriso soddisfatto sul volto, che lasciava presagire solamente che ciò che le era stato ordinato era andato a buon termine. Galbatorix si lasciò fuggire un sospiro di sollievo e rivolse alla creatura lo stesso sorriso soddisfatto, senza darle però la possibilità che lui era stato, anche se per poco, in ansia.
- Allora? Hai portato a termine ciò che ti ho chiesto?
La donna annuì porgendo al re una pietra rosa che vacillò sotto il tocco del sovrano, che reagì con un’enorme sorriso.
- Ho dato al Cavaliere il Cuore del drago di suo padre. Non ci sarà problemi per voi farlo scappare
quando ne sentiate il bisogno – rispose Shiel lasciando che i capelli le ricadessero leggeri sul seno – E’ stato legato e torturato dalla gente chiamata Varden, e la ragazza non ne è stata così contenta
Un sorriso radioso comparve sul sorriso di entrambi, mentre con solo uno sguardo si erano lasciati intendere.
Galbatorix chiuse sul palmo la pietra, lasciandola scivolare all’interno dei calzoni e facendo un gesto soddisfatto alla ragazza. Per lui era un bene che qualcuno all’interno dei Varden dubitasse di loro, che anche solo non fosse d’accordo con i loro mezzi, o con le loro decisioni.
Era già riuscito a far entrare delle spie all’interno del Farhen Dur, ma ora che i Gemelli non c’erano più una persona di cui i Varden si fidavano non gli avrebbe fatto scomodo.
- Hai scoperto altro? - chiese. Per poter incastrare la giovane così perdutamente innamorata di Murtagh, doveva saperne di più.
Guardò la ragazza dritta negli occhi, ma questa non abbassò lo sguardo. – Me ne sono andata appena dato il Cuore al cavaliere, ma ho sentito abbastanza da capire che i Varden vogliono muoversi contro di noi. Non so in che modo, ma so che vogliono farlo in fretta.
Galbatorix soppesò il libro che aveva raccolto, lasciandolo scivolare con la magia nuovamente al suo posto. Il libro non si era sciupato di nulla. La magia era davvero utile, e spesso il sovrano si riteneva fortunato ad essere stato scelto come Cavaliere. Rammentava spesso il suo drago morto, ma la cosa non lo toccava minimamente: i draghi sono solo delle cavalcature dedite a servire i loro cavalieri.
- Capisco – guardò la roccia nera incurvando di poco le sopracciglia sottili. Si domandava cosa potevano avere in mente i Varden per essere così tentati ad attaccarlo. Già li considerava stupidi a resistergli, ora volevano perfino andargli contro a muso aperto? Cosa avevano bevuto i loro capi per fare una mossa così avventata? O forse semplicemente avevano un asso nascosto?
Doveva muoversi anche lui al più presto.
Tornò a guardare Shiel assumendo uno sguardo serio e risoluto – Torna là e vedi di scoprire altro, appena sai qualcosa di importante torna a farmi rapporto –
La creatura annuì scomparendo veloce come si era mostrata. Galbatorix rimase nuovamente solo con Shruikan.
Sorrise, leccandosi le labbra.Sono degli sciocchi se pensano di potermi battere.
Non dovresti sottovalutarli. Rispose il drago, tornato ad osservare e ad ascoltare la scena. Tsk, e tu saresti il drago che dovrebbe servirmi? Tu vigliacco fratello di quei bastardi traditori.
Shruikan abbassò il capo, osservandosi le scaglie nere brillare sotto la luce delle torce, flebile, ma abbastanza per permettere di leggere. Probabilmente, lui era l’unico drago in grado di farlo.
Sospirò, volgendo nuovamente lo sguardo al suo cavaliere. Al cavaliere che lo aveva destato dal suo sonno troppo presto. Colui che lo aveva costretto a schiudersi.
Si, era fratello di Saphira e Castigo, e invidiava i suoi fratelli che erano potuti nascere sotto il loro vero cavaliere. Se anche Castigo aveva sofferto le pene dell’inferno, ed era stato costretto a crescere troppo in fretta, almeno serviva l’uomo in cui credeva, mentre lui poteva solamente fare ciò che Galbatorix voleva, e mai avrebbe incontrato il cavaliere giusto per lui.
Si era ritrovato molte volte a pensare, quando era solo, a chi sarebbe potuto essere il suo cavaliere. Se un elfo, un uomo, una donna, oppure un nano, il primo nano cavaliere della storia di Alagaesia. Si chiedeva se potesse essere come Galbatorix, oppure buono come tutti i cavalieri che si erano opposti al dominio del re. Come tutti quelli che egli aveva abbattuto, anche col suo aiuto.
Ricordava il dolore, le grida e le lacrime versate dai cavalieri alla morte dei loro draghi, o i draghi che cadevano vittima dello stesso fato dei loro cavalieri. Lui lo invidiava, quel legame. Quel legame che mai avrebbe potuto avere con nessuno.
Osservò Galbatorix uscire dalla stanza a passo deciso ora soddisfatto. Soddisfatto, ma preoccupato al tempo stesso. Lui lo sapeva, la sua mente, se anche per le uniche volte che il re lo accettava, era legata al suo cavaliere e poteva sentirne l’angoscia che ne deriva dal non conoscere le prossime mosse dei suoi nemici.
Sospirò nuovamente, lasciando fuggire una nuvoletta di fumo nell’aria e acciambellandosi sul giaciglio, poggiando l’enorme testa su una delle sue zampe, lo sguardo perso in avanti.
Avrebbe voluto prendere e volare via, andarsene e dare man forte ai Varden. Ma non avrebbe potuto. Sarebbe rimato a guardare il mondo che cadeva in rovina giorno dopo giorno.
Si alzò sulle zampe, rimanendo a fissare il soffitto che lasciava intravedere il cielo stellato. Quant’era che non volava? Settimane? Mesi? Un anno? Gli sembrava fosse passata un’eternità da quando non si era librato in aria l’ultima volta. Ricordava a stento il tocco dolce dell’aria sulle squame, o l’accarezzare del vento sulle membrane delle ali, o il brivido di cadere giù in picchiata. Per lui la quotidianità era diventata quella di rimanere in quel giaciglio a leggere e rileggere quei tomi che oramai aveva stampato in testa. L’unica cosa che gli impediva di uccidersi di noia.
Aveva provato, una volta, a chiedere a Galbatorix di lasciarlo libero, di tanto in tanto, per prendere una boccata d’aria, anche tenuto sott’occhio, ma di poter rivivere quelle emozioni. La risposta di Galbatorix però fu chiara e concisa: Non hai il diritto di chiedere niente. Non sei il mio drago.
Neanche al suo drago avrebbe dato quel permesso.
Si ritrovò a pensare in quel momento, mentre i suoi occhi rossi bramavano le stelle di quella notte.
Scese dalla rupe andando a riprendere un tomo che aveva lasciato sul tavolo lì vicino, riaprendolo, oramai era divenuto abile a sfogliare i libri pur avendo zampe enormi, immergendosi nella lettura che lo aveva accompagnato la notte prima.
Preferiva dormire di giorno e stare sveglio di notte. Vedeva meglio al buio, e poi amava le stelle.
Il tomo parlava della letteratura di Alagaesia. Vi era tutta, fin dai primi tempi antichi, ma nulla che potesse risalire all’età di prosperità del Paese. Galbatorix a quanto pare lo temeva, o comunque temeva che cose del genere potessero gravare al suo dominio.
Sbuffò seguendo le righe di quelle pagine e cercando di non pensare alle stelle.
Stelle. Aveva sempre amato le stelle fin da bambina, e si era spesso ritrovata affacciata alla finestra di camera sua ad ammirarle, almeno fino a che sua madre non veniva a dirle che era tardi per stare alzata e non la sgridava, costringendola a mettersi sotto le coperte. Però, ora che poteva vederle quanto voleva, non erano più la sua prima preoccupazione. Già, ora che si muoveva scaltra assieme a Eragon e Roran verso Uru’bean le sue apprensioni erano ben altre. Per prima cosa, aveva costantemente il pensiero di Murtagh in testa; di come potesse stare, se lo stavano trattando come avevano promesso, o se invece era già morto.
No…lo percepirei. Continuava a ripeterselo sperando così di convincersene. Ma il fatto che si ritrovava a pensarlo più volte, voleva dire che la cosa non funzionava così bene.
L’altro pensiero fisso era cosa avrebbe fatto una volta raggiunta Uru’bean. Si, si era vantata di sapere dove si trovavano gli ingressi segreti, ma era sicura di ricordarseli per bene? Era sicura che Galbatorix non vi avesse messo sentinelle di guardia? Era certa di non portare Eragon e Roran a morte certa così?
Fissò la schiena del cavaliere innanzi a sé mentre le sue orecchie percepivano i passi di Roran dietro di lei. Avevano accettato di accompagnarla sotto consiglio di Nasuada, probabilmente perché non si fidavano di lei, oppure perché non la vedevano in grado, e in effetti neanche lei se ne reputava. Era stata catturata dai soldati del re, si era fidata del nemico giurato dei Varden, e quasi stava aiutando Galbatorix senza saperlo. Tutto questo in quanto? Un mese?
Si ritrovò a ricordare il periodo di tempo passato con Murtagh, mentre volavano verso i Varden. Era stata con lui circa tre settimane, mentre i Varden l’avevano accolta per circa due. Si…è un mese.
Non si era mai accorta di quanto potesse passare veloce un mese, e ora che ne aveva coscienza, le prese paura: sarebbe riuscita nel suo intento prima di morire?
Vide Eragon fermarsi e fece lo stesso, alzando un sopracciglio: - Che succede?
Roran la sorpassò affiancandosi al cugino. – Eragon che succede?
Il cavaliere era alquanto inquieto, e la cosa mise in allarme Elvin, che mise mano alla spada che le pendeva al fianco e che le avevano donato i Varden. “Forgiata da un Dio”, le avevano detto quando gliel’avevano porta. “Si” aveva pensato “certo”.
Eragon si guardò attorno mentre sentiva la saliva secca in gola. – Sento la puzza di Dras-Leona, siamo vicini.
Quelle parole lasciarono un senso di fretto ai due giovani, Roran ed Elvin, che si scambiarono una fugace occhiata, mentre entrambi si stringevano nel mantello.
- Andiamo – disse Eragon ricominciando a camminare.
Elvin non era mai stata a Dras-Leona, ma mai le era venuto lontanamente il pensiero di andarci. Sapeva che era una città in “putrefazione”, e che i soldati del re erano in maggior concentrazione lì, forse anche più che a Uru’bean. Quasi Galbatorix credesse di farcela da solo per un imminente attacco. Pensò, osservando una pietra a terra.
Ricominciarono a camminare finché in lontananza non videro mura nere.
Si acquattarono dietro delle rocce e rimasero a fissare quelle mura. A nessuno veniva in mente un’idea per entrare, e nemmeno c’avevano pensato prima.
- Dove sono i passaggi Elvin? – chiese Eragon voltandosi verso la ragazza.
Quella si voltò incontrando gli occhi castani del giovane. Erano ricchi di apprensione e preoccupazione e la cosa la agitarono. Tutto dipendeva da lei, dalle sue memorie, e questo le metteva un’ansia addosso da far paura. Mai si era ritrovata a dover reggere il destino di un intero popolo, e i Varden contavano su di lei.
Si sforzò di ricordare chiudendo gli occhi, ma la cosa era difficile – Ci vorrebbe una cartina della città.
- Eccola – la voce di Roran arrivò quasi come una bomba alle orecchie. Non perché avesse parlato ad alta voce, bensì perché i due erano così concentrati a trovare un modo per entrare che lo avevano quasi “dimenticato”.
Roran aprì lo zaino che teneva in spalla, tirando fuori un rotolo di pergamena – Me l’hanno data i Varden – l’aprì e la pergamena mostrò una grande mappa di una città circondata da mura. Al lato, in alto, citava: “Uru’bean”.
Eragon strabuzzò gli occhi guardando il cugino – Come…?!
Roran sorrise, soddisfatto di averlo stupito. – Oh bè sai com’è, sono Fortemartello io.
- No davvero
- Realmente
Eragon gli lanciò un’occhiataccia, ricambiata da un sorriso beffardo, quando Elvin si intromise, indicando veloce un punto sulla mappa. –Uno è di sicuro qui!
Il dito indicava un punto vicino ad un ponte, subito dietro l’entrata principale.
- Eh! È una parola andarci! L’entrata sarà difesa da chissà quante guardie! – sbottò Eragon poggiandosi con la schiena ad uno dei massi dietro di lui.
Elvin abbassò lo sguardo, cercando sulla cartina un altro punto più facile. Poi lo indicò. Questi era al lato sinistro delle mura e portava al lato maggiore del castello.
- Non so che stanze vi siano, ma sarebbe un buon passaggio per i Varden quello. – osservò continuando ad osservare la cartina.
- Ma com’è possibile che Galbatorix non sappia di queste entrate?! – Eragon ed Elvin si voltarono verso Roran, interrogativi. Quando questo continuò – Insomma! Se perfino Elvin se ne accorta, senza offesa, come può il grande re Galbatorix non sapere dell’esistenza di quei passaggi?!
In effetti Roran non aveva tutti i torti. Era forte, Galbatorix, lo sapevano tutti, e non accorgersi…i pensieri di Eragon furono interrotti quando fu Elvin a prendere la parola.
- Ma Galbatorix lo sa – si rivolse ad entrambi, guardando maggiormente Fortemartello. – Ed è per questo che ha messo delle barriere magiche ed è per questo che Nasuada ti ha mandato con me, Eragon – stavolta si rivolse direttamente a lui – Ed è per questo che sei tu quello che rischia di più. Sei tu che devi dirci che quel passaggio è sicuro.
Eragon la guardò, poi passò ad osservare la reazione di Roran, ma anche nei suoi occhi si leggeva la cieca fiducia in lui. Inghiottì, e per un attimo cercò la mente di Saphira.
Ok, questo capitolo è più lungo degli altri e ho deciso di pubblicarlo subito grazie a Stefy, che mi ha riempito il cuore di gioia. stefy_81 non hai idea di quanto mi hai fatta felice. Sono entusiasta di non aver perso almeno te. Mi hai seguita fin dall’inizio e vorrei arrivare in fondo con te! Sono felice ti siano piaciuti e spero apprezzerai anche questo capitolo, dove è evidente come io vedo Shruikan, il drago di Galbatorix.
QUINDI LO DEDICO A TE STEFY!! QUESTO CAPITOLO E’ PER TE!!
Eragon provò più e più volte a contattare Saphira ma la distanza che li separava era troppa anche per il loro contatto. Non era la prima volta che si allontanava da Saphira, ma ogni volta sembrava come la prima. Se non peggio.
Avevano parlato molto di come fare, di come comportarsi qualora uno di loro fosse stato catturato, e sia Elvin che Roran avevano convenuto che fosse Roran a portare le vesti di Eragon.
Galbatorix ne conosceva le sembianze, e per ore erano stati a pensare a come poter fare quando Eragon aveva pronunciato le parole che avevano tolto ogni dubbio:
- Esiste un incantesimo che permette di cambiare le sembianze di un essere umano, ma il dispendio di energie è enorme.
Sarebbe stato Roran a divenire Eragon, così da evitare che l’unico Cavaliere di Drago che poteva salvare Alagaesia venisse rapito. Si sarebbero invertiti i ruoli appena fuori Uru’bean.
Quella notte Eragon non dormì. Sia per il desiderio di sentire Saphira, sia per l’ansia che gli metteva quella missione. Cosa avrebbe fatto se Galbatorix avesse preso Roran? E quando l’incantesimo si sarebbe esaurito? Sicuramente a Roran sarebbe toccata una sorte ben peggiore della morte.
Penso a Katrina, e alla speranza che riponeva nel ritorno di Roran sano e salvo. Ma più cercava di convincersi, e più vedeva la cosa impossibile. E’ come una nuvola di nebbia dentro la quale non si vede niente.
Da Oromis aveva imparato ad ascoltare la natura, gli esseri viventi che aveva intorno e dai quali i Cavalieri prendevano la forza per la loro magia. Aveva imparato anche a divinare un po’ il futuro, ma Arya lo aveva interrotto subito, furiosa per l’atto compiuto. Diceva che era pericoloso, e Eragon gliene dava atto, e che mai il futuro è realmente quello. Prevedibile, ma non certo.
Eppure Angela, tempo addietro quando ancora era con Brom, e a quel pensiero gli si strinse lo stomaco, aveva indovinato tutto ciò che gli era accaduto dopo. O comunque, la maggior parte.
Sospirò cercando di ascoltare il vento che gli smuoveva i capelli.
Si era offerto lui di fare la guardia, e Roran l’avrebbe rimpiazzato quando fosse stato stanco, ma non si sentiva, e arrivò alla mattina seguente senza aver svegliato il cugino.
- Sei pazzo? Se non riposi sì che la missione andrà a rotoli! – aveva detto Roran quando si era svegliato e aveva visto che era giorno.
- Scusa. Ma non avevo sonno
Roran non aveva replicato, ovviamente dopo avergli dato dello stupido, sapendo in cuor suo che Eragon non era più il ragazzino di 15 anni che non riusciva a prendere un cervo come si doveva, bensì ora l’unica persona in Alagaesia capace di battere Galbatorix.
Non avrebbe mai pensato che lui potesse diventare un Cavaliere, e anche quando a Carvahall erano giunte voci di un nuovo paladino, lui non aveva minimamente pensato ad Eragon. Eppure guarda adesso. Penso fissando il cugino che si metteva in spalla lo zaino di Elvin.
La ragazza stava raccogliendo le coperte e legandole allo zaino ora in spalla al cavaliere, i pensieri a Uru’bean e a Murtagh.
Ripartirono senza neanche aver fatto colazione, tutti con lo stomaco vuoto, diretti verso Uru’bean.
Elvin vi aveva vissuto per un periodo, col suo maestro, proprio al centro del male, ma ritornarvi ora, e come ribelle, le faceva uno strano effetto. Non solo perché era il luogo dove aveva seppellito il suo salvatore, ma anche perché poteva non uscirvi più.
Camminava dietro Eragon e davanti a Roran, la disposizione che avevano mantenuto per tutto il tragitto fino a lì. Aveva scoperto molto su Roran ed Eragon, come che i due erano cugini da parte di madre, e che lo zio di Eragon era stato ucciso dalle bestie chiamate Ra’zac, le stesse che avevano attaccato il suo villaggio, e che era stata a colpa del l’uovo di Saphira capitato ad Eragon. Aveva scoperto che gli abitanti di Carvahall avevano trovato il coraggio di ribellarsi ai soprusi dei soldati di Galbatorix, e che Murtagh e Eragon erano fratelli da parte di madre. Non lo avrei mai detto.
Camminarono tutto il giorno quando finalmente, verso sera, giunsero in prossimità di Uru’bean.
La città fortezza si ergeva alta al centro di una distesa di terra arida dove pochi alberi spuntava qua e là. Il fiume Ramr che scorreva accanto quasi completamente prosciugato. Elvin si sentì stringere il cuore. La cattiveria di Galbatorix si riversava su qualsiasi cosa vivente.
Aspettarono la notte prima di muoversi. L’incantesimo non sarebbe durato nemmeno 12 ore a causa dell’energia che avrebbe dovuto usare e non potevano permettersi di perdere tempo prezioso coi preparativi.
Lasciarono gli zaini dietro a delle rocce. Indossarono i mantelli cercando di coprire le armi che tendevano a spuntarne fuori. Roran e Eragon si guardarono per un tempo che a Elvin sembrò durare all’infinito. Poi Eragon si sedette e intimò il cugino di fare lo stesso. Aprì le mani congiungendole con quelle del cugino e cominciando a recitare una melodia nell’Antica Lingua.
Roran sentì un brivido lungo le braccia e poco dopo una grossa fitta alla schiena, laddove Eragon era stato ferito da Durza durante la battaglia nel Farthen Dur. Chiuse gli occhi sentendo i dolori al corpo aumentare. Quando li riaprì sembrava che nulla fosse cambiato, tranne il fatto di ritrovare se stesso innanzi.
Sbatté un paio di volte le palpebre prima di rendersi davvero conto di essere Eragon e Eragon lui.
- Fa uno strano effetto – disse guardandosi le mani e il segno a forma di drago, mentre Eragon si alzava rimettendosi il cappuccio sul viso.
- Andiamo, non c’è tempo da perdere – pronunciò.
Scesero veloci e attenti a non far rumore, filando dietro gli sporadici cespugli secchi che si stagliavano qua e là, raggiungendo il piano poco dopo.
Si appiattirono, osservando una guardia che spariva dietro l’angolo di mura. Roran tirò fuori la pianta.
- A sinistra
Fu Eragon a muoversi per primo, sfilando dietro il muro e attendendo, chiudendo gli occhi e aspettando che la guardia dall’altro lato passasse. Ci volle un attimo, e quella stramazzò a terra senza un suono.
Subito dopo arrivarono Elvin e Roran.
- Lo hai ucciso
- No, è solo svenuto
Elvin alzò lo sguardo sul cavaliere, assorta. Murtagh l’avrebbe ucciso.
Fecero qualche passo dopo aver nascosto la guardia, percorrendo il muro avanti e indietro almeno 3 volte.
- Qui non c’è niente! – sbottò Eragon passando lo sguardo dal muro a Elvin.
La ragazza parve frastornata. Eppure era certa che fosse lì un passaggio!
Rimase a rimuginare sul fatto per qualche attimo cercando di capire perché non vi fosse, poi si rivolse ad Eragon.
- Forse Galbatorix li ha sigillati in modo che non si vedessero.
- Li avvertirei
- Sei in grado di percepire la magia di Galbatorix?
Elvin ed Eragon si voltarono verso Roran, che guardava il cugino con sguardo serio. – Lo sappiamo entrambi quanto Galbatorix sia forte, altrimenti non avrebbe conquistato Alagaesia. Sei sicuro che con le capacità che hai adesso puoi scovarne la magia?
Eragon non si aveva pensato prima. Erano giunti lì senza considerare il fatto che lui non sarebbe stato in grado di riconoscere un incantesimo emanato da Galbatorix.
Si morse il labbro cercando una soluzione. Non aveva passato mesi dagli elfi per arrivare a questo punto ed essere inutile!
Cercò dentro gli insegnamenti di Oromis ma non vi trovò niente. Possibile che siamo giunti fin qui inutilmente?
Tre gradi a sinistra rispetto all’entrata.
La voce gli arrivò come un fulmine dentro la testa, facendolo barcollare.
- Eragon?! – Elvin si avvicinò, preoccupata.
Eragon non vi badò. Chi è che era riuscito ad entrare dentro la sua testa con tutta quella facilità? E di chi era quella voce possente che gli vibrava ancora nei timpani?
Si diresse verso il punto indicato dalla voce posandoci una mano, notando con stupore che il muro non c’era. Strinse i denti: poteva essere una trappola come un aiuto. Cosa fare?
Sentì i passi di Roran ed Elvin e il cugino parlare – Eragon l’hai trovata!
Eragon si volse preoccupato – Si ma non da solo
- In che senso non da solo? – stavolta fu Elvin a porre l’interrogativo
- Si. Ho sentito una voce nella mia testa
- Eragon potrebbe essere una trappola! Siamo ad un passo da Galbatorix!
- Lo so, Roran. Lo so! Ma cosa dobbiamo fare? Rimanere qui non servirà a niente. Almeno potremmo dire di aver tentato.
I ragazzi si guardarono velocemente per poi sospirare.
Eragon si voltò verso l’entrata. Chiunque tu sia spero uno di noi.
Entrò cauto, piegando la testa per non batterla al soffitto umido. Si sentiva odore di chiuso e rumore di gocce d’acqua riempivano il silenzio. Bravo a nascondere anche questo. Pensò Eragon mentre avanzava a tentoni, timoroso di accendere una luce. Potrebbe comunque esserci qualcuno. Ah, gli occhi di Saphira qui mi farebbero comodo.
Allungò una mano continuando ad avanzare, quando sentì una scossa alla mano.
Tutto prese a girare e barcollò, finendo col sedere per terra poco dopo.
- Eragon! – Roran lo prese per le spalle cercando di tirarlo su, ma la testa gli girava troppo e cadde di nuovo. Probabilmente uno scudo di Galbatorix.
Sentì le forze abbandonarlo e grida perforargli il petto. Saphira. Poteva davvero finire così? Avrebbe abbandonato i Varden e tutta Alagaesia per una scossa?
Chiuse gli occhi ingoiando e trovando la gola secca. Sono proprio un Cavaliere perdente. Anzi, non merito quel nome…
Wiol ono.
Si sentì improvvisamente riprendere e spalancò gli occhi, tossendo forte. Ancora quella voce, ancora quel riverbero nella testa.
- Eragon! Eragon stai bene?! – si voltò incontrando lo sguardo preoccupato di Elvin.
Annuì tirandosi su e evitando di rispondere alle domane di Roran. Ci capiva poco lui, il tempo stringeva, e non potevano perdersi in discorsi troppo lunghi. Là dentro inoltre non aveva cognizione del tempo che poteva passare. Ma continuava a domandarsi chi fosse ad aiutarlo, perché ora non aveva dubbi: qualcuno lo stava aiutando.
Mosse la mano e mormorò flebili parole, senza però sentire alcun rumore. Rimase immobile cercando di capire cosa dovesse fare, poi prese coraggio e allungò nuovamente la mano. Non svenne di nuovo, ma davanti a lui la barriera continuava ad esserci.
Riprovò e riprovò formule su formule ma anche con gli insegnamenti ricevuti da Oromis non riuscì a fare niente. Non che avesse sperato di battere gli incantesimi di Galbatorix con facilità, dopotutto non era un caso se Galbatorix era aveva sconfitto tutti i Cavalieri di Drago, però sperava comunque di poter fare qualcosa. Se Saphira fosse con me avremmo avuto una possibilità in più.
Né Roran né Elvin avevano fiatato per tutto il tempo, rimanendo a fissare il buio che non accennava a schiarire. Elvin non si era mai ritrovata così tanto al buio. Da piccolo ne aveva avuto paura, ma ora si rendeva conto che era confortante non vedere niente, ascoltare soltanto e udire i suoni più acuti e raffini di quello che invece sentiva quando la vista le procurava immagini.
Mosse istintivamente la testa verso Eragon, percependone il calore, mentre a causa dello spazio stretto i suoi piedi toccavano quelli di Roran, seduto innanzi a lei. Si sentiva il sedere fradicio a causa dell’acqua all’interno del canale, ma non aveva il coraggio di fiatare: le preoccupazioni erano maggiori.
Ad un certo punto Eragon si mosse, voltandosi probabilmente, e fissando i due compagni. – Di qui non si passa.
I due si alzarono e Roran quasi batté la testa – Come non si passa?
- No, non riesco a forzare la barriera.
Ci fu un attimo di silenzio, quando Eragon parlò di nuovo – Ma probabilmente da dentro la barriera è più debole.
- Ma vorrebbe dire entrare all’interno del palazzo di Galbatorix dalla porta principale! – disse Elvin, fissando stupita il buio innanzi a sé dove si trovava Eragon. Questo rispose:
- Si, vorrebbe dire passare dalla porta principale.
- E sei sicuro che dall’interno sia più facile infrangere la barriera?
- No, è solo una possibilità.
Roran parve soppesare sulla risposta di Eragon. Sapeva che era una missione rischiosa, e sapeva di poter non tornare da Katrina, ma ciò che dovevano fare adesso era letteralmente un suicidio!
Strinse i denti sentendo la mano formicolare.Le avevo promesso che sarei tornato.
Non era l’unico a pensarlo, però; anche Elvin sentiva come una morsa al petto, una paura cieca torturarla alla sola idea di doversi infiltrare dentro la casa di Galbatorix. La sua fortezza, il suo palazzo. Laddove il potere massimo era concentrato.
- Ma dobbiamo decidere in fretta – pronunciò Eragon, capendo cosa potesse passare nella mente dei due compagni.
- Penso non ci sia altra scelta – proclamò Roran, facendo un passo indietro – Ma come pensi di fare?
- Sicuramente non possiamo parlarne qui. La guardia rischia di risvegliarsi e di certo non riusciremo ad entrare stanotte, immagino che l’alba stia per sorgere. – aveva imparato a contare le ore e i giorni, all’incirca, quando si era ritrovato nel Farthen Dur, e ora gli tornava semplice capire più o meno che ore dovevano essere.
Roran annuì – Non possiamo coricarci fuori da Uru’bean però, è rischioso
- No – Eragon raccattò l’arco che aveva poggiato a terra – Non possiamo, e inoltre sprecheremo tempo domani per entrare ad Uru’bean quando possiamo farlo stanotte.
- Stanotte? – Elvin parve stupita – Come?!!
- Come mercanti. È rischioso ma una volta dentro avremo fatto un passo avanti
- E come la metti coi controlli? – Roran sbuffò sonoramente, come se vedesse il cugino improvvisamente stupido.
- Incantesimi
- E pensi che Galbatorix non abbia delle guardie capaci di sentirne la presenza?
- Roran, stai parlando con un Cavaliere dei Draghi. Non sono andato ad Ellesméra a passare una vacanza.
Gli aveva risposto male, lo sapeva, ma odiava quando la gente metteva in dubbio le sue capacità. Non si reputava un Cavaliere di grande potere, ma di certo sapeva di non essere un novellino. Ho battuto Murtagh che era stato allenato da Galbatorix. Una guardia non sarà un problema.
In più aveva il pensiero fisso di quella voce, sicuro che l’avrebbe aiutato ancora.
Uscirono dal canale con prudenza, guardandosi attorno prima di sbucare fuori completamente. La guardia era dove l’avevano lasciata.
Eragon le si avvicinò e le cancellò quella parte di memoria riguardante la loro venuta, posandogli in mano una bottiglia di vino. A Brom funzionò. Pensò Eragon ricordando Brom che faceva svenire una guardia e le posava in mano una bottiglia pronunciando: “Le guardie si ubriacano spesso”. Speriamo. In effetti quella missione era tutta una speranza. In molti avevano fiducia in lui e speravano nella sua riuscita, ma era lui che sperava andasse tutto bene.
Si allontanarono dalle mura tornando laddove avevano lasciato le cose più ingombranti. Lasciarono le armi troppo ingombranti, portandosi dietro solamente coltelli e pugnali. Eragon soppesò Brisingr prima di fasciarla dentro degli stracci e metterla assieme agli zaini, come a sembrare un palo di legno o un pezzo di prosciutto.
- E’ rischioso – aveva detto Roran quando l’aveva visto
- Lo è di più non portarla – Eragon lo sorpassò con in spalla lo zaino. L’incantesimo sarebbe durato ancora poco più di 6 ore, ma le guardie conoscevano il suo volto e Roran rischiava. Si voltò per poi prendere delle fasce e passarle ad Elvin – Coprigli il volto come a farlo sembrare malato. Se diciamo che ha la pelle corrosa, le guardie lo faranno passare.
Detto questo si rimise in marcia mentre Elvin adempieva al compito datogli dal cavaliere.
Raggiunta la porta d’entrata, Eragon si fermò: una lunga fila di persone si stagliava innanzi a loro. Erano per lo più persone povere e malandate che portavano con sé onori e denari per ingraziarsi Galbatorix. Eragon sentì la rabbia crescere. Era così che si comprava i sudditi quel mostro?
Si misero in fila, attendendo il loro turno.
- Ci vorrà una vita – sussurrò Roran da sotto le bende, facendo un passo avanti e lanciando uno sguardo alla famiglia dietro di loro. Erano una madre e due bambini, mentre il padre reggeva un grosso carro. La bimba era malata.
Eragon fissò avanti a sé fino all’inizio della coda. Le guardie erano lente e molte persone venivano private dei loro averi e poi mandate via in malo modo. Guardò a terra. L’incantesimo non sarebbe durato abbastanza e loro non avevano tempo da perdere.
Socchiuse gli occhi e pronunciò due flebili parole. In pochi istanti si ritrovarono i terzi della fila.
Elvin parve spaesata e guardò Eragon interrogativa. Di tutta risposta lui le strizzò l’occhio.
- Il prossimo! – urlò una guardia dopo aver fatto entrare due uomini con tre ciuchi.
Eragon si fece avanti lentamente, la schiena leggermente curva – Vogliamo venire a dare i nostri servigi al grande Galbatorix – gli costò una fatica immensa pronunciare quella parola, quell’onorificenza che neanche si meritava quel verme, ma non era per se stesso che lo faceva.
La guardia lo squadrò da capo a piedi per poi aprire le loro borse, incontrando il pacco chiuso dove dentro risiedeva la spada.
- E qua che c’è? – tuonò, rivolto ad Eragon
Questo alzò lo sguardo indicando Roran – Un suo braccio, come vede, è malato gravemente.
- E’ contagioso? Ha paura in un’epidemia. – No. Non lo è
- Chi me ne da la conferma?
- Nessuno.
La guardia passava il suo sguardo da Eragon a Roran che si sentì raggelare nelle vene. Non ce l’avrebbero fatta.
Poi la guardia restituì loro gli zaini, spostandosi e facendoli passare. La cosa fu così svelta che Roran non si chiese se Eragon aveva usato qualche suo trucco. La verità era che se sei onesto la gente ti crede.
Sorpassarono la porta e si ritrovarono davanti un’immagine che, da ciò che sapevi delle leggende, non ti saresti mai aspettato.
La città brulicava di gente che andava in su e in giù di gran fretta. Mercanti che vendevano spezie, ori, e ornamenti di vario tipo, bambini che si rincorrevano e che si tiravano il fango, e donne che scambiavano quattro chiacchere quando incontravano qualcuna che conoscevano.
Elvin vi aveva vissuto e sapeva che Uru’bean era l’unica città viva di tutta Alagaesia, ma per Roran ed Eragon la cosa era alquanto stupita. Forse non sarebbe stato così difficile muoversi tra tutta quella gente.
Eragon alzò lo sguardo innanzi a sé, verso il castello che troneggiava al centro della città, leggermente elevato ma senza superare le mura. Sono così vicino.
Sentiva il cuore battere all’impazzata e una forte paura assalirlo. Lì, proprio a pochi metri da lui, si trovava Galbatorix, il suo acerrimo nemico.
Ok, non sono sicura che questo capitolo sia venuto bene però non volevo fosse così facile aprire un varco ai Varden, dopotutto stiamo pur parlando di Galbatorix no? Eragon adesso è davvero vicino all’uomo che sta distruggendo Alagaesia e il quale è causa della morte di suo zio e di tutte quelle del popolo che ancora ha il coraggio di ribellarsi. La causa della fine di Carvahall, del ritorno di Roran, della perdita di un fratello. Vicino, ma ancora non è il momento di ucciderlo. stefy_81 quesiti che spero via via tu possa capire, o comunque, se hai dubbi, chiedi pure ;) Un onore è per me avere te che leggi e che ti appassioni alla mia storia, mi rende davvero molto felice, credimi. Spero che questo capitolo ti sia piaciuto; sto aggiornando il più in fretta che posso!
Era passata quasi una settimana da quando Eragon era partito alla volta di Uru’bean assieme ad Elvin e Roran e nell’accampamento Varden la tranquillità era divenuta talmente insistente da soffocarla. Si era gettata in affari burocrati e azioni di guerriglia contro le zone sottomesse da Galbatorix sperando ci cacciar via l’angoscia, ma non era servito a niente.
Aveva fatto smettere di torturare Murtagh, come richiesto da Elvin, ma aveva fatto aumentare le guardie così come la dose di droga giornaliera. Non si fidava e benché per un periodo si era sentita attratta da lui ora erano nemici, lui stava dalla parte di Galbatorix, lei lottava per la libertà del suo popolo.
Nasuada si alzò dal suo scranno sgranchendosi le gambe e fissando i fogli sparsi sulla sua scrivania. Erano aumentati da quando aveva preso il posto di suo padre, circa un anno prima e ora amministrava tutto senza batter ciglio, o almeno quella era divenuta la sua quotidianità.
Si mosse fermandosi innanzi ad una piccola statua di suo padre, forgiata in dono dai nani. L’accarezzò piano sospirando mentre volgeva lo sguardo alla porta della tenda. Anche tu ti sentivi così?
Si sentì stanca e bisognosa di fare due passi, ma sapeva che mai sarebbe stata sola là fuori a causa dei Falchineri richiesti da Jormondur che la seguivano ovunque. A volte lo benediceva per la sua bonarietà e il suo affetto nei suo confronti, ma a volte lo sentiva troppo col fiato sul collo.
Chiamò una guardia tirandosi a pieno petto e acquistando quella sicurezza che faceva vedere ma che non aveva.
- Portami il prigioniero – la guardia annuì e sparì dalla tenda, mentre Nasuada ricadeva pesantemente sul suo scranno.
Eragon, Elvin e Roran si muovevano circospetti fra la folla di Uru’bean, stando bene attenti a non scoprire il volto di Roran, che ancora per quattro ore sarebbe stato Eragon.
Si fermarono al quarto anello della città che avrebbe portato al primo dove si ergeva la fortezza di Galbatorix. Eragon non si era mai sentito così agitato, nemmeno prima di una battaglia. Era come se tutta la sua vita, tutti i suoi addestramenti, i suoi dolori, fossero giunti alla fine, alla resa dei conti.
Aveva evitato intenzionalmente di proferire parola con Elvin e Roran: loro non avrebbero potuto aiutarlo. Non li reputava inferiori, ma non lo avrebbero capito. Non erano loro il Cavaliere a cui tutto il destino di Alagaesia era affidato, non erano loro ad avere il peso di milioni di vite sulle proprie spalle.
Si avvicinarono ancora fermandosi vicino ad un secondo cancello che portava alla parte nobile della città. Vestiti così per loro era impossibile.
Si ritrovarono a cambiare aspetto ancora una volta e ad avvicinarsi disinvolti alle guardie che li fecero passare. Almeno Eragon era ancora capace di modificare le scelte altrui, benché l’energia gli stesse pian piano finendo. Tenere sé e Roran scambiati non era cosa facile.
Raggiunsero il primo livello dopo un’ora e mezza, attenti a chi incrociavano e a chi gli rivolgeva parola. Eragon si sentiva vincolato col volto di Roran, chiunque avrebbe potuto riconoscerlo dei soldati che erano stati a Carvahall.
Passarono un centro di mercato, immobili poi a fissare le porte della fortezza. Erano arrivati e non aveva ideato un piano per entrare.
Elvin lo fissò per poi volgere uno sguardo a Roran: - Eragon?
Il biondo si voltò, attendendo.
- Io avrei un’idea –
Lo sguardo dei due ragazzi si fece interrogativo mentre la ragazza, a bassa voce, spiegava la sua idea.
Decisero di muoversi quando il sole fu calato e la magia che teneva Eragon e Roran legati era svanita.
- Ora mi sento più a mio agio – aveva detto Roran prima di allontanarsi assieme a Eragon, lasciando Elvin alle porte della fortezza.
Si, aveva avuto quella brillante idea, ma adesso era di nuovo sola, e nuovamente nella città da dove era fuggita mesi prima.
Prese un profondo respiro prima di muoversi a passo lento ma solenne, un cesto di doni al braccio, come fosse una nobile venuta da fuori ad offrire i propri omaggi al re. Altolà!
Due guardie se ne stavano di guardia alle porte della fortezza che si ergeva nera sopra la sua testa, a incombere paura e senso di morte.
Elvin si fece avanti indicando l’araldica sul cesto e facendo intravedere l’oro all’interno. Eragon è stato davvero bravo.
- Da dove vieni? - la voce della guardia, la più anziana, era bassa e roca, come se avesse il mal di gola.
- Orleàn, il mio re mi manda a dar dono della sua fedeltà a Galbatorix. – sentiva le gambe tremare ma cercava di mantenere un tono più fermo possibile. Non poteva avere paura adesso, c’era in ballo anche la sua di vita.
- Orleàn? Mai sentito.
- È oltre oceano, Galbatorix ne conoscerà il nome.
Sapeva che con una risposta del genere le guardie non avrebbero obbiettato. Nessuno aveva il coraggio di mettere in dubbio ciò che il re poteva sapere.
Le due guardie si scambiarono un’occhiata poi una di esse sparì, lasciando Elvin assieme al più giovane, che le lanciò un mezzo sorriso.
Lei rispose, abbassando e rialzando immediatamente lo sguardo. Sentì l’istinto di girarsi a fissare il luogo dove Eragon e Roran l’avrebbero aspettata, ma ciò poteva compromettere l’intera missione. Roran sarebbe uscito aspettando i due al di fuori delle mura, laddove la barriera non voleva cedere, mentre Eragon al lato sinistro della fortezza, dove si elevava la finestra della torre.
Elvin le lanciò un’occhiata: era altissima e si domandava se la corda che teneva nel cesto sarebbe bastata.
La guardia tornò dopo poco con un vecchio dal camice viola che la scrutò per poi farla passare.
L’interno della fortezza era tappezzato di arazzi che raffiguravano le vittorie di Galbatorix, e il rosso dominava fra gli altri colori. Come fuoco, come sangue. Elvin si sentì raggelare. Era dentro l’antro del lupo, da sola.
Il vecchio le fece correre parecchi corridoi e Elvin cercò di tenere a mente la strada. Doveva raggiungere la torre finché era notte, non poteva rischiare di perdersi.
Il vecchio la portò in una stanza dove la porta le si chiuse alle spalle. Era buia se non per una piccola candela al centro della stanza. Una stanza che non era vuota.
Vide un altro anziano signore avvicinarsi, vestito della stessa tunica, fissarla negli occhi. Aveva le iridi di un grigio scuro mentre le pupille erano a fessura, troppo piccole per il buio che c’era. I capelli, quasi mancanti, cadevano a ciuffetti sulla tempia calva, mentre il naso adunco si protendeva sopra una bocca sottile e ricurva. Devi stare calma. L’istinto di afferrare l’arma era forte, ma un solo gesto avrebbe potuto comprometterla.
- Orleàn, donna dell’Occidente, dobbiamo leggerti la mente per sapere che inganno alcuno tu non celare.
Elvin si sentì persa, il suo maestro le aveva insegnato qualcosa riguardo al mantenere la mente chiusa agli estranei ma non avrebbe sicuramente retto contro dieci persone, per di più stregoni, tutti assieme.
Passò lo sguardo ad ognuno dei presenti mentre questi le si stringevano attorno lentamente cantilenando.
Una cantilena che riconobbe essere soporifera.
Venne presa dal panico mentre sentiva i sensi intorpidirsi. No, non posso, Eragon conta su di me.
Eragon era in pensiero, non era stato così d’accordo all’idea di mandare Elvin da sola. Era caduta preda delle guardie di Galbatorix già una volta e non usava né magia né aveva tecniche di combattimento avanzate. Almeno Roran aveva sviluppato un’innata capacità col martello; ma lei non aveva niente. “Sono stata addestrata”. Si ma da chi Elvin?
La ragazza non gli aveva voluto dire il suo nome e lui continuava a tormentarsi se avesse fatto bene a lasciarla andare.
Camminava lungo le strade a capo chino mentre il cappuccio gli copriva il volto per le poche persone che incontrava per strada. Si stava avvicinando il coprifuoco e la gente si affrettava a tornare nelle proprie case.
Guardò il campanile della Chiesa – cosa che gli sembrava incredibile Galbatorix tenesse, probabilmente preti corrotti se non stregoni al suo seguito -; appena fosse suonato per lui sarebbe diventato più difficile muoversi.
Si affrettò cercando di destare meno sospetti e aggirando la fortezza allungando di molto il tragitto. Meglio essere sicuro di raggiungere il luogo che fare in fretta e finire in preda delle guardie.
Lo raggiunse aggirando una guardia voltando poi lo sguardo all’entrata. Elvin era dentro altrimenti a quest’ora già sarebbe suonata l’allarme. Ma come stava? Se la sarebbe cavata? Eragon voleva credere di si, ma tutto gli diceva meno che quello.
Si sedette, le mani in grembo, a fissare le mura nere innanzi a sé. Erano fatte di pietra nera, di marmo nero, e a volte il catrame ne copriva i fori. Galbatorix non voleva una fortezza fosse lussuosa, bensì una che incutesse terrore ai nemici. E c’era riuscito.
Pensò a Saphira, a come doveva stare, a cosa stava facendo, se al campo Varden stava andando tutto bene.
Certo che le mie preoccupazioni sono aumentate parecchio da quando vivevo a Carvahall. Prima mi deprimevo se non riuscivo a prendere un cervo.
Da quando era diventato Cavaliere e il destino di Alagaesia pesava su di lui tutti i problemi che credeva di avere prima diventavano delle stupidaggini, delle idiozie da bambino. Non conoscevo il mondo, Brom aveva ragione.
Brom, suo padre, l’ultimo dei Cavalieri. Era in momenti come quello che ne sentiva il bisogno.
Era perso nei suoi pensieri quando sentì qualcosa muoversi dietro di lui, strusciare appena, per poi svanire.
Si alzò in piedi la spada in mano, il blu della lama che brillava alla luce della luna.
Continuava a guardarsi intorno, i senti in allerta. Poi nuovamente quel fruscio, e una cesta di capelli biondi emergere dal nulla.
Abbassò la lama di riflesso, corrugando la fronte alla vista di quella figura leggiadra. Era una donna dalla pelle candida, le guance rosee e gli occhi viola spezzati da una pupilla felina; i capelli d’oro lunghi fino alle spalle e le braccia decorate di bracciali color rosso, dal chiaro allo scuro ma tutte sulla tonalità del sangue.
Eragon abbassò di poco lo sguardo. Era a piedi scalzi e l’abito di lino bianco si muoveva leggero sotto la spinta del vento.
La ragazza sorrise puntando i suoi occhi in quelli del Cavaliere, mentre i canini prominenti spuntavano da sotto le labbra corpose.
Eragon si sentiva rapito da quella figura, quella figura che così tanto lo faceva sentire a casa ma che lo faceva mettere anche molto in guardia.
- Tu sei Eragon - era più simile ad un’affermazione che ad una domanda e Eragon si chiedeva se era lei la voce che prima lo aveva aiutato. Certo, quella di prima era molto più bassa e mascolina, ma Oromis gli aveva insegnato che molti cambiano la loro voce per non farsi riconoscere.
Eragon tirò su nuovamente la spada, tenendola salda con le due mani – Chi sei?
La donna sorrise – Lo sai dove ti trovi Cavaliere? Non mi sembra che questo sia il posto adatto per un alleato dei Varden. Non credi?
- Cosa vuoi? – Eragon sentiva l’ansia crescere. Non sapeva cosa stesse facendo Elvin, non sapeva come stesse Roran e lui era stato scoperto da qualcuno, e per di più era senza Saphira.
La ragazza rise, una risata bassa ma terrificante – Non essere così preoccupato, non hai più da preoccuparti per i Varden.
Eragon corrugò la fronte fissandola senza capire – Che vuoi dire?
La ragazza emise un altro ululato iniziando a camminargli attorno – Che semplicemente non ci sarà più nessuno da cui dovrai far ritorno.
Eragon sentì il sangue gelarsi nelle venne e la spada cominciare a tremare fra le mani. No, se a Saphira fosse successo qualcosa lui l’avrebbe sentito, e poi chi era quella ragazza? Perché gli diceva tutto quello?
- Menti! – disse fra i denti incapace di credere alle parole appena pronunciate.
Quella alzò gli occhi al cielo emettendo un sospiro esasperato – Mi avevano detto che eri testardo ma ti credevo più facile di comprendonio!
- Nasuada non è così facile da sconfiggere! Né i Varden! – gridò di tutta risposta lanciando occhiate sempre più disperate alla torre. Dov’era? A quest’ora avrebbe già dovuto calargli la corda.
Fu un lampo e si ritrovò la ragazza davanti al viso, stavolta non più bella né leggiadra, bensì scura, gli occhi neri, i capelli che brillavano di luce propria, e un ghigno dipinto sul volto da far raggelare il sangue dell’uomo più coraggioso.
- Nasuada è morta.
Fissava un punto indefinito della tenda nella quale era stato segregato quando un gruppo di guardie venne a prenderlo. Gli dissero che Nasuada voleva vederlo e Murtagh cercò di trovare il significato a quella convocazione. Da quando Elvin se n’era andata non lo avevano più toccato benché si sentisse la mente pesante, fin quando era arrivato a capire che nel cibo c’era della droga e aveva evitato di mangiare, facendo sparire acqua e cibo sotto la terra: ci sarebbe cresciuta una pianta, se lo sentiva. Ma non voleva ritrovarsi idiota quando sarebbe giunto il segnale da Galbatorix. Aveva dato l’uovo a Castigo, fortunatamente era ancora in grado di traslare qualcosa, e grazie a quello aveva potuto sentire il drago qualora volesse, e in più aspettava solo il momento buono per andarsene di lì.
Shiel gli aveva detto che non era ancora il momento della sua liberazione e che prima Galbatorix voleva liberare Castigo, ma la cosa che più lo tormentava era che lei non lo aveva aiutato perché qualcuno glielo aveva espressamente chiesto. In principio aveva pensato a Galbatorix, ma se fosse stato lui non si sarebbe infuriato per la sua cattura, e allora continuava a chiedersi chi potesse essere.
Seguì le guardie fuori dalla tenda passando con le mani legate fra le tende dei Varden, circondato. Vedeva gli sguardi delle persone alle quali aveva combattuto a fianco tempo a dietro squadrarlo, guardarlo male e addirittura lanciargli maledizioni.
Spostò lo sguardo osservando come si erano ridotti a vivere scappati dal Farthen Dur. Neanche Nasuada può tutto.
Eragon li aveva aiutati ben poco e si vedeva lontano un miglio che erano stati decimati.
Nasuada lo attendeva nella sua tenda, seduta sullo scranno, le mani in grembo e lo sguardo perso; sguardo che si riprese subito quando una guardia l’annunciò.
- Bene, lasciateci –
La guardia parve titubare, per poi inchinarsi e uscire.
Murtagh corrugò la fronte prima osservando la guardia poi Nasuada. Si fidava a rimanere con lui da sola? Forse dava troppa fiducia alla droga. Non pensa che potrei essermene accorto?
Ma dopotutto era giovane e ingenua, non addestrata a comandare, e Murtagh si chiedeva chi fosse stato lo sciocco ad averla proclamata capo dei Varden.
Nasuada rimase qualche istante con la mano sulle labbra a fissarsi i piedi, per poi alzarsi e iniziare a camminare, senza guardarlo. Ha paura?
Ad un certo punto la donna si fermò, fissando un quadro.
- Sai perché la tua carne non lascia più sangue? – si voltò guardandolo negli occhi.
Murtagh vide uno sguardo di nostalgia negli occhi della donna e si chiese se riguardava i tempi dove avevano combattuto assieme. E ci aveva fatto centro. Nasuada non aveva mai dimenticato quando lei lo aveva visto per la prima volta, quando si ritrovava a portargli il cibo nella stanza dove l’aveva chiuso suo padre, o quando si erano ritrovati schiena contro schiena durante la battaglia contro l’esercito di Durza. Non aveva dimenticato i battiti del suo cuore ad ogni sorriso del moro.
Ma non era il momento di pensieri, di ricordi, tutto quello non c’era più e non sarebbe mai tornato. Lei doveva proteggere i Varden da quelli come lui.
- Perché Elvin ha tanto insistito sacrificando anche se stessa.
Murtagh si mosse appena, i polpastrelli posati gli uni sugli altri. Sapeva che Elvin se n’era andata ma non gli avevano detto il perché. Voleva pensare che non gli importava niente e che anche fosse morta lui avrebbe vissuto comunque, ma non era così, e odiava quella parte debole di sé che lo portava lontano dalla ragione.
Nasuada continuò a fissarlo ma Murtagh non dava cenno di dire niente. Così continuò, ricominciando a passeggiare con le mani dietro la schiena.
- Tanti uomini fanno sacrifici durante la loro breve vita, alcuni la mettono addirittura al servizio del prossimo ignorando dolore e morte. E anche molte promesse – lo guardò nuovamente mentre la tenda si apriva e due stregoni vestiti di una candida veste color panna entravano, posizionandosi ai lati di Murtagh.
Provenivano dal Surda, mandati direttamente dal re.
- ma io non posso permettermi di farlo quando ho un popolo da difendere e una vittoria da portare a termine – gli costava parecchio farlo, anche solo pensarlo l’aveva fatta andare di stomaco almeno tre volte, ma era ciò che andava fatto, per il bene di Alagaesia – Perdonami Murtagh Morzansson, che la tua anima possa riposare là dove andrai.
A quelle parole i due uomini premettero le loro mani sulla testa di Murtagh che sentì una scarica passargli da parte a parte e come una talpa intrufolarsi fra i suoi pensieri, i suoi ricordi. Erano nella sua mente.
Si ricordava la volta che era giunto al Farthen Dur e si era opposto, ora volevano nuovamente provarci?
Cadde in ginocchio opponendo resistenza, più resistenza di quanta drogato non poteva opporre. Lo stregone più alto parve accorgersene e sferrò un calcio nell’addome del Cavaliere, sperando di destabilizzarlo un po’, ma Murtagh non avrebbe lasciato entrare nessuno dentro la sua mente. Solo una persona c’era riuscita e lui non voleva ripetere l’esperienza.
Nasuada non riusciva a guardare, fissava a terra, ora la tenda, ora l’uscita, ora le sue mani, ma non riusciva a posare gli occhi sul ragazzo che aveva salvato la vita a suo padre e ne aveva strappata tanta alla sua gente; ma sfruttare il suo sapere e poi ucciderlo, era meschino.
Non riuscì a raggiungere l’altro capo della tenda quando Arya entrò di corsa interrompendo il contatto degli stregoni.
Murtagh diede un respiro affannoso, alzando gli occhi sull’Elfa, ora sudata e agitata, le vene del collo in tensione.
- Ci attaccano. L’esercito di Galbatorix. E sono un numero mai visto.
Il terrore invase Nasuada. Non era possibile, dove l’aveva trovata tutta quella gente in così poco tempo Galbatorix? E poi Eragon, Elvin e Roran? Avevano fallito? Galbatorix aveva scoperto tutto?
Il suo sguardo corse a Murtagh che lo ricambiò severo: era giunta l’ora che diceva Shiel. Murtagh.
È l’ora?
È l’ora.
Un ruggito squarciò l’aria e fece vibrare il terreno mentre gli stregoni si guardavano in giro terrorizzati e Nasuada e Arya correvano fuori dalla tenda. In aria, elevato in cielo che incendiava il campo, c’era Castigo, con ancora i resti delle catene legate al collo.
- Non è possibile…- non ci credeva, non poteva essere successo. Lo sguardo della regina passava dal campo alle sue guardie che cercavano di rispondere all’attacco. Fuoco, fuoco da per tutto. Galbatorix li aveva raggiunti ancora, e nel momento in cui erano più vulnerabili. Erano senza Eragon.
Due gemiti di dolore raggiunsero le due donne che voltandosi videro Murtagh sfilare una spada dal secondo corpo degli stregoni. Arya sguainò la sua parandosi innanzi a Nasuada e facendole segno di allontanarsi, mentre i Falchineri la circondavano.
Nasuada non si era mai sentita così frastornata, così confusa e indecisa su cosa fare. Guardava Arya, Murtagh, Castigo, Saphira che si era lanciata sul drago rosso cercando di aiutare, i Varden, le donne che scappavano e venivano uccise dalle guardie di Galbatorix. Era stata ingenua, non aveva pensato che Murtagh poteva essere stato mandato qui a posta. Non aveva pensato all’evenienza. Che capo era se lasciava permettere questo?
Arya cadde all’indietro rialzandosi mentre Murtagh le dava un altro affondo con la spada. Si trovava male, non era la sua Zar’roc, ma notava con piacere che i suoi ultimi allenamenti con Galbatorix avevano dato i loro frutti.
Scartò di lato un attacco dell’Elfa per poi saltare su una botte e finirle addosso, mancandola di qualche centimetro. Sorrise beffardo slegando con la magia una corda della tenda e lanciandogliela addosso.
L’Elfa si ritrovò ingrovigliata e le ci volle troppo per liberarsi, troppo da far partire Murtagh verso Castigo.
Murtagh si sentiva stanco e il corpo non gli rispondeva ancora come avrebbe voluto. Gli doleva la schiena per le torture sofferte e il rimanere troppo fermo lo aveva fiaccato, ma agli occhi degli altri il Cavaliere era una belva impossibile da essere fermata. Avanzava facendo strade di guerrieri, correndo verso il suo drago senza alcuna pietà, mentre Saphira, oramai Eragon, non riusciva a sopraffare Castigo.
Finì a terra poco dopo ferita ad un fianco dalle zanne del drago rosso, che appena sentite le gambe di Murtagh farsi salde sui suoi fianchi, spiccò il volo librandosi in aria, lasciando dietro di sé nuvole di polvere.
Murtagh guardava il campo dall’alto ridendo, finalmente libero dalle catene dei Varden, ma nuovamente in quelle di Galbatorix.
Si guardò attorno osservando l’enorme armata che avanzava facendo strade di Varden, poi lanciò un’occhiata a Nasuada. Non ce l’avrebbero fatta, i soldati del re erano troppi e loro erano stati presi alla sprovvista.
Lanciò uno sguardo dietro di sé, oltre il deserto di Hadarc, dove Eragon combatteva la sua battaglia.
Si riscosse mandato Castigo in picchiata fendendo un colpo ad uno dei Falchineri di Nasuada, oramai quasi priva di protezione. Combatteva, uccideva, ma si vedeva che era sempre più stanca e la paura, il terrore, il senso di colpa verso la sua gente, non le permettevano di ragionare con freddezza, e in questi casi, essere fermi ti salva la vita.
Arya dal canto suo era riuscita a liberarsi dalle funi e ora correva in soccorso di Nasuada, sempre più accerchiata dai soldati di Galbatorix. Gli Elfi erano famosi per la loro velocità, ma stavolta sembrava che Arya fosse più lenta che mai. Il tempo parve fermarsi, e Nasuada poté vedere tutta la sua gente in schiavitù sotto la tirannia di Galbatorix. Tutta Alagaesia perire, mentre un grido squarciò l’aria, sovrastando le colline oltre il fiume. Saphira era rovinata al suolo. Mille soldati le erano addosso cercando un punto libero dove infliggere la loro ascia e brindare col sangue che ne usciva dalle ferite, mentre i lamenti della dragonessa divenivano sempre più strazianti e acuti.
Arya si sentì persa, l’unica possibilità di vittoria contro Galbatorix stava per essere distrutta e a loro non sarebbe rimasto niente. Si sentì inutile e per la prima volta si ritrovò a desiderare la presenza di Eragon accanto a lei, così da poter fare qualcosa. Lui potrebbe salvarla.
Ma lui non c’era e nessuno in quel campo era capace di fare qualcosa, se non lei.
Uccise due soldati che le si pararono davanti per poi rinfoderare la spada e iniziare a correre più forte che poteva, evitando gli attacchi e saltando i nemici, ignorando colpi e frecce che le sibilavano accanto. Era veloce, lo sapeva, e non poteva permettersi di fermarsi a graffi o a debolezze. La salvezza Saphira era la cosa più importante in quel momento.
Storse il collo ad un capitano riprendendo la spada e salendo sulla coda della dragonessa uccidendo tutti quelli che le si paravano davanti. Erano tanti, e più ne uccideva più ne tornavano, non sarebbe riuscita a liberare Saphira a quel modo. Poteva fare solo così, e se anche era rischioso, se anche quell’incantesimo avrebbe potuto succhiarle via tutta l’energia, non era lei che doveva vivere a tutti i costi.
Tagliò la testa ad un soldato superandolo e raggiungendo la spalla della dragonessa che cercava di rompere o bruciare i soldati e le lance che aveva incastrate nel corpo e che la indebolivano sempre più.
- Ora ti libero! – gridò l’Elfa roteando la spada e colpendo l’elmo di un giovane – Appena sarai libera vola e allontanati più che puoi!
Saphira la guardò scuotendo l’enorme capo. Non vi lascio a combattere l’esercito di Galbatorix da soli.
Arya si voltò lanciandole uno sguardo di fuoco, il terrore di vedere il suo popolo in catene negli occhi – Siete tu e Eragon l’unica salvezza di Alagaesia! Non noi!
Detto questo allargò le braccia, guardò in alto e urlò le parole nell’antica lingua: - Losna kalfya Bjartskular unin Dagshelgr Wyrda!!* - un alone azzurro si allungò attorno ad Arya e Saphira bruciando coloro che vi erano all’interno con urli mozzati, mentre gli occhi dell’Elfa diventavano neri e Saphira si alzava sulle zampe per lanciarsi in aria, allontanandosi dal campo; mentre una spada si librava in aria per abbattersi pesantemente su di lei e farle strabuzzare gli occhi dallo stupore.
*letteralmente “Libera Squame di Luce nel Giorno Sacro, Fato”. L’ho creata unendo le parole ideate da Paolini e spero di non aver fatto gheffa, ma la possiamo vedere come “Oh Fato libera Squame di Luce per il vicino Giorno della Rivincita/Promessa”.
Ok, mi sono accorta che le cose che ancora devono accadere sono davvero tante e che quindi la storia ha ancora da svilupparsi per bene (eh già ^^’ se quando parti hai una mini traccia andando avanti la strada diviene più delineata e chiara così come le cose che devono succedere, ora so come si sentiva Paolini quando ha scritto Brisingr). In questo capitolo si aprono tre fronti, Eragon a Uru’bean contro Shiel, Elvin sempre ad Uru’bean contro i misteriosi stregoni al servizio di Galbatorix, e i soldati di quest’ultimo contro i Varden nel Surda.
Elvin riuscirà a cavarsela? Eragon crederà alle parole della bestia? E questa bestia chi è? Nasuada è davvero morta? Il cuore di drago di Morzan servirà qualcosa a Murtagh e Castigo? E Saphira se la caverà da sola? Ma soprattutto Galbatorix dove l’ha trovata quell’enorme insieme di soldati e i Varden se la caveranno? E di chi era la voce che Eragon ha sentito nella sua testa? Gli interrogativi sono tanti e a tutti ci sarà una risposta, basta continuare a leggere ;)
stefy_81 eh la voce, purtroppo qua la cosa non viene spiegata ma ben presto sarà svelata credi a me ;) Spero che questo capitolo ti sia piaciuto e sono contenta di essere riuscita a interessarti col precedente, spero questo abbia fatto lo stesso ;) Grazie ancora per le recensioni!!! <3
Nasuada era stata sempre una grande combattente e nessuno pensava che una cosa del genere sarebbe potuta accadere, eppure, dopo anni che Jormondur la conosceva, si ritrovò a osservare il corpo di Nasuada esalare l’ultimo respiro. L’aveva vista nascere, l’aveva vista crescere e aveva assistito alla morta di sua madre, quando ancora lei era una piccola e dolce bambina, ingenua e innocente, nata sotto la benedizione di una maga ora scomparsa. La osservava, incapace di formulare pensieri che avessero un senso, pensieri che riuscissero a formare un filo completo. Dolore? No, in quel momento il suo cuore non provava niente e riuscì a districarsi da quell’immagine solo perché una spada si levo sopra il suo capo per decapitarlo verticalmente.
Si voltò, parando quel fendente e uccidendo l’assalitore, mentre con un ultimo sguardo osservava il corpo della donna in un lago di sangue. Il volere di Ajihad si era spento con lei.
Ma Jormondur non fu l’unico a rimanere paralizzato a quella visione, anche Murtagh, in cielo sopra Castigo, si era fermato a guardare la donna che cadeva esanime a terra e il suo assassino dietro di lei. C’era stato un periodo in cui si era sentito attratto da lei e vederla cadere così gli lasciò l’amaro in bocca.
Dette una nuova spinta a Castigo intimando gli uomini a continuare a combattere, quando una fitta alla testa non lo fece barcollare, Castigo con lui, che perse quota. Murtagh? Sto bene. Cos’è stato?
Non lo so.
Aveva detto di non saperlo ma ciò che aveva sentito era una sensazione conosciuta, lontana anni, ma conosciuta.
Guardò nuovamente il campo dall’alto notando come i Varden perdevano campo velocemente, come in poco tempo sarebbero caduti. Galbatorix aveva vinto, con quell’attacco per loro non c’era più scampo. Incredibile come una lotta alla libertà vada perduta.
Ma non fece in tempo a formulare quel pensiero che una freccia gli sibilò vicino all’orecchio, facendolo voltare interrogativo. Chi poteva lanciare una freccia a tale altezza e velocità? La risposta venne presto: un elfo.
Squadre di elfi sbucavano dalla foresta che circondava il Surda armati di archi di castagno e spade talmente lucenti da abbagliare anche un drago. Murtagh ne rimase ammutolito. Chi li aveva chiamati? Perché gli elfi, che si erano ritirati da quella guerra, ora accorrevano ai Varden?
Un’altra freccia gli volò incontro e fu solo alla prontezza di Castigo che non lo colpì in pieno viso.
Voltò lo sguardo al suo campo notando come se prima erano i Varden prominenti alla sconfitta, ora lo era il suo esercito. Fece una smorfia di disgusto al pensiero “suo esercito”, ma non c’era niente da fare. Gli elfi erano ben riposati e malgrado fossero in minoranza, ognuno di loro valeva come 100 dei suoi uomini
Levò la spada in alto facendola riflettere dai raggi del sole, parlando a voce alta.
- Al mio esercito! Ordino la ritirata! Avanti! – detto questo scese in picchiata con Castigo che con le sue fiammate divideva, per quanto possibile, i soldati del re e gli elfi, facendoli retrocedere e garantendo una possibilità di fuga agli uomini.
Voltò lo sguardo indietro mantenendo le fiamme ben accese, il suo che incontrò quello di una figura accovacciata nell’oscurità, dietro ad un albero, quegli occhi che lo fecero tentennare. Non è possibile.
Un’altra freccia lo fece rinsavire facendo decollare nuovamente Castigo e seguendo i suoi soldati in ritirata.
In una circostanza del genere i Varden avrebbero esultato ma quella per loro non era che una sconfitta.
Quelle tre parole lo lasciarono senza fiato e per pura fortuna riuscì a scansare l’attacco di Shiel che aveva sfoderato una spada d’oro con il manico d’avorio. Eragon ne sarebbe rimasto affascinato se si fosse trovato in un’altra situazione.
Scosse la testa mentre con Brisingr bloccava gli attacchi della donna, retrocedendo ad ogni colpo.
- Stai mentendo!
- Che motivo avrei di mentirti Argetlam? Forse sei troppo immaturo da credere che qualcuno possa morire?
Eragon non voleva crederci, ad ogni fendente scuoteva la testa incapace di credere ad una simile rivelazione. Nasuada, la donna che aveva succeduto suo padre a capo dei Varden, morta. Colei che lo aveva aiutato alla quale aveva prestato fedeltà, morta.
Sentì gli occhi farsi lucidi e un senso di impotenza impossessarsi di lui. E’ colpa mia. Non ero là a difenderla. E Saphira? Come sta Saphira?
La paura che anche il suo drago potesse essere ferito – non morto, l’avrebbe sentito – lo rendeva incapace di formulare attacchi decisivi e anche la sua difesa cominciava ad indebolirsi.
Shiel dovette accorgersene, perché ridacchiò: - La verità fa male vero Ammazzaspettri? Quante persone perderai ancora durante il tuo cammino? Quante persone ancora moriranno a causa della tua impotenza?
Eragon alzò lo sguardo verso di lei e capì quanto quella ragazza maledetta se pur bellissima avesse ragione. Era colpa della sua incapacità di sconfiggere Galbatorix che Nasuada era morta, che Ajihad aveva fatto la stessa fine, che Brom gli era stato portato via così come suo zio, era colpa della sua debolezza; quante persone ancora sarebbero morte perché lui non era pronto? Quand’è che sarò davvero pronto?
Saltò di lato evitando un colpo al fianco, ballando con Shiel sotto la luna, Brisingr che ne riluceva i raggi.
Pensò a Roran che lo aspettava fuori dalle mura, pensò a Katrina che stringeva le coperte attendendo suo marito, pensò ad Elvin, sola dentro la fortezza di Galbatorix, e pensò ad Arya. Cosa avrebbe fatto se l’avesse perduta? Come faceva a sapere se stava bene? Se Nasuada era morta voleva dire che il Surda era stato attaccato, quindi Murtagh adesso era libero?
Si sentì ribollire il sangue nelle vene ripensando al fratellastro, a come si fosse schierato da Galbatorix seppur non di sua spontanea volontà, di come non si fosse opposto, anche perdendo la vita. In troppi stanno morendo, io rischio la mia vita, così ha solo aiutato Galbatorix al suo scopo.
Ma sapeva che quei pensieri erano dovuti solo alla frustrazione per la morte di Nasuada e non perché era arrabbiato con Murtagh.
Ringhiò facendo roteare la spada di Shiel e facendola volare via, gridando nell’antica lingua e facendo rilucere il suo palmo, mentre la ragazza finiva a terra.
Eragon ansimò mentre il suo viso imperlato di sudore traspariva rabbia pura. La ragazza si mise a sedere, sorridendo mentre gli occhi viola erano puntanti in quelli castani di Eragon.
- La rabbia ci fa diventare più potenti ma più vulnerabili al tempo stesso – si alzò e Eragon notò con stupore come la sua veste fosse ancora completamente bianca. – Non è bene lasciare spazio alla collera
- Tu che ne vuoi sapere! – urlò Eragon puntandole la spada contro, impugnandola a due mani – Tu sei al servizio di Galbatorix! Che ne vuoi sapere tu! – non riusciva a formulare pensieri logici e la gola gli bruciava per la troppa fatica, mentre il cuore batteva forte in petto.
Lui aveva perso tutti, tutti coloro che gli stavano a cuore pian piano sparivano e Nasuada era una della numerosa lista. Quanto ancora avrebbe dovuto soffrire prima di diventare forte abbastanza? Oromis, a questo alludevi durante i miei insegnamenti?
Alzò la spada diretto contro Shiel mentre questa attraeva la sua a sé e il fragore delle spade si librò alto nel cielo. Shiel non sudava, non dava segni di stanchezza e quel sorriso sul volto rendeva Eragon sempre più arrabbiato, sconcentrandolo così. Per poco non fu ferito ad un fianco. Non lasciare che la rabbia ti prenda piccolo mio, concentrati.
Eragon spalancò gli occhi al suono di quella voce nuovamente nella sua testa. Saphira
Sopra di te.
Eragon alzò lo sguardo e vide Saphira che roteava sopra il palazzo del re mentre urla e ordini dei soldati venivano urlati da tutte le parti della città. Li aveva fatti scoprire, ma fu contento di vedere che stava bene.
L’immagine di Saphira lo aveva fatto tornare alla ragione e ora riusciva a difendersi meglio dagli attacchi della bestia, anche se non riusciva comunque ad infliggerle danni fisici. E’ forte e veloce.
Si trovò a constatare dopo quasi mezz’ora che combattevano. Accidenti. Si maledì mentalmente. Non è questo che mi hanno insegnato!
Saphira ringhiò alta nel cielo schivando le frecce anti drago che Galbatorix aveva fatto instaurare, e quel ringhio risvegliò il re.
Retrocedeva per quanto poteva mentre gli stregoni le si avvicinavano continuando a mormorare quella strana litania che le stava facendo perdere lentamente i sensi. Galbatorix l’avrebbe catturata, avrebbe scoperto i piani di Eragon e i Varden, avrebbe saputo tutti i loro punti deboli, e la colpa sarebbe solo stata sua.
Sentì il corpo afflosciarsi e cade in ginocchio mentre una mano le si posava in fronte. Eragon, Nasuada, perdonatemi..
Sentì la mente essere pervasa da un’altra presenza e i suoi ricordi più intimi venirle strappati. Morirò senza alcun pudore…
Rivide il volto di sua madre, il sorriso di suo padre, la sua migliore amica mentre giocavano a dama e cavaliere, e infine vide lui, Murtagh, di schiena, mentre prendeva l’acqua al fiume. Sperò che stesse bene, che Nasuada stesse onorando il patto stipulato con lei; sperava che non fosse arrabbiato con lei perché non l’avrebbe sopportato. Ma cosa penso…io sto per morire…
Quando vide Eragon innanzi a sé che parlava con Nasuada sapeva che era veramente finita: Galbatorix stava per venire a conoscenza di tutti i loro piani.
- Lasciatela immediatamente brutti vecchi rattrappiti!
Quella voce la riscosse e si accorse di essere nuovamente libera. Nessuno più era nella sua mente.
Si voltò alzandosi e attaccandosi al muro, spalancando gli occhi quando si vide Roran davanti a sé che brandiva il suo martello spaccando le teste dei vecchi che urlavano terrorizzati. Probabilmente bravissimi nel controllo della mente e nella magia ma affatto nel combattimento.
- Cosa ci fai tu qui?! – gli urlò incapace di muovere un muscolo. Ancora una volta era bloccata dalla paura.
- Non mi fidavo a lasciarti andare da sola!
- Come sei entrato?
Roran non rispose roteando il martello e colpendo in pieno naso uno degli anziani, fracassando poi il collo dell’ultimo che cercava di scappare.
Sorrise soddisfatto mettendosi il martello in spalla e guardando Elvin, per poi lanciarle la spada che teneva nascosta nel cesto. – Non si svelano i trucchi del mestiere – sorrise aprendo la porta e affacciandosi, assicurandosi che non ci fosse nessuno – Andiamo – la guardò – Abbiamo una missione da compiere.
Corsero lungo il corridoio quando sentirono il corno dall’allarme suonare.
- Eragon! – l’urlo di Elvin attirò le guardie che gli furono subito addosso.
- Complimenti – sbuffò Roran mentre schivava un fendente di un soldato, rompendogli subito dopo una gamba.
Elvin fece lo stesso col suo avversario, roteando la spada e mozzandogli la testa. Si guardò attorno: soldati scemavano da tutte le parti; ben presto sarebbero stati circondati.
Si voltò verso Roran, il cuore a mille e il fiato corto, la paura che rischiava di prendere il sopravvento.
- Che facciamo? – e poi si chiedeva: perché era suonato l’allarme? Per lei e Roran? Eppure i maghi erano morti tutti e non sarebbe passato tutto quel tempo se fossero stati loro a creare quel trambusto. Che fosse successo qualcosa ad Eragon?
Roran sembrava dello stesso parere, e mentre cercava un modo di scamparla da quella situazione, si ritrovò a pensare a come fare a tornare nel Surda senza di lui. Ricordava più o meno la strada.
Non voleva abbandonarlo, ma se fosse stato catturato lui e Elvin non avrebbero potuto fare niente; già era tanto badare a se stessi, e poi non ne avevano le capacità. Potrei tornare dopo con i Varden, sempre che Eragon sia ancora vivo.
- Di qua! – evitò di pronunciare il nome della ragazza per poi afferrarla e trascinarla verso una porta che dava alla torre, laddove avrebbero dovuto gettare la corda per Eragon. Elvin non riusciva più a raccapezzarsi. Non ricordava da dove erano entrati, non ricordava qual era la giusta strada per i passaggi segreti. L’unica cosa che era chiara era la schiena sudata di Roran.
Salirono le scale di corsa mentre i soldati arrancavano per riprenderli. Di certo lei e Roran erano più agili e leggeri di quelli bardati com’erano da pesanti armature.
Elvin sentì una freccia sibilarle vicina e fece in tempo a scostarsi per evitarne un’altra. Ci stiamo tirando in trappola da soli
Arrivarono in cima e si trovarono due porte laterali: sicuramente portavano al corridoio esterno.
Roran fece cenno ad Elvin di andare a destra mentre lui si dirigeva a sinistra. La giovane rimase titubante per qualche istante. Aveva capito le intenzioni del ragazzo, prendere strade diverse e ritrovarsi dalla parte opposta per scendere, ma lei era di nuovo sola e la distanza che li separava dalla torre opposta era tanta.
Si mosse veloce quando vide un gruppo di soldati venirle incontro, chiudendo la porta con una spranga di ferro.
Si voltò e scansò a pelo un colpo di un uomo grosso, sorpassandolo da sotto un’ascella.
Corse più forte che poteva scansando e abbattendo coloro che le si paravano davanti, ogni tanto gli ansimi interrotti da urli di paura.
Tutto andava veloce. Gli attimi si sovrapponevano agli altri e lei non si rendeva davvero conto di ciò che le stava accadendo intorno; aveva solo un obbiettivo: la torre.
Correndo non si accorse di un soldato che l’afferrò per i capelli. Elvin urlò.
- Ah ti ho presa sgualdrina!
- Lasciami! Lasciami! – Elvin mosse la spada in direzione dell’uomo, troppo scoordinata per colpirlo, che questi gli afferrò il braccio, gettando via la spada.
- Oramai sei finita ragazza
- BRISINGR!
Una fiamma colpì in pieno l’uomo facendolo scappare con un urlo mentre una mano forte l’afferrava e la portava a dorso di un piano squamoso.
- Eragon!
Il ragazzo era proprio di fronte a lei sul dorso di Saphira, Brisingr in mano e il volto consumato dalla fatica e da un sentimento che Elvin non riuscì a riconoscere: un misto di paura e disperazione assieme. Eragon?
Una scossa la fece tornare alla realtà e indicò la parte opposta della fortezza, laddove Roran combatteva circondato da una quindicina di uomini.
Saphira ascese per poi gettarsi in picchiata sui soldati e far salire Roran sul suo dorso.
- Grazie – il fiato del ragazzo era corto e a malapena riusciva a riprendere un naturale battito cardiaco.
Qualcosa era andato storto e le frecce che gli sibilavano contro presero Saphira in un’ala.
La dragonessa urlò e Eragon ordinò la ritirata.
Volarono lontano, sotto una pioggia incandescente di frecce.
- No!! – l’urlo di Galbatorix riecheggiò per tutto il castello mentre la brocca di vetro della Sala di Shruikan si infrangeva contro una libreria.
Il re ansimava di collera, le vene sul suo collo prorompenti, visibili a miglia di distanza. – Com’è potuto accadere!!
- Mi dispiace mio signore – Shiel si inchinava ad ogni sua scusa – Non era previsto l’arrivo del drago – non lo guardava
- Non era prevista? Non era prevista? – un’altra brocca si infranse contro il muro, Shruikan che stava rimanendo via via senz’acqua – Che vuol dire non era prevista?! Si sono fatti beffe di me, Galbatorix, qua ad Uru’bean! Pensi che questo mi aiuterà a conquistare prima Alagaesia?!
- No, mio signore
- Appunto, no! – Galbatorix si voltò ringhiando, facendo cadere a terra una sedia, tornando a puntare il dito contro la ragazza, che ora teneva i suoi occhi viola in quelli ghiacci del re – Questa è la tua ultima possibiltà
La ragazza annuì inchinandosi prima di uscire svelta dalla stanza. Zoppicava e un lieve sorriso le increspò le labbra. Quel ragazzo le era piaciuto, aveva avuto spirito di iniziativa; di certo non se lo aspettava da un Cavaliere dei Draghi come lui.
Shruikan abbassò il viso sull’acqua rimasta a terra per poi alzare i suo grossi occhi gialli su Galbatorix, ancora rosso per la sfuriata.
Eragon aveva sconfitto Shiel, era riuscito a scappare dalla capitale, la fortezza inespugnabile per eccellenza sotto il controllo di Galbatorix, prendendosi beffe di lui. Il re aveva ragione. Saputo l’accaduto, quanti paesi non sarebbero più stati impauriti dal suo potere. Per lui, lo capiva benissimo, era un affronto terribile.
Non poté gioire perché Galbatorix l’avrebbe potuto sentire, ma si sentì rincuorato dal fatto di aver potuto aiutare, anche solo in parte, il Cavaliere Eragon e sua sorella, Saphira. Si era schiuso prima di lei, il re aveva scelto lui, e quando aveva saputo che l’uovo era stato rubato aveva dato un sospiro di sollievo: almeno qualcuno si sarebbe salvato. Ma si chiedeva: lui aveva detto a Eragon dove si trovavano i passaggi segreti, ma lui era riuscito ad aprirne almeno uno?
Guardò il re che tanto lo stava facendo soffrire camminare in su e in giù per la stanza, accucciandosi sulle zampe davanti. I tuoi poteri si stanno affievolendo, se neanche riesci a capire che contatto un tuo nemico.
Il drago alzò gli occhi al cielo, il sole che saliva alto nel cielo nel momento dell’alba. Un’alba che sperava avrebbe dato i suoi frutti.
Saphira atterrò pesantemente su una collina lontano dalla città, vicino a Melian, esausta. Era lontano ma Eragon aveva insistito affinché mettessero più leghe possibili fra loro e Galbatorix.
Si sentiva esausto e affranto dalla tremenda notizia che Shiel gli aveva dato; ancora incapace di crederci ma sempre più convinto che la donna avesse detto la verità.
Scese lentamente da Saphira che veniva soccorsa da Elvin, per poi avvicinarsi a sua volta.
- Saphira come ti senti?
Ho una freccia nell’ala e sono ferita al petto.
Eragon abbassò lo sguardo sul corpo della dragonessa. Era vero, ferite più e meno profonde si alternavano dal collo fino alle spalle e al basso ventre. Ma quelle ferite non erano possibilmente essere state fatte da una freccia.
Strinse i pugni. Se Saphira era lì e ridotta in quello stato allora ciò che aveva detto Shiel era vero, Galbatorix aveva attaccato i Varden durante la sua assenza.
Scacciò quei pensieri: doveva curare Saphira e rimetterla in forse il prima possibile per ripartire subito alla volta del Surda, con lei sarebbe stato molto più veloce giungerci.
Si mise sotto di buona lena, riposandosi solamente quando sentiva le forze abbandonarlo, continuamente sotto gli occhi di suo cugino ed Elvin. Li ignorava: il suo unico pensiero era Saphira.
Passò una mano sulla ferita inferta all’ala ricucendone i filamenti, mentre il ricordo della battaglia tornava vivido in lui.
- Non sei capace di proteggere le persone a te care! Moriranno tutte prima che tu porti a compimenti la tua missione.
Non voleva ascoltare, non doveva sconcentrarsi, parava colpiva senza sentire alcun suono, ignorando anche i lamenti di Saphira e le sue grida. Doveva liberarsi di quella bestia, aveva un compito da portare a termine.
Alzò Brisingr colpendo la spada della donna e facendo scintille, mentre dentro di sé gli girava per la mente di farlo. Aveva poco tempo, e doveva riprendere anche Roran e Elvin.
Alzò la mano contro di lei pronunciando le seguenti parole: - Gànga aptr, Jierda Brisingr Kodthr, Gànga fram!*
La ragazza cadde all’indietro mentre la spada rotolava lontano. Eragon la prese in mano, puntandogliela alla gola. Shiel rise, mostrando una fila di denti bianchissimi.
- Sei in gamba Argetlam, te lo concedo, e per lodarti della tua bravura, ti dirò come arrivare ai passaggi segreti
- Come lo sai?
Shiel rise ancora – Pensi che non sapessi cosa avevate in mente? Chi pensi che abbia detto al re che il Surda era sguarnito del suo Cavaliere?
Eragon si era sentito vulnerabile. Chi era quella ragazza? Come faceva a essersi infiltrata fin dentro il Surda senza essere vista?
Stava per dar voce a tutte le domande quando sentì l’urlo di Elvin.
- Se non ti sbrighi i tuoi amici moriranno – la voce di Shiel era quasi un sussurro, debole per l’attacco subito, ma si sentiva ancora una nota di scherno e divertimento nella sua voce. A Eragon ricordò tanto Durza.
- Come faccio a fidarmi di te?
- Puoi anche non farlo
Ancora una volta Eragon si trovò fra scegliere di rischiare oppure salvare i suoi amici non portando la missione a compimento, ma si ricordo delle parole di Ajihad, del sacrificio dei milioni di Varden morti per lui, non poteva infangarne la memoria.
Corse laddove la donna gli aveva detto costatando che il passaggio c’era davvero. “Sposta la pietra accanto alla rossa, gira il pensiero e rimuovi il biglietto”. Gli aveva detto di affrettarsi ma di certo con quell’indovinello non l’aveva aiutato.
Cercò qualcosa di rosso ma non trovò niente. – Dannazione! – Cercò ovunque, niente, quando pensò come Galbatorix e capì che il rosso significava il sangue.
Si fece un taglio sul dito con Brisingr, la spada di Shiel nel fodero, scrivendo nell’antica lingua roccia. Apparì un biglietto. Lo tolse e leggendo ad alta voce la frase il passaggio si aprì.
Eragon non poté non lasciarsi sfuggire un sorriso soddisfatto.
Prese il biglietto e fece la strada al contrario, trovando Saphira che stritolava fra i denti un soldato. Vi salì in groppa – Da Elvin e Roran!
Si lasciò cadere seduto accanto a Saphira, poggiando la schiena al suo ventre, sfinito.
Grazie piccolo mio.
Figurati.
Si mise una mano nella casacca tirandone fuori il foglietto. Per lui quella era una lingua sconosciuta, non gli ricordava né il linguaggio dei nani né quello degli urgali, men che meno degli elfi.
Lo rimise a posto prendendo la spada della ragazza che ancora riluceva. Quella spada era magnifica ed era certo che le rifiniture fossero elfiche. Ma perché un servo di Galbatorix possedeva una spada elfica? L’aveva rubata a qualcuno che aveva ucciso?
C’erano troppe domande che necessitavano una risposta nella sua mente e il pensiero di Nasuada non riusciva a farlo pensare lucidamente.
Poggiò la testa alzando gli occhi al cielo, chiudendoli poco dopo, mentre il respiro di Saphira si faceva più pesante e Roran faceva il primo turno di guardia.
Murtagh batteva a grandi passi l’accampamento alla ricerca di una brocca d’acqua. Era riuscito a fuggire dai Varden ma ora era di nuovo sotto il controllo di Galbatorix, e in più la scena di Nasuada stesa al suolo continuava a mostrarsi davanti ai suoi occhi.
Si sedette su un tronco bevendo un lungo sorso d’acqua e buttandosene parecchia sul viso e sul collo, sciacquandosi con la mano. Adesso oltre al suo di sangue addosso aveva anche quello dei Varden.
Ricordò molto l’attacco a Belatona, quando Galbatorix gli aveva ordinato di distruggere il villaggio e portargli il capo ribelle. Era stato un massacro e anche lì erano tutti stati presi alla sprovvista.
Sospirò ripensando a ciò che gli era capitato da quando aveva conosciuto Eragon. Che fine avrebbe fatto se non avesse accettato di portarlo dai Varden? Galbatorix l’avrebbe trovato lo stesso?
Bevve un altro sorso gettando a terra la borraccia vuota e tirando fuori dalla tasca il cuore del drago di suo padre. Dallo a Castigo
Non era stato facile passare il cuore durante la sua prigionia, ma da quando Elvin aveva chiesto maggiore rispetto per lui gli avevano permesso anche di vedere il suo drago.
Lo rimise via, stavolta dentro una sacca che legò in vita. Gli faceva strano tenere qualcosa di suo padre, Morzan, a contatto con sé, quell’uomo che gli aveva rovinato la vita.
Alzò lo sguardo sui suoi uomini. Avrebbero vinto se gli elfi non fossero intervenuti, ora Galbatorix si ritrovava ad avere un nemico in più.
Si alzò diretto verso Castigo. Quest’offesa Galbatorix non l’avrebbe accettata, mancava poco al momento in cui anche il re sarebbe sceso in battaglia.
*”Letteralmente Vai indietro, spezza fuoco prendi, vai avanti”. L’idea di creare delle formule con le parole vere inventate da Paolini spesso risulta difficile e anche poco capibile come significato, ma è il contesto che vuole essere passato. Infatti Eragon fa scuotere Shiel avanti e indietro per poi darle una sensazione di bruciore alle ossa che si spezzano le quali danno l’idea di essere strappate via. Ovviamente non accade niente del genere, ma la sensazione è tanto forte da stordire la ragazza.
stefy_81ahah si Shiel è la ragazza e pare che sia rimasta stupita da Eragon che dici? Spero non mi ucciderai per aver fatto morire Nasuada, ma era indispensabile per la storia. Comunque ho aggiornato prima che potevo (come ti ho spiegato ho avuto dei problemi) e aspettavo il responso del mio editor personale ;) Bè spero che anche questo capitolo sia stato di tuo gradimento!! E GRAZIE ANCORA!!
Erano ormai due settimane che l’esercito di Galbatorix e quello dei Varden si scontravano, dove gli ultimi arrischiavano una sconfitta dopo l’altra. Avevano bisogno di un capo. Dalla morte di Nasuada nessuno aveva avuto il coraggio di eleggerne un altro; forse per il poco tempo, forse per paura di disonorare la donna; così il comando era rimasto nelle mani del Consiglio dove Jormondur comandava le truppe.
Eragon, Elvin e Roran erano arrivati due giorni dopo l’inizio della battaglia e non avevano avuto il tempo di riposare che, sia Roran che Eragon, erano dovuti scendere in battaglia a difendere i Varden. Eragon era stato via troppo tempo e si sentiva in parte in colpa per la morte di Nasuada, perché se lui ci fosse stato probabilmente non sarebbe successo. Erano riusciti a creare un passaggio ad Uru’bean, ma se quella situazione non si fosse destabilizzata, sarebbe servito a ben poco.
Elvin d’altro canto aveva insistito a partecipare alla battaglia, cosa che le fu vietato, precludendola in una tenda durante lo scontro. La ragazza era rimasta delusa dal comportamento dei Varden, ma doveva ammettere che se in campo si sarebbe comportata come davanti a quei maghi vestiti di viola, era per lo più che inutile. Si fissò le mani osservandone le rughe che le crossavano. Non era mai riuscita ad uccidere. C’era chi la vedeva come una cosa buona ma lei si sentiva solamente inutile.
Murtagh era mancato solamente i primi quattro giorni durante i quali i Varden avevano visto un barlume di speranza; ma da quando era tornato sembrava divenuto ancora più potente di prima, e Eragon non riusciva a sovrastarlo. Era sempre strafottente, col sorriso sul volto, e Eragon si domandava se non fosse divenuto come Galbatorix. Non voleva accettarlo ma i fatti dimostravano tutt’altro.
Ci fu un giorno che i due schieramenti non si affrontarono, e i Varden ne approfittarono subito per indire una riunione.
Era appena calato il sole quando Jormondur si alzò nella tenda circolare, Eragon vicino alla porta, Saphira che ne faceva capolino. Erano stati convocati anche Angela, Roran ed Elvin, oltre a tutti i membri del Consiglio e agli alti generali più fedeli a Nasuada.
Jormondur guardò i presenti negli occhi parlando con voce austera e fiera che ne tradiva una vena di tristezza.
- Signori e signore, sono due settimane che l’esercito di Galbatorix ci massacra. Non possiamo andare avanti così.
Un brusio percorse la tenda e lo sguardo di Eragon si posò su Roran. Sapeva cosa provava Katrina, una notte l’aveva fermato supplicandolo di convincere Jormondur a non far andare in guerra il marito, ma lui sapeva che il cugino non avrebbe mai accettato di ritirarsi.
Jormondur continuò: - E Murtagh, riuscito a scappare alla nostra cattura, è ora più forte di prima e decima i nostri uomini come stesse strappando fili d’erba.
Stavolta lo sguardo di Eragon cadde su Elvin che lo ricambiò per un istante prima di abbassarlo nuovamente. Non aveva idea di come Murtagh fosse riuscito a scappare e all’inizio aveva avuto paura dessero la colpa a lei, seppure una parte di lei era contenta della sua liberazione. Odiava ciò che Murtagh faceva ma saperlo salvo era per lei un atto di giovamento.
- So che tutti voi ricordate Nasuada come un grande capo che si è sempre preso cura di noi mettendo a repentaglio anche la sua stessa vita, come suo padre prima di lei morto per noi. La sua famiglia ha servito i Varden con onore e noi ancora non le abbiamo concesso un funerale come si deve a causa di questa lotta continua. Pare ora però che l’esercito di Murtagh ci sia dando una tregua e credo sia giunto il momento di eleggere un nuovo comandante.
Il brusio nella tenda si fece più alto e Jormondur lo lasciò correre senza zittire nessuno. Voleva che tutti pensassero a chi avrebbero dovuto eleggere. Era una mossa azzardata ma il successore di Ajihad era stato eletto ancora più in fretta.
Dopo qualche minuto alzò la mano e il silenzio ricadde nuovamente all’interno della tenda, così come l’attenzione rivolta a lui.
- So che i vostri cuori sono addolorati ma i Varden non possono rimanere allo sbando ancora per molto. I funerali di Nasuada si terranno ho mandato un emissario a chiedere tre giorni di armistizio a Murtagh sperando che accetti, ma dobbiamo eleggere qualcuno che prenda il posto della nostra coraggiosa donna.
Lo sguardo di Jormondur raggiunse Eragon che sentì un brivido corrergli lungo la schiena. Già una volta gli avevano offerto di andare a capo dei Varden e lui era riuscito a rifiutare, ma ora non avrebbe potuto, non se la sarebbe sentita. E’ una situazione diversa.
Chissà. Spero soltanto che questa guerra non mi metta in condizioni sfavorevoli.
Io e te non dobbiamo sottometterci a nessuno. Ricorda cosa ha detto Arya.
Lo ricordo.
Già, Arya, c’era anche lei in quella tenda. Era rimasta svenuta, gli avevano detto, ma quando era giunto all’accampamento era sveglia e nel pieno delle forze, anche se un’ombra era ferrea sul suo volto. Anche Islanzadi era presente, e Eragon si era stupito che gli elfi fossero giunti ad aiutare i Varden, sebbene anche la loro presenza ora non cambiasse di molto le cose. Murtagh era diventato quasi invincibile e Eragon si chiedeva come mai, cosa fosse successo. Un’altra stregoneria di Galbatorix?
Elvin spostò lo sguardo da Eragon. Era sicura che Murtagh avrebbe concesso il funerale di Nasuada. Era stata con lui solo pochi mesi ma le erano bastate per innamorarsi e sebbene le aveva mentito non riusciva a vederlo completamente cattivo.
Jormondur guardò Islanzadi – Vorrei che anche gli elfi dessero il loro voto.
La regina, alta e con sguardo che non ne tradiva minima ruga sul volto, rimase in silenzio qualche istante osservando i presenti, per poi rispondere lentamente a nome di tutta la sua razza. – Noi elfi non facciamo parte dei Varden. Siamo venuti qui dalla Du Weldenvarden solo per aiutarvi a porre fine alla sanguinosa sete di potere di Galbatorix, ma non ci riguardano i vostri problemi interni.
Eragon lanciò uno sguardo ad Arya ma quella non si era mossa di un centimetro, immobile dietro sua madre, lo sguardo chino. Pareva come se non fosse presente e Eragon si chiese se fosse d’accordo con le parole di sua madre.
Jormondur parve irritato dalla risposta ma annuì comunque; in un momento del genere tenersi stretti gli elfi era essenziale.
- Bene. A questo punto penso che sia giunto il momento di dire il nome della persona che io avevo pensato. – il suo sguardo si posò nuovamente su Eragon anche se questa volta in modo più fugace, per poi tornare a posarsi su ogni membro della stanza. – Eragon
Il cuore del Cavaliere perse un battito mentre un brusio maggiore si alzò nella tenda. Eragon osservò velocemente ogni espressione dei presenti. C’era chi scuoteva la testa, il Consiglio degli Anziani che sorrideva compiaciuto mentre Elvin e Roran si scambiavano fugaci occhiate. Eragon immaginava che Jormondur avrebbe detto il suo nome ma fino all’ultimo aveva sperato di scamparla.
I suoi pensieri ora condivisi con Saphira vennero interrotti dalla voce di Jormondur che si alzò di intensità zittendo il parlottio.
- Eragon – gli occhi del generale incontrarono quelli del ragazzo – Tempo fa di venne chiesto di divenire capo dei Varden e tu rifiutasti. Così prese il tuo posto Nasuada e devo ammettere che è stata la scelta più saggia visto il suo temperamento. Ma ora è giunto il momento che tu ti assuma le tue responsabilità di Cavaliere. Responsabilità di Cavaliere. Pensò Eragon. Un Cavaliere dovrebbe solo proteggere il suo popolo, non guidarlo.
Il suo sguardo corse sui presenti e indugiò su Arya, ma l’Elfa ancora non lo guardava. Perché fa così? Io ho bisogno di sapere cosa ne pensa.
Forse vuole che tu prenda da solo la decisione.
Già.
Eragon strinse il pomo di Brisingr prendendo un profondo respiro e facendo un passo avanti.
Jormondur sorrise a quel gesto e alzando in alto le mani pronunciò – Se nessuno è contrario alla nomina di Eragon Ammazzaspettri come nuovo capo dei Varden…- si guardò attorno aspettando una qualunque lamentela, per poi far cenno a Eragon di avvicinarsi.
Il ragazzo fece come gli era stato detto, inginocchiandosi di fronte al vecchio e chinando il capo. Una spada fredda gli si posò sulla spalla e poi sull’altra, infine sulla testa.
- Eragon Bromsson, Argetlam, Ammazzaspettri, Cavaliere dei Draghi, con l’approvazione del Consiglio dei Anziani e dei semplici uomini, io ti proclamo Capo dei Varden.
Eragon si ricordava l’investitura di Nasuada, più solenne, più affollata, con grida di esultanza, mentre lui non ricevette neanche un applauso.
Si alzò prendendo lo scettro che Jormondur gli porgeva.
- Sarò onorato di portare questo peso – non era sicuro che la parola “peso” fosse la più adatta ma non si sarebbe stupito se i presenti l’avessero accettata. Dopotutto quello non era un periodo felice nel quale Governare e lui si accingeva a prendere il posto di un grande sovrano, per non parlare di grosse responsabilità.
La riunione si sciolse poco dopo con le scuse di Jormondur rivolte a lui e Saphira per non aver celebrato una nomina più solenne. Eragon aveva detto che non importava e che aveva preferito così, poi era uscito lasciando però lo scettro all’interno della tenda e dirigendosi nella radura dove Saphira solitamente atterrava, lasciandosi cadere seduto su un masso.
Non riusciva a rendersi conto di ciò che aveva appena fatto e tutto gli sembrava essere corso così in fretta che ancora si sentiva sotto l’ala di Brom. La morte di Garrow, la morte di Brom, quella di Oromis e ora quella di Nasuada; chi altri sarebbe dovuto morire a breve? Spero non Arya, o Roran, non lo sopporterei.
Perché sopporteresti quello di qualcun altro?
Eragon alzò lo sguardo su Saphira che si accingeva a scalciare via un ramo tagliato che le ingombrava la strada. Che vuoi dire?
La dragonessa si acciambello vicino a lui, la coda che faceva il cerchio del piccolo masso su cui Eragon era seduto. Sopporteresti vedere Elvin, o qualsiasi altro Varden o abitante di Carvahall, morire ancora? Io no.
Gli affetti più vicini fanno più male.
Horst allora? Gertrude? Loro non sono affetti vicini?
Hai ragione.
La dragonessa gli infuse un’ondata di calore nel corpo, cercando di risollevarlo almeno un po’. Abbiamo una grossa responsabilità. Già.
Dei leggeri passi sull’erba fecero voltare Eragon, incrociando la leggiadra figura di Arya che si avvicinava lentamente. Carino da parte sua venire ora che ho fatto il danno.
Eragon! Lo rimbeccò Saphira, raddrizzando il collo maestoso e osservando l’Elfa fermarsi innanzi ad Eragon. Il suo sguardo pareva vuoto e Eragon ebbe un sussulto. Ce l’aveva con lui? Lo aveva avvertito di non accettare, ma che doveva fare? Dire di non in un momento del genere?
- Hai fatto la scelta giusta.
Eragon credette di essere morto.
- Cosa?
- Hai fatto la scelta giusta – ripeté Arya con tono alquanto spazientito – Credo che questo fosse il momento adatto per prendere il controllo dei Varden. Hanno bisogno di speranza.
- Credevo non fossi stata d’accordo
L’Elfa sospirò sedendosi sul masso di fianco ad Eragon, che si spostò appena di riflesso.
- Lo credevo anch’io e per un attimo ho anche pensato di toccare la tua mente avvertendoti, ma poi ci ho riflettuto. – Arya si fermò, osservando un rametto che teneva in mano. Così Eragon la esortò, curioso.
- E invece?
- E invece credo che ora il Consiglio degli Anziani non possa più comandarti. Ci siamo noi Elfi e i Varden conoscono come ragioni, se facessi una mossa non da te si insospettirebbero. E poi – Arya fece un’altra pausa voltandosi verso di lui – e poi sei cresciuto. Sei maturato e il tuo addestramento, per quanto sfortunatamente incompleto, è stato eseguito e penso che abbiano paura di te.
- Credo ce l’abbiano sempre avuta, altrimenti perché controllarmi.
- Vero. Ma ora ne hanno di più – voltò lo sguardo oltre il bosco, oltre le colline, abbozzando un sorriso. – Anche perché hai mia madre dalla tua parte.
Eragon parve sorpreso e il suo corpo, sussultando, lo diede a vedere. Si mise più comodo voltandosi maggiormente verso l’Elfa. – Credevo non gli interessasse.
Arya tornò a guardarlo lasciando cadere il rametto e abbozzando un sorriso – Noi elfi raramente stiamo dalla parte di qualcuno. Mia madre è all’antica.
Arya ridacchiò e per un istante Eragon ricordò la sua risata. Non la sentiva da un sacco di tempo. Era bella, dolce a differenza del carattere e l’aspetto dell’Elfa, e avrebbe potuto incantare chiunque, anche chi la reputava malvagia, o pericolosa. Per lui non lo era. L’aveva sempre reputata bella, ma quando l’aveva sentita cantare, era divenuta un angelo. Non sbavare.
Eragon si riprese a sentire la voce di Saphira e le lanciò un’occhiataccia, pulendosi la bocca di riflesso.
- Ora devo andare – Arya si alzò e Eragon la imitò, quasi istintivamente – Ho delle faccende da sbrigare. Che la fortuna sia con te, Argetlam.
Come era venuta Arya se ne andò con Eragon che la osservava come rapito dai suoi movimenti.
- Grazie.
La risposta da parte di Murtagh arrivò in tarda serata, portata da un paggetto del Consiglio degli Anziani tutto tremolante. Quando si era presentato nella tenda principale Eragon avrebbe detto che sarebbe potuto svenire da un momento all’altro, ma il ragazzino si dimostrò più forte di quello che sembrava.
Si prostrò innanzi a Eragon toccando quasi a terra con la fronte.
Il Cavaliere non era ancora abituato a questi convenevoli e avrebbe preferito di gran lunga che fossero evitati.
Il ragazzino si rialzò ad un suo ordine per poi proferire, con grande stupore di Eragon, il messaggio senza balbettare.
- Murtagh, capo delle truppe di Galbatorix, ha accettato la richiesta di tregua per lo svolgimento della veglia funebre di Lady Nasuada, ma per essere sicuro che non sia un diversivo, vuole che uno dei suoi stregoni partecipi all’ esequie.
Un brusio si alzò nella tenda e ad Eragon parve di essere tornato a poche ore prima, quando lo avevano eletto capo dei Varden. Sono capo dei Varden da così poco e già mi sento stanco. Non ho idea di come facesse Nasuada.
Gli parve di sentire Saphira grugnire un assenso.
Volse lo sguardo verso Jormondur che farfugliava qualcosa ad una delle due vecchie del Consiglio degli Anziani. Arya lo stava guardando. Non riuscì a reggere il suo sguardo così contattò Saphira. Cosa ne pensi?
Non credo ci sia altra scelta.
Si ma gli altri saranno d’accordo?
È una tua scelta.
E se poi me li ritrovo contro?
È il rischio. Ma io sono con te, piccolo mio.
Lo so. Grazie.
Era grato a Saphira, perché riusciva sempre a infondergli un grande coraggio.
Si schiarì la gola attirando l’attenzione su di sé prima di pronunciare, sebbene ancora titubante: - E sia.
Il silenzio che indugiò nella tenda lo fece tremare: sapeva di avere tutti gli occhi spalancati puntati su di sé.
- Accettiamo le richieste di Murtagh. Diglielo.
Il ragazzino abbassò il capo e uscì dalla tenda, anche lui stupito dalla decisione di Eragon, che intuì non fosse proprio apprezzata.
Si voltò verso Jormondur ma questo mantenne il suo sguardo per pochi attimi senza mostrare alcun segno di insoddisfazione o sentimento, prima di uscire dalla tenda con uno svolazzo del mantello.
Eragon si lasciò cadere sullo scranno quando rimase solo con Saphira che sbucava da sotto un lembo della tenda. Spero solo di non mettere in pericolo i Varden.
Sono stati loro i primi a mettersi in pericolo. Un funerale nel bel mezzo di una battaglia! Nasuada non sarebbe d’accordo.
Nasuada è morta Saphira.
No, Eragon.
Il ragazzo alzò lo sguardo verso l’occhio blu della dragonessa, quando questa alzandosi pronunciò.
Nessuno muore mai realmente.
Il funerale fu allestito in fretta anche se molti preparativi già erano stati fatti dalle donne Varden, aiutate anche dalle contadine di Carvahall e Katrina, e il tutto fu pronto verso le tre di notte.
Eragon camminava schiacciando i ciottoli sotto i suoi piedi senza pensare a niente quando un rumore dietro di sé lo fece voltare. Elvin si stava avvicinando lentamente.
- Hai preso una grossa decisione oggi.
La ragazza indossava un lungo abito nero che le fasciava il collo e le braccia e le si annodava al medio con un sottile fiocchetto. I capelli erano adornati di tanti nastri, anch’essi neri, che le tenevano i capelli raccolti, senza farli svolazzare davanti al viso neanche col vento. In mano teneva un velo nero che poi avrebbe messo in viso: un’usanza dei Varden ricordò Eragon.
Il ragazzo abbasso lo sguardo facendo un piccolo giro con la punta del piede. – Non credo sia stata quella giusta.
Elvin abbozzò un sorriso avvicinandosi ancora un po’, arrivando ad un passo da lui.
- Perché pensi che le mie lo siano state? – ridacchiò appena sorpassandolo e alzando il viso al cielo. Eragon la raggiunse.
- Sai, quando ero bambina spesso osservavo le stelle prima di andare a letto. Con la luce spenta ovviamente. – si voltò verso Eragon – Credi ci sia un modo per liberare Murtagh dal maleficio di Galbatorix?
Si era tenuta dentro quella preoccupazione per tutto quel tempo e sentiva di poterne parlare solo con lui. Non riusciva a ritenere Murtagh responsabile di tutto e per quanto potesse provare ad essere forte lei non lo era. Non sapeva neanche se sarebbe riuscita a trattenere le lacrime quando la salma di Nasuada sarebbe stata chiusa nella bara di vetro che aveva visto costruire dai nani.
Eragon sospirò incrociando le braccia e lasciando che il mantello con le squame di metallo ondeggiasse dietro di lui.
- Non lo so.
Non lo sapeva davvero ma sperava di si. Non odiava Murtagh anche se spesso non gli piaceva come si comportasse con loro, la strafottaggine che mostrava ogni volta.
Elvin abbassò lo sguardo sentendo il corpo cominciare a fremere e gli occhi farsi umidi. – Con me non è stato così.
Eragon si voltò perdendo quell’espressione tesa che aveva, osservando i capelli della ragazza che si muovevano alla leggera brezza che tirava.
- Quando ci siamo incontrati era sì sbruffone, ma era preoccupato per ciò che mi accadeva. Ma se penso che ci sono stati parecchie volte in cui io avrei potuto capire che lui faceva parte delle guardie di Galbatorix… - strinse il velo che teneva in mano, mantenendo lo sguardo sempre puntato sull’erba innanzi a sé, ricordando quella volta le guardie avevano titubato innanzi a lui, di come lo avevano chiamato “Signore” e di come lui avesse parlato con l’oste alla locanda. Era tutto così chiaro adesso che doveva proprio essere ingenua e cieca. Ora si sentiva diversa da come era prima, ma la paura e quel senso di impotenza non se n’erano andati.
Si era recata dai Varden per poter essere utile alla lotta contro Galbatorix e invece si era ritrovata a far parte di quelle donne che attendevano i mariti in guerra. Quando era partita con Eragon e Roran per Uru’bean si era sentita viva e finalmente utile, ma il suo blocco davanti a quegli stregoni l’avevano gettata in una depressione più fisica che mentale.
- Sai, mi ritengo in gran parte responsabile per ciò che è accaduto –
Se Eragon era stupito, ora lo era di più. Guardava la ragazza senza capire dove volesse arrivare, notando le differenza fra lei e Arya. Elvin era più bassa e aveva i capelli più chiari, mentre gli occhi erano di un castano chiaro. Al contrario il viso affilato dell’Elfa era contornato da capelli lunghi e liscissimi dai quali spuntavano due occhi verdi penetranti. Parlando di carattere, l’Elfa raramente si avvicinava alle persone, difficilmente si apriva, mentre Elvin si fidava troppo secondo Eragon. La prova era stata quella di viaggiare con Murtagh.
- Se io non avessi fatto il viaggio con Murtagh voi non l’avreste catturato, e probabilmente Nasuada sarebbe ancora viva.
- Non è stato Murtagh a uccidere Nasuada –
Fu Elvin questa volta a spalancare gli occhi lucidi voltandosi verso il giovane che di umano ora aveva solo la voce.
- Da quanto mi hanno detto Saphira e Arya Murtagh era lontano quando Nasuada è morta, e per quanto ricordano, ne è rimasto scioccato anche lui.
Elvin questo lo sapeva, ma era come se il suo cuore le dicesse che era stata solo un peso ad andare dai Varden e che comunque la liberazione di Murtagh era stata colpa sua. Se i Varden avrebbero continuato a drogarlo o a frustarlo, sebbene non accettava quel modo di fare, probabilmente Murtagh non sarebbe stato in grado di lottare e quindi non in grado di aiutare i suoi uomini.
Stava per ringraziarlo quando una guardia venne a chiamarli. Mise mano al petto e disse: - Ammazzaspettri, Lady Elvin, il funerale per Lady Nasuada sta per iniziare.
Eragon annuì e l’uomo batté nuovamente un pugno al petto per poi voltarsi e andarsene a passo di marcia.
Il Cavaliere strinse appena la mano di Elvin – andiamo?
La ragazza annuì, ricambiando la stretta.
Al funerale c’erano tutti, nemmeno i nani avevano osato mancare, e ora se ne stavano ai lati del corridoio dove avrebbe dovuto sfilare la bara di Nasuada davanti agli elfi e ai Varden, le mani unite, in silenzio.
Eragon, che non aveva assistito ai preparativi, si stupì di come era stato trasformato l’accampamento Varden. Aveva ancora le tende dei guerrieri e le armi che si vedevano in lontananza, ma per il resto chiunque avesse svolto lo sguardo avrebbe solamente visto un accampamento di profughi intento a celebrare un funerale.
Il Cavaliere si sistemò accanto a Jormondur e così fece Elvin, sistemandosi fra lui e uno dei vecchi Falchineri di Nasuada. Un Kull di almeno sei piedi. Le faceva strano vedere le sue guardie del corpo vive mentre lei era morta. Si domandava cosa potessero provare visto che avevano fallito la loro missione.
Posò lo sguardo su un ex-Falconero di fronte a lei ma non riuscì a capire a cosa stesse pensando semplicemente guardandolo in faccia, ma sicuramente non era tristezza.
Il luogo per il funerale era stato allestito ai margini dell’accampamento dove avevano spostato due o tre tende meno importanti, lasciando qualche soldato a dormire all’aperto. Attorno ad un tappeto rosso rammendato in fretta e furia erano state poste delle sbarre di stoffa tenute su da pali di legno, dietro le quali si ammassavano i Varden, i nani e gli Elfi che prendevano parte alla cerimonia. Eragon intravide Arya e sua madre vicino all’altare, una pietra strappata dalla roccia dai nani e levigata alla bene e meglio. Avevano avuto tre giorni di lotta continua e il tempo per attrezzarsi era veramente poco.
Saphira invece se ne stava dietro l’altare, immobile, pronta a emettere un lento e doloroso ringhio, che avrebbe cercato di far assomigliare ad una musica, appena la cerimonia sarebbe iniziata.
Roran era assieme a Katrina dall’altro lato del corridoio e si fermò per qualche istante ad osservare il cugino. Vedeva che era stanco e che il suo nuovo ruolo non doveva piacergli più di tanto, al suo fianco invece Elvin era splendida e Roran si trovò istintivamente a stringere la mano di Katrina. Il bambino che lei aveva in grembo sarebbe nato dopo il dominio di Galbatorix, lui glielo aveva promesso e avrebbe mantenuto, non si diceva che Fortemartello fosse un bugiardo.
Il brusio cadde in un profondo silenzio quando un corno si levò alto nel cielo e due Varden vestiti con una tunica rosso sangue e una cintola d’oro legata in vita iniziarono a camminare lentamente sopra il tappeto rosso, levando in alto due grandi fiaccole.
Subito dietro di loro si trovavano altri quattro Varden, stavolta guerrieri, che tenevano su la bara al cui interno giaceva Nasuada, ognuno alla sua estremità, gli sguardi vacui e fissi innanzi a loro.
Subito a ruota si trovavano quattro donne Varden e due bambini, un maschio ed una femmina; le donne coi veli come quelli di Elvin mentre i bambini erano entrambi vestiti di nero e lasciavano cadere a terra fiori bianchi.
I Varden non avevano voluto che Elfi o Nani partecipassero, così la coda si estinse subito dietro le due donne più anziane che portavano una cesta di rose sopra la testa.
Elvin rimase affascinata da come si stava svolgendo il funerale di Nasuada e si ritrovò a chiedere se anche per un Varden normale, in tempo di pace, veniva svolto così. I suoi dubbi furono subito colmati da Eragon.
- Questo tipo di funerale viene svolto solamente per persone importanti. Anche per quello del padre di Nasuada hanno fatto qualcosa del genere, anzi, più suntuoso.
Elvin annuì tornando a guardare il corteo che si disponeva attorno all’altare, mentre la tomba veniva poggiata innanzi.
La ragazza si sentì pervadere da un profondo sentimento di ansia e si accinse ad osservare lo stregone che Murtagh aveva mandato. Era basso e tarchiato e la barba bianca che gli cadeva sul petto aveva varie chiazze gialle, sintomo di fumo. Indossava una tunica grigia con una spada che gli pendeva lungo il fianco e il cappuccio calato sul volto. Il naso adunco quasi nascondeva la bocca che, ad Elvin parve notare, si arricciò in un sorriso di soddisfazione quando la tomba gli passò davanti. Miracolo se non ci aveva sputato sopra.
Ciò non piacque ad Elvin che si costrinse a distogliere lo sguardo o, sapeva, gli sarebbe potuta saltare addosso.
Non capiva perché Murtagh, fra tutti gli stregoni, aveva mandato proprio quello. Non gli sembrava il tipo da insultare una persona morta, per di più Nasuada, dal quale sguardo aveva intuito ci fosse stata più che una simpatia quando lui ancora era alleato dei Varden. Che fosse il più debole che aveva e non voleva perdere elementi importanti? La cosa poteva anche tornargli visto quanto fosse stupido quello stregone.
La voce della donna più anziana che era giunta per ultima si alzò forte nella notte, le braccia alte e lo sguardo al cielo.
- Nasuada è nata fra i Varden anni orsono, quando ancora suo padre comandava la resistenza contro Galbatorix. E’ sempre stata una brava ragazza ed è morta con onore e coraggio come lo si deve ad un vero Capo Varden – un brusio di assensi si levò dalla folla, zittito subito dopo da un cenno della donna. Eragon notò come le rughe sul suo collo ondeggiavano ad ogni suo movimento – Per questo noi chiediamo a te, Oh Dio, di accoglierla con il dovuto rispetto che si riserva ad una delle donne, se non la più forte di tutte le ere.
E come si era alzata la sua voce si spense, lasciando che un silenzio carico di preghiera calò sugli spettatori.
Elvin abbassò lo sguardo dopo aver osservato il comportamento degli altri, ignorando di come ci si dovesse comportare in certe situazioni. Aveva assistito a dei funerali da bambina ma non si erano mai svolti così e voleva evitare di fare brutta figura.
Eragon invece aveva assistito a ben troppi funerali dei Varden da non sapere cosa fare e quello di Nasuada gli ricordò talmente tanto quello di Ajihad che lo stomaco dette uno spasmo. Tutto ok, piccolo mio? La voce di Saphira lo raggiunse come un tuono nella tempesta. Credo di si. È che tutto ciò mi ricorda la morte di Ajihad.
Anche a me, ma credo che sia così per tutti i grandi re.
Anche per Rothgar è stato così. Più o meno.
I nani sono più esagerati.
Già.
Dopo la cerimonia solenne ognuno dei conoscenti più stretti della donna, i generali e Roran dissero qualche parola su Nasuada. Le condoglianze agli amici, o una preghiera perché potesse riposare in pace, o un lamento di dolore e mancanza; ma dopo Jormondur toccava ad Eragon, e sebbene si fosse preparato il discorso prima, si sentiva la gola segga. Non credo di essere capace di parlare.
Ce la puoi fare.
Per te è facile, sai sempre cosa dire.
No. Non è vero.
Ignorando la risposta di Saphira camminò lentamente verso l’altare, voltandosi innanzi alla folla che teneva lo sguardo puntato fisso su di lui. Li osservò tutti, uno ad uno, soffermandosi prima su Roran, poi su Arya e infine su Elvin, che lo osservava incoraggiante da sotto lo scuro velo che le copriva gli occhi color nocciola.
Eragon si schiarì la voce, prima di parlare lentamente e cercando di scandire bene ogni singola parola.
- Nasuada è stata per me fonte di ispirazione e spero di essere in grado, se non di superare, di eguagliare la sua forza e saggezza, sebbene so che è impossibile – lanciò uno sguardo Arya quasi a chiedere aiuto, se stesse andando bene, ma l’Elfa non osò cambiare espressione. Così continuò – Nasuada è sempre stata una donna forte e sebbene queste cose siano già state dette voglio ricordarlo. Ha preso il posto di suo padre quando ancora era giovane e ci ha stupiti tutti con il suo sangue freddo, facendo cambiare idea a chi non credeva in lei. Ha accettato il suo ruolo a testa alta e non si è mai pentita della sua scelta, orgogliosa del lavoro svolto dal padre prima di lei. – ingoiò un grumo di saliva che gli era rimasto in gola prima di aggiungere: - Non ha mai smesso di credere nei Varden o nella loro lotta ed è morta da vera regina. – la considerava davvero una regina e non si vergognava a darle quell’appellativo. Perché, almeno nelle storie che da piccolo gli venivano raccontate a Carvahall, le regine erano donne forti, e Nasuada lo era. – Ma prima che questo, per me Nasuada era un’amica, una persona alla quale voler bene e sperare tutta la felicità di questa terra. Per questo oggi, alla cerimonia della sua morte, levo in alto la spada – e mentre pronunciava queste parole sfoderò Brisingr, alzandola sopra la sua testa, puntandola alle stelle – e grido con tutto il dolore e la tristezza nel cuore, A Nasuada!
- A Nasuada!
E mentre teneva levata la spada e urlava i Varden fecero lo stesso, levando spade, lance, seguiti dai nani che levarono le asce urlando nella loro lingua, e gli elfi levarono le spade e gli archi cantando inni e canzoni, mentre i Kull e i Gatti Mannari ululavano alla luna.
- Atra esternì ono thelduin* - Eragon cercò di sovrastare gli urli provenienti dalla folla, alla quale anche Elvin e Roran si erano uniti, parlando nell’Antica Lingua e poi in quella dei nani, mentre Saphira distendeva le sue enormi ali innalzandosi sulle zampe posteriori e espandendo nell’aria un grido, seguito da una grande vampata di fuoco.
La cerimonia si protrasse fin quasi alle prime luci dell’alba e Eragon si sentiva esausto. Quelle grida di esultanza gli avevano lasciato nel corpo una scarica di adrenalina che ancora faticava ad andar via, ma lo avevano completamente sfinito.
Non aveva versato una lacrima e si chiedeva quando queste sarebbero sgorgate dai suoi occhi. Sperava non in un prossimo combattimento.
Aveva salutato Saphira, che stava aiutando a sistemare il tutto per la battaglia del giorno dopo, all’altare e si era diretto verso la sua tenda, deciso a schiacciare un pisolino. Altrimenti Murtagh avrebbe si avuto la meglio.
Mentre camminava ciondolandosi giocherellando col pomello di Brisingr, Elvin gli si parò davanti.
Non aveva più il velo sugli occhi e lo guardava stanca, gli occhi cerchiati da due profonde borse. Lucidi, ed Eragon intuì che doveva aver pianto. Lei ha pianto, io no.
Quella costatazione gli creò un nodo all’altezza del petto che cercò di sciogliere prima di mettersi a vomitare davanti a lei.
La ragazza fece un paio di passi prima di fermarsi nuovamente.
- Hai detto delle belle parole prima
Doveva essere un complimento, ma Eragon non riuscì a compiacersene. Non per un funerale.
- Grazie – disse comunque. Non voleva deluderla o farle notare quanto stesse male.
Elvin, per tutta risposta, gli si avvicinò posandogli un bacio sulla guancia – Non ringraziarmi. Sono stati tutti contenti delle tue parole. Hai infuso coraggio nei loro cuori –
Quelle parole e quel modo di parlare ricordarono molto Arya ad Eragon, e per un istante la figura dell’Elfa si sovrappose a quella di Elvin, prima di scomparire subito dopo.
- Sono felice
- Devi esserlo - la ragazza accennò ad un sorriso prima di salutarlo nuovamente con un bacio sulla guancia, superandolo e dirigendosi a passo lento verso l’altare, a dare una mano.
Eragon rimase ad osservare il suo corpo ondeggiare sotto il pesante abito nero che aveva indosso. Non era aggraziata come Arya ma dovette affibbiare il motivo al fatto che lei non fosse un elfo.
Sospirò ricominciando a camminare verso la sua tenda, la testa che pulsava dolorosamente.
Il funerale era finito e il giorno dopo, probabilmente di lì a poche ore, tutto sarebbe ricominciato monotonamente: battaglia, dormire, seppellire morti, battaglia, dormire, seppellire morti.
Si passò la mano sulla faccia prima di lasciarsi cadere disteso sulla branda, ancora vestito. Quand’è che anche lui sarebbe finito come Nasuada?
Quei pensieri continuarono a girargli in testa finché non si addormentò, lasciandosi dietro domande a cui non sapeva dare una risposta.
Chiedo umilmente scusa per l’immenso ritardo ma mi sono ritrovata improvvisamente piena di impegni; avessi potuto avrei postato prima, e aspettavo il parere del mio consulente di fiducia a cui dedico questo capitolo! Il quale spero rimedi il ritardo con la lunghezza :P
Aggiungo anche che la cosa di Eragon che diventa Capo dei Varden è venuta a me prima di leggere il libro (si, lo sto leggendo mentre scrivo e ammetto che a volte mi confondo e chiedo “ma questo l’ho scritto?” ahaha) e non era intenzionale, anche se probabilmente era scontato :P
A questo punto ringrazio ancora stefy_81 che recensisce tutte le volte e mi segue dall’inizio. E perciò ti rispondo in modo esaustivo (spero xD):
1 – Non preoccuparti, come vedi anche io sono una ritardataria ahah
2 – Sono felice ti sia piaciuto il combattimento fra Eragon e Shiel e la descrizione del combattimento di Roran, ammetto che le scene di combattimento sono le più divertenti da descrivere!! E per quanto riguarda Eragon e Shiel, l’unico modo per saperlo è continuare a leggere ù.ù
3 – Dovrai aspettare el proximo capitolo ahah
GRAZIE ANCORA!!
Murtagh misurava a passi felpati la sua tenda, le mani strette dietro la schiena quando il suo sguardo cadde sull’Eldunarì del drago di suo padre.
Si acquattò vicino rigirandoselo fra le mani e sedendosi sulla branda che dondolava nel mezzo della tenda, attaccata ai due pali che la sorreggevano.
La sua era la tenda più grande, nera e d’oro, al centro dell’accampamento a poche miglia di distanza da quello dei Varden. Seppure fosse la più grande non raggiungeva le dimensioni del padiglione di Nasuada e all’interno c’erano solo bisacce, una branda stile amaca, spada, arco e faretra. Oltre all’Eldunarì, il resto era spazio vuoto.
Lo aveva turbato la morte di Nasuada, era stata come un’altra smossa a quel piedistallo che reggeva il suo mondo, ciò che conosceva e le persone con cui aveva vissuto, se per breve tempo. E ora anche lei se n’era andata.
Fissò il cuore dei cuori di suo padre lasciandosi fuggire un sorriso. Non avrebbe mai saputo il suo nome.
Lo rimise nella bisaccia che nascose sotto la branda, per poi lasciarsi andare su di essa. Da quanto il suo stregone gli aveva riferito era Eragon a tirare le fila adesso, ma Murtagh sapeva che il fratello non era un capo e che mai aveva desiderato quel ruolo; ma la cosa che più lo faceva sorridere era che non sarebbe mai stato all’altezza di Nasuada. Ammirava quella donna e per ciò che sapeva di lei, Eragon era nulla.
Si ritirò su dandosi una pulita agli stivali per poi uscire.
Erano passate poche ore dall’alba ma Murtagh sapeva che di lì a poco avrebbe dovuto riaffrontare suo fratello, per non parlare di suo cugino, Roran. Era incredibile come avesse vissuto con l’idea che l’unico membro della sua famiglia fosse suo padre e come invece adesso di ritrovava a combatterla tutta. Eragon e Roran sono gli unici parenti che mi sono rimasti, eppure, devo uccidere uno e portare da condannare ad una vita di prigionia l’altro.
Il pensiero di potersi ribellare a Galbatorix l’aveva accompagnato per i giorni successivi la sua liberazione, ma la presenza che entrava di tanto in tanto nella sua testa gli faceva ricordare che gli aveva giurato fedeltà. La sua era una vera prigionia. E ad Eragon sarebbe toccata la stessa sorte.
Era arrabbiato con lui. Perché per quindici anni aveva vissuto felicemente, perché sua madre lo aveva preferito lui, e perché quando era riuscito a scappare finalmente dal re, Eragon lo aveva portato dai Varden, rovinandogli quella libertà che tanto aveva bramato.
Si era offerto lui di accompagnare Eragon ai Monti Beor, vero, ma non dai Varden. Avrebbero dovuto dividersi ma il fato aveva voluto che gli Urgali gli impedissero di fuggire. Ma era comunque colpa di Eragon. Se non si fosse trovato vicino a Gil’ead…lui e Brom! Non era neanche figlio di Morzan, Eragon!
Si lasciò sfuggire un ringhio e diede un calcio ad una pietra che fece spaventare dei soldati che erano lì vicino.
- Che avete da guardare?! Tornare a lavoro – gli urlò prima di andarsene e passo veloce verso la radura dove se ne stava acciambellato Castigo. Era divenuto più grosso di Saphira, ma ancora non raggiungeva le dimensioni di Shruikan. Qualcosa non va?
Chiese il drago rosso mentre Murtagh si sedeva accanto a lui, appoggiando la schiena sul suo ventre squamoso.
- Tutto. Tutto non va. Allora non mi pare che ci sia niente di diverso dal solito.
Murtagh sospirò, passandosi una mano sul viso. La voce del drago era calma e atona, come se non stesse pensando a niente. Ma Murtagh poteva sentire l’ansia che attanagliava il drago, come se qualcosa l affliggesse. Secondo te perché Shiel ci ha portato proprio l’Eldunarì di Morzan? Insomma, ne siamo già colmi. In più, non avevo idea che il drago di mio padre si fosse separato dal suo cuore dei cuori.
Lo domanderemo a Galbatorix quando torneremo ad Uru’bean.
Questo è ovvio.
Murtagh odiava il re, perché gli era entrato nella mente e lo aveva costretto a giurare fedeltà nell’antica lingua servendosi di Castigo, ma poteva fidarsi di lui. Era sempre stato onesto e non vedeva alcun motivo per il quale avrebbe dovuto nascondergli il motivo dell’Eldunarì di suo padre. Sarei curioso di scoprire il nome del drago di mio padre.
Sul serio?
Si, o almeno credo. Per una strana ragione ci è impossibile ricordare i nomi dei draghi dei Tredici Rinnegati, ma se lo hanno fatto non deve essere per forza perché si vergognano a ricordarli, no?
Chissà. Può anche darsi semplicemente che i draghi non accettino che la gente li veneri pronunciando i loro nomi.
Murtagh parve rimuginare qualche istante, per poi lasciare andare un sospiro e stendersi maggiormente, le braccia dietro la testa.
- Pensi che sia stata in parte colpa di Elvin se siamo riusciti a fuggire? – non era la prima volta che ripensava alla ragazza dopo la sua fuga dai Varden. Quando le truppe del re avevano attaccato i Varden e lui era riuscito a liberarsi, lei non c’era, così come mancavano Roran e Eragon. Si era domandato dove potesse essere, ma da una parte era felice non fosse lì. Non sapeva spiegarsi bene perché, ma ne era felice.
Però era stata lei ad insistere perché non gli dessero più droga e che smettessero di torturarlo, quindi in parte, era responsabile.
Si domandò se non l’avessero punita per questo. È carina.
Murtagh fu preso alla sprovvista e si voltò verso il drago che lo guardava con l’occhio color cremisi, rotto solamente dalla sottile pupilla che lo divideva a metà.
Il Cavaliere sbuffò rimettendosi diritto e incrociando le braccia. Si.
E ti piace.
Murtagh si voltò di nuovo ma stavolta alzandosi, mettendo le mani suoi fianchi. No!
E invece si, ti si legge in faccia. Comunque c’ho parlato. È animata da buoni propositi.
- È semplicemente troppo ingenua. Fosse un tantino più intelligente se la darebbe immediatamente a gambe. Mi ricorda qualcuno.
Murtagh scoccò un’occhiataccia a Castigo, e poi con un gesto di non curanza si allontanò, nuovamente diretto verso l’accampamento. Doveva parlare col Generale riguardo il prossimo attacco ai Varden.
Era stanco di ripetere la stessa storia tutti i giorni e non poteva permettersi altre perdite benché i suoi soldati non provassero dolore. Alla fine, morivano comunque. E poi lui si annoiava.
Si diresse verso la tenda principale rallentando il passo più che si avvicinava ad essa. La voglia di parlare con quel grassone non lo allettava affatto. Ma quando entrò si ritrovò il cadavere dell’uomo cadere ai propri piedi, e una Shiel sorridente di fronte a sé, con un coltello insanguinato in mano.
- Scusa, mi dava sui nervi.
La ragazza mise via il pugnale dopo averlo ripulito col mantello di una delle guardie che era lì vicino, la quale non mosse un dito o pronunciò alcuna sillaba, per paura di finire come il suo ufficiale.
Murtagh rimase qualche istante sull’entrata poi si lasciò sfuggire un sorriso divertito. Fece cenno alle guardie di portarlo via. – Castigo sarà ben lieto di cibarsene –
Non gli piaceva quando il drago mangiava esseri umani, gli faceva senso pensare che un suo simile fosse nella pancia del drago, ma Castigo diceva che gli uomini erano saporiti e poi non considerava quel generale al suo livello.
Si lasciò le guardie alle spalle e si avvicinò al tavolo che stava al centro della tenda, laddove Shiel fissava una cartina del Surda.
- Pensavo fossi ad Uru’bean
- Il re mi ha spedita qua - rispose lei secca. Sembrava irritata per qualcosa e ciò incuriosì maggiormente il Cavaliere.
- E come mai? Non gradisce più la tua presenza? – chiese lanciandole un sorriso di sfida.
Shiel si voltò verso di lui spazientita e si trovò costretta a raccontargli l’accaduto. Murtagh era e rimaneva comunque un suo superiore.
- E che ci faceva Eragon a Uru’bean?
- Non lo sappiamo e questo impensierisce il re
La differenza fra lui e Shiel era che la ragazza aveva deciso di seguire il re di sua spontanea volontà. Quando era stato portato da Galbatorix dai gemelli lei ne era già al servizio, ma non gli aveva mai voluto dire il perché si fosse schierata dalla sua. Oh Dio, uccideva per divertimento e beveva sangue umano quando era una bestia, ma da lì a gettarsi fra le braccia del re.
Murtagh si chiese se non ci consumasse anche.
- Comunque non deve preoccuparti. Per ora pensa a sconfiggere i Varden qua e a portare Eragon al re.
- Hanno gli elfi.
Shiel si spazientì di nuovo e lo guardo con aria annoiata. – Secondo te perché ti ho dato l’Eldunarì di tuo padre?
Murtagh si accigliò un attimo – Era ciò che mi chiedevo.
- E allora falle le domande.
La ragazza aggirò il tavolo e tirò fuori un pesante libro da una delle sue bisacce da viaggio, poi ordinò alle guardie di uscire e disse a Murtagh di evocare un incantesimo perché nessuno sentisse. Una volta fatto, lo posò delicatamente sul tavolo di legno, che traballò sotto il suo peso. La bestia sorrise beffarda prima di aprirlo e passare le dita sulla carta vecchia.
- Cos’è? – chiese Murtagh avvicinandosi piano.
- Un vecchio libro riguardo l’Antica Lingua e tutte le magie al mondo sconosciute. – Shiel parve soddisfatta dello sguardo spaesato del Cavaliere, e quando questi allungò una mano per toccarlo lei gliela scacciò indietro con una spintarella, scuotendo il capo.
Murtagh si ritrasse, ma non poteva fare a meno di provare stizza nei suoi confronti. Se quella era magia sconosciuta allora doveva essere potente, e non poteva reprimere un moto di interesse. Si domandò se anche il re ne fosse a conoscenza.
Shiel parve aver trovato ciò che cercava. Iniziò a leggere con voce atona: - Eldunarì, plurale Eldunarya. Il Cuore dei Cuori. Esso è parte stessa dei draghi e al quale il drago può dividersi, riversandovi la sua coscienza; in questo modo il drago può continuare a vivere anche dopo la morte della carne. Il processo è irreversibile: un drago che si è distaccato dal suo Cuore dei Cuori non potrà mai più riassorbirlo, e se nel corso del tempo le sue conoscenze accresceranno, non potrà più unirle al suo Eldunarì. Più un Eldunarì è grande più il drago che lo possedeva era anziano. Gli Eldunarya assumono la forma di una gemma dello stesso colore delle scaglie del drago, e possono aiutare chiunque essi vogliano attraverso l’energia trasmessa.
Murtagh spostò il peso da un piede all’altro. Queste cose le sapeva già e non capiva perché Shiel dovesse leggergliele invece che spiegargliele con mezzi termini. Aveva sempre odiato quando la gente girava attorno al succo della cosa.
Ma Shiel non parve avere intenzione di smettere.
- A lungo i draghi si sono rifiutati di rilasciare la loro essenza nei Cuori dei Cuori, pur al momento della loro morte. Ma da quando sono nati i Cavalieri dei Draghi, sono diventati più accondiscendi.
Murtagh stava quasi per fermarla quando Shiel arrivò al cuore della questione. Le sue parole riverberarono come un tamburo all’interno del petto del Cavaliere e col pensiero andò istintivamente all’Eldunarì che teneva sotto la branda, nella sua tenda, e per un istante ebbe la voglia di distruggerlo.
- Ma una cosa non tutti sanno. Se fra gli Eldunarya scorre un legame di sangue, la forza scaturita sarà maggiore e ben superiore a tutti gli altri Cuori dei Cuori. Semplicemente: se un padre dona al figlio il Cuore dei Cuori del suo drago, allora il figlio avrà una forza maggiore che di venti Eldunarya messi insieme. – Shiel richiuse il libro mentre alzava lo sguardo su Murtagh, sempre più confuso e sbigottito al tempo stesso. – Ecco perché Galbatorix aveva tanta fretta di consegnartelo.
Murtagh scosse la testa allontanandosi dal tavolo e poggiando le mani sui fianchi. Poi voltandosi verso la donna, domandò: - Ma non poteva darmelo prima? Ne ha a milioni possibile non sapesse di quello di mio padre?
Shiel rimise il libro dentro la bisaccia avvicinandosi a Murtagh, arrivando ad un palmo dal suo viso.
- Pensi che Galbatorix ti avrebbe dato tanto potere se non fosse stato sicuro di potersi fidare di te?
- Avevo giurato nell’Antica Lingua
- Non era il momento adatto
Murtagh parve esitare, ma poi si decise a parlare. Dopotutto era lei che doveva temere lui, non il contrario: - E cosa aspettava? La mia testa sulla forca?
Prima che se ne potesse accorgere Murtagh si ritrovò il pugnale di Shiel poggiato alla gola, con questa che gli sorrideva; i canini che spuntavano bianchi dalle labbra. – Ti conviene stare attento a come parli. Sono la sua serva più fedele.
La bestia ritrasse la sua arma e la rimise alla cintola allontanandosi dal Cavaliere che non aveva mosso un muscolo. Era vero, lei era la sua serva più fidata.
Murtagh abbassò lo sguardo e si fissò il Gedwëy Ignasia che luccicava sul palmo della sua mano.
- Quindi ho il potere di venti Eldunarya?
- Il numero è un’idea. Ne hai di molti di più
- Non credevo che mio padre fosse disposto a far staccare il suo drago dal suo Cuore dei Cuori – pronunciò, più a se stesso che a lei. Conosceva Morzan per il periodo che era rimasto vivo, fino a poco dopo la sua ferita alla schiena, ma sapeva che era un uomo talmente avaro e sfiduciato che non avrebbe permesso a nessuno di tenere l’Eldunarì del suo drago. Inoltre era possessivo, e l’aveva dimostrato anche con Selena. No, non avrebbe permesso neanche al suo drago di dividersene, anche a costo di andare contro la sua volontà.
- E’ stato costretto da Galbatorix – la risposta arrivò come un pugno nello stomaco a Murtagh che si voltò verso Shiel. La ragazza sorrideva – Morzan era potente vero, ma sottostava comunque a Galbatorix. Sapeva che se non avesse ubbidito ai suoi ordini il re lo avrebbe ucciso.
Murtagh abbassò lo sguardo. Quindi in parte anche suo padre era una vittima del re. Pur sapendolo, non riusciva a provare pietà per lui. Gli aveva rovinato la vita, fin da quando aveva dato il primo respiro.
Shiel continuò – Il potere che puoi esercitare con quell’Eldunarì è smisurato, ma se non lo sai usare, allora ti prosciugherà tutte le energie, lasciando di te solamente un guscio vuoto – parve fermarsi il tempo necessario perché Murtagh sentì la risposta giungergli alle orecchie – e così del tuo drago.
Gli parve che Castigo lanciasse un grido, ma probabilmente era solo un’impressione. L’aria tetra che tirava, scomparve improvvisamente.
Shiel tornò luminosa e tranquilla come sempre. Una copertura, Murtagh lo sapeva, ma una copertura che la rendeva più carina di sicuro.
La scostò il velo della tenda, voltandosi verso di lui – Oggi è tardi, ma domani all’alba inizieremo il tuo addestramento all'arte dell’Eldunarì. Ti farò sapere dove. Buona notte. – detto questo uscì.
Murtagh rimase fermo per qualche istante prima di lasciarsi cadere pesantemente su uno scranno lì vicino, la mano che grattava il mento. Doveva radersi.
Mandò la testa indietro e fissò il soffitto della tenda, tenuto su da quattro corde fisse. L’Eldunarì del drago di mio padre. Non fosse per l’incantesimo che impedisce di conoscerne il nome, potrei anche parlare con lui.
Si alzò dopo poco uscendo e chiudendo gli occhi alla luce del sole. Non era notte ma intuiva che se Shiel gli aveva parlato così, voleva dire che non si sarebbe visti fino al giorno dopo.
S’incamminò verso la radura dove stava Castigo ma non ce lo trovo, così provò a contattarlo con la mente. Dove sei?
A caccia.
Avresti dovuto avvertirmi.
Paura che mi capiti qualcosa?
No, ma i Varden potrebbero credere un attacco.
Castigo ridacchiò. Cosa c’è? Domandò Murtagh, visibilmente infastidito dalla risposta del drago. Vedo Elvin.
Elvin? Dove?
Al lago. Uh, è nuda.
CASTIGO! Il drago ridacchiò ancora alla reazione del Cavaliere, al quale le punte delle orecchie erano divenute rosse. Non mi pare un commento da fare. Oh, nono.
Murtagh sciolse il contatto col drago sbuffando e andando nella sua tenda. Non riusciva a capire perché Castigo si comportasse così, e la cosa che gli dava fastidio, era l’immagine della ragazza che aveva fissa davanti agli occhi.
Il mancato ossigeno la costrinse ad emergere dall’acqua fredda del fiume, lasciandole goccioline lungo il viso e le spalle. Elvin si tirò i capelli all’indietro e sorrise al cielo azzurro, libero da ogni più piccolo strato di nuvola. Volse lo sguardo verso un pettirosso che si posava su un ramo e dava da mangiare un verme ai propri piccoli. Sorrise radiosa e s’immerse nuovamente, osservando le piante che si muovevano sinuose seguendo l’andatura del fluido.
Uscì quando si sentì rugosa e floscia e afferrò il mantello che aveva appoggiato sul masso lì vicino e attorcigliandoselo attorno al corpo, evitando di mostrare a chiunque passasse di lì le sue nudità.
Raccolse anche i sandali ma non li indossò, beandosi della tenera erba che le pizzicava le piane dei piedi. Sorrise nuovamente osservando i fiori che crescevano lungo il sentiero che portava all’accampamento Varden, oramai formato dai profondi solchi dei carri, sui quali stavano gli otri d’acqua da riempire.
Erano quelle piccole cose che ancora le facevano amare la vita, e alla quale ancora la tenevano aggrappata, perché se avesse pensato che in Alagaesia ci fossero solo guerre e morte, anche lei pian piano sarebbe scomparsa e appassita, come i petali dell’Helgrind.
Fece qualche passo per poi lasciarsi scivolare seduta sul masso, guardando l’orizzonte, il cielo, le montagne in lontananza, e il giallo offuscato del deserto di Hadarc. Non c’era mai stata, ma non aveva tutta questa voglia di rimediare.
Stava per alzarsi e andarsene quando qualcosa attirò la sua attenzione.
Tenendosi sempre stretto il mantello all’altezza del seno si alzò mentre i tendini del corpo si irrigidivano e i sensi si acuivano. Si maledì per non aver portato il suo pugnale con sé.
Si guardò attorno in cerca di qualcosa con cui potersi difendere e afferrò un bastone lì vicino. Lo tenne stretto lungo il fianco, lo sguardo che saltava da un punto all’altro della piccola foresta che la circondava. Non vedeva niente, eppure era sicura di aver sentito un rumore di passi.
Poi qualcosa comparve alla sua vita. Si trovava sulla riva opposta del fiume, dietro un albero, e sembrava guardarla, il cappuccio calato sul volto; l’unica cosa che riluceva erano i capelli d’oro che ricadevano morbidi sul corpo dell’individuo. Elvin si irrigidì maggiormente e nascose dietro di sé il bastone, il cuore che batteva a mille. Era sola e con un’arma innocua, e per di più chiunque quello fosse, poteva benissimo saper usare la magia, mentre lei…
La figura parve muoversi e Elvin indietreggiò istintivamente. Non sarebbe scappata, avrebbe fatto peggio che meglio, ma si teneva pronta ad urlare semmai ce ne fosse stato bisogno: Eragon sarebbe accorso subito, e con lui Saphira. Non le passò nemmeno nella mente che potesse essere una trappola per loro; dopotutto la tregua con Murtagh era finita, e potevano aspettarsi di tutto, ma in quel momento Elvin pensava solo a salvare la pelle. Era uno dei suoi difetti maggiori non riuscire a pensare in quelle situazioni e solo col tempo avrebbe imparato a vincerle.
Quando però l’individuo uscì completamente dalla foresta Elvin rimase stupita. Non era un servo di Galbatorix, o almeno così non le sembrò, chiunque poteva esserlo, con qualsiasi fattezza e forma, ma una donna, una donna dai capelli d’oro ricurva su se stessa che camminava zoppicando. Al lato della cinta portava una grossa spada che doveva pesarle molto a vedere come pendeva il corpo, e il mantello verde le copriva volto e abito, tranne l’ultimo pezzo, da dove spuntava un vestito bianco completamente sporco di fango e di qualcos’altro che Elvin non riuscì a riconoscere. Ai piedi portava dei semplici stivali corrosi dal tempo.
La ragazza allentò la presa sul bastone ma la riprese subito, pentendosi di quell’attimo di esitazione. Poteva risultarle fatale.
La donna si avvicinò pian piano e iniziò a immergersi nell’acqua, Elvin scattò in avanti – No aspettate! In mezzo è profonda! – ma si ritirò subito: la donna pareva non affondare. Strinsi più convulsamente la mano sul legno, sentendo le notte sbiancare. E’ una strega. Come temevo. Si tenne pronta ad urlare e a raggiungere Eragon col pensiero.
La donna ricominciò a camminare e raggiunse la sponda opposta mentre Elvin era indietreggiata di almeno dieci passi. Rimase a distanza alzando il bastone davanti a sé.
La donna alzò appena il volto e i boccoli d’oro ondeggiarono. Un sorriso parve comparirgli sul volto. – Non devi avere paura. Non ti farò del male.
Elvin si lasciò sfuggire un sussurro al suono della voce della donna. Non era rauco o basso come la ragazza se l’era aspettato, bensì acuto ma profondo allo stesso tempo, con una nota di acqua cristallina che si infrange leggera sul ghiaccio di sottofondo. Elvin rimase qualche istante come incantata, poi si riprese – E come faccio a fidarmi?
La donna parve ridere, ma di una risata dolce e comprensiva, come quella di una madre per il figlio che pone una domanda ingenua – Hai ragione – e quando parlò Elvin rimase nuovamente rapita dalla sua voce – Ma di me puoi fidarti. Non ho ragione per farti del male, né devi temere che io sia una spia di Galbatorix. Non ho motivo per stare al suo fianco.
La donna sembrava sincera, ma Elvin aveva comunque paura ad abbassare la guardia. Così piantò bene i piedi a terra e alzando il viso, parlò: - Le tue parole possono essere bugie. Di questi tempi chiunque potrebbe mentire per un secondo scopo.
La donna sospirò e alzò le braccia: - Come vuoi che ti convinca?
Eh, bella domanda, Elvin non aveva idea di come potersi fidare. Avrebbe potuto farsi dare la spada, ma se come aveva visto era davvero una strega, sarebbe stato inutile. Cercò qualcosa in fretta, ma quando non trovò niente, la donna la superò: - Vedi? A volte non è male fidarsi delle parole di qualcuno, anche se fai bene a dubitare di me. – detto questo tirò indietro il cappuccio e mostrò il suo volto. Era il volto di una giovane dagli occhi castani tendenti al verde, grandi, con una frangia che le copriva le sopracciglia diritte, ma con rughe profonde che ne segnavano l’età. Elvin si raddrizzò e lasciò cadere il braccio che reggeva il bastone, osservando la donna in viso. Sorrideva, ma negli occhi nascondeva anni di tristezza.
- Chi sei? – domandò infine, dopo averne studiati gli abiti logori e la pelle flaccida lungo il collo. Per quanti anni potesse avere, era magra e si portava bene; Elvin ne fu stupita e si convinse ancora di più che fosse una strega. Quale non sortilegio avrebbe potuto tenerla così bella pur avendo rughe così profonde?
La donna si lasciò sfuggire un altro sorriso, per poi rispondere con voce calma – E’ legittimo volerlo sapere. Ebbene, io sono Selena.
Elvin corrugò la fronte. Quel nome non le diceva niente, eppure sentiva come se fosse importante.
- Un nome non dice molto – si affrettò ad aggiungere.
- Hai ragione, ma mi dispiace non poterti dire di più adesso. Stavo comunque andando all’accampamento Varden, e ci arriverò anche senza che tu mi accompagni. – la sua voce non era insolente né sgarbata, solo decisa e sicura. Elvin ebbe come l’impressione che lo avrebbe fatto davvero.
Gettò via il bastone, raddrizzando le spalle – E va bene, ma un passo falso e ti uccido.
Selena annuì con un cenno del capo lasciando ondeggiare i boccoli biondi, per poi superarla e iniziare a camminare verso l’accampamento. Elvin iniziò a seguirla a distanza, osservando i suoi movimenti. Sebbene fosse vecchia, possedeva ancora una certa eleganza. Elvin si chiese chi fosse veramente e perché non poteva svelarle ora la sua vera identità. Doveva essere importante, e si ritrovò a sperare in un aiuto per i Varden.
Camminarono in silenzio finché non furono in vista dell’accampamento, allora Elvin si fece più attenta, quando Selena si fermò, lasciandola passare avanti. Elvin notò Eragon e Saphira all’interno padiglione rosso che prima era appartenuta a Nasuada, lasciata aperta con una corda. La ragazza soppesò l’idea di portare Selena subito da Eragon, ma in quelle condizioni non era presentabile. Si voltò per dirle di aspettarla ma si fermò quando vide l’espressione dipinta sul volto della donna: stupore, meraviglia, uno sguardo di puro affetto. Ne seguì lo sguardo e notò che si soffermava all’interno della tenda. Approfittandosene si mosse svelta e andò a cambiarsi, tornando poco dopo con una semplice tonaca viola scuro; ancora risiedeva il lutto per Nasuada nell’accampamento. Si avvicinò a Selena e le fece cenno di seguirla. La donna non se lo fece ripetere.
Arrivarono di fronte al padiglione e Elvin tossì due volte, quando finalmente tutti si voltarono. All’interno c’erano Eragon, Saphira, che faceva capolino da sotto la tenda, il Du Vrangr Gata, Jormondur, Arya e Orik, che teneva saldo il martello nelle due mani. Solo dopo Elvin notò Roran nell’angolo, in silenzio.
La ragazza si spostò facendo passare Selena, che si fermò a contemplare Eragon con occhi rapiti, cosa che lo mise alquanto in soggezione.
Elvin la indicò con una mano – Lei dice di chiamarsi…
- Selena! – si voltarono tutti verso Arya, la quale aveva fatto un passo avanti sbalordita.
Eragon si voltò in fretta verso la madre, a bocca aperta. La donna gli ricambiò un sorriso, annuendo alle parole di Arya.
Non è possibile. Eragon sembrava aver perso le parole, le quali gli si impastavano ogni volta che cercava di aprire bocca ed emettere un suono.
Lo è, io la vedo. Saphira sembrava l’unica a dare poca importanza alla cosa, per lei quella donna non significava niente.
Selena represse le lacrime per poi avvicinarsi a Eragon e stringerlo in un forte abbraccio, ma fu fermata da Arya, che si intromise fra i due. Sia Eragon che la madre ne parvero sorpresi.
- Tu eri morta. Come facciamo a sapere se non sei un inganno di Galbatorix?
Eragon si sentì stupido a non averci pensato prima, mentre Elvin annuiva dietro Selena. Ci aveva pensato, ma aveva deciso di affidarsi al giudizio di Arya: lei non sbagliava mai. Almeno così la mortale la vedeva.
Selena fece un passo indietro, visibilmente dispiaciuta di non aver potuto abbracciare il figlio, poi annuì e recitò nell’antica lingua: - Eka weohnata nèiat haina ono, Arya Drőttningu –
A Eragon scappò un sorriso. Non si poteva mentire nell’Antica Lingua.
Anche Arya parve soddisfatta, ma non osò muoversi prima di dire: – E’ un onore rivederti. La tua presenza qui denota molti interrogativi, ma spero di poter essere al tuo fianco questa volta, e non come nemici. – detto questo si spostò con un lieve inchino. Gli altri stavano a debita distanza. Solo Roran si era avvicinato, stupito quanto Eragon. Quest’ultimo, che aveva capito a cosa si era riferita Arya (la Mano Nera di Morzan), guardò suo madre, senza riuscire a nascondere un sorriso di felicità. Quante volte aveva sognato di poterla incontrare, a Teirm quando aveva parlato con Angela e aveva saputo che anche lei si era fatta predire il futuro, un futuro talmente oscuro da lasciarla scossa nel profondo dell’animo. Quante volte l’aveva sognata, cercando di ricavarne un ritratto fedele seguendone le descrizioni arrivategli. Ma ora che l’aveva davanti, si accorgeva che era tutto meno che quello che si era immaginato, fatta eccezione per lo sguardo premuroso che aveva sempre desiderato di ricevere.
- Sei proprio tu? – domandò quasi con le lacrime agli occhi.
La donna annuì e l’abbracciò stretto, lasciandosi andare ai singhiozzi – Ho pregato tanto per te.
Eragon non sapeva cosa dire, e per i restanti minuti nei quali tutti si allontanarono lasciandoli soli, non riuscì a pensare ad altro che: Selena.
* Eka weohnata nèiat haina ono, Drőttningu = Non ti farò del male, Principessa Arya.
Ok, anche questo capitolo è andato ^^ Lo pensavo da tanto e finalmente sono riuscita a finirlo. Ho sempre paura a descrivere Murtagh e spero sempre di non renderlo troppo…semplice visto che è il mio personaggio preferito ^^’ Ma penso sia così per tutti.
Grazie a chi segue!! Spero vi sia piaciuta la comparsa di Selena, così come me la sono immaginata io per questa storia.
Alla prossima!
Aveva sempre provato ad immaginare sua madre, ma averla davanti a sé era una completamente diversa. Se era stato tutti quegli anni a pensare a cosa le avrebbe detto, ora tutto era andato in fumo.
Erano rimasti abbracciati per molti minuti quando i doveri di Eragon l’avevano però allontanato da sua madre, la qual si era chiusa nella tenda di Arya a raccontarle di chissà cosa.
Eragon aveva provato un moto di stizza nei confronti dell’Elfa, una gelosia che lo rese stupido ai propri occhi. Arya conosceva sua madre, meglio di lui, e forse voleva delle risposte. La donna gliene doveva, ma gliene doveva tante anche a lui.
Così aveva lasciato perdere e si era dato ai propri compiti, cercando di svuotare la mente e liberarla da brutti pensieri, i quali rischiavano di catturarlo in qualsiasi momento. Solitamente far lavorare il corpo lo aveva aiutato, adesso sembrava tutto inutile.
Raggiunse Saphira in una radura al calar del sole. Lei era appena tornata da caccia. Le parlò dei suoi pensieri. Per qualche istante la dragonessa rimase in silenzio a guardarlo e Eragon sentì solamente un senso di tenerezza in lei, poi, con voce non troppo dolce, sbuffò. A volte sei proprio un bambino.
Eragon parve irritato da quelle parole, e alzando il capo, osservò l’enorme testa di Saphira. Rideva. Pensavo di riuscire a trovare conforto in te.
Ti sto prendendo in giro. È normale ciò che provi, e devo ammettere che Arya è stata poco dolce nei tuoi confronti. Avrebbe dovuto lasciarti del tempo per stare con tua madre.
E’ quello che penso anch’io.
Il Cavaliere si lasciò cadere pesantemente su un masso, giocando con un rametto che aveva trovato lì vicino. La terra era bagnata, così fu facile levigarla e imprimerci il passaggio del legno.
Saphira si accucciò, senza staccare gli occhi dal giovane. Se vuoi vado a prenderla e la porto qua.
Non seppe perché, ma le parole di Saphira fecero ridere Eragon. Forse perché immagino la dragonessa che si alzava in volo, sradicava la tenda e portava via Selena fra gli artigli. Ne sarebbe stata capace!
Scosse la testa. No no, meglio se non fai niente. Come vuoi. La dragonessa sembrava essersi offesa.
Passarono i minuti restanti a parlare del più e del meno, fin quando il sole non scomparve dietro alle colline, lasciando sulla piana un buio assoluto.
Eragon si alzò, e salutando Saphira che tornava a caccia – di notte le era più facile -, si avviò verso il campo Varden. Era un po’ che non vedeva Elvin, in effetti tutto il giorno. Decise di andarle a fare una visita.
Trovò la ragazza seduta fuori dalla sua tenda, intenta a pulire del vango da un paio di stivali. Quando vide arrivare Eragon, alzò la testa, sorridendogli.
- Alla fine era tua madre veramente.
Perfetto, Eragon avrebbe preferito non parlare della donna.
Si sedette accanto a lei, su un ceppo di legno che faceva da sgabello. Elvin passò all’altro stivale.
- Già. Di chi sono? – chiese, riferendosi agli stivali che la ragazza teneva in mano.
- Miei. Ho deciso di provare a dare una mano.
- Vuoi scendere in battaglia?
Elvin scosse la testa, posando entrambi gli stivali a terra. Sospirò, posando le mani in grembo. – Non sono in grado, e me ne vergogno. Però se posso aiutare a scavare trincee, a piantare pali, o a spostare cose pesanti, lo farò. Inoltre, molte donne Varden hanno bisogno di me. – sorrise e una ciocca di capelli castana le scivolò lungo la spalla. – Con un paio di stivali starò più comoda, non credi?
Rise così come fece Eragon. Si guardò i suoi di stivali, notando che erano molto usati.
Passarono qualche secondo in silenzio, poi Eragon si alzò e la salutò. Pensava potessero dirsi di più. Fu Elvin a fermarlo. Lo prese per un polso.
- Rimani. Mi fai compagnia – c’era una nota di tristezza nella sua voce, e Eragon non riuscì a dirle di no. Si sedette nuovamente, aspettandosi qualche parole dalla ragazza, ma questa non parlò. Capì solo dopo che lo fece perché una guardia stava camminando proprio lì davanti.
- Ti vanno due passi? – domandò poi. La guardia non era intenzionata ad andarsene.
Eragon annuì, alzandosi e iniziando a passeggiare per l’accampamento. Solo una volta fuori Elvin prese parola.
- So che questo discorso l’abbiamo già fatto ma…io ho bisogno di sfogarmi.
Eragon annuì. Sapeva già a cosa si riferiva. Murtagh. Era sempre nei pensieri della ragazza, e ancora una volta si chiese come mai le ragazze che gli interessavano gli sfuggivano via, irraggiungibili. Da una parte ringraziò il fato però, perché il suo cuore ancora era legato ad Arya. Ricordava la prima volta che aveva incrociato il suo sguardo con quello dell’Elfa. Non l’avrebbe mai scordato.
Si fermarono davanti al fiume, laddove Elvin aveva visto sbucare Selena.
- Ti senti solo a volte?
Quella domanda arrivò così all’improvviso che Eragon ne fu sopraffatto. Si sentiva solo a volte? Si, era successo spesso, anche con Saphira.
Annuì – A volte mi succede, si.
Elvin sospirò, tenendosi nelle spalle. La notte era ancora fredda. – A me succede sempre di più. È come se mi sentissi fuori posto, fra voi. Voglio aiutare, e la gente accetta il mio aiuto, ne è felice, ma sento che il mio posto non è qui.
- E dov’è?
Elvin abbassò la testa, così che i capelli andarono a coprirle il volto. – Credo tu lo sappia.
- Allora perché non vai?
Elvin si voltò di scatto. Non si aspettava una risposta del genere. Si era preparata a lunghi discorsi, a parole calde di comprensione, e invece Eragon sembrava…apatico alla cosa.
Aprì la bocca un paio di volte senza però sapere cosa dire. Quando si rassegnò, e tornò a guardare il fiume lambire la radura.
- Non servirei mai Galbatorix.
Eragon si sentì felice di quella risposta e si lasciò sfuggire un sorriso. – Sai cosa mi insegnò Brom tempo fa? Che a volte vanno fatte delle scelte, e non sempre queste sono facili. A volte bisogna mettere da parte noi stessi e pensare al bene degli altri. Io e Saphira lo abbiamo accettato, per questo ci è più facile di altri comportarci così. Ma non siamo forti anzi, la gente vede meno di quello che siamo. Ma va bene così, perché è l’immagine che ci portiamo dietro che conta, non chi siamo veramente. – si fermò un attimo. Era così che doveva essere. Alla gente non interessava chi era Eragon Bromsson, ma chi era Eragon Ammazzaspettri, Eragon Shur'tugal. – Per questo mettiamo da parte i nostri sentimenti. Sappiamo che ci sono cose più importanti. – si sentiva un vecchio a fare quei discorsi. Ora era lui il mentore, non c’era più nessuno a insegnargli come fare. Era il suo turno.
Elvin era rimasta ad ascoltarlo, ma senza guardarlo. – Non è facile.
- Niente è facile. Cosa ti dice il tuo cuore?
- Di andare.
- E la tua mente?
- Di restare. C’è chi ha bisogno di me.
Eragon si girò posandole una mano sulla spalla. Le sorrise, per poi voltarsi e andarsene a passo lento, lasciandola sola.
Il vento le scompigliava i capelli e portava con sé ricordi di quando lo aveva incontrato, a quando tutto era iniziato e a come fosse convinta e sicura di tutto. E’ più difficile di quanto sembri.
Era debole, lo era sempre stata.
La mattina dopo arrivò troppo presto e le palpebre di Eragon ne risentirono. Si alzò stiracchiandosi e beandosi del buongiorno di Saphira, al quale rispose con uno sbadiglio. Con l’avvenire della primavera la dragonessa era sempre più arzilla la mattina, grazie ai caldi raggi solari che le irradiavano la corazza luminosa.
Si alzò indossando gli stivali e lavandosi la faccia nel catino lì vicino. Quell’acqua doveva essere cambiata.
Poi uscì, indossando il panciotto e dirigendosi verso il padiglione di Nasuada. Gli si stringeva ancora il cuore ogni volta che lo vedeva.
Passarono la giornata a parlare di strategie e del fatto che Murtagh ancora non aveva mosso piede contro di loro.
- Stanno covando qualcosa – aveva detto Jormondur durante la seduta delle due del pomeriggio, quando ancora non si erano viste guardie di Galbatorix marciare contro di loro. – Le nostre sentinelle dicono che se ne stanno in panciolle a bere vino. Perché!? – aveva tuonato, lasciando cadere pesantemente il pugno sulla carta di Alagaesia.
Se lo chiedeva anche Eragon: perché Murtagh non si muoveva? Sapeva di Selena?
- No – fu sua madre a togliergli ogni dubbio – Galbatorix pensa che io sia morta. Non è quello.
- Suggerisci qualcosa, Aiedail? – avevano iniziato a chiamarla così gli elfi, e Arya si era adeguata, perché era comparsa come compare la Stella del Mattino, illuminando di speranza. Perché se lei era viva, allora tutto era possibile.
La donna si mosse lenta sulla sedia su cui era posata. – So che Morzan fu costretto da Galbatorix, prima di morire, a consegnargli l’Eldunarì del suo drago. – un brusio pervase la tenda. Nessuno si aspettava una cosa del genere – Galbatorix custodisce gelosamente quell’Eldunarì, perché se dato in mani giuste è molto potente.
Arya parve la più preoccupata, ma non si intromise, anzi rimase a guardare Selena, intimandola di continuare. La donna continuò il suo racconto, spiegando come quel cuore dei cuori era stato dato a Murtagh e come ora lui si stesse allenando per usarne la massima energia.
Eragon si stupì di come la sua voce non cambiò a pronunciare quel nome. Era comunque suo figlio e il ragazzo si aspettava un comportamento diverso. Invece sembrava come se anche per lei non fosse altro che il nemico.
Decisero così di mandare qualcuno in perlustrazione, ma nessuno dei presenti era volenteroso di andare a spiare il nemico. Si offrì Eragon, ma la richiesta venne respinta.
- Se dovessero catturarti cosa faremo? – era intervenuto Jormondur, le mani appoggiate aperte sul tavolo.
- Sono un Cavaliere, non sono così facile da catturare – Eragon si era sentito alquanto sottovalutato da quelle parole. Ma doveva ammettere che aveva ragione. Era solo per orgoglio che gli rispose. Saphira era più arrabbiata di lui ed emise un ringhio, ma in pochi la degnarono di attenzione. Oramai la conoscevano.
- Jormondur ha ragione Eragon, è troppo pericoloso – stavolta fu Arya a parlare e quello fu più doloroso di qualunque altra cosa. Anche lei lo vedeva come Jormondur.
Anche la proposta di Roran fu scartata. Non era abile a muoversi di soppiatto, era una facile preda, specialmente per le spie di Galbatorix.
Così si erano trovati a chiedersi chi fosse il più adatto. Arya era troppo importante per rischiare così, per questo neanche si era proposta, quando a Eragon venne in mente Elvin. Voleva riscattarsi ed era abbastanza leggera da non fare confusione. I presenti si guardarono. Non sapevano che Elvin era rimasta imbambolata davanti ai nemici a Uru’bean e anche Roran si astenne dal farne parole. Sapevano entrambi quando la ragazza si era sentita in colpa per quel frangente.
Alla fine furono tutti d’accordo e Arya mandò un elfo a chiamare la ragazza. Elvin arrivò dopo poco.
Guardò i presenti con fare spaesato e chiese spiegazioni ad Eragon tramite uno sguardo fugace. Questo si limitò a scuotere la testa e ad indicare Jormondur. L’uomo spiegò ad Elvin cosa doveva fare. La ragazza sembrò stupita della proposta e si ritrovò a chiedere: - Perché me? – ne aveva parlato la sera prima con Eragon e l’idea di andare a spiare Murtagh non le piaceva, tralasciando il fatto della mera figura ad Uru’bean. Perché Eragon le faceva questo? Cosa voleva che diventasse? Forse per farle scegliere? “Cosa ti dice il tuo cuore? Di andare. E la tua mente? Di restare. C’è chi ha bisogno di me.” Vuole che scelga.
Alla fine annuì, accettando, e una volta sciolta la seduta, Arya le si affiancò veloce e leggera. Si chiese perché non avessero scelto lei per quel compito. Era più adatta. Ma soprattutto, più determinata.
Le posò una mano sulla spalla e Elvin la trovò insolitamente fredda.
- Andrai domani, quindi oggi abbiamo tempo per addestrarti. – la voce dell’Elfa era come affaticata da qualcosa. Elvin si chiese come mai.
- Addestrarmi? – chiese, senza capire.
- Pensi di entrare nell’accampamento senza esserti allenata adeguatamente?
Elvin si sentì una stupida a non averci pensato prima: - Pensi che un giorno basti?
Arya scosse la testa: - No, ma ce lo faremo bastare. – poi le fece cennò di seguirla, e agilmente si allontanò dall’accampamento. Passando di fianco ad Eragon bisbigliò due parole, in elfico. Eragon la osservò allontanarsi, rapito dai suoi movimenti. Sospirò. Si diresse dove lo aveva indirizzato Arya.
Saphira gli fu accanto.
Raggiunse la collinetta indicatagli dopo una quindicina di minuti e si bloccò davanti alla figura seduta a terra: Selena. Ebbe un fremito. Vuoi che me ne vada? Chiese Saphira, ferma a due metri di distanza da lui. No, resta con me.
D’accordo.
Si avvicinarono alla donna che se ne stava seduta a gambe incrociate, il vento che le scompigliava i boccoli striati di grigio. Per la sua età, aveva davvero dei bei capelli.
- Mi spiace di non averti potuto parlare prima. – la sua voce. Eragon aveva sempre cercato di immaginarla che gli cantava la ninna nanna prima di andare a letto, o che gli raccontava storie di draghi ed elfi. Ora era lui quelle storie.
- Tranquilla – si sedette accanto a lei – Anche io ho avuto poco tempo – mentì. Non se la sentiva di fargliela pesare. Non adesso. – Come sei tornata?
Quella domanda gli venne talmente spontanea che la madre si abbandonò ad una risatina. Poi gli passò un fiore. Era ancora un bocciolo rosa.
Eragon lo prese, rigirandoselo fra le dita. Il silenzio che precedeva un grande racconto, tipico di Brom. Pensò che lei lo doveva aver conosciuto davvero bene. Gli sarebbe piaciuto chiedergli di lui. Magari dopo.
Selena lanciò un ultimo sguardo al figlio per poi iniziare a parlare, lo sguardo perso in lontananza. Si vedeva il fumo dell’accampamento di Murtagh.
- Quando ho scoperto di essere incinta di te ho avuta paura. Non volevo che tu crescessi sotto Morzan. Ho contattato Brom, sperando che lui potesse darmi una mano. Ero confinata nel castello di Morzan. Non voleva che uscissi. Aveva notato qualcosa che non andava. Le mi missioni duravano troppo e spesso non portavo neanche a termine il mio compito. Palese che andassi da Brom. Era l’unico che riusciva a salvarmi da quella che era la prigione di Morzan.
Quando scappai Brom non era lì a prendermi. Doveva essere successo qualcosa, ma non avevo tempo di indagare. Così presi un cavallo dalle scuderie e me ne andai. Non fu facile, specialmente perché tu eri ormai al sesto mese e cominciavi a pesare. Per due volte rischiai di partorirti prematuro.
Quando raggiunsi Carvahall ero stremata. Tua zia mi curò e mi fece partorire. Roran era nato da pochi anni.
Quando hai aperto gli occhi e mi hai guardata ero così felice, perché sapevo che eri vivo e che eri salvo. Morzan non ti avrebbe mai avuto. Anche perché se avesse scoperto tutto, non solo avrebbe ucciso me ma anche te, e volevo assolutamente evitarlo.
Rimasi al villaggio per qualche giorno quando venni a sapere che Morzan era sulle mie tracce. Nessuno sapeva che ero io la donna del Cavaliere così mantenni il segreto, e me ne andai. -
Eragon sentì una nota di tristezza in quelle parole e fece per toccarle una mano, quando Selena riprese e lui la ritrasse.
- Sapevo che Brom si era trasferito al villaggio e gli chiesi di badare a te, di non lasciare che nessuno ti facesse del male. Ma poi venni a sapere che Morzan era stato ucciso da tuo padre. -
Brom chiamato così lasciarono in Eragon un calore che non aveva mai provato prima. Ma fu piacevole.
- Galbatorix però mi credeva viva e io dovetti andarmene. Attraversai tutta la Valle Palancar e me ne andai al Nord, facendo gli ultimi rifornimenti a Ceunon. E’ un bel posto lassù.
Il silenzio li avvolse nuovamente, interrotto solo da qualche uccello che si librava alto nel cielo e che attirava l’attenzione di Saphira. Ma la dragonessa era comunque attenta alle parole della donna. Teneva d’occhio le reazioni di Eragon.
- Come hai convinto Galbatorix che eri morta? – chiese poi Eragon, scegliendo quale domanda fosse più pertinente, se quella, o perché non portò via Murtagh con sé. Quella era una domanda che lo aveva sempre consumato, ma forse non era la persona giusta per farla. Ora che Selena era tornata, Murtagh avrebbe potuto parlarci.
Selena abbozzò un sorriso stanco, legando due boccioli assieme. – Mi tagliai una mano e la detti ad uno dei suoi sicari. Una ragazza dai capelli corti e il viso aggraziato. Non ne ho più avuto notizie.
Eragon fece per parlare ma Selena lo zittì con un cenno della mano: - So cosa vuoi dire, ho tutte e due le mani. Vero. Incontrai uno stregone e me la feci curare. Lassù al Nord la magia è diversa, si è sviluppata molto nel settore della medicina. Comunque, Galbatorix fece analizzare la mia mano e si convinse che ero morta davvero, almeno così mi disse il sicario in una lettera.
Mi tenevo sempre in contatto con Alagaësia e venni a sapere che eri diventato un Cavaliere. Così mi misi in cammino per ritrovarti. È stato un lungo viaggio, faticoso per la mia età che avanza, ma alla fine ti ho trovato – si voltò finalmente verso il figlio, sorridendo di un sorriso lucente e sincero. Gli sfiorò una mano – Sono felice di incontrarti, finalmente.
Eragon fu pervaso da un brivido caldo che gli partì dalla punta dei piedi fino alla nuca e strinse la mano della madre. – Anche io. – E lo era, immensamente. Per un periodo aveva odiato sua madre, che sebbene gli dicessero per una buona ragione, lo aveva abbandonato; ma ora, a sentire quel racconto, tutta la rabbia e la frustrazione per essere stato abbandonato, era sparite.
Saphira emise un brontolio di soddisfazione e passò del calore ad entrambi. Selena fu felice di quel contatto.
- Grazie Bjartskular – le disse, posandole una mano sul muso.
- Brom com’era? – era curioso, troppo curioso di sapere di suo padre.
Selena parve rabbuiarsi per un istante, poi tornò serena, come prima: - Tuo padre era una testa dura. Quando si metteva in testa qualcosa nessuno gli faceva cambiare idea. Mi ricorda qualcuno.
Ma zitta.
Saphira ridacchiò ma lasciò perdere. Era il momento di madre e figlio.
Per un istante pensò che era anche sua madre, in un certo senso, ma scacciò quel pensiero. Lei era figlia di draghi!
- Ma quando gli morì il suo drago – indicò la dragonessa – Saphira, ne rimase distrutto. Era irriconoscibile, e dovetti faticare per rivedere in lui l’uomo che avevo amato. Era lì, sepolto dal dolore.
Fu in quel periodo che mi accorsi di rimanere incinte e bè…il resto della storia la sai.
Eragon annuì. Era una storia triste.
- La prima volta che ci incontrammo fu dopo una mia missione. Se ne stava a ridere e scherzare con altri due Cavalieri in una taverna. Ancora ve ne erano molti. All’inizio non mi interessò, e presi da bere, sedendomi ad un tavolino da sola. Poi anche lui rimase solo e si avvicinò a me. Palese che volesse provarci, ma lo lasciai fare. L’amore sbocciò quasi subito. Era un uomo intraprendente, sicuro di sé anche se in quella sua sicurezza ostentata ogni tanto vacillava. Aveva bisogno di qualcuno che credesse in lui, non come Morzan. Ma la cosa che più mi colpì fu la sua bontà. Non avevo mai incontrato un uomo più buono.
Eragon abbassò lo sguardo. Suo padre era davvero un grand’uomo.
- Devi andare fiero di Brom
- Lo sono. – era vero. Durante l’inseguimento dei Ra’zac aveva imparato a conoscerlo, o almeno così credeva, ma si era accorto che c’era ancora tanto che non sapeva di lui. – Avrei voluto conoscerlo.
Selena gli posò una mano sulla spalla. Saphira soffiò appena. – Non sempre tutto va come dovrebbe. Ma sappi questo: è molto fiero di te.
Ad Eragon scappò una risatina. – Come fai ad esserne sicura? Io non valgo la metà di quello che era lui.
La mano di Selena si staccò e il suo sguardo si fece serio. - Tu non sei Brom, è vero, ma non è vero che non vali.
Eragon si sentì improvvisamente stupido. Prima era Garrow a fargli le paternali, ora il discorsetto arrivava dritto dritto da sua madre.
- Tu sei Eragon, Cavaliere dei Draghi. Questo nome non è affibbiato a chiunque. Sai cosa significa “Shur'tugal”?
- Cavaliere dei Draghi.
- No. Non solo almeno. Nella parola, come ogni parola dell’Antica Lingua, è nascosto un significato più grande. Shur'tugal è l’essere Cavaliere dei Draghi, è il meritarselo. Non ha tutti viene affibbiato questo nome, questo merito. Cosa che alla fine è. Tu ti sei meritato quel nome, per questo gli elfi ti chiamano tale.
Eragon alzò lo sguardo su quello della madre, per poi guardare Saphira. La dragonessa annuì.
Non c’aveva mai pensato.
Abbozzò un sorriso a sua madre: - Grazie.
Le scosse la testa e l’abbracciò. Quel corpo piccolo e gracile…sembrava si potesse rompere sotto la stretta delle sue mani.
Chiuse gli occhi. Ora sapeva e sapeva chi era Brom, sebbene in parte.
Alzò lo sguardo al cielo. Prima o poi si sarebbero ricongiunti, e sarebbe stati insieme, per sempre.
Rieccomi, riuscita a continuare. Spero che Selena non sia sembrata troppo odiosa ahah xD All’inizio io l’avevo un po’ in antipatia, ops.
Comunque ringrazio ancora stefy_81 che continua a recensire questa storia e senza la quale non andrei avanti.
Spero che anche questo capitolo sia stato di tuo piacimento. Ho voluto incentrarlo molto sul legame tra Eragon e Selena, sperando anche di aver fatto capire cosa prova la madre nel parlare al figlio.
Hai ragione, anche stavolta Murtagh è stato sorpassato, ma non sarà l’ultima. Povero, mi vorrà male prima o poi! :D