Odette

di xwannabewriter
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Preludio ***
Capitolo 2: *** Capitolo primo ***
Capitolo 3: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 4: *** Capitolo terzo ***
Capitolo 5: *** Capitolo quarto ***
Capitolo 6: *** Capitolo quinto ***
Capitolo 7: *** Capitolo sesto ***
Capitolo 8: *** Capitolo settimo ***
Capitolo 9: *** Capitolo ottavo ***
Capitolo 10: *** Capitolo nono ***
Capitolo 11: *** Capitolo decimo ***



Capitolo 1
*** Preludio ***


Preludio

 
 
 
 

Parigi, 1915

 


 
Una notte tormentata, un maestoso temporale che sembrava volesse impadronirsi della luce.
Audrey sudava freddo, nel suo letto. Le contrazioni che si facevano sempre più prepotenti, la madre che, in lacrime, le cingeva la testa, pregando e piangendo a dirotto. E quella donna. Quella donna che nulla le prometteva se non tanta diffidenza.
“Ce l’hai quasi fatta, Audrey, spingi.”
Un lampo di luce filtrò dalla piccola finestra alla sua destra. E in quel momento una piccola bambina incontrò lo sguardo della ragazza, mentre la madre la prendeva in braccio, lavandola nella bacinella d’acqua.
La levatrice se ne andò, lasciando le due donne al loro amaro destino.
“Sai che non possiamo tenerla. Hai 15 anni. Non sei sposata. Uno scandalo non possiamo permettercelo.”
“Madre, ne sono consapevole.” Disse la giovane, fra i singhiozzi.
Guardò quella piccola creaturina. Gli occhi chiusi, le guancie paffute. Le manine rosee.
Era stata lei a darle la vita, e sarebbe stata lei a cambiargliela.
“Un giorno di rincontrerò, piccolina, stanne certa.” Giurò.
“A chi la daremo?” Audrey divenne grigia in volto, preoccupata
“Alla tua cugina di secondo grado, Colette.”
“La contessa?”
“Esatto. Darà quello che non possiamo permetterci alla piccola, data la nostra bassa posizione sociale. Inoltre è sposata, e non può avere figli.”
Audrey, in quella notte silenziosa, si stupì di come la madre avesse organizzato tutto senza un briciolo di sentimento. Era pur sempre figlia sua. Ma non poteva permettersi di ribattere, l’avrebbe sbattuta fuori di casa e tutti l’avrebbero additata come la povera puttanella del villaggio. Fortuna ha voluto che, in quei nove mesi precedenti, solo pochi intimi avessero saputo della gravidanza.
“Come la chiameremo?” disse in un sussulto, come se fosse la cosa più importante del mondo
Un tuono. Ancora.
“Questo lo devi decidere tu, bambina mia.”
“Odette.”
“Nome bizzarro, poco usato. Sicura?”
“Oh … oui, maman.”
Audrey guardò con un sorriso sommesso la figlia. Era piccola, candida, proprio come la ballerina di tchaikovsky. Avrebbe messo le punte, un giorno, e quel nome doveva ricordarlo. Un patto.
“Non dovresti guardarla così, non ti ci affezionare.” La madre gliela strappò dalle braccia, la piccola si mise a piangere. “Non piangere! Non piangere! Ti sentiranno tutti!”
Il temporale era forte, il lugubre richiamo del sonno si fece prepotente, Audrey si posò al cuscino maleodorante e tutto le apparve ovattato, finché gli occhi le si chiusero da soli.

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Capitolo 2
*** Capitolo primo ***


Capitolo primo

 
 
 

Parigi,1931

 
La palestra, impregnata di respiri, sollecitazioni e gocciole di sudore, aveva un aspetto elegante.
Le era sempre apparsa così, del resto. Il pavimento in parquet, le pareti bianche e le travi in legno al soffitto. La sbarra il legno di cui adorava l’odore era il massimo.
Quello era un giorno importante. Avrebbero scelto le tre partecipanti al concorso internazionale per trovare la ragazza che avrebbe avuto una borsa di studio per la Royal Ballet di Londra, la fortunata avrebbe fatto lezioni con Ninette De Valois! La calma ed il sangue freddo erano d’obbligo. Assolutamente.
“Punte nuove, a quanto vedo.” Clarisse le passò accanto, con fare altezzoso. Odiava quella ragazza così impertinente e boriosa.
“Già.” Le rispose mentre finiva di allacciare la scarpetta sinistra
Come al solito allo scoccare delle 18:30 tutte si alzarono dallo stanzino utilizzato come spogliatoio e si diressero in palestra. La Miss era seduta vicino al pianista a contare il tempo di una melodia.
“Bonsoir mademoiselles!”
Le ragazze si misero al centro, in ordine d’altezza, ed una alla volta si inchinarono lievemente, alzando un immaginaria gonnellina.
“Trés bien! Come sapete ci sono le elezioni per le tre fortunate ragazze. Mettetevi alla sbarra, iniziamo con il plié.”
Odette era una delle più basse. Quinta di fila in una sbarra di circa quindici ragazze. Il suo corpo flessibile, il collo del piede arcuato e la pelle bianchissima le conferivano un aspetto da vera étoile. Aveva grandi aspettative per sé stessa e quel giorno avrebbe dovuto far vedere quanto valeva.
Mr Edouard iniziò a suonare. Odette si lasciò completamente trasportare dalla musica, un demi plié, un altro ancora e poi giù con il grand plié. Doveva tenere la pancia in dentro, il mento alto, le dita affusolate e l’en-dehors ampio.
La Miss iniziò le correzioni.
“Clarisse, guarda quel sedere, guardalo! Sembra una mozzarella moscia, stringi!”
Poi finalmente fu il suo turno. Si concentrò al massimo e sperò di non star sbagliando nulla.
“Bene, Odette. Ginocchia in fuori, en-dehors!”
La ragazza tirò un sospiro di sollievo. Quella piccola imperfezione era niente in confronto alle urla che avrebbe strillato di lì a poco vedendo le condizioni pietose del cambré di Alexis.
La musica cessò. La Miss sembrava rabbuiata, probabilmente la maggior parte delle sue allieve aveva sbagliato. Infatti si pronunciò “Ho visto abbastanza. Ho le idee chiare su ognuna di voi, potete andare a cambiarvi. Ho già preso la mia scelta.”
Odette sentì il suo cuore rimbalzarle dal petto, battendo all’impazzata. “Mon Dieu, Mon Dieu …” continuava a ripetersi.
In spogliatoio, mentre si toglieva lo chignon fatto a regola d’arte per l’occasione, sentiva una marea di sue compagne fra i singhiozzi. Anche Clarisse, che di solito era sempre così fredda e distaccata, stava lasciandosi in balia delle sue reali emozioni.
“Ho sbagliato tutto, ho sbagliato tutto!” diceva. Odette le si avvicinò.
“Che succede?”
“La Miss non mi ha ammessa, ne sono sicura. Ho sbagliato gran parte dell’esercizio.”
A Odette venne istintivo, non ci pensò due volte e nonostante tutte le loro divergenze l’abbracciò, mentre Clarisse singhiozzava sempre di più. “Andrà tutto bene, ne sono sicura.” Disse.
“Sapete a che ore la Miss dirà i risultati?” Alexis lo chiese molto tranquillamente. Era sempre stata una ragazza tranquilla, a dirla tutta. I suoi genitori erano vecchi étoile della danza, avevano anche ballato lo ‘Schiaccianoci’ davanti ai maestri e coreografi più importanti d’inizio ‘900. Avevano dato alla luce una creaturina che nulla aveva a che fare con la danza, e questo infondo lo sapevano bene anche loro. Le facevano fare tante lezioni private, ma era dura come un pezzo di legno e le sue gambe troppo lunghe e massicce.
“Fra poco.” Disse Odette, ansiosa
“Ragazze, i risultati sono pronti!” ed ecco quella voce dall’altra stanza che tanto temeva.
La classe si diresse in palestra, dove la Miss la stava aspettando.
“Ho fatto una lista, dalla più brava alla meno brava. Le prime tre andranno al concorso, le ultime cinque andranno a casa.” Detto questo, appese il piccolo foglio alla parete, si girò e se ne andò.
“Chi guarda per prima?” chiese Odette, con le gambe tremanti
“Io.” Disse Alexis, fece qualche passo avanti e poi scoppiò in lacrime, andandosene correndo.
“E ora?” chiese sempre Odette
“Io.” Fece Clarisse. Qualche passo e poi un immenso sussulto. “Sono arrivata terza! Sono arrivata terza! Mon Dieu!” poi anche lei se ne andò passandole accanto, a stento trattenendo l’entusiasmo.
“Tocca a me.” Odette guardò la lista. Era scritta a mano in una calligrafica allungata ed elaborata.
Decise di partire dal basso. Alexis era arrivata ultima, seguita da altre ragazze impaurite che non avevano il  coraggio di guardare, arrivò alla quarta posizione. Lei non era lì. Il cuore le sobbalzò dal petto. Era una delle tre! Alzò lo sguardo e vide, con immensa gioia, che era arrivata prima! Piroettò tre volte su se stessa, allontanandosi e – all’uscita- ringraziando la Miss.
“Grazie a te, sei un’allieva eccelsa.”
“Merci Madame. Je vais!”
“Aurevoir!”
 
“Sei arrivata prima?” Colette baciò sulla fronte Odette, soddisfatta
“Oui! Non posso crederci.”
“Devi crederci tesoro! Sarai una perfetta ètoile un giorno.”
“Anche voi aspiravate a diventare ballerina?” la giovane si sedette, esaminando il contenuto del suo pranzo.
“Certo! Hai preso dalla tua mamma, ovviamente.”
“Oui maman.”
“Hai bisogno di tutù nuovi? Punte? Body?”
“Niente, state tranquilla.”
“Bene. Oggi andrò dal calzolaio per quelle scarpe rotte che mi piacevano tanto. Se vuoi puoi passare il pomeriggio con Aurelie.”
“Certo. La chiamo subito.” Si alzò dalla tavola ancora con il boccone in bocca.
“Pronto?”
“Aurelie? Ciao! Sono Odette.”
“Bonjour!”
“Vieni da me per il pomeriggio?”
“Certo.” Sforzò volutamente la ‘r’ moscia. Era sempre stata una persona artistica. Si erano conosciute grazie alle loro madri e da quel momento non si sono mai allontanate. Già allora Odette era una patita della danza, la ragazza ricorda ancora bene quel giorno. Avevano si e no sei anni.
“Come ti chiami?” Chiese Aurelie mentre Odette si nascose dietro la gonna della madre
“Oh … Odette, non fare così.” Disse la donna, spingendola da dietro il suo nascondiglio e dandole un piccolo buffetto sulla guancia per poi continuare a discutere con la madre di Aurelie.
Dopo un po’ la giovane abbandonò la timidezza e fecero amicizia.
“Per che ore?” Odette, immersa nei suoi pensieri d’infanzia, si era completamente dimenticata dell’amica all’altro capo della cornetta
“Quattro?”
“C’est Bien!”
“Aurevoir.”
Attaccarono.
“Eccomi, ciao Odette!” Aurelie si sfilò il cappotto e lo appoggiò delicatamente in una sedia
“Ciao Aurelie!” Odette raggiunse l’amica, poi insieme andarono a sedersi in salotto
“Allora, hai passato l’esame?”
“Sono arrivata prima, ancora non posso credere che prenderò parte al concorso per la Royal!”
“E Clarisse?”
“Clarisse è arrivata terza …”
“Come sei felice di ciò!”
“Sarcastica, tu. A dir la verità avrei preferito che non passasse, conoscendola farà di tutto per mettermi i bastoni tra le ruote.”
“E tu fai una sissonne e scavalcali!”
Entrambe si guardarono, dopo di che scoppiarono in fragorose risate.
“Come va a te, invece?”
“Al solito. Mio padre e mia madre hanno deciso che mi sposerò con Rudolf. Non so che fare, non è quello che voglio.”
Odette si accorse che l’amica aveva preso velocemente colorito, le guancie in fiamme.
“Vorrei poterti consolare, ma non so che dire.”
“Lo so, non preoccuparti.”
Sorrisero come solo loro potevano fare. “Vuoi vedere le mie punte?” chiese Odette
“Certo, posso provarmele?”
Odette senza rispondere tirò fuori le scarpette dall’involucro in seta color porpora.
“Sono bellissime!”
“Lo so, e quando le indossi senti quasi la sensazione di … di volare.”
“Deve essere stupendo.”
“Lo è. E’ per questo che farò la ballerina, costi quel che costi. Cell’ho nel DNA.
“Infondo ti chiami come la protagonista del ‘Lago dei Cigni’.”
“Già. Vuoi provarle allora?”
“Mh. Ci ho ripensato, sai?”
“Come mai?”
“Sono piccolissime, non mi ci entrerebbe nemmeno metà del mio piedone!”
“Davvero? Pensa che a me sono anche un po’ larghe.”
“Sarai un étoile splendida, e i tuoi piccolissimi piedi lo dimostrano.”
“Merci.”
Odette era entusiasta. Aveva parenti e amici che la sostenevano, ce l’avrebbe fatta a tutti i costi. Il palcoscenico si sarebbe aperto, lei sarebbe entrata posizionandosi al centro con un tutù bianco e le punte rosee, e poi la musica avrebbe iniziato. Lei avrebbe lasciato da parte tutti i suoi pensieri, guardando minuziosamente ogni suo movimento, curandolo e aspirando alla perfezione. Lei, al contrario della Miss, pensava che si potesse raggiungere. Lo avrebbe dimostrato, un giorno. Infine, un boato di applausi e rose rosse le sarebbero piombati addosso e lei, con un inchino, sarebbe uscita di scena e si sarebbe preparata per il prossimo spettacolo. La vita è uno spettacolo meraviglioso e lei voleva farlo capire a tutti attraverso la sua danza.
“Credo sia meglio che vada.”
“Oui Aurelie, torna quando vuoi è stato bello parlare con te.”
Dopo pochi istanti Colette sobbalzò dalla porta.
“Quel calzolaio è un mito.”
“Vi ha aggiustato le scarpe?”
“Di più! Le ha anche lucidate. Gli ho promesso una valanga di clienti. Se li merita.”
“Com’è andata con la tua amica?” chiese ancora, dopo poco.
“Bene, se n’è andata  poco fa.”
“E’ contenta per la tua vittoria?”
“’vittoria’ … termine sbagliato, maman. E’ appena iniziato tutto quanto. E comunque si, è esaltata all’idea.”
“Quella, tesoro, è sempre così spumeggiante. Sua madre me lo dice sempre.”
“Lo so.” Si sorrisero.
“Anche io sono esaltata, maman, non vedo l’ora che arrivi il giorno delle audizioni.”
“Oui.”
 
*
 
“Questo costume mi è stretto!” , protestò Audrey.
“Se fino a pochi giorni fa ti andava bene!”  la costumista era spazientita
“Sentite, sarò ingrassata, che volete vi dica?”
“E’ tardi per cambiarlo. Lo spettacolo inizierà tra dieci minuti.” Disse la donna, andandosene.
Audrey smise di lamentarsi -capendo che era come parlare al muro- , e, sedendosi vicino la specchiera, si truccò e si mise le piume rosse in testa. Un’acrobata del circo doveva essere eccentrica, sempre.
“Sei bellissima!” André entrò nel camerino e le cinse la vita, lei si voltò baciandolo.
“Merci.”
“Sbrigati tesoro, fra poco iniziamo!”
“Sono pronta, quella costumista è un osso duro …”
André la guardò non capendo.
“Il costume mi è stretto e non me ne vuole fare un altro.” Sentenziò lei.
D’un tratto la voce del presentatore fece sobbalzare entrambi.
“Vai e divertiti.” Fece lui.
Lei si voltò un ultima volta lanciandogli un bacio.
Il tendone aveva un aria putrida, irrespirabile. Audrey si sedette e aspettò pazientemente il suo turno, fantasticando il matrimonio e la fine di quella vita d’inferno. Gli allenamenti erano sfinitivi, e la padrona del circo la pagava davvero pochissimo – dopo tutti i suoi sacrifici -.
Ecco. L’annuncio della sua performance era arrivato. Il cuore a mille.
Audrey si posizionò sulla trave e – all’inizio della musica – cominciò con salti e spaccate varie in aria. Gli applausi furono molteplici, anche se il pubblico sembrava annoiato. Poco le importava. Era la lurida atmosfera che non si poteva sopportare, non di certo una giovane donna alle prese con una trave.
Tornò in camerino esausta.
“Com’è andata?” André si sedette accanto a lei, accendendosi un mozzicone di sigaretta.
“Dobbiamo fare qualcosa. Qualsiasi cosa.”
“In che senso?”
“Cambiamo vita.”
“Eh?”
“Odio tutto di questo posto. Trasferiamoci, Andrè, andiamo lontano e iniziamo a vivere una nuova vita spensierata.”
“Non … non credo sia il caso …”
“Pourquoi?” sembrava delusa
“Parce qu’il ne pas bon! C’est fou!”
Audrey si alzò e sgambettando uscì dal tendone, respirando a pieni polmoni l’aria mattutina.
Si diresse verso la pasticcieria.
“Oh, Audrey! Come va?” il pasticciere era un suo caro amico, le forniva sempre stuzzichini prelibati in cambio di poche monete; bastò un occhiata di Audrey per fargli capire che non andava come sarebbe dovuto andare.
“Cosa c’è?”
“Sono stanca di questa vita! André non mi ascolta, è un folle pauroso della vita che non rischia per delle incertezze. Siamo sul lastrico e lavoriamo come matti per quel circo di merda che ci paga come fossimo immigrati neri, niente contro di loro, ma sai come la pensano …”
“Una cioccolata calda ti farà bene.” Disse l’uomo. Il miglior confidente si potesse mai desiderare. Ed era anche molto simpatico. Indossava sempre la divisa da pasticciere ed un cappello da chef in testa che lasciava intravedere i riccioli color cenere. Aveva gli occhi a palla color nocciola e il triplo mento.
“Credo di si.” Disse lei, sentendosi la fronte accaldata.
“Ne hai passate tante, povera cara …” il pasticciere posò sopra il tavolino la sua cioccolata calda.
“Merci.”
“Di niente.” Si sedette anche lui.
“Cosa c’è di sbagliato in me? Non ho mai avuto soddisfazioni, sebbene mi sia sempre impegnata al massimo in ogni cosa facessi.”
“Evidentemente erano le cose, quelle sbagliate.”
Si sorrisero.
“Cosa pensi debba fare?”
“Segui il tuo cuore. So che può sembrare un consiglio fatto, ma alla fine è proprio così.”
“Grazie di tutto.”
“Vuoi lavorare qui? Potresti aiutarmi a infornare i biscotti, abbiamo tanto lavoro ultimamente.”
“Sarebbe fantastico.”
Disse lei, finendo l’ultimo sorso di cioccolata.
“Vado, tornerò presto.”
“Ciao Audrey!”
Salutò anche lei con la mano, prima di svincolarsi nelle strette viuzzole di Parigi.
Faceva davvero freddo per essere la fine di marzo.
Ma lei intravedeva uno spiraglio di felicità, ed era contenta. Tutto merito del suo amico grassoccio.

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Capitolo 3
*** Capitolo secondo ***


Capitolo secondo

 
 
 
 
Odette aveva saputo la data dell’audizione: era stata fissata il 31 novembre dell’anno corrente. Mancava dunque poco più che un mese e la sua preparazione avrebbe dovuto essere perfetta. Ambiva troppo ad entrare alla Royal Ballet per vedere il suo sogno sfumato da una pirouette conclusa male o da una quinta posizione non abbastanza stretta.
Pensava e ripensava a tutto questo quando sentì una stretta familiare al polso destro.
“Chi non muore si rivede …”
“Ciao, Gustaf.” Disse lei, divincolandosi rapidamente dalla presa.
“Stai andando a scuola?”
“Si e te?”
“No, oggi salto. Giù al porto c’è bisogno di braccia robuste per lavorare!”
“Certo.” Disse freddamente lei, scrutando le gote rosee del ragazzo. Se non fosse stata una ballerina avrebbe tanto desiderato prendere sole in volto e raggiungere il suo colorito.
“Beh, io vado.” Disse lui indicando la via da intraprendere.
“Aurevoir!”
“Ciao!”
Sospirò non appena vide la sagoma del ragazzo sfumare, incorniciata dal paesaggio austero di Parigi. Gustaf aveva due anni in più di lei e si conoscevano attraverso scuola. Abitavano vicini e ogni mattina percorrevano a piedi lo stesso breve tratto di strada.
Che strano ragazzoaveva pensato la prima volta che lo aveva visto. Con quei guanti che lasciavano le dita scoperte e i mocassini sporchi non aveva l’aria di uno di quella zona. In effetti era ancora un mistero come potesse permettersi di abitare in un quartiere prestigioso come quello; ma Odette sospettava fosse per la zia che – straricca- aveva forse compiuto un atto di pietà per lui e la sua famiglia, facendoli convivere con lei.
Finalmente arrivò nella piccola scuola.
Avrebbe avuto lezione di letteratura antica, etichetta e poi la sua preferita: lezione di tip tap con Madame Doubré che suonava il piano. Era la più brava, ma non se ne vantava.
Entrò nell’edificio.
“E un deux trois quatre …” Madame prese a suonare il piano con vigore mentre le sue allieve eseguivano i passi con minuzia. Le scarpette ticchettavano simultaneamente.
“Bene Odette, Gemma: il giro era dall’altra parte!, Sarah le spalle devono stare giù!”
Odette mentre eseguiva un altro passo controllò l’orario. Mancavano poco meno di cinque minuti e sarebbero andate a casa. La fronte imperlata di sudore le fece rendersi conto che era l’unica che si stava impegnando davvero. Le dispiaceva, avrebbe tanto desiderato una rivale in modo da mettersi alla prova, anche se probabilmente avrebbe vinto. La danza – in qualsiasi forma – faceva parte di lei e perdere non esisteva nel suo vocabolario. Letteralmente.
“Lezione finita! Aurevoir!” Madame si alzò dalla postazione raggiungendo la sua borsetta satinata e aprendo la porta alle allieve, per poi chiuderla dietro di se e andare a casa. Odette andò a cambiarsi e quando stava per uscire, Madame Doubré la bloccò.
“Sei davvero brava, Odette, hai preso qualche lezione in particolare?” chiese, appoggiandosi alla parete a braccia conserte.
“Di tip-tap, intende?”
“Si.”
“No, ma frequento la Paris Petit Danser.”
“Danza classica, quindi.” Non era una domanda, ma un affermazione. Indecisa, Odette annuì semplicemente.
“Ora vado, a domani Madame.”
“A domani Odette.”
 
“Com’è andata a scuola?”
“Bene.” Odette si sedette sulla poltrona “Ma mi sono accorta che sono l’unica che si impegna davvero a tip tap, le altre prendono tutto con leggerezza.”
“O forse si sono rassegnate all’idea di non essere portate. Anche io, tesoro, alla tua età non ero brava in algebra e così mi arresi all’idea. Semplicemente nessuno è perfetto.”
“Sempre molto saggia a quanto sento, madre.”
“Formazione professionale.”
Odette fece per alzarsi, ma la madre la trattenne “Ha chiamato la Miss, stamattina. Mi ha detto di dirti che è disposta a darti lezioni private gratis, vuole che tu sia perfetta per l’audizione.”
“Perfetto! Quando e a che ore?”
“Questo pomeriggio alle 18:00, ti accompagno io.”
“D’accordo. Salgo a cambiarmi!”
Detto ciò, la ragazza salì le brevi scali in legno pavimentato e giunse in camera sua.
Prese il body nero con un ampia scollatura che lasciava scoperta tutta la schiena, le calze bianche e una volta indossati sotto la gonna e la camicetta, passò allo chignon. Era fiera di saperlo fare da sola, lo aveva imparato quando aveva appena cinque anni dal padre, che seppur non essendo un esperto di danza aveva la logica e la pazienza necessarie per capire come fare. S’incipriò un poco il viso e mise le scarpette da punta, i cerotti e le mezze punte nella sacca.
“Ben arrivata!”
“Bonjour, miss.” Odette varca la soglia della palestra, posizionandosi al centro della sbarra.
“Iniziamo con una frequenza di plié, grand plié e cambré.”
Ed è così che la maestra di danza di Odette fa partire la musica dei fiocchi di neve de ‘Lo Schiaccianoci’ , iniziando a correggere, precisa, ogni movimento della giovane. A fine esercizio Odette è già sudata fradicia. “Ed abbiamo appena iniziata cara, ti farò lavorare sodo, devi vincere l’audizione ed essere perfette non basta.”
Continuano così con un adagio che fa addirittura tremare le gambe ad Odette, ma oramai dopo anni di sacrifici ci si abitua.
“Trés bien, vedi Odette cosa sei capace di fare se ti ci metti d’impegno?” le sorride, continuando “Ora vieni, devo parlarti.”
Odette annuisce, prendendo l’asciugamano dalla sacca e mettendoselo sulle spalle, per poi seguire la Miss nel suo ‘studio’ che altro non era che una piccola stanzina con una scrivania e tante – troppe – foto di lei da giovane ad una prima di un qualche importante spettacolo; la sua carriera si interruppe troppo presto a causa di un brutto incidente e da allora  insegna alla scuola di danza con il sogno di farla diventare la migliore di Francia. Un po’ difficile, con la concorrenza dell’Operà di Paris.
“Allora … ti senti emozionata?”
“Si, spero di fare bene.”
“Niente dubbi cara.”
“Farò bene.”
“Volevo parlarti a proposito di una novità, ho saputo come si svolgerà l’audizione.”
“Come?”
“Vi faranno fare mezz’ora di sbarra e mezz’ora di centro, poi ognuna dovrà esibirsi singolarmente con … un assolo.”
“Che cosa?! Ma io non ne sapevo niente, non ho un assolo da far vedere!”
“E’ per questo che sei qui oggi, cara.”
“Ha già qualche idea, Miss?”
“A dire il vero si, stavo pensando a Esmeralda o alla variazione di Kitri … o preferiresti Paquita?”
“Esmeralda sarebbe fantastica.”
“Bene! Avrei scelto anche io l’Esmeralda, perfetto. Mettiamoci al lavoro, ma sappi una cosa. Dovrai lavorare sodo come non hai mai fatto in tutti questi anni per prepararti a quell’audizione, perché ne andrà del tuo futuro, della tua vita. Suderai ventiquattrore su ventiquattro, avrai i muscoli che ti bruceranno e i piedi sanguinanti ma mai e poi mai dovrai arrenderti, promesso? Ho visto tante di quelle ragazze venire qui, prepararsi per un’audizione e al minimo sforzo rinunciare. Tu non sei come loro, ti conosco, ma non sarai più te stessa una volta che inizierai questo percorso. Dovrai concentrarti tantissimo, e sarà solo l’inizio di un qualcosa di ancora più grande, se verrai ammessa. Giuramelo.”
La Miss aveva le vene del collo gonfie, aveva pronunciato tutto quel discorso senza mai respirare. Odette si sentiva il cuore scoppiare, una paura folle la stava divorando, ma lei non si perse d’animo “Lo giuro, Miss.”
Detto ciò, l’insegnante e l’allieva ritornarono in palestra e si rimisero a montare la coreografia “Procurati un tamburello, per Esmeralda.” Aveva detto la Miss.
Finalmente la lezione finì.
Andò nello stanzino adiacente alla palestra, salutando la Miss, per cambiarsi.
Si tolse le scarpette da punta e si rinvigorì le punte delle dita con un breve massaggio, poi si tolse lo chignon lasciando i lunghi capelli bruni sciolti. Sentì qualche singhiozzo. Proveniva dalle doccie. Cauta, percorse il corridoio della scuola e vi entrò, per dare conclusione alla sua curiosità convulsiva. C’era una ragazzina all’incirca della sua età seduta per terra, il viso in fiamme e lo chignon sfatto. Non era del suo corso, non l’aveva neanche mai vista da quelle parti. “Che c’è?” chiese Odette. Nessuna risposta. Optò per le presentazioni. “Ciao, sono Odette. Se hai bisogno di qualche cerotto per i piedi posso andartelo a prendere …”
Dopo qualche secondo, la ragazzina alzò la testa dalle sue gambe, mostrando due occhioni di un innaturale color topazio. “Non ne ho bisogno, grazie.” Disse, per poi alzarsi e asciugarsi le guancie incavate.
“Ehm, posso fare qualcosa per te allora?” Odette le si avvicinò “Perché piangi?”
“Non sono affari tuoi. Non abbiamo proprio niente di cui parlare, non abbiamo nulla in comune. Scommetto che i tuoi genitori ti comprerebbero persino il mondo se solo glielo chiedessi, brutta viziata che non sei altro.” Concluse la frase girandosi e lasciando Odette in balia delle domande. Non la conosceva, come si è permessa il lusso di offenderla così? Avrebbe pensato a tutto a tempo debito. Ora c’era ben’altro e di ben’altra importanza ad attenderla. Come sua madre fuori dalla scuola, solo ora si accorse che il rumore assordante del clacson proveniva dalla sua auto. Uscì velocemente dalla scuola.
“Finalmente!” disse Colette. Odette si scusò farneticando. “Fa niente, andiamo in pasticceria che ne dici tesoro? Sarai sfinita, lo vuoi un pasticcino?” “Certo!”
 
*
 
Audrey scrutò pensierosa la pasticceria. Era il suo primo giorno di lavoro da loro. Il negozio era situato di fronte ad un immensa piazza che dava luce ai vetri e all’insegna, grazie al sole che vi si affacciava. Si specchiò. La crocchia che si era fatta velocemente, quella mattina, sembrava il buffo risultato di una donna alle prime armi che non era capace di acconciarsi. Il rossetto rosso non era sbavato e gli zigomi alti e prorompenti le risaltavano gli occhi verdi, il tutto incorniciato da quei capelli raccolti malamente color della notte. Fece un respiro ed entrò. Era l’inizio di una nuova vita, possibilmente più fortunata di quella precedente, al circo. André l’aveva lasciata la sera scorsa, per telefono. “Non ti riconosco più, è meglio farla finita.” Aveva detto, mentre Audrey cercava di trattenere le lacrime. “Preferisco vivere anche tutta la mia vita sola, piuttosto che con un uomo che mi tratta come un pezzo d’arredamento e che pretende che non mi lamenti mai. Sono umana diamine!” aveva concluso lei, riattaccando tremante la cornetta. Il negozio era un po’ più cupo rispetto a quando vi era stata l’ultima volta. Probabilmente era per via del fatto che fossero le
“Ciao cara! Come stai? Un po’ meglio rispetto a due giorni fa?”
“Si, ti ringrazio Carl, per il posto e tutto quanto.”
“Figurati, su vieni a metterti la divisa, abbiamo un bel po’ di biscotti da infornare!”
“Certo, con piacere.”
Mentre Audrey veniva addestrata a infornare pasticcini e a vendere torte, spuntò dalla porta una signora di mezza età con un elegante pelliccia bianca e una borsetta beige. Decise che sarebbe stata lei, la sua prima cliente. “Come posso aiutarla?” disse, posizionandosi dietro il bancone. Solo ora si accorse che una giovane ragazzina l’accompagnava. Portava i capelli sciolti ed il viso era dipinto da minuscole lentiggini. Un tuffo al cuore.
“Cosa vuoi Odette?” chiese allora la donna alla figlia. “Quello.” Rispose lei, indicando un minuscolo pasticcino al limone. Audrey lo prese pensosa, porgendoglielo “Ecco a voi.” Sorrise, facendo finta di niente. Possibile che Colette non l’avesse riconosciuta? Diamine, Odette era diventata grande … Le due ringraziarono, sedendosi in un tavolino adiacente mentre Audrey era ancora lì, imbambolata, a guardarle.
“Qualcosa non va’?” chiese il suo amico Bruno, raggiungendola dal forno.
Nessuna risposta.
Erano passati sedici lunghi anni. Odette, sua figlia, sedeva ad un tavolo con la sua madre adottiva. E probabilmente non lo sapeva. Audrey desiderò solamente che almeno avesse deciso di ballare. Era scritto nella via lattea, le stelle si sono messe in fila in modo da far capire alla ragazza che è quello, quello il suo destino!
“C’E’ QUALCOSA CHE NON VA’?” chiese ancora Bruno, alzando il tono di voce.
Audrey si accorse che Colette sobbalzò dalla sedia, poco prima di salutare con un gesto veloce ed andarsene.
“N-no, assolutamente n-niente …”
“A chi vuoi darla a bere? A me no di certo tesoro!”
Audrey sbuffò. Di sicuro si sarebbe voluto far raccontare tutta la storia.
Sbirciò un ultima volta dai vetri dell’edificio, scrutando in un attimo fulmineo i lunghi capelli scuri di Odette svanire dentro l’auto.



Vi chiedo umilmente scusa per tutto il tempo che avete dovuto aspettare per questo secondo capitolo! 
Ho avuto davvero molti impegni e ci ho messo parecchio tempo a scriverlo. Spero almeno sia all'altezza delle aspettative e che vi soddisfi. 
Che dire? Abbiamo appena 'assistito' al primo incontro tra madre naturale e figlia, che piega prenderà la vicenda? 
Non sapete come mi abbia emozionato scriverlo *^* Mi metto nei panni di Audrey, ora sua figlia aveva la sua età quando l'ha partorita. 
Bhe, non so più che aggiungere.
Spero recensiate il molti  mi raccomando :*
Ciao ciao,
xwannabewriter.

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Capitolo 4
*** Capitolo terzo ***


Capitolo terzo

 
 
Era da quando si erano sedute a quel tavolino che la donna che le aveva servite continuava a fissarle. “Madre, perché la banconiera continua a fissarci?” chiese cauta, addentando il pasticcino. “Ci sta fissando?” chiese Colette, prima di voltarsi e incrociare lo sguardo di Audrey. Sbiancò. “Tutto a posto?” fece Odette, Colette per tutta risposta sobbalzò dalla sedia con lo sguardo tetro, prima di pronunciare poche sillabe “Muoviti. Ce ne andiamo.”
In macchina si sarebbe sentito cadere uno spillo. Era strano come Colette si fosse comportata, la banconiera aveva un aspetto tranquillo; non avrebbe fatto male ad una mosca, perché preoccuparsi tanto?
“Che è successo?” chiese Odette
“Audrey …” la donna ancora immersa nei suoi pensieri stava farneticando parole sconnesse e senza senso.
“Audrey chi, madre?”
“N … nessuno tesoro. Andiamo a casa, hai avuto una giornata pesante.”
“Oui maman.” Disse Odette, visibilmente seccata dalla riservatezza di Colette.
 
“Odette! Concentrati, quel manege di piqué era orribile. Ti vedo assente tesoro, così non va.” Da tutta la giornata la Miss continuava a tartassare Odette ‘e questo non va, quell’altro è fatto male …’ . La giovane avrebbe volentieri smesso di essere la brava ragazzina di sempre scaraventandole la scarpetta in gesso in mezzo alla fronte.
“Scusi. E’ meglio che me ne vada.”
“Per oggi basta così, va bene, ma sappi che se ti vedo un’altra volta in queste condizioni ti rispedisco a casa. Non venire qui se non ne hai voglia, ragazzina.” D’un tratto Odette sentì accrescere dentro il bisogno di uscire da quella sala e non tornarci più, respirò a fondo mantenendo un lieve sorriso ai lembi delle labbra e solo dopo essersi lasciata il tonfo sordo della porta alle spalle, scoppiò a piangere. Si accasciò al pavimento dello spogliatoio asciugandosi le lacrime mentre si toglieva goffamente le scarpette.
“Qualcosa non va?” di nuovo quella voce. Quella voce cupa, misteriosa e giovane.
“No.” disse, alzando lo sguardo e accorgendosi che i suoi sospetti erano fondati. Di nuovo la ragazza che piangeva nelle docce, qualche giorno prima.
“Mi dispiace per quello che è capitato, ero sotto pressione …” si sedette accanto a lei.
“E’ buffo.” Disse Odette
“Che cosa?”
“Sta succedendo quello che è successo qualche giorno fa. Prima ero io che consolavo te ed ora è il contrario. Ahah.” Per un piccolo frammento della sua vita, Odette si lasciò andare con una persona quasi sconosciuta ridendo a crepapelle fra le lacrime.
“Hai ragione.” Anche la misteriosa ragazza spiaccicò un mezzo sorriso.
“Allora, vuoi dirmi che c’è che non va?” chiese ancora. Odette dopo qualche istante restio rispose “La lezione oggi non è andata proprio nel verso giusto, sai mi sto preparando per un provino importante, se vinco parteciperò giornalmente alla Royal Ballet … e oggi è andata male, assolutamente male. Non riuscivo a concentrarmi, e quando non pensi solo alle scarpette e a stendere le gambe non riuscirai nemmeno a fare un mezzo fouettè.”
“Capisco …”
“E tu invece?”
“Cosa?”
“Perché l’altro giorno eri in lacrime, con uno chignon sfatto e mi hai risposto in malo modo?”
“E’ davvero una lunga storia.”
“Mh, beh si da il caso che ho assolutamente tutto il tempo del mondo.” Sorrise gentilmente alla sconosciuta, già perché effettivamente le presentazioni non erano ancora avvenute … “Che sbadata! Sono Odette, e tu?”
“Mi chiamo Violet.”
“Allora? Raccontami tutto.” Odette ansiosa di scoprire i segreti di Violet si mise un po’ più rannicchiata a terra, con le orecchie ben stese.
“Beh … ti sarai chiesta chi fossi, e perché mi trovassi qui.” Una lunga pausa, poi “In realtà, vengo qui quasi tutti i giorni ultimamente, mi siedo su una sedia – possibilmente la più vicina alla palestra – e col fiato sospeso ascolto le correzioni della vostra insegnante, la musica e l’odore” “L’odore delle sbarre?” la interruppe Odette “Già, è … è qualcosa di magnifico.” “Come mai non provi una lezione?” “Io, ehm, io … non, non ho abbastanza soldi per potermi permettere un corso qui. Ecco perché mi hai vista così, l’altro giorno. Di solito appena la musica si abbassa io capisco che la lezione è finita e sguscio via furtiva, ma mi sentivo pesante e stanca e sono sprofondata nelle lacrime. E poi arrivi tu, vestita di tutto punto con delle belle scarpette linde a dirmi se c’è qualcosa che non va. Credo sia piuttosto ovvio cosa c’è che non va. Non è giusto, la danza dovrebbe essere un’opportunità per tutti, anche per le persone più povere. E invece no, questi insegnanti che dalla vita hanno avuto premi e riconoscimento a cui i soldi di certo non mancano chiedono una quota che io non ho mai posseduto in sedici anni di vita. Dovrebbe essere una legge, ma non ci si pensa mai ai sogni delle poverelle. Ho visto una ragazza venire in questa scuola, le gambe ossute e storte e decisamente troppo lunghe. Ti sembra giusto che lei la possibilità di danzare cell’abbia e io no? Non è giusto affatto, non lo è. No.” Di colpo a Odette venne in mente Alexis, di certo era lei a cui Violet si riferiva. La ragazza aveva ragione, non era giusto ma lei cosa poteva fare?
“Vorrei tanto aiutarti, davvero …”
“Il solito finto buonismo di voi stra-ricchi. Ti faccio pena, Odette dei miei stivali? Sai che c’è? Sarai pure piena di soldi, ma non hai le esperienze che la vita ha offerto a me! Scusa se mi altero, ma sono suscettibile su questo argomento.”
“Non fa niente, capis” trattenne la fine della parola capisco. Non sarebbe stato vero. Lei non capiva affatto, Violet aveva ragione. Cosa ne sapeva lei davvero della vita? Aveva sempre vissuto fra scuola, casa e danza, vacanze e festicciole.
Decise di cambiare argomento.
“Cosa hai visto tu, dalla vita allora?”
“Tantissime cose, Odette. Sono nata a Vancouver e vi sono rimasta per cinque anni con mio padre, poi mi sono trasferita a Roma e ho dormito vicino al Colosseo, nascosta, per mesi! Non avevamo soldi per permetterci una casa, e vagabondavamo di notte. Il giorno invece era fantastico. Mi svegliavo con il canto delle rondini e le fibre del sole che pungevano sulle mie palpebre, giravo per le bancarelle rubacchiando perline colorate e scarpe in tela per poi rivenderle e con quei soldi comprarmi delle pizzette. Le hai mai assaggiate? In Italia sono assolutamente fantastiche! Comunque, sono rimasta a Roma per un bel po’ ma quando anche mio padre è morto sono venuta qui, a Parigi, la noiosa ed eterna città dell’amore e delle smancerie sotto tutela di mia zia. E’ povera, viviamo in pochi metri quadrati, ma c’arrangiamo. Vado dove mi porta il sole, in poco tempo ho imparato ogni viuzzola della città e scommetto che ne so più io che te che sei parigina, di questa città.”
“Probabilmente è proprio così, Violet.” Rispose Odette amaramente.
“Beh, io ora devo andare. Ci vediamo in giro, d’accordo?”
“Oui, aurevoir!”
 
*
 
Era ormai pomeriggio inoltrato e Colette doveva sbrigarsi, altrimenti non avrebbe fatto in tempo ad andare a prendere la figlia da danza. Arrivò davanti alla pasticceria, prese un gran respiro ed entrò, scaricando tutta la sua furia su Audrey che, seduta su una sedia, controllava se arrivassero clienti. Entrambe sbiancarono, il tonfo della porta dietro Colette fece sobbalzare Audrey.
“E così sei ancora a Parigi, Audrey. Che c’è, speri di trovare l’amore sotto la Tourre Eiffel?”
“Che cosa vuoi da me, Colette?”
“Piuttosto cosa vuoi tu, razza di sgualdrina.”
“Non permetterti! E, comunque, non ho fatto proprio nulla di male, mon dieu!”
Colette strette il polso di Audrey, gli occhi fuori dalle orbite.
“Se Odette viene a sapere qualcosa giuro che ti ucciderò! Hai capito, sgualdrina? Odette adesso è mia figlia, non è mai stata ne mai sarà figlia tua. Lei non sa nemmeno chi sei.”
“Io lo so, Colette, è tua figlia … lo so, lo so.” Balbettò la malcapitata, la voce flebile.
“E allora perché sei qui? E’ troppo vicino a dove abitiamo noi! Veniamo sempre, da anni, in questa pasticceria e ora chi mi ci ritrovo? La cara vecchia Audrey, che mi fissa e guarda Odette come se se ne volesse riappropriare. Abbiamo fatto un patto, non ricordi? Hai firmato, tua madre ha firmato! Non potrai mai parlare ad Odette, mai! Dovessi ucciderti per questo!”
Audrey sentì qualcosa spezzarsi, dentro di se. Come se qualcuno le ricordasse una pesante verità da cui da anni cercava di liberarsi. Ma non è cosi facile, tutte le mattine, tutte le notti, quel pensiero fisso ti attanaglia e non puoi non chiederti a cosa stia pensando ora, o a cosa stia facendo adesso tua figlia. Già, perché un poco lo era anche se aveva avuto il piacere di tenerla con sé solo durante la gravidanza. Audrey decise di lottare, perché non doveva permettere a Colette di trattarla in quel modo.
“Ma chi pensi di essere? Sei solo una viscida egoista, una di quelle che vuole tutto per se e non pensa minimamente ai sentimenti altrui! Sei una stronza, una stronza piena di soldi che ha solo paura. Di me.”
Una gran risata fece eco nel piccolo negozio, Colette aveva le lacrime agli occhi e si teneva stretta la pancia. “Ahah, io dovrei essere terrorizzata da te? Giusto, giusto … assolutamente!” si avvicinò ad Audrey, in piedi di fronte a lei “Ti dirò io cosa sei tu, invece cara Audrey. Sei piena di rimorsi perché hai lasciato a me l’unica cosa bella della tua vita, se così il caos che ti sei creata a torno si può definire. Sei una tabula rasa, Audrey. Non hai un briciolo di riguardo verso te stessa, io al tuo posto sarei andata fino all’altro capo del mondo per cercare quanto meno di dimenticare!”
“Per dimenticare cosa, Colette? I rimorsi, il dolore? Mi dispiace, ma questa sei tu, non io. Avresti forse fatto altro se fossi stata al mio posto? Avevo sedici anni, non ero in grado di mantenere Odette e di darle quello che si aspettava! Non ho rimorsi, mi dispiace solo che sia capitata a te.”
Colette s’irrigidì, diede uno schiaffo talmente potente ad Audrey da farla gridare.
“Chiamo la polizia, ti metteranno in galera per questo!”
“Certo, e che prove hai che questo non te lo sia dato da sola? I poliziotti crederebbero mille volte più a me che a te.” Disse squadrandola.
“Adesso ti dico cosa farai, Audrey.”
“Sentiamo questa baggianata, avanti.” Rispose lei, massaggiandosi la guancia destra.
“Ti comprerò un biglietto del treno e ti spedirò in Australia, pregherò qualche casa per malati mentali di tenerti con loro mostrando un certificato che dimostri la tua instabilità psichica del tutto falso e ti consumerai lì, tra terapie e pazzi. Non guardarmi così, lo faccio per te. Ti daranno farmaci per dimenticare, so che è quello che vorresti fare.”
Audrey non resistette all’impulso e diede un forte calcio alla pancia di Colette. Il circo se non altro le aveva insegnato a difendersi. Ma cosa le sarebbe costato un gesto così deliberatamente spontaneo verso Colette, la ricca e potente Colette?




Vi ho fatto attendere un bel po per questo capitolo, chiedo scusa ma ho preferito andare con calma e concentrarmi sul creare un 'piano di lavoro'. 
Spero che recensiate in moltissimi, e vi ringrazio perché la storia sta avendo un discreto successo, più persone la seguono e la mettono fra le preferite e ogni volta la mia faccia è tipo --> o.o
:P Beh, che dire? Ci sentiamo alla prossima settimana per il continuo, il provino di Odette è sempre più vicino *^*
mi raccomando recensite, mi sono così emozionata tanto a scrivere questo capitolo! Fin'ora è il mio preferito u.u 
GRAZIE ANCORA, A PRESTO.
xwannabewriter.

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Capitolo 5
*** Capitolo quarto ***


Capitolo quarto

 
 
Era il gran giorno, quello per cui si era preparata tutta la vita. Non appena si svegliò di mattina presto quel pensiero le attanagliò la mente. E se non fosse stata abbastanza brava? Avrebbe perso l’opportunità della sua vita, quella di fare la ballerina. Era difficile da spiegare, per Odette. Era come un qualcosa di strano che scorreva assieme al suo sangue nelle vene, la musica, i passi, la dedizione, tutti insieme per un dna da vera ballerina.
Con passo felpato Odette raggiunse la porta della cucina, stava per aprirla quando udì una conversazione telefonica tra Colette e chissà chi.
“Dobbiamo assolutamente fare qualcosa, prepara delle pratiche, inventa una denuncia … Dobbiamo spedire lontano quella puttanella!” Odette sentì solo un sibilo al di là della cornetta, si schiacciò alla porta attenta a non far alcun tipo di rumore e aspettò in nuove parole “Ma come impossibile? Mi ha dato un calcio, una denuncia non è impossibile! Fa qualcosa e subito, chiaro? No … no! Non esiste ‘ci proverò’, tu farai qualcosa e basta! Anzi, dammi notizie entro questo pomeriggio. Ora devo andare, si, è oggi il provino. Grazie crepi il lupo, fa qualcosa mi raccomando, aurevoir.” Parole disconnesse le annebbiarono la mente, calcio? Denuncia? Spalancò la porta.
“Che succede, maman?” disse con tono riprovevole
“Nulla tesoro, perché mai dovrebbe succedere qualcosa.” Rispose Clarisse, mettendo giù il telefono.“Ho sentito tutto.” Un sorrisino sbilenco padroneggiò il volto della donna. “E’ una lunga storia, e tu Odette non dovresti origliare.”
“E’ capitato, non l’ho fatto apposta.” Disse sedendosi a tavola per la colazione.
“Certo, fingo di crederti..”
“Oggi è il gran giorno! Non posso crederci, davvero.” Odette saltellò all’uscio della porta, entrando con un sorriso a trentadue denti, quei piccoli denti che sembravano perle.
“Mi sembra ieri che eri una bimba con un tutù e tanti sogni, e oggi hai questa grande opportunità. Non sprecarla.”
“Non lo farò. A che ore devo essere lì?”
“Le audizioni iniziano alle 14:30, direi che mezz’ora prima potrebbe bastare.” Clarisse si sedette al tavolo da pranzo facendo cenno a Odette di avvicinarsi. Le prese le mani e la guardò negli occhi. “Hai studiato tanto in questi anni, quindi non farti prendere dall’ansia: andrà tutto bene.”
Odette sperava con tutta se stessa che fosse così. Aveva consumato dozzine di scarpette da punta, lottato contro il caldo infernale della palestra in piena estate e sopportato il dolore, le umiliazioni e il ‘non ci riesci, lascia stare’ che a volte le veniva detto. Non si era arresa semplicemente. Me lo merito, posso farcela.
Ripensò un momento all’ultima prova di Esmeralda.
 
Entrò in sala in ritardo di quattro minuti, la miss che la guardava storto. “Così non va, Odette.”
Nessuna risposta adatta. Nulla di efficace che le venisse in mente, così ancora una volta se ne stette zitta. Non era da Odette arrivare in ritardo.
Il rintocco dell’orologio le parve infinito e in quel momento in cui tutto le sembrò ovattato, contò più di trenta secondi. Secondi carichi di stress, secondi carichi e basta.
“Cominciamo le prove.” Disse la miss, andando a istruire il pianista sul brano da fare. Mentre bisbigliavano, Odette guardò con occhi sbarrati l’insegnante che naturalmente se ne accorse. “Qualcosa non va?” “I..io pensavo di essere arrivata i..in ritardo..”
“Lo hai fatto cara, e credo che non lo farai più. A volte non sgridare e dare il via a interminabili monologhi moralisti è la miglior cosa, la coscienza l’hai esaminata comunque ne sono convinta.”
“Si è.. è vero.” Balbettò ancora lei senza saper più cosa dire; disorientata ma strabordante d’energia si posizionò al centro del palcoscenico per iniziare a ballare. Guardò il pianista accennandogli di partire e iniziò a danzare, puntigliata dalle correzioni della Miss.
Finita l’ora di prove, tornata a casa, Odette riflesse molto sull’accaduto. A volte per far capire alle persone i proprio sbagli, stare zitti è la cosa migliore.
Sospirò.
Quel che è fatto è fatto, quel pomeriggio ci sarebbero state le audizioni e la ragazza aveva davvero tanta paura, paura di deludere e paura di non riuscire a fare quello che gli altri si aspettavano da lei. E’ come una scommessa, anzi, per certi aspetti lo è. La Miss ha sacrificato gran parte del suo tempo preparandola e lei in cambio deve dare risultati. La Royal è troppo importante.
 
“Tesoro, ti sei fatta lo chignon?” Odette fu colta dall’ansia. Prese una molletta dai denti che sapevano di ferro e urlò “Cinque minuti maman!” Il viaggio da Parigi a Londra sarebbe durato circa quattro ore, e se fosse arrivata in ritardo? “Sbrigati Odette!”
Disse Colette, sistemandosi il piumoso cappello.
Per ingannare l’attesa, decise di chiamare nuovamente l’avvocato. No, non si sarebbe fatta mettere i piedi in testa da quella Audrey, sgualdrina combina guai che non era altro.
“Pronto?” la voce dall’altro capo della cornetta era impastata dal sonno
“Philipp, stanco caro? Sono le undici di mattina!”
“Non sono affatto stanco, Madame.”
“Notizie da darmi?”
“Si.. ho scoperto che lavora in una pasticceria da poco e che non ha precedenti. Era fidanzata con un certo André.”
“Potremmo portarlo al tribunale e fargli testimoniare, paghiamolo per dire che è aggressiva e pericolosa! La faremo allontanare per sempre da Parigi, mio caro.”
“Non è cosi semplice, Colette.”
“Tu fa il possibile!” la donna sentì i flebili passi di Odette percorrere le scale, “Ora devo andare Philipp. Fa quel che ti ho detto. Aurevoir.”
“Eccomi madre!” Odette si accorse che Colette aveva ancora il telefono in mano “Chi avete chiamato?”
“Io? Nessuno cara, andiamo è tardi!”
“Non so che sta succedendo ma lo scoprirò, maman.” Disse lei infilandosi una scarpa
“Hai.. hai preso le scarpette da punta?”
“Si.”
“Da mezza?”
“Si.”
“E hai preso il Cd della coda di Esmeralda?”
“No! Me lo stavo per dimenticare!”
Odette corse in cucina e afferrò l’involucro in plastica del Cd. Sorrise. Spero mi porterai fortuna, Esmeralda.
 
Il finestrino del treno era magico per Odette. Tutto le scorreva davanti agli occhi con una tale velocità. Sembrava solo uno strano ingarbugliamento di colori e figure.
Si sistemò la gonna, per l’ennesima volta. I cenni del nervosismo si notarono.
“Tesoro, cosa c’è?” la madre, seduta di fronte a lei, la guardò comprensiva.
“Nulla di cui preoccuparsi.”
“Sei nervosa?”
“Un po’…”
“Andrà tutto bene.”
Odette continuò a guardare fuori dal finestrino. I ricordi le tornarono alla mente.
Era sempre stata molto tranquilla e sedentaria, la sua vita ruotava solo intorno alla danza, alla scuola e a cos’altro? Sospirò. I suoi sacrifici le sarebbero stati ripagati.
Odette, di tanto in tanto, da quella schermata di vetro si specchiava.
I suoi occhi erano mutevoli, i capelli tirati fin all’inverosimile.
Picchiettò più volte con il piede sul pavimento, tentando di copiare il ritmo di Esmeralda. Ripassò mentalmente la coreografia, l’unica cosa di cui veramente si preoccupava erano le tre pirouette in croisée, una cosa all’apparenza alquanto stupida per una come lei, in grado di fare i famosi 32 fouettè, ma in momenti come quello ogni cosa era di vitale importanza. Se fosse caduta sarebbe stata la fine, escludendo l’ipotesi di improvvisare qualche mossa da per terra.
Le figure fuori dal finestrino si fecero più intense, forse erano quasi arrivate.
Odette sentì il suo stomaco contorcersi, poco prima di partire la Miss l’aveva chiamata augurandole buona fortuna e lei doveva assolutamente mantenere fede alla promessa fattale. Mettici il cuore Odette, se metti quello anche la tecnica si vedrà. Sei brava e hai talento, puoi farcela!
Era così facile incoraggiarsi da sole, ma Odette era conscia che una volta arrivata all’uscio dei cancelli della Royal nessun incoraggiamento sarebbe bastato per attribuire a quella strana sensazione che aveva dentro di sé la parola ‘normalità’ , perché tutta quella mischia di sentimenti, rabbia, felicità, scoraggiamento, stanchezza, esaltazione non lo erano affatto.
Odette da sotto il suo cappello color cremisi osservò la madre.
Era stranamente pensosa, avvertiva tensione nel suo sguardo. La ragazza non era affatto stupida, era dal preciso istante in cui erano entrate in quella maledetta pasticceria che si comportava stranamente. Qualcosa non andava, ma quel che più preoccupava Odette era perché. Perché proprio quel giorno, il più importante della sua vita, Colette doveva comportarsi così. Insomma... un po’ di incoraggiamento non guasterebbe, no? No. Colette, posata sullo schienale, guardava la sua gonna con le mani unite senza batter ciglio. Finito quel provino avrebbe indagato più accuratamente sulla vicenda.
Si distrasse per un momento dall’imminente audizione, guardando una riccia bambina poco più avanti di lei. Quel che si direbbe essere suo nonno, imbronciato con un tailleur e un cappello a bombetta, si era appisolato e la piccola cercava in vano di salire sulle sue ginocchia. Aveva gli occhi vispi e le guancette paffute rosse.
Chissà come sarebbe stata la sua vita.
Odette gliene augurava una rosea e spettacolare, senza intoppi di alcun genere. Senza un motivo preciso, si ritrovò a pensarla sposata e con qualche figlio, o a fare la maestra delle elementari. Una vita all’insegna della normalità, quella normalità che Odette per un motivo o per un altro non aveva mai avuto ma che a dirla tutta non desidererebbe neanche. Essere normali è noioso, pensò, è essere felici quello che conta. E quella bambina a vivere una vita tranquilla ce la vedo a pieno.
Un fischio squillante la distrasse dal tumulto dei suoi pensieri. Il capotreno annunciava che il viaggio era giunto a termine. Sebbene fosse durato parecchio, a Odette non sarebbe dispiaciuto rimanere lì, in attesa del destino, per un altro po’. 




Ok, don't kill me (?)
So che avete aspettato davvero TANTISSIMO per questo capitolo, ma ho avuto quel che si chiama 'blocco dello scrittore', mi ero anche un po' spaventata a dirla tutta. Non mi era mai e dico MAI capitato di non avere spunto per continuare una storia, o non avere voglia di correggerla e immergermici dentro. Strano, ma in un certo senso normale.
C'è sempre una prima volta, e ora che so cosa fare per non avere più questo blocco mi impegnerò al massimo per scrivere bene.
Dunque, secondo la scaletta dei capitoli questa storia ne avrà all'incirca 25 o anche meno, so anche come andrà a finire adesso!
Sono tornata in grande stile, ponzi ponzi po po po. (?)
Al prossimo capitolo che ricordo sarà postato domenica prossima!
Mi aspetto tante recensioni!
Un bacio,
xwannabewriter.

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Capitolo 6
*** Capitolo quinto ***


Capitolo quinto

 
 
Londra, per certi aspetti, era molto simile a Parigi.
La stessa aria impregnata di respiri, lo stesso grigiore mattutino e apparentemente le persone vestivano molto similmente.
Certo, se una città si potesse classificare in base a questo soltanto sarebbe più facile.
Appena scese dal veicolo, Odette e la madre incaricarono il capotreno di prendere le loro valigie. “Ecco fatto.”
“Grazie. Aurevoir!” disse Colette, abbozzando un falso sorriso
“Au..aurvroi!” rispose l’uomo, cercando di imitare la pronuncia della donna. Che gesto malefico, l’uomo non aveva chiaramente mai visitato la Francia, né tanto meno parlato francese. Odette lo fece notare alla madre.
“Oh, suvvia cara! Che divertimento ci sarà di qui a poche ore? Avrò le palpitazioni dall’ansia per il tuo provino, in qualche modo devo sfogare il nervosismo..”
Uno strano sorriso si dipinse sul viso della giovane, mentre per l’ennesima volta si acconciava meglio lo chignon.
“Tesoro, se continui a strapazzartelo non reggerà a lungo.”
“Lo so madre, lo stavo solo sistemando.” Rispose Odette in uno sbuffo contrariato.
La giovane si guardò intorno.
I palazzi erano grigi e alti, le persone indaffarate. Una folata di vento fece cadere la busta della spesa ad una signora, un ragazzo l’aiutò a raccoglierla.
Qui a Londra la galanteria è cosa importante, a quanto vedopensò tra se e se Odette.
Il ticchettio delle scarpe a punta della madre le diedero fastidio.
E ad un tratto si fece sempre più presente in lei il pensiero di non farcela. Proprio quando fu sul punto di lasciare tutto e tornare in treno, al tepore dello schienale in feltro della poltrona, ecco che si erge davanti a lei un maestoso edificio costernato da finestre e un ampio giardino che rende il tutto molto più grande e dispersivo.
“E’ questa?”
“Si Odette.”
La salivazione azzerata, uno strano peso nello stomaco.
Poco più avanti, la sedicenne incontrò lo sguardo di Clarisse, in mezzo ad una folla di ragazze e ragazzi con i rispettivi genitori. C’era chi aveva portato anche il cane.
La biondina aveva uno chignon alto e tondo, gli zigomi incipriati e il collo lungo ben dritto. Odette la imitò, infondo doveva fare buona impressione sin da subito.
Assieme alla madre, si avvicinarono a Clarisse che con sguardo vuoto spostava la vista dall’edificio al pavimento, in continuazione. Aveva la mano destra posata sul cancello, che di li a poco si sarebbe aperto per loro.
“Salut..” disse Odette, deglutendo a fatica per il nervosismo
“Ah, sei qui. Ciao.” Clarisse squadrò la giovane, per poi tornarsene con molta non-chalance alla routine edificio-pavimento-edificio-pavimento. Odette sbuffò.
Ma in fondo che si poteva aspettare?
Lì tutte sarebbero state come Clarisse, o almeno così le avevano sempre detto.
E di Clarisse non c’era da fidarsi, falsa e aspra com’era. Non le aveva ancora perdonato di essere arrivata prima al concorso interno della loro scuola. Poco importava.
“Tesoro, calmati.” Colette posò la mano sulla fronte della figlia, sgocciolante di sudore freddo.
“Ci sto provando maman. Quando aprono questi cosi?!” il tono della voce un po’ troppo alzato e intimidatorio fece sussultare Clarisse.
“Odette, fa silenzio per la miseria! Ci stanno osservando. A breve un controllore verrà qui e ci chiederà i nomi, poi ci farà entrare e preparare. Ora sta’ zitta.”
Odette si guardò le scarpe per un lungo secondo, se c’era una cosa che a Clarisse non mancava era la faccia tosta. L’aveva trattata male, ma almeno aveva ottenuto qualche informazione da lei.
Si guardò intorno, e poi dal nulla un baffuto signore dai capelli corvini in tailleur venne ai cancelli, aprendoli e facendo cenno a tutti di stare sulla soglia.
Odette scalpitava, sentiva i sassolini del giardino pruderle i piedi.
“I ragazzi e le ragazze possono venire avanti, le madri saranno accompagnate tra poco alla sala d’aspetto.”
Colette strinse forte la mano della figlia.
“Buona fortuna Odette, mi raccomando mettici impegno e cuore!”
“Oui maman.” Detto ciò le schioccò un bacio sulla guancia, voltandosi e superando i cancelli.
Lo sguardo della giovane si posò sul signore, che con passo spedito stava accompagnandoli all’interno. Salirono i gradini in marmo e quando erano prossimi a vedere cosa si nascondeva dietro le porte vetrate della Royal, il baffuto li bloccò.
“Non preoccupatevi, è solo una prassi. Mettetevi in fila e ditemi i vostri nomi.”
Tirò così fuori un taccuino rilegato in pelle, lo aprì in una pagina e aspettò pazientemente, facendo cenno alla prima della fila di dire il suo nome.
“Nina.. Felicia.. Rudolf.. Aretha..” arrivò il turno di Clarisse che con voce soave disse il suo nome scandendo le due ‘s’. Odette fu disgustata, era terribilmente egocentrica. Non la sopportava. Si rese conto che era il suo turno e velocemente disse il suo nome guardando negli occhi l’uomo baffuto a cui non sapeva dare un’età.
Strano, sapeva sempre tutto lei.
Una volta che furono fatte le conoscenze, il baffuto scortò al cancello un ragazzo abusivo, se cosi lo si poteva appellare. Odette si era accorta subito che non era uno in grado di sostenere il provino, indossava un paio di mocassini stinti dal tempo e una giacca di almeno tre taglie più grandi. Inoltre era venuto da solo, strano che i suoi genitori non avessero voluto accompagnarlo in una data così importante, no?
Sospirò. Certa gente che voleva solo prendersi beffa degli altri andava punita.
Quando l’uomo tornò, si scusò gentilmente dell’inconveniente ed estrasse dalla tasta una chiave. Aprì il portone e Odette, una delle prime ad entrare, rimase stupita.
Il pavimento era il legno scuro, la reception a sinistra era molto grande e dietro di essa una graziosa signorina parlava spigliatamente al telefono. Più avanti c’era un divanetto satinato con qualche poltroncina a motivi floreali disposte a semicerchio.
Al centro, un piccolo tavolo in vetro. Il soffitto era davvero alto, le finestre lasciavano vedere il blu del cielo e nelle pareti erano appesi quadri e fotografie di ballerine, balletti e opere classiche.
In quella grande stanza c’erano anche alcune colonne portanti.
“Ragazze, venite qui.” La graziosa signorina fece cenno alle candidate di avvicinarsi, Odette, appena sull’orlo della porta, incantata, ci mise poco a raggiungerla. Le sorrise.
“Tenete, i cartellini con il vostro numero e il nome.”
A Odette toccò il cartellino numero 27. Un numero che non le diceva granché, ma forse era meglio così. Dopo essersi messe in body nello spogliatoio, le ragazze attaccarono il quadrato di carta dietro la schiena e aspettarono pazientemente un cenno, un qualcosa.
Clarisse parlava gesticolando con una ragazza di almeno una spanna più bassa, i capelli corvini raccolti in un magro chignon e le dita affusolate. A stento Odette trattenne una risatina, quella piccola ragazza stava usando la tecnica del ‘sorridi e annuisci’. Povera.
Per Clarisse la cosa più importante del mondo era lei, non si sarebbe stupita di sentirle raccontare i suoi molteplici compleanni festeggiati nelle praterie all’insegna del divertimento.
La graziosa signorina di prima tornò e spiegò velocemente loro cosa fare. Una lezione normale, un’insegnante che spiega gli esercizi e un tavolo con altri insegnanti che le avrebbero semplicemente osservate, decidendo il nostro destino pensò Odette presa dall’ansia. Dopo di che il resto del pomeriggio avrebbero visto i loro assoli.
Odette era la seconda a doversi esibire, secondo la scaletta mostrata dalla signora sotto chissà quali criteri.
Entrarono nella stanza.
Era davvero enorme.
Odette si accorse subito dello sguardo severo che tutti stavano rivolgendo loro, soprattutto quello di Ninette deValois, la direttrice.
Una donna che aveva appena ordinato di posizionare tre sbarre al centro della sala le salutò ammiccando.
Si posizionarono in ordine d’altezza e iniziarono con un breve riscaldamento a scelta.
Odette sentiva la pressione di tutto il mondo su di lei.
Iniziò con un paio di plié per poi passare ai tendù e ai grand batemant.
Tenne sempre la pancia stretta e il collo dritto, in linea con la colonna vertebrale.
Girò i piedi fino all’inverosimile, fino ai crampi.
Tenne le dita morbide ma non troppo e i non lasciò cadere i polsi nemmeno una volta.
Sorrise in mezzo ad un'altra sequenza di grand batemant, il nervosismo l’attanagliava ma si sentiva felice. Stava danzando. Non si stava solo riscaldando, stava cercando di raggiungere la perfezione anche in un semplice plié e quello era Danzare.
Buttò per caso un’occhiata a Clarisse, più dietro di lei. Stava facendo un paio di relevé.
Rigirò simultaneamente la vista. Che le importava della biondina viziata? Lei era Odette e Clarisse non c’entrava nulla.
La donna di prima si avvicinò sotto un veloce e raffinato cenno della mano a Ninette, che le disse qualcosa all’orecchio. Fermarono la musica.
“Ok mademoiselle, può bastare. Uscite, vi chiameremo per gli assoli tra poco.”
Molte delle presenti sbiancarono.
Alcune una volta in spogliatoio rimetterono.
“Ho solo fatto plié e grandplié, cavolo! Dovevo capire subito che era una prova, dovevo fare esercizi difficili, dovevo, dovevo..” ed ecco che anche una ragazza minuta vicino ad Odette scoppiò in lacrime. La stragrande maggioranza delle presenti lo stava facendo, compresa la nuova conoscente di Clarisse. La bionda, dal canto suo, stava tranquillamente infilandosi le punte canticchiando qualcosa.
Odette per pura curiosità le si avvicinò.
“Non sei preoccupata?”
“Chi? Io? Nah, vedi Odette, le conoscenze sono molto.. come dire, tranquillizzanti.”
Le sorrise, mettendo in evidenza le fossette sulle guancie.
Se Odette aveva capito bene, Clarisse aveva già vinto in partenza.
Era raccomandata. E non era giusto.




Capitolo più corto del solito, lo so non me ne vogliate.
Questo capitolo è uno dei miei preferiti, ci ho lavorato tutta ieri e il risultato non è male (spero, insomma..) =D
Clarisse non mi ha mai ispirato simpatia, così le ho voluto far fare appieno la parte da cattiva, ma.. non aspettatevi che sia finita!
Il bello (per così dire) deve ancora venire.
Che aggiungere?
Il prossimo capitolo sarà sull'assolo di Esmeralda e mi concentrerò molto sul conflitto Audrey-Colette. 
Come andrà a finire il provino? E come la spunteranno Colette e la ex circense?
Lo scoprirete nella prossima puntata!

*i'm feel like an advertising* LOL


RECENSITE RECENSITE RECENSITE :)
 
 

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Capitolo 7
*** Capitolo sesto ***


Capitolo sesto
 

 
La musica di Paquita rimbombava attraverso la parete, facendo sentire tutto anche a chi stava ancora in spogliatoio. Dopo di questa, sarebbe toccato a Odette con la sua coda di Esmeralda. Le mani avevano la tremarella.
Ed ecco che una strana ragazzina dagli occhi verde smeraldo e con qualche lentiggine di troppo tornò nello spogliatoio. “Ce l’ho fatta! Che ansia però..” non sei l’unica avrebbe voluto rispondere Odette, ma aveva uno strano groppo in gola che non le permetteva di parlare. Concentrazione. Impegno.
La graziosa signorina arrivò per chiamarla, non appena in tempo dal momento che Odette aveva appena finito di allacciarsi le punte. Percorse lo stretto corridoio assieme a lei in silenzio, rientrò nella stanza.
“Cosa balla, mademoiselle?”
“Esmeralda.” Disse in un soffio cercando malamente di apparire sicura di se. I giudici parlottarono tra di loro, mentre Odette si preparava.
Poi la musica partì, e assieme ad essa anche qualcosa dentro Odette.
Un subbuglio. Brividi. Entrò in scena, immaginando di essere l’ospite più atteso ad una serata di gran galà francese.
Iniziò. Scosse il tamburello assieme al busto e alle gambe per poi allungarne una fino all’altezza della testa in un grand batemant. La musica scorreva, e mentre Odette era presa dal pensare ai passi e al farli correttamente, il suo corpo automaticamente eseguiva tutto. Odette si stupiva sempre di più, un gran sorriso le irruppe in volto.
Ed ecco un altro grand batemant, la pirouette in croisé e le tanto temute tre pirouette.
Le fece, dimostrando un leggero tremolio alla fine. Odette ne fu distrutta, ma continuò facendo finta di nulla. Scosse il tamburello sul gomito e sul piede più volte, la musica si era letteralmente impadronita del suo corpo. Immaginò di essere una zingara e si mosse abilmente, quasi a cercare di apparire sicura e fiduciosa. Era quasi giunta la fine, fece il grand jeté e si posizionò a terra per il gran finale. Era fatta.
Tremava ancora, ma di speranza.
Si alzò da terra, facendo un inchino. I giudici la guardavano, Ninette aveva un lembo della bocca leggermente stropicciato e altri un sopracciglio alzato. Gesti inconsueti per la ragazza, abituata dall’insegnante a ricevere frasi e correzioni alla fine di una prova.
Ma nulla.
“Grazie, si può accomodare fuori per il responso finale.”
Ansia. Ansia. Ansia!
Odette annuì flebilmente, lasciandosi cadere su una poltrona foderata poco distante dalla palestra. Tutte le ragazze che avevano svolto l’assolo erano lì con lei, accalcate e vicine.
I loro respiri si fondevano all’unisono, erano persone diverse, c’era chi aveva portato Paquita, chi Swan Lake o Black Swan e chi Kitri. Una danza diversa per ognuna, una danza che potesse rispecchiarle. Ma in quel momento erano tutte identiche. Tutte unite dallo stesso sogno, dalla stessa paura di aver sbagliato qualcosa. Qualunque cosa fosse, perché sarebbe stata decisiva.
Dopo circa mezz’ora in cui tutte le partecipanti si erano esibite, la graziosa signorina tornò con un foglio in mano. Clarisse, seduta di fronte a lei, si controllava le unghie con non-chalance.
“B… bene ragazze. Allora, come saprete soltanto cinque di voi hanno superato l’audizione e frequenteranno regolarmente la Royal. Ninette mi ha espressamente raccomandata di fare i complimenti a tutte in egual misura, per il coraggio e la serietà dimostrata. Ma solo cinque allieve hanno il talento necessario.”
Il cuore di Odette rimbalzò dal petto perdendo colpi.
Sapeva bene che aveva poche possibilità, i posti erano 4 calcolando la raccomandazione di Clarisse (chissà da parte di quale insegnante) se non anche meno.
“Le ragazze che Ninette De Valois e il comitato di ballo ha deciso di ammettere sono: Clarisse, Amelie, Isis, Gabrielle e”
Odette calmati cavolo. Respira, respira a fondo e ricorda che ci saranno altre occasioni, non importa se qui non sei passata, è pieno di snob raccomandate. Un giorno ballerai nei teatri più famosi e ricorderai tutto questo con un amaro sorriso in bocca, facendo presente quanto tu sia stata stupida a preoccuparti troppo di tutto quest…
“Odette.”
D’un tratto la ragazza sentì il suo nome. Tutte, compresa Clarisse, la fissavano incredule. Ce l’aveva fatta? Si. Ce l’aveva fatta.
“Ragazze, vi spediremo a casa i moduli d’iscrizione e gli orari delle lezioni, verrete messi in classi a seconda della vostra età, naturalmente.” Detto questo la graziosa signorina si complimentò ancora, sgambettando fino alla segreteria. Pronta per rispondere ad altre telefonate come se niente fosse. Del resto lei non aveva appena assistito a qualcosa di sensazionale, per Odette e le altre cinque invece era stato semplicemente.. magico.
 
Uscì dal grande palazzo, pronta per tornarci, con lo sguardo di Clarisse oppresso su di se. Stava per raggiungere Omar, il maggiordomo indiano che l’avrebbe riportata a Parigi, quando d’un tratto si volle girare. Uno sfizio, una sfida.
“E cosi anche senza le raccomandazioni si può arrivare dove si vuole. Ops, aspetta, forse a te manca il talento o qualcos’altro.. Forse sei solo una fifona. Hai avuto paura di rischiare e hai fatto appello alle tue conoscenze per vincere. Ma tu, Clarisse, in realtà, hai vinto? Non credo proprio. Ci si vede, aurevoir mademoiselle!” Odette sfoggiò uno dei suoi sorrisi migliori, entrando nella macchina con Omar al seguito, che le richiuse lo sportello. Vide Clarisse sgomenta e con le guancie in fiamme.
Un sorrisino le si dipinse in volto.
“E’ stata presa?” chiese Omar con il suo strano accento
“Si! C’est super!”
“Signorina, non sbraiti così con le braccia, mi rovinerà i sedili..”
Odette con aria rassegnata si mise una mano in volto, quasi a voler coprire un’altra risata.
 
 
 
 
Audrey bussò alla porta di Colette.
“Cosa vuoi?” disse quest’ultima venendo ad aprire, facendole cenno di seguirla in cucina.
“Ti prego, non denunciarmi per quel calcio.. mi sono solo difesa da te e lo sai benissimo. Non ho soldi ne’ mezzi per contrastarti, hai vinto in tutto, hai mia figl..”
“No, Audrey! Non è tua figlia santo cielo! Sono io, IO, che l’ho cresciuta, accudita e sono io che sto cercando di farle realizzare i suoi sogni. Cosa vuoi da Odette?”
“Voglio conoscerla, fammela conoscere. Dirò di essere una lontana parente, passerò del tempo con lei solo perché ne sento la necessità. Ho bisogno di lei.”
“Sei un’egoista, Audrey. Lei non ha bisogno di una poveraccia come te nella sua vita, ha tutto quello che le serve e non permetterò che si crei il caos nella sua esistenza, proprio ora, in questo momento così importante.”
“Pourquoi?”
“Parce que aujourd'hui ha avuto un provino per la Royal! Sono tornata a casa dopo averla lasciata lì, pregando il mio maggiordomo di riaccompagnarla a casa. Ero stanca per rimanere lì tutto il pomeriggio. Non sai nulla di lei, Audrey, vedi? Te ne accorgi, stupida? Come fai anche volendo ad instaurare un rapporto con lei? Non la conosci abbastanza!”
 
Odette uscì dall’auto, chiedendo a Omar se volesse entrare o la mancia, rispose a entrambe le domande di no e se ne andò sorridendo. Entrò sorridendo in casa, silenziosamente. Voleva fare una sorpresa a Colette. Sarebbe entrata in cucina silenziosamente, facendola sussultare per poi dirle tutto d’un fiato “Mi hanno presa maman!” e saltarle al collo, felice e contenta.
Si tolse le scarpe e le mise nel ripostiglio, fece un bel respiro e qualche passo e quando stava per aprire la porta, con la mano nella maniglia, sentì una voce. Anzi no, due.
La madre stava sbraitando con qualcuno che sembrava essere una donna.
 
“Non la conosco perché non ho potuto farlo, Colette. Sai perfettamente che all’epoca non avevo i soldi per mantenerla. Non mi pento di avertela affidata, ma ora voglio conoscerla.”
“Tu non puoi conoscere mia figlia, MIA figlia. Te lo proibisco, le scombussoleresti tutto per una nullità come te, Audrey.”
Odette sentì un conato di vomito premerle contro la gola insistentemente. Tutto prese a girare vorticosamente, si portò una mano alle labbra. Gli occhi languidi. “Mon dieu.. Mon dieu..” diceva a bassa voce, tra le lacrime.
Non poteva stare lì, in mezzo a due bastarde. Bugiarde.
Si rimise le scarpe con foga, prese qualche banconota da un cassetto del mobiletto posto all’ingresso e uscì. Silenziosamente, così com’era entrata.
 
Le vie di Parigi a quell’ora di sera erano disabitate.
Tutti stavano cenando, probabilmente.
Tutte le ragazzine avevano una famiglia unita, una famiglia vera, probabilmente.
Tutte le ragazzine stavano assaporando il pollo arrosto preparato loro amorevolmente dalle madri durante il pomeriggio. Dalle madri vere, probabilmente.
Un’altra lacrima scese sul piccolo volto della ragazza.
Sentiva lo chignon sfatto. Si fermò e se lo tolse. I capelli corvini si mossero con le onde del vento.
E ora?
Dove sarebbe andata una sedicenne alle nove di sera, tutta sola?
Un’idea le venne in mente.
Aveva sentito parlare di uno spettacolo che avrebbero dato a teatro, quella sera.
Si trattava dello Schiaccianoci, una compagnia locale si sarebbe esibita all’Operà.
“E sia.” Disse impercettibilmente, le guancie arrossate per il freddo.
Se non altro, i soldi per il biglietto ce li aveva e anche se sarebbe probabilmente rimasta nelle ultime file per la mancanza di altri posti, almeno aveva una poltroncina rossa su cui sedere e della musica che le avrebbe fatto immaginare un’esistenza migliore. Voleva solo dimenticarsi di tutto.




Colpo di scena, ta daan (?)
Spero di avervi sorpreso con questo capitolo, la mia scaletta mi avvisa che dopo questo capitolo ci saranno una serie di fatti scombussolatori che vi faranno tenere con il fiato sospeso. Forse anche fino alla fine, lettori, che ricordo essere prospetta al 30-35esimo capitolo c.a.
Che aggiungere?
Desidero recensioni, e grazie per essere numerosi!
Ciao ciao, 
alla prossima pubblicazione!

xwannabewriter.

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Capitolo 8
*** Capitolo settimo ***


Capitolo settimo

 
 
Arrivò poco prima dell’inizio dell’opera. Comprò un biglietto da delle mani nodose di una signora tutt’ingioiellata, e si sedette in ultima fila. Le luci si spensero, Odette si asciugò silenziosamente le ultime lacrime. Ancora non poteva crederci.
Si massaggiò le tempie e proprio in quel momento la musica riempì la stanza.
Uscirono delle ballerine con degli abiti colorati. Il rumore delle punte riecheggiava sul pavimento in legno del palco.
Odette si sentì rilassata, e molto stanca.
Si accasciò sullo schienale della poltrona e prese sonno.
“Ragazzina! Ragazzina! Oh mon dieu.. ragazzina!”
Una voce profonda. Un signore la stava scuotendo.
La giovane si stropicciò gli occhi facendo un flebile sbadiglio.
“Era ora! E’ da cinque minuti che cerco di rianimarti! Pensavo fossi morta.”
“C.. che ora è?” chiese Odette alzandosi dalla poltrona. Wow, il teatro era deserto.
“E’ l’una meno cinque! Lo spettacolo è finito da mezz’ora oramai, stavo andando a recuperare una calzamaglia da dietro le quinte e ti ho trovata qui. Dove sono i tuoi genitori?”
Già. Genitori. Quelli che Odette non avrebbe mai più rivisto in vita sua.
“Sono già andati a casa, ora devo andare!”
Disse Odette correndo via, non appena arrivò all’esterno del teatro si infilò la sciarpa.
Faceva davvero freddo e le strade erano semi deserte. E in più aveva tanto sonno.
D’un tratto si ricordò del ponte che aveva percorso per tornare a casa, quel pomeriggio, assieme a Omar.
Lì sotto c’era uno spiazzale con una panchina e un laghetto.
Camminò a passo spedito nella direzione opposta a quella di casa e vi arrivò velocemente. Sospirò, cercando di calmarsi e non scoppiare a piangere.
Aveva davvero freddo.
Canticchiò una ninna nanna.
 
"Frère Jacques,frère Jacques,
dormez-vous? dormez-vous?
Sonnez les matines,sonnez les matines,
Din,don,dan! Din,don,da!”
 
Sorrise leggermente, Colette gliela cantava sempre quand’era bambina. Ancora non poteva credere di essere stata.. adottata?
Odette aveva la mente offuscata da mille dubbi, non riusciva più a ragionare bene.
Gli occhi le bruciavano, le mani tremavano.
La sedicenne prese sonno, senza neanche accorgersene.
 
 
 
Un flebile venticello mosse i capelli di Odette.
La ragazza sbadigliò, stropicciandosi gli occhi.
Il sole era oramai alto e le ci volle un po’ di tempo per capire dove si trovava.
“Questo non è da me.” Commentò sarcastica.
Beh, in effetti aveva dormito sotto un ponte. Si alzò in piedi decidendo la prossima meta.
Era domenica. Tornare a casa era fuori discussione, anche se a Odette mancavano i comfort della sua abitazione a tre piani. Ma infondo non era nemmeno sua. Era di Colette, era della donna che le aveva raccontato menzogne per i primi sedici anni della sua vita. E non le avrebbe permesso di continuare, assolutamente no.
D’un tratto le venne un’idea. La Miss!
Con la scusa di raccontarle com’è andata all’audizione avrebbe, forse, ricevuto ospitalità a casa sua. C’era già stata, qualche anno prima, per Natale.
Lei e Colette erano entrate nella sua villa ingrigita dal tempo per augurarle una buona giornata di festa e l’avevano trovata sola, in mezzo a pacchettini di cioccolatini e vecchie foto della sua carriera. Odette rimase basita per molti giorni. Diventare una ballerina significava sacrificare tutta la sua esistenza alla danza, per poi – forse – finire nel dimenticatoio in compagnia dei soli, amari, ricordi?
Camminò rinvigorendosi la camicetta scompigliata, sentendo il suo stomaco contorcersi. Accartocciò le labbra in una smorfia contrariata. Doveva mangiare qualcosa, prima di tutto. L’orologio della piazza segnava le 10:30, orario perfetto, non avrebbe di certo dato nell’occhio una ragazzina d’alto rango sociale prendere una brioche e un cappuccino in un bar. Percorse pochi metri che la separavano da un piccolo edificio color salmone ed entrò in una pasticceria.
“Posso darti qualcosa?” una voce aggraziata che proveniva da un'altra stanza parlò ad Odette. Subito dopo, una donna dai capelli a fusillo arrivò da una porta dietro il bancone.
Si stava pulendo le mani. La donna si accorse che Odette la fissava.
“Scusa.. è che in questo periodo siamo sommersi di lavoro, soprattutto per quanto riguarda i pasticcini al cioccolato, sono i preferiti di tutti i bambini!”
“Si figuri. Ehm.. vorrei una brioche alla crema cotta, grazie.”
Seduta al tavolino, mentre sgranocchiava quella delizia, Odette si interrogò ancora una volta su cosa fare. Era davvero la Miss la scelta giusta? Riflettendoci, avrebbe di certo avvisato Colette. Sarebbe stato meglio fuggire lontano, ma non era possibile, almeno per il momento. Un’idea balenò nella testa della giovane per qualche attimo, ma tanto bastò per farla rendere realtà.
Si pulì la bocca con un fazzoletto e si alzò per pagare il conto.
“Quanto le devo?” chiese alla riccia
“Una brioche alla crema cotta, giusto?”
“Oui.”
La donna prese i soldi velocemente dalla mano di Odette.
“Allora buona giornata tesoruccio!” le disse, dandole un buffetto sulla guancia e sistemandosi la cuffia. Stava per voltarsi quando Odette prese coraggio e ..
“Potrei vivere da lei per un po’? La posso aiutare qui in negozio, voglio dire, ha detto che c’è molto lavoro no?” la donna si voltò verso di lei con aria interrogativa “Inoltre i miei sono.. sono morti entrambi in un incidente poco tempo fa e l’assistente sociale vuole mettermi in un orfanotrofio! Sono scappata, perché a 16 anni nessuno mi adotterebbe più. La prego, è importante. La aiuterei in tutto, mi dica solo da dove posso cominciare.”
“Oh mon dieu!” disse portandosi una mano in testa e guardandola fissa negli occhi.
I secondi passavano senza che nessuno dicesse niente. Erano sole in negozio e mentre Odette guardava nervosamente in tutte le direzioni possibili onde evitare il suo sguardo, la donna con espressione indecifrabile la fissava silenziosamente.
“Beh..” disse infine “Se non rischio nulla..”
“Oh no! Non rischia niente, assolutamente niente! L’orfanotrofio è molto, ehm, distante e nessuno penserebbe che sono giunta sino a Parigi!” disse con la ‘r’ moscia il nome della città. “E allora d’accordo ragazza!” le diede una vigorosa pacca sulla spalla. Ti prego fa che non mi si sia formata una botta, ho danza alla Royal tra qualche giorno, ti prego ti prego. “D’accordo.. miss?”
“Chiamami Eve, ragazza. E tu sei?”
“Sono.. Sono Camille. Piacere.”
“Bando alle ciance! C’è molto lavoro oggi, vieni di qua aiutami con i bignè.”
Camille? Come le era venuto in mente quello stupido e orribile nome? Lei era Odette per la miseria! Il suo nome era particolare e Camille non sapeva da niente. Sbuffò silenziosamente, se voleva una copertura più approfondita.. Camille era il nome giusto, anche se le costava ammetterlo. Avrebbe rinunciato a Odette per un po’.
 
 
 
 
*
 
 
 
Colette era sveglia, gli occhi rossi e gonfi e la camicia da notte ancora addosso.
Era una donna distrutta, e sola. La sera prima aveva finito di discutere con la Sgualdrina a tarda sera, e Odette non era ancora tornata a casa. Chiamò immediatamente Omar, che rispose che l’aveva lasciata a casa almeno tre ore prima. Panico. Il “signora? Signora? Sta bene?” che proveniva dalla cornetta non ricevette alcuna risposta. Colette chiamò la polizia di Parigi, i pompieri addirittura. Poteva essere finita ovunque. E se qualcuno l’ha rapita? Se qualcuno vuole un riscatto? O, peggio, se è stata uccisa da un pazzo ubriaco?
E poi il dubbio peggiore, la sera prima, ha attanagliato la mente di Colette senza darle scampo per tutta la notte. Aveva sentito tutto.
E ora, spaventata e sola, era fuggita chissà dove per le vie di Parigi. Forse era addirittura emigrata. Ma no, non poteva essere. Non doveva pensare al peggio. Doveva stare calma e aspettare paziente i risultati della polizia, che aveva avviato le ricerche.
Si sedette al tavolo della cucina – quel tavolo in cui avevano pranzato, cenato e riso tante volte assieme – e bevve lentamente una tazza di the’.
Il tempo era dilatato.
Che ore erano di preciso? Cosa stava facendo Odette in quel momento?
Già, cosa stava facendo la sua piccola e indifesa ballerina?
Un'altra lacrima le rigò il volto deturpato dai singhiozzi, poi un'altra e un'altra ancora.
Era un fiume in balia dei sentimenti, quelli che raramente esternava al mondo.
Odette. Odette. Odette. “Dove sei finita?” disse tra le mani.
E poi la rabbia. Quella puttana, quella stronza che quella sera non avrebbe dovuto suonare alla sua porta. E lei che non avrebbe dovuto aprire, facendo iniziare la discussione e facendola sentire alla figlia.
Colette avrebbe trovato Odette e insieme si sarebbero trasferite lontano, in Inghilterra, a Londra. La giovane avrebbe frequentato regolarmente la Royal Ballet Academy e non avrebbe mai dovuto vedere Audrey. Mai. Non le avrebbe permesso di soffrire con una puttana del genere. Per niente al mondo.




Colpi di scena: presenti. lol
Dite la verità, vi sareste mai aspettate questo capitolo? E Camille poi.. che nome assurdo per la povera Odette!
Ma, ora che vi ho spiazzate, mi sapete dire cosa succederà? Eh già perché ricordo che i moduli d'iscrizione per la Royal verranno spediti a casa di Colette, non nella sua nuova abitazione con Eve.
Come farà Odette a conoscere i dettagli, i giorni in cui dovrà andare? E riuscirà ad andare alla Royal comunque? Mantenere due identità è difficile, sopratutto se una di queste è una totale balla, seppur inventata per salvaguardarsi. E Audrey? Chissà quando scoprirà che Odette è scomparsa, lei che frequenta i ceti poveri e non ha alcuna possibilità di aiutare nel ritrovamento della ragazza.
Nel frattempo, Colette e i suoi istinti omicidi aumentano (?) sopratutto in questo capitolo, nella quale ha dato gran parte della colpa a Audrey. Dite quel che volete, ma.. io un pochino la capisco. E sottolineo un pochino, non son d'accordo in tutto quello che fa. 
Beh che dire di più? Spero di essere riuscita a farvi appassionare e sopratutto incuriosire.. al prossimo capitolo!

xwannabewriter.

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Capitolo 9
*** Capitolo ottavo ***


Capitolo ottavo

 
 
La piccola casa di Eve era modesta, ma ben arredata. Una dimora accogliente. La prima cosa che Odette notò furono gli specchi, disposti in tutta la casa, vecchi e recenti. Forse per un gioco di luce, ipotizzò, per far sembrare le stanze più grandi.
Il pavimento a tratti cigolava. Gérard, il marito di Eve, era un uomo alto e panciuto ma tremendamente simpatico. Le aveva subito detto che lo poteva chiamare zio, se avesse voluto. A cena, la sera precedente, avevano riso e parlato del più e del meno cercando di interagire con quella che loro chiamavano Camille. Odette doveva ripetersi che era così che aveva detto di chiamarsi, perché ogni volta che la chiamavano con quell’appellativo lei si girava, come se qualcuno dalla porta stesse per sbucare. Giustificò il suo bizzarro comportamento come “una brutta abitudine presa all’orfanotrofio.”
Lei associata alla parola orfanotrofio... era davvero un’assurdità. Colette l’aveva fatta vivere sotto una campana di vetro, ogni suo desiderio era destinato a diventare realtà. Sbuffò, rigirandosi nel piccolo letto dello sgabuzzino. Non doveva ne’ voleva pensare a Colette. Guardò il soffitto azzurrino. Eve le aveva assicurato che avrebbero arredato quella stanzetta ai suoi comfort quanto prima, Odette-barra-Camille aveva risposto che non ce n’era bisogno.
Si stiracchiò, guardando l’orologio appeso al muro di fronte a lei. Erano appena le 6:00.
Non aveva più sonno e sentiva i muscoli implorarla di alzarsi.
Quella brandina era davvero scomoda.
Si mise delle assurde pantofole più grandi di almeno 5 numeri e accese l’abat-jour.
Alzandosi in piedi, dalla borsa che aveva posizionato ai piedi del letto cadde un disco. Odette si avvicinò per raccoglierlo, sorrise. Erano delle musiche di Mozart.
Si guardò intorno, tentata dal metterle su e fare un po’ di esercizi. Era da pazzi, e lo sapeva. Era per quello che lo avrebbe fatto. Doveva smuoversi, la sua vita era troppo monotona, monocolore. Tutto grigio.
Alla fine di una piccola ricerca, trovò nel salotto un giradischi.
Se lo trasportò in camera e mise la musica.
Iniziò dai grand battement e provò a fare un paio di fouetté.
Dopo di che, fece alcuni pas de chat e arabesque al limite dell’elasticità.
Passò a passi più semplici, plié e rond de jambe. Era incredibile come la musica la sapesse tranquillizzare, tra un passo e l’altro tutto le era passato di mente ed esisteva solo la sua anima che cercava di dare un interpretazione artistica al suo corpo.
In alcuni momenti avrebbe voluto essere più eterea. Sarebbe stato perfetto.
Tra un passo e l’altro, si fecero le 7:26.
Odette decise di preparare la colazione.
Fermò il giradischi e si precipitò il cucina. Mancava poco ed Eve e suo marito si sarebbero alzati e preparati per andare in pasticceria.
Aprì qualche mensola a caso e prese del latte e qualche pasticcino lì vicino. Preparò il tavolo con delle tovagliette verdi e squadrate e aspettò paziente il loro risveglio.
“Già sveglia cara? Oh.. ma, ma non dovevi!” Eve in vestaglia e con i capelli spettinati attraversò la cucina con sorpresa.
“Volevo essere gentile, insomma mi avete ospitata senza nemmeno conoscermi e beh, volevo ripagarvi.”
“Merci ma chérie! Ma non serviva, davvero. Gérard! La ragazza ci ha preparato la colazione!”
Un grugnito dall’altra stanza.
“Lascialo perdere cara.. di mattina è perennemente nervoso e assonnato.”
“Figuratevi, non importa.” Disse Odette, addentando un pasticcino.
“Come si chiamavano i tuoi poveri genitori, Camille?”
Il cuore di Odette martellò compulsivamente nel petto. Come si chiamavano quei genitori completamente inventati?
“Ehm.. mia madre si chiamava Audrey. E’ morta qualche mese fa, ma non si è mai davvero occupata di me. E mio padre, lui si chiamava Mathias.”
“Mi spiace molto tesoro.”
“Non importa.. ehm..”
“Zia Eve, se vuoi, chiamami così.”
“Non importa zia Eve.”
“E dove vivevate?”
Si bloccò, non poteva di certo dire Parigi. Le aveva spiegato che non era di quelle parti.
“Abitavo a Rouen, in periferia..”
“Strano. Dai tuoi vestiti non si direbbe che tu fossi una poverella.”
“Ehm. Non ero una poverella, affatto! Mio padre lavorava in banca, era il vicedirettore. Vivevamo in periferia perché preferivamo la natura e l’aria fresca, ma per quanto riguarda i vestiti ci rifornivamo nelle boutique del centro.”
“Ah, capisco.”
Odette sospirò. Non aveva mai raccontato così tante cavolate tutte insieme.
“Eri figlia unica?”
“Si.”
“Oui.. con permesso cara, vado a mettermi qualcosa addosso e poi andiamo in pasticceria.”
“C’est bien! Vado anche io a sistemarmi.”
 
 
Lo squillo del telefono la fece sobbalzare. Audrey afferrò la cornetta del’utensile ancora assonnata.
“Pronto?”
“Audrey..”
“Chi parla?” chiese la donna sbadigliando
“Sono Colette.”
“Come hai il mio numero?”
Sentì uno sbuffo dall’altra parte della cornetta. “Importa davvero?”
“Non.. non lo so. Cosa importa per te, Colette, tanto che mi hai addirittura chiamata?” chiese alzandosi dal letto e andando in cucina per fare colazione.
“Odette. E’.. è scomparsa.”
“Che cosa?!” Audrey sussultò. Il tono della voce arruffato.
“Due giorni fa, dopo del provino. Non è più – Colette fece una pausa, Audrey la sentì tirare su con il naso – Non è più tornata a casa. Ed è colpa tua.”
Audrey sentì l’odio e il ribrezzo per Colette crescerle dentro.
“No, non è colpa mia Colette. E’ scomparsa da casa tua, non dalla mia, è scappata da te. Non da me. Fatti delle domande.”
Nessuna risposta.
“Sai dov’è finita? Hai avviato le ricerche?”
“Si, ma ti pare che non lo facevo razza di imbranata?”
“Non saprei.. sei capace di fare qualsiasi cosa, tu. O no?”
“Taci. Finirai male per quello che hai fatto. Se solo non fossi venuta a casa mia con il tuo falso buonismo, Audrey, e se solo Odette non avesse sentito tutto.. E’ colpa tua.”
“Odette ha sentito tutto?” chiese allarmata la giovane donna
“Si, me lo sento. Non ci sarebbero altre motivazioni.”
“Che facciamo?”
“Facciamo?  - una risata dall’altro capo della cornetta – Non faremo proprio nulla insieme, io e te.”
“Credo che sia proprio per questo che Odette è sparita, Colette.”
Dicendo questo, Audrey riattaccò la cornetta.
 
Colette era sola. E confusa.
Le era però parso strano il tono di voce di Audrey, era stranamente calma e rilassata.
 
 
 
*
 
 
Audrey guardava pensosa fuori dalla piccola finestra della sua altrettanto minuscola casa. Il cielo era azzurro, senza neanche una nuvola e il vento che muoveva le foglie degli alberi aveva un sapore di fresco e maturo.
La maturità che anche Audrey, a volte, avrebbe voluto avere.
Spesso si rimproverava di non essere abbastanza, di non aver combinato nulla nella sua vita per colpa di quella poca maturità. E, forse, se non avesse incontrato per caso Odette e la madre in pasticceria, quel giorno, non avrebbe sofferto come stava soffrendo.
La donna stropicciò le labbra in una smorfia contrariata, prima di alzarsi dal tavolo della cucina e lavare il piatto della colazione.
Le venne in mente il circo.
Allora aveva poco più di diciott’anni. Sua madre era morta. Era sola al mondo e non sapeva lavorare, non avendo un titolo di studio poi la sua potenziale carriera era quasi impossibile. Audrey sorrise, lasciandosi trasportare dai ricordi di quell’epoca.
 
Era una giornata nuvolosa, Audrey vagava tra la metropolitana e la piazza in cerca di ispirazione, a volte, sbadigliando, si lisciava la lunga treccia posta sulla spalla destra e scriveva appunti sulla sua moleskine nera.
Sapeva i numeri di scarpe di tutti i passanti, indovinava la loro età e anche a distanza di tempo ricordava perfettamente i loro odori.
C’era una signora, seduta sempre su una poltroncina ricamata al ciglio della strada, che indossava le sue pellicce migliori, ingioiellata fino alla punta delle dita e con un po’ di fard di troppo. Un giorno Audrey volle sapere di più su di lei, così le si avvicinò e le chiese cosa ci facesse lì, a quell’ora su quella poltroncina, tutti i giorni.
“La vita è troppo breve, non voglio perdermi le cose che accadono nel mondo tesoro.”
Le aveva risposto, mostrando una dentatura bianca e perfetta.
Sapeva di mele cotte e sidro. A quella bizzarra risposta, Audrey sorrise annuendo per poi ritornare ad osservare i passanti.
Erano tutti così occupati e indaffarati.. o forse era solo apparenza, quell’apparenza che si insinua dentro di te e poi finisci per credere di dover comportarti così in ogni occasione, anche quando non ce n’è bisogno. Finisci per non essere più tu.
D’un tratto iniziò a piovere. Audrey fece appena in tempo a chiudere la sua moleskine che un passante la travolse facendola cadere con un piede in una pozzanghera.
“Che modi sono questi, monsieur!”
“Mi.. mi dispiace..” Fu allora che Audrey incontrò per la prima volta André.
La prima cosa che notò di lui era che era truccato da pagliaccio.
“Cirques..” disse a bassa voce, mentre lui la stava aiutando ad alzarsi.




Scusate la lunghissima assenza çwç
Ho avuto molto di cui occuparmi.. spero che questo capitolo vi soddisfi (:
Gradirei che mi diceste se non vi piace qualcosa, dal momento che non ho ancora avuto critiche lol.
Che aggiungere?
Al prossimo capitolo elfi e.. RECENSITE mi raccomando!
Baci baci,
xwannabewriter.
 

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Capitolo 10
*** Capitolo nono ***


Capitolo nono

 
 
“Camille, i biscotti alle noci vanno fatti con meno farina di quella! Mi sembrava di essere stata chiara!” Odette biascicò delle banali scuse. Ma del resto non aveva mai cucinato in vita sua. Era esausta, da tutta la mattina stavano preparando biscotti e torte e oramai erano le 18:55. Iniziava a dubitare che chiedere ospitalità ad Eve fosse stata una cattiva idea.
“Eve, scusami.. Ho bisogno d’aria, posso fare una passeggiata?”
“Solo nei dintorni, Camille. Comunque tra poco abbiamo finito.”
“D’accordo, sto nei dintorni.”
L’aria era fredda, pungeva la pelle candida di Odette. La ragazza notò un paio di ragazzi della sua stessa età venirle in contro. La paura la alimentò, corse dal lato opposto della strada e si mimetizzò al meglio tra la piccola folla di gente.
“Ehi!” Disse uno di loro. Odette strinse la borsetta, pronta a lanciargliela contro, ma non appena si girò il volto del giovane le parve familiare. Basita, si imbambolò tentando di ricordare.
“Chi sei?”
“Sono Mat.. ehm..” si guardò le scarpe, alzandosi sui talloni e lasciando a mezz’aria le dita per qualche secondo.
“Mat chi? Devo andare, non so chi tu diavolo sia. Hai sbagliato persona. Davvero.”
“No! Tu sei Odette.. giusto?”
“Chi diavolo sei?”
“Al provino per la Royal c’ero anche io, certo.. non ho potuto sostenerlo per colpa di quell’assurdo controllore, ma..”
Odette inspirò, mentalmente ricostruiva la scena.
D’un tratto ricordò un ragazzo dalle scarpe stinte che venne buttato fuori ancor prima del provino per via dei suoi vestiti. Era convinta si fosse infiltrato lì per scherzo, e invece voleva davvero fare l’audizione. Lo scrutò, come avrebbe potuto fare un audizione lì? Era povero, povero in canna e si vedeva lontano un miglio. Aveva idea dei costi?
“Ah, ora ricordo. E con ciò?”
“Mi sono solo ricordato che c’eri anche tu.. sai, sei molto carina.”
“Uh, grazie.” La ragazza arrossì impercettibilmente
Passarono interminabili secondi senza dire niente, la confusione dei passanti appariva così lontana.
“Posso farti una domanda?” Azzardò Odette, rimettendosi la borsetta a tracolla.
“Certo.”
“Come mai volevi fare l’audizione alla Royal? Non sembra che tu te lo possa, si insomma, che te lo possa permettere. E come ti sei  pagato  il viaggio, da Parigi fino a Londra?”
Mat sospirò guardando il cielo. “Ho messo da parte qualche soldo lavorando. Certo, non erano ancora abbastanza per permettermi un vestito nuovo.”
“Puoi sempre ritentare il prossimo anno..”
“Non saprei, sto pensando di lasciare da parte questo sogno. Probabilmente non sono abbastanza per .. si, insomma, per gli standard di voi super ricchi.”
“Non dire così. Se ami danzare e sai farlo, allora perché no? – dopo qualche istante, Odette chiese ancora “Dove studi danza?”
“A dire il vero non la studio.. Nel mio quartiere c’è una scuola di danza in cui va anche mia sorella, dietro lo specchio della sua palestra c’è una piccola stanza da cui è possibile entrare tramite una finestra, si vede tutto. Una volta lì dentro, oramai da anni, cerco di imitare i passi dei ballerini..”
“Wow.” Odette guardò il vuoto per qualche secondo, poi si rese conto dell’orario “E’ tardi Mat! E’stato un piacere parlare con te!”
“Aspetta, Odette!”
“Oui?”
“Abito nell’ultima casa a destra di quella via.” Indicò una stretta via con la strada rovinata “Magari potresti venire a trovarmi, uno di questi giorni.”
“Forse, Mat. Ho molti impegni, non ti prometto nulla..”
“Certo.” Sorrise, voltandosi e incamminandosi a testa bassa. Accennò un sorriso con la mano.
Quella sera, a cena, Odette pensava e ripensava a quell’incontro.
Si sentiva terribilmente in colpa, ma non capiva perché. Forse avrebbe potuto aiutarlo, in qualche maniera. Decise che il giorno dopo sarebbe andata a casa sua per dargli qualche consiglio.
“A che pensi tesoro?” Eve prese ancora delle patate lesse dalla ciotola al centro della tavola. La fissava preoccupata.
“A nulla zia Eve..”
“Non me la racconti giusta, piccola. Puoi dirmi tutto, lo sai.”
“Sta zitta Eve! Ti ha detto che non ha nulla di preoccupante, taci ogni tanto.”
Odette trattenne a stento una risata, Gérard era il classico uomo divertente nella sua semplicità.
“Sono piena. Posso andare nella mia stanza?”
“Certamente, a domani cara.”
Odette si mise una vestaglia e si appisolò immediatamente nel suo letto, pensando e ripensando a tutto quello che era successo in quei giorni: il provino, l’ammissione, la litigata tra Colette e Audrey, e poi lei che era scomparsa.
Doveva ammetterlo.
Colette le mancava, ed era tremendo da dire.
Si rigirò nel letto, sognando.
“Camille.. Camille tesoro, è ora di alzarsi.”
“Eve, ti dispiace se per oggi non vengo in pasticceria? Ho delle cose da fare.”
“Uhm.. d’accordo cara.”
Detto questo, la signora lasciò la stanza. Il rumore cigolante della porta alle sue spalle.
Odette sospirò lentamente, quasi fosse uno sforzo sovrumano alzarsi dal letto.
E in effetti lo era.. aveva avuto pensieri tutta la notte, un chiodo fisso che non la lasciava in pace nemmeno per un istante. La Royal. Scappando di casa aveva praticamente rinunciato a ballare, forse la lettera con i corsi a cui avrebbe dovuto partecipare era già arrivata a casa di Colette. Forse l’aveva bruciata, schiacciata dall’opprimente ricordo della figlia e delle sue rosee scarpette da punta. Chi poteva saperlo.
Il dubbio la stava uccidendo. Ma no, non sarebbe tornata in quella casa. Anche se ciò avrebbe significato.. non ballare più. Com’era orribile dirlo.
Arrivò in cucina e si preparò un panino con la marmellata. Lo addentò e ripulì il tavolo dalle briciole. Quella sarebbe stata una giornata piacevole, se tutto fosse andato come previsto.
 
Suonò al piccolo campanello dopo un quarto d’ora che lo cercava.
Il rumore della porta che si stava aprendo la fece sussultare un poco. Odette indietreggiò di qualche passo.
“Che vuole, signorina?” chiese una donna dai capelli raccolti in una crocchia, il naso pronunciato e dei piccoli occhi grigi.
“Uhm.. Ehm, Mat c’è?”
“Si.” Disse lei guardando la giovane di sottotecchi “Ha combinato qualcosa, per caso?”
“Uh no, sono solo passata per salutarlo. Mi chiedevo se potessimo fare una passeggiata, cioè, s-si.. una passeggiata..”
“D’accordo, te lo chiamo.” La donna si allontanò con sguardo sospetto
“Mat! Mat! C’è una ragazza qui fuori, vuole fare una passeggiata con te.”
“Che cosa?”
“Muoviti!”
Odette udì la conversazione e poco dopo il ragazzo fu davanti di lei.
“Ciao!” lo salutò lei
“Ciao..” fece eco il giovane.
“Devo parlarti.” Disse poi Odette a bassa voce, ancora sull’uscio di casa.
Mat annuì preoccupato, salutò freddolosamente la madre e seguì la ragazza.
“Che c’è?” chiese poi, a dovuta distanza dalla sua abitazione.
“Mi è venuta un’idea.”
“Cosa?”
“Non faccio più lezioni di danza ormai, da un bel po’..”
“Perché?” la interruppe lui
“Questo non è importante, stavo dicendo. Non faccio più lezioni di danza da un po’ e mi chiedevo se saresti interessato ad imparare qualcosa in più. Potrei insegnarti io, così ti prepari per l’audizione dell’anno prossimo e io non mi annoio tutti i santi giorni. Chissà, magari potrai anche fare un’audizione prima dell’anno prossimo. Mai dire mai, d’acord?”
“Non sono totalmente convinto..”
“Pourquoi?”
“I miei non sanno che ho tentato di fare il provino né tanto meno che mi piace ballare. Vorrebbero che diventassi un wrestler o robe del genere, ma io non ci tengo a spaccarmi il naso..”
“Sarà un segreto, se vuoi. Non dirò nulla, potresti venire a casa di Eve la mattina per qualche ora, così ti insegno qualcosa. Non dirò nulla, giuro.”
“E sia, d’accordo!” sorrise convinto il ragazzo
“Oui!” esulto Odette battendo le mani.
Il terreno era umidiccio e fangoso. Odette si domandò mentalmente perché, non pioveva molto in quella zona. Notò che anche Mat era piuttosto pensoso.
“A che pensi?” chiese
“Perché ci tieni tanto a farmi fare il provino?”
Odette si sentì stranamente in imbarazzo. Non lo sapeva nemmeno lei, forse era semplicemente per aiutare qualcuno. Forse per riscattarsi.
“Non lo so.” Rispose semplicemente
“D’accordo.” Disse Mat “Forse dovremmo tornare indietro, il cielo sta diventando scuro.”
 


 Oooooooooook.
So che ora siete tentati di uccidermi (?) ma davvero, non ho avuto tempo di postare in queste settimane. Spero possiate perdonarmi.
Ad ogni modo, la vicenda si fa sempre più complicata per Odette, eh? Scrivendo ero diventata ansiogena pure io lol.
Spero che pure questo capitolo abbia delle recensioni e critiche costruttive e spero di esservi arrivata, in qualche modo :)
Fatevi sentire e al prossimo capitolo gente!
xwannabewriter.

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Capitolo 11
*** Capitolo decimo ***


Capitolo decimo
 
 
 
Odette quella mattina si alzò almeno due ore prima di Eve e Gérard.
Aveva spiegato loro che in quei giorni era esausta e che fare biscotti non era salutare.
“Tesoro, ricordati che ti ospitiamo qui a patto che tu ci aiuti in pasticceria.”
“Certo zia Eve.” Aveva risposto Odette guardando l’orizzonte e sperando in un rapido cambio di discorso da parte di Gérard. Sapeva che mancava poco, avrebbe dovuto trovarsi al più presto un'altra sistemazione.
La giovane era indecisa su cosa mettere, e alla fine, in prospettiva della visita che di li a poco avrebbe ricevuto, optò per un paio di pantaloni di Gèrard che ripiegò più volte su se stessi e una maglietta di Eve.
Non aver portato vestiti con se era stata una cattiva idea.. Si sedette pensierosa sul letto, ma non fece in tempo a cambiarsi che il campanello suonò. Per fortuna Eve e Gérard se n’erano già andati.
“Bonjour!” disse Mat, porgendole un mazzo di fiori. Margherite, forse. La squadrò per qualche istante. Odette sbuffò.
“Si, so che il mio abbigliamento può sembrarti stupido. E in effetti lo è, ma..”
“No.” la interruppe “Credo tu sia bene, dico davvero. Sembravi un confetto con tutti quei vestiti.” Fece lui.
“Uhm.. beh, grazie.” Biascicò la ragazza facendogli cenno di entrare. Odette rimase qualche istante sull’uscio della porta con lo sguardo fisso al pavimento, poi la chiuse dietro di se con un rumore netto.
“Hai fame?”
“No grazie, magari un bicchiere d’acqua.” Mat prese una sedia dal tavolo della cucina e si sedette. Bevendolo, per poco non si strozzò.
“Prima bevi e poi parla, altrimenti ti va di traverso.” Ridacchiò Odette.
“D’accordo, iniziamo?” disse lui, trepidante.
“Hai portato qualcosa con te? Ti servirebbero delle scarpette in tela..”
“Io non ho delle scarpette in tela.” Disse come fosse la cosa più brutale che avesse mai pronunciato. Odette appoggiò il suo bicchiere – oramai vuoto – e si avvicinò, aiutandolo ad alzarsi.
“Non importa, puoi usare dei calzini di Gérard.” Subito il ragazzo si tranquillizzò.
Era come se provenissero da mondi totalmente diversi, ma a Odette il suo mondo rassicurava. Non era tutto privo di emozioni e asettico.
Iniziarono dagli esercizi più semplici. Sistemarono il giradischi vicino ad una sbarra improvvisata, la musica gli inondò e Odette la ascoltò in silenzio per qualche minuto. Era così bella.
“E’ molto bella, questa musica.” Disse Mat, quasi a leggerla nel pensiero.
Odette sorrise impercettibilmente. “Mozart. Sinfonia 40 in G minore.”
“Ne ho sentito parlare.”
“Ora iniziamo.” Odette fece cenno a Mat di alzarsi dalla sedia in cui si era acciambellato.
“Questo è un pliè in prima.” Odette mostrò al ragazzo come posizionare le gambe.
“Un priè?” chiese lui.
“No, pliè, con la L. Non ne hai mai sentito parlare, come dici tu?”
“Certe volte mia sorella lo faceva, a danza, ma non pensavo servisse davvero. Voglio dire, credevo gli scappasse la pipì.” Odette guardò attonita il ragazzo, poi scoppiò in una fragorosa risata che contagiò anche il giovane.
Risero per qualche minuto, fino alle lacrime.
Solo allora Odette si accorse degli occhi di Mat. Erano blu, blu come la notte, sembravano neri visti da lontano.
Per le tre ore seguenti Odette tentò di insegnare qualche passo a Mat, soprattutto come si chiamavano. La ragazza dai capelli color della notte doveva però ammettere del suo talento naturale. Non faticava ad apprendere ed eseguire, cosa che invece molte altre persone avrebbero fatto. Forse quasi tutte.
Mat fece cenno a Odette si spegnere la musica. Era appoggiato alla sbarra con il fiato corto, minuscole sfere cristalline gli scendevano dal volto.
“Per oggi direi che può bastare.” Fece in sussurro lui.
Odette, seduta comodamente sulla sedia, se la rideva di gusto.
“Che c’è?” chiese lui, con il volto ancora intriso di sudore.
“Sai, è stato decisamente meglio che quel controllore ti abbia sbattuto fuori dai cancelli della Royal. Ti immagini, nel pieno del provino, che fai cenno al pianista di fermarsi perché sei stanco?” Anche il ragazzo scoppiò a ridere, ancora affaticato.
Sentirono la porta aprirsi. Era Eve. Odette sbiancò, sotto lo sguardo confuso dell’amico.
E adesso?
Cavolo.
“Chi è questo tizio, Camille?” Eve aveva di colpo tramutato la sua espressione, era sempre stata dolce e gentile. Ora sembrava sul punto di urlare per la rabbia.
“Lui.. ehm.. è un mio amico, l’ho rincontrato ieri pomeriggio dopo tanto tempo, abitavamo vicini, nella periferia di Rouen.”
Eve si avvicinò con sguardo vuoto al tavolo. Vi posò le mani, stringendo i pugni e guardando il legno della superficie piana. “Avresti dovuto avvisarmi che avevi ospiti, stamattina, non credi? E quella storia.. sto male zia Eve, non posso venire..” disse imitando la voce di Odette “Che gran bugiarda ingrata.”  La sua erre moscia si fece d’un tratto più marcata, quasi rinvigorita dall’arrabbiatura.
Posò il suo sguardo su Mat.
“Quelli sono i calzini di mio marito, brutto insolente. Toglili subito!” tuonò impetuosa.
“Andatevene da casa mia! Tutti e due, non ne voglio più sapere di te, Camille!”
Odette ebbe un tuffo al cuore.
E adesso?
Cavolo.
“Mi.. mi dispiac..”
“NO! FUORI, SUBITO!” Odette trattenne le lacrime. Annuì e andò a prendere le poche cose che aveva con se da camera sua. Da quelle pareti azzurro cielo che la facevano sentire tanto libera. Ma tutto ha un inizio e una fine, infondo.
L’unica cosa che la faceva tremare era solo una: Colette. Cosa avrebbe dovuto fare?
Tornare da lei? Andare in un'altra casa di sconosciuti? Erano passati una decina di giorni, da quando aveva sentito lei e la donna misteriosa discutere, per poi scappare in preda al panico.
Preparò le valigie e quando fece per salutare Eve, vide che stava piangendo.
“Vattene” la sua voce era un sussurro, ma Odette capì e annuì. Le dispiaceva non poterle raccontare la verità su di lei. Ma c’est la vie.
Una volta sbattuti letteralmente fuori di casa, Odette si rese conto che affianco a lei c’era Mat. Era pallido e confuso.
“P… perché ti chiama Camille?”
“Oh, sta zitto.” Odette tuonò minacciosa; in un momento del genere, lui dava importanza alla frivolezza di un nome. Era spaesata, letteralmente privata di identità e casa e lui, lui le chiedeva questo?
“Scusami…” Mat improvvisamente si tinse di viola e verde. Aveva un colorito ceruleo, gli occhi che si strabuzzavano dalle tempie.
“Stai bene?”
“Sono solo accaldato per la tua lezione” si grattò la nuca, guardando con fare imbarazzante il pavimento.
“Oh, era solo un plié e qualche esercizio di riscaldamento!” disse Odette.
Entrambi accennarono ad un lieto sorriso.
Nonostante le avversità.
Per un attimo a Odette tornò in mente quando, da bambina, Colette le aveva insegnato a tessere con ago e filo i ricami per i vestiti delle bambole. Le mancava, ma non poteva permettersi di perdonarle una menzogna così grande. Non dopo essersi fidata di lei per tutta un’intera vita. Ora Odette era una ragazza senza certezze, solo tanti dubbi le attanagliavano la mente. Tanti brutti pensieri le sgorgavano da dentro le vene, quasi fossero sempre stati lì, pronti a sbranarla.
E lei, una ballerina candida e debole, un vento che scivola via, ne era sopraffatta.
 
Come sarebbe stata la mia vita, se solo avessi saputo?
Perché non l’ho mai capito
Sono così stupida..
 
Vagarono a lungo, poi Mat decise che non potevano continuare così.
“Ti va di venire da me? Il posto è poco e la mia maman non è una delle più rinomate cuoche di Paris, ma siamo simpatici.” Odette era incerta. Non le piaceva l’idea di chiedere ospitalità ad una donna sconosciuta.  L’aveva appena fatto e le conseguenze erano state catastrofiche.
“Non so, ti ringrazio molto ma devo fare una cosa molto importante.” Odette aveva preso la sua decisione, inventando una scusa banale; Mat incrinò leggermente lo sguardo e, da sbilenco, le disse che non ci sarebbero stati problemi nell’accoglierla per qualche ora o giorno. Del resto, era un ragazzo sveglio, che capiva esattamente quali fossero i suoi turbamenti. Giusto il tempo di trovare un’altra sistemazione. Odette apprezzò incommensurabilmente il fatto che non avesse più accennato alla sua situazione. Perché non vai da tua madre, avrebbe potuto chiederle, ma si dimostrò discreto. La piccola ballerina lo perdonò allora del tutto, e dimenticò l’indiscrezione di qualche ora prima.
“D’acord, bien!” Sorrisero.
 
Le vie di Parigi iniziarono a svuotarsi, il cielo incupito dall’incombente presenza della luna sembrava un cappotto caldo, che Odette avrebbe volentieri indossato pur di non sentire così tanto freddo dentro. Ma la consapevolezza che stava condividendo questo momento con qualcuno la rincuorò, se non altro perché non passava tutto il tempo a piangersi addosso.
Le mancava così tanto danzare, e le mancava la sua vecchia vita. Ma era proprio a quel pensiero, quando era quasi pronta a tornare sui suoi passi e chiedere perdono a Colette, che si ricordava di Audrey, della conversazione tra le due e dei conati di vomito che, intensi, le si erano posti alla cavità dello stomaco.
Il campanile di Parigi incominciò a suonare, riempiendo le strade di un’atmosfera mistica.
Odette sospirò a fondo. Forse non avrebbe trovato una soluzione proprio in quell’istante, ma di sicuro aveva trovato un letto in cui dormire, e non era da poco.
Osservò per qualche istante Mat: camminava al limitare della strada, in equilibrio su una trave di legno.
“No, Odette! Non osare guardarmi, sennò perdo la concentrazione e ca..” non riuscì nemmeno a finire lo sbofonchiamento che con un tonfo sordo inciampò sui suoi passi, cadendo miserabilmente.
La ragazza allora iniziò a ridere forte, fino alle lacrime, finalmente felice e rincuorata.
La sua risata ballò con le note del campanile; quella sera la magica Paris era dalla sua parte, e così immersa nell’atmosfera la ragazza si perse, immersa da uno strano senso di inspiegabile felicità. E almeno una parte di lei ricominciò a danzare.

 


Mi sento un po' in imbarazzo e decisamente tanto intontita a ripresentarmi qui così.
Sono passati tre anni, e assieme a questi anni sono cambiata anche molto. Avevo interrotto la scrittura di libri, dedicandomi ad altre mie passioni, quali le poesie o la lettura. O la danza stessa, proprio come la mia affezionata protagonista Odette. Me la immagino, sapete, rinchiusa in una gabbietta. Finalmente le ho dato la chiave, e finalmente si è liberata di nuovo, dopo tanto tempo che l'avevo reclusa in uno spazio angusto nella mia mente. Mi mancava, molto, troppo. Ma non sono una persona costante, o almeno, non lo ero all'epoca della scrittura di "Odette", a tredici anni. Ora spero sia cambiato anche questo particolare ahahah :)
Spero la storia vi abbia incuriosito, avevo iniziato a scrivere questo capitolo ma l'ho ripreso in mano solo pochi giorni fa, dopo che una persona Anonima su un social network mi aveva incitato a continuare la storia. Grazie, chiunque tu sia, spero recensirai questo capitolo! E recensite anche voi, fatemi sapere se sono un rottame arrugginito o non vi è dispiaciuto!
Un bacione, al prossimo capitolo di 'Odette'! :)

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