Caribbean Tales 4 - The Lord Of Tortuga

di Laura Sparrow
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Ultime da Tortuga ***
Capitolo 3: *** Cattive Compagnie ***
Capitolo 4: *** Patti col diavolo ***
Capitolo 5: *** Tempesta ***
Capitolo 6: *** Emergenza ***
Capitolo 7: *** Fumo negli occhi ***
Capitolo 8: *** Aspettami. ***
Capitolo 9: *** In cerca di risposte ***
Capitolo 10: *** Tradimento ***
Capitolo 11: *** Fuoco alle polveri ***
Capitolo 12: *** Bugiardi ***
Capitolo 13: *** Triplo gioco ***
Capitolo 14: *** A carte scoperte ***
Capitolo 15: *** A caccia. ***
Capitolo 16: *** Pistole e sciabole ***
Capitolo 17: *** Per ora. ***
Capitolo 18: *** Eredità. ***
Capitolo 19: *** Che tu sia felice. ***
Capitolo 20: *** Oltre il limite, e ancora più in là ***
Capitolo 21: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Caribbean Tales 4
The Lord of Tortuga



Prologo



Era immerso nella nebbia.
Ovunque guardasse, vedeva solo una spessa e irreale coltre bianca e fumosa. Dov'era? Non riusciva nemmeno a vedere dove stava mettendo i piedi...
No, un momento. Sì che lo vedeva. Era sospeso sull'acqua, e galleggiava nel vuoto come un fantasma.
Quell'abisso gelido sotto i piedi gli provocò un brivido di paura: stava letteralmente camminando sull'acqua, in una nube di nebbia. C'era qualcuno con lui. Ne sentiva la presenza alle spalle: non c'era un suono né un'ombra a tradire il fatto che ci fosse qualcun altro in quel paesaggio spettrale, ma percepiva chiaramente l'altra persona dietro di sé, come se fosse arrivata in quell'istante.
- Sai cosa sto cercando. - la voce gli suonò vicinissima: poteva essere quella di un uomo dal timbro gracchiante, o forse quella di una vecchia. Anche volendolo con tutte le sue forze, non riusciva a voltarsi. Nel frattempo, il paesaggio attorno a lui cominciò a cambiare: la nebbia pian piano si diradò, mostrandogli ciò che temeva. Si trovava chiaramente in mezzo al mare, ma dall'acqua grigio ferro emergevano spuntoni rocciosi come una barriera di coltelli frastagliati.
Un momento, non poteva essere di nuovo...
- Portami lì. - ordinò la voce. Lui non mosse un passo, ma si sentì spingere avanti come se fosse privo di peso, al pari di una foglia portata dal vento, osservando tutto come se in realtà ripercorresse con la mente un percorso fatto in precedenza: un'isola rocciosa emergeva dal mare; la volta di un'immensa caverna si profilava davanti a lui. Qualcosa si muoveva nella nebbia. Dopo un istante la riconobbe come una piccola barca che avanzava lentamente verso la caverna. La scena gli parve stranamente familiare, e appena vi fu più vicino capì perché.
Una figura indistinta con un cappello a tricorno in testa remava, mentre un'altra accanto a lui reggeva su un palo una lanterna, illuminando la nebbia e l'acqua di riflessi giallastri.
L'immagine rimase per qualche istante, poi gradualmente sbiadì fino a scomparire come se non fosse altro che foschia grigia, come quella che aleggiava sull'acqua tutt'attorno a lui.
Ora però era apparso qualcos'altro: ai lati della caverna c'erano ora numerose scialuppe schierate in formazione da battaglia, cariche di soldati in uniforme rossa e bianca. Una figura in giacca blu scrutava la grotta con un cannocchiale.
“Perché di nuovo qui?” si chiese, allarmato, riconoscendo le immagini di un passato che ormai gli sembrava vecchio di secoli, anche se erano trascorsi solo alcuni anni. “No, no! Fermati! Fermati!”
Puntò i piedi sul... sull'acqua, insomma, e sebbene i suoi stivali non facessero logicamente nessun attrito, improvvisamente rallentò e smise di galleggiare in direzione della grotta.
Due mani lo spinsero dietro la schiena, due mani fin troppo reali.
- Mostrami il tesoro!- ordinò acidamente la voce.
- Cercatelo da solo!- protestò lui, cercando nuovamente di voltarsi, ma c'era qualcosa che continuava inevitabilmente ad impedirglielo. Le mani smisero di spingerlo, e la voce non aggiunse altro. Ad un tratto si sentì stranamente solo, come se la presenza che lo seguiva si fosse dileguata.
Ma, allo stesso tempo, la strana magia che lo teneva sospeso sull'acqua improvvisamente cessò: si sentì scivolare verso il basso e l'acqua lo soffocò nel suo abbraccio gelido tanto violentemente da farlo gridare. Colto di sorpresa, agitò furiosamente braccia e gambe per nuotare verso la superficie... ma qualcosa gli si era avvinghiato alla gamba e lo trascinava a fondo con violenza, sempre più velocemente.
Abbassò lo sguardo e vide che cosa lo aveva afferrato. Un tentacolo.
Noooo!
- Jack... -
Gli mancava l'aria, i polmoni fremevano, l'acqua scura premeva da ogni parte.
- Jack, spostati!-
Non vedeva più niente, l'acqua era terribilmente fredda...
- Jaaaack!-

Avevo notato che Jack aveva la bizzarra abitudine di occupare un sacco di spazio, qualsiasi cosa facesse. Il che comprendeva anche quando dormiva. Quella notte, come potei constatare quando fui svegliata da un suo sussulto improvviso, mi si era addormentato addosso e, quel che è peggio, sembrava non esserci modo di smuoverlo.
Verificato che le mie proteste non sortivano nessun effetto, puntai i gomiti sul materasso e cercai di fare leva per spingerlo via. Niente da fare.
Cercai di spostarmi di lato: niente, bloccata. Una vera e propria presa da lottatore dormiente. Mi misi a scalciare, ma le gambe di entrambi erano avviluppate in un groviglio di lenzuola. Ma come diavolo aveva fatto? Inoltre, notai in quel momento, il suo ginocchio era piantato sulla mia coscia, e me ne accorsi quando avvertii l'odiosa scarica di formicolio aggredirmi la gamba immobilizzata.
E lui? Lui continuava indisturbato a ronfare, a peso morto sopra di me senza lasciarmi muovere di un centimetro. Quel che era troppo, era troppo: lo agguantai per le spalle e presi a scrollarlo con quanta forza avevo.
- Accidenti a te, Jack, svegliati!- gli gridai nelle orecchie.
Finalmente lui aprì gli occhi con un sussulto, agitandosi come se fosse appena precipitato sul letto da una grande altezza: cercò di tirarsi indietro, ma riuscì soltanto a incespicare e ripiombarmi addosso, levandomi il fiato un'altra volta. Per un attimo restò a fissarmi con aria confusa come se non capisse dove si trovasse, quindi emise un grugnito assonnato e protestò: - Ma che ti prende?-
Cosa prendeva a me?
- Il tuo dolce peso, di grazia, mi sta un tantino schiacciando. - lo informai con calma. Lui alzò gli occhi al cielo e, dopo qualche istante di penosa lotta con le lenzuola che gli si erano avvinghiate alle gambe, si spostò da me e si girò sulla schiena, restando lì, immobile, a fissare con aria imbronciata il soffitto.
- Be'? Che cos'hai?- domandai, sorpresa dalla sua reazione. Jack rimase in silenzio ancora per un po', lo sguardo ancora perso nel vuoto, infine si decise a borbottare stancamente: - Stavo sognando. -
Mi girai su un fianco per guardarlo meglio. - Ho interrotto qualcosa di interessante?- gli chiesi, cercando di scherzare; quell'espressione così seria non era proprio da lui.
- No, figurati. Non era quel che si dice un sogno interessante, in verità. -
- Sentiamolo. -
Jack voltò la testa verso di me, aggrottando le sopracciglia nel suo modo buffo. - Perché?-
Per tutta risposta, mi strinsi nelle spalle. - Così. Sono curiosa. -
- Non era molto piacevole. -
Sogghignai e allungai una mano a pizzicargli la guancia, stuzzicandolo. - Oh, il mio piccolo capitano ha fatto un brutto sogno?- lo schernii con voce flautata; lui per ripicca scansò la mia mano, ma lo fece finalmente sorridendo.
- Se proprio ci tieni a saperlo, riguardava l'Isla de Muerta. -
A quelle parole mi accigliai. - Ancora quell'isola? Ma perché?-
- Cosa vuoi che ne sappia? Finiva che annegavo. Carino, eh?-
- Non mi piace ripensare a quel posto. - risposi in tono più serio che mai: improvvisamente mi era passata la voglia di scherzare, anche se cercai di pensare razionalmente e di ripetermi che non si trattava altro che di uno stupido sogno. - Quello è ancora un posto maledetto. -
Jack annuì in silenzio, con l'aria di stare rimuginando su quello che avevo appena detto. - Già. Forse c'è qualcun altro che sta cercando quel tesoro, adesso... -
- Affari loro, no?-
Lui esitò qualche momento di troppo per suonare veramente convincente, ma alla fine mi rispose: - Sì, probabilmente. -
“Ma allora cosa vogliono da me?” aggiunse in cuor suo.
Questo però non me lo disse.




Note dell'autrice:
Ehm ehm.
Innazitutto... salve! A chi approda su questi lidi per la prima volta, benvenuti. Se avete qualche difficoltà a capire cosa stia succedendo o chi siano i personaggi (a parte il nostro Capitano) vi faccio notare che questo è il quarto episodio di una saga attualmente in corso. A chi ritorna a leggermi dopo tanto tempo, ben ritrovati! Spero che questo inizio-lampo vi abbia incuriosito a sufficienza, che anche questa storia vi piaccia almeno quanto le precedenti, e che siate pazienti con me perché sto scrivendo a ritmo vergognosamente lento. Perciò, bentornati ai Caraibi, se avrete voglia di prestare orecchio alle mie Caribbean Tales.
Wind in your sails! (com'è bello dirlo di nuovo!)
Laura

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Capitolo 2
*** Ultime da Tortuga ***


Capitolo 1
Ultime da Tortuga


A Ettore bastò individuare quell'unica, fugace apertura nella difesa del suo avversario, e lo colpì con un pugno che gli affondò nello sterno. L'uomo si piegò su sé stesso con un gemito strozzato, le gambe gli cedettero e crollò sul pavimento sporco, boccheggiando per respirare.
Dalla folla radunata attorno alla piccola arena si levarono all'unisono grida di vittoria e di delusione: Ettore sembrò non accorgersene neppure, e rimase in piedi davanti all'uomo che aveva atterrato, squadrandolo con tutta calma. Quello, lentamente, si rialzò sulle ginocchia tenendosi il petto con una mano, quindi quella libera fece un cenno convulso: piuttosto vago, in verità, ma tutti all'interno dell'arena sapevano che cosa significava. Il tipo ne aveva avuto abbastanza. La vittoria era ancora una volta di Ettore.
Il cancelletto si aprì, e due uomini dall'aria annoiata aiutarono piuttosto frettolosamente il perdente ad uscire; qualcuno fra gli spettatori fece passare una bottiglia ed Ettore ne tracannò un sorso, poi, prima di restituirla, fece una giravolta con le braccia alzate verso il pubblico, godendosi i suoi incitamenti.
- Dio, odio quando fa così!- gemette Faith al mio fianco: aveva afferrato il cancelletto divisorio dell'arena con tanta forza da affondare le unghie nel legno.
- Oh, andiamo, se la sta cavando piuttosto bene. - replicai, sebbene in parte condividessi la sua preoccupazione per il nostro amico. Sedevamo nella prima fila degli spalti allestiti attorno alla piccola arena: Jack era di fianco a me, e come al solito sembrava perfettamente a suo agio. Al contrario di me e Faith, che non risparmiavamo urla e incitamenti, lui osservava l'incontro con blanda curiosità, come si sentisse già tintinnare nelle tasche il denaro che aveva scommesso sul nostro tenace pirata. Io invece avevo il compito di rassicurare Faith sul fatto che avrebbe riavuto suo marito tutto intero.
- Un altro sfidante!- improvvisamente da un angolo del locale si alzò un vociare che divenne via via sempre più forte. - Un altro sfidante! Un altro! Scommesse, fate le vostre scommesse, signori!-
Un altro contendente, il terzo di quella serata, si stava facendo avanti accompagnato da un gruppo di uomini che gridavano e gli battevano pacche sulle spalle. Il nuovo arrivato si stava togliendo la camicia, quindi per qualche momento non riuscii a vederlo in faccia.
Quando liberò la faccia dalla stoffa, mi accorsi che non era giovane come mi aspettavo, ma poteva tranquillamente avere qualche anno più di Ettore. Aveva una selva di scompigliati capelli di un colore strano, fra il castano e il rossiccio. “Irlandese.” mi trovai a pensare quando lo guardai entrare nel ring. I lineamenti del suo volto erano marcati e squadrati, con un accenno di barba ispida sul mento, la fronte sfuggente.
Gli spettatori vocianti passarono una bottiglia anche a lui, e lui se ne scolò un sorso in tutta calma, squadrando Ettore che, dal canto suo, lo attendeva senza fretta. Fra la gente seduta sugli spalti cominciarono a girare dobloni e foglietti di carta: tutti stavano freneticamente piazzando le nuove scommesse. Solo in quel momento notai gli occhi del nuovo avversario: erano stranamente grandi, scuri e... liquidi. Non avrei saputo in che altro modo descriverli.
- Sei pronto?- domandò ad Ettore, restituendo la bottiglia. Il pirata mosse le braccia per sciogliere i muscoli, muovendo un passo verso di lui. - Quando vuoi. -
- Bene. -
I due contendenti si avvicinarono l'uno all'altro; le urla e gli incitamenti della folla crebbero, al pari del motivetto frenetico strimpellato dalle chitarre e dal violino che non avevano smesso un solo istante di suonare durante tutto l'incontro.
- Oddio... - bofonchiò di nuovo Faith, preoccupata: stavolta però non le feci caso; guardando quei due, avevo la sensazione che quell'incontro sarebbe stato interessante.
Talmente rapido che non avrei nemmeno saputo dire quando si fosse mosso, l'irlandese sferrò un primo gancio, immediatamente parato con altrettanta energia. Ettore rispose. L'avversario parò di rimando.
Ad un tratto si avventarono l'uno sull'altro, e per un breve istante si martellarono di colpi a distanza ravvicinata: l'irlandese riuscì a colpire Ettore al collo con quelli che mi sembrarono più schiaffi che pugni, ma sembrarono sortire il loro effetto. Il pirata sobbalzò, i due si separarono.
Era stata una prova, ovviamente: si stavano ancora studiando. Improvvisamente l'irlandese si fece avanti di nuovo e sferrò quattro pugni in rapida successione, e tutti quanti cozzarono contro i gomiti che Ettore opponeva ostinatamente al suo avversario. La folla rumoreggiò. I due contendenti fecero qualche passo indietro, girandosi attorno come due cani litigiosi: Ettore grondava di sudore, ma i muscoli tesi delle sue braccia e delle spalle parlavano chiaro.
C'era da dire, però, che in quanto a muscoli neanche il suo avversario scherzava: era molto più basso di lui e non era affatto altrettanto massiccio, ma aveva due spalle da lottatore, braccia robuste e un fisico asciutto. Niente a che vedere con quei rissosi omaccioni con le pance da birra, nelle quali spesso ad Ettore bastava affondare un paio di pugni ben assestati per vederli crollare come alberi tagliati.
- Sei bravo. - sentii che lo sconosciuto diceva ad Ettore, mentre gli si avvicinava ancora, con la guardia alzata. Poi sferrò un pugno al petto, che il pirata parò. Un attimo dopo, la mano libera salì in un gancio repentino che Ettore non riuscì ad anticipare né a schivare: il pugno serrato lo colpì alla mascella, facendolo letteralmente ruotare su sé stesso e incespicare, finendo quasi in ginocchio.
La folla sembrò ammutolire ed esplodere nell'istante di un respiro, e le mani di Faith si serrarono bruscamente sul mio braccio, rischiando di ridurmelo in poltiglia.
- Dio mio!- ripeté, senza fiato, con gli occhi strabuzzati.
- Faith!- protestai, senza riuscire a strappare il braccio dalla sua morsa. Ettore intanto barcollava, con le mani premute sulla mascella. Dopo qualche attimo che sembrò eterno, si raddrizzò e si rimise in guardia, sfidando l'irlandese a farsi avanti di nuovo: ora però ogni traccia di divertimento era scomparsa dal suo viso, rimpiazzata da una cupa determinazione. Anche la gente radunata lì attorno si era fatta più silenziosa: non era questo che era abituata a vedere, di solito gli scontri non duravano più di qualche gancio bestiale sferrato a tutta potenza, prima che il più debole o il meno attento dei due avversari crollasse. Uno scontro fra pari era proprio qualcosa che ancora non si era visto.
Fu Ettore il primo a contrattaccare, caricando a testa bassa e opponendo all'avversario il gomito, mentre il pugno libero andava a colpirlo allo stomaco: l'irlandese incassò, si piegò, e prima che Ettore potesse tirarsi indietro lo colpì di nuovo al viso, con un crocchiare sordo di nocche che si scontravano contro lo zigomo.
I due si separarono bruscamente, barcollando entrambi, uno con le mani al petto, l'altro sulla faccia; quando Ettore si raddrizzò con gesto lento, scorsi l'ammaccatura sanguinante sotto le sue dita.
- Falli smettere!- protestò Faith, girandosi verso di noi con gli occhi sbarrati. - Jack! Di' ad Ettore di smettere, ora sta esagerando!-
Seduto dov'era, Jack allargò le braccia con aria impotente. - Faith, non ho voce in capitolo. - replicò, come a volersi scusare davanti allo sguardo accusatore della mia amica. Inoltre, pensai io mentre lo scrutavo di sottecchi, aveva fatto scommesse con troppa gente in quella stanza per poter fermare alcunché proprio ora.
All'irlandese non sfuggì il nostro scambio di battute, e per qualche momento lo vidi guardare nella nostra direzione prima di tornare a fissare Ettore.
- Stai facendo preoccupare i tuoi amici, laggiù. Possiamo finirla qui, basta che lo dici. - lo sentii dire al pirata, a voce bassa ma perfettamente chiara. Ettore sembrò stupito da quell'offerta e per un attimo lo vidi sgranare gli occhi, con la mano ancora premuta sul viso... poi però i suoi occhi si strinsero di nuovo, e lui si rimise in guardia con gesti lenti e misurati, recuperando la sua posizione davanti all'avversario.
- Non è finito niente. - replicò, secco. - Abbiamo cominciato, e adesso andremo fino in fondo. -
Gli spettatori sembrarono accogliere le parole di Ettore con un certo entusiasmo, cominciando a gridare: “Avanti!” e “Finiscilo!” anche se non capii quale dei due stessero incitando. Io trattenni il respiro: dalle espressioni di Ettore e dell'irlandese era chiaro che la prossima mossa sarebbe stata quella decisiva.
Stavolta fu lo sconosciuto ad attaccare per primo, e i colpi seguenti furono talmente rapidi che realizzai che era finita solo con qualche attimo di ritardo.
L'irlandese colpì Ettore con due pugni al petto che avrebbero dovuto mandarlo al tappeto, ma il pirata resistette, limitandosi ad arretrare di due passi. Poi abbrancò l'avversario con un braccio e, immobilizzatolo contro di lui, affondò una scarica di colpi tremendi dritti tra le sue costole, facendolo piegare su sé stesso come se fosse stato un pupazzo di stracci. Accompagnato dallo slancio dei suoi stessi colpi, lo spinse fino alla murata dell'arena e lo sbatté contro il legno, lasciandolo poi cadere a terra.
L'irlandese si afflosciò e giacque sul pavimento, completamente inerte.
Tutti i presenti, noi tre compresi, rimasero in un ammutolito silenzio per qualche secondo, poi la folla esplose in un boato di urla ed ovazioni, ed io ripresi a respirare liberamente.
- Andata! Scusatemi un secondo, gentilmente... - Jack si alzò vittoriosamente dalla gradinata e svicolò rapido tra la folla per raggiungere il bancone, a cui tutti stavano accorrendo per riscuotere le proprie scommesse vinte. Io e Faith invece aspettammo che venisse aperto il cancelletto, per sgusciare in mezzo alle persone che si affollavano attorno e raggiungere Ettore all'interno dell'arena.
Il pirata rivolse soltanto un vago cenno di vittoria, col pugno alzato, a tutti quelli che rumoreggiavano intorno a lui, per poi restarsene a riprendere fiato a capo chino, appoggiato alla recinzione. Faith lo raggiunse come una furia, brandendo un panno pulito e una bottiglia che aveva tenuto da parte apposta, ma quando il pirata rialzò gli occhi per guardarla stava sorridendo apertamente.
- Vi siete godute l'incontro?- ci domandò in tono assolutamente tranquillo, ben sapendo che questo avrebbe fatto infuriare ancora di più la mia amica.
- Oh, non immagini quanto. - rispose infatti lei, in tono minaccioso. Inzuppò lo straccio col contenuto della bottiglia e si avvicinò a lui. - Chinati, e guai a te se ti sento fare storie. -
Sempre ridacchiando sotto i baffi, Ettore si piegò per mettersi all'altezza di Faith e lasciò che gli ripulisse la brutta ammaccatura che aveva sotto l'occhio destro: per quella sera aveva incassato parecchi colpi, ma adesso che l'incontro era finito sembrava stare bene. Alla fine si riprendeva sempre.
La mia attenzione, invece, fu attirata dall'irlandese che ancora giaceva per terra. Non aveva aperto gli occhi da quando Ettore l'aveva mandato al tappeto, e nemmeno si era mosso: sembrava che l'avesse lasciato completamente privo di sensi. Prima che potessi avvicinarmi a lui, però, i due uomini di prima mi passarono davanti senza tanti complimenti e afferrarono l'uomo svenuto per le braccia, per poi trascinarlo fuori dall'arena con la stessa delicatezza che avrebbero avuto per un sacco di patate; li guardai farsi strada in mezzo agli avventori con il loro strano carico al seguito, e poi mollarlo in un angolo privo di gente, allontanandosi da lui nel più totale disinteresse.
La cosa era curiosa. Effettivamente, avevo già visto alcuni sconfitti venire portati via dall'arena privi di sensi, ma di solito c'era sempre qualcuno pronto a raccattarli, o almeno a svegliarli con una secchiata d'acqua in faccia. L'irlandese invece restò abbandonato nel suo angolo, e subito la massa della gente che lasciava l'arena me lo nascose alla vista.
Dietro di me, Faith ed Ettore stavano battibeccando, come facevano sempre dopo un incontro.
- Dillo, lo fai apposta? Perché sembra proprio che tu lo faccia apposta a farmi spaventare! Che cosa mi toccherò fare, un giorno o l'altro? Ricucirti? Riattaccarti qualche pezzo?- brontolava la giovane, strofinando la guancia barbuta del pirata con una delicatezza che era in netto contrasto con l'asprezza delle sue parole. Ettore si limitava a sorridere a mezza bocca, accettando di buon grado le cure della moglie. - Perché no? Potrebbe sempre capitare, e faresti meglio a tenerti pronta... - la stuzzicò ancora, tanto per divertirsi.
- Non dirlo nemmeno per scherzo. - mormorò Faith, con un lampo di preoccupazione, poi tolse lo straccio bagnato dal viso di Ettore.
Feci per dire qualcosa, ma ancora una volta, quasi involontariamente, mi trovai a voltarmi verso l'angolo dove i due uomini avevano lasciato l'avversario di Ettore. Così, dato che i due erano ancora piuttosto concentrati l'uno sull'altra, io uscii dal cancelletto e, fendendo controcorrente la massa di gente che ora si dirigeva chiacchierando verso l'uscita, raggiunsi l'angolo della sala: era in ombra, perché l'unica finestra era una grande vetrata dalle imposte spesse che gettava la maggior parte della luce sul piccolo riquadro delimitato dall'arena. E in quell'ombra c'era lui.
L'avevano lasciato seduto contro il muro, le gambe e le braccia spalancate e flosce come quelle di un burattino senza fili. Il busto nudo era imbrattato di polvere e sudore, la sua testa rossiccia era reclinata contro la spalla sinistra, inerte: avvicinandomi e stringendo gli occhi per abituarmi al passaggio dalla luce alla penombra, mi accorsi di una chiazza scura sul mento barbuto dell'uomo. Un rivolo di sangue gli usciva dalle labbra e, goccia a goccia, stava colando sul petto.
Per un attimo avvertii un fastidioso nodo alla gola, e il brivido freddo della paura. “Mio Dio, dimmi che non l'ha ammazzato...” mi ritrovai a pensare, senza riuscire a decidere che fare. C'era rimasto secco sul serio? Per questo i due lo avevano lasciato lì, senza curarsi di rianimarlo? E, dato che loro avevano lasciato perdere la cosa, voleva dire che eravamo autorizzati a lasciarla perdere anche noi?
Inghiottii la saliva e allungai una mano verso l'irlandese, appoggiando due dita sul suo collo: lì per lì non sentii niente, poi mi convinsi a premere un po' più forte, affondando i polpastrelli nel muscolo teso. Solo allora, con un certo sollievo, sentii una lieve pulsazione.
- Non ha proprio una bella cera, non trovi?-
La voce di Jack a meno di un passo da me per poco non mi fece fare un balzo per la paura, ma mi limitai a voltarmi di scatto, ritraendo la mano dal collo dell'irlandese svenuto. Jack era proprio dietro di me -chi l'aveva sentito arrivare?- con le braccia incrociate dietro la schiena, e si sporgeva di lato per guardare l'uomo accasciato sul pavimento con aria incuriosita.
- E' quello che stavo pensando. - replicai, un po' seccata per essermi lasciata sorprendere in quel modo. - Perché lo hanno trascinato qui? E' svenuto ed è ferito... e non è morto, anche se a guardarlo prima non ci avrei scommesso. -
Jack mi passò davanti e si inginocchiò davanti all'irlandese, chinandosi a squadrarlo da capo a piedi come se stesse cercando di guardarlo da ogni angolazione. Poi fece una smorfia, si strinse nelle spalle e si tirò indietro, voltandosi verso di me. - Non è messo bene, no. Temo che Ettore ci sia andato giù pesante, questa volta... certo è che il nostro amico testarossa, qui, ci ha appena fatto guadagnare un bel gruzzolo, con la sua sconfitta. -
- Jack, non dovremmo... che so, cercare di svegliarlo?- alzai le spalle, sentendomi vagamente a disagio. Il capitano mi fissò con aria interrogativa per un momento, poi si girò verso l'uomo e gli agitò le mani davanti alla faccia come se volesse ipnotizzarlo.
- Svegliati!- declamò, con voce profonda. Dopo essere rimasto a guardarlo per qualche attimo, si voltò di nuovo con un sogghigno. - Niente da fare, temo che non voglia collaborare. -
Sbuffai, alzando gli occhi al cielo. - Non sei divertente!- commentai, girandomi e cercando con lo sguardo Faith ed Ettore, che in quel momento stavano uscendo dal cancelletto dell'arena.
- E tu non sei un buon pubblico!- mi gridò dietro lui, mentre raggiungevo i due a passi svelti. Faith aveva ancora in mano la bottiglia mezza vuota che aveva usato per disinfettare le ferite di Ettore; quando le fui accanto gliela presi di mano, agitandola un po' per verificare che dentro ci fosse rimasto qualcosa.
- Faith, Ettore, seguitemi. - le spiegazioni potevano aspettare: mentre i miei due amici, senza capire la mia fretta, mi venivano dietro, io tornai all'angolo dove avevo lasciato Jack e l'irlandese. Sotto lo sguardo stupito di tutti, mi chinai sull'uomo svenuto e gli versai in faccia tutto il contenuto della bottiglia: doveva essere un qualche rum annacquato; il liquore ambrato lo inzuppò da capo a piedi, ma questo non provocò nessuna reazione.
Jack si protese a dare un'annusata, e storse il naso. - Pessimo. Cristo, dire che così è sprecato è quasi dire tanto... se non si sveglia neanche con questo allora è davvero messo male!-
- E' questo che mi preoccupa. - sospirai, posando a terra la bottiglia vuota. - Faith, vieni a dargli un'occhiata. -
Un po' riluttante, Faith si scostò dal fianco di suo marito per esaminare l'irlandese: restammo tutti a guardarla in silenzio per un po', mentre lei si accertava che respirasse, cercava eventuali ferite alla testa e con estrema cautela gli raddrizzava il collo. Vidi la sua espressione incupirsi mentre scrutava il sangue scuro che gli colava dalle labbra, e farsi ancora più grave mentre gli tastava le costole con le dita: quando alzò gli occhi aveva messo su il cipiglio severo che aveva tutte le volte che veniva chiamata a fare il suo dovere di medico. - Ha preso un brutto colpo, credo che abbia qualche costola incrinata. Ed è anche un brutto segno che non si sia ancora svegliato, se c'è del sangue nei polmoni la cosa potrebbe diventare complicata. -
Sul viso di Ettore per un attimo balenò un lampo di preoccupazione. - Ma se la caverà?-
- Non se lo lasciano qui, di certo. Dove sono gli uomini che erano con lui? Perché nessuno l'ha aiutato?- la mia amica si guardò attorno, come cercando qualcuno che venisse a reclamare il nostro sfortunato irlandese, ma ormai nell'arena non era rimasto più nessuno: c'era giusto un ragazzetto intento a spazzare il pavimento dell'arena, totalmente disinteressato a quello che stavamo facendo noi cinque nell'angolo.
- Ehi, tu!- lo chiamò Ettore, alzando la voce. Il ragazzetto si girò e, alla vista dell'uomo massiccio che aveva appena fatto piazza pulita di tutti i suoi avversari solo pochi minuti prima, sobbalzò e arretrò, intimidito. - Hai visto gli uomini che erano entrati insieme a questo qui?-
- Sono andati tutti via, signore. - rispose il ragazzetto senza guardarlo in faccia, chiaramente ansioso di chiudere la conversazione.
- Ma come? Senza aiutarlo? E il tuo padrone che ti ha detto? Da quando butta via gli sconfitti come sacchi di immondizia?- insistette il pirata, ma sotto le sue domande il ragazzo si limitò a farsi piccolo piccolo e tornare freneticamente al suo lavoro, voltandoci le spalle.
- Io non so niente, signore. Il capo ha detto di lasciarlo lì, e io di certo non lo tocco. -
Non aggiunse altro, e sembrò disinteressarsi completamente della faccenda. Ettore guardò l'irlandese svenuto ancora per un attimo, poi si voltò verso Jack. - Capitano, chiedo il permesso di portare quest'uomo a bordo. -
- Perché?- replicò lui, con un'alzata di spalle. - Non possiamo fare granché per lui, ci sarebbe solo di intralcio. -
- Lo so, ma se lo portiamo a bordo Faith può cercare di curarlo. - insistette il pirata. - Solo finché non si rimetterà. Non posso lasciarlo qui. -
Sorrisi tra me mentre li ascoltavo: Ettore era ben strano per essere un pirata; pur avendo navigato agli ordini di un capitano come Beatrix Barbossa, in qualche modo veniva sempre fuori quella sua strana, innata lealtà. Sotto sotto ero convinta che avesse a che fare con una sua radicata concezione dell'onore: non avevo dimenticato che, quando eravamo stati prigionieri sulla nave del suo precedente capitano, lui aveva cominciato a darci fiducia da quando Faith aveva prestato aiuto ad un ferito della sua ciurma. Ettore era fatto così: non abbandonava le persone, se sentiva di dover loro qualcosa. Probabilmente era stata la nascita del suo legame con Faith a spingerlo ad opporsi al suo capitano, fino a rinnegarlo.
Jack ci pensò su per qualche istante, squadrando ora Ettore ora l'irlandese svenuto, mentre si carezzava pensosamente la barba, quindi fece un cenno di assenso allargando le braccia. - Fai come vuoi. Portatelo a bordo e fate tutto quel che potete per rimetterlo in sesto. Nel migliore dei casi saranno due braccia in più nella ciurma, comprendi? Avanti, ora, tiratelo su. -
Senza bisogno dell'aiuto di nessuno, Ettore si chinò sull'irlandese e se lo caricò sulle spalle come se non pesasse nulla. - Faith. - fece un cenno col capo alla mia amica, e lei si mise di fronte a lui per fargli strada mentre uscivano dal capannone dove si era tenuto l'incontro.
Una volta fuori, in strada, ci accolse una penetrante puzza di marcio e di polvere da sparo; il consueto odore di Tortuga. Non c'era molta gente per le strade ma, a parte questo, la città era immersa nel suo consueto caos serale, e la notte era appena iniziata.
Ettore, col suo insolito carico sulle spalle, e Faith si separarono da noi e si diressero verso il porto; io e Jack invece ci ritrovammo soli davanti alla porta ancora spalancata del capannone, col baccano degli ubriachi che veniva dalle strade e dalle porte aperte delle bettole.
- Ebbene... - fece Jack, congiungendo le dita delle mani con fare solenne e scoccandomi un'occhiata. - Mentre i nostri amici fanno il loro dovere di buoni samaritani, dove ce ne andiamo noi questa sera?-
- Possiamo raggiungere gli altri alla Red Rose? So che Valerie voleva andare a trovare Daphne; credo che abbia appena avuto il bambino. -
La Daphne di cui parlavo era una giovane donna che Valerie aveva conosciuto tempo prima, quando ancora lavorava come locandiera, ed erano diventate amiche. Era anche una prostituta della Red Rose, che a dirla tutta non era un brutto posto in confronto al resto di Tortuga: nelle ultime settimane, nelle quali avevamo letteralmente fatto avanti e indietro dal porto della città, avevo avuto occasione di passare per quel bordello più volte. Lì vivevano le uniche amiche che Valerie avesse mai avuto prima di essere arruolata da me sulla Perla. Avevo perfino cominciato ad apprezzare quel posto: non era affatto cupo e sudicio come le altre case di piaceri, e nemmeno la clientela era altrettanto losca; un bordello di lusso, insomma. Tramite Valerie, anch'io avevo conosciuto Daphne e avevo stretto amicizia con lei: era già in gravidanza avanzata quando l'avevo vista per la prima volta, e ora, stando a quanto mi aveva riferito la mia amica, doveva avere da poco dato alla luce il suo bambino.
Alla mia richiesta, Jack si limitò a scrollare le spalle. - Cose da donne. - scherzò, con un tono di sufficienza fatto apposta per punzecchiarmi.
- Ci vado anche da sola, se vuoi. - replicai prontamente, sogghignando.
- Scordatelo. - il capitano ricambiò apertamente il sorriso, mentre con un gesto sottilmente possessivo mi circondava le spalle con un braccio e mi conduceva con sé.
La Red Rose era un edificio grande e quasi elegante, dalle mura color crema, dove l'umidità aveva scrostato l'intonaco solo in pochi punti: davanti all'ingresso -un largo portone spalancato in cima a quattro scalini- stavano alcune donne in abiti vaporosi e variopinti, tutte intente a salutare in modo più che vivace un gruppo di marinai che stavano passando per la strada a bordo di un carro. Noi evitammo l'entrata principale, svicolando di lato all'edificio e raggiungendo la porta posteriore delle cucine: lì, nel vicolo, trovammo Will seduto su una panca.
- Ma guarda chi si vede!- fece Jack a mo' di saluto mentre ci avvicinavamo. - Per curiosità, come mai sei qui fuori, quando è così palese che si sta meglio dentro? Sembri in punizione. -
Will alzò gli occhi al cielo, ignorando la frecciata. - Valerie ed Elizabeth sono entrate a cercare Daphne, io sono rimasto qui con David. Non mi sembrava il caso di portarlo dentro. - accennò al fondo del vicolo, e solo in quel momento il bambino saltò fuori da un sacco vuoto dentro il quale si era infilato, agitando le braccia come un matto.
- Buh!- ci gridò, tutto contento, col faccino rosso e i lunghi capelli chiari tutti scarmigliati.
Jack si portò le mani al petto e si ritrasse da lui, con aria adeguatamente impressionata. - Terrificante. Ora, William, ti prego, possiamo entrare? Se non ti spiace devo accompagnare la mia signora, e stare seduti di fuori è un'ipotesi talmente triste che non voglio neanche prenderla in considerazione, comprendi? Ti assicuro che per il tuo marmocchio è molto meglio questo bordello che la Sposa Fedele!-
Sorrisi e tirai una gomitata a Jack, per poi rivolgermi a William. - Will, portalo dentro senza problemi: tienilo d'occhio e vedrai che non incapperà in niente di sconveniente!-
Il giovane sembrò sul punto di rifiutare, ma poi cedette e prese per mano David per seguirci. Era buffo vederlo in queste situazioni: quando lo guardavo, a volte ancora non sapevo se stavo guardando il giovanotto silenzioso ed educato che Elizabeth mi aveva presentato anni e anni prima, o il capitano pirata che era appena diventato. Will era reduce dal suo primo mese come capitano, e se la stava cavando egregiamente: buona parte dei nostri viaggi dentro e fuori da Tortuga, in quelle settimane, erano stati proprio per reclutare abbastanza uomini per la nuova ciurma. Entrambi, sia Will che Elizabeth, si erano guadagnati in fretta il rispetto e l'obbedienza dei loro uomini, forse grazie anche all'influenza del burbero e inimitabile Trentacolpi, unico rimasto della vecchia ciurma di quella che era stata la Queen Anne's Revenge di Barbanera: l'arzillo vecchietto aveva chiarito fin da subito che chiunque si trovasse su quella nave doveva fedeltà al “capitano Turner”, e se qualcuno si fosse messo in testa strane idee gli avrebbe fatto mettere la testa a posto insieme ad una o due delle sue “ragazze”, preferibilmente Diamante e Rubinia, quelle delle grandi occasioni. Nessuno della ciurma aveva fatto il difficile.
In seguito, Will era rimasto una giornata intera ad arrovellarsi per trovare un nome degno della sua nuova nave: non era un'impresa da poco; ci voleva un nome appropriato, particolare, e che non fosse la brutta copia di “Perla Nera”. Ci si era rotto la testa per ore e ore: voleva qualcosa che lo rappresentasse, ma che simboleggiasse anche la sua ritrovata libertà.
Poi, all'improvviso e quasi per caso, la folgorazione. Così semplice! Così ovvio!
Così, da poco più di un mese, la Sputafuoco navigava al fianco della Perla Nera, e i nostri arrembaggi combinati erano stato molto fruttuosi.
Jack batté quattro colpi sulla porticina, e qualche istante dopo da dentro si sentì un cigolio sonoro e si aprì uno spiraglio. Si affacciò un uomo dalla pelle nera, che riconobbi come uno di quelli che lavoravano nelle cucine: ci riconobbe a sua volta e, dopo averci fatto un cenno d'assenso, borbottò uno sbrigativo: - Entrate. - facendosi da parte per lasciarci passare. Facemmo il nostro ingresso nelle cucine, dove delle giovani ragazze, alcuni negri e anche qualche monello sui tredici anni si occupavano di cucinare e pulire: passammo in mezzo alla folla ed attraversammo un piccola porta chiusa solo da una tenda, per ritrovarci in una saletta altrettanto gremita. Ora la maggior parte degli occupanti erano donne in abiti succinti e alcuni sguatteri che correvano dappertutto come palline impazzite: eravamo ad un passo dalle vere e proprie sale del bordello, attraverso un arco potevo vedere l'ingresso e il corridoio rivestito di tappezzeria rossa. In mezzo a tutta quella gente, una donna impartiva istruzioni col cipiglio di un capitano che dava ordini ai gabbieri.
Jane Bondies, la proprietaria della Red Rose, aveva una certa età ma era ancora una donna bella e forte come la roccia: indossava un vaporoso vestito nero e scarlatto, non meno appariscente di quelli che indossavano le sue ragazze dedite ad un altro tipo di affari, e i suoi capelli castani striati di grigio erano raccolti in una severa crocchia sulla sommità del capo.
Era lei a gestire tutti gli affari: la Red Rose rimaneva pur sempre un bordello, certo, ma miss Bondies ne aveva fatto il suo regno e la sua fortezza; in quel bordello nessuna prostituta sarebbe mai morta di freddo, di fame o di malattia.
- Chiama qualcuno che ripari quella finestra, quei dannati ubriachi l'hanno fracassata un'altra volta. - stava dicendo in tono sbrigativo ad un ragazzo, mentre noi ci avvicinavamo accompagnati dall'uomo che ci aveva fatti entrare. - E qualcun altro si occupi di pulire le latrine. Ah, e voi due... - si rivolse a due ragazze. - Accompagnate subito Helena in infermeria, e non voglio sentire storie. Non ha un briciolo di criterio, con la febbre che ha!-
- Miss Bondies!- la chiamò il negro. - Abbiamo altre visite. -
- Cosa c'è adesso, altri perdigiorno ubriaconi? Ditegli che qui si accettano solo quelli con i soldi!- replicò lei, voltandosi. Quando ci vide, però, spalancò gli occhi con sorpresa.
- Quelli che entrano dalla porta posteriore solitamente non sono perdigiorno ubriaconi, mi pare di ricordare. - rispose Jack con un sorriso, allargando le braccia e accennando un inchino.
Miss Bondies ci venne incontro, il viso illuminato da un sorriso gioioso. - Oh, siete voi! Che piacere rivedervi, capitano Sparrow... - fece a sua volta una riverenza. - Milady, e... qual è il vostro nome, signor...?-
- William Turner. Piacere mio. - si presentò Will, con David al fianco.
- Sempre felice di vedere facce nuove da queste parti. Oh, è adorabile!- aggiunse la donna, chinandosi a dare un buffetto sulla guancia a David. Dopodiché tornò a rivolgersi a me: da quando l'avevo conosciuta, miss Bondies sembrava avere cominciato a nutrire una grande ammirazione per me, Faith e Valerie; stando a quanto avevo sentito, eravamo diventate una specie di leggenda tra le ragazze della Red Rose. Per loro, noi eravamo delle eroine, donne che andavano per mare e combattevano come gli uomini. Facile immaginare come la cosa potesse sembrare straordinaria alle ragazze di un bordello. - Cosa posso fare per voi?-
- Sono qui per una visita di cortesia; so che Valerie ed Elizabeth sono venute per vedere Daphne, le posso raggiungere?- risposi.
- Ma certamente!- miss Bondies si voltò per richiamare una giovane ragazza dal succinto vestito rosso. - Dorothy! Per favore, accompagna i nostri ospiti da Daphne. Quella ragazza ha un sacco di visite oggi!-
La giovane di nome Dorothy ci si accostò, sorridendo apertamente: era un'altra recente conoscenza all'interno della Red Rose; era davvero molto giovane, con lunghi boccoli neri e un viso tondo con due graziose fossette ai lati della bocca. Non avevo dubbi che fosse piuttosto richiesta dagli avventori.
- Prego, venite con me. - disse vivacemente, prendendo a braccetto Will. Quest'ultimo, colto totalmente alla sprovvista e ora bloccato da entrambe le parti con David per mano e la giovane appesa all'altro braccio, avvampò improvvisamente, e Jack si lasciò sfuggire una risatina.
- Dorothy, questo qui è sposato e ha un bambino al seguito, se non l'hai notato. - le fece presente il capitano, indicando David con un gesto pigro. Dorothy si limitò a fare un sospiro vagamente deluso, ma non lasciò il braccio di Will -cosa che lo fece arrossire ancora di più- mentre ci guidava verso i dormitori. Le stanze migliori dell'edificio erano logicamente riservate ai clienti, ma tutto il piano inferiore era adibito a dormitorio per le donne che vivevano nel bordello: la stanza di Daphne era un distaccamento dell'infermeria, dove le convalescenti potevano avere un po' di tranquillità ed intimità. Dorotyhy bussò e, dopo un attimo, una voce assonnata ci disse di entrare.
La camera era piccola ed era occupata da due letti semplici: in uno giaceva una donna profondamente addormentata, che russava piano dando la schiena al resto della stanza, nell'altro stava seduta Daphne, una giovane dai capelli biondi e i tratti delicati. Le sue guance pallide erano chiazzate di rosso, ma sorrideva; portava una camicia da notte un po' troppo larga che faceva sembrare ancora più esile la sua figura minuta, e tra le braccia teneva un fagottino che solo dopo qualche istante riconobbi come un neonato.
Sedute ai piedi del suo letto, proprio sul bordo, c'erano Elizabeth e Valerie, che si voltarono verso di noi non appena sentirono aprirsi la porta.
- Ehi, che piacere rivedervi. - mi fece Daphne, rivolgendomi un sorriso stanco.
Elizabeth lanciò uno sguardo dietro le mie spalle e, vedendo Will con David, si accigliò. - Will, ti avevo detto di tenere David fuori!- gli fece, in tono di rimprovero.
William posò una mano sulla spalla del figlio, con gesto protettivo. - L'avrei fatto, ma hanno insistito. E comunque, qui ai piani di sotto non vedrà niente di sconvolgente. - scherzò, con un mezzo sorriso. Fortunatamente, Dorothy si era decisa a staccarsi dal suo braccio prima che venisse aperta la porta. Con un sospiro, Elizabeth fece un cenno al bambino e quello la raggiunse trotterellando per farsi sollevare e mettere a sua volta a sedere sul bordo del letto.
- Vi lasciamo sole. - mi disse Jack, facendo per richiudere la porta dietro di loro.
- Quando esco ti voglio trovare lì dalla porta... da solo!- lo avvisai, puntandogli un dito contro a mo' di ammonimento; lui sfoggiò il più smagliante dei sorrisi e mi mandò un bacio, prima di chiudere la porta dietro lui e Will.
- Ciao, Daphne. Sono passata solo per vedere come stavi... - dissi, avvicinandomi al letto. - E' un brutto momento?-
La giovane scosse il capo e mi fece cenno di venire più vicino, sistemandosi meglio il neonato in grembo. - No, no: lui ha appena finito di mangiare e io sono solo un po' stanca. Vieni. Non mi aspettavo di vederti. -
- Solo perché sono un capitano, non vuol dire che nego una visita ad un'amica!- sorrisi, mettendomi a sedere sul primo angolo libero di letto che trovai.
- Devi ancora conoscere Richard. - saltò su Valerie non appena mi sedetti, indicando il bambino. - Faglielo tenere, Daphne. -
Realizzai che cosa volesse dire solo quando la giovane si sporse verso di me e mosse il fagottino nella mia direzione, invitandomi a prenderlo: appena me ne resi conto, mi feci istintivamente indietro e scossi il capo. - No, guarda, non... -
- Non fare storie. Non puoi essere l'unica qui a non avere avuto il piacere!- Valerie zittì i miei tentativi di protesta, e Daphne continuò a porgermi il suo bambino col sorrisetto di chi la sa lunga. Ora non potevo più sottrarmi. Sentendomi improvvisamente tesa come se avessi dovuto prendere in mano delle braci accese, mi avvicinai a Daphne e cercai di mettere le braccia esattamente come le stava tenendo lei, mentre lei mi passava il bambino in tutta tranquillità. L'attimo dopo, avevo il neonato tra le braccia.
Era talmente piccolo da sembrare quasi irreale; avevo la sensazione che se avessi allentato la stretta, anche solo di poco, mi sarebbe potuto scivolare tra le mani e cascare per terra come una monetina. Ad un tratto il bambino socchiuse le palpebre e mi trovai a fissare due occhietti di un azzurro sbiadito; ero quasi certa che se il bimbo avesse potuto parlare, in quel momento mi avrebbe detto qualcosa tipo: Chi sei e perché diavolo mi stai tenendo in braccio tu?!
Uno scoppio di risate mi riportò bruscamente alla realtà, anche se ancora non osavo muovermi di un millimetro per non disturbare la creaturina estranea che tenevo in braccio.
- Puoi anche respirare, ogni tanto. - mi canzonò Valerie, senza smettere di ridere.
- E puoi anche muoverti: guarda che non si impressiona così facilmente!- rincarò Daphne.
- Lei invece sì, a quanto pare. - rise Elizabeth a sua volta, con le mani posate sulle spalle di David che si allungava, curioso, per scrutare il neonato.
- Molto divertente. - sbottai, azzardandomi a spostarmi appena verso la madre. - Adesso puoi riprenderlo, prima che lo rompa, o lo faccia esplodere, o quello che è?-
Questo le fece ridere ancora, e Daphne si riprese gentilmente il piccolo Richard, che tornò a sonnecchiare più tranquillo sul suo grembo. Valerie mi scoccò uno sguardo divertito. - Non voglio vedere cosa succederà quando ne avrai uno tuo. - commentò in tono malizioso.
Le sue parole ebbero su di me un effetto del tutto inaspettato: ad un tratto mi trovai ad avvampare fino alla radice dei capelli, e cominciai a sentirmi a disagio come se mi mancasse l'aria. - Non mi sono mai posta il problema, e non credo che me lo porrò. - tagliai corto, senza incrociare lo sguardo di nessuno. Conoscevo quella sensazione, e sapevo che era dovuta a tutta quell'attenzione non desiderata, e ad un argomento di cui non volevo parlare. Daphne sembrò accorgersi del mio disagio, perché distolse gli occhi da suo figlio e li rialzò su di noi per cambiare completamente discorso.
- Avete saputo degli ultimi trambusti in città? Ah, no, probabilmente no... passerete molto più tempo al porto che in città. - si corresse da sola, facendo un cenno con la testa. - E' comparsa una nuova grande banda, guidata da un uomo che si chiama Robert Silehard. Ha acquistato moltissimo potere in pochissimo tempo e sempre più banditi si stanno mettendo sotto il suo comando, attratti dal guadagno. Si sta facendo conoscere in fretta, su questo non c'è che dire. -
- In bene o in male?- domandò Valerie, che ascoltava le notizie con aria corrucciata.
- Dipende da che parte lo guardi. - rispose lei con un sorrisetto strano. - Comunque, girano voci strane su questa gilda di briganti: lui e i suoi sono conosciuti perlopiù nel centro della città, anche se le sue spie sembrano essere ovunque. Da come si atteggia si direbbe che si sente già padrone del posto! Ma stavo dicendo... certi dicono che un uomo da solo non può esercitare tanta influenza così rapidamente su una città. Si dice che Silehard stesso non sia che un burattino nelle mani di qualcuno che controlla la gilda dall'interno. -
- E chi sarebbe questo burattinaio nascosto?- domandai, sempre più interessata. Daphne spalancò gli occhi e con un sorriso a stento represso bisbigliò: - Streghe! Un gruppo di streghe che guidano ogni mossa di Silehard su Tortuga. -
Rimanemmo in silenzio per un attimo, poi le spalle di Daphne sussultarono lievemente mentre lei iniziava a ridacchiare, seguita a ruota da Valerie che rise alzando gli occhi al cielo. Anche io ed Elizabeth ridemmo, anche se un po' in ritardo rispetto a loro, e sapevo anche il perché. Valerie non aveva visto l'Isla de Muerta. Non aveva visto Jack trasformato in non morto sotto la luce della luna. Io avevo imparato a mie spese che le storie di fantasmi erano più reali di quanto avessi mai pensato... tuttavia, stavolta risi ugualmente, perché quella storia aveva più il sentore di una superstiziosa voce di corridoio che non di una vera e propria leggenda.
In quel momento il piccolo Richard fece notare la sua presenza con uno strillo lamentoso, agitandosi fra le braccia di Daphne: lei si chinò sul bambino e lo cullò teneramente, sussurrandogli dolci parole, allora lui si calmò e prese a succhiarsi il pollice minuscolo. Intuii che era il momento di togliere il disturbo: ci congedammo da Daphne, che ci ringraziò ancora per la visita, quindi uscimmo nel corridoio.
Jack era seduto, o per meglio dire mezzo stravaccato, su di una panca addossata al muro; al suo fianco sedeva Will, con l'espressione di chi non vede l'ora che una tortura finisca, e accanto a lui, quasi sedutagli in grembo, Dorothy si intratteneva con lui in un animato monologo al quale il giovane, a tratti, rispondeva suo malgrado a monosillabi o a cenni del capo, evitando in tutti i modi di incrociare lo sguardo della sua procace accompagnatrice. Dal canto suo, Jack li osservava di sottecchi col sogghigno strafottente di chi si sta divertendo un mondo.
- Andiamo?!- mi affrettai a domandare, fermandomi bruscamente sulla porta nel tentativo di trattenere Elizabeth all'interno della stanza. Jack annuì e si mise in piedi col suo consueto incedere dondolante, e lo stesso fece Will quasi all'unisono, con aria decisamente sollevata.
- Ve ne andate di già?- fece Dorothy, delusa, riacchiappando lesta il braccio di Will. Per quanto la situazione stesse diventando rischiosa, dovetti fare del mio meglio per non ridere: alle mie spalle, Elizabeth si schiarì sonoramente la gola, e l'attimo dopo mi aveva già superata e si era fermata in mezzo al corridoio, fissando Dorothy con espressione assolutamente letale.
- Sì, e in fretta anche. - fece per tutta risposta, in tono mortalmente calmo.
- Ci sono amici che ci faranno pagare da bere se tardiamo ancora. - aggiunse Jack con tutta tranquillità, ignorando gli sguardi assassini che si stavano scambiando le due donne e facendo a noi cenno di seguirlo. Elizabeth restò a squadrare la giovane prostituta ancora per qualche istante, poi strinse le labbra e fece un cenno col capo in modo molto eloquente, al che Dorothy lasciò andare in fretta il braccio di William. Io e Valerie, da vigliacche che eravamo, stavamo ancora trattenendo le risate.
Tutti insieme girammo sui tacchi e ripercorremmo il corridoio dal quale eravamo venuti, con David che trotterellava allegro in testa al gruppo ed Elizabeth e Will che non dicevano una parola, l'uno troppo imbarazzato e l'altra troppo indispettita. Prima che l'atmosfera diventasse troppo pesante, Will si decise a voltarsi verso sua moglie e a rompere il silenzio. - Liz, ti assicuro che io non l'ho incoraggiata. -
- Non ne ha avuto bisogno. - aggiunse Jack, con un sogghigno. L'attimo dopo si lasciò sfuggire una specie di guaito mentre il mio gomito affondava repentinamente nella sua costola sinistra.
- Infatti non era per David che ti avevo chiesto di restare fuori. - replicò lei, inflessibile. Dopo qualche momento però rinunciò a tenere il muso, e si limitò a scuotere la testa con un sospiro; per tutti fu chiaro che Will era già perdonato. - Dove sono Faith ed Ettore?- domandò infatti poco dopo, in tono molto più tranquillo di prima.
- Alla Perla. - rispose Jack, evasivo. - Avevano una piccola questione di cui occuparsi. -
E, senza aggiungere altro, lasciammo il bordello per tornare in strada, diretti all'Albatro.









Note dell'autrice:
Si riparte!
Che piacere rivedere facce conosciute: Mally, grazie per esserti riconfermata una fedelissima, spero che questo capitolo soddisfi la tua curiosità! Fannysparrow ben ritrovata e, per rispondere alla tua domanda, certo che torneranno tutti, compresi Will ed Elizabeth con tanto di David al seguito, come hai potuto vederli or ora!
Approfitto di questo spazio per un po' di pubblicità ed autocelebrazione: voglio condivedere con voi lettori un regalo bellissimo che mi è stato fatto di recente. C'è una ragazza che su internet si fa conoscere come Rivan, o Jubilo: io la conosco di persona, anche se non da molto, eppure ha voluto farmi un omaggio inaspettato quanto gradito. Perciò bando agli indugi e fate vela QUI, perché in questa pagina di pregevolissimi sketch, chi abbiamo in alto a sinistra? CHI abbiamo?! Non ditemi che non l'avete riconosciuta! Io sì, e mi sono sciolta in strilli da fangirl per un'ora.
E per meglio rendere grazie al talento di questa ragazza (fatelo, o vi mando a spasso sull'asse) godetevi anche il resto della sua Gallery.
Wind in your sails!

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Capitolo 3
*** Cattive Compagnie ***


Capitolo 2
Cattive compagnie



Stranamente quella sera non c'era molta gente all'Albatro, e mi chiesi come mai.
Bill Night, il locandiere, stava conversando animatamente con tre uomini che bevevano al bancone, mentre qualcuno seduto ai tavoli beveva in silenzio o giocava a dadi; nell'angolo più lontano della locanda cinque uomini armanti fino ai denti stavano giocando a carte attorno ad un tavolo. In ogni caso, me ne dimenticai alla svelta, perché appena entrammo fummo accolti da una voce burbera che esclamò: - Finalmente! Ero convinto che non sareste arrivati più!-
- Quasi ci speravi, vero?- Jack sorrise ironico a Gibbs, che ci veniva incontro attraverso la sala mezza vuota. - Ci hai tenuto un tavolo?-
- Certo. Non è stato difficile, come puoi vedere. - rispose il nostromo, accennando col capo ai numerosi tavoli vuoti mentre accompagnava la nostra combriccola ad accomodarsi a quello più vicino.
- Come mai è così vuota, stasera?- chiese Valerie mentre ci mettevamo a sedere. Gibbs fece spallucce. - A dire il vero non ne ho idea. Però posso dirvi... che prima sono stato a parlare con Bill, e gli ho chiesto proprio di questo. Ma, giusto mentre stava per raccontarmi qualcosa, uno di quei tre uomini che vedete ancora lì al bancone l'ha chiamato e lui non è più riuscito a liberarsene. -
- Be', ora dovrà farlo, perché io ho proprio la gola secca. - disse Jack, tirando fuori la borsa del denaro, che si era notevolmente appesantita dopo tutte le scommesse sull'incontro di Ettore. - Vediamo... rum per tutti?-
Jack e Will andarono al bancone per prendere da bere, ma Gibbs, che per niente al mondo avrebbe mai perso l'occasione di raccontare qualche novità di prima mano, si chinò sul tavolo con fare cospiratore e fissò noi tre con espressione serissima. - Non è certo per allarmarvi, signore mie... ma mentre vi aspettavo ho osservato, e il diavolo mi porti se non ci ho messo più di qualche istante a fare due più due! Mi sa che stasera, per caso, siamo finiti proprio nella taverna che tutti hanno deciso di evitare. Ma come mai? Ve lo siete chiesto?-
- Veramente no. - ammisi. - Dopotutto sono stati già in molti a dirci che da un po' di tempo in città tira un'aria strana, non è così?-
Gibbs scosse il capo. - No, no... quando la nave affonda, i topi sono i primi a scappare: e stasera qui all'Albatro non c'è neanche un topo. Chi vogliono evitare? Chi è che stasera ha spaventato tutta la clientela?-
Non ebbe bisogno di rispondere a quella domanda: d'istinto, molto lentamente, tutti e quattro ci girammo poco a poco verso il tavolo dei giocatori di carte. Nessuno di loro ricambiò la nostra occhiata, ma noi fummo ugualmente molto svelti a distogliere lo sguardo come se niente fosse accaduto, ora sentendoci tutti quanti un tantino a disagio. Che Gibbs avesse ragione? Forse la presenza di quei tizi inquietanti non era proprio casuale.
Nel frattempo, i tre uomini con cui Bill Night stava parlando cominciavano a sembrare molto agitati. Per l'esattezza, ubriachi fradici. Quando il locandiere si congedò da loro per versare il rum ai nostri uomini, i tre si allontanarono dal bancone barcollando e imprecando a gran voce, reggendosi in piedi a stento: facevano un tale baccano nella locanda così insolitamente quieta che perfino David smise di camminare carponi sotto il nostro tavolo per voltarsi a guardarli.
Lanciai a mia volta un'occhiata stizzita, che divenne esasperata quando mi accorsi che i tre avevano deciso di venire ad infastidire proprio noi. Ormai sia io che le mie amiche frequentavamo così tanto il porto di Tortuga e le locande come l'Albatro o la Sposa Fedele che, di norma, nessuno più veniva ad importunarci: ci mescolavamo perfettamente col resto degli avventori, e finivamo per essere praticamente invisibili; a nessun oste importava più se fossi donna o uomo, era sufficiente che pagassi quello che bevevo. Questi invece o non ci conoscevano, o erano troppo ubriachi per curarsene, in ogni caso.
Con un sospiro incrociai le braccia sul tavolo e guardai altrove, sperando che ci venisse risparmiata quella seccatura: purtroppo non fu così, perché i tre vennero proprio da noi, e uno di loro -che aveva seri problemi a rimanere in posizione eretta- si lasciò cadere con una grassa risata su una delle seggiole lasciate libere.
- Ma che bella compagnia, stasera!- esclamò con voce impastata dall'alcol: era un omone robusto, con un viso butterato su cui spiccava una corta barba arruffata, e con capelli scuri annodati in un codino unticcio. Valerie, che si trovava suo malgrado ad occupare il posto accanto a lui, si ritrasse lentamente con espressione disgustata.
Un secondo, alto e magro, ebbe la sgradevole idea di afferrare a due mani lo schienale della mia sedia e appoggiarvisi: io mi scostai bruscamente, allungandomi verso il tavolo e voltandomi per scoccargli un'occhiata di rimprovero. Per tutta risposta, quello prese a dondolarsi pigramente avanti e indietro, blaterando: - Noi siamo della gilda, lo sapete! Siamo noi i pezzi grossi! Sì, siamo della gilda, lo sai?-
- Non me ne frega niente. -
- Oh, oh, come ci scaldiamo!- scattò quello seduto accanto a Valerie, facendo un gesto brusco verso di me come se avesse voluto scacciare qualcosa davanti alla propria faccia. Il terzo andò oltre e si appoggiò direttamente al tavolo, tanto bruscamente che rischiò per un attimo di mandare tutto all'aria col suo peso. - Siamo la gilda e controlliamo tutto. Dovete dirci chi siete e dove andate... intanto ci dite tutti i vostri nomi, così facciamo conoscenza!-
- Anche il tricheco con la barba!- rise scioccamente il primo, cercando di indicare Gibbs col dito e sbagliando un poco la direzione.
- Lasciateci in pace e sparite. - rispose Elizabeth in tono gelido. - Non fatevelo ripetere. -
- Oh! Non si parla così!- sbraitò quello appeso allo schienale della mia sedia, agitandosi ancora. Averlo attaccato alle mie spalle mi dava talmente sui nervi che non resistetti più e, con uno strattone, spinsi indietro la sedia e lo costrinsi a mollare la presa, tanto che quasi rischiò di cadere per terra. - Ehi! Ma allora sei stupida!-
- Guarda che vi portiamo in galera!- l'uomo seduto stava cercando di minacciare Valerie, tentando ancora di allungare le mani verso di lei ma ricevendo in cambio dei bruschi spintoni. - Guarda che lo facciamo! Noi possiamo, eh? Possiamo! Ahia! Smettila, piccola baldracca... -
In quel momento quattro boccali pieni furono sbattuti sul tavolo, facendo sobbalzare i tre ubriachi che avevano la vista ormai troppo annebbiata per accorgersi di Will che era tornato al tavolo. Non appena ebbe le mani libere, il giovane fece il giro del tavolo scostando il più vicino degli uomini con una spallata, e infine prese per una spalla quello seduto in mezzo a noi. - Ti dispiace?- domandò, secco, prima di costringerlo ad alzarsi sulle gambe malferme.
Per il momento, l'arrivo di William sembrava averli disorientati abbastanza da fargli passare la voglia di scherzare. - Ci mancavano giusto questi qui. - sbuffai a bassa voce, mentre cominciavamo a fare girare i boccali. Ma Valerie, che non aveva distolto gli occhi dai tre uomini, colse in tempo quello che a noi era sfuggito.
- Attento!- gridò a Will, saltando in piedi: fu solo grazie al suo grido che mi voltai, cogliendo il guizzo di una lama, e mi accorsi che l'uomo più vicino aveva estratto un coltello dalla cintura ed era partito alla carica contro Will che gli dava le spalle. Lui però non si fece cogliere impreparato: con uno scatto repentino girò su sé stesso e colpì l'ubriaco dritto al volto, col boccale che stringeva ancora in mano. Si sentì lo schiocco dell'osso della mascella. Frastornato e inzuppato di rum fino alle scarpe, quello barcollò stordito per un momento, poi sembrò inciampare nei suoi stessi piedi e crollò per terra come un sacco vuoto.
Gli altri due cominciarono ad urlare come indemoniate e, dondolando come se avessero le gambe di ricotta, sguainarono le spade che portavano a tracolla e fecero per buttarsi all'attacco anche loro, vedendo che William era armato solo di un boccale vuoto... ma Jack comparve in quel momento alle loro spalle, quasi con calma, e picchiò forte sulle loro teste i due boccali che aveva in mano.
Perso il poco equilibrio che rimaneva loro, i due raggiunsero miseramente il loro amico sul pavimento. Jack osservò la pozza di rum, i boccali vuoti che aveva usato come armi improvvisate, e infine Will e Gibbs.
- Che sfortuna, proprio i vostri!- sospirò con rammarico, mollando sul tavolo i due boccali e appropriandosi di uno dei pochi che ci erano arrivati sani e salvi.
- Nessuno... - un lamento strozzato richiamò ancora una volta la nostra attenzione: uno dei due che Jack aveva appena atterrato cercava goffamente di rimettersi in piedi, e allo stesso tempo frugava sotto la giacca alla ricerca di qualcosa. - Nessuno si... scontra con la gilda... e sopravvive!- estrasse una lunga pistola a doppia canna e ce la puntò contro, col braccio che tremava. L'arma però non suggeriva niente di innocuo. - Vi faccio sputare le budella, eh!-
Balzai in piedi con tanto impeto da rovesciare la mia sedia, misi mano alla spada e l'ubriaco si ritrovò la lama alla gola mentre ancora agitava in aria la pistola.
- Molla quella pistola!- ringhiai, incombendo su di lui. - O giuro che ti infilzo qui e adesso. -
- Basta così!- tuonò una voce da un angolo della locanda.
Era stato un grido privo di rabbia, o apprensione: un freddo ordine. Ancora steso sul pavimento, l'ubriaco mollò la sua arma, mandandola a ruzzolare sul pavimento, e si voltò verso chi aveva parlato; aveva la bocca spalancata e l'espressione instupidita, ma per un attimo sembrò avere veramente paura. Tutti ci voltammo.
Era stato uno dei cinque che giocavano a carte al tavolo in fondo alla locanda, e la prima cosa che riuscii a notare distintamente di lui fu la lunghissima giacca da capitano, scarlatta e di ottima fattura: al suo richiamo, tutti i pochi presenti si erano improvvisamente zittiti. Quello si alzò da dove era seduto e ci raggiunse a grandi passi, le mani dietro la schiena, fermandosi accanto all'ubriaco che sbarrò ancora di più gli occhi e si trascinò in ginocchio, scostando la mia spada con la mano.
- ...Signore, signore, noi facciamo il nostro dovere, signore... noi lo facciamo il nostro dovere, no, signore?- attaccò a biascicare, fissando ad occhi sbarrati l'uomo che lo sovrastava. Questo lo squadrò per mezzo secondo, poi si chinò appena e gli sferrò un manrovescio che lo rispedì a terra, dolorante e gemente.
- Disgustosa marmaglia. - sibilò, sprezzante. - E' questo il vostro modo di servire la gilda?!- senza aspettare una risposta alzò il capo e si guardò attorno, rivolgendosi a tutti gli avventori che ora lo stavano fissando ad occhi sgranati, senza fiatare. - Che cosa dite, questa feccia sta disturbando la quiete?-
Nessuno rispose, si alzò solo un lievissimo mormorio eccitato dai pochi tavoli occupati, quelli più in ombra.
- Ho chiesto... - ripeté lo sconosciuto, sfoderando dalla cintura una grossa pistola. - ...se questa feccia sta per caso disturbando la quiete. Night! Vuoi questi balordi nel tuo locale ancora per molto?-
Bill Night, che fino a quel momento se ne era rimasto al sicuro dietro il suo bancone, sporse la testa come una tartaruga dal suo guscio. - Io... no, signore, non ce li voglio. -
L'uomo annuì con aria soddisfatta, quindi abbassò la pistola.
BLAM!
BLAM!
BLAM!

Tre colpi secchi. Ero talmente vicina allo sconosciuto e ai tre malcapitati che sentii ogni singolo colpo rimbombarmi fin nelle ossa: uno dopo l'altro, i tre uomini sussultarono per un attimo come burattini a cui avessero tagliato i fili, prima di giacere inerti sul pavimento. A ognuno di loro era stato aperto un foro fumante nel petto.
Solo a quel punto lo sconosciuto sollevò gli occhi dal suo macabro lavoretto e mi guardò in faccia: lui era alto, di corporatura robusta, aveva i capelli molto lunghi, sciolti sulle spalle, ed erano scuri e ricciuti come la barba. Notai una sottile cicatrice sotto lo zigomo sinistro, simile al taglio di un coltello. Sotto la sua sfarzosa giacca rossa, in cintura portava pistola e spada: era ovvio che non poteva trattarsi di un semplice pirata.
- Perdonate il disagio, milady, non se ne vedono molte di donne come voi da queste parti. - mi disse educatamente, accennando un sorrisetto strano.
- Nemmeno di uomini come voi. - riuscii a rispondere, intenzionalmente ambigua. Quello sconosciuto aveva appena ucciso tre uomini sotto i miei occhi, la canna della sua pistola fumava ancora, e aveva menzionato la famigerata gilda della quale mi aveva parlato Daphne: tutti questi erano più che ottimi motivi per non volergli dare troppa corda. Il lieve sorriso non scomparve dal viso dell'uomo, anzi, parve accentuarsi: lo sconosciuto sembrò sul punto di aggiungere qualcosa quando Jack si infilò rapidamente in mezzo a noi.
- Mi sembra di capire che questi uomini fossero ai vostri ordini... mi sbaglio?- chiese, gesticolando verso i tre morti sul pavimento. Lo sconosciuto lo fissò, alzando un sopracciglio con fare interrogativo.
- E' così. - confermò con leggerezza. - Come gran parte di questa città, oserei dire. Da quanto tempo mancate da Tortuga?-
- Alcune settimane, in effetti. E con chi ho l'onore di parlare...?-
- Robert Silehard. - si presentò l'uomo, con una cortesia che aveva qualcosa di minaccioso. In cuor mio sussultai: Silehard! Stando a quanto eravamo venuti a sapere, avevamo appena fatto conoscenza con l'aspirante signore di Tortuga. - E voi siete...?-
- Capitan Jack Sparrow. -
Fui quasi certa di avere visto gli occhi di Silehard illuminarsi per un attimo quando udì il suo nome, poi arricciò di nuovo le labbra in un sorriso mellifluo. - Capitano Sparrow... devo dire con franchezza che è un piacere incontrarvi. - Gli tese la mano. Da come i suoi quattro compagni al tavolo scrutarono Jack, intuii che Silehard stava consapevolmente giocando una partita complicata, e con tutta probabilità aveva appena deciso di includere Jack nel gioco. Quella non era altro che la puntata iniziale. Jack fece la mossa giusta: avanzò di un passo e scambiò una stretta di mano con lui, anche se brevemente.
- Il vostro equipaggio, immagino. - continuò Silehard, accennando a me e agli altri. - Perché non vi unite a noi per scambiare due parole? Ho sentito molto parlare di voi, ed è un vero colpo di fortuna trovarvi qui stasera. -
Jack sembrò ponderare per un momento l'offerta, guardò me, guardò i nostri amici al tavolo, poi guardò i tre corpi rimasti per terra. Silehard quasi rise, e si voltò di nuovo verso il locandiere. - Night! Fa portare via questi tre, mi appestano l'aria!-
Bill obbedì senza fiatare, e in pochi attimi arrivarono alcuni garzoni che, senza una parola, trascinarono fuori i cadaveri dei tre poveracci. L'invito aveva tutta l'aria di un'offerta che non potevamo semplicemente rifiutare, così Jack si voltò verso di noi e fece un cenno eloquente col capo in direzione del tavolo dei giocatori di carte: in silenzio assoluto i suoi uomini ci fecero posto e ci lasciarono avvicinare le nostre sedie; Silehard si sedette per ultimo e non mancai di notare che ci stava scrutando tutti, uno per uno, come se ci stesse valutando.
- Dunque... - cominciò, appoggiando i gomiti sul tavolo e intrecciando pensosamente le dita. - Se vi trovaste a Tortuga da un po' più di tempo vi avrei già contattato. Devo ammettere che speravo proprio di incontrarvi, Sparrow, e mi era stato detto che voi e la vostra ciurma venivate qua, di tanto in tanto: sono felice di vedere che l'attesa è stata ripagata. Ma veniamo al dunque: sto contattando personalmente i migliori capitani che frequentano questo porto, e penso che voi facciate al caso mio. -
- Perché i capitani?- chiese Jack, mentre tamburellava con le dita sul ripiano del tavolo; si era portato dietro il suo boccale pieno di rum, e ne prese un sorso. - Mi pareva foste più interessato alla città. -
- Tortuga è un porto libero. - li interruppe ad un tratto Valerie, a voce alta, facendo voltare tutti verso di lei. Silehard strinse gli occhi, mentre lei continuava: - Non è mai stata sotto il controllo di nessuno. Soltanto la compagnia dei mercanti vanta di un qualche potere sui suoi traffici interni; l'avete considerato?-
La compagnia dei mercanti -così si era soliti chiamarla in città- non era altro che una larga alleanza formata dai maggiori clienti dei contrabbandieri di Tortuga: avevano fondato in città un piccolo ma fiorente impero economico, basato sulle ricchezze ottenute dai traffici di quella che chiamavano -con non poca arroganza- la loro “flotta”. Non andavano molto a genio ai veri pirati, ma erano gente con la quale si facevano buoni affari: era sempre stata quella la potenza più rispettata e influente a Tortuga. Fino a quel momento.
- I mercanti non hanno lo spirito giusto... per questo non ci è voluto niente per scavalcarli, anche se pretendono tutt'ora di avere un qualche tipo di potere. - replicò lui in tono sprezzante. - Il punto è che la mia gilda ha contatti in ogni parte della città: significa nientemeno che in ogni angolo, ogni angolo, io ho persone pronte a fare qualsiasi cosa gli chiederò di fare. Prendo quello che voglio quando e come voglio, e nessuno passa senza che io lo venga a sapere. Ma soprattutto, vuol dire che i... migliori... rendono conto soltanto a me. -
- I migliori?- ripeté Elizabeth, in tono di disapprovazione. - Che volete dire? Ma soprattutto, voi cosa date a Tortuga per potervi arrogare questi diritti?-
- Che cosa do io?- Silehard si finse meravigliato. - Mia signora, io sto facendo rialzare dal fango la gente di Tortuga. Il porto è un nido di borseggiatori, tagliagole e assassini disposti a tutto pur di guadagnarsi due dobloni... ma io dico, perché tutta questa gente dovrebbe accontentarsi della propria miseria? C'è chi si imbarca sperando di fare fortuna come pirata, ma in quanto a quelli che restano... qui entro in scena io. Ho cominciato dal basso, credetemi: ho offerto un rifugio sicuro a tutta quella feccia, e ne ho fatto degli uomini. Perché limitarsi a tagliare borse per qualche penny, quando uno potrebbe diventare un vero professionista? E' questo che ho fatto: ho allevato i migliori. E adesso ho sguinzagliato per la città una nuova generazione, più forte ed orgogliosa, e soprattutto fiera di rispondere soltanto a me. -
Will sbuffò senza neanche preoccuparsi di nasconderlo. - Siete un vero benefattore, non c'è che dire. -
- Che cosa avete fatto di così stupefacente?- commentai, stringendomi nelle spalle. - Avete semplicemente convinto la feccia di Tortuga a lavorare per voi. -
- E voi credete che sia poco?- replicò lui in tono gioviale, quasi ridendo fra sé. Era vero, forse non avevo afferrato del tutto la cosa e non mi rendevo conto di quanto esteso potesse rivelarsi quel progetto. Tuttavia, ancora non vedevo alcun motivo di preoccuparmi: i semplici ladruncoli di Tortuga sarebbero sempre rimasti quel che erano, non importava se rispondessero ad un padrone. O forse sì?
Jack era intento a guardarsi lo sporco sotto le unghie, con aria distratta. - Affascinante. E tutto questo cosa ha a che fare con i pirati? A parte il fatto che la prossima volta che un moccioso mi taglierà la borsa saprò che posso venire a lamentarmi personalmente con voi, chiaro. -
Ignorando il suo evidente disinteresse, Silehard proseguì: - Non penserete certo che voglia limitarmi a controllare questo porticciolo, quando so benissimo che il bottino migliore si conquista sul mare aperto, no? Ho stretto accordi vantaggiosi con molti dei capitani pirata che fanno regolarmente scalo a Tortuga... in parole povere, ora mi sto creando una flotta. - un sogghigno si allargò fra la sua barba scura. - Pensateci, capitan Sparrow. Un'unica flotta pirata, la flotta di Tortuga. Se vi uniste anche voi e navigaste al mio servizio, penso che tutti quanti potremmo raggiungere un livello di potere tanto grande quanto non si è mai visto nella storia della pirateria... nonché, è chiaro, ricchezze oltre ogni immaginazione. I pirati avrebbero finalmente un potere pari a quello della Marina o, se posso allargarmi, alla Compagnia delle Indie Orientali, e stavolta quelli dovrebbero pensare per riuscire a metterci ancora i piedi in testa. Non vi sembra una proposta vantaggiosa?-
Il capitano inclinò il capo e aggrottò le sopracciglia, meditabondo. - Oh certo: vantaggiosissima. - disse, mentre di raddrizzava e appoggiava le mani sul tavolo, con tutta la pantomima che era solito sfoderare quando si preparava a dire qualcosa di importante. - Vantaggiosissima, per chiunque abbia voglia di comprarsi la fedeltà dei tagliagole, o... sì, litigare un po' con la compagnia dei mercanti e quella gente lì. Sì, signor Silehard, potete farvi numerosi e potenti amici che diventeranno nemici se dovessero scoprire che è più vantaggioso essere amici dei vostri nemici... e il vostro oro può forse bastare per mettere ai vostri ordini un bel po' di bravi capitani. Niente da ridire su questo, comprendete? Ma permettetemi soltanto di sollevare un'obiezione... - scrutò l'uomo di sottecchi per un istante, pizzicandosi la barba, prima di terminare: - Tortuga non ha mai avuto un lord e, in tutta franchezza, credo che non ne riconoscerà mai uno. In quanto alla vostra flotta e al progetto di diventare più grandi dei nostri nemici... esiste già una flotta, e si chiama la Fratellanza. Ora, sui suoi membri, onestamente, non ci scommetterei troppo... ma esiste. -
Nascosi un sorriso mentre gli uomini che accompagnavano Silehard fissavano sconcertati ora lui, ora Jack, come se si stessero chiedendo se fosse il caso di dare una lezione al capitano per essersi permesso di parlare in quel modo al loro capo. Ormai avevo fatto l'abitudine alla parlantina di Jack; c'era solo da vedere come Silehard avrebbe raccolto le sue provocazioni.
- Mi addolora che la pensiate così. - rispose quello senza fare una piega, anzi, ostentando un'espressione dispiaciuta. - Forse commettete l'errore di ritenermi uno di quei furfanti da quattro soldi che raccolgono attorno a sé un paio di spiantati e si credono dei grandi signori... Non è il mio caso. La gilda è molto più di gentaglia come i mercanti. -
Jack annuì, quindi si alzò in piedi e fece un cenno a mani giunte in direzione di Silehard. - A voi i miei migliori auguri, allora. - sorrise, talmente sincero da essere strafottente. - Purtroppo non possiamo restare, ripartiamo appena ultimati i rifornimenti. -
Silehard si strinse appena nelle spalle, mentre fissava Jack con aria di sufficienza. - Come volete, Sparrow. - fece, accondiscendente. - Spero che dormiate sonni tranquilli dopo questa conversazione. -
Alle sue ultime parole, Jack perse improvvisamente il sorriso e aggrottò le sopracciglia, scrutando Silehard per qualche istante prima di azzardare: - Scusatemi?-
Evidentemente soddisfatto di averlo messo sul chi vive, Silehard si alzò, subito imitato dai suoi tirapiedi. - Si è fatto tardi, e i miei impegni mi chiamano altrove. Ma se entro domattina doveste per caso riconsiderare la mia proposta... - i suoi occhi dardeggiarono su Jack per un attimo. - ...recatevi sui moli ad ovest, e bussate alla vecchia macelleria. Chiedete di parlare con me e vi sarà aperto. -
Con queste parole lui e la sua compagnia presero congedo, uscendo dal locale in silenzio assoluto, e lasciandoci a nostra volta silenziosi e un tantino disorientati dallo strano approccio con colui che si dichiarava prossimo “lord” di Tortuga.
L'insinuazione misteriosa di Silehard mi risuonava nelle orecchie: sonni tranquilli... Jack aveva avuto un incubo qualche sera prima, e ancora mi ricordavo di averlo visto svegliarsi piuttosto scosso. Mi voltai verso di lui e mi accorsi non senza stupore che era serio in volto. Terribilmente serio.
E capii che eravamo nei guai.

*

Quando aprii la porta dell'infermeria, la prima cosa che vidi fu il paziente di Faith, steso sul tavolo. C'era buio, e tutte le lampade erano appese intorno ad esso perché il piano di lavoro fosse ben illuminato: infatti notai Faith solo in un secondo momento; era in penombra e si stava lavando le mani in un catino.
- Ciao. - la salutai: mi veniva automatico parlare a bassa voce, come per non svegliare un bambino addormentato. L'irlandese aveva il petto strettamente fasciato con pezze di lana, e nell'aria sentii l'odore di un impasto a base di resina che la mia amica usava spesso per sistemare le ossa. - Come andiamo?-
Faith si voltò verso di me, mentre recuperava uno straccio per asciugarsi. Sembrava sollevata, perché notai il guizzo di un sorriso soddisfatto sul suo volto. - Adesso meglio: la fasciatura e un po' di riposo dovrebbero bastare. Credo di averlo rimesso in sesto; si è anche svegliato un paio di volte mentre... -
- Si è svegliato? E ti ha detto qualcosa?-
- Oh, no. - scosse il capo. - Non era abbastanza in sé per parlare. Si è lamentato un po' e ha aperto gli occhi due volte, tutto qui. - strizzò lo straccio e lo gettò via, poi ne prese uno pulito, lo immerse nel catino e lo appallottolò con cura per poi tornare accanto all'uomo svenuto. - Io ho fatto quel che potevo; temevo che fosse messo peggio. Ha qualche costola incrinata e lividi dappertutto... ah, ricordi che sanguinava dalla bocca? Niente sangue nei polmoni, per fortuna: si è morso a sangue una guancia, e grazie al pugno di Ettore ci ha rimesso un pezzo di dente. -
Posò lo straccio bagnato sulla fronte dell'uomo, e mi indicò un boccetto di vetro appoggiato sul bordo del tavolo. Io lo presi in mano e ne scrutai il contenuto: c'era una specie di sassolino seghettato, bianco, che riconobbi con una certa impressione come una buona metà di un dente umano.
- Ehw. - commentai, rimettendo a posto il boccetto. - Povero diavolo. -
Mi avvicinai di un altro passo, sotto la luce delle lampade, e ne approfittai per osservare con più attenzione l'irlandese mentre Faith continuava ad affaccendarsi attorno a lui: gli aveva ripulito con cura il viso imbrattato di polvere e di sangue, e ora aveva un aspetto decisamente migliore. Ancora non riuscivo ad indovinare la sua età, anche se le rughe sul suo volto svelavano quello che il fisico muscoloso nascondeva. Non era affatto brutto. Tratti marcati. Una bella barba. Bel petto. Distolsi lo sguardo, sentendomi vagamente a disagio.
- E tu, invece?- domandai ad un tratto, rompendo il silenzio. Faith mi guardò con l'aria di non capire.
- Io? Io sto bene, ma perché me lo chiedi?-
- Sai di cosa sto parlando. - insistetti, in tono eloquente. - Quello che mi hai detto l'altra volta. -
- Ah!- sembrò capire solo in quel momento... o forse aveva solo cercato di tenere lontano l'argomento. - Be', a quanto pare si trattava di un falso allarme. Non c'è niente da dire. -
Tornò ad abbassare gli occhi, controllando la fasciatura del suo paziente -già perfettamente a posto- con esagerata attenzione.
- Ne sei sicura?-
- Mi sono tornate le regole. - ammise con un sospiro, e per un momento mi sembrò che il suo tono si facesse triste. - Probabilmente ho solo interpretato male qualche sintomo... a dirla tutta, mi sono messa ansia per niente. -
- Quindi non sei incinta. - conclusi.
- No. -
- Oh. - uno strano silenzio aleggiò fra di noi per un po', poi riuscii a fare un sorriso e aggiungere, con un'alzata di spalle. - Peccato. -
- Peccato?!- Faith mi guardò come se fossi pazza. - Hai idea di cosa avrebbe voluto dire? Sarebbe stata una complicazione enorme, avreste dovuto trovarvi un altro medico di bordo e... -
- E io sarei diventata zia!- aggiunsi, sogghignando per prenderla in giro. Per fortuna riuscii a farla ridere, e lei sembrò finalmente rilassarsi un poco.
- Vero. - fece, ridendo ancora sommessamente. - Sai... alla fine, credo che non mi sarebbe dispiaciuto. -
- Non dirmi che non avrai altre occasioni di rischiarlo... - la canzonai.
- E' solo che non ho idea di come la prenderebbe Ettore, se succedesse. A cosa credi che abbia pensato per tutto questo tempo? Ho paura di sconvolgerlo, e lui si preoccupa troppo. -
- Si preoccupa per te e, personalmente, gliene direi quattro se non lo facesse. - le assicurai.
- E poi avreste dovuto lasciarmi a terra, quando fosse stato il momento... -
- Che storia è questa?- protestai, piccata. - Faith, quando avrai un bambino, perché lo avrai, la Perla resterà in porto finché avrò visto con i miei occhi che tu e lui starete bene! Non ce ne andremo mai senza di voi. -
Questo la fece ridere sul serio, e si gettò la treccia nera dietro le spalle con fare scherzoso. - Noto che fa sempre comodo essere amici del capitano. -
- Non sai quanto. -
Lei sorrise ancora, alzando gli occhi al cielo, poi si fece più seria. - Hm... non per farmi gli affari tuoi, ma giacché siamo sull'argomento... tu che mi dici?-
Per un momento la domanda mi colse impreparata e abbassai lo sguardo, poi voltai le spalle al tavolo per appoggiarmici pesantemente con la schiena: era più facile parlarne, se non la guardavo negli occhi.
- In verità... sì, qualche volta mi sono chiesta che cosa avrei fatto, se mi fosse successo. Ma non è mai successo. Non mi è mai neanche venuto il dubbio, se è per questo. -
- Può capitare come non capitare, no? Guarda me!- replicò la mia amica. Io inghiottii un groppo in gola e continuai, voltandomi appena nella sua direzione: - Sì, ma è un po' strano che “quella” cosa non capiti, considerando tutte le volte che a noi “capita” di... - va bene, mi ero ufficialmente ingarbugliata nelle mie stesse parole. In tutta sincerità non avevo idea quale fosse la normalità in quel campo, ma, a conti fatti, io e il capitano avevamo una certa tendenza a saltarci addosso ogni volta che ne avevamo l'occasione.
Faith mi guardò senza più riuscire a trattenersi dal ridere. - Se stai dicendo che scopate come conigli... -
- Non ero io quella volgare?!-
- ..senza alcun risultato, non è che vuole per forza dire che c'è qualcosa che non va. -
La scrutai per qualche istante, cercando di capire se stesse solo cercando di indorarmi la pillola con le sue rassicurazioni. - E' la cosa più idiota che un medico potrebbe dirmi. -
Lei non mi rispose e non si offese neanche; ormai mi conosceva troppo bene. Si limitò ad alzare le spalle e dare un'ultima sistemata distratta alla fasciatura dell'irlandese.
- Non so, Faith. - ammisi sinceramente, tornando seria e voltandomi verso di lei. - Forse semplicemente non posso averne. E' una possibilità. -
Ci fu un altro lungo istante di silenzio, stavolta però senza alcun imbarazzo: avevo detto quel che dovevo dire, e lei era la mia migliore amica. Non c'era bisogno di altre parole, tra di noi. Poi riabbassai gli occhi sull'irlandese.
- Cambiamo argomento o cambiamo stanza? E' un po' scabroso parlare di certe cose sul letto di un uomo svenuto!-

*

Al contrario di tutte le altre volte, quella sera non eravamo tornati tardi alla Perla. Dopo l'incontro con Silehard e col nervosismo che aleggiava fin nelle strade, nessuno aveva avuto voglia di rimanere in giro ancora a lungo. Dopo aver raccontato a Faith, in poche parole, quel che era successo quella sera, me ne andai a dormire e mi assopii in fretta. Non mi svegliai quando Jack mi raggiunse, ma lo feci alcuni minuti dopo, quando lo sentii improvvisamente agitarsi nel letto.
Mi riscossi dal sonno e aprii gli occhi, colta di sorpresa: mi voltai verso di lui e lo trovai sveglio, ad occhi sbarrati nel buio della cabina.
- Jack, cosa c'è?- domandai, preoccupata.
Lui scosse appena il capo, dandomi l'inevitabile risposta: - Niente. -
- Niente?- ripetei, più che stizzita. - E allora perché ti agitavi e hai la faccia di chi ha visto un fantasma?!-
- Hm... troppo rum, forse. -
- Troppo rum? Un boccale?!-
Quando capii che non avrei ottenuto niente da lui mi rassegnai mio malgrado, mi girai su un fianco e cercai di tornare a dormire, seccata dal suo ostinato rifiuto di parlarmi. Jack invece rimase sveglio ancora per un bel pezzo, a fissare il soffitto della cabina.
Non mi disse che aveva visto di nuovo l'isola a forma di teschio emergere dalla nebbia, e stavolta aveva guardato sé stesso -mutato in scheletro sotto la luna- sparare ad una donna dai capelli ricci che boccheggiava furiosa prima di precipitare in mare.
E che aveva sentito quella voce estranea e rasposa sibilare al suo orecchio: - Interessante. -




Note dell'autrice:
Aiuto, aiuto, aiuto, aiuto. Al momento sto litigando furiosamente col quarto capitolo, ed è dannatamente difficile conciliare quello che avevo scritto in passato (buona parte di questa storia, al contrario delle precedenti, era già scritto da tempo)con quello che voglio scrivere ora. Devo trovare una mediazione. E volete sapere la cosa divertente? Quello che mi sta dando più problemi, stavolta, è proprio Jack. Il mio amato capitano mi sguscia tra le mani più di quanto abbia mai fatto prima d'ora. Che si sia immedesimato troppo nell'atmosfera di questa storia?
Ma, tornando a noi, bentornati! Fannysparrow, come al solito non ne sbagli una e hai indovinato: la scena della boxe è liberamente e fangirlisticamente rubata allo Sherlock Holmes di Guy Ritchie. E per giocare sporco fino in fondo, ti dirò che anche il nostro amichevole irlandese svenuto è ispirato ad un certo attore. Ma non mi dilungo, se no che gusto c'è?
Mally, le tue recensioni chilometriche danno dipendenza, e dovresti saperlo. Tra l'altro, no, la nave di Will non è la Queen Anne's Revenge, ma è nata da ciò che era il relitto del galeone recuperato dai pirati nell'episodio scorso. Della Queen Anne ha solo il simpatico nostromo Trentacolpi, il quale ringrazia la sua più grande fan e le manda tutto il suo amore. Si vocifera che abbia chiesto un permesso al capitano Turner e stia venendo a rapirti, quindi tu preparati, che non si sa mai.
Cavolate a parte, grazie per la vostra attenzione e i vostri commenti, e grazie per continuare a seguirmi. E ora a noi due, capitolo da finire!

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Capitolo 4
*** Patti col diavolo ***


Capitolo 3
Patti col diavolo



Il braccio era teso in linea col mio sguardo. Tirai indietro col pollice il cane della pistola e premetti il grilletto: la detonazione fece sobbalzare appena la mia mano, e la bottiglia appoggiata sul barile schizzò via in una nuvola di schegge di vetro, per finire a ruzzolare sul ponte.
- Bel colpo!- si complimentò Faith, alzando la sua arma in segno di vittoria. Io sorrisi soddisfatta e mi diedi delle arie, soffiando sul fumo che usciva dalla canna della pistola.
- Fai poco la sbruffona!- Valerie venne al mio posto e mirò alla tre bottiglie rimaste sul barile che avevamo piazzato sulla tolda: tre spari in rapida successione e finirono tutte e tre in pezzi.
Dal ponte, molti pirati che stavano seguendo interessati il nostro piccolo allenamento la applaudirono: da quando era stata presa come tiratrice scelta, Valerie era diventata una specie di celebrità per il suo indiscusso talento. Una sera il signor Gibbs, che ci aveva dato un po' troppo dentro col rum, l'aveva definita “bella e pericolosa come una dannata sirena” e da allora gli uomini della ciurma avevano cominciato scherzosamente a chiamarla proprio così. Compreso il “dannata”. Tutto questo a lei faceva molto ridere, ma la cosa non sembrava proprio dispiacerle.
Seduto sul parapetto a pochi passi da noi -prudentemente alle nostre spalle- Jack finì di scolarsi la bottiglia che aveva in mano, quindi si alzò e con passo dondolante andò a mettere anche quella in cima al barile.
- Mickey. - si girò, e fece un cenno con la mano per chiamare da lui Michael, che era rimasto seduto a guardarci. Il ragazzino si alzò e gli venne vicino, incuriosito.
- Prova tu. - gli disse il capitano, sfilando dalla cintura la propria pistola e porgendogliela. Michael la prese e la soppesò per un momento tra le mani; tirò indietro il cane e lentamente prese la mira, chiudendo un occhio: quando sparò, il proiettile colpì il collo della bottiglia, facendola cadere.
Noi tre ci complimentammo con il dovuto applauso. - Bravo, Mickey!- gli gridai io.
Anche Jack parve soddisfatto, e annuì con un sorrisetto. - Niente male, figliolo, niente male. - si chinò verso su di lui con aria complice. - Saresti capace di essere preciso anche in mezzo alla confusione?-
- Certo che sono capace!- replicò prontamente il ragazzino, raddrizzando il busto con fierezza: conoscendolo, io non ero altrettanto sicura delle sue abilità, ma mettere a segno un buon colpo come quello di prima doveva avergli dato alla testa. Jack lo fece ricaricare la pistola e voltare ancora verso il barile, mentre Faith recuperava la bottiglia rotta e la rimetteva al suo posto. - Riprova. - lo invitò.
Mickey prese la mira ma, proprio quando fu sul punto di sparare, Jack gli rifilò rapidamente una gomitata tra le scapole: non forte, ma abbastanza per farlo barcollare per un attimo, proprio l'attimo in cui premette il grilletto. Colto alla sprovvista, Michael vacillò in avanti, e il proiettile andò a forare il barile tre spanne buone sotto la bottiglia.
- Ehi!- protestò con aria mortalmente offesa, voltandosi di scatto verso il capitano. Quest'ultimo, per tutta risposta, si limitò a stringersi nelle spalle e a riprendersi la sua pistola.
- Non è andata male lo stesso, Mickey... ma devi essere più concentrato. - concluse, giocherellando con l'arma.
- E tu ci riesci?- lo sfidai. Lui mi lanciò un'occhiata in tralice come a dirmi che era troppo facile, quindi mi voltò le spalle e tese il braccio, prendendo la mira verso la bottiglia.
In quel momento il signor Gibbs, seguito da Will, risalì in fretta gli scalini del castello di prua, comparendo alle nostre spalle. - Capitano?-
- Hm?- sentendosi chiamare, Jack si voltò di scatto, dimenticando perfino di abbassare la pistola e trovandosi quindi a tenere sotto tiro il povero Gibbs, che sussultò e fece bruscamente un passo all'indietro rischiando di scontrarsi con Will. - Oh santo... ehm, abbiamo appena finito di imbarcare tutti i rifornimenti, e... Capitano, vi sarei molto grato se voleste smetterla di puntarmi addosso quell'arma!-
Jack lo fissò per un istante come se non capisse di cosa stava parlando, poi si ricordò della pistola. - Oh! Scusami!- fece, abbassandola.
- Meno male che era concentrato. - commentai, a voce abbastanza alta da farmi sentire: Jack mi scoccò di sottecchi un'occhiataccia, quindi tornò a rivolgersi al nostromo. - Dicevate, mastro Gibbs?-
Gibbs si aggiustò il fazzoletto che portava annodato al collo, sollevato. - Tutti i rifornimenti sono imbarcati, capitano, e la nave è di nuovo in perfette condizioni. Perciò... be', aspettiamo solo il vostro ordine!-
- Anche la mia ciurma attende istruzioni. - rincarò Will, con un mezzo sorriso soddisfatto. - Siamo pronti a salpare in qualsiasi momento. -
- Ottimo!- saltai in piedi, lieta di poter riprendere il largo, e mi voltai verso Jack aspettandomi che ordinasse di mollare gli ormeggi e issare le vele. Invece lui improvvisamente scosse il capo e alzò le mani, intimando di fermare tutto.
- No no no, non ancora. Ho deciso di andare ad incontrare Silehard. -
- Cosa?!- esclamammo tutti ad una sola voce, tutto l'entusiasmo di poco prima sfumato immediatamente in sgomento. Alla nostra reazione Jack sobbalzò e si mise sulla difensiva, come se gli fossimo saltati addosso tutti insieme.
- Ohi! La partenza sarà solo ritardata!- precisò, in tono offeso. - Voglio soltanto sentire quello che ha da dirmi. -
- Intendi andare da solo nella sua tana?- domandai, scettica, incrociando le braccia: Silehard non mi piaceva per niente, e mi piaceva ancora meno che le sue parole fossero riuscite a preoccupare Jack. Speravo proprio che quel giorno saremmo salpati da quel porto, lasciandoci alle spalle i suoi intrighi, ma sfortunatamente il capitano non sembrava della mia stessa opinione.
Lui ciondolò il capo per un istante, pensoso, quindi fece un cenno a Will. - Vieni con me, capitano Turner?-
Will esitò un istante, prima di scrollare le spalle e sospirare un: - Se vuoi. - in tono di disapprovazione.
- Perfetto. Ehi, tu, laggiù! Ettore!- Jack si sporse dal cassero per chiamare il pirata, che al momento si trovava sul ponte di coperta e si era avvicinato per ascoltare i nostri discorsi. - Ti unisci a noi? Andiamo a fare visita a Silehard. -
L'espressione del pirata sembrò rivelare piuttosto chiaramente quello che tutti noi pensavamo, ma non fece altro se non annuire e rispondere: - Sì, capitano!-
- Così avrai anche un po' di tempo in più per cercare di rimettere in sesto il nostro ospite, sempre se si degna di svegliarsi, finalmente. - aggiunse, rivolto a Faith, quindi tornò a guardare me. - Soddisfatta ora? Come vedi, non vado da solo. -
Sorrisi anch'io ed annuì con approvazione, fingendo di assecondarlo. - Perfetto allora. Andiamo?-
Senza aspettare alcuna risposta, lo sorpassai e scesi le scale del castello di prua, ridendo fra me della sua espressione piccata per avermi permesso di autoinvitarmi: gli altri tre scesero dietro di me, e insieme ci dirigemmo alla passerella per scendere a terra.
- Non la sopporto... - lo sentii che brontolava con Will in tono stizzoso, mentre scendevamo in porto.

*

La zona che Silehard ci aveva segnalato era una delle più misere e squallide del porto: i moli ovest erano ormai caduti praticamente in disuso, e da anni nessuno sembrava più preoccuparsene. Passammo prima per un intrico si stradine claustrofobiche, talmente ingombre di spazzatura che ad ogni passo i nostri stivali affondavano nelle schifezze, per sbucare su un lungo porticciolo poco frequentato, così malmesso che le assi di legno della banchina gemevano e scricchiolavano alla minima pressione, e in alcuni punti erano già marcite a tal punto da crollare in acqua.
A tutti e quattro era passata la voglia di parlare, mentre ci incamminavamo lungo la banchina deserta. Alla nostra destra le onde sibilavano piano; alla nostra sinistra si susseguivano una sorta di edifici bassi e fatiscenti, dalle mura completamente scrostata dalla salsedine. Tra uno e l'altro si aprivano piccoli vicoletti bui simili a gigantesche tane di topo.
La vecchia macelleria era un grande casermone in legno che svettava sopra le altre misere abitazioni: aveva l'aspetto delle case che sono state sull'orlo della decadenza per poi essere rozzamente -ma efficacemente- rimesse in buono stato.
Le finestre erano completamente sbarrate con imposte di legno scuro, che sembravano molto più nuove del resto dell'edificio: non c'era nulla che suggerisse la presenza di qualcuno all'interno. Sembrava deserto e abbandonato, esattamente come il resto del porticciolo.
- E' quello?- domandai, tanto per spezzare tutto quel silenzio.
- Così pare. - rispose Jack, facendosi avanti verso il portone, che era largo abbastanza da lasciare passare comodamente un carro. Non mostrava alcun segno di sbarre, serrature o altro che lo bloccasse; a meno che non fosse sbarrato dall'interno, sarebbe bastata una semplice spinta per aprirlo. Jack non aveva fatto neanche tre passi che i vicoli attorno a noi si animarono improvvisamente.
Cinque figure uscirono dall'ombra delle stradine interne prima che avessimo il tempo di reagire: non li avevamo neanche sentiti arrivare. In un attimo, cinque uomini dall'aria per niente rassicurante, bardati in tutto e per tutto come i pirati con cui avevo a che fare ogni giorno, ci circondarono con le spade sguainate e ci costrinsero ad arretrare, spingendoci verso il molo in modo che dessimo le spalle all'acqua.
Con un sussulto la mia mano corse alla spada, ma mi accorsi che ad un tratto gli uomini si erano fermati, limitandosi a tenerci tutti a portata di lama. Non spostai la mano dalla mia arma, ma intuii che non era ancora il momento di sguainarla: una rapida occhiata a Will ed Ettore -che indugiavano con le mani sull'elsa- mi confermò che avevano avuto lo stesso pensiero.
Uno dei cinque uomini si fece avanti a grandi passi; ora che lo notavo, non era che un giovanotto bruttino, coperto di lentiggini, che doveva avere a malapena la mia età. Si diresse con sicurezza verso Jack, sempre tenendo la sciabola tesa davanti a sé con un ghigno divertito stampato in faccia: dal canto suo, Jack alzò le mani e fissò preoccupato la lama che si avvicinava al suo volto.
- Siete in un posto pericoloso. - ci disse con voce strascicata, facendo scorrere lo sguardo sul nostro gruppetto. - Specie per una donna. - aggiunse, con una sorta di gioia maligna, quando i suoi occhi si posarono su di me.
- Allora perché tu sei ancora qui?- replicai, senza spostare la mano dalla cintura.
Gli altri quattro uomini borbottarono tra loro, mentre il giovane stringeva gli occhi, indispettito, e cercava di mantenere la sua aria di sprezzante superiorità. - Voi quattro siete nel territorio della gilda. - insistette, in tono secco. - Cosa siete venuti a fare qui?-
- Tecnicamente siamo qui su invito di Robert Silehard... - rispose Jack, mentre ondeggiava alternativamente a destra e a sinistra e si accorgeva con rammarico che la spada del giovane lo seguiva comunque. - Ci è stato detto di venire se avessimo voluto trattare con lui, comprendi?-
- Il vostro nome. - sbottò il giovanotto.
- Capitan Jack Sparrow. -
Quello si accigliò per un momento, ma abbassò finalmente la spada. - Oh. Quel Jack Sparrow. -
- Diavolo, figliolo, sono stato ingoiato da un Kraken e inseguito dai sassi, avrò pur il diritto di essere chiamato “capitano”!-
Ignorandolo, il giovane ci squadrò tutti quanti dalla testa ai piedi ancora una volta, quindi annuì e con un cenno ci ordinò di seguire lui e i suoi: gli venimmo dietro mentre bussava al portone e, al contrario di quanto mi aspettavo, invece dei due grandi battenti si aprì un sottile sportellino incastrato nel legno all'altezza degli occhi di un uomo. Qualcuno, là dietro, scambiò due parole con il nostro ospite e infine, con un cigolio di cardini, venne aperta anche una piccola porta nascosta che fino a quel momento si era mimetizzata perfettamente col legno del portone.
Appena entrati fummo scortati attraverso un largo corridoio che andava restringendosi verso la sua fine: un'altra semplice porta a spinta ci divideva dalla stanza adiacente, dalla quale sentii finalmente qualche suono umano; al di là della porta si sentiva il vociare di molte persone, e mi domandai come avessimo potuto non sentirlo anche da fuori. Poi, come spesso mi succedeva quando lasciavo vagare i pensieri, mi resi conto che se quella era stata una macelleria, il corridoio che al momento stavamo percorrendo doveva essere l'ingresso dove si conducevano i maiali per portarli al macello. No, non era veramente il pensiero migliore da fare, in quel momento.
Il giovane che ci guidava spalancò la porta con uno spintone, e ci trovammo in una specie di grande sala squadrata; riconobbi da dentro le finestre sbarrate che avevo già notato dall'esterno. Qualunque cosa fosse quel posto, aveva tutta l'aria di essere usato come magazzino. Un uomo era in piedi in cima ad una pila ordinata di sacchi -poteva essere farina, o grano- e altri due gli passavano via via nuovi sacchi da aggiungere al mucchio. Un altro ci tagliò la strada facendo rotolare davanti a sé un barile così grosso che non sarebbe riuscito a circondarlo con le braccia, e ce n'erano altrettanti ad attenderlo, stipati all'altro capo del salone. Un intenso odore di sangue mi colpì le narici, e mi voltai istintivamente alla ricerca della sua fonte: non dovetti cercare molto perché, a pochi passi da noi, una serie di ganci da macellaio appesi ad alcune robuste travi facevano il loro lavoro sostenendo enormi quarti di bue e di maiale. Carne fresca, che un tizio bardato con un grembiule insanguinato stava metodicamente trinciando e affettando, per poi stiparla nei barili.
Mi sembrava di non aver mai visto così tanto cibo tutto insieme, neanche nella dispensa del forte di Redmond. Nel bel mezzo del salone c'era un carretto trainato da un asino, e un altro gruppo di uomini si stava occupando di scaricare i barili di liquore del quale era carico. Seduto alla guida c'era un uomo grasso che osservava le operazioni con aria rassegnata. Un uomo grasso che tutti quanti riconoscemmo subito.
- Bill?!- esclamai ad occhi sgranati, fissando Bill Night dell'Albatro che lasciava che quegli uomini facessero razzia dei suoi barili del migliore rum di Tortuga.
- Oh... salve! Curioso trovarvi qui!- ci salutò lui agitando in aria una mano, con allegria forzata; la mano che ancora stringeva le redini dell'asino gli tremava leggermente. - Come mai da queste parti, signori miei?-
Il giovane che ci aveva portati dentro si voltò e ci fece cenno di fermarci. - Aspettate qui, e non vi muovete finché non torno a chiamarvi. - detto questo, semplicemente sparì in mezzo al resto degli uomini al lavoro. Gli altri restarono fermi attorno a noi, muti e immobili, ma dalle loro facce era abbastanza evidente che non si aspettavano altro che ce ne stessimo buoni fino a nuovo ordine.
Sembrava che avremmo dovuto aspettare un po', così Jack si arrampicò sul carretto e si sedette accanto a Bill, appoggiandosi col gomito sul rozzo seggiolino mentre si rivolgeva al locandiere in tono gioviale. - Noi siamo qui per scambiare due parole amichevoli con Silehard, come ci ha amabilmente proposto ieri sera alla tua taverna... tu, invece, com'è che permetti questo libero saccheggio di rum?-
Alla sua domanda, gli uomini che stavano scaricando i barili scoppiarono in una grassa risata: con poca convinzione Bill si unì alle loro risate, mentre uno che stava in piedi sopra il carretto, dietro a lui e Jack, si allungava a mollargli una pacca sulla spalla; ma non c'era nulla di amichevole nel modo in cui lo fece.
Io, Ettore e Will ci scambiammo ancora una volta uno sguardo, cominciando ad intuire che aria tirava, e ci accostammo anche noi al carretto. Bill si sporse verso di noi e, abbassando la voce, ci fece, in un sussurro concitato: - Andiamo, che potevo fare, tenergli testa? Non sono che un onesto locandiere, santi numi... e poi, se l'unica cosa che vuole da me è il mio rum, be', che il diavolo mi porti, io sono più che felice di darglielo, insomma... piuttosto che avere guai!- i suoi occhi dardeggiarono per qualche attimo sui barili che venivano ordinatamente impilati: immaginai che stesse calcolando quanti soldi sfumavano ad ogni carico che la gilda si prendeva liberamente.
Uno degli scaricatori, a pochi passi da dove eravamo noi, si raddrizzò e si asciugò il sudore dalla fronte. Ci dava le spalle, ma rimasi sorpresa notando un dettaglio particolarmente evidente: indossava una tonaca marrone. Logora e consunta, ma di certo una tonaca.
- Basta così, ragazzo! Se vogliono il rum, saranno anche capaci di scaricarselo da soli... - lo richiamò Bill, abbassando accuratamente la voce sull'ultima frase. Il giovane in tonaca si voltò verso di noi...
...ed io, come se per quel giorno le sorprese non fossero bastate, cacciai un'esclamazione di sorpresa riconoscendo due vivaci occhi incavati, un naso pronunciato e dei capelli neri. Per un istante non riuscii a far altro che fissarlo a bocca aperta, dimenticando che era impossibile, e che l'unica persona a cui ricollegavo il ricordo di quel volto doveva essere dispersa sulle coste dell'Africa.
Tuttavia, il giovane prete sembrò riconoscermi a mia volta, perché ricambiò il mio sguardo stupefatto e la sua sorpresa si fece ancora più grande quando alzò gli occhi verso Bill e notò Jack seduto al suo fianco.
- Dio santo... frate Matthew!- quasi strillai, riconoscendo senza ombra di dubbio il giovane frate.
Il capitano aggrottò le sopracciglia per un secondo, squadrandolo, poi la memoria sembrò tornargli e saltò in piedi, ciondolando come non mai. - Frate Matthew? Aspetta... quel frate Matthew! Certo che, di tutte le persone improbabili che potevamo incontrare qui...!-
Il giovane frate sembrava essere rimasto basito almeno quanto noi, perché ci venne incontro dimenticando di chiudere la bocca, e continuando a guardare ora me, ora Jack. In effetti, si trattava del frate che aveva sposato me e Jack sulle coste dell'Africa, dopo che la nostra ciurma aveva affondato la sua nave. Avevamo fatto in modo che fosse riportato a terra sano e salvo, ma dopo quello non avevo più avuto sue notizie, né mi ero preoccupata di sapere che cosa ne fosse stato di lui o del resto della ciurma sopravvissuta. Trovarmelo davanti era poco meno che vedere comparire un fantasma.
- I... i capitani Sparrow!- esclamò lui una volta che ebbe recuperato la voce: non c'era dubbio, la sua “r” arrotondata era inconfondibile. - Non ci posso credere, siete davvero voi! Siete quelli che... be'... -
- Che vi hanno ripescato e assoldato al volo per celebrare un matrimonio? Sì, siamo noi. - confermai.
- Vi conoscete già?- Bill ci guardava tutti e tre senza capire.
Ignorai Bill e feci al frate la domanda che mi premeva: - Come siete arrivato fin qui dall'Africa? Ma soprattutto... di tutti i posti, perché mai siete a Tortuga?!-
Il giovane fece una risatina e allargò le braccia. - Il destino, probabilmente... o un cammino voluto da Dio, se proprio vogliamo essere pignoli. - rise ancora e il locandiere rise con lui, dondolandosi sul carretto. Avevo conosciuto il frate solo per pochi minuti molti mesi prima, ma ora che lo vedevo mi sembrava di notare lo stesso alcuni cambiamenti: intanto era più trasandato di quando lo avevo visto la prima volta, le sue guance erano meno lisce. Inoltre ora sembrava molto più spigliato e ridanciano. - Immagino che ricordiate il governatore Burrieza: è sopravvissuto, e una volta tornato a terra è riuscito a ottenere il diritto di parlamentare con una colonia inglese che sorgeva a poche leghe da dove ci avete affondato. Tra i sopravvissuti c'eravamo io e Padre Quinn, forse ricordate il mio superiore. -
- Come no, sua scortesia in persona!- commentò Jack, facendo una smorfia disgustata. - Spero proprio che sua grazia si sia goduto la nuotata. Avrebbe molto da imparare da te, giovanotto!-
- Lo credo anch'io. - rispose frate Matthew, e quella risposta mi sorprese se possibile ancora di più. - In effetti, eravamo troppi da imbarcare su una sola nave: c'era una goletta inglese che sarebbe partita di lì a poco; Burrieza aveva un passaggio assicurato, ma noi altri avremmo dovuto aspettare. Padre Quinn fece di tutto per farsi imbarcare con lui, lasciando indietro me e tutto il resto dell'equipaggio. Noi fummo costretti ad arrangiarci: chi voleva tornare nei Caraibi dovette pagare per avere anche solo un passaggio su navi che ci sarebbero passate vicino o avrebbero fatto scalo su qualche isola dell'arcipelago. E' quello che è successo a me: mi sono imbarcato su un galeone inglese e sono arrivato nelle Antille, dove mi hanno lasciato sull'isola di Dominica. Da lì ho ottenuto un passaggio su una nave di pescatori: speravo, a piccoli passi, di arrivare fino a Cuba, o a Port Royal, dove avrei potuto trovare qualche fratello del mio ordine... invece la barca di pescatori ha fatto scalo qui a Tortuga, e non ha voluto portarmi oltre. -
- Ma ci sono molte navi che partono per Port Royal, da qui. - gli feci notare. - Perché non vi siete imbarcato?-
Il frate si strinse nelle spalle. - Quando sono arrivato qui, il signor Night mi ha offerto ospitalità nella sua locanda, a patto che lavorassi per lui: sulla nave su cui ero imbarcato prima aiutavo il medico di bordo, e me la cavo piuttosto bene come chirurgo. Alla fine, sono rimasto dove c'era più bisogno di me. -
- Parola mia, non troverete un trinciatore di polli più abile del nostro Matthew!- dichiarò Bill con orgoglio. - Fa dei veri e propri miracoli con i suoi dannati ferri, e Dio sa se ci capita di avere qualche povero diavolo da ricucire alla fine di una brutta serata. La gilda stessa qualche volta ci porta i feriti nel retrobottega... cioè, di questo non dovrei parlare, ma voi siete qui... - abbassò ancora la voce. - Allora, mi è sembrato di capire che dovete parlare con Silehard in persona. Lasciatemi dire che siete entrati in acque pericolose, sì, pericolose! C'è brutta gente agli ordini di quel tipo; brutta, bruttissima gente!-
Jack alzò un sopracciglio. - Uhm... noi stessi non siamo esattamente annoverati tra la “bella gente”, comprendi?-
Bill scrollò il capo come a dire che era irrilevante. - Non fatevi abbindolare da quel che vi dirà. Per quanto cerchi di tenervi sulla corda, voi pensate solo al modo più rapido di dirgli: no, grazie, arrivederci. -
- Cosa che avresti dovuto fare tu un po' di tempo fa. - lo rimbeccò frate Matthew, con una nota di rimprovero nella voce.
- E quello che pensavo avessimo già fatto ieri sera. - rincarò Will in tono piatto, fissando Jack. Lui gli rispose con una smorfia. Prima che l'attempato locandiere potesse aggiungere qualcosa, uno degli uomini di Silehard batté una mano sul pianale vuoto del carretto per richiamare la sua attenzione.
- Ehi, signor Night! Tu e il tuo prete potete levare le tende, non avete altro da fare qui. -
- Grazie per il rum!- aggiunse uno degli altri, in piedi davanti ad una vera e propria muraglia di barili, seguito da gran scrosci di risate da parte dei suoi compari. Bill rispose con una risatina poco convinta: Jack smontò dal carretto per lasciare il posto a frate Matthew, mentre il locandiere faceva schioccare le briglie dell'asino perché girasse sui tacchi e si dirigesse verso il portone che veniva riaperto in quel momento.
- E' stato un piacere rivedervi. - ci salutò frate Matthew, prima di allontanarsi con il carro.
- Voi. - il giovane lentigginoso era ricomparso dal nulla, e adesso ci stava facendo cenno di seguirlo. - Silehard ha accettato di ricevervi. -

*

Faith prese la mano dell'uomo fra le sue e la pungolò nel centro del palmo con uno degli aghi che usava per suturare le ferite. Le dita si contrassero di riflesso.
La ragazza sbuffò e ritirò la sua arma impropria, lasciando andare la mano del suo paziente che era rimasto incosciente per tutta la notte senza dare segni di ripresa. Rispondeva agli stimoli e le sue ferite stavano guarendo bene, ossa comprese. Allora perché ancora non si svegliava?
Si sedette pesantemente sulla sedia, dando le spalle al paziente. Poco prima aveva mandato Valerie a prendere dell'acqua: voleva provare almeno a farlo bere, prima di vederlo schiattare per inedia proprio quando era riuscita ad evitare che lo facesse per le ferite.
Proprio mentre faceva quei pensieri, un fioco gemito lamentoso si alzò da un punto imprecisato alle sue spalle.
Faith per poco non si prese un colpo, colta alla sprovvista, e si voltò di scatto aggrappandosi speranzosa allo schienale della sedia. Era sveglio? Possibile?
L'irlandese batté gli occhi una, due, te volte. Poi ebbe un sussulto e cercò di voltare il capo, ma il movimento sembrò causargli dolore e sobbalzò di nuovo.
- Resta fermo. - lo ammonì Faith, alzandosi e mettendosi rapida al suo fianco. - Come va? Mi senti?-
- Sicuro che ti sento. - sbottò l'uomo, fissandola dritta in faccia con espressione stupita, e senza smettere di strizzare continuamente gli occhi. Prima che Faith potesse fermarlo cercò di mettersi a sedere, e digrignò i denti con un gemito di disapprovazione quando non ci riuscì.
- Ho detto di restare fermo!- protestò lei, prendendolo per le spalle e costringendolo a distendersi di nuovo sul tavolo. - Ho fatto il meglio che potevo per le tue ossa, ma se non ti muovi con un po' più di attenzione rovinerai tutto. -
Lo sguardo dello sconosciuto si fece immediatamente sottomesso, come quello di un cane bastonato, e i suoi occhi scuri cominciarono a saettare in ogni direzione, esaminando la cabina.
- Oh mio Dio... sono in mare?- esclamò, con una nota di panico nella voce.
- No, no, sei solo nell'infermeria di una nave!- la ragazza quasi rise. - Ma siamo ancora ormeggiati a Tortuga. -
- Oh... - si rilassò, ma solo per un momento: l'attimo dopo stava ancora cercando di mettersi seduto, stavolta con molta cautela. - ...Me la daresti una mano?-
Faith alzò gli occhi al cielo e si rassegnò ad aiutarlo, visto che non sarebbe stato contento finché non si fosse rimesso dritto: si chinò per infilargli un braccio sotto la schiena fasciata, e quasi sussultò quando sentì il braccio di lui sulle spalle, alla ricerca di un punto d'appoggio. Evitò accuratamente di guardarlo mentre ce l'aveva così vicino, e nello stesso tempo si diede della stupida: non aveva avuto nessun problema a toccarlo, spostarlo, pulirlo e ricucirlo mentre era privo di sensi; perché avrebbe dovuto cominciare a comportarsi da ragazzina vergognosa ora che era sveglio? Tuttavia c'era differenza, e lo sapeva benissimo.
In qualche modo l'uomo riuscì a mettersi e seduto, e prese a controllarsi freneticamente le fasciature. - Grazie, carina. Si può sapere chi sei?-
In quel momento la porta dell'infermeria si aprì, lasciando entrare Valerie con un secchio d'acqua tra le mani. - Eccomi Faith, scusa se ci ho messo tanto... - stava dicendo ad alta voce, prima di incrociare lo sguardo dell'irlandese e sbarrare gli occhi. - Oh Cristo, quando si è svegliato?!-
- Che nave è, questa?!- esclamò l'uomo, altrettanto sbigottito, mentre guardava alternativamente le due giovani donne che gli stavano attorno.
- Stiamo tutti molto calmi!- sbraitò Faith, richiamando istantaneamente l'attenzione generale su di sé. L'irlandese tornò a fissarla con quell'espressione docile e vagamente sottomessa, e per un attimo se ne sentì quasi imbarazzata. - Ora; siamo sulla Perla Nera, e io si dà il caso che sia il medico di bordo che vi ha appena rimesso in sesto. Lei è Valerie, fa parte della ciurma. Vi abbiamo recuperato quando avete perso i sensi dopo l'incontro di ieri sera; eravate messo male e gli uomini dell'arena non volevano aiutarvi. Adesso possiamo sapere almeno il vostro nome?-
- L'incontro... Cristo... - borbottò lui, strofinandosi nervosamente una mano sulla faccia e tra i capelli arruffati. Poi sembrò calmarsi e, in tono molto più amichevole, si rivolse a Faith: - Miss “medico di bordo”, avete tutta la mia più sentita gratitudine per avermi raccolto col cucchiaio. Io sono Connor Donovan, se la cosa ha una qualche rilevanza. -
Le strappò un mezzo sorriso. - Io sono Faith Westley. -
Ci fu un istante di silenzio, che Valerie ruppe posando il secchio sul tavolo accanto all'uomo e trovando un mestolo e un bicchiere. - Tenete, credo che abbiate bisogno di buttare giù qualcosa. - riempì il bicchiere fino all'orlo e glielo passò. - Dopo, magari, potreste anche raccontarci che cosa avete combinato a quelli che erano con te, l'altra sera, perché non si prendessero neppure la briga di raccattarvi da terra. -
Connor, che stava già bevendo avidamente dal bicchiere, per un attimo rischiò di rovesciarsi tutto addosso e tossì un paio di volte, finendo per portarsi una mano al petto fasciato, imprecando sottovoce. Faith scoccò a Valerie un'occhiata di rimprovero, come a chiederle di essere un po' più gentile con uno che aveva appena ripreso i sensi dopo essere stato incosciente per dodici ore filate; la ragazza rispose alzando le sopracciglia con aria innocente.
- Bene, signor... Donovan... -
- Connor. - l'irlandese sorrise, rialzando il bicchiere come se stesse brindando. - Per favore. Solo Connor. -
- Connor, d'accordo. Avete bisogno di riposare, siete stato privo di sensi per un bel pezzo; io vi consiglio caldamente di restare a bordo ancora un po' per riprendervi, però vi avverto che potremmo salpare appena tornano i capitani... o anche non salpare affatto, al momento non lo so. - si strinse nelle spalle. - In ogni modo, se invece vorrete scendere a terra e andarvene per conto vostro, nessuno ve lo impedirà. Se avete qualche posto dove andare, io vi consiglio soltanto di trovare un letto e di rimanerci. -
- Hm... - borbottò Connor con fare pensoso, le labbra sul bordo del bicchiere. - Non sono più tanto sicuro di avere un posto dove andare, almeno non al momento. -
- Allora chiederemo il permesso di farvi restare qui per un po'. Se a voi non dispiace, naturalmente. -
La porta dell'infermeria improvvisamente cigolò, aprendosi di nuovo: David corse dentro, tutto pimpante, e dietro di lui si affacciò Elizabeth. - Faith, sai dirmi dov'è tuo fratello? David ha voluto a tutti costi salire a bordo per cercarlo... - come Valerie, anche lei si interruppe e sgranò gli occhi, sorpresa, trovandosi davanti il nuovo arrivato perfettamente sveglio.
- Ma insomma, questa è un'infermeria, non un porto!- si lamentò Faith, rassegnata, alzando gli occhi al cielo.
- Credo che non mi dispiacerà affatto. - Connor rise fra sé, mentre si portava il bicchiere alle labbra.

*

Fu chiaro fin da subito che la vecchia macelleria non era altro che una copertura: la vera sede della gilda era un complesso sotterraneo, al quale accedemmo seguendo il giovane e i suoi compagni giù per ripidi gradini di pietra, resi scivolosi dall'umidità. Poi attraversammo un breve corridoio, sempre di pietra, illuminato da poche torce accese attaccate alle pareti: quando spalancarono l'ultima porta davanti a noi, per un attimo non riuscii a capire dove ci trovassimo, perché quello che vidi si presentava esattamente come l'interno di una locanda.
Almeno una quindicina di persone sedute attorno a tavolini rotondi ci fissarono da dietro i loro bicchieri ricolmi, e noi ricambiammo gli sguardi: notai che non c'erano soltanto uomini, al contrario di come mi sarei aspettata, ma anche diverse donne e moltissimi ragazzini dall'aria svelta, gli immancabili mocciosi di strada da cui chiunque imparava presto a guardarsi. Le donne erano di diverso genere: alcune erano tutte addobbate in vestiti sontuosi, forse prostitute; altre erano vestite poveramente, e ci guardavano con un non so che di famelico nello sguardo... ma forse era solo una mia impressione.
- Le vostre armi. Tutte. - ci ordinò il ragazzo in tono annoiato, distogliendomi dalle mie osservazioni. Ci misi un istante prima di rendermi conto che si era piantato di fronte a me e mi tendeva una mano, facendomi cenno di sbrigarmi.
- Con calma e per favore. - sbottai, allontanandomi da lui di un passo: c'era qualcosa in lui che mi rendeva irritante il solo fatto di averlo vicino. Mi girai e scambiai un'occhiata con Jack, il quale si strinse nelle spalle con aria rassegnata e mi fece un cenno eloquente col capo. Annuii appena, prima di sfoderare spada e pistola e porgerli al giovanotto. Ma, prima di lasciare che si voltasse, lo fermai e gli sibilai a bassa voce: - Questa roba vale più di te. Non provare ad intascartela. -
Fummo tutti spogliati delle nostre armi, poi senza aspettare, i nostri accompagnatori ci spronarono ad affrettarci dietro di loro. Un'altra porta, un altro stanzone simile al primo, questo però si trovava all'incrocio con quattro corridoi più piccoli, pieni di porte. Che fossero dormitori?
Era ovvio che non eravamo lì per visitare il posto, perché il ragazzo che ci faceva strada sembrava avere una gran fretta: passammo per diverse stanze tutte simili l'una all'altra, tutte più o meno piene di gente, e ad un certo punto fui quasi sicura di scorgere la luce del giorno in fondo ad un corridoio. Chissà, probabilmente il loro quartier generale aveva un qualche porto nascosto sotto i moli.
Altri due uomini armati aprirono l'ultima porta davanti a noi, e stavolta ci trovammo a fare il nostro ingresso in un piccolo ufficio riccamente arredato. Di fronte ai nostri occhi, separato da noi da un largo tavolo, Silehard sedeva su di una sedia imponente come su un bizzarro trono.
Era circondato da cinque dei suoi scagnozzi, e tutti stavano chini sul tavolo ingombro di boccali e bottiglie vuote, intenti a studiare una grande mappa e a discutere a bassa voce. Quando il giovane ci portò davanti a lui, Silehard alzò a malapena gli occhi dalla cartina: vedendoci, però, si raddrizzò improvvisamente con espressione quasi sorpresa, mentre un sorrisetto che non esitai a definire trionfante gli si stirava sulle labbra. Ora che lo notavo, quando sorrideva lo faceva storcendo la bocca in un modo strano, quasi grottesco, che trasformava il presunto sorriso in una specie di ghigno storto.
- Capitano Sparrow, sono felice che abbiate risposto al mio invito. - disse, salutando Jack con un cenno del capo.
Per tutta risposta, lui si strinse nelle spalle. - Diciamo che mi avete incuriosito. - si avvicinò e in tutta tranquillità si appoggiò con entrambe le mani al tavolo, sporgendosi a sbirciare la cartina che vi era appoggiata sopra con infantile curiosità, ignorando completamente le occhiate assai poco amichevoli degli scagnozzi di Silehard. Io, Will ed Ettore rimanemmo dov'eravamo, in silenzio. In quel momento ci accomunava una cosa: nessuno di noi tre sapeva bene che cosa avremmo dovuto fare, a questo punto. Non capivo nemmeno che intenzioni avesse Jack.
- Se siete qui oggi, è perché avete riflettuto sulla proposta che vi ho fatto. - continuò Silehard, giocherellando con un lunga penna d'oca posata sul tavolo davanti a sé.
Ancora una volta Jack fece un gesto vago, dondolandosi contro il tavolo. - Ci ho pensato, sì. -
Non riuscii a non voltarmi di scatto verso di lui, inarcando di riflesso le sopracciglia. Ci aveva pensato? E da quando? Notai anche Will ed Ettore scrutare Jack con un certo stupore; Silehard invece annuì con aria soddisfatta. Alzando una mano ci fece cenno di aspettare, quindi riprese a confabulare con gli uomini che aveva attorno in tono più acceso, indicando rapidamente alcuni punti sulla mappa che aveva davanti, la quale, notai, era zeppa di annotazioni scribacchiate sul bordo, croci rosse e altri simboli che lì per lì non riuscii ad afferrare.
Di nuovo lanciai un'occhiata ai miei compagni: Ettore aveva un'aria più corrucciata del solito, teneva le braccia risolutamente incrociate sul petto come quando si trovava davanti a qualcosa che non lo convinceva; la faccia di Will era assolutamente trasparente, e sembrava aspettare soltanto di potersene andare di lì.
Jack invece era insolitamente imperscrutabile. Sembrava molto calmo mentre continuava a scrutare Silehard con tranquilla curiosità, e in quel momento desiderai ardentemente potergli chiedere che cosa avesse in mente e perché avesse accettato quella visita che, lo sentivo, cominciava inevitabilmente a legarci a filo doppio a Silehard e alla sua gilda.
L'uomo congedò i suoi tirapiedi, lasciando nella stanza soltanto il giovane e i cinque uomini che ci avevano scortati, e fece cenno a tutti noi di avvicinarci. Quando fummo tutti e quattro attorno al suo tavolo, puntò il dito sulla mappa ingiallita. - Il nostro territorio. - annunciò, seguendo col dito il perimetro tratteggiato in inchiostro nero: comprendeva una buona metà di Tortuga, dal porto fin verso il centro della città. - Entro questi limiti, la gilda gestisce ogni furto, assassinio o contrabbando di merce. In cambio, io offro ai miei ladri una libertà e una tutela che da nessun'altra parte potrebbero mai trovare, nonché un posto sicuro all'interno del quartier generale e una spartizione equa del... lavoro, in tutta la città. -
- Devono amarvi molto, i vostri collaboratori, se ve li tenete tutti così vicini. - commentò Will freddamente, accennando col capo alla porta da cui erano usciti gli uomini di prima.
- Non sono uno sprovveduto. - rispose Silehard, appoggiando i pugni sul tavolo. - Ma nemmeno i membri della gilda li sono: sanno che non conviene a nessuno mettersi contro di me, perché fino ad oggi io e soltanto io ho avuto la forza e la costanza di formare e governare un'organizzazione efficiente. I ladri hanno bisogno di un leader, capitano Turner. Tutto, anche la pirateria stessa, non è niente senza il controllo!- strinse ancora di più i pugni pronunciando l'ultima parola, e notai che Jack si accigliava mentre lui e il capo della gilda si scambiavano un lungo sguardo. - E poi, non dimenticate che sono stato io a raccogliere dalla strada e a tirare su buona parte di loro... sono come un padre!- aggiunse, con un tono benevolo che me lo fece sembrare soltanto più inquietante.
Inoltre, qualcosa non tornava. Ora che ci pensavo... come faceva a conoscere il nome di Will, quando soltanto Jack gli si era presentato personalmente la sera prima?!
- Anche se, logicamente, il timore di una coltellata alle spalle è una costante per ogni onesto truffatore. - riprese poco dopo. - Ma ritengo di potere presto rimediare anche a questo problema... specie se voi accetterete di aiutarmi, Sparrow. -
Jack inclinò la testa un poco all'indietro, nel modo buffo di quando stava riflettendo. - E ditemi... come potrei aiutarvi?- domandò, con le dita che tamburellavano sulla fibbia argentata della sua cintura.
- Questo a suo tempo. - il tono del capo della gilda si era fatto più urgente. - Ora devo sapere se voi siete dalla mia parte o no. -
Il capitano strizzò gli occhi per un paio di volte come se fosse sorpreso dalla proposta, poi sfoggiò il consueto sorriso sornione. - Non so quale sia la vostra parte... né che cosa significhi stare dalla vostra parte. - spiegò, allargando le braccia e muovendo qualche passo avanti e indietro davanti al tavolo: era rimasto fermo troppo a lungo, e ora cominciava a risentirne. Silehard non batté ciglio, ma si chinò ad aprire un cassetto sotto il ripiano del tavolo, estraendone un voluminoso sacco di pelle che ribaltò con entrambe le mani, vuotandolo in un colpo solo sotto i nostri occhi: sulla mappa di Tortuga rimbalzarono monete d'oro sonanti, un mucchio di monete.
Jack si bloccò con le braccia ancora per aria, sgranando gli occhi di fronte a tutto quel denaro gettato davanti a lui con noncuranza. Io stessa per diversi istanti non riuscii a staccare gli occhi da quel mucchio di monete, tanto che mi ci volle un po' per accorgermi che perfino i nostri accompagnatori stavano osservando l'oro con cupidigia: il ragazzo con le lentiggini era immobile in un angolo, ma mi sembrava di vedergli riflesso negli occhi il luccichio dell'oro. Ettore non si era mosso di un passo, ma i suoi occhi si erano sgranati sotto le sopracciglia, e avevo visto il suo mento tremare per un attimo mentre si sforzava di non spalancare anche la bocca, sbalordito. Will fissava ora il denaro, ora Silehard, come se non riuscisse a venirne a capo.
Restammo tutti talmente imbambolati, che potei quasi avvertire la delusione nell'aria quando Silehard rimise a manciate l'oro nella borsa.
- Questo è un piccolo compenso per voi e la vostra ciurma, se decidete di unire le vostre forze a quelle della gilda. - concluse, chiaramente consapevole di avere monopolizzato la nostra attenzione.
- La vostra è un'offerta generosa. - intervenne Ettore ad un tratto: fui sorpresa di sentirlo parlare, dato che praticamente non aveva aperto bocca dal momento del nostro ingresso nei sotterranei della gilda. - Molto generosa. Fatto sta che voi offrite molto oro in cambio di qualcosa che nemmeno noi sappiamo. Chiedete di unirci alla gilda, ma cosa significherà questo per noi?-
Era serio, così serio che le sue parole suonavano come una chiara provocazione. Silehard sostenne il suo sguardo indagatore, ma capivo che non gli erano piaciuti i suoi dubbi più che fondati.
- Vi ho già spiegato che cosa intendo fare. - rispose con cordialità forzata. - E sono venuto a sapere della vostra impresa contro inglesi e spagnoli a fianco dei capitani Rackham e Barbanera: un colpo da maestri, vi faccio i miei complimenti. Ma alla vostra piccola flotta mancava l'unità, esattamente come ai pirati manca la capacità di agire come un sol uomo. So cosa state per dire. - scrutò le espressioni di Jack e di Will. - Che la Fratellanza dei Signori dei Pirati è nata proprio per questo motivo... è già saltato fuori ieri sera, mi sembra. E io sono pronto a dimostrarvi che vi sbagliate: la Fratellanza aveva la possibilità di costruire qualcosa di più di un semplice consiglio dei pirati, e invece in tutti questi anni si è riunita solo quattro volte in tutto... l'ultima volta riuscendo a salvare i Caraibi dalla minaccia inglese solo per il rotto della cuffia. -
Will sembrò sul punto di voler ribattere, ma rimase zitto, senza però riuscire a nascondere la scintilla di rabbia nel proprio sguardo.
- Noi della gilda, qui, facciamo questo: ci organizziamo. Privatizziamo il potere proprio qui, a Tortuga. E quando la città risponderà ad un solo potere, quello della gilda, potremo cominciare ad espanderci sui mari. E state sicuri che saranno molti di più quelli che preferiranno unirsi alla nostra causa, che non quelli che si sogneranno di ostacolarci. - fece una pausa, senza staccarci gli occhi di dosso. - C'è solo un'ultima voce da mettere a tacere: quella dei Mercanti. Al momento, entrare nella gilda vuol dire cooperare per sbarazzarci di loro, se questo può servire a darvi un'idea. -
- Una cosa da nulla, insomma... - mai avevo sentito Ettore più sarcastico: il grosso pirata si limitò a serrare maggiormente le braccia e gettare un'occhiata bieca alla mappa di Tortuga.
- Non mi piacciono i Mercanti. - ammisi, con un cenno del capo. - Ma è anche vero che loro, a noi, non hanno mai fatto niente di male: non abbiamo traffici con loro. - mi voltai bruscamente verso Jack, spazientita. - Jack, non possiamo permetterci di cercare guai coi Mercanti; ci manca solo che ci facciamo dei nemici anche a Tortuga!-
- Lascia che ci pensi io. - ribatté lui, respingendo le mie proteste con un semplice gesto della mano. Rimasi talmente allibita che lì per lì non ebbi nemmeno la prontezza di rispondergli. “Lascia che ci pensi io”?! Bisognava essere ciechi per non vedere che ci stavamo cacciando in mezzo a due fuochi. E dubitavo anche che fossero soltanto le monete a fargli gola.
- Sarebbe una mossa più che azzardata. - insistette Will.
Il capo della gilda tornò a scrutarci uno per uno, e solo dal modo in cui ci guardò capii che aveva probabilmente già messo una croce su William, e forse anche su Ettore. Forse anche su di me. Jack, al contrario, appariva fin troppo incuriosito da quell'offerta che, a mio parere, non poteva fare altro che caricarci di guai coi quali noi non avevamo niente a che fare.
Ma anch'io avevo intuito qualcosa fra le parole di Silehard, qualcosa che mi aveva fatto intuire che la sua non era semplicemente l'offerta di un truffatore senza scrupoli alla ricerca di alleati. Sicuramente doveva esserci sotto qualcosa di molto più oscuro. Ripensando all'incontro della sera prima, poco a poco mi venne automatico pensare a Silehard come ad un paziente giocatore di scacchi: il fatto che ci stesse aspettando quella sera all'Albatro, la strana e per me ancora misteriosa allusione fatta a Jack per convincerlo a presentarsi alla gilda, l'offerta di alleanza insieme con l'oro, che aveva usato appositamente per mettere alla prova la nostra cupidigia e la nostra propensione o meno a stare al suo gioco. Fin qui le sue mosse erano fin troppo chiare, ma la cosa più oscura rimaneva la partita segreta giocata da Silehard e Jack, con particolari che apparentemente solo loro conoscevano.
Infatti, dopo aver meditato per qualche istante, arricciandosi il pizzetto con le dita, pronunciò le parole che temevamo di sentirgli dire: - La vostra offerta è interessante. Credo che abbiamo un accordo. -
Il capo della gilda sorrise soddisfatto: aveva ottenuto quello che voleva. - Posso contare sul vostro aiuto quando ve lo chiederò?-
- Potete. -
- Molto bene. - Silehard fece dondolare il sacchetto pieno di dobloni e lo lanciò a Jack, che lo prese al volo, finendo quasi per barcollare sotto il suo peso. Tastò con piacere le monete sotto il cuoio, quindi se lo strinse al petto con aria soddisfatta. Allora lo sguardo di Silehard si spostò su Will, ma lui scosse il capo.
- Avete fatto un accordo con Jack, non con me. - rispose in tono piatto, facendo un passo indietro. - Né con nessun altro della mia ciurma. -
L'uomo si strinse nelle spalle come a dire che era peggio per lui, quindi si alzò dal tavolo.
- Seguitemi. C'è tempo per una bevuta. -
Così fummo condotti nelle cantine, che altro non erano se non un'altra stanza di quel complesso sotterraneo, ma erano veramente le più grandi e più fornite che avessi mai visto a Tortuga: c'erano scaffali e scaffali ricolmi di bottiglie, file e file di casse e di botti piene. Se credevo di avere visto abbastanza con i viveri accumulati nella sala della vecchia macelleria, dovetti ricredermi quando mi ritrovai davanti ai fiumi di alcol che dovevano essere contenuti in ognuna di quelle botti e bottiglie.
Inutile dire che a Jack brillavano gli occhi da quando Silehard aveva aperto la porta di quel piccolo angolo di paradiso: mentre i nostri accompagnatori, ad un ordine del loro capo, andavano a prendere una delle botti dal mucchio per spillarla, Jack ne approfittò per mettersi a girare tra gli scaffali, esaminando le bottiglie da più vicino. Per quanto mi sentissi a disagio, anch'io mi guardai attorno. C'erano bottiglie di forme e colori fantasiosi; alcune botti erano marchiate con nomi che mi erano del tutto sconosciuti. Notai proprio davanti ai miei piedi una cassa di bottiglie lunghe e strette, contenenti un liquore nero come l'inchiostro: non erano le prime che vedevo, anzi, nella cantina sembrava esserci un gran numero di quelle strane bottiglie.
Incuriosita, mi chinai, e ne presi una in mano per studiarla da vicino: non era stata la mezza luce ad ingannarmi, il liquore era veramente nero pece, e stranamente il suo odore penetrava perfino attraverso il tappo di sughero. Annusai. Aveva un aroma pregnante, dolciastro e pungente, che mi fece arricciare il naso.
- Badate, miss, quella non è una bevanda da consumare con leggerezza. - sentii commentare Silehard alle mie spalle. Era solo una mia impressione o c'era un'ombra di malizia nella sua voce? Di certo stava ridendo di me, perché quando mi voltai lo vidi sogghignare, appoggiato col gomito al barile dal quale i suoi uomini stavano spillando il rum.
- Che cos'è?- domandai, rimettendo a posto la bottiglia.
- Lo chiamano Kaav; è stato importato da alcuni mercanti brasiliani ed è diventato subito molto popolare. Lo vendiamo nei bordelli, se capite cosa intendo... - annuii seccamente per fargli capire che non aveva bisogno di guardarmi con quel sorrisetto di sufficienza. - Di qualunque cosa si tratti, c'è da dire che è una mistura davvero efficace. Stiamo ancora cercando di capire quali ingredienti abbiano usato per prepararlo, ma sfortunatamente la ricetta originale sembra essere nota solo a pochi. Un vero peccato, anche se questo non fa che rendere il Kaav più raro e prezioso. -
- Sì, sì, ho capito. - ma guarda tu se dovevo trovarmi a parlare di certe cose proprio con quell'uomo: adesso mi dava l'impressione di una persona viscida, oltre che infida. In quel momento Jack tornò dalla sua ispezione dei liquori: gli uomini di Silehard riempirono dei boccali alla botte che avevano appena aperto e li fecero passare, così ciascuno di noi ebbe diritto alla sua sorsata di rum. Era forte e buono, probabilmente uno dei migliori che avessi assaggiato a Tortuga, ma il fatto di berlo con quel genere di compagnia mi rovinò il gusto della bevuta. Intanto, Silehard dava a Jack le ultime istruzioni: - Quando avrò bisogno di mettermi in contatto con voi, vi manderò un messaggero. Se invece voi avrete bisogno di contattare me per qualche motivo, non usate l'ingresso da cui siete entrati oggi. Cercate l'armeria di Tiago Marquina e dite a lui che siete della gilda: Tiago è un povero vecchio scemo, ma conosce alla lettera il suo lavoro. -
Dopodiché fummo congedati, e ci ritrovammo fuori da quello strano posto tanto in fretta che mi riuscì strano perfino credere di esserci veramente stata. Sotto i nostri piedi, sotto una buona parte della città, un'intera corporazione di uomini e donne di malaffare lavorava per scuotere le acque dei Caraibi come mai erano state scosse prima d'ora. Il portone della vecchia macelleria si chiuse dietro di noi, serrando dietro di sé le voci degli uomini, e noi ci ritrovammo sul molo silenzioso come se niente fosse successo. Era ormai passato il mezzogiorno e il sole era alto sopra le nostre teste.
Jack si gettò uno sguardo alle spalle, arricciando le labbra, quindi si mise in cammino con passo molleggiato e un'aria estremamente rilassata, senza rivolgerci neppure una parola.
- Ehi!- scattai dietro di lui e lo presi per una spalla, facendolo voltare bruscamente. - Che cosa ti è saltato in mente?!-
Jack barcollò per un secondo, colto di sorpresa, quindi scrutò noi tre che lo stavamo guardando con piena disapprovazione. - Sto solo facendo quello che so fare meglio... ossia, mi tengo buone le persone, comprendi?-
- Dubito molto che Silehard sia il tipo di persona che si lascia “tenere buona”, sai?-
- Jack, hai appena stretto un accordo di alleanza con uno che non sappiamo che intenzioni abbia. - replicò aspramente Will: teneva le braccia conserte, e sembrava assolutamente contrariato.
- Non dirmi che hai davvero intenzione di aiutarlo!- rincarò Ettore. - Tutto quel blaterare dei Caraibi uniti sotto una flotta al suo comando... ma ti rendi conto che è una follia?-
Jack si ritrasse di scatto, agitando le mani aperte tra lui e noi come per difendersi. - Oh, oh, cos'è questa insurrezione di popolo? Smettetela! Per vostra informazione lo so quello che sto facendo, e so perfettamente perché lo sto facendo. - ci voltò le spalle di nuovo e cominciò a camminare in direzione del molo, quasi fosse ansioso di chiudere la conversazione, o forse solo di allontanarsi da lì. Gli corsi appresso, mentre Will ed Ettore ci seguivano, chiusi in un rancoroso silenzio.
- Però ti sei ben guardato dal chiedere il mio parere, vero? Ehi! Guardami quando ti parlo!- protestai, agguantando un lembo della sua giacca. Jack si arrestò e per un attimo udii chiaramente il rumore di un liquido che sciaguattava dentro una bottiglia; rimasi interdetta per qualche istante mentre lo fissavo come imbambolata, poi notai che si era chiuso la giacca sul davanti per nascondere un leggero rigonfiamento, come se avesse qualcosa nascosto sotto la camicia. - Non ci credo. Ti intaschi le bottiglie, adesso?-
- Anche se fosse?- sbottò lui, con aria di sufficienza.
- Fa vedere cosa hai preso. -
- No!- Jack incrociò le mani sul petto a proteggere il prezioso contenuto, e cominciò a saltellare per tenersi fuori dalla mia portata mentre cercavo di fargli vuotare il sacco. - Tu non approvi i miei metodi, io non sono tenuto a spartire il bottino, mia cara!- lo abbrancai per le spalle e cercai furiosamente di fargli aprire la giacca, ma lui mi tenne indietro col gomito teso.
- Volete smetterla?! Siete ridicoli!- sbottò ad un tratto William, spalancando le braccia in un gesto esasperato. Io e Jack, che stavamo ancora lottando per la bottiglia -o le più bottiglie- che teneva nascoste, ci fermammo improvvisamente, io ancora aggrappata al bavero della sua giacca e lui con una mano premuta sulla mia fronte per tenermi a distanza. Ci scambiammo uno sguardo e ci separammo senza dire una parola, imbronciati.
Non parlammo granché neanche nel tragitto per tornare alla Perla... anzi, più precisamente non parlammo affatto. Su noi quattro sembrava essere calata una pesante cappa di silenzio che nessuno aveva il coraggio di infrangere, e la sensazione si faceva sempre più soffocante ogni minuto che passava. Possibile che un semplice colloqui con Silehard fosse stato capace di mettere tanta distanza tra di noi? Non riuscivo a capire cosa stava succedendo. In quel momento, probabilmente la cosa più normale era Jack con le bottiglie infilate nella camicia.
Fui la prima a risalire la passerella per tornare a bordo, per cui fui la prima anche a vedere la novità che ci si presentò sul ponte. Ai piedi dell'albero maestro, proprio nel posto dove era solita sedersi Faith nei momenti di calma, era radunato un piccolo gruppo di persone: non fui sorpresa di vedere la mia amica, o Valerie, e neppure Elizabeth, che spesso lasciava la Sputafuoco per unirsi a noi sulla Perla; e perfino Gibbs. Notai tutti loro alla prima occhiata, eppure l'unico che vidi veramente fu l'uomo seduto in mezzo a loro, appollaiato sull'argano.
Era l'irlandese. Sveglio e, a quanto sembrava, perfettamente in salute eccetto le spesse bende che gli fasciavano il torace: qualcuno gli aveva procurato una casacca nera, che portava aperta sul petto fasciato. Senza sapere perché sentii una morsa allo stomaco. Improvvisamente c'era qualcosa di sbagliato nell'essere salita a bordo e averlo trovato lì, attorniato dai miei amici, che rideva e parlava con loro come se li conoscesse da anni.
Fu una sensazione strana, quasi di panico, che durò un secondo appena. L'attimo dopo, l'irlandese sollevò lo sguardo e ad un tratto mi trovai a fissarlo dritto negli occhi. La mia prima reazione fu ancora una volta del tutto irrazionale: per qualche motivo, quando mi guardò, ebbi una gran voglia di voltarmi e andarmene di corsa, solo per non dover più sostenere il suo sguardo. Ma Jack, Will ed Ettore mi avevano ormai raggiunta, e così, senza fare una piega, continuai a camminare con loro lungo il ponte, in direzione del nuovo arrivato.




Note (telegrafiche) dell'autrice (che oggi non ha voglia di scrivere): Sì, ho visto il trailer del quarto episodio di Pirati dei Caraibi, e ho notato che mi hanno fregato anche l'idea del prete. La soddisfazione è che adesso ogni fan di questa saga, quando vedrà il quarto film di POTC... penserà a me. Mwhahaha.

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Capitolo 5
*** Tempesta ***


Capitolo 4
Tempesta



- Signor Gibbs!- tuonò Jack non appena ebbe rimesso piede sulla nave.
Il nostromo sobbalzò, voltandosi di scatto: era impegnato a parlare con l'irlandese e non si era accorto del nostro arrivo. Chiaramente mortificato per quella mancanza, scattò sull'attenti e rispose: - Sì, capitano?-
- La partenza è rimandata; la Perla resterà in porto ancora per un po'. La ciurma può scendere a terra anche stasera, se vuole. - il capitano passò con assoluta indifferenza davanti al gruppetto radunato ai piedi dell'albero maestro, poi, dopo essersi allontanato già di cinque passi, si bloccò repentinamente e tornò indietro, puntando gli occhi sull'irlandese. - Chi sei tu?- sbottò, sgranando gli occhi.
L'uomo sembrò più confuso di lui. - Io... ehm... il mio nome è Connor Donovan, signore. E immagino che voi siate il capitano, giusto?-
- Giusto. - Jack si fermò con le mani a mezz'aria e un'espressione dubbiosa sul volto, mentre lo scrutava da capo a piedi. - Ah, ma certo... sei quello che abbiamo raccolto all'arena l'altra sera. L'irlandese. -
- Irlandese?- il signor Donovan sollevò un sopracciglio, poi scoppiò a ridere: il sorriso rese più evidenti i segni sul suo viso, quelle strane rughe che lo facevano apparire più vecchio e più giovane al tempo stesso. - Oh! Ci avete quasi preso, capitano! Mio padre era irlandese, certo... ma io sono nato qui, nei Caraibi. -
- Oh. Errore mio, o meglio... suo. - Jack sogghignò mentre accennava a me col capo. L'uomo si voltò ancora verso di me e mi guardò, sorridendomi a sua volta: non sapendo che altro fare, ricambiai.
- Credo di dovervi la vita, capitano. - continuò. - C'è qualche modo in cui posso ricambiare il favore?-
Jack si limitò a stringersi nelle spalle. - Finché vi trovate sulla mia nave, cercate di rimanere vivo e di non impensierire troppo il mio medico di bordo. - rivolse un sorrisetto a Faith mentre le passava accanto. - Per il resto, siete libero di andarvene o di restare; per come siamo messi, potete anche unirvi alla ciurma, se lo desiderate. -
Non sembrò interessato a proseguire il discorso con Connor; distogliendo lo sguardo da lui prese ad armeggiare coi lembi della sua giacca e infine estrasse da sotto la camicia due bottiglie, proprio come avevo immaginato. Mi venne quasi da ridere nel vedere l'espressione del signor Donovan mentre guardava Jack compiere quell'operazione. - Signori, riposo!- annunciò, allargando le braccia in modo eloquente, con una bottiglia in ciascuna mano. Mentre si allontanava da noi, mi passò accanto e mi diede intenzionalmente un colpetto col fianco, incrociando i nostri occhi per un istante. Era una piccola richiesta di pace. Anche se ce l'avevo ancora per come si era comportato con Silehard, non potei fare a meno di sentirmi almeno un po' sollevata da quel piccolo segnale: Jack poteva anche avere cominciato a comportarsi in modo più strano del solito... ma, se non altro, avevo la prova che non si era allontanato da me.
Tuttavia, non si prese la briga di fermarsi per dare spiegazioni al resto della ciurma, ma se ne andò difilato in cabina senza degnare di uno sguardo nessun altro. A me quindi spettò il compito di assumermi tutte le occhiate interrogative da parte del signor Gibbs e dei miei amici, ancora confusi dalla notizia che non avremmo lasciato il porto, non oggi. Donovan mi stava ancora guardando. Decidendomi a rompere il silenzio, avanzai di un passo e mi fermai davanti a lui.
- Signor Donovan, giusto?-
- Io preferisco Connor. - replicò, con una risata gentile. - E voi siete, mia signora?-
- Laura Ev... Sparrow. Sono il capitano in seconda, perciò, al momento, potete considerarvi ospite sulla mia nave. -
Un altro sorriso, e gli occhi dell'uomo si illuminarono. - Ne sono onoratissimo, miss Sparrow. -
- Siete tornato in piedi in fretta, per essere stato svenuto una notte intera. - lo interruppi. - Faith, non dovrebbe stare sottocoperta?-
La mia amica scosse il capo, alzando le spalle. - Si è ripreso bene e le sue ossa stanno guarendo; si è rimesso subito in piedi, e un po' di aria fresca non gli avrebbe fatto che bene. - stava ancora parlando quando venne avanti Ettore, silenzioso, mettendosi accanto a lei. Lui e Connor si squadrarono per un attimo, poi fu il pirata a farsi avanti: - Ti devo delle scuse, credo. -
- Noi due ci conosciamo. - scherzò Connor, puntando un dito verso di lui. - Non devi scusarti, grand'uomo: hai fatto un bel lavoro. Era un bel po' di tempo che non mi capitava un avversario del genere... dove hai imparato a lottare?-
- A bordo di una nave dove il capitano era convinto che dispensare pugni fosse un ottimo modo per farsi rispettare. - il guizzo di un sorriso balenò sul viso barbuto di Ettore. - E in giro per molti porti, in seguito. -
Salii a mia volta a sedere sull'argano: Connor era seduto alla mia sinistra, e accanto a lui stava Faith. - Gli uomini che vi accompagnavano ieri sera non si sono preoccupati affatto di portarvi via da lì, quando avete perso conoscenza. - aggiunsi, in tono eloquente.
Connor fece un cenno col capo, socchiudendo gli occhi per un momento. - Ma certo, figurarsi se facevano altrimenti... - mormorò quasi tra sé, prima di rialzare lo sguardo su di me e rispondermi. - Non pensate che fossero miei amici. Ho solo avuto la sfortuna di dovere dei soldi ad alcuni di loro e, giacché non sono riuscito a far fruttare le loro scommesse, sembra che abbiano trovato divertente l'idea di abbandonarmi sul pavimento dell'arena. Non tutti qui a Tortuga sono gentili come voi. -
- Laura, che cosa intendeva il capitano, prima, quando ha detto che la partenza è rimandata?- si intromise Gibbs, con fare spazientito: in un certo senso fui ben contenta di rispondere a lui e sottrarmi ai complimenti infondati di Connor, ma in qualche modo la presenza dell'irlandese -va bene, non lo era, ma mi ero abituata a pensare a lui in questi termini- mi metteva a disagio, e mi sentii impacciata anche solo a tentare di spiegare lo strano comportamento del capitano.
- Purtroppo intendeva dire quello che ha detto, Gibbs. Jack ha parlato con Silehard, col bel risultato che adesso siamo diventati tutti alleati della gilda. -
Dovetti spiegare tutto dall'inizio alla fine, col signor Gibbs che ad ogni parola si faceva sempre più terreo in volto confermando le mie preoccupazioni. Ci furono perfino meno commenti di quanti me ne sarei aspettati: forse in cuor mio avevo sperato in un coro unanime di proteste, che ci portasse tutti quanti a bussare alla cabina di Jack, decisi a farlo ragionare con le buone o con le cattive.
Invece non accadde niente di tutto questo. Will disapprovava apertamente la scelta di Jack, ma era anche sollevato dal fatto che l'accordo non comprendeva né lui, né Elizabeth o la sua ciurma. Faith e Valerie fecero esattamente come Ettore: non dissero niente, ma le facce parlavano per loro.
Per tutto il tempo Connor rimase a guardarci con l'aria di non sapere di cosa stessimo parlando, e dopo un po' mi convinsi che doveva essere del tutto ignaro di questa storia e di quanto le cose si stessero mettendo male a Tortuga.
- Sentitevi liberi di fare quel che vi pare, quindi. - conclusi, con una scrollata di spalle. - Ci siamo appena guadagnati un altro giorno fermi a terra. So che molti uomini della ciurma potranno anche esserne contenti, ma io no. Non mi piace questa storia. Sono contenta che voi ne stiate fuori. - accennai a Will ed Elizabeth, che si guardarono con aria grave.
Elizabeth lanciò una lunga occhiata verso la porta chiusa della cabina. - Spero che sappia quello che sta facendo. - disse infine.
- E' questo il problema. - rispose Will in tono secco. - Non sono sicuro che stavolta lo sappia. -

*

- Mickey, hai un aspetto orribile. -
Sul ponte, Michael sedeva su di una cassa con aria imbambolata: la bocca era piegata all'ingiù in una smorfia triste, ed era stranamente pallido. Alle parole di Faith sembrò ridestarsi di colpo.
- No, no... va tutto bene, davvero. - rispose, ma lo disse in un modo così mogio che riuscì solo a farmi preoccupare di più.
- Michael, vai in infermeria. - rincarai, osservando i due fratelli con occhio critico e accennando col capo alle scale di sottocoperta. Temevo lo scorbuto, fra i quali sintomi c'era anche la malinconia, e l'ultima cosa che volevo era che Michael si ammalasse... specie quando eravamo fermi a terra e si poteva tranquillamente evitare il rischio che mangiasse del cibo guasto.
- No!- protestò lui, infastidito. - E poi Faith ha già abbastanza gente da curare. Figurati se per un po' di mal di pancia... -
- Ah! Allora ce l'hai il mal di pancia, eh?- esclamò Faith, cogliendolo in flagrante. Il ragazzino sospirò, esasperato. - Volete lasciarmi in pace? Avrò mangiato qualcosa che mi ha fatto male, tutto qui. -
La sorella addolcì immediatamente il tono, e gli appoggiò con gentilezza una mano sulla spalla. - Va a riposare, allora, e quando te la senti forse è meglio se cerchi di buttare fuori tutto. - Michael annuì e si alzò dalla cassa per dirigersi sottocoperta: sembrò felice di trovare una scusa per allontanarsi da noi due, dalle nostre preoccupazioni e dai consigli apprensivi di sua sorella. O forse era semplicemente molto stanco.
Mentre i passi di Mickey si perdevano sottocoperta, io non riuscii a trattenere uno sbadiglio: non avevo per niente sonno, ma mi annoiavo.
Il sole stava per tramontare, e al momento era in bilico sull'orizzonte di mare visibile oltre la baia di Tortuga, tondo e rosso come un uomo al tegamino. Come previsto, la ciurma era rimasta un po' spiazzata dalla prospettiva di un'altra intera giornata di libertà a terra, ma nessuno aveva storto il naso: la Perla era quasi deserta, mentre le osterie del porto dovevano essere piene di pirati festaioli. Non avevo nessuna voglia di unirmi a loro. Era come se la terra ferma, e il porto di Tortuga in particolare, da quel mattino mi fosse diventata improvvisamente ostile: non mi sentivo a mio agio se non ero a bordo della Perla. Non mi sentivo più al sicuro.
Jack non si era più fatto vedere per il resto della giornata. Ero passata in cabina giusto per un momento, e lo avevo visto seduto alla tavola degli ufficiali, apparentemente intento a leggere un mucchio di carte ingiallite che aveva sparso su tutto il tavolo. In verità sembrava molto più occupato a svuotare una bottiglia, quindi non mi ero fermata a chiedergli cosa stesse facendo. Non avevo nemmeno molta voglia di parlargli, in verità.
Mi alzai da dove ero seduta e mi stiracchiai voluttuosamente. - Penso che seguirò il suo esempio. -
- Vai a dormire, di già?- Faith mi guardò, sorpresa. - E' presto. -
- Forse riuscirò a tirare fuori il capitano dalla cozza dentro cui si è rinchiuso tutto il giorno, e magari avrà la bontà di spiegarmi cosa diavolo ha in mente. -
- Capisco. - la mia amica rise sommessamente, per poi tornare seria. - Io invece credo che andrò a cercare Connor Donovan. Pensavo fosse sottocoperta, ma sono già un paio d'ore che non lo vedo... devo chiedere se qualcuno ha visto dov'è andato. -
- Cominci già a farti sfuggire i pazienti!- la canzonai, mentre mi avviavo alla porta della cabina.
Come l'aprii, mi accorsi che dentro la sala degli ufficiali era tutto buio: Jack non si era preoccupato di accendere le candele, così che l'unica luce era il bagliore aranciato del tramonto che filtrava attraverso le spesse vetrate, disegnando una griglia di luci ed ombre sul tavolo completamente ricoperto di carte. Jack non era lì.
Mi avvicinai al tavolo, tanto per vedere che cosa lo avesse tenuto occupato tutto il giorno. Appoggiata in cima ad una pila di carte c'era una bottiglia vuota: la presi in mano e la agitai per abitudine, sentendo che non ne era rimasta neppure una goccia. L'odore era buono, sembrava il rum che ci aveva offerto Silehard nella sua cantina: probabilmente si trattava di una delle bottiglie che Jack aveva “requisito” e portato con sé in cabina.
Appoggiai la bottiglia e raccolsi il foglio che vi stava sotto, sul quale era rimasto un anello umido: era una lunga lista scritta in una calligrafia che sembrava quella di Jack. Ne lessi alcune righe, che riuscirono soltanto a confondermi ulteriormente le idee.

“Santo Domingo. Viene accertata la presenza di un gruppo di streghe apparentemente in grado di dominare l'umore del mare: molti capitani si rivolgono sempre a loro prima di mettersi in mare.

Santo Domingo. Lo stesso gruppo di streghe viene cacciato dalla città e perseguitato da alcuni corsari al servizio della chiesa d'Inghilterra. Il capitano della spedizione e molti dei cittadini che hanno avuto contatti con le streghe vengono perseguitati da incubi terribili.

Tortuga. Scoperto un piccolo tempio in disuso sulle scogliere dell'isola. Nessun segno che suggerisca presenza umana da anni. Il tempietto era probabilmente dedicato all'antica dea del mare Calypso.

Santo Domingo. Quasi tutto il gruppo di streghe originario viene catturato. Dodici donne vengono arrestate e poi impiccate su pubblica piazza.”


Abbassai il foglio e lo lasciai sul tavolo, sentendo un vago nodo alla gola. Era la seconda volta che, in un modo o nell'altro, venivano nominate le streghe da quando ero a Tortuga: di qualunque cosa si trattasse, non ero sicura di capire che cosa queste suddette fattucchiere avessero a che fare con noi, né di volere approfondire ulteriormente l'argomento.
Lo sentii arrivare il momento dopo; fu sufficiente sentire il cigolio della porta e seppi che lui era lì, appoggiato contro lo stipite, anche se gli davo le spalle.
Non mi voltai e, quando sentii i suoi passi leggeri sul legno, sorrisi.
- Mi sembri un po' tesa. - sussurrò Jack, venendomi vicino. La sua mano mi carezzò la spalla, scostò con dolcezza una ciocca di capelli e si appoggiò sul mio collo. Inclinai appena il capo, senza voltarmi del tutto verso di lui, come invitandolo a venirmi più vicino.
- Potrei avere più di un motivo per esserla. -
Le labbra di Jack si incresparono in un sorrisetto. - E io sono uno di quei “più di un” motivi?- mosse un passo e fummo faccia a faccia: anche l'altra sua mano mi si appoggiò sul collo. Mi carezzò per un momento, indugiando sulla base della gola, poi intrecciò le mani dietro la mia nuca mentre si chinava su di me, accostando il viso al mio.
- Tu sei quasi sempre uno di quei motivi... - bisbigliai. Sentii il suo fiato sulle mie labbra. L'attimo dopo, le sue mani mi serrarono più forte contro di lui e la sua bocca si chiuse sulla mia; io ricambiai la stretta e mi abbandonai al suo abbraccio, mentre lui prendeva a baciarmi con improvvisa passione. Quando la sua lingua incontrò la mia, per un momento mi sembrò di sentire in bocca un sapore curioso, qualcosa che non era il consueto aroma di rum. In ogni caso me ne dimenticai in fretta, perché quel tentatore aveva lasciato scivolare le mani giù dal mio collo e aveva preso ad accarezzarmi la schiena in modo diabolicamente sensuale, e mi sentii improvvisamente come se il cuore avesse cominciato a pomparmi fuoco liquido nelle vene.
Mi strinse a sé con tanto impeto che dovetti avvolgergli le braccia attorno al collo per reggermi. La sua bocca lasciò per un momento la mia, poi scese a baciarmi sul mento, sulla gola, sul collo, fino ad affondare il viso nella scollatura della mia camicia e sfiorare con la lingua e coi denti la pelle morbida dei miei seni. Ansimai e reclinai il capo all'indietro, assecondandolo. Ad un tratto eravamo finiti in ginocchio, poi Jack mi prese per la vita e mi fece distendere a terra, di schiena sul pavimento di assi.
Subito mi salì sopra con tutto il suo peso; mi baciò di nuovo, mentre con le mani trafficava con la mia cintura senza riuscire a slacciarla. Dal momento che stava cercando di fare tre cose alla volta, prevedibilmente senza riuscire a concludere nemmeno una, dovetti spingerlo indietro con forza e puntellarmi sui gomiti per raddrizzarmi. Lo convinsi a stare fermo giusto il tempo necessario per togliergli la camicia, poi mi si avvinghiò di nuovo, affondando le dita nei miei capelli e schiacciando tutto il suo corpo contro il mio. Rimasi sorpresa quando sentii quanto fosse eccitato.
- Jack... - sibilai contro le sue labbra, a corto di fiato.
- Hmm?- mormorò lui.
- La porta... credo che dovremmo chiuderla... -
Lui emise un brontolio indistinto e continuò a mordicchiare le mie labbra, insinuandosi col bacino tra le mie gambe. Repressi un piccolo gemito, chiudendo gli occhi. Se l'avessi lasciato andare avanti ero certa che avremmo finito per farlo lì, sul pavimento, ed io ero sicura di non avere chiuso la porta a chiave quando ero entrata nella sala degli ufficiali. Me ne ero preoccupata, le altre volte? Non ricordavo. Tuttavia, in quel preciso istante, la paura che potesse entrare qualcuno mi sembrò insopportabile.
- E' proprio così necessario...?-
- Chiudi... la porta. Per favore. -
Jack sospirò tra i denti, roteando gli occhi e indugiando per un lungo istante con la fronte poggiata contro la mia. Poi puntò le braccia a terra e si tirò su lentamente. - Sono subito da te. - mi sussurrò prima di alzarsi; aveva il respiro pesante come se avesse trattenuto il fiato fino a quel momento.
Si diresse alla porta barcollando e incespicando più del solito; io per qualche attimo rimasi distesa sul pavimento, con gli occhi puntati al soffitto. Mi sentivo le gambe talmente molli che dubitavo che sarei riuscita a rimettermi in piedi, ma dopo qualche istante ci provai lo stesso.
Jack diede due giri di chiave alla serratura, e dopo diede un colpo alla porta tanto per verificare che non si sarebbe aperta; nella semioscurità vidi brillare per un istante il suo sorrisetto soddisfatto, poi lui si voltò di nuovo verso di me. Io mi ero alzata in piedi, appoggiandomi al tavolo perché non ero più tanto sicura della stabilità delle mie gambe: mentre Jack mi guardava, gli sorrisi in modo inequivocabile e mi sfilai la camicia, gettandola sul tavolo insieme a tutte le cianfrusaglie.
Per un attimo le sopracciglia di Jack sparirono sotto la sua bandana, poi lui mi raggiunse in pochi passi decisi e mi prese tra le braccia, spingendomi contro il tavolo.
- Vieni qui... - sussurrò contro il mio orecchio, sollevandomi di peso e mettendomi a sedere sul bordo del tavolo: così facendo rovesciò per terra alcune carte ed una coppa vuota, ma nessuno di noi due se ne preoccupò.
Ridacchiai tra me, mentre affondavo le dita nei suoi capelli e lo baciavo di nuovo. Questo era anche più di quanto avessi immaginato all'inizio.
Quello che seguì causò -prevedibilmente- uno spargimento di carte su tutto il pavimento della cabina, mentre io ero talmente avvinghiata al corpo nudo di Jack da sentire la tensione di ogni muscolo come se fosse mia, con ogni suo respiro affannoso che mi rimbombava nelle orecchie. Certo, il posto che ci eravamo scelti era tutto meno che comodo. Quando concludemmo, tutta la mia schiena stava protestando. Al diavolo, ne era valsa la pena.
- Siamo già stanche?- rise Jack, sottovoce.
Eravamo abbracciati, io ancora seduta sull'orlo del tavolo, le braccia attorno alla sua schiena e la testa sulla sua spalla; lui in piedi, appoggiato contro di me.
- Diciamo solo che non mi aspettavo di usare il tavolo. - mormorai al suo orecchio, senza riuscire ad impedirmi di sorridere. Sentii le spalle di Jack sussultare, poi lui allentò l'abbraccio per girarsi verso di me e rubarmi un bacio a fior di labbra.
- Tesoro, tendi a dimenticare che una delle qualità fondamentali di un buon capitano è... l'inventiva. Comprendi?- replicò, malizioso, mentre quel “comprendi” veniva soffocato da un altro bacio. Fu lui a tirarmi giù dal tavolo praticamente di peso, e non mi si staccò di dosso nemmeno quando, ridendo e barcollando, ci spostammo dalla sala degli ufficiali alla nostra cabina senza preoccuparci di raccogliere i vestiti rimasti sparsi per terra. Ebbi appena il tempo di arrivare vicino al letto che lui mi abbracciò da dietro, allungandosi a baciarmi il collo: peccato che lo fece con tanto slancio che rischiai di cadere per terra un'altra volta. Mi andò bene e ci limitammo a incespicare per un attimo per poi finire sul letto, affondando tra le lenzuola disfatte.
- Ehi, sta attento!- protestai, rigirandomi sul letto.
Jack ridacchiò e si sdraiò voluttuosamente su un fianco, allungando una mano dietro la mia nuca. - Qual è il problema? Non mi sembrava ti dispiacesse ricevere un po' di attenzioni. -
- Non mi dispiace, no. - sogghignai. Per qualche momento, con la mano libera, lui si arricciò pensosamente i baffi mentre mi scrutava con la sua migliore aria da marpione, poi mi prese alla lettera e mi spinse di schiena sul materasso, montandomi prontamente a cavalcioni.
- Ma cosa ti prende stasera?- risi divertita, staccando un poco il mio viso dal suo. Lui mi rivolse uno sguardo in tralice come se non capisse di cosa stessi parlando. - In che senso “cosa” mi prende?- rispose in tono eloquente.
- Insomma... - insistetti, anche se tutta me stessa protestava per l'interruzione. - Di punto in bianco sei su di giri, e... lasciatelo dire, non mi sembra una cosa momentanea. -
- Grazie. -
- Sono seria!-
- Oh, anch'io. - sibilò contro il mio collo, prima di ricominciare a baciarmi. Mi stavo rilassando sotto il suo secondo assalto quando, ad un tratto, voltai la testa sul cuscino e mi trovai a guardare un oggetto insolito: c'era una bottiglia appoggiata a terra, a neanche un passo dal letto. La cosa in sé non sarebbe sembrata strana, ma suddetta bottiglia era lunga e stretta, piena di quello che sembrava un liquido nero.
- ...Jack?-
Molto, molto di malavoglia, Jack sollevò appena il capo dando un minimo segno di avermi sentita. Allungai un braccio giù dal letto -Jack non mi lasciava una gran libertà di movimento- e agguantai la bottiglia sospetta, tirandomela vicino per esaminarla.
- Questa dove l'hai presa?!- domandai in tono molto più severo, agitandogliela davanti alla faccia. Come diavolo avevo fatto a non notarla subito, quando aveva estratto dalla camicia il suo bottino della giornata? - E' una di quelle che hai requisito a Silehard, non è vero?-
Il capitano annuì; intanto, non sembrava affatto intenzionato a togliere le sue mani da dove stavano. - Ci ha così gentilmente offerto libero accesso alla sua cantina... -
- Non dirmi che questo è Kaav!- mi divincolai, stappai la bottiglia e annusai: non c'erano dubbi, l'odore pungente e penetrante era inconfondibile. - Santo cielo, quanto ne hai bevuto?-
- Un bicchiere. - borbottò, in tono annoiato. Io controllai la bottiglia, dove mancava una buona metà del contenuto. - Oh, e va bene, un po' di più. -
- Porca miseria, Jack, ma ascoltavi Silehard quando parlava?! Questo non è rum! E' una di quelle sbobbe che usano nei bordelli... nei bordelli, sai cosa vuol dire?-
- Sì. - rispose lui in tono assolutamente innocente, e stavolta si mise a ridere sul serio mentre io sbuffavo, esasperata, e rimettevo la bottiglia sul pavimento con gesto secco, facendo sobbalzare il liquido all'interno.
- Non hai bisogno di questa roba!- protestai. - E soprattutto, ne hai bevuta troppa. -
Jack sembrò rendersi conto che stavo parlando sul serio e finì per abbassare gli occhi con aria colpevole, mettendosi a cincischiare con un lembo del lenzuolo. Per un po' non seppe che cosa dire, poi risollevò lo sguardo, inarcando un sopracciglio. - Mh... questo è un... problema, per te?- azzardò, in tono molto allusivo.
- Be', ehm... - tentennai. - No. Ma non sono sicura che bere quella roba ti faccia molto bene, tutto qui. -
- Va bene, va bene, ti prometto che non ne berrò più!- si arrese Jack, ponendo fine alla nostra discussione con una certa fretta.
E, da quel momento in avanti, non ebbi più niente da ridire sull'effetto che il Kaav aveva su di lui.

*

Era buio, e Faith stava ancora passeggiando avanti e indietro lungo il ponte rischiarato dalle lampade, quando sulla passerella comparve la figura di Connor. Portava sulle spalle una sacca da marinaio.
La giovane dapprima sussultò vedendo qualcuno salire a bordo, poi lo riconobbe e si rilassò. O almeno, avrebbe voluto rilassarsi. In verità, senza sapere perché, l'avvicinarsi dell'uomo dalla testa rossiccia le mise addosso una strana ansia, come se non avesse aspettato che quel momento. Ma questo era ridicolo. Qualche ora prima aveva cercato il signor Donovan ovunque e, verificato che non si trovava più a bordo, aveva dato per scontato che avesse alzato i tacchi e si fosse deciso a tornare da dove era venuto: non era più un suo problema.
Allora perché adesso il solo fatto di vederlo arrampicarsi sulla passerella e avviarsi sul ponte, schermandosi gli occhi dalla luce fioca delle lampade, la faceva sentire in qualche modo sollevata?
Non c'era quasi nessun altro in coperta, eccetto lei: qualche pirata si dondolava seduto sulla murata, o beveva in disparte nei pressi del cassero di poppa. Si fece avanti, chiamandolo. - Signor Donovan?-
Quello sembrò riconoscere la sua voce e si girò, e quando la vide le rivolse un sorriso che sembrava quasi di sollievo. - Non ci eravamo accordati per “Connor”?-
Faith non riuscì a non sorridergli di rimando. - Giusto, scusatemi, Connor. Dove eravate? Vi ho cercato prima per sapere se andava tutto bene, ma non sono riuscita a trovarvi. -
- Devo dedurre che vi ho fatta stare in pensiero? Se avessi saputo che mi stavate aspettando mi sarei sbrigato prima. - replicò, venendo avanti fino a che non raggiunse la murata, alla quale si appoggiò, e mise giù il sacco. La cosa buffa era che aveva parlato senza ombra di malizia, nel suo consueto tono bonario e senza cambiare di una virgola la sua espressione; tanto che Faith impiegò qualche attimo ad afferrare tutta la portata di quella frase buttata lì come per caso. Tentennò, presa alla sprovvista.
- Più che altro vorrei sapere perché siete tornato. Una volta tornato a terra, pensavo che ci sareste rimasto. -
- Vedete... Faith... - cominciò Connor, scoccandole un'occhiata come a chiederle se avesse azzeccato il nome, mentre con una mano si arruffava i capelli con aria meditabonda. - Come avrete intuito, purtroppo al momento mi trovo invischiato nelle faccende di amici che non sono poi così bendisposti nei miei confronti. -
- Oggi non li avete definiti “amici”. -
- Va bene. Chiamiamoli colleghi, allora, che ne dite?-
- E si può sapere di cosa vi occupavate, di preciso?-
- Contrabbando. - rispose lui con leggerezza. Al silenzio che seguì, si voltò verso di lei, corrucciandosi. - Che c'è? Ora non ditemi che vi ho scandalizzata; voi servite su una nave pirata!-
- Non sono affatto scandalizzata. - lo rassicurò Faith, quasi ridendo. - Mi stavo solo facendo un'idea di chi potrebbero essere i vostri “colleghi”, se dite di avere lavorato con i contrabbandieri e di avere avuto dei problemi... -
- Lavoro per i Mercanti. E con questo?- ammise, con una scrollata di spalle; Faith si limitò a ricambiare il gesto, e Connor continuò. - Per un bel pezzo me la sono cavata così, col lavoro di contrabbando... e arrotondando con le scommesse all'arena. -
- Mi pareva che non fosse la prima volta che tiravate di boxe. - scherzò lei.
- Infatti. Di solito me la cavo anche bene, ma, come avete visto... Ecco, diciamo che ho combinato dei guai ai Mercanti, e loro non l'hanno presa affatto bene. Hanno voluto che li ripagassi con gli interessi e, quando non ce l'ho fatta a restituire tutto, mi hanno trascinato all'arena sperando di farmi tirare su qualche scommessa... o di farmele suonare in caso contrario. - fece una smorfia, non si capiva se addolorata o divertita. - Hanno avuto quello che volevano. -
- Allora cosa siete andato a fare in città, oggi?- insistette lei. Il viso di Connor fu di nuovo attraversato da qualcosa di simile ad un'ombra di turbamento, e per un lungo istante lui non aprì bocca; alla fine si decise a stringersi nelle spalle e rispondere semplicemente: - Più o meno, a chiedere perdono. -
- Perdono per essere sopravvissuto?- rincarò Faith, pungente. Questo lo fece quasi ridere, e i suoi occhi grandi lampeggiarono per un momento nella sua direzione, facendola sentire per un momento fin troppo esposta.
- Una cosa del genere. Perdono per essere sopravvissuto. - stirò le labbra in un sorriso, scuotendo il capo. - Non erano molto contenti, ecco tutto. Diciamo che ho pensato che fosse meglio mettere le mani avanti... evitare che qualcuno dei Mercanti mi vedesse qui e decidesse di finire il lavoro. Ho detto che avevo imparato la lezione, e ho pregato cortesemente di non accopparmi. Mi sono preso la libertà di riferire che sto con voi, adesso. -
Per cinque secondi netti Faith restò ammutolita, sbattendo le palpebre senza capire. - ...Scusatemi?-
- Che sto qui a bordo. Con voi della ciurma, no? Sulla nave. - Connor accennò con la mano al ponte su cui si trovavano, per terminare indicando il sacco che doveva contenere i suoi averi, forse i suoi abiti di ricambio. - Penso che mi lasceranno in pace finché io onorerò la mia promessa di ripagare i miei debiti. Spero che a voi non dispiaccia, sapete... lo so che ancora non sono ufficialmente parte della ciurma, ma è stato proprio il vostro capitano ad offrirmi di restare a bordo, se vi ricordate. Io l'ho preso in parola; spero non sia un problema. -
- Oh... no, no!- esclamò lei, riscuotendosi. - Certo che non è un problema... insomma, dobbiamo chiedere a Jack e a Laura, sì, ma... avete fatto bene a dire che siete nella ciurma. Sono contenta che abbiate risolto i vostri guai. -
Di nuovo il suo sorriso senza età, e uno scintillio in fondo a quegli occhi scuri. - Già... anch'io mi sento piuttosto sollevato. - Connor si staccò dalla murata e si voltò per essere faccia a faccia con Faith. - Devo riconoscere che, più che al vostro capitano, devo la vita a voi. Vi ringrazio. Non avete idea di quanto il vostro aiuto sia stato provvidenziale, sul serio. -
La sua mano era tra quelle di Connor, che la stringevano con gratitudine. Questo non aveva affatto senso: perché c'era la sua mano tra quelle di Connor? Quando c'era arrivata? Peggio ancora, dopo averla stretta, l'uomo si portò la mano di lei alle labbra e vi stampò un rapido bacio: un gesto per niente affettato o forzato, ma spontaneo in modo quasi disarmante. Faith lasciò ricadere la mano, allibita: per lei, certe dimostrazioni di galanteria ormai erano così fuori luogo che... che non riusciva a non esserne lusingata, stranamente.
- Non... c'è niente da ringraziare, Connor. - fu tutto quello che riuscì a rispondere, titubante. Senza aggiungere altro lo lasciò sul ponte e se ne andò sottocoperta, imponendosi di calmare la tempesta di pensieri che le si era scatenata nella mente.

*

Doveva ormai essere tardi.
Molto tardi. Così tardi da essere quasi presto.
Si mosse lentamente, stiracchiandosi. Laura dormiva profondamente, raggomitolata tra le lenzuola come un gatto; Jack, accanto a lei, ancora non dormiva. Si spostò piano, stringendo le braccia attorno alla vita di lei e appoggiò il capo contro la sua schiena nuda; i suoi capelli gli facevano il solletico sotto la guancia. Stava bene. Decisamente bene. Forse anche troppo bene.
Quella roba che aveva bevuto era veramente forte, certo, ma non capiva perché Laura lo avesse rimproverato così tanto per un semplice... esperimento. Certe cose valevano la pena di essere provate... e anche lei, ora come ora, sembrava avere gradito, aggiunse tra sé con un sorrisetto.
In effetti, era un peccato che dormisse.
E se l'avesse svegliata? Ci pensò sopra, lasciando sprofondare la testa nel cuscino, e sentendo ribollire nel profondo di sé un languore non ancora del tutto soddisfatto. Si sarebbe seccata, probabile. Ma poi, forse, dato che era sveglia...
“Datti una calmata, vecchio sporcaccione, non puoi pretendere più di tanto!” si disse, ridendo sotto i baffi, anche se buona parte del suo corpo non era ancora del tutto d'accordo. Chiuse gli occhi e si rilassò, mentre sentiva pian piano la mente annebbiarsi, mentre ogni rumore si riduce al suo respiro, quello di lei, al pulsare del sangue nelle sue vene... poco a poco scivolò in uno stato di dormiveglia: immagini confuse cominciarono ad affollarglisi dietro le palpebre, e ad un tratto, come proveniente da un pozzo profondo, sentì di nuovo risuonare quella voce.
Era la stessa voce gracchiante che gli aveva parlato nei suoi precedenti incubi, non c'erano dubbi. Solo che stavolta gli giungeva solo un borbottio confuso, nel quale non riusciva a distinguere una sola parola.
L'immagine dell'Isla de Muerta si formò nella sua mente, ma stavolta gli sembrava di vedere tutto in modo più distante, distaccato. Strizzò gli occhi e l'immagine sparì come se fosse stata inghiottita dalla nebbia.
C'era di nuovo quella presenza insieme a lui, la sentiva, come un uccellaccio del malaugurio che gli piantasse i suoi artigli nella spalla, sussurrandogli all'orecchio parole che non riusciva a capire, dandogli ordini ai quali non voleva obbedire.
Una mano insanguinata che lasciava cadere due dobloni d'oro in un forziere di pietra.
“Va via.”
Una moltitudine di facce, una dopo l'altra, troppo rapide perché potesse riconoscerle. Come se stesse precipitando dentro la sua stessa testa. O come se qualcuno stesse scartabellando i suoi ricordi, in tutta fretta.
“Va via.”
C'era qualcosa di diverso, ora. L'uccello del malaugurio perdeva la presa sulla sua spalla; le sue parole si facevano lontane. Jack non era del tutto assorbito nel sogno: il suo corpo era ancora sveglio... forse anche un tantino troppo sveglio, ed era più che consapevole del tepore reale e terribilmente invitante della donna stesa accanto a lui. Ad un certo livello era ancora cosciente di dov'era realmente e di cosa invece erano le immagini che gli affioravano alla mente, come ricordi che riemergevano disordinatamente.
Era la baia dei Relitti quella che gli sembrava di scorgere adesso?
Strinse di nuovo le palpebre. Un respiro, un battito di cuore continuo. Quello era reale. La voce invece no.
Quella emise una lontana esclamazione di sorpresa, prima di spegnersi del tutto.
“Va via!” aprì gli occhi, sfuggendo al sogno con facilità, tornando alla solidità del letto e al calore invitante del corpo di Laura, che lo avevano tenuto legato alla realtà. Per qualche momento rimase a battere le palpebre nel buio, cercando di capire che cosa fosse appena successo. Aveva avuto la meglio sull'incubo!
Si concesse di sentirsi trionfante giusto qualche istante, poi tornò a rimuginare sull'accaduto: di qualunque cosa si trattasse, sapeva che non gli avrebbe dato tregua tanto facilmente. Eppure... eppure... per una volta sola, era riuscito a tenerla fuori dalla sua testa.
Nel silenzio, Laura fece un lento respiro profondo, continuando a dormire: Jack si rilassò e, quasi inconsapevolmente, le si strinse un po' di più.
Certo che, se solo fosse stata sveglia...



Note dell'autrice:
Ultimamente le acque sono fin troppo calme da queste parti, non trovate? Anche gli ultimi capitoli si stanno facendo avanti molto, molto lentamente. (chissà che questo capitolo non capiti giusto giusto per riscaldare l'atmosfera...) Innanzitutto, un sincero benvenuto e un grazie ad eltanin12: grazie per la costanza e la pazienza dimostrata nel recuperare gli episodi precedenti della saga per arrivare fino a qui! E, credimi, sentirsi dire che i propri personaggi funzionano proprio come li si desiderava è un GRANDE complimento. Perciò, grazie ancora. Fannysparrow, per soddisfare la tua curiosità, confesso che il sopracitato "irlandese" lo immagino con le fattezze del pregevole Robert Downey Jr, opportunamente ritoccato per adattarsi allo stile dei film di POTC. Jack geloso? Hmmm... per il momento dico solo che io, autrice, mi limito a ghignare maligna in disparte!
Wind in your sails.

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Capitolo 6
*** Emergenza ***


Capitolo 5
Emergenza


Quella mattina mi svegliai da sola nel letto: le lenzuola erano state calciate via, e non c'era traccia di Jack in cabina.
Quando entrai caracollando nella sala degli ufficiali, ancora mezza intontita dal sonno, notai un vassoio appoggiato sul tavolo. Qualcuno aveva anche raccattato e ammucchiato sullo stesso tavolo le carte che avevamo sparpagliato dappertutto la sera prima. Sul vassoio c'era quella che doveva essere la mia colazione, e i resti di quella di Jack: una fetta di pane, una striscia di carne salata, una mela verde integra, una ridotta ad un torsolo. C'era una scia di briciole che andava dal tavolo fino alla porta della cabina. Notai anche due coppe e una bottiglia; controllandola, fui felice di constatare che si trattava solo di acqua.
Avevo una fame da lupo ma trangugiai tutto il più in fretta possibile, notando, dalla luce che entrava dalle vetrate, che doveva essere già mattina inoltrata.
Non appena ebbi finito di mangiare scesi sottocoperta, guidata dal chiacchiericcio: buona parte della ciurma era radunata lì sotto a fare colazione, approfittando della tranquillità -e del cibo migliore- che potevamo permetterci essendo ancora in porto.
- Guarda un po' chi si è svegliata, finalmente!- Valerie mi chiamò, sporgendosi e facendo dei gran cenni per salutarmi al di sopra del chiasso. Ricambiai e mi avvicinai, allungando il collo per vedere chi altri ci fosse: al suo fianco c'era Faith, mentre dall'altra parte dell'asse appoggiata sopra uno dei cannoni e usata come tavola torreggiava la figura di Ettore, che mi dava le spalle. Di fianco a lui c'era l'inconfondibile testa rossiccia di Connor Donovan.
- Buongiorno anche a voi, eh?- li salutai, fermandomi accanto alla tavolata. In quel momento, fra il viavai di pirati che andavano avanti e indietro, mi passò di fianco Jonathan, il quale mi rivolse un cenno di saluto ma poi proseguì senza fermarsi. La cosa un po' mi sorprese. Anche se non ero mai stata particolarmente in confidenza con il giovane Wood, lo conoscevo abbastanza da sapere come stavano le cose tra lui e Valerie da un po' di tempo a questa parte: non era un mistero per nessuno che da alcune settimane la ragazza e il carpentiere si imboscavano regolarmente sottocoperta. Io, personalmente, non ci avevo visto niente di male; la cosa non sembrava disturbare gli altri uomini della ciurma, e io sapevo per certo che Valerie era abbastanza sveglia da permetterselo.
Adesso invece, ora che ci pensavo, era da un po' che non mi capitava di vederli insieme. Magari stavano attraversando un periodo di magra.
Mentre ero ancora persa nelle mie elucubrazioni, qualcuno mi arrivò alle spalle e mi circondò la vita con le braccia: sussultai, ma solo per accorgermi che era Jack, appena comparso dal nulla come al solito.
- Buongiorno!- mi fece, affacciandosi da sopra la mia spalla con un sorrisetto inequivocabile. - Non mi aspettavo di trovarti già in piedi. -
- No? Buongiorno anche te, comunque... avresti anche potuto svegliarmi!-
- Non era il caso. - rincarò lui, sporgendosi per un bacio. D'accordo, ce l'avevo ancora con lui per come si era comportato il giorno prima, ma diciamo che era difficile trascorrere insieme una nottata del genere e poi tenersi il broncio. Sorrisi e lo baciai da sopra la spalla. Ad un tratto mi sentii addosso gli occhi di tutti quanti.
Jack mi lasciò andare e si congedò dagli altri portandosi due dita alla fronte, poi si diresse verso la scala che portava in coperta, fischiettando. Guardando altrove, mi schiarii la gola e mi appoggiai alla tavola. Mi stavano fissando tutti e quattro. Connor alzò vistosamente un sopracciglio e fece un sorriso strano.
- Che capitani affettuosi che abbiamo stamattina. - commentò Faith, rompendo il silenzio nel modo peggiore che le potesse venire in mente.
- Sembra che stanotte qualcuno abbia fatto pace. - commentò Valerie, dando un morso alla propria mela.
- Piantatela. Subito. - le zittii, fulminandole con uno sguardo omicida. Ettore ridacchiò sottovoce, scrollando le spalle: diavolo, avrei accettato i loro scherzi se fossimo stati tra di noi, ma non davanti a Donovan. Diavolo, che razza di figura mi avevano appena fatto fare?
In quel momento Michael passò dietro di me, reggendo tra le mani una scodella con la sua razione di cibo. Ci superò senza fermarsi, ma ero riuscita a scorgerlo in faccia per un attimo prima che mi voltasse le spalle: aveva gli occhi pesti di chi non aveva dormito affatto, ed era terreo.
Faith si alzò bruscamente in piedi e si sporse da sopra la tavola. - Che faccia, Mickey!- gli gridò dietro. - A stare in porto ti è venuto il mal di terra?-
- Lasciami in pace!- sbottò lui per tutta risposta, e il tono della sua voce non suggeriva niente di buono.
- Mickey?- insistette la mia mica, ora più preoccupata. - Che cos'hai? Sei sicuro di sentirti bene?-
Il ragazzo non si fermò, facendosi largo tra gli altri pirati che consumavano il rancio. Mentre lo guardavo ebbi un brivido di paura. Forse fu proprio quello l'istante in cui lo vidi barcollare, malfermo sulle gambe.
- Mickey?!-
Le sue braccia furono percorse da un tremito tanto violento da fargli sfuggire la ciotola dalle mani. Il ragazzo si piegò in due. La ciotola cadde per terra, e Michael finì in ginocchio sulle assi del ponte.
- MICKEY!-
Si raggomitolò a terra, in lacrime, stringendosi le braccia attorno al ventre.

*

Quando lo portammo in infermeria, Michael ancora gemeva per il dolore.
Avevamo agito in fretta e furia: con quanta più delicatezza possibile, Ettore si era caricato in spalla Michael, poegato in due da un dolore che gli massacrava le viscere; Faith li seguiva stringendo forte la mano di suo fratello, che ricambiava quasi convulsamente la stretta. Quella che li seguì fino in infermeria fu una vera e propria processione: c'eravamo io, Jack, Valerie, e perfino Connor, che oramai sembrava starci costantemente alle costole ovunque andassimo.
Faith stese il fratello sul tavolo e, dopo averlo convinto a lasciarle la mano, gli sbottonò la camicia e cominciò a tastargli la pancia. Era tesa come una corda di violino, e stava sudando: per quanto mi fidassi delle sue capacità, cominciavo a temere che il panico potesse avere la meglio su di lei. Appena le sue dita toccarono il basso ventre del ragazzino, questo si mise ad urlare e a dimenarsi, tanto che Ettore dovette bloccarlo e chinarsi su di lui, parlandogli sottovoce per calmarlo.
- Scusami, Mickey!- gemette Faith, mortificata. - Scusami, ti prego, io non volevo, non... -
- Faith! Calmati!- dovetti riprenderla bruscamente mentre vedevo avverarsi i miei timori: con suo fratello ridotto in quello stato, non sarebbe mai rimasta lucida abbastanza per aiutarlo. - Così non lo aiuti. Pensa in fretta adesso; che cos'ha?-
- Non lo so!- sbottò lei, allargando le braccia con aria impotente. - Non è ferito, e niente di quel che ha mangiato può essere la causa di un dolore simile!-
Alle nostre spalle, Connor si schiarì la gola per attirare la nostra attenzione. Ci voltammo, e lo trovammo a guardare noi e Michael con volto corrucciato. - Ha i muscoli della pancia contratti?- domandò, cogliendoci tutti alla sprovvista.
- Duri come una tavola di legno. - replicò debolmente la mia amica.
- E ha urlato appena l'hai toccato... - mormorò tra sé. - Sentite... Io ne ho visti altri così. Può capitare, credo. Per curarli, alcuni medici... be'... - esitò, gettando un'occhiata su di noi come a chiedere il nostro parere. - ...aprivano la pancia. -
Mi sembrò di sentire tutti quanti trattenere il respiro. Tranne Jack, che fece una smorfia disgustata e commentò: - Ehw. E per tirare fuori cosa?-
Faith emise un gemito e impallidì: io, che ero di fianco a lei, le strinsi una spalla cercando di farle un po' di coraggio, per quanto comprendessi quanto fosse critica la situazione. Ci trovavamo davanti a qualcosa che nessuno di noi sapeva come trattare, e se Michael doveva proprio finire sotto i ferri del chirurgo era evidente che quel chirurgo non poteva essere sua sorella, sconvolta com'era. - Ascoltate, non sappiamo nemmeno di che cosa si tratta. - obiettai, sforzandomi di pensare. - E di certo Faith non può occuparsene da sola. Dobbiamo cercare aiuto, in città ci sarà pure qualcuno che... Frate Matthew!-
- Cosa?- Jack e tutti i presenti si voltarono verso di me, senza capire.
- Frate Matthew! Bill Night ha detto che è un chirurgo, no? L'ha chiamato trinciapolli... - quello forse non avrei dovuto dirlo davanti a Faith. Troppo tardi. - Oh insomma, forse si intende di certi malanni! Potrebbe aiutare Michael! Dobbiamo portarlo subito all'Albatro, adesso!-
Mentre pronunciavo l'ultima frase lanciai uno sguardo supplichevole a Jack. Lui esitò un solo istante, con le mani bloccate a mezz'aria come per fermare gli eventi che ci stavano precipitando addosso, quindi sembrò recuperare il controllo, si fece serissimo in volto e indicò Ettore. - Ce la fai a portarlo a terra?-
Per tutta risposta, il pirata sollevò senza sforzo Michael tra le braccia e fece un cenno di assenso col capo.
- Bene. Tu, invece. - l'indice di Jack si puntò su Connor, che era rimasto in disparte in un angolo dell'infermeria. - Renditi utile e accompagnaci: voglio che tu dica al frate tutto quello che sai riguardo l'aprire le pance, comprendi? Ottimo. Valerie, avvisa Gibbs e il resto della ciurma che siamo all'Albatro per un'emergenza. Muoviamoci, forza!-
Così, in fretta e furia noi cinque lasciammo la Perla trasportando un sofferente Michael per le strade appena sveglie di Tortuga, fino ad arrivare davanti alla porta principale dell'Albatro, alla quale bussammo furiosamente prima che Bill Night venisse ad aprire, rischiando anche di beccarsi le nostre nocche in piena faccia. Quando ci vide fece tanto d'occhi e rimase a fissarci a bocca aperta.
- Parola mia, per voi sembra essere diventata un'abitudine spuntare fuori nei momenti più impensati!- fece, stupito.
- Il ragazzo sta male. - tagliò corto Jack, indicando Michael che giaceva tra le braccia di Ettore. - Dov'è il tuo frate? Ci serve aiuto, e ci serve subito. -
Piuttosto scombussolato, Bill che fece entrare e poi si assentò per andare a chiamare frate Matthew, che dormiva da qualche parte nel retro della locanda. Quando entrambi tornarono, Ettore aveva già adagiato il ragazzino su uno dei tavoli più grandi. Mickey non stava per niente bene: il suo colorito era passato da pallido a grigiastro, ansimava, e i suoi occhi erano pieni di lacrime. Guardarlo mi provocò una fitta al cuore, nonché una punta di panico.
- Cosa gli è accaduto?- domandò frate Matthew senza tanti convenevoli, allacciandosi il cordone della tunica. Si chinò su Michael con occhio critico, osservandolo con attenzione e posandogli gentilmente una mano sulla fronte sudata.
- Non stava bene da qualche giorno, e questa mattina la pancia gli faceva così male che non si reggeva in piedi. - la voce di Faith tremava, mentre lei fissava con aria tesa prima il frate e poi Michael. - Temiamo... che abbia qualche malanno dentro. Io non sono riuscita a capire di che cosa si tratta. -
Frate Matthew annuì, sempre più serio, quindi cominciò a tastare la pancia del ragazzo come aveva fatto Faith: lui però cominciò delicatamente dalla parte sinistra per poi procedere verso il lato destro. Solo dopo che le sue dita si mossero oltre l'ombelico, Michael ebbe un sussulto e si lamentò per il dolore.
- Coraggio, coraggio... - lo confortò a mezza voce, mentre una ruga gli si formava fra le sopracciglia aggrottate. Connor gli si avvicinò e disse qualcosa a bassa voce, accennando al ragazzino con il capo: i due parlottarono per pochi istanti, quindi frate Matthew si voltò di nuovo verso di noi. - Sfortunatamente avete ragione: il ragazzo soffre di una brutta infiammazione alle viscere, e potrebbe aggravarsi seriamente se non facciamo subito qualcosa. -
- E allora... cosa intendete fare?- domandai con una cera titubanza, anche se immaginavo e temevo la risposta. Gli occhi del frate si strinsero, mentre fissava noi e Bill radunati attorno al tavolo. - Devo operarlo e non posso farlo da solo. C'è qualcuno qui tra voi che si intende almeno un po' di chirurgia?-
Istintivamente i nostri sguardi si volsero a Faith, la quale ricambiò con un'espressione che definire atterrita era dire poco: dopotutto era lei che conosceva le erbe medicinali, lei che fin da ragazza aveva potuto informarsi su ingialliti libri di medicina, lei che sapeva come cauterizzare e cucire una ferita.
- Non direte sul serio?- pigolò. - Mi state chiedendo di... non... non posso operare mio fratello!-
- Invece potete lasciarlo morire?- mi sorprese la cruda freddezza con la quale frate Matthew le rispose. La mia amica si zittì, mordendosi un labbro. - Rischia così tanto?-
Il frate annuì lentamente, quindi si chinò su Michael. - Non te lo nasconderò, ragazzo: il tuo è un malanno grave e dobbiamo muoverci adesso. Ma tu sei un giovanotto coraggioso, non è vero?-
- No. - gracchiò Mickey, con la voce rotta dalla paura. - Per niente... Ho paura, cazzo!- le lacrime gli colarono dagli angoli degli occhi, bagnandogli i capelli. Quello spettacolo riuscì a spaventarmi più di tutto quel che avevo visto finora: per un attimo mi sentii accartocciare lo stomaco, e le ginocchia rischiarono di cedermi. Jack era dietro di me; mi strinse un braccio, senza dire nulla, e non mi lasciò andare finché il tremore alle mie gambe non accennò a diminuire.
Faith fece un respiro profondo e si avvicinò a suo fratello, carezzandogli la fronte. - Ci penserò io, Mickey. Andrà tutto bene. - sussurrò, rassegnata. I due fratelli si guardarono negli occhi per qualche istante, poi lui mormorò in un soffio: - Mi fido, Faith... -
Da quel momento frate Matthew prese ufficialmente il comando della situazione, e ci chiese aiuto per improvvisare una camera operatoria: Bill ci diede una tovaglia pulita che stendemmo sul tavolo prima di rimetterci Michael, - “E insomma, lì sopra la gente ci mangia!” aveva brontolato mentre lo faceva, ma non aveva protestato- io e Faith fummo mandate nella stanza di frate Matthew a prendere i suoi ferri da lavoro e alcuni medicinali; quando tornammo trovammo Michael steso a petto nudo sul tavolo, i pantaloni aperti e abbassati fin dove era possibile, mentre il frate gli faceva bere una generosa dose di rum da una fiaschetta. Jack, Ettore, Connor e Bill erano seduti in disparte sulle panche; il che poteva voler dire soltanto che non potevano più dare nessun aiuto, e che era arrivato il momento di fidarsi unicamente del ferro del chirurgo.
Michael tossì, ma il frate non smise di farlo bere fino a che non gli ebbe vuotato in gola un terzo della bottiglia: era un metodo molto usato anche a bordo, poiché una buona dose di rum era un vero toccasana contro il dolore.
- Tu. - si rivolse a Faith. - Mi serve dell'oppio per farlo dormire. -
Lei gli porse una delle boccette che contenevano le sue sostanze, e il frate ne versò qualche goccia sulla lingua di Michael. In pochi minuti il ragazzo era sprofondato in un sonno drogato, e pregai con tutto il cuore che il suo sonno fosse abbastanza profondo da non fargli sentire troppo dolore. Frate Matthew si lavò febbrilmente le mani in un catino, quindi srotolò una sacca di pelle che conteneva alcuni ferri medici dall'aria micidiale. - Cominciamo. - disse, senza neanche un'ombra di esitazione nella voce, mentre passava un sottile coltello sulla fiamma di una candela per arroventare la lama. Anche Faith cominciò a lavarsi le mani, ma vedevo le dita che le tremavano.
Non sapendo che altro fare, andai a sedermi accanto a Jack per non rischiare di intralciare il lavoro del frate: gli occhi di tutti erano puntati inevitabilmente su Michael, carichi di tensione e di macabro interesse. Frate Matthew strofinò la pelle del ragazzo con un panno imbevuto nel rum, quindi abbassò con mano ferma il coltellino e cominciò ad incidere la carne. Un tremito terribile mi scossa da capo a piedi quando lo vidi sanguinare: sarebbe stato più sensato distogliere gli occhi, ma non ne fui capace. Ero come paralizzata. La mia mano tremante trovò improvvisamente quella di Jack, e mi ci aggrappai con tutte le mie forze.
La lama aprì un taglio perfetto, profondo e obliquo dall'ombelico di Michael scendendo verso il fianco, quindi il frate passò il coltello insanguinato a Faith e prese una piccola pinza metallica con la quale divaricò i due lembi di pelle. Jack contorse la bocca come stesse per avere un conato. Con infinita attenzione, Faith asciugò la ferita, poi il frate passò a lei la pinza e le disse di tenere aperto il taglio. Lei obbedì senza emettere un fiato, mentre frate Matthew, con estrema lentezza, infilava altri due piccoli attrezzi metallici nella ferita.
Come il frate cominciò a frugare nelle carni di Michael, io vidi che cosa c'era sotto la sua pelle, oltre al sangue: ebbi una rapida visione fin troppo dettagliata di una roba viscida e carnosa, di un rosa lucido e nauseante, smossa dagli attrezzi del frate. Non ce la feci più e mi piegai in due, sentendo una stretta terribile alla bocca dello stomaco.
- Basta... - sibilai, implorante, stringendo la mano di Jack. - Per favore, basta... -
Per fortuna il capitano fu svelto a farmi alzare e a condurmi in tutta fretta fuori dalla porta, dove rovesciai in strada il contenuto del mio stomaco. Mentre rimettevo l'anima mi ripromisi che mai, mai più avrei voluto assistere ad una scena del genere.
Le dita di Faith erano immobili, ma il suo cuore era lì lì per sfondarle la gabbia toracica. Il sangue che inzuppava i suoi ferri era quello di suo fratello, quelli che la pinza e il bisturi di frate Matthew stavano pungolando erano i suoi visceri. Non doveva guardarlo in faccia. Se guardava soltanto il taglio e i lembi di pelle che doveva tenere ben divaricati riusciva a rimanere fredda e concentrata, ma sapeva che se avesse alzato gli occhi sul suo volto avrebbe perso il controllo. Avrebbero dovuto buttargli addosso un panno, o qualcosa del genere. Perché non ci aveva pensato prima?
Ora frate Matthew teneva tra le pinze una piccola protuberanza rosea e carnosa, lunga più di un pollice umano. Cominciò ad inciderla con il bisturi, e per un attimo le mani di Faith tremarono di nuovo, ma durò solo un istante. Imponendosi la più totale freddezza, eseguì gli ordini del frate alla perfezione, e in poco tempo il filamento carnoso venne reciso e ricucito.
Frate Matthew si concesse un sospiro di sollievo. - Fatto. -
Spettò a lei il compito di ricucire il taglio, e in un certo senso fu un sollievo: ogni punto nella carne viva era un peso che le veniva tolto dal cuore, perché era un passo verso la conclusione. Quando la ferita fu richiusa a dovere, il frate si preoccupò di lavarla e ripulire tutto dal sangue, quindi porse a Faith il catino con l'acqua perché pulisse i suoi attrezzi.
Io e Jack rientrammo mentre frate Matthew stava dicendo, in tono molto più vivace di quando eravamo arrivati: - Sembra che sia andato tutto bene; il ragazzo si riprenderà entro qualche giorno. - si rigirò tra le mani un barattolo di vetro dove aveva riposto qualunque cosa avesse tolto dalle viscere di Michael, come se fosse stato un trofeo. - Questa è la causa del suo malore. -
Gli altri si protesero in avanti per guardare quella novità, io invece distolsi lo sguardo con una smorfia di disgusto. - Oh no, ti prego, non di nuovo. - brontolai, sentendomi ancora lo stomaco in subbuglio.
Jack si piegò e inclinò il capo, guardando il barattolo da sotto per osservarne meglio il contenuto. - Sembra un verme delle mele. Michael ha mangiato un verme e quello gli ha...?-
- Non è un verme. - lo corresse il frate, con tono paziente. - E non l'ha ingoiato; non ho nemmeno toccato lo stomaco. Questo è un piccolo pezzo che gioca brutti scherzi quando si infiamma, e in casi come questo è meglio toglierlo e non pensarci più. Lo chiamano “tiflite”... ma non vi preoccupate, non è niente di cui il vostro ragazzo sentirà la mancanza. -
Il capitano aggrottò ancora di più le sopracciglia, più confuso di prima, e scrutò con sospetto il barattolo prima di commentare con un: - Oh. - e tirarsi indietro, tastandosi nervosamente la pancia come a sincerarsi che nelle sue, di viscere, fosse tutto al suo posto.
Il frate si voltò allora verso Faith, che si stava lavando le mani nel catino tirando lunghi, lenti respiri per calmarsi. Le rivolse un sorriso incoraggiante e le posò una mano sulla spalla. - Vostro fratello non avrà più motivo di preoccuparsi per questo: siete stata di grande aiuto, e vi ringrazio. -
Lei si voltò a guardarlo con un sorriso tremante; il suo viso era terribilmente pallido. - Non... non avremmo potuto fare niente senza di voi. Sono io che vi ringrazio. - mormorò, con gli occhi pieni di riconoscenza.
Poi, del tutto senza preavviso, le ginocchia le cedettero, la vista le si annebbiò e cadde svenuta sul pavimento.

*

Quando aprì gli occhi, tutto quello che vide fu un mare di lucine danzanti che le diedero il mal di testa.
Dopo che ebbe battuto ripetutamente le palpebre, le luci tornarono ad essere le candele consumate che bruciavano all'interno delle lanterne di sottocoperta, e poco lontano da sé udì il gorgoglio del rum versato in un boccale.
- Niente rum per me, grazie. - furono le prime parole che la sua mente annebbiata le fece farfugliare.
- A qualcuno fa addormentare, a te basta sentirne il rumore per svegliarti!- commentai io, ridendo, mentre prendevo il boccale che Ettore aveva appena riempito per me. Eravamo seduti su due casse, l'uno davanti all'altra: avevamo portato Faith nella cabina che condivideva con il pirata e l'avevamo stesa sulla cuccetta, in attesa che riprendesse i sensi. Faith si guardò intorno, con aria ancora confusa, poi domandò: - Mickey sta bene?-
- Sì. Si sta riprendendo. - rispose Ettore, posando a terra la bottiglia e spingendo la cassa un po' più vicina alla cuccetta. - Dovrà stare a riposo per un po', ma sta bene, grazie a te e a frate Matthew. Tu invece come ti senti?-
Lei strizzò gli occhi un'ultima volta, e sembrò tornale del tutto lucida. - Adesso meglio. - rispose, in tono un po' più vivace.
- E sì che direi che ne hai viste di peggiori!- commentai, prima di bere un sorso dal mio boccale colmo. La mia amica si girò verso di me e inarcò le sopracciglia con espressione smarrita. - Sì, lo so... ma... c'era mio fratello lì, con la pancia aperta, che sarebbe potuto morire da un momento all'altro se solo avessi fatto un errore... -
- Lo so. - la interruppi, appoggiandole una mano sulla spalla per confortarla. - Non devi preoccuparti. Le viscere non dovrebbero mai vedere la luce del sole... ma Mickey sta bene, e tu sei stata molto coraggiosa. -
- E' stata una fortuna che ci fosse Donovan. - disse ad un tratto Ettore, con una scrollata di spalle. - E' strano, no? Forse è solo grazie a lui se ci siamo mossi in tempo. Senza di lui avremmo rischiato di perdere un sacco di tempo a capire di cosa si trattava. -
Deglutii in silenzio; per qualche motivo, il pensiero di soccorrere Michael troppo tardi e il fatto di dovere a Connor la sua salvezza mi inquietava nello stesso modo. Faith annuì lentamente, poi incrociò lo sguardo di suo marito, e li vidi sorridersi con fare incoraggiante. Pensai che fosse opportuno lasciarli soli, così mi alzai e, con il mio boccale di rum ancora pieno, lasciai la cabina per salire in coperta. Finii di bere salendo le scale, e intanto mi chiedevo pigramente se non fosse scomodo per i due piccioncini condividere una cuccetta pensata per accogliere un solo marinaio. Certo, avevano ottenuto una cabina tutta per loro, ma il privilegio di un letto vero e proprio era un lusso che, a quanto pareva, potevano concedersi soltanto i capitani.
Quando uscii sul ponte della Perla, sotto il sole cocente del mezzogiorno, e lo trovai vuoto, non me ne stupii più di tanto: i pirati si erano ormai adattati all'idea di una sosta molto più prolungata del normale, così che erano ben pochi quelli che rimanevano a bordo durante il giorno, preferendo cercare fresco e svago a terra.
Alzai lo sguardo sul cassero di poppa e, come mi aspettavo, vidi Jack da solo, in piedi accanto al timone: mi dava le spalle, ma vidi che stava guardando la sua bussola.
Salii le scalette del cassero e lo raggiunsi, fermandomi a sbirciare in silenzio da sopra la sua spalla. L'ago della bussola puntò alla sua sinistra, verso il mare aperto. Poi si spostò e puntò verso Tortuga. Poi cominciò a girare su sé stessa.
- Cosa guardi?- gli chiesi in tono divertito, dopo avere seguito con lo sguardo i sussulti dell'ago, sebbene sapessi benissimo che consultava la sua bussola quando aveva bisogno di schiarirsi le idee. Lui la richiuse con uno scatto e si voltò appena verso di me. - Niente. - riabbassò per un attimo gli occhi sulla bussola chiusa, quindi li rialzò. - Lei come sta?-
- Adesso bene. - gli girai attorno e mi appoggiai con la schiena contro il timone, posando il boccale vuoto sul parapetto. - Piuttosto... abbiamo intenzione di restare in questo porto ancora a lungo?-
Jack inarcò un sopracciglio, giocherellando con la bussola. - Devo dedurre che hai così tanta fretta di abbandonare Mickey a terra, perché, diciamocelo, è escluso che il ragazzo prenda il mare in quelle condizioni, o di lasciare qui Faith, giacché di certo lei non ne vorrà sapere di stare lontana da suo fratello? Lodevole proposito davvero: lo dico sempre che non è il caso di attaccarsi troppo alle persone di salute cagionevole!-
- Non sei spiritoso. - lo rimbeccai, secca. La voglia di scherzare mi era completamente passata da quando avevo visto Michael steso su un tavolo, con la pancia aperta in due. Jack incassò scrollando le spalle.
- Non abbiamo nessuna meta, per il momento, inoltre la ciurma è contenta di passare un po' di tempo a Tortuga. -
- E tu lo sei?- ribattei a bruciapelo. Lui mi fissò di sottecchi per qualche attimo come cercando di indovinare dove intendessi arrivare, poi fece un cenno vago col capo. - Oh, lo sai che io sto meglio in mare. -
- E allora che cosa stiamo facendo ancora qui? Stiamo aspettando un ordine di Silehard, come cagnolini obbedienti?- il mio tono fu forse un po' più acido di quanto avrei voluto, ma fece comunque il suo effetto. Il capitano mi scrutò, sorpreso, per qualche istante, poi però rispose con un semplice sorriso. - Abbiamo pur sempre un accordo con lui, comprendi?-
- “Abbiamo”?- d'accordo, se era il momento di buttare fuori tutti i miei dubbi, che fosse.
- Ho la sensazione che continui a non garbarti la nostra alleanza... sbaglio?-
- Oh, figuriamoci... - replicai, sardonica. - E se, per esempio, ti dicessi che è proprio Silehard a non piacermi per niente?-
Jack abbandonò per un momento il suo fare scherzoso e abbassò gli occhi per un istante. - Ti risponderei che anch'io non è che adori lui, o il suo operato. -
- Un passo avanti. - gli concessi con un gesto secco del capo. - E allora chiarisci un po' questo, capitano: non ti fidi di Silehard, non ti piace lavorare per qualcuno, non ti interessa quante autorità la sua gilda possa corrompere perché a te piace agire senza il mandato di nessuno, e finora l'unica cosa che ce n'è venuta in tasca è stato un po' d'oro e dei liquori... perché questa alleanza?-
Lui mi squadrò dall'alto in basso, come se mi stesse soppesando, quindi stirò le labbra in uno dei suoi mezzi sogghigni dal dente d'oro e mi si avvicinò pericolosamente. - Sei rapida a mettermi con le spalle al muro... - sussurrò, ammiccando.
Non mi ritrassi da lui, ma nemmeno mi lasciai abbindolare. - Meno moine e più risposte, capitano. - ribattei, con lo stesso sogghigno. - E guarda che non te lo chiedo solo per curiosità; te lo sto chiedendo come capitano in seconda. -
- Oh, certo. - Jack alzò gli occhi al cielo e incrociò le braccia in un gesto di stizza, appoggiandosi col gomito al timone accanto a me. - Adesso parliamo come capitano e il suo ufficiale. Ovvio, no?-
Di punto in bianco sembrava davvero offeso, e quasi mi dispiacque di avere usato un tono così duro con lui. Ma che altro potevo fare? Pensavo che quanto era accaduto a Mickey ci avesse lasciati entrambi piuttosto scossi, e invece lui non aveva ancora smesso di scherzare e di sottrarsi alle mie domande.
- Non so cos'altro fare. - risposi, seria. Jack rimase per un po' ad occhi bassi, senza smettere di cincischiare con la bussola che teneva stretta per il laccio; infine si decise a dire: - Faccio dei sogni. -
Aggrottai le sopracciglia. Questa decisamente era l'ultima cosa che mi sarei aspettata di sentirgli dire. - Sogni?-
- Sogni. E ho ragione di credere che... qualcuno... stia cercando di ottenere qualcosa... - si picchiettò l'indice su una tempia. - L'alleanza che ho appena stretto può aiutarmi a sciogliere questo dubbio, e a togliermi definitivamente il pensiero. -
- Ha a che fare con il sogno di cui mi hai parlato alcune notti fa, vero? Quello sull'Isla de Muerta?-
- Esattamente. Diciamo che è da lì che è cominciata tutta la faccenda. -
- Che tipo di sogni?-
Tentennò, scrollando di nuovo le spalle. - Non ricordo precisamente. -
- Bugiardo. - lo rimbeccai, e lui rise sotto i baffi, prima di tornare serio: - Ascoltami; devi capire che tutto quello che sto facendo è solo per saperne qualcosa di più su questa storia. Devo sapere cosa sta succedendo, e soprattutto chi c'è dietro. Tutto qui. Non mi piace particolarmente l'idea che mi si frughi qua dentro. - si puntò nuovamente l'indice alla fronte.
- Stai dicendo che è Silehard che si intromette nei tuoi sogni? E perché dovrebbe?- sbottai, ma proprio mentre lo dicevo mi ricordai degli appunti scritti in fretta sulle carte accumulate sul tavolo di Jack, quelle che parlavano di streghe, di donne impiccate e di uomini assaliti dagli incubi... Lui, infatti, si fece se possibile ancora più serio e abbassò perfino la voce, come se temesse che potesse esserci qualcuno ad ascoltarci anche lassù sul cassero. - Lo sai chi si dice che ci sia dietro Silehard. -
- Una... “strega”, o qualcosa di simile. L'ho sentito da Daphne. -
- Giusto. - fece lui, guardandomi come a dirmi di tirare da sola le conclusioni. - Possibilità che offre degli sbocchi interessanti e inquietanti al tempo stesso. Se esiste qualcuno in grado di rovinarmi il sonno in questo modo, e questo qualcuno lavora per Silehard, non posso chiedere di meglio se non di incontrarlo di persona. Comprendi? Tutto il resto non è che pura formalità. Lascia che mi lavori Silehard ancora per un po'... solo il tempo di avere qualche risposta. Dopo saremo di nuovo liberi come l'aria. -
Mi lasciai sfuggire un piccolo sospiro, poi mi strinsi nelle spalle, impotente. - Solo... ho paura che la tua ricerca ti porterà a scavare fin troppo a fondo, Jack. Ti prego solo di non lasciarti invischiare troppo negli affari di Silehard. Non ci lascerà scappare tanto facilmente. -
Jack sfoderò un sorriso soddisfatto e si chinò verso di me. - Promesso, gioia. - mi disse in tono solenne, dandomi un buffetto affettuoso sul mento. Stava per aggiungere qualcos'altro quando, all'improvviso, sbarrò gli occhi e rizzò la testa, arricciando il naso per annusare l'aria.
- Ma che... - annusò di nuovo, facendo scattare la testa a destra e a sinistra.
Ora lo sentivo anch'io. Mi voltai verso il parapetto mentre un pungente puzzo di bruciato mi riempiva le narici. - Cosa diavolo...?!- tossii, sentendomi la gola completamente secca quando una zaffata rovente mi investii in piena faccia. Poi vidi il fumo.
- Oh no!- mi precipitai sul ponte, chiamando a raccolta tutti i pirati rimasti. - Al fuoco! Svelti, uomini! Allarme! Al fuoco!-

*

William sedeva in cabina alla sua scrivania, chino su di una mappa ingiallita, alla luce del sole che entrava dalla vetrata disegnando pozze di luce sul pavimento. Dai documenti del precedente capitano aveva recuperato un bel po' di mappe ancora in buono stato, e pensava che alcune delle vecchie rotte potessero rivelarsi interessanti.
Dava le spalle alla porta. Quando entrammo, sollevò gli occhi dal suo lavoro con un attimo di ritardo, per voltarsi verso di noi e farci un cenno di saluto.
- Salve. Come mai qui?- ci disse, ma il suo tono diventò improvvisamente più serio quando si accorse delle nostre facce. - ...Che cosa è successo?-
- Abbiamo un problema. - rispose Jack, tetro.

*

Grazie al tempestivo intervento con secchiate d'acqua , il fuoco era stato domato in fretta, ma ci ritrovammo con un bel pezzo bruciato sulla chiglia, sul lato di babordo, appena sopra alla linea di galleggiamento.
La cosa veramente curiosa era come era stato appiccato l'incendio: avevamo visto le fiamme e il fumo all'esterno della nave, e solo dopo avevamo capito perché. Qualcuno, dal molo, era riuscito ad essere abbastanza furtivo da aprire uno dei portelli dei cannoni e infilarci dentro un lungo straccio arrotolato imbevuto nell'olio: quando ne avevamo recuperato i resti, lo avevamo identificato come uno scampolo di stoffa da vela. Poi, chiunque fosse stato, vi aveva dato fuoco, lasciando la sua miccia infilata a metà nel portello, con un capo all'interno e uno penzolante all'esterno. Era un modo assurdo per tentare di dare fuoco ad una nave, se questa era davvero l'intenzione. La stoffa era bruciata in fretta, mandando un bel po' di fumo e un sacco di puzza, e le fiamme avevano attaccato solo parte del legno duro del portello, spesso e lento a bruciare.
Jack era furioso. Lo avevo visto poche volte così arrabbiato, tanto da rispondere con scatti rabbiosi a Gibbs, il quale cercava di spiegargli che, chiunque fosse stato, era riuscito ad essere abbastanza furtivo da non farsi notare mentre si acquattava sul molo accanto alla nave e preparava la sua trappola. Una volta domato l'incendio, io e Jack eravamo corsi alla nave di William, temendo che qualsiasi nemico ci fossimo fatti lì a Tortuga potesse andare a minacciare anche la Sputafuoco. Tuttavia, i nostri timori si rivelarono infondati: nulla di brutto era accaduto alla nave né alla ciurma, da quando avevamo fatto porto.
- Non abbiamo assolutamente nessun nemico qui a Tortuga... almeno, nessuno di importante. - avevo detto, dopo che finimmo di raccontare a Will l'accaduto e tornammo sul molo per dare un'altra occhiata ai danni. - In secondo luogo, l'attentatore ha colpito solo la Perla, mentre tutti sanno che le nostre navi viaggiano insieme. Ma l'ultima cosa, la più importante, è che questo non era di certo un vero attacco o un tentativo di distruggerci la nave... -
- Oh! Non era un tentativo di distruggerci la nave!- sbottò Jack, indicando furiosamente il legno annerito e fumante che spiccava contro la fiancata della sua adorata Perla. - Magari ti è sfuggito, eh, ma nella mia nave ora c'è un bel dannatissimo buco!- rincarò il concetto agitando la mano col pollice e l'indice uniti.
- Lo so, lo so. - concessi, cercando di farlo calmare. - Quello che volevo dire è che se fosse stato che intendeva danneggiarci sul serio, non lo avrebbe fatto in questo modo. Questo non è un attacco. E' una ripicca. Un gesto di sfida. -
Tutta quell'agitazione sul molo stava cominciando ad attirare un po' troppo l'attenzione della gente che girava nel porto: al momento sulla banchina c'eravamo io, Jack, Gibbs, William ed Elizabeth, mentre Ettore e Faith si affacciavano dal parapetto per guardare il danno. David scorrazzava annoiato sul ponte, deluso per non avere trovato Michael, il quale era ancora privo di sensi in infermeria.
- Un gesto di sfida, eh?- replicò Jack, mettendosi a camminare avanti e indietro proprio davanti al portello bruciato, incapace di smettere di gesticolare. - Oh, certo, un gesto di sfida o una grandissima fregatura... a meno che... - si immobilizzò di colpo, ad occhi sgranati. - ...Dov'è Donovan? Trovatemi Donovan! Dov'è quel maledettissimo testarossa?-
Gibbs si accigliò. - Sospettate di lui, capitano?-
- Dammi un motivo per non sospettare!-
- E' molto improbabile, Jack. - fu Ettore a rispondergli, appoggiato al parapetto qualche metro sopra di noi. - Nessuno l'ha visto scendere dalla nave, anzi, pochi attimi dopo l'allarme io stesso l'ho visto correre sul ponte insieme a tutti gli altri. Non penso che c'entri con questa storia. -
Il tono di Jack cambiò improvvisamente e si fece calmissimo, quasi allegro... cosa che mi inquietò ancora di più. - Ettore... - fece in tutta calma, appoggiandosi con una mano al fianco bruciacchiato della nave. - Solo per curiosità, ma, ti sembro forse dell'umore di lasciar correre e non pensarci più? Adesso portami qui quell'irlandese e vedi di fare in fretta!-
Forse notando che il capitano era prossimo ad avere un attacco isterico, Ettore si defilò alla svelta e ritornò sul molo con Connor, il quale ci guardò tutti con la consueta espressione fin troppo tranquilla di chi non aveva capito bene che cosa ci facesse lì. Quando si fermò, con Ettore alle spalle e noi altri schierati di fronte a lui, neanche fosse un condannato mandato al patibolo, Jack si fece avanti con le mani sui fianchi.
- Come preferite che cominciamo, signor Donovan? Devo chiedervi che cosa stavate facendo circa mezz'ora fa, quando un portello della mia nave è andato in fumo?-
- Immagino che questo significhi che sospettate di me. - replicò Connor senza mezzi termini.
- Sospetto di chiunque possa avere avuto qualche insano interesse nel dare fuoco alla mia Perla. -
Lui fece un cenno d'assenso col capo. - Non posso certo biasimarvi per questo. Tuttavia, capitano, vi posso assicurare che mezz'ora fa ero sottocoperta, e ci sono molti uomini della ciurma che si trovavano là sotto con me e possono confermarlo. Sono corso sul ponte con gli altri quando avete dato l'allarme. -
Jack lo squadrò ancora per qualche secondo, poi lo vidi sospirare molto lentamente e molto di malavoglia, tra i denti. Stava ancora torcendo tra le mani il pezzo di stoffa bruciata che aveva appiccato il fuoco, e quando Connor lo notò sembrò improvvisamente interessato.
- Capitano, posso vedere?- chiese, tendendogli la mano. Jack si accigliò per un attimo, poi fece spallucce e gli passò il rotolo di stoffa.
Tutti restammo a guardare, incuriositi, mentre l'uomo si faceva rigirare tra le mani l'oggetto annerito; poi se lo portò al naso e annusò, stringendo gli occhi.
- Molto curioso. - commentò, rialzando lo sguardo su di noi. - Non hanno badato a spese pur di fare qualche piccolo danno... -
- Che intendete dire?- sbottai.
- Giudicate voi. Ecco, annusate... - mi porse il rotolo di stoffa, ed io, dopo un attimo di esitazione, feci come mi chiedeva: annusai, ma, a parte l'odore di olio bruciato, non sentii niente. Al mio sguardo interrogativo, Connor quasi rise. - L'odore non vi dice nulla? No? Allora ve lo dico io: questo è del costoso olio di balena, e mi sembra molto strano che qualcuno l'abbia sprecato per appiccare un incendio che praticamente è morto sul nascere. Vista così, la cosa non ha senso. Ma se ci fosse sotto qualcos'altro? Se qualcuno lo avesse fatto apposta, per dare un messaggio ben preciso?-
Sgranai gli occhi. - Chi c'è in città di così ricco da poter usare dell'olio di balena?-
Faith, a pochi passi da me, fece un piccolo respiro improvviso come se si fosse appena trattenuta a forza dal dire qualcosa. Mi voltai verso di lei, e il suo sguardo agitato la tradì. - Faith?- la invitai.
- I Mercanti. - mormorò lei in un soffio, scoccando rapide occhiate a Donovan.
- Oh cielo. Probabile. - replicò quest'ultimo, in tono improvvisamente più grave. Restò a guardare il pezzo di stoffa ancora per un secondo, poi sembrò sussultare per un'improvvisa intuizione e, con attenzione, cercò con le dita gli angoli della stoffa, cercando di non distruggere ulteriormente il tessuto già mezzo carbonizzato. Dopo qualche tentativo riuscì a srotolare il tutto e lo sollevò davanti a sé, tendendolo al massimo per cercare di capire che cosa fosse... come lo vedemmo, tutti quanti capimmo molto in fretta di cosa si trattava: anche se mezza mangiata dal fuoco e zuppa di olio, quella non poteva essere altro che una bandiera. Non avevamo notato subito il disegno, perché in quel pasticcio arrotolato non si vedevano altro che sottili righe nere su uno sfondo bianco: come Donovan stese quello che restava della bandiera, poco a poco riuscimmo a decifrarne l'effige; assomigliava ad un grosso pesce panciuto, la coda era stata bruciata via.
Mi ci volle qualche istante per riconoscere la balena usata come stemma ufficiale della Gilda dei Mercanti. Di colpo mi resi conto come nulla di quel piccolo “scherzo” fosse stato lasciato al caso, e sentii un fastidioso senso di oppressione allo stomaco, indice del mio nervosismo crescente.
- Mercanti. Il quadro della situazione migliora ad ogni minuto. - borbottò Jack, sprezzante. William, però, sembrava dubbioso: si avvicinò a Connor e studiò il pezzo di stoffa bruciata per qualche istante, con una strana espressione.
- Come hanno saputo che ti sei affiliato alla Gilda? Le voci corrono così in fretta?-
- Sì, quando sono importanti. - ammise il capitano, annuendo. Will però non sembrava ancora del tutto convinto, perché insistette: - Ma perché organizzare un colpo del genere, anche se fosse solo un avvertimento? Non ha senso. Avvertimento di cosa? Vogliono “avvertirti” che da adesso ti sei inimicato i Mercanti? Non mi sembra che sia la mossa più astuta da fare, considerando quanto potere ha la Gilda in città: se sei un membro, adesso colpire te significa colpire indirettamente anche Silehard. Davvero pensi che i Mercanti sarebbero così sicuri di loro da fare una cosa del genere?-
Per un momento soltanto, sul volto di Jack la stizza lasciò il posto ad un'espressione dubbiosa almeno quanto quella di Will, e il capitano allargò le braccia senza sapere che dire. - Non lo so, William. E' questo il punto. Solo che questo è un bel pasticcio con tanto di firma, e io ho bisogno di sapere chi vuole colpirmi e perché. -
Per un po' sembrò che nessuno sapesse più che dire, poi Ettore si decise a parlare, e quando lo fece fu come se le parole per lui pesassero come piombo. - Come ha detto che si chiamava il proprietario di quell'armeria, quello a cui dobbiamo rivolgerci se vogliamo tornare a parlare con Silehard?-



Note (sempre più telegrafiche) dell'autrice:
Della serie, quando i personaggi cominciano veramente a fare di testa propria come se sapessero benissimo a chi sono ispirati: non era nei miei piani dare a Connor una spiccata vena investigativa. Aiuto! Nel frattempo le idee si accavallano, la scrittura va, Jack è tornato più o meno sui binari e finalmente vedo un po' più chiaramente dove va questa storia. Confido di aggiornare ancora in breve tempo!

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Capitolo 7
*** Fumo negli occhi ***


Capitolo 6
Fumo negli occhi


Tiago Marquina.
Era questo il nome inciso sulla piccola insegna di legno che pendeva davanti alla porta. Sotto, in piccolo, una sola parola: “armeria”. Jack fu il primo a varcarne la soglia, seguito da me e da Will: quando aprì la porta con cautela, quasi circospetto, un piccolo campanello appeso sullo stipite annunciò la nostra presenza.
L'armeria non era grande e, forse proprio per questo, sulle pareti non c'era un solo angolo che non fosse occupato dalle spesse rastrelliere di legno, ciascuna carica di spade ordinatamente allineate: per un momento sorrisi tra me, notando che l'occhio critico di Will, al mio fianco, era già scattato istintivamente ad esaminare la fattura della merce esposta.
Jack ci precedette all'interno del negozio, ruotando lentamente su sé stesso per guardarsi bene attorno. Fu solo alla fine della sua giravolta che si accorse dell'ometto magro che sedeva dietro il bancone; era talmente piccolo e silenzioso che nemmeno io lo notai subito; mi accorsi della sua presenza solo nel momento in cui si alzò lentamente, appoggiandosi ad un bastone nodoso, e caracollò verso di noi squadrandoci con espressione incuriosita.
Vedendolo avvicinarsi, mi fermai quasi d'istinto. Gli occhi piccoli e castani ci scrutavano da sotto una benda verde scuro stretta in fronte, che gli tratteneva una massa di capelli scuri, sporchi e ricciuti che gli crescevano fino alle spalle. Metà viso e l'occhio sinistro erano parzialmente nascosti da un bendaggio improvvisato, che gli fasciava forse una ferita sulla guancia: mi bastò un'occhiata più accurata per riconoscere il pallore dello scorbuto sulla parte del suo volto che restava visibile. L'uomo ci guardò tutti per qualche istante, poi fece un sorrisetto tutto denti e annuì stupidamente, senza dire una parola.
- Aehm... salve, voi dovete essere Tiago Marquina. - si decise a farsi Jack, col tono più accattivante che gli riuscì. Se Marquina capì che cosa aveva detto, non lo diede a vedere: arretrò con calma di qualche passo, tornando al suo bancone, e ci si appoggiò per poi continuare a squadrarci con curiosità.
- Uh... tu...capisci... quello... che... dico?- sillabò Jack, gesticolando per rendere più incisive le sue parole. L'ometto rispose con strani gesti della mano libera, emettendo un curioso, gutturale mugolio come se cercasse di farfugliare qualcosa a mezza voce senza riuscirci: più fastidioso ancora, mi aveva piantato gli occhi addosso e aveva sfoderato un sorrisaccio a labbra tirate che non mi piaceva per niente. Mentre noi ancora non sapevamo da che parte prenderlo, con rapidità improvvisa lui afferrò due oggetti sul suo tavolo, un foglio di pergamena e un carboncino, e scarabocchiò alla svelta qualcosa. Quindi sollevò il foglio per mostrarcelo, e vidi che su di esso aveva scritto: “SPARROW?”
- Sì. - sbottò Jack, spazientito. - Sì, Dio santo, sono Sparrow!- ad un tratto voltò le spalle a Tiago Marquina, guardando me e Will in cerca di supporto. - Come si fa a mettere un muto come contatto?!-
- Infatti non è lui il vostro contatto. -
La voce acida e improvvisa ci fece quasi sobbalzare: dietro al bancone c'era una piccola porta che conduceva alla stanza adiacente; sulla soglia, intento a masticare un pezzetto di quella che sembrava una striscia di tabacco, c'era un ragazzotto alto e lentigginoso che ci squadrò con aria di sufficienza. Riconobbi subito lo stesso giovane che ci aveva “accolti” al nostro arrivo nella Gilda, e non era un ritrovamento piacevole.
- Tiago è qui solo per custodire l'armeria; se avete informazioni da riferire alla Gilda è con me che dovete parlare. - precisò, dandosi arie di importanza, mentre avanzava verso di noi. Jack lo squadrò da capo a piedi, sforzandosi evidentemente di apparire paziente.
- Meraviglioso. Allora, giacché sei tu il nostro contatto, fa' il tuo dovere e contatta Silehard, perché siamo noi quelli che sono appena stati contattati dai Mercanti... e in modo assai poco piacevole, comprendi?-
Davanti allo sguardo perplesso del giovane, Jack allungò con gesto brusco il rotolo di stoffa bruciacchiata che si era portato dietro, e lo sventolò mostrando il simbolo dei Mercanti. - Hanno cercato di dare fuoco alla mia nave, con questo affare che porta la loro firma. E non era un messaggio diretto solo a me. Ora, il tuo capo può cortesemente dirmi che cosa crede che io debba fare davanti ad un omaggio del genere?-
Il giovane lentigginoso fissò la bandiera per qualche momento, aggrottando le sopracciglia, ma la cosa più strana fu che non mi sembrò molto sorpreso. - Strano. - commentò infine. - Ma non mi sorprende, in fondo: quei dannati Mercanti sono diventati ancora più suscettibili, e solo perché non gli riesce di corrompere neanche la metà dei capitani che passano alla Gilda. -
- E' un sollievo sapere che devo considerarmi un “corrotto”. -
- Ci aspettavamo qualche smacco da parte loro. - continuò quello, come se non l'avesse sentito: perse ogni interesse per la bandiera bruciacchiata e tornò a guardare Jack. - Però la rapidità con cui hanno reagito quei Mercanti è... sospetta, sì. -
Il capitano alzò vistosamente le spalle e cincischiò con la tela che teneva in mano. - Forse è il caso di contemplare l'eventualità che, tra gli uomini fidati che il buon Silehard si tiene tanto vicini, ci sia qualcuno che fa la spia. - fece, con un sogghigno.
Il ragazzo reagì con rabbia inaspettata, facendosi rosso in volto -non per imbarazzo, ma vera e propria collera- e portandosi di scatto alla cintura. Vidi il manico di un pugnale.
- Mi stai dando del bugiardo?- ringhiò, oltraggiato. Ma ebbe appena il tempo di pronunciare quelle parole che si ritrovò sotto il tiro di tre pistole: quella di Will e le due in mano mia, che avevamo estratto e caricato nel momento stesso in cui aveva messo la mano sul suo coltello. Notai un movimento al fianco del giovane e cambiai la direzione della seconda pistola... ma era solo Tiago Marquina che, con aria allarmata, alzò le mani in segno di resa e caracollò all'indietro, appoggiandosi con la schiena alla parete. Gettata un'occhiata alla situazione, Jack sgattaiolò indietro tra me e Will.
- Non scaldiamoci, e tu per favore vedi di non fare cose stupide. Siamo venuti qui solo per parlare. - disse Will al ragazzo nel tono più calmo che poté: lo vidi abbassare la sua pistola, ma solo quando si fu accertato che la mano del giovane non era più sull'impugnatura del coltello.
- Vi porterò da Silehard. - sbottò il giovanotto dopo un attimo, senza guardare in faccia nessuno: improvvisamente sembrava quasi imbarazzato per il suo scatto d'ira. - Credo che sarà disposto ad ascoltare le vostre lamentele, ma non vi prometto niente. Seguitemi. Solo voi, però. - precisò in tono brusco, indicando Jack. Quest'ultimo tentennò, scambiando un'occhiata con me e con Will, quindi schioccò le labbra e accennò al giovane col capo. - Tornate pure alle navi; io vi raggiungo appena ho finito. -
Il ragazzo prese ad armeggiare attorno ad una grossa rastrelliera di spade addossata al muro: ci fu uno schiocco metallico, e improvvisamente quella scivolò di lato come una porta scorrevole, rivelando un piccolo corridoio. Lo guardai, sgranando gli occhi: un'altra delle molteplici entrare della tana di topi che si dipanava sotto le fondamenta della città?
- Jack... - prima che si voltasse verso il ragazzo, lo presi per una manica e abbassai la voce. - Sei sicuro di volere andare da solo?-
Lui accennò un sorrisetto e scrollò le spalle. - Che altro vuoi che succeda?-
Mi morsi le labbra per trattenermi dal rispondergli a tono, ma incrociai il suo sguardo, e per un attimo i miei occhi dissero tutto quello che avevo accuratamente evitato di pronunciare. “Non chiamarteli, i guai, stupido. Sono già abbastanza preoccupata così.”
Il giovane fece cenno a Jack di seguirlo dentro il corridoio: Jack gli venne dietro e, mentre si voltava per richiudere dietro di sé la rastrelliera, si sporse e gesticolò con una mano verso Tiago: - Comunque, conosco un tale che potrebbe insegnarti un paio di cose utili con un pappagallo... pensaci!-
Entrambi sparirono nel condotto, quando la rastrelliera fu chiusa alle loro spalle. Nel silenzio calato nell'armeria, Will sospirò e mi lanciò uno sguardo. - Sembra che non abbiamo altra scelta, se non di lasciargli condurre gli affari. - commentò, con una punta di amarezza. Io mi limitai ad annuire in silenzio, mentre rinfoderavo le pistole.
- Tu che lo conosci bene... - Will esitò, incerto. - Cosa... che cosa pensi che abbia in mente?-
Pensai ai suoi strani discorsi sui sogni, al modo in cui Silehard gli aveva parlato, e a come adesso rimaneva attaccato alla sua decisione anche dopo avere messo in pericolo la stessa Perla. Pensai alle carte che avevo trovato in cabina. Alle streghe. - Non ne sono sicura. - ammisi, ed era la cosa più sincera che potessi rispondere, al momento. Guardai Tiago, fermo a pochi passi da noi, che ci guardava senza avere nessuna reazione. Gli voltai le spalle e mi accostai a William, abbassando la voce. - Ma credo che sia alla ricerca di qualcosa dentro la Gilda, e non si fermerà finché non l'avrà trovato. -
Ad un tratto l'armaiolo muto si mosse, saltellando fino a noi con rapidità insospettata: non era proprio che zoppicasse, solo le sue gambe sembravano andare l'una nella direzione opposta all'altra, così che si bilanciava sul bastone, zampettando come un grosso insetto arzillo. Si fermò davanti a noi e prese a fare dei cenni a Will, indicando con insistenza la spada che portava alla cintura.
- Che cosa c'è?- domandò lui, senza capire. Tiago indicò ancora la spada, poi i propri occhi. Capendo che stava chiedendo di poterla vedere, Will estrasse la spada e la porse all'armaiolo per l'elsa: questi la prese con attenzione e se la rigirò a lungo davanti agli occhi, studiandola in ogni minimo dettaglio. Ad un tratto fece un sorriso soddisfatto e abbassò la spada, quindi si protese verso la sua scrivania per recuperare il pennino e il foglio di carta, sul quale scarabocchiò in fretta: “fabbro?”
Quel tizio sembrava esprimersi solo a domande. Will annuì, e il muto ebbe una specie di sussulto di gioia: gli restituì in tutta fretta l'arma che prima aveva esaminato con tanta attenzione, e cominciò a scrivere forsennatamente. Affacciandomi dall'altro lato del tavolo, cercai di sbirciare, ma rimasi delusa quando mi accorsi che l'ometto non stava scrivendo parole, ma una valanga di cifre e qualche scarabocchio che forse doveva rappresentare delle spade.
Quando ebbe finito porse il foglio a Will, continuando a fare gesti con le dita, indicando a turno ora lui, ora se stesso: il mio amico studiò il foglio per alcuni istanti, con le sopracciglia aggrottate, poi vidi il suo sguardo illuminarsi improvvisamente.
- E' un ordine per... una decina di spade? Spade come questa?- sollevò lo sguardo mentre lo diceva, e per un attimo non riuscii a capire se stesse parlando con me o con Tiago, dato che i suoi occhi si spostavano in continuazione tra noi due. L'ometto annuì vigorosamente, e con un cenno lo invitò a continuare a leggere. - Sì, capisco... il tempo, i materiali... tutto pagato? Però devi capire, sono molti anni ormai che non lavoro più come fabbro, non posso garantire sul tempo che ci impiegherei, né sulla qualità delle armi. -
Mentiva. Lì a Tortuga avevamo un fabbro di fiducia che ci riparava i cannoni, e da un po' di tempo William era entrato in confidenza con lui quanto bastava da lasciargli usare l'officina: quando capitava che ci trattenessimo in città più del solito, lui ne approfittava per rispolverare le sue vecchie doti di armaiolo. Anche la spada che portava al fianco, dalla quale Tiago Marquina era rimasto così impressionato, era una delle sue creazioni.
L'armaiolo alzò una mano, unendo le dita con fare insistente. Il messaggio era molto chiaro: ti pagherò.
- D'accordo. - forse il suo orgoglio di artigiano aveva preso il sopravvento. - Però voglio una promessa. Questo sarà un lavoro su commissione fra me e te, niente di più. Che non ti salti in mente di dire a Silehard che lavoro per lui, ora. - il suo tono si era fatto molto più duro, e vidi un'ombra di minaccia nel suo sguardo: Tiago non fece una piega, anzi, annuì soddisfatto.
Terminata quella bizzarra contrattazione, io e William ci congedammo e uscimmo, lasciandoci alle spalle l'armeria.
E Jack.

*

Silehard vuotò il boccale che aveva in mano in un solo sorso, quindi si asciugò le labbra con la manica, con un gesto frettoloso.
- Me lo aspettavo. - disse, tirando giù i piedi dalla cassa su cui li appoggiava, e alzandosi dal suo imponente seggio. - Non avete tutti i torti, Sparrow: forse questo fatto potrebbe davvero significare che ci sono delle spie all'interno della gilda... o forse no. Non è questo il momento di pensarci, comunque. -
Trastullandosi col boccale, si accostò a Jack, il quale al momento se ne stava in piedi davanti a lui, con il ragazzo lentigginoso da una parte e uno degli uomini nerboruti che stavano a guardia dell'ufficio di Silehard dall'altra.
- Strano a dirsi, ma questo incidente capita quasi a proposito. Ora avete visto a cosa sono disposti i nostri nemici... e quanto sono diventati avventati. - si concesse un sogghigno e prese a camminare avanti e indietro. - Non capite? E' la paura, che li spinge ad atti tanto sconsiderati! Perché arrischiarsi a fare un simile gesto di disprezzo nei confronti di uno dei miei nuovi capitani, quando io so benissimo che non sono abbastanza forti, tanto meno abbastanza influenti da poterselo permettere? Si stanno indebolendo, e lo sanno benissimo. Non posso che prenderlo come un segnale positivo, senza dubbio. Ma tutta questa storia ha posto in chiara evidenza una domanda che intendevo porre a voi, capitan Sparrow. Ora che avete visto a cosa sono disposti i Mercanti, a cosa siete disposto voi?-
- Non a lasciarmi bruciacchiare la Perla, di sicuro. - replicò Jack, sardonico. Il buon umore di Silehard era fuori luogo, così come i suoi evidenti tentativi di intortarlo grazie a quell'incidente. Inoltre, aveva la sensazione che negli ultimi avvenimenti ci fosse qualcosa che stonava, ma non avrebbe saputo individuarlo con chiarezza. Tuttavia, quello che al momento gli importava era che si trovava di nuovo dentro la gilda, nel suo cuore, e questo forse poteva finalmente portarlo più vicino a quel che stava cercando.
La sua risposta fece solo allargare il sorriso del capo della gilda. - Ne sono certo. - girò di nuovo su se stesso, alzando per aria il boccale vuoto. - Un attacco così diretto ad un membro della gilda è una chiara sfida, uno schiaffo morale che ci chiede di reagire, se ne siamo capaci. Perdio, ci stanno chiedendo se ne siamo capaci! Gli farò vedere io che cosa siamo capaci di fare, quando ci si provoca così deliberatamente! E' un gesto che non possiamo assolutamente lasciare impunito: cosa dovrei fare, lasciare che quei vermi credano di poter fare quello che vogliono ai miei capitani? Immagino che anche voi vogliate evitare che un episodio del genere si ripeta. - lanciò un'occhiata a Jack che, dal canto suo, era molto più impegnato a domandarsi se lui stesso facesse quell'effetto, quando dava dimostrazione della sua incapacità di stare fermo mentre parlava. Sicuramente no: lui di certo aveva molta più classe di Silehard.
Quando si accorse che l'uomo stava aspettando una sua risposta, scrollò le spalle e si limitò ad annuire, sperando fosse la cosa giusta da fare.
- Molto bene. In tal caso, ho un incarico per voi. - Silehard gli fece cenno di avvicinarsi e puntò il dito sulla mappa che ricopriva quasi interamente il suo tavolo, seguendo con la punta dell'indice una lunga serie di schizzi di edifici. - Qui è dove i Mercanti hanno le loro sedi. I loro magazzini, il loro quartier generale, il loro cantiere navale... E' da molto tempo che progetto un attacco come si deve al loro centro di comando, e ora il momento è finalmente arrivato!- posò il boccale sul tavolo e scrutò Jack di sottecchi. - Potrei mettere voi a capo della spedizione, Sparrow: mi sembra doveroso. Accettate l'incarico? Adempite a questo compito in modo soddisfacente, e otterrete subito un posto di favore all'interno della gilda. So premiare chi non mi delude. -
Il capitano lo interruppe alzando entrambi gli indici. - Io ho ancora una nave bucata. - gli ricordò, in tono di disapprovazione. Con un cenno del capo che forse voleva essere comprensivo, Silehard aggiunse: - Allora svolgete il vostro compito, ed io mi occuperò anche di riparare a mie spese il danno subito dalla vostra nave. -
- Così mi suona già meglio. - sorrise Jack, dando di gomito al ragazzo che lo accompagnava e accennando a Silehard. Il giovanotto alzò gli occhi al cielo e si sforzò di ignorare tutta quella confidenzialità con cui il capitano si ostinava a trattarlo. - Insomma, l'incarico di oggi servirà a mettere alla prova la mia affidabilità, più o meno è così?-
Un'ombra maligna saettò negli occhi di Silehard, e sembrò mettere in secondo piano perfino l'esaltazione con la quale fino a poco prima stava pregustando il suo contrattacco ai Mercanti. - No, capitano. L'incarico che ho in programma per voi questa sera servirà a mettere alla prova soltanto la vostra abilità. Credo che la vostra affidabilità la metterò alla prova adesso. -
Fece un cenno ai suoi tirapiedi e si allontanò dal seggio, senza bisogno di aggiungere altro: i due al fianco di Jack gli fecero segno di mettersi a camminare, e insieme lasciarono l'ufficio del capo della gilda, per infilarsi in un uno dei piccoli corridoi sotterranei. Il capitano non mancò di notare che i suoi accompagnatori sembravano più nervosi di lui, in particolare il ragazzo con le lentiggini: lo scrutò per un po' mentre percorrevano l'intero corridoio, e lo vide deglutire più volte, con lo sguardo ostinatamente fisso sui propri stivali. Perfino il bruto alla sua destra sembrava irrequieto.
Silehard si fermò bruscamente davanti ad una porta in fondo al corridoio: a Jack sarebbe potuta sembrare solo una delle tante porte che davano ai depositi della gilda, eppure il modo in cui l'uomo vi rimase di fronte, con un che di reverenziale, gli suggerì che doveva trattarsi di qualcosa di importante.
- Lei è qui. - disse, quando si accorse dello sguardo incuriosito di Jack su di sé. - La mia consigliera più fidata. Non fate domande; sarà lei a farvene. E non sforzatevi di mentire. Tanto... - un sorrisetto sgradevole gli arricciò gli angoli della labbra. - ...non potrete. -
Jack si accigliò ancora di più, mentre Silehard batteva quattro colpi secchi sulla porta.
- Avanti. - rispose una voce dall'interno e, all'udirla, il capitano rizzò le orecchie e sbarrò involontariamente gli occhi. Forse alla fine aveva raggiunto colei che divertiva a tirare le fila dei suoi incubi... non c'era voluto molto.
Il capo della gilda aprì la porta e gli fece cenno di entrare per primo, mentre i due uomini alle sue spalle sembravano molto contenti di essere stati dispensati dal compito: Jack varcò la soglia e si ritrovò in una stanzetta angusta che puzzava terribilmente di chiuso. C'era una sola, stretta finestrella che non avrebbe stonato in una cella; le pareti erano quasi interamente occupate da scaffali ricolmi di libri, carte e barattoli, cosa che faceva sembrare il posto ancora più stretto; in un angolo c'era un semplice lettuccio, e dalla parte opposta un minuscolo caminetto emergeva a fatica dalla parete, soffocato dagli scaffali. C'era il fuoco acceso, sopra il quale penzolava una grossa teiera di metallo brunito. Al centro della stanza troneggiava un tavolo enorme che avrebbe potuto rivaleggiare con quello nella sua cabina in quanto al disordine: era ingombro di libri e di pergamene, di candele consumate e chincaglierie varie. La persona che stava seduta al tavolo quasi spariva, dietro quella montagna di roba.
Era una donna, intenta a scrivere qualcosa con una penna dall'aria costosa, lunga e nera, dal pennino d'argento: stava talmente china sul suo lavoro che quasi sfiorava la pergamena col naso, ma si raddrizzò sulla sedia quando li sentì entrare.
Il suo sguardo incontrò quello di Jack, il quale per un attimo si sentì gelare.
“Tia Dalma.” pensò, nel momento stesso in cui realizzava che era impossibile. La donna che aveva davanti, naturalmente, non era affatto la misteriosa maga voodoo che ricordava, anche se il suo aspetto, i suoi abiti, perfino la sua stanza, contribuivano a suggerire più di una somiglianza.
- Siete il capitano, immagino. Sedetevi. - ordinò lei dopo un istante, e Jack avvertì un fastidioso brivido riconoscendo nuovamente la stessa voce rasposa che aveva sentito fin troppe volte parlare nei suoi sogni.
- E voi siete la strega, devo dedurre. Incantato. - replicò a tono, rivolgendole un inchino, prima di mettersi a sedere sull'unica sedia libera che vide davanti al tavolo. Silehard rimase in piedi dietro di lui.
- Il mio nome è Imogen. - disse lei, immobile come un ragno, fissando a lungo il capitano. Era attempata, doveva avere già raggiunto la cinquantina, ma curiosamente c'erano ben poche rughe a solcare il suo viso abbronzato: si era tinta di scuro gli occhi e le labbra -altro dettaglio che gli ricordava spaventosamente Tia Dalma- tanto che le sue iridi sembravano scrutarlo dal fondo di due pozzi neri. I suoi capelli erano lunghi, castano chiaro, raccolti in una cascata di piccole trecce annodate strettamente sulla sommità del capo: l'unica cosa che tradiva veramente la sua età erano le mani, rugose e nodose come quelle di una pescivendola.
Si mosse piano sulla sua sedia, con un fruscio di gonne: era vestita semplicemente, una lunga gonna scarlatta ed un corsetto dalle maniche a sbuffo, eppure la stoffa appariva lisa come se il vestito fosse stato vecchio di anni. Dal collo le pendeva più di una collana di conchiglie, che tintinnavano ad ogni suo movimento.
Jack si mosse sulla sedia, a disagio: si sentiva sotto esame, e la cosa non gli piaceva per niente.
- E' un piacere vedervi. Sentire soltanto la vostra voce era un tantino inquietante. - disse ad un certo punto, come per rompere il silenzio. La donna arricciò le labbra e intrecciò le dita nodose, allungandosi sul tavolo.
- La sfera del sogno può rivelare molte cose di una persona, ed è molto utile per conoscere fino in fondo i propri alleati... e i propri nemici. -
- Bastava chiedere. Sapete, non mi trovo molto a mio agio con voi che mi frugate nella testa tutte le notti. - si appoggiò contro lo schienale, rilassandosi. - Per curiosità, posso chiedervi come fate?-
Imogen rimase in silenzio per qualche momento, poi si portò una mano al collo, liberando una delle sue collane e mettendola alla luce perché il capitano potesse osservarla: Jack strinse gli occhi e si avvicinò un poco, vedendo che cosa penzolava dalla collana. Era un anello da uomo, grosso, con una pietra verdognola elaborata. Aveva qualcosa di familiare.
- Era già da qualche tempo che la gilda stava cercando informazioni su di voi, capitan Sparrow, ma è stato in un bordello che sono riuscita ad ottenere quello che volevo. E' una fortuna che certe prostitute conservino così amorevolmente i doni dei loro amanti pirati di un tempo. - disse la strega in tono vagamente divertito, mentre Jack si tirava indietro con una smorfia.
- Oh, andiamo... quello risalirà a due anni fa come minimo. - sbottò, con una scrollata di spalle.
Le labbra scure della donna si dischiusero in un sogghigno. - Vero: funzionerebbe molto meglio con un oggetto più recente, che voi abbiate posseduto per molto tempo e tenuto accanto. Magari posso chiedervi di prestarmi uno dei vostri anelli, per sostituire questo?-
Il capitano chiuse le mani a pugno, come per proteggere i monili che portava alle dita, e se le mise di scatto dietro la schiena. - No. - replicò in fretta, con aria quasi impaurita.
La strega rise di gusto, evidentemente divertita dal potere che vantava sopra di lui. - Non importa. Come vedete, mi basta un gioiello che sia appartenuto alla persona di cui voglio sondare la mente. Gli altri particolari non vi devono interessare; è sufficiente che siate consapevole di cosa posso fare. - lasciò andare la collana, facendosi ricadere l'anello contro il petto, quindi si alzò e in tutta calma andò a recuperare il bollitore che aveva lasciato sul fuoco, versando una sorsata di liquido fumante in una tazza. Si sprigionò uno strano odore, che rimase ad aleggiare attorno a loro come una presenza indefinibile.
Imogen tornò al suo posto e appoggiò sul tavolo la tazza fumante, spingendola verso Jack. - Dovete bere questo. -
Il capitano aggrottò le sopracciglia, squadrando con più attenzione la tazza: il contenuto era scuro e denso, e l'odore non assomigliava a niente che avesse mai sentito prima di allora. - E... perché dovrei?- domandò, circospetto.
- Regole della gilda: tutti devono berlo prima di un colloquio con me. - la donna spinse la tazza verso di lui con più insistenza, mettendogliela proprio sotto il naso. Jack lanciò uno sguardo a Silehard, ancora perfettamente immobile alle sue spalle, il quale si limitò a scoccargli un'occhiata eloquente alzando le sopracciglia. Deglutì: non aveva mai avuto belle esperienze con gli intrugli misteriosi di qualsiasi genere. Rassegnato, prese la tazza tra le mani, annusò, soffiò un paio di volte mentre scrutava il liquido con sospetto, infine si decise e se la portò alle labbra.
Il sapore non era dei migliori, e la bevanda viscosa gli lasciò uno sgradevole amarognolo in fondo al palato, ma lo bevve fino in fondo: quando ebbe finito posò la tazza sul tavolo e fece una smorfia, schioccando ripetutamente le labbra per liberarle dal cattivo sapore. Gli sembrava di avere ingurgitato del fango.
Silehard e la strega lo stavano scrutando con aria quasi avida, come se fossero in fervente attesa di qualcosa. Jack si leccò le labbra ancora una volta: il suo stomaco non stava protestando, e non gli sembrava di essere sul punto di cadere stecchito da un momento all'altro, quindi non aveva proprio idea di cosa si aspettassero quei due.
C'era qualcosa che non andava, però.
Ad un tratto, del tutto inaspettatamente, si sentì i piedi di piombo, e le braccia talmente pesanti che sembrava costargli fatica anche muovere solo un dito. Il crollo di energie fu talmente repentino che riuscì solo a restare seduto con lo sguardo vacuo, accasciato contro lo schienale della sedia e le braccia abbandonate sui braccioli, completamente e innaturalmente immobile.
“Cristo, mi hanno avvelenato.” fu il suo primo pensiero, subito sostituito da quello seguente. “Se è davvero così, è il veleno più strano che mi sia mai stato propinato. Non sento niente.” al quale seguì, con una nota di sorpresa: “Diavolo, questo sì che è strano. Non sento proprio niente. In tutti i sensi.” e infine arrivò una sorta di vacuo nulla: l'incapacità totale di formulare un pensiero, di riflettere. Improvvisamente tutto attorno a lui sembrava succedere molto, molto lentamente. O forse era lui che riusciva ad accorgersi di una sola cosa alla volta.
Si ricordò della presenza di Silehard solo quando questo si mosse e si spostò al suo fianco, entrando nel suo campo visivo. Perfino muovere gli occhi sembrava improvvisamente molto faticoso. Gli sembrava di guardare Silehard da dentro una bottiglia, come se lui fosse stato una di quelle stupide navi in miniatura, e tra di loro ci fosse un vetro arrotondato che distorceva tutto quanto.
- Molto bene. - la voce della strega. Giusto, c'era anche lei. La vide mettersi comoda e intrecciare le dita, mentre gli rivolgeva un sorriso affabile. - Capitano Jack Sparrow, sei disposto ad obbedire a noi, a lavorare per la gilda, e a schiacciare la gilda dei Mercanti?-
Impiegò alcuni istanti a capire la domanda, e altrettanti per riuscire a parlare: boccheggiò, sentendosi la bocca impastata, poi borbottò: - Sì... se mi andrà bene. -
Un momento, ma cosa stava dicendo? Doveva essere cauto con le parole, maledizione, doveva indurli a fidarsi di lui, come aveva sempre fatto fin dall'inizio! Imogen si limitò a sorridere di più e a sporgersi ancora un po' verso di lui. - Senti senti... Jack Sparrow, tu sai dove si trova l'Isla de Muerta?-
Il suo nome, pronunciato dalla strega, raggiungeva come un colpo di pistola il suo cervello assopito e lo costringeva a prestare attenzione alle sue parole, che lo volesse o no. - Sì. - biascicò di nuovo.
- Ci porterai laggiù, se te lo chiederemo?-
- Se me lo chiedete... sì... posso farlo. - era come se pensare fosse diventato troppo difficile. Improvvisamente non c'era più nessuna scusa, nessuna mezza verità: solo la forza per dire esattamente quello che gli passava per la testa. - Ma... si è inabissata. -
- Ma tu ci sei tornato, una volta... e non tu solo, stando a quanto ho visto. L'antico tesoro è raggiungibile?-
- Sì. -
- Ci porterai là. -
Jack batté le palpebre. - Va bene. -
Silehard ebbe uno scatto di irrequietezza e per un attimo le sue dita si serrarono sul braccio di Jack. - Sparrow, cosa mi dite della fonte della giovinezza? L'avete trovata?-
Il capitano strizzò di nuovo gli occhi. - Sì. - mormorò, per poi raddrizzare improvvisamente il capo con un debole scatto convulso. - Inutile... -
Gli occhi di Silehard si strinsero. - ...Inutile?-
- Inutile. - ripeté lui, con un debole movimento che avrebbe voluto essere un cenno di diniego.
- Abbiamo l'Isla de Muerta, e tanto ci basta. - la strega riprese seccamente il capo della gilda, rimproverandolo con lo sguardo per l'interruzione, quindi tornò a rivolgersi a Jack. - La tua donna, invece, mi preoccupa... lei obbedirà alla gilda?-
- No. - gli era uscito di bocca ancora prima che potesse solo pensare di trattenersi. Gli occhi neri della strega scintillarono brevemente. - Così, eh? Potrebbe esserci d'intralcio. -
- Non... - una scintilla di determinazione si riaccese per un attimo soltanto. - Non lo sa. Non lo sa perché sono entrato nella gilda. Non c'entra. -
- Capisco. Ma hai giurato per te stesso e per la tua ciurma, il che comprende anche lei: quindi sarà meglio che non ci causi dei problemi, perché nella gilda non c'è posto per i disertori. -
Jack si agitò per un attimo sulla sedia. - Non... le deve succedere niente di male!-
- Tranquillo, tranquillo... - il tono di Imogen si fece mellifluo. - Possiamo trovare un accordo. La tua ciurma, quindi, non si fida di noi. -
- No. -
- Ma si fida di te. -
- Sì. -
- Ottimo. E che mi dici del giovane capitano della nave che ti accompagna?-
- William. Ne sta fuori. Non ci vuole stare, lui, con la gilda. -
Era un sogghigno quello che balenò per un attimo sulle labbra della strega? Lui, piuttosto, stava davvero parlando troppo e non poteva fare niente per evitarlo. - Capisco... Il primo che cerca di fuggire dall'inevitabile. I codardi sono un dannoso intralcio ai nostri progetti, non trovi?-
- No. -
Imogen quasi rise. - Ma sentilo... Comunque, non è lui il problema più urgente. Stasera il quartier generale dei Mercanti brucerà, e tu dirigerai la spedizione al meglio delle tue capacità. Lo farai?-
- Lo farò, sì. -
- Molto bene. Resterai qui per organizzare l'attacco: ti verranno date delle istruzioni e tu le eseguirai alla lettera. Entro stasera, tutto dovrà essere stato compiuto alla perfezione. Considerala una prova per verificare quanto sei pronto a spingerti oltre. Dimmi, sei fiero di agire per la gilda?-
- ...No. -
Sorprendentemente, Imogen emise di nuovo uno sbuffo che assomigliava molto ad una risata. - Silehard è il tuo capo e il tuo superiore?-
- No. -
- Eseguirai ogni suo ordine, qualsiasi esso sia? -
- No. -
- Sei curioso di scoprire quanto a fondo posso scavare nella tua testa, e quali incubi posso mandarti?- le labbra della strega ora erano tirate in un sorriso spietato. Jack trovò improvvisamente anche la forza per scuotere la testa, sentendo un brivido freddo corrergli per la schiena. - No. No... no. -
- Bravo il nostro codardo. Non ti interessa neanche un po' il grande progetto di Silehard, vero? Agisci per il tuo tornaconto, a quanto pare, eppure sembra proprio che ti interessi andare fino in fondo. Speri di guadagnarci qualcosa, e dubito che sia il denaro. Che cos'è che ti interessa?-
Jack strizzò gli occhi. - Volevo sapere chi era che mi faceva fare i sogni. E voglio sapere a cosa vi servo. - dovette tirare un gran respiro per riuscire a finire la frase. - ...Voglio vedere dove volete arrivare. -
- Interessante. - concluse vivacemente la donna, con un guizzo di curiosità nello sguardo. - La cosa quindi non ti lascia indifferente come pensavo. Lo trovo... stimolante. Questo potrebbe tenerti legato a noi più di qualunque accordo. - si mise più comoda sulla sedia. - Abbiamo saputo che c'è un nuovo uomo nella tua ciurma. Chi è?-
La testa del capitano ciondolò per un attimo. - Testarossa? L'irlandese. Donovan. Connor. Connor Donovan. Non è nessuno... l'hanno salvato dopo l'incontro di boxe. Messo male. Lavorava per i Mercanti, questo sì... si è arruolato nella ciurma. Vuole venire con noi. L'ho accettato. -
Imogen si voltò quasi impercettibilmente verso Silehard e mormorò: - Corrisponde?-
Il capo della gilda rispose con un cenno altrettanto lieve che poteva forse essere interpretato come un gesto d'assenso, quindi si sporse per guardare Jack negli occhi. - Solo un'ultima domanda, Sparrow. Tu sei un pirata nobile. Qual è il tuo pezzo da otto?-
Lentamente, molto lentamente, il capitano riuscì ad alzare una mano fino a portarsela sulla testa, e le sue dita sfiorarono un piccolo corno d'osso appeso al filo di perline che pendeva dalla sommità della sua bandana. - Questo. - mormorò. Per qualche attimo ebbe paura che Silehard potesse prenderglielo, così che la strega potesse usarlo su di lui per fargli venire degli incubi ancora peggiori.
Invece lui si limitò a guardare il suo pezzo da otto con un ghigno soddisfatto, per poi farsi indietro e rispondere, in un sussurro inquietante: - Grazie. -

*

Un'altra giornata passata a far niente. Un altro giorno completamente buttato.
Questo pensavo mentre, sotto il sole del tardo pomeriggio, camminavo lungo il molo, dirigendomi verso la Perla.
Nemmeno di giorno la città era un posto piacevole dove stare: al culmine della noia mi ero presa tutto il pomeriggio per vagare per le strade, fermandomi qua e là a pensare se mi servissero nuove armi, munizioni di scorta o cose del genere. Ero tornata dal giro col mio gruzzolo ancora intatto nella borsa, e una crescente sensazione di minaccia addosso. Ovunque andassi mi sentivo osservata, anche se a girare per le vie c'erano sempre e solo i soliti onesti -e non- cittadini e i consueti brutti ceffi che se ne andavano a zonzo come se si sentissero i padroni indiscussi della strada. Anche se di norma non andavo mai a cercarmi guai, quella volta fui più guardinga del solito: evitai accuratamente le strade pattugliate da quelle sottospecie di squadroni di guardia, non parlai con nessuno, badai perfino a non incrociare lo sguardo di nessuno.
Forse in realtà non avevo niente da temere poiché, almeno formalmente, anch'io facevo parte della gilda di Silehard, per cui dubitavo che i suoi uomini avrebbero perso tempo ad attaccare briga con me. Tuttavia quella mattina avevo avuto la prova tangibile che non eravamo al sicuro, gilda o non gilda. Ogni giorno che passava, Tortuga mi sembrava sempre di più una polveriera pronta ad esplodere, e mai come adesso avevo desiderato poter levare gli ormeggi e andarmene via.
Passai accanto alla nave, scoccandole un'occhiata distratta: uno dei portelli dei cannoni era di un legno leggermente più chiaro e nuovo e spiccava evidente sulla fiancata. Jonathan doveva avere finito.
Lo avevo incaricato di sostituire il portello bruciato, e sembrava aver fatto un ottimo lavoro, ma in quel momento avevo la testa da un'altra parte. Jack non era tornato. Non l'avevo più visto da quando l'avevamo lasciato nell'armeria di Marquina, e l'unica, per niente rassicurante certezza, era che al momento si trovava alla gilda insieme a Silehard.
Feci per salire sulla passerella della Perla, ma qualcosa mi fermò. Solo poco più in là lungo il molo era ormeggiata la Sputafuoco e, anche se non riuscivo a vedere cosa succedeva sul ponte, ero certa di avere sentito della musica che proveniva proprio da lì. Come mi fermai ad ascoltare la sentii ancora: il suono miagolante di un violino mi portò le note di un minuetto, seguito da uno scroscio di risate.
Scoccai un'occhiata al ponte della mia nave: qua e là c'erano i soliti drappelli di pirati che bevevano, giocavano a dadi e a braccio di ferro, e nessuno sembrava di umore particolarmente allegro. Girai sui tacchi e mi diressi verso la Sputafuoco.
Il suono del violino e delle risate si fece più forte quando risalii la pedana, e fu con un certo stupore che mi accorsi di essere piombata nel bel mezzo di quella che aveva tutta l'aria di essere un festino: alcuni pirati erano seduti sul ponte e sulla murata, il suonatore di violino era il vecchio Trentacolpi in persona, ritto sotto l'albero maestro; mentre suonava batteva i piedi e si dimenava, facendo tintinnare tutte le sue pistole, eppure dovevo riconoscere che sapeva il fatto suo. Al centro del ponte c'erano tre coppie danzanti: Will ed Elizabeth ballavano abbracciati, subito accanto a loro c'erano Faith ed Ettore e per ultimi -dovetti strizzare gli occhi per essere sicura di non avere preso un abbaglio- Connor insieme a Valerie.
La giovane sembrava più che soddisfatta di fare coppia col bell'irlandese e, mentre volteggiavano -adesso aveva attaccato l'aria di un valzer- la vidi abbandonarsi al suo abbraccio un po' più di quanto fosse consigliabile. Per l'ennesima volta in quei giorni mi domandai dove fosse finito Jonathan, e perché i due sembrassero avere improvvisamente tagliato i ponti. Per un attimo mi passarono proprio davanti, e i capelli neri di Valerie volteggiarono in aria, mentre Donovan la teneva tra le braccia.
La danza finì, e tutti i pirati applaudirono e gridarono: Trentacolpi ci mise del suo alzando in aria sia il violino che l'archetto e agitandoli furiosamente, con un grido d'approvazione. Scoppiai a ridere e mi unii agli applausi, avanzando sul ponte verso i miei amici.
David, che si stava divertendo anche lui a volteggiare e saltellare per conto suo sul ponte, mi notò e mi corse incontro. - Laura! Ciao!- cinguettò, agitando le braccia per salutarmi.
- Capitana!- esclamò il vecchio Trentacolpi, e in men che non si dica caracollò verso di me e piombò in ginocchio ai miei piedi, con occhi e bocca spalancati all'inverosimile come se fosse sopraffatto dall'emozione. - Unica! Splendida! Divina! Magnifica... Capitana!- scherzò, accompagnando ogni parole con un cigolante colpo dell'archetto sulle corde del violino.
- Avete finito?- davanti alla sua sceneggiata risi di nuovo, e tutta la ciurma rise con me. Trentacolpi si rialzò in piedi ringraziando la folla con un cenno del capo, mentre Elizabeth mi fece un cenno di saluto dal centro del ponte. - Ti unisci a noi?- mi invitò, sorridendo.
Scossi il capo, poi mi chinai a prendere in braccio David che saltellava in cerca di attenzioni. - No grazie. Ho già il mio ballerino!- risposi, sollevandolo.
Sbirciai in direzione di Connor e Valerie e per un attimo li vidi testa contro testa, quella nera di lei e quella rosso scura di lui, chini a confabulare qualcosa tra di loro. Poi Valerie gettò indietro il capo e rise in modo assolutamente adorabile, con le mani ancora appoggiate sulle spalle larghe di Connor. Durò un istante appena, poi i due si separarono con tutta la naturalezza del mondo, e l'irlandese si diresse verso le altre due coppie per poi inginocchiarsi con fare melodrammatico davanti ad Ettore e Faith, e porgere la mano a lei.
Inarcai un sopracciglio, mentre tenevo distrattamente David tra le braccia. Di colpo sembrava che a Donovan tutto fosse concesso, anche fare il buffone con Faith sotto gli occhi di suo marito: per qualche momento Ettore fece un'espressione dubbiosa, poi Will ruppe il ghiaccio lasciando andare Elizabeth e facendosi avanti per uno scambio di dame. Un attimo dopo avevano già formato le nuove coppie; Connor con Faith, Ettore con Elizabeth e Will con Valerie, e ripresero a ballare come se nulla fosse.
Avevo la sensazione di essere finita in mezzo ad una specie di commedia teatrale, e di essere l'unica a non avere letto il copione.
- Balliamo, David?-
- Sììì!- gridò entusiasta il bimbo, gettando le braccia in aria. Mentre gli altri ballavano sul ponte, io rimasi ai margini e per un po' mi divertii a fare girare David, godendomi le sue risate sguaiate. In quel momento provavo sentimenti contrastanti: era un piacere trovarmi finalmente in mezzo ad un'atmosfera un po' più allegra del solito, ma allo stesso tempo era come se l'arrivo di Donovan tra di noi avesse improvvisamente distrutto l'equilibrio precedente per crearne dal nulla uno del tutto nuovo. Un equilibrio dal quale in parte mi sentivo esclusa, e in parte non ero sicura di voler entrare.
Sbirciavo Faith mentre ballava con Connor, che li faceva volteggiare sul ponte con naturalezza. Aveva un sorriso impacciato congelato sulle labbra, ed era arrossita violentemente: Donovan, invece, le sorrideva apertamente, con la scioltezza del migliore dei ballerini. Chissà Ettore come l'avrebbe presa?
Anche quel giro di danza finì, e sotto sotto fui felice di vedere la mia amica staccarsi finalmente da Connor. I pirati gridarono e applaudirono di nuovo, io feci fare una giravolta a David e poi lo appoggiai a terra mentre lui ancora rideva come un matto.
- Andiamo, andiamo, mezze calzette, non sarete mica già stanchi!- sbraitò Trentacolpi con una potente risata, e riattaccò a suonare il violino con un ritmo più indiavolato di prima, senza prestare ascolto alle risate e alle scherzose richieste di pietà dei ballerini.
- Vado io, vado io!- gridò David, tutto felice, correndo davanti al vecchio nostromo e mettendosi a saltellare davanti ai suoi piedi, scatenando l'ilarità della ciurma. Un altro pirata si era affiancato a Trentacolpi con un tamburello e batteva il ritmo. Mentre ancora guardavo David, sorridendo, qualcuno mi batté un colpetto sulla spalla: mi voltai e mi trovai faccia a faccia con Donovan, che mi rivolse un sorrisetto inequivocabile e mi porse la mano.
Scossi la testa e arretrai di un passo. - No, grazie. - rifiutai, senza particolare entusiasmo.
- Perché no?- insistette. - E' un peccato che proprio voi dobbiate essere senza cavaliere. -
- Ha ha. Divertente. Grazie, ma no. -
- Volevo solo essere gentile. - si scusò, perdendo un po' del suo sorriso. - Ne siete proprio sicura? Vi assicuro che sarebbe un onore, per me. -
Riuscì a strapparmi un sorriso. - Non si balla col capitano. - scherzai, con un cenno del capo. Questo lo fece ridacchiare, e mi scoccò un'occhiata da sotto in su. - Davvero? E' uno degli articoli del codice?-
- Ovviamente. Come farei a farmi rispettare, poi?-
Lui rise ancora di buon grado, ma non lasciò perdere. - Mi pare giusto. Tuttavia... - gettò un'occhiata attorno a sé. - Non siamo sulla vostra nave, e voi non siete il capitano, qui. Non è una scusa sufficiente?-
Sospirai e alzai gli occhi al cielo: un po' mi sentivo braccata e la cosa mi infastidiva, ma, d'altra parte, Donovan era stato molto gentile nel suo approccio. Quasi mi dispiaceva dirgli ancora di no. - C'è un modo per convincervi a lasciar perdere?-
- No. - replicò con un gran sorriso. - Facciamo così: se vi rivelerete una pessima ballerina, state pur sicura che sarò io a scappare a gambe levate. -
Sogghignai di rimando. - Ho già vinto, allora: non sono mai stata brava a ballare. -
- Forse avete solo avuto un cattivo insegnante. - senza aggiungere altro, Connor mi prese per mano e mi tirò al centro del ponte.

*

I cancelli del cantiere navale dei Mercanti si aprirono per fare passare un gruppo di sette robusti marinai negri: ciascuno di loro faceva rotolare davanti a sé un grosso barile.
- Ehi, ehi!- l'uomo che presidiava il cancello sollevò una mano e si fece loro incontro di corsa. - Che cos'è questa roba?- domandò in tono imperioso, lanciando ai barili un'occhiata sospetta.
- Chiodi, signore. I capi vi mandano i materiali richiesti. - rispose il negro interpellato, posando le mani sul barile. L'uomo sbuffò, sdegnoso, e chiamò i suoi aiutanti perché venissero coi piedi di porco ad aprire quei barili: uno dopo l'altro vennero tutti scoperchiati, rivelando il loro contenuto che, effettivamente, era di spessi chiodi per le navi. Si rilassò un poco: ricordava che, in effetti, pochi giorni prima era stata fatta una grossa ordinazione di chiodi; l'unica cosa sorprendente era che avessero eseguito così in fretta.
Una volta controllato il carico, l'uomo ordinò ai negri di sistemare i barili, e questi furono lesti ad eseguire. Quando i cancelli furono chiusi alle sue spalle, né il guardiano né tantomeno gli operai prestarono attenzione ai marinai negri che si sparpagliarono per tutto il cantiere, disponendo i loro barili in un ordine preciso.
I Mercanti potevano vantare di un cantiere navale piuttosto spazioso: dall'esterno appariva solo come un classico casermone in legno, chiuso da un tetto, ma dall'interno si poteva avere un'idea di quante fossero in realtà le persone che vi lavoravano e di quanto spazio disponevano. Un bacino di carenaggio si apriva verso l'esterno, sul mare aperto, e subito accanto c'era ancora abbastanza spazio per il largo piano inclinato sul quale venivano tratte in secca le imbarcazioni più piccole.
Al momento, la maggior parte dei lavoratori erano molto occupati nella costruzione di un grosso galeone da guerra, mentre altri erano alle prese con quattro imbarcazioni di dimensioni molto più ridotte.
Non era la prima volta che quei marinai negri consegnavano materiali al cantiere, quindi le guardie che pattugliavano l'arsenale non fecero commenti vedendo passare uno di loro che spingeva il suo barile, tutto preso dal suo compito. Ignorato da tutti, il negro posò il barile il più vicino possibile al deposito dell'artiglieria, dove era contenuto tutto il materiale bellico e la polvere da sparo con cui armare le navi che venivano assemblate lì dentro.
Si fermò con il barile proprio dietro ad una grossa pila di stoffa per i velaggi, accuratamente ripiegata e legata, e si inginocchiò a terra per nascondere i suoi movimenti: in un attimo ribaltò il barile su di un fianco e aprì facilmente il finto fondo. Dal barile sgusciò fuori un ragazzino cencioso di appena nove anni, che fino a quel momento era rimasto raggomitolato dentro l'angusto doppio fondo che lo teneva separato dai chiodi. Un po' ammaccato, ma sveglio come un grillo, il bambino si mise a quattro zampe e sgattaiolò via in pochi secondi, nascondendosi dietro le cataste di cordame, di vele e di assi, stringendo contro il petto un lungo punteruolo robusto di metallo.
Mentre i negri, con molta calma, si radunavano per andarsene, il bambinetto sgusciò indisturbato fino all'artiglieria e si impossessò di un barilotto di polvere da sparo, il più piccolo che riuscì a trovare. In tutta fretta si accucciò dietro i barili più grossi e, stringendo forte il punteruolo tra le dita, cominciò a menar colpi contro il fondo fino a che una delle assicelle non si spezzò con uno scricchiolio sonoro, spargendo a terra un po' della polvere che conteneva.
Con un sogghigno soddisfatto, il bambino si infilò il barilotto sotto il braccio e riprese il suo giro furtivo lungo il perimetro del cantiere in senso inverso, raggiungendo uno dopo l'altro tutti e sette i barili che i negri avevano depositato in punti diversi.
Dietro di lui, si snodava una linea nera e sottile di polvere da sparo.

*

Donovan mi prese con la mano dietro la spalla, ed io appoggiai la mia mano sul suo braccio: con la mano sinistra presa la mia destra, e cominciammo a girare su noi stessi. Mi sforzavo di non incrociare il suo sguardo nemmeno per sbaglio, ma eravamo così vicini che lo sentii trattenere una risata, e allora mi voltai verso di lui.
- Che cosa avete da ridere?-
- L'albero maestro è più sciolto di voi, signora!- replicò lui, scoppiando a ridere. - Cos'è che vi innervosisce?-
- Da dove comincio?- ribattei, acida. Nello stesso momento riuscii a pestargli un piede per ben due volte, ma la cosa lo fece ridere ancora di più: ad un certo punto lui accelerò un poco il ritmo e, mio malgrado, dovetti assecondarlo e lasciarmi condurre. A tempo di musica attraversammo il ponte, volteggiando anche un po' troppo per i miei gusti: ero certa che sarei finita per terra, se non fossi stata saldamente aggrappata a Donovan. Dettaglio che, ne ero certa, non mancava di divertirlo immensamente.
- Così andiamo molto meglio. - commentò, scostandosi appena perché fossimo faccia a faccia. - Visto? Siete molto più apprezzabile, quando vi degnate di rilassarvi un po'. -
Mi bloccai, interrompendo bruscamente la nostra serie di giravolte lungo il ponte. - State diventando noioso. -
- Voi invece no. - un largo sorriso gli guizzò sul volto, mentre la sua mano dava una stretta alla mia e il suo braccio premeva attorno alla mia vita, invitandomi a continuare il ballo. Pigramente ricambiai il sorriso, poi sgusciai via dalla sua stretta con facilità, anche se non mi riuscì di sfilare la mia mano dalla sua.
- Spiacente, signor Donovan. Penso di averne avuto abbastanza. -

*

Quando i sette negri uscirono dal portone principale del cantiere, la figura acquattata nell'ombra del vicolo poco distante scoprì i denti d'oro in un sorrisetto.
Nello stesso momento, il giovanotto dai capelli rossi spuntò da dietro le spalle di Jack, si affacciò da dietro l'angolo e fece un breve fischio, facendo cenno col braccio agli uomini perché si affrettassero: quelli non si fecero pregare e imboccarono di buon passo la strada opposta, improvvisamente ansiosi di lasciarsi il cantiere alle spalle. Lo sguardo del ragazzo rimbalzò per qualche momento da Jack al portone, sempre più impaziente, mentre sembrava combattuto tra la cautela e l'orgoglio nel difendere la propria posizione di superiorità. - Allora? Non è ora di metterci al riparo?- sibilò.
- Con calma, figliolo. - replicò il capitano in tono distratto. - Avremo tutto il tempo di avere fretta, non appena... ah, ecco. -
Un improvviso trambusto anticipò l'apertura del portone, dal quale questa volta si affacciò un nerboruto carpentiere che spinse fuori con una pedata il bambino che era entrato nascosto dentro le botti. Quello cadde a faccia in giù per la spinta, strillò qualche insulto al carpentiere -tanto per reggere il gioco ancora per qualche momento- poi, quando quello richiuse pesantemente il portone senza smettere di imprecare, saltò in piedi e se la svignò a rotta di collo su per la strada, molto più in fretta di quanto non avessero fatto i sette negri. Se il marmocchio si era fatto scovare e buttare fuori -come previsto dal piano- poteva significare una sola cosa: la miccia era accesa.
- Ora è tempo di avere fretta!- esclamò Jack, tornando a ripararsi prudentemente dietro l'angolo della strada. Quella dei barili era stata una sua idea: quando alla gilda gli avevano mostrato quel doppio fondo solitamente usato per il contrabbando, il piano aveva preso forma da solo. Soltanto un piccolo scomparto sotto il coperchio del barile conteneva i chiodi che avevano tratto in inganno il responsabile del cantiere navale: sei di essi erano pieni di polvere da sparo. Ma, logicamente, la polvere nei barili, da sola, non sarebbe bastata: serviva qualcuno che si occupasse di innescare la trappola. Appiccare un incendio nel cantiere non era una cosa da poco: cordame e vele venivano mantenuti umidi proprio al fine di evitare incidenti, e le pareti del cantiere erano in legno spesso, che non bruciava facilmente. Perciò occorreva sparare dritti sul bersaglio grosso: l'artiglieria. Per questo uno dei barili conteneva lo svelto ragazzino che si era prestato all'impresa, e gli altri, posizionati strategicamente, erano diventati semplici trappole pronte ad esplodere non appena fossero stati raggiunti dalle fiamme e dal troppo calore.
Giusto per non rendere le cose troppo facili.

*

Connor rafforzò la stretta sulla mano che ancora non si decideva a lasciarmi, e mi tirò di nuovo vicino a sé. I nostri occhi si incrociarono in silenzio per qualche attimo, prima che lui dicesse: - Mi sembra di finire continuamente per offendervi e, credetemi, vorrei davvero sapere come fare per evitarlo. -
Riuscii finalmente a liberare la mano con uno strattone, forse un po' più bruscamente di quanto avrei voluto. - Evitare di starmi addosso aiuterebbe. - ribattei. Trentacolpi stava continuando a suonare, ma sapevo che il nostro bisticcio aveva già attirato l'attenzione di gran parte dei presenti.
Donovan mise su un cipiglio ferito e si strinse nelle spalle. - Mi dispiace davvero che pensiate questo. Non sono io quello da cui dovete guardarvi. -
Qualcosa nelle sue parole, o forse nel tono in cui le aveva pronunciate, mi fece sussultare più del dovuto. - E con questo cosa state insinuando?-
- Non insinuo niente. Guardatevi dalla strega, capitano: lei sa come tenere alla catena gli uomini che lavorano per Silehard... e non c'è niente che voi possiate fare per evitarlo. -
- Ora ascoltatemi bene!- scattai, a voce così alta da zittire perfino il violino di Trentacolpi. - Mi sono stancata della gente che mi parla per enigmi, e mi sono stancata della gilda! Non mi fanno paura né le streghe né tutti i balordi al soldo di Silehard, è chiaro? E fossi in voi, Donovan, in questo momento eviterei proprio di farmi arrabbiare!-
Davo le spalle al porto, per questo distinsi la vampata di fiamme solo quando ne vidi il bagliore rossastro brillare sui visi dei pirati rivolti verso di me.
Ci fu un boato assordante che mi fece tremare fin nel midollo delle ossa e, quando mi girai di scatto, vidi salire nel cielo una fiammata, seguita da una nuvola di fumo nero. I pirati, dapprima ammutoliti dal frastuono, ora cominciarono a gridare, eccitati, spintonandosi per vedere e additando il luogo dell'esplosione. Un altro scoppio, più piccolo, illuminò ancora la notte di bagliori rosso sangue. Quello che andava a fuoco era il capannone del più grosso cantiere navale della città, ed era tanto vicino che lì dal porto potevamo vederne crollare la struttura tra il fuoco e il fumo.
I domini dei Mercanti bruciavano.



Note dell'autrice:
E si riparte! Forse per caso, forse per via di quella vocina che mi assillava perché finissi almeno un capitolo prima dell'uscita di POTC 4, ma finalmente ho ripreso a scrivere! Ormai dubito molto che riuscirò a coronare l'ambizioso progetto di finire questo episodio prima del quarto film, ma se non altro sono riuscita a tenere fede all'altro patto: quello di non smettere di scrivere e di portare questa saga fino in fondo; non importa cosa mi riserverà il nuovo film. Dovrò conviverci, a quanto pare. Ma le mie storie resteranno per sempre una versione alternativa e personale. Grazie come sempre alle fedelissime eltanin12 e Fannysparrow; felice che l'affezionato signor Donovan di quartiere abbia riscosso successo... I capitoli di transizione sono una croce e una delizia; ora vediamo un po' se i personaggi si decidono a smettere di "transitare" e basta e mi tornano sui binari... Con questo capitolo, intanto, di certo ho dato un po' di fuoco alle polveri.
Come sempre, wind in your sails.

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Capitolo 8
*** Aspettami. ***


Capitolo 7
Aspettami.



Delle urla si levarono dal cantiere, la luce rosseggiante delle prime fiamme proiettarono nella notte ombre di uomini che correvano nel vano tentativo di arginare il disastro. Ma la trappola ormai era stata innescata e non c'era modo di fermarla: una terza esplosione, segno che i barili carichi di polvere da sparo avevano preso fuoco, fece volare ovunque macerie fiammanti e chiodi roventi. Ciò che prima era stato il diversivo ora diventava l'arma, e le grida che si udivano non erano più solo di paura.
Il cantiere bruciava, e avrebbe continuato per un bel pezzo: le prossime esplosioni avrebbero portato le fiamme al capannone che sorgeva accanto, ovvero la sala del consiglio dei Mercanti. Jack distolse lo sguardo da quello spettacolo di devastazione, strizzando gli occhi per l'altissimo calore: dietro il muro che faceva angolo, lui e il giovane scagnozzo di Silehard erano al sicuro, anche se le detonazioni continuavano a sparare detriti in fiamme tutt'intorno a loro. Il giovanotto fissava il cantiere in fiamme col viso contorto in un ghigno.
- E' tutto vostro. - proferì stancamente il capitano, accennando col pollice ad un terzo edificio, quello che non sarebbe stato attaccato dall'incendio, ma che nella confusione sarebbe stato facile saccheggiare: i magazzini dei Mercanti. Il giovane corse fuori dal vicolo ed emise un fischio acuto e penetrante con due dita in bocca: subito, un'accozzaglia di uomini rimasti nascosti nella strada fino a quel momento uscì dai nascondigli, e tutti corsero a rotta di collo verso quella fornace ardente, lanciando urla di vittoria.

*

Se ci fosse stato anche solo un alito di vento a spingere cenere e scintille verso le navi ormeggiate sul molo, sarebbe stato un disastro di proporzioni mai viste, anche per Tortuga. Fu solo per fortuna -o forse per abile calcolo- che l'incendio si propagò soltanto a terra, divorandosi il cantiere e il quartier generale dei Mercanti.
In ogni caso, io e il resto del mio equipaggio lasciammo in tutta fretta la nave di Will per dirigerci alla Perla: io però superai di corsa la nave e proseguii sul pontile senza fermarmi, e Faith se ne accorse.
- Laura!- mi gridò dietro. - Dove stai andando?!-
- Vado a vedere che cosa succede!- replicai, voltandomi appena verso di lei senza neanche rallentare.
- Ma che cosa vuoi che succeda? Ci sarà la solita corsa a chi riesce ad arraffare più roba prima che crolli tutto!- gridò in risposta Ettore, ma ormai mi ero già allontanata e non sarebbero bastati i loro richiami per farmi cambiare idea. Non era un caso che fosse stato proprio il quartier generale dei Mercanti a saltare in aria, ed ora arrivare sul luogo del disastro per vedere il tutto con i miei occhi mi sembrava la cosa più importante da fare.
Come era prevedibile, per strada era una bolgia. La notizia dell'incendio si era sparsa in fretta; inoltre, un'inequivocabile colonna di denso fumo nero si innalzava da un punto ben preciso. Sapevo troppo bene il perché di tutta quella fretta: se davvero era stato appiccato un incendio voleva dire che un bel mucchio di denaro se ne stava andando in fumo, e la confusione era il diversivo perfetto per i numerosi temerari che avessero voluto arrischiarsi a fare man bassa negli edifici in fiamme prima che il fuoco divorasse tutto. Era un gioco all'ultimo sangue, ma molto diffuso a Tortuga in caso di incendio.
Facendomi largo tra gente che correva e altra che scappava, superai rapidamente la zona del porto e raggiunsi il cantiere: quella che conoscevo come la sede dei Mercanti era un alto edificio dal tetto spiovente, che ora sputava lingue di fiamme dalla finestre, illuminando tutto di un macabro bagliore arancione, e la cortina di fumo nero oscurava completamente il cielo. La costruzione accanto, quello che era stato il cantiere navale, era stato quasi raso al suolo dalle esplosioni che avevamo udito poco prima: il fuoco era divampato in fretta, alimentato da tutto l'esplosivo dell'artiglieria, e aveva attaccato in un attimo la casa a fianco.
Una massa di gente si affollava intorno, gridando, spintonandosi, e vidi alcuni uomini correre come dei dannati verso le finestre a pianterreno che erano già state sfondate da temerari saccheggiatori. E, in mezzo alla folla, ecco apparire loro: i capi della gilda dei Mercanti. Erano sei o sette uomini riccamente vestiti, e anche in mezzo a quella gente in tumulto sembravano i più agitati di tutti: forse l'attentato li aveva colti durante una delle loro riunioni, per questo si trovavano tutti assieme. Non riconobbi nessuno di loro: anche buona parte dei bottini che io e la mia ciurma avevamo speso a Tortuga era di certo passata sotto le loro mani, al momento non mi sembravano niente di più che signorotti indignati, indegni di qualsiasi interesse. Urlavano e imprecavano, additando frenetici le loro sedi in fiamme, mentre malandrini bruciacchiati fuggivano di corsa, con le braccia cariche di ogni cosa di valore fossero riusciti a trovare all'interno.
Per un istante, osservandoli, provai una specie di cruda soddisfazione: chissà quale di quegli uomini dalle marsine sgargianti aveva dato l'ordine di appiccare fuoco alla Perla Nera? Ma l'attimo dopo ogni senso di vendetta sparì, e mi trovai faccia a faccia con la verità: quelli non erano i nostri nemici, e le loro beghe non ci avevano mai toccati prima di allora. Erano così insignificanti. Non si meritavano un attentato così devastante e plateale.
C'era un edificio che non stava bruciando, ma era quello maggiormente preso d'assalto: i magazzini dei Mercanti. Davanti alle sue porte si stava consumando una vera e propria rissa: le fiamme dell'incendio illuminarono almeno una ventina di uomini a terra, avvinghiati l'uno all'altro, che si tempestavano di calci e pugni. Altri avevano scavalcato agilmente i lottatori ed erano andati a sfondare le finestre del magazzino, tuffandosi dentro indisturbati. Sospirai, non appena ebbi avuto la conferma di chi doveva esserci dietro a tutto ciò.
La folla premeva alle mie spalle, intorno a me. Qualcuno mi tirò una gomitata per passare, e finii sballottata in mezzo ai ladri e ai curiosi. Cominciai a cercare un modo per sfuggire alla massa di gente che premeva da ogni parte, ma, proprio quando mi stavo guardando freneticamente attorno, qualcos'altro catturò la mia attenzione. Il guizzo di una bandana rossa, e un cappello a tricorno infilato storto.
Jack emerse dalla folla solo pochi passi davanti a me, e rimase fermo per un istante, roteando lo sguardo attorno a sé con aria svagata, senza vedermi. Poi sgusciò rapidamente in mezzo alla gente, per svignarsela alla chetichella.
- Ehi!- tolsi di mezzo con uno spintone un uomo corpulento che stava sghignazzando come un matto, e corsi avanti alla massima velocità consentita dalla massa di gente che mi circondava. - Jack! Jack! JACK SPARROW!- gridai più forte che potei, saltellando per non perderlo di vista in mezzo a quel caos.
Scavalcai, spintonai, tirai spallate per farmi largo tra la folla impazzita: non vedevo più Jack. Frustrata, presi a girarmi da ogni parte nel tentativo di ritrovarlo, e improvvisamente sentii una schiena cozzare violentemente contro la mia, levandomi quasi il fiato. Mi sfuggì un'imprecazione di sorpresa, mi voltai di scatto e mi trovai faccia a faccia proprio con Jack, colto alla sprovvista quanto me.
- Jack!- quasi subito lo agguantai per una manica della giacca, per impedire che la folla ci separasse di nuovo.
- E tu cosa ci fai qui?!- esclamò lui, continuando a spostarsi di lato nel tentativo di districarsi dalla folla. Mi agguantò a sua volta per le braccia, e finimmo per strattonarci come a volerci impedire a vicenda di scappare.
- Potrei farti la stessa domanda!- replicai, quasi gridando per farmi sentire. In quel momento il tetto della casa dei Mercanti crollò con un frastuono assordante, facendo piovere mattoni e legno sulle teste di coloro che si erano avvicinati troppo. Istintivamente, Jack mi agguantò per le spalle e mi tirò indietro, mentre entrambi contemplavamo ad occhi sbarrati il disastro che si stava consumando davanti a noi.
Mi concessi più o meno cinque secondi di sgomento, artigliando convulsamente le maniche della sua giacca, poi mi scostai un po' da lui per guardarlo in faccia. - Anzi, direi che non ho nemmeno bisogno di chiedertelo. - mi corressi, sardonica. - Immagino che non sia un caso che i magazzini non siano stati toccati dall'incendio, vero?-
Lui abbassò lo sguardo, incupendosi, mentre continuava a trascinarmi con sé per allontanarci dall'incendio. - No, non è un caso. Effettivamente, soltanto un cieco potrebbe definire tutto questo “un caso”... - il cantiere navale era interamente devastato, mentre le fiamme stavano divorando quello che restava del tetto crollato del quartier generale.
- Quali parole avevo usato? “Non lasciamoci invischiare troppo negli affari della gilda”? E' commovente come riesci a mantenerle tu, le promesse!- sbottai, affrettando il passo. Senza rispondere, Jack mi diede uno strattone e mi condusse con sé vero il porto, lontano dagli edifici in fiamme che innalzavano verso il cielo pennacchi di fumo.

*

Anche al porto c'era una certa agitazione: la ciurma di entrambe le nostre navi si era radunata sul molo e sulla banchina, tutti vociavano e additavano la colonna di fumo. Nell'ombra della sera si distingueva ancora nitidamente il bagliore rosso del fuoco in lontananza.
Quando arrivammo sulla banchina tirai un sospiro di sollievo, e mi rassicurò ancora di più individuare a colpo d'occhio i visi che più mi premeva di rivedere: Faith, Ettore, Gibbs e Valerie erano in testa al gruppo, fermi ad attenderci; a quanto pareva, i tumulti nelle strade non erano arrivati fino a lì. Will ed Elizabeth erano a pochi passi, con David in mezzo a loro e Trentacolpi che ristabiliva l'ordine a modo suo, ovvero sbraitando insulti e sparando un colpo in aria quando lo riteneva necessario: se non altro, riuscì ad ottenere il silenzio assoluto in pochi istanti non appena io e Jack raggiungemmo la Perla Nera e la Sputafuoco.
Elizabeth ci venne incontro. - State bene!- esclamò in tono concitato; il suo viso era scuro. - Abbiamo visto bruciare i quartieri dei Mercanti per tutto il tempo. Jack, ma dove diavolo eri?!-
- E' stata un'azione della gilda?- domandò Will con improvvisa durezza, puntando gli occhi sul capitano. Alle sue parole tutti, me compresa, voltammo lo sguardo verso di lui in attesa di spiegazioni.
- Che c'è?- fece lui in tono infastidito, allargando le braccia in un gesto di esasperazione. - Sì, è stata un'azione della gilda... ma la cosa mi pareva piuttosto palese. -
- Sei rimasto alla gilda per tutto il giorno. - continuò Will in tono piatto, facendosi avanti di qualche passo per fronteggiare Jack: ad un tratto su tutta la ciurma era calato un silenzio di gelo, e i pirati stavano osservando con estrema attenzione i due capitani, tra i quali cominciava decisamente a tirare una brutta aria. - Non dirmi che non avevi direttamente a che fare con questo piano. Ne sei stato tu l'artefice?-
Jack lo ricambiò con un'occhiata di disgusto. - Ti importa tanto ciò che faccio o non faccio, capitano Turner?-
- Credevo che avessi imparato la lezione anni fa!- Will scattò verso di lui, alzando improvvisamente la voce: per la prima volta sembrava veramente arrabbiato. - Gioca con la tua, di vita!-
- Oh, scusami davvero. Non hai fatto tanto lo schizzinoso quando la vita te l'ho salvata... - ribatté Jack a tono, puntando imperiosamente l'indice contro lo sterno di Will. Prima che potessero andare avanti, Elizabeth si mise bruscamente tra di loro, separandoli.
- Adesso basta così!- intimò, scoccando ad entrambi un'occhiata di biasimo. - Non è litigando che risolveremo la cosa!-
- Non è restando qui che risolveremo la cosa. - la corresse Will, fissando Jack con astio al di sopra della spalla di Elizabeth: il suo tono era più calmo, ma non meno carico di rimprovero. - Pensaci, Jack. Facendo l'interesse della gilda metti a rischio non solo te, ma anche la tua ciurma e tutti noi. Io ho preso la mia decisione: se le cose qui a Tortuga stanno così, io e la mia ciurma salpiamo domattina. La mia nave prende congedo, capitano. -
- Vai pure. - rispose Jack in tono antipatico, agitando le mani come ad intimargli di sparire.
Will lo guardò con aria di sufficienza e fece una smorfia. - Stavo parlando al capitano al quale importa della sua ciurma. - spostò gli occhi su di me. - Laura, noi salperemo con la Sputafuoco domani all'alba. Non staremo via a lungo, ma non abbiamo più nessun motivo di rimanere a Tortuga. -
Jack si voltò repentinamente verso di me e poi verso di lui con espressione a dir poco oltraggiata: sapevo che questo era stato uno smacco personale; era piuttosto suscettibile quando si trattava di difendere il suo grado di capitano. Lo ignorai e risposi: - Sei libero di scegliere dove andare, Will. -
Lui fece un cenno di assenso col capo, quindi ci voltò le spalle e tornò a bordo della Sputafuoco, seguito poco dopo da Elizabeth e David. Quando mi accorsi che gli uomini della ciurma erano ancora tutti impietriti a guardarci, mi riscossi e intimai ad alta voce: - Su avanti, lo spettacolo è finito, gente! Ritornate tutti a bordo e poche chiacchiere!-
Mentre i pirati toglievano il disturbo attorno a noi, mi voltai furtiva a guardare Jack: era rimasto impalato, con un'espressione di oltraggio misto a disgusto stampata in faccia. Proprio in quel momento, uno degli uomini invece di tornare verso la nave si diresse verso di lui: era niente meno che Donovan, che si accostò a Jack e prese tranquillamente la parola come se fino a quel momento i capitani non avessero fatto che conversare amabilmente, invece di accapigliarsi l'un l'altro. - Ebbene, capitano... temo di dovervi informare che mi avete messo in una posizione imbarazzante. -
Jack si riscosse e fissò Connor se possibile con ancora più disprezzo. - Quale accidenti di posizione, di grazia?!?-
- Be', non è un mistero per nessuno che io abbia avuto problemi con i miei vecchi datori di lavoro, che erano appunto i Mercanti. Come potrò mantenere buoni rapporti con loro, quando sono arruolato nella vostra ciurma, che, ecco... al momento è dichiaratamente nemica dei Mercanti? Temo di non potere più onorare il nostro accordo. - disse tutto questo nel consueto tono sottomesso e con aria innocente, ma fui quasi certa di sentire una certa aria di scherno nelle sue parole: la cosa irritò tanto me quanto Jack, che fece un gesto esasperato e alzò gli occhi al cielo.
- E allora consideratevi libero dal vostro impegno e, per pietà, levatevi dai piedi!- sibilò tra i denti.
- Proprio quello che intendevo fare, capitano, troppo gentile. - rispose Connor, sorridendo innocentemente. - Per non venire meno alla mia parola, visti i recenti sviluppi, penso che chiederò il permesso di imbarcarmi col capitano Turner. -
- Fatelo e sparite!-
- Grazie, signore!- con un saluto da marinaio rivolto a Jack e il guizzo di un sorriso rivolto a me, Connor ci voltò le spalle e seguì la ciurma di Will a bordo della Sputafuoco. Forse realizzai appieno solo in quel momento che domattina i miei amici se ne sarebbero andati, avrebbero mollato gli ormeggi lasciandosi alle spalle quel porto claustrofobico e caotico, e avrebbero ripreso il mare: rimuginando su tutto questo, non riuscii a non provare il morso doloroso dell'invidia, e una divorante sensazione di nostalgia. Come avrei fatto senza di loro? Per qualche istante né io né Jack proferimmo parola, poi lui sentì su di sé il mio sguardo; si riscosse, mi ricambiò con un'occhiata appena, e se ne andò in fretta su per il ponte della Perla.
Non me la sentii subito di seguire il resto della mia ciurma e tornare a bordo, ma restai ancora per un po' a camminare avanti e indietro sul molo, mentre la folla si diradava e l'incendio ancora sputava fumo e fiamme danzanti sull'acqua. La puzza di bruciato aleggiava su di noi come una cappa di nebbia. Quando infine mi decisi ad alzare gli occhi dai miei stivali, vidi che Elizabeth si era fermata in cima alla passerella della Sputafuoco e mi stava guardando in silenzio; le rivolsi un debole sorriso e un cenno del capo, che lei ricambiò: in quel momento pensai che dovevo avere un'espressione tesa e preoccupata almeno quanto la sua.
- Lo sai che non è niente di personale. - fece lei, quando si decise a parlare.
Quasi risi, alzando le spalle. - Certo che lo so. Figurati, non sarò io a fermarvi: state facendo la scelta migliore. Almeno voi che potete, andatevene da qui. -
- Dovreste farlo anche voi. - scattò lei, con veemenza improvvisa. - Fallo ragionare! Andiamo via da qui, e Silehard non ci ritroverà mai. O, anche se ci ritroverà, non riuscirà mai a rimetterci le mani addosso. Ma non possiamo restare qui... lo vedi anche tu che siamo tutti in pericolo, che lo vogliamo o no. -
- Credi che non lo farei?- replicai in tono amaro. - Ho già provato a farlo ragionare, e non ha funzionato. Lui da qui non si muove, e la Perla Nera neanche. Tu non sai quanto vorrei... - mi interruppi, tirando un sospiro profondo. La nostalgia mi attanagliava lo stomaco, e il pensiero di vedere i miei amici allontanarsi a bordo della Sputafuoco entro l'alba mi sembrò ancora più insopportabile. La mia stessa nave, casa mia, stava diventando la mia prigione senza sbarre.
- ...Liz?- mormorai ad un tratto, in tono quasi supplichevole.
- Cosa c'è?-
- Posso venire con voi?-
Ormai l'avevo detto, e niente, nemmeno l'espressione sconcertata di Elizabeth, poteva farmi rimangiare le mie stesse parole. La mia amica aprì la bocca, sul punto di replicare, poi sembrò cambiare idea, perché ci pensò per qualche istante e poi mi chiese, esitante: - Dici sul serio?-
Annuii, e lei fece un rumore simile ad uno sbuffo, alzando gli occhi al cielo. - Oh, di bene in meglio... Ascolta, lo sai che per me sei la benvenuta. Ma... come la prenderà Jack? E soprattutto, quanti altri danni potrebbe causare mentre tu non ci sei?-
- Sa cavarsela da solo. - sbottai, improvvisamente acida: il mio sguardo indugiò su quel che restava del cantiere navale, dove le fiamme si consumavano sotto il cielo notturno oscurato dal fumo. - Sa cavarsela egregiamente da solo. -

*

Quando entrai in cabina trovai Jack steso di traverso sul letto, a pancia in giù, col mento appoggiato sulle braccia conserte. C'era una sola lampada accesa nella stanza, e lui fissava il vuoto con aria corrucciata finché non mi sentì entrare: solo allora alzò gli occhi e mi rivolse il guizzo di un sorriso.
- Ciao. - mi salutò a voce bassa, come se fosse incerto su che cosa dire.
- Ciao. - gli risposi nello stesso tono, poi andai a sedermi sul letto nel poco spazio libero che mi aveva lasciato. Mi ero appena appoggiata con la schiena alla testiera, quando Jack si alzò e rotolò sul fianco per appoggiare la testa sulle mie gambe. Per qualche momento rimase a fissarmi di sottecchi come se fosse in attesa di qualcosa, poi si decise a rompere il silenzio. - Non hai anche tu la sensazione che a questo quadretto manchi qualcosa?-
Alzai gli occhi al cielo. - E che cosa, sentiamo?-
Mi scoccò un'occhiata obliqua, col capo rovesciato sulle mie gambe. - Non sento la tua raffica di domande. Nessun “che diavolo hai fatto tutto il giorno, Jack”, né un ancora più plausibile “cosa accidenti ti è saltato in testa, Jack”. Tutte domande che, intendiamoci, avresti tutto il sacrosanto diritto di porre, comprendi?-
Mi spostai in avanti, chinandomi su di lui perché potesse guardarmi negli occhi. - Comprendo. Magari mi sono semplicemente stancata di farti domande. -
- Peccato. - con una mano sfiorò scherzosamente i miei capelli, che gli ricadevano sulla faccia. - Proprio adesso che avrei avuto qualche risposta da darti. -
- Allora potresti limitarti a darmi quelle?-
- Farò del mio meglio. - rispose col suo familiare sorrisetto. - Ho visto la strega, oggi. -
A quelle parole mi raddrizzai bruscamente, sentendo un brivido lungo la schiena: se voleva attirare la mia attenzione, c'era riuscito. - ...Esiste davvero?- sibilai a mezza voce.
- Eccome se esiste. - anche lui si fece più serio e abbassò il tono, con fare cospiratore. - È una sacerdotessa di Calypso, forse l'ultima della congrega di tredici donne che molti anni fa si radunavano a Santo Domingo. E non scherzavano troppo riguardo i suoi poteri: credo che sia grazie a lei che Silehard tiene d'occhio tutta Tortuga... ma che io sia dannato se so come ci riesce. -
- Oh mio Dio... - mormorai, prendendo a tormentarmi i capelli con le mani. Questo significava che tutte le voci che avevo sentito erano vere. Più che vere. Quindi Jack aveva infine visto con i suoi occhi quella donna in grado di turbargli il sonno? L'aveva incontrata, le aveva parlato? Dovevo considerarlo un bene o un male? - ...le hai parlato? Ti ha detto qualcosa?-
- Non molto. - evitò il mio sguardo mentre lo diceva, e la cosa non mi sfuggì. - Non sono ancora del tutto sicuro di cosa voglia da me... ma puoi stare tranquilla. Non è altro che una donna, dopotutto, strega o non strega. - mi scrutò, con un sorriso un po' più dolce di prima. - Con degli strani poteri, forse, ma una donna. Fidati, ho affrontato di peggio. -
- Hai scoperto quello che volevi, allora?- lo interruppi con una certa urgenza. Se mi avesse detto di sì, forse avremmo ancora fatto in tempo a lasciarci alle spalle Silehard, la gilda e tutto il resto... Ma, naturalmente, sperare di sentirgli dire che si riteneva soddisfatto era una cosa fin troppo ottimista.
- Be'... non ancora. Non del tutto. - ammise, in tono quasi colpevole anche se nel suo sguardo vidi brillare una scintilla di eccitazione che mi confermava tutto il contrario. - C'è qualcosa di molto più grosso sotto, e poi mi ha fatto domande sull'Isla de Muerta e sulla fonte della giovinezza, e... insomma, la cosa mi interessa. Puzza decisamente troppo per non interessarmi, comprendi? Per questo temo di non poter lasciare tanto presto la gilda, né Silehard. Lui mi serve. -
Repressi un sospiro tra i denti, anche se in fondo me lo aspettavo. Dovetti resistere a malincuore alla tentazione di infilare le dita tra i suoi capelli sparsi sulle mie gambe, mentre in silenzio mi decidevo a confessargli la mia decisione. - Jack... io voglio salpare con Elizabeth e Will, domani. Ne ho già parlato con loro. -
Il suo silenzio improvviso fu una risposta più che eloquente. Dopo essere rimasto a fissare il soffitto per un po', spostò la testa dalle mie gambe e si rizzò a sedere, voltandosi a guardarmi.
- Perché?- sembrava sinceramente sorpreso. - Che cosa c'è che non va, qui?-
- Qui non c'è niente per noi, Jack, e te lo avevo già spiegato!- scattai. - Tu potrai avere i tuoi segreti da svelare, ma io mi annoio, la ciurma si annoia, e se non ti sbrighi a trovare un rimedio ti troverai con la metà degli uomini. Non ti sei accorto che alcuni hanno già tagliato la corda e si sono imbarcati su altre navi? O non ti rendi nemmeno conto di chi viene e di chi va?-
- Si assomigliano tutti, non è che possa ricordarmeli uno per uno... - commentò, con una scrollata di spalle.
- Ecco, appunto. Siamo a terra da troppo tempo, e... io semplicemente non posso stare ad aspettare che tu abbia finito di fare i tuoi comodi. Mi dispiace. -
Per qualche attimo ancora ce ne restammo semplicemente in silenzio a guardarci, senza altro da aggiungere: vidi Jack storcere le labbra in diverse espressioni corrucciate come se stesse cercando di digerire le mie parole, e la cosa non gli riuscisse in nessun modo. Alzò gli occhi su di me, li riabbassò, li alzò di nuovo.
- Quindi vuoi salpare. - borbottò, mogio. Annuii, con un altro piccolo sospiro. - Sì. -
- Con Connor?- la buttò lì con una semplicità disarmante, ma il tono con cui pronunciò il suo nome aveva la stessa carica di un cannone al quale avessero appena acceso la miccia. Dal canto mio, io rimasi letteralmente a bocca aperta: di tutte le rimostranze che avrebbe potuto farmi, quella non me la aspettavo affatto. Restai a fissarlo interdetta per qualche secondo prima di capire che stava dicendo sul serio.
- Connor?- ripetei, incredula, davanti al suo sguardo eloquente. - Che cosa diavolo c'entra Donovan adesso?-
- Anche lui si imbarca con Will, o no?- ora Jack si stava sforzando di guardare altrove, ma il fastidio nella sua voce era più che riconoscibile. Non riuscivo a credere che quella conversazione avesse davvero potuto prendere quella piega.
- E con questo? Che lui si imbarchi o no sulla Sputafuoco non mi importa affatto!-
- Cionondimeno, lui ci sarà. -
Mi irrigidii, stringendo i pugni; non riuscii in nessun modo ad evitare che l'irritazione che sentivo crescermi dentro vibrasse nella mia voce, minacciosa. - Se la cosa non preoccupa me, perché dovrebbe preoccupare te? Da quando ti sei fatto queste idee, e come?-
Lui mi fissò intensamente e si sporse verso di me, appoggiandosi su di un braccio. - Si dice il peccato, non il peccatore... - sussurrò con un mezzo sorriso, sfiorandomi il viso col suo.
- Gibbs?- sbottai, ad un soffio dalla sua bocca.
- Va bene, l'hai detto tu e non io... -
- Non ho fatto niente di male, e sinceramente sono sorpresa che tu possa pensarlo. Da quando sei geloso?-
- So ballare anch'io, eh?- sibilò lui, sogghignando: per un attimo sfiorò le mie labbra con le sue, poi si tirò indietro quasi per dispetto, e lo sentii ridacchiare sommessamente tra sé.
Adesso non capivo neanche più se davvero l'avevo fatto ingelosire, o se si trattava soltanto della sua ennesima presa in giro. - Tutto qui? Te la sei presa solo per questo?- ribattei, piccata, senza condividere il suo divertimento. - Non vuole dire niente, e lo sai benissimo. E poi, cosa pretendi? Al momento tu eri in giro a fare esplodere cantiere navali, se non sbaglio... -
- Un'altra volta chiedi, e sarai accontentata. - replicò, facendo scintillare un dente d'oro. Alzai gli occhi al cielo, anche se dentro di me non potei che sentirmi sollevata vedendo che scherzava: il pensiero di saperlo veramente geloso di Connor Donovan era... non avrei saputo spiegarlo; disarmante, in un certo senso. Donovan non era niente. A malapena sapevo chi fosse, e non avevamo avuto più che qualche breve scambio di vedute. Aveva una personalità magnetica, questo non si poteva negare, ma chi mai avrebbe potuto accusare me di avere un qualsiasi tipo di intrigo con lui dopo averlo visto con Valerie? O, peggio ancora, con Faith? Era questo ciò che mi preoccupava sul serio.
- D'accordo. E, comunque, secondo me chi dovrebbe davvero preoccuparsi di Connor è Jonathan. E forse anche Ettore. -
Al contrario di quanto mi sarei aspettata, Jack ridacchiò di nuovo. - Che amiche libertine. - scherzò, carezzandomi il mento con due dita. - E tu sei sicura di avere superato indenne questi nubifragi sentimentali?-
- Più che sicura. - replicai, quasi offesa. Jack mi alzò delicatamente il mento con le dita, chinandosi piano su di me, e mi fece un sorriso incoraggiante. - Sentirlo dire è confortante. - mi diede un bacio morbido e rapido, facendomi esitare per un attimo a labbra ancora protese, come a desiderare che si fosse fermato un po' di più.
- Bene. - mormorai, con la voce un po' più roca. - E comunque... le cose stanno come ho detto prima. Io domani salpo con la Sputafuoco. Non staremo via a lungo... - sentii quasi il dovere di giustificarmi, o forse di rassicurarlo. - Una decina di giorni al massimo. Elizabeth e Will vogliono fermarsi in qualche porto qui nel golfo per smerciare un po' della merce che hanno comprato in città, ma mi hanno assicurato che rifaremo presto tappa a Tortuga per vedere come vanno le cose. Non me ne andrò per molto. -
Jack si raddrizzò e si fece ad un tratto più serio. - Puoi fare quello che vuoi. - mi disse con fare quasi sorpreso, come se mi stesse ricordando una cosa ovvia. - Puoi andare e venire da questa cabina, e da questa nave, come e quando vuoi. Non ho messo i lucchetti alla porta. -
Eppure, nonostante sapessi che era sincero, nonostante avessimo fatto un discorso simile un'altra volta, tempo prima, non potei fare a meno di notare una nota di tristezza nella sua voce: lievissima, nascosta, ma -per me che avevo imparato a riconoscere ogni sfumatura nella voce di Jack- inequivocabile. Si scostò da me e si girò, per poi stendersi di fianco sul materasso, dandomi le spalle. Io indugiai per un bel pezzo, in silenzio assoluto, senza sapere che altro dire: per una volta non sentivo dentro di me il peso delle parole non dette, quelle che covavano come braci sotto la cenere e non perdevano mai l'occasione per fare sentire quanto potevano bruciare. Avevo detto quello che volevo, tutto quanto. Jack aveva accettato la mia decisione come speravo: di certo non ne era contento, ma non la ero nemmeno io. Tuttavia, era andata bene. E allora perché continuavo a sentire che qualcosa non andava?
Mi alzai in punta di piedi, anche se era ovvio che non stesse ancora dormendo: spensi l'ultima lampada con un soffio, e poi mi arrampicai di nuovo sul letto accanto a Jack, scivolando silenziosamente al suo fianco. Mi appoggiai contro la sua schiena e gli cinsi la vita in un abbraccio lieve, quasi a chiedere il permesso di farlo. Un attimo dopo le sue dita si infilarono tra le mie, ci stringemmo forte la mano e ci addormentammo così.

*

Quella mattina si era alzato un vento forte e piacevole, che aveva spazzato via ogni traccia di nuvole, lasciando un cielo limpido e pulito. Sotto quel cielo scintillante, sul ponte della Perla Nera, Faith mi corse incontro come una furia e mi stritolò in un abbraccio.
- Non è giusto!- protestò, senza lasciarmi andare. - Deve essere la prima volta nella storia della pirateria che il capitano si ammutina!-
- Approfittatene, no? Legate Jack all'albero maestro e prendete il comando della nave. - replicai, mentre ricambiavo di slancio l'abbraccio della mia amica. Ora mi sentivo quasi sleale a partire così, di punto in bianco, lasciandomeli tutti alle spalle, eppure era qualcosa di cui sentivo profondamente il bisogno. La Sputafuoco era pronta a salpare, ed era stata allungata una passerella tra le due navi: la ciurma di Elizabeth e Will era all'erta e ogni uomo era al suo posto; aspettavano solo che li raggiungessi.
Mentre io e Faith ci separavamo, Ettore ci raggiunse per unirsi ai saluti. - Ho la sensazione che staremo qui proprio per evitare che succeda una cosa del genere. - disse, con un tono tale che non capii se stesse scherzando o dicesse sul serio: posò una mano sulla mia spalla e mi diede una lieve stretta, guardandomi per un momento negli occhi con aria seria. - Ti prometto che terremo gli occhi aperti. -
- Grazie. Davvero. - Mi voltai: tra me e la passerella si era radunato quello che avrei potuto definire “lo squadrone dei saluti”. Oltre a Faith ed Ettore, ad aspettarmi c'erano Valerie, Gibbs e Jack; quest'ultimo, al momento, se ne stava appoggiato al parapetto e guardava altrove. Passai davanti a Valerie, e le diedi un buffetto sulla spalla.
- Cerca di schiarirti le idee, mentre sono via. -
- Cosa?- fece lei, come se non sapesse di cosa stessi parlando.
- Ne parliamo quando torno. Signor Gibbs? Non ho dubbi che riuscirete a cavarvela egregiamente durante la mia assenza. Siete d'accordo?-
- Certamente, capitano!- rispose il nostromo in tono orgoglioso, tutto impettito. Lo salutai con un sorriso, poi mi ritrovai finalmente faccia a faccia col capitano. - Jack?-
Solo in quel momento Jack alzò gli occhi per incontrare i miei, poi, all'unisono, ci voltammo a guardare significativamente il signor Gibbs. Quest'ultimo colse in fretta il messaggio e si voltò rapido verso il ponte, gridando ai pirati che vi gironzolavano: - E allora, non le abbiamo ancora stivate quelle scorte di rum? Essere ancora in porto non vi dà il diritto di oziare! Scattare, subito, forza!- Anche le mie amiche ed Ettore si trovarono improvvisamente qualcos'altro da fare, perdendo apparentemente ogni interesse per noi due.
- Allora, non vai? La nave sta aspettando. - mi fece lui, col suo immancabile sorrisetto dai denti d'oro.
- Può aspettare ancora un attimo: devo fare una cosa. - lo acciuffai per le treccine della barba e lo tirai gentilmente verso di me; dovetti prenderlo alla sprovvista quando lo baciai, perché barcollò per un momento, poi ricambiò il bacio senza però decidersi ad abbracciarmi.
Indugiai ancora per qualche attimo contro le sue labbra, poi gli bisbigliai: - Torno presto. -
- Lo so. - rispose lui, senza aprire gli occhi, la fronte ancora premuta contro la mia. Era imbarazzante constatare come, al momento, una decina di giorni mi sembrassero improvvisamente un'eternità. Ma sapevo anche che se non fossi partita in quel momento, poi me ne sarei pentita. Avevo bisogno d'aria. Dovevo andare via, e subito.
- Devo aspettarmi l'Apocalisse, quando ritorno?-
Jack ridacchiò e si fece un po' più indietro per potermi guardare in faccia. - Non rientra nei miei piani, per ora... tuttavia non posso prometterti niente, comprendi?-
- Comprendo eccome. - replicai, ricambiando di malavoglia il sorriso. - Io invece ti prometto che torno. Aspettami, per favore. -
E senza aggiungere altro, senza dire niente che avessimo bisogno di esprimere a parole, mi separai da lui per dirigermi verso la passerella: per un attimo ci sfiorammo la mano e ce la trattenemmo solo per un momento, poi mi lasciò andare ed io attraversai la passerella, sussultando quando la sentii ondeggiare sotto i miei piedi. Arrivai sul ponte della Sputafuoco senza danni, e alle mie spalle due pirati ritirarono l'asse: appena fui a bordo, Will si rivolse alla ciurma dalla cima del cassero di poppa, dove stava con Elizabeth.
- Coraggio, uomini, issate la gabbia e alla via così!-
I pirati non aspettavano altro: in pochi istanti la nave aveva spiegato al vento tutte le sue vele, gli uomini andavano e venivano su e già per le sartie come scimmie sui rami, gridandosi istruzioni da un capo all'altro della nave. Trentacolpi attraversò il ponte di corsa, gridando: - Avanti, mezze calzette, vediamo di mettere un po' di pepe in culo a questa bella signora!-
Mentre la nave si muoveva e prendeva il largo mi sentii contagiare dall'euforia generale e raggiunsi i miei amici sul cassero di poppa: Will aveva preso il timone, mentre Elizabeth era appoggiata al parapetto con David in braccio, in modo che potesse assistere alla nostra uscita dalla baia. Mi avvicinai a lei e mi fermai al suo fianco, incrociando le braccia sulla liscia superficie di legno: la Sputafuoco aveva preso velocità, incalzata dal vento mattutino, e ci stavamo già allontanando dal porto. David si sbracciò per salutare gli altri, a loro volta affacciati al parapetto della Perla: mi unii a lui, facendo un cenno di saluto con la mano, quindi sorrisi ad Elizabeth.
- Ti manca già, non è vero?- disse lei, indovinando i miei pensieri col sorriso di chi la sa lunga. Oltre a capirmi al volo, aveva ancora una spiccata propensione per le domande scomode. Non potei fare altro che alzare le spalle ed annuire. - Non avrei voluto dirlo. - aggiunsi, ridacchiando tra me. - Posso dare una mano in qualche modo? Sono stata un mozzo, per un po', sono abituata a fare quasi tutto. -
Elizabeth si strinse nelle spalle, gettandosi una ciocca di capelli biondi dietro la spalla. - Con questo vento ce ne andremo tranquilli per un bel pezzo, non c'è bisogno che tu faccia niente. O forse... per ora l'unico posto vuoto è quello della vedetta. -
Probabilmente Elizabeth dovette vedere i miei occhi illuminarsi all'idea: era troppo tempo che non lo facevo più, e se me l'avesse permesso... - Posso?- domandai, col tono di una bambina a cui hanno promesso un intero vaso di caramelle. La mia amica scoppiò a ridere e sfilò dalla propria cintura un cannocchiale, passandolo a me. - Vai pure. -
Presi il cannocchiale e mi dileguai in un baleno, correndo in coperta: le sartie erano lì ad aspettarmi, una strada fatta di corde e di nodi che si inerpicava verso l'alto. Salii sul parapetto, mi girai dal lato della nave che prendeva il vento e cominciai ad arrampicarmi, stringendomi forte alle cime. La scalata fu faticosissima: per di più ero fuori allenamento, e i palmi delle mani mi si fecero rossi dopo poco tempo, ma non importava; col sudore spremetti fuori da me ogni preoccupazione, e il mio unico pensiero per un po' divenne quello di appoggiare bene i piedi e di badare al vento che sentivo soffiarmi impetuoso sulla schiena, schiacciandomi contro le sartie. Era una lunga strada fino al pennone di velaccio, e mi ritrovai col fiatone e col cuore in gola. Ma ero contenta.
Quando raggiunsi lo stretto quadrato di legno che costituiva la coffa, mi sentivo talmente euforica che avrei potuto gridare: il vento lassù era ancora più forte, lo sentivo tirarmi i capelli e i vestiti come un esercito di mani invisibili. Scivolai sotto l'esiguo parapetto e finalmente posai i piedi su qualcosa di più solido, badando di tenere la schiena contro l'albero maestro; lassù il rollare delle onde era ancora più intenso, e guardando in basse potevo vedere ogni angolo della nave, da prua a poppa. Reggendomi all'albero, liberai il cannocchiale dalla cintura e lo usai per scrutare l'orizzonte: la nave aveva già superato i bracci della baia di Tortuga e si stava avviando a tutta velocità verso il mare aperto; non c'era nessun ostacolo davanti a noi.
Addossai la schiena al legno, e per un bel pezzo non ascoltai altro se non l'urlo del vento.




Note dell'autrice:


E con questo capitolo, saluto il Capitano con il mio personale "arrivederci", in attesa di rincontrarlo nelle sale casualmente il giorno del mio compleanno. Non so, era qualcosa che mi sentivo di fare e in un certo senso mi sembra giusto fermarmi adesso con questo capitolo. Con l'attesa.
Sproloqui filosofici a parte, tanti saluti e tanti ringraziamenti alle mie irriducibili recensitrici, eltanin e Fannysparrow. Tra l'altro, come rispondere alle tue domande senza fare spoiler, eltanin? Ti definisci una sostenitrice della Fratellanza (coffcoff e qui ti stringo la mano coff), speri in un arrivo di Barbossa (coffcoffcoffCOFF!), e chissà, magari anche in quello di un'eminente personalità come Capitan Teague (COFFCOFFCOFF *l'autrice sta soffocando a forza di tosse simulata*)... Niente da dichiarare, se non, restate sintonizzati!

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Capitolo 9
*** In cerca di risposte ***


Capitolo 8
In cerca di risposte.


Scesi dalla mia postazione sulla coffa solo molto più tardi, quando ogni traccia della costa era ormai sparita e il mare era un orizzonte piatto ovunque si posassero gli occhi: viaggiavamo in direzione nord-ovest, orientandoci verso le Bahamas, ma di certo non le avremmo raggiunte prima dell'indomani.
Scendere si rivelò quasi più faticoso che salire; quando mi rigirai sulle sartie, per posare finalmente i piedi sulle solide assi del ponte, ero completamente senza fiato.
- Chi si vede! La nostra capitan Sparrow scesa dall'Olimpo per mescolarsi con i comuni mortali!-
Manco a dirlo. Alzai gli occhi, e ad un passo da me c'era Connor, con un sorriso bonario da un orecchio all'altro sul viso barbuto, e con un fascio di cime tra le braccia.
- Consiglio anche a voi un bel giro fino all'Olimpo, Connor... è l'ideale per rimettersi in forma. - replicai, mentre riprendevo fiato. Il pirata scoppiò a ridere di gusto, gettando la testa all'indietro: la partenza mi aveva messa di buon umore, così che mi trovai ad accettare di buon grado le sue battute. - E comunque, dovreste saperlo che a bordo di questa nave non sono io il vostro capitano. -
- Sai che ti dico? Hai perfettamente ragione. Reggimi queste. - senza un come né un perché, mi scaricò tra le braccia il rotolo di cime che stava trasportando, ed io mi ritrovai a vacillare sotto il peso inaspettato. Caracollai dietro di lui, mentre raccoglieva un altro ammasso di funi e se lo sistemava su una spalla, poi mi fece un cenno e andammo entrambi a sederci al centro del ponte. - Rovinate. - mi disse, mostrandomi le cime sfilacciate. - Dammi una mano, io comincio con queste. -
Mi misi di buona lena nella complicata operazione di disfare le corde danneggiate per recuperarne la canapa, e sentii tornarmi poco a poco la sensibilità nelle dita; quando cominciai a sentirle pulsare fastidiosamente, però, dovetti fermarmi un momento e sgranchirmi le mani, rigirando anche l'anello che portavo alla mano sinistra. Quando risollevai gli occhi alla ricerca della corda che avevo lasciato a metà, notai che Donovan mi stava guardando.
- Un bel gingillo. - disse, rivolgendomi un sorriso e allungando la mano verso di me: per una volta non lo fermai e lasciai che prendesse la mia, per portarsela al viso ed esaminare con curiosità il grosso anello dalla pietra blu. Vidi un guizzo divertito nel suo sguardo. - Non hai paura che ti... scivoli?- rinchiuse improvvisamente la mia mano nella sua, e con quella libera fece il gesto di volermi sfilare l'anello. Chiusi istintivamente le dita a pugno, anche se Connor non portò a termine la sua scherzosa minaccia.
- Non corro il rischio... è stato fatto apposta per me. - replicai, con un sorriso affettato.
- Te l'ha dato lui?-
- Brillante deduzione. Da cosa l'hai capito?-
Eravamo rapidamente passati a darci del tu, e non sapevo quanto avessi fatto bene a fargli quella concessione: Connor fece una risatina gentile e scosse il capo. Teneva ancora la mia mano, e mi accorsi che con due dita aveva preso ad accarezzarmi il polso.
- Sono semplicemente curioso, e tu mi incuriosisci in particolare. Ne ho viste di donne di un certo valore, ma morirei per sapere come sei riuscita a diventare capitano della Perla Nera... -
Continuai a sorridere, lasciando che accarezzasse la mia mano in modo ancora più evidente. - Seducendo i bei marinai a bordo, ovviamente... - scherzai, scoccandogli quella che speravo sembrasse un'occhiata complice. Lui scoppiò in una risata, ma la troncai di netto quando affondai le unghie nelle sue dita e abbassai bruscamente la mano, tenendo in trappola le sue. - Se vuoi la verità, Connor, non l'ho chiesto io questo posto, ma ci puoi giurare se ho imparato a guadagnarmelo. L'ultima cosa che ho fatto per tenermelo stretto è stata dare fuoco ad una nave carica di esplosivi, per tuffarmi in mare mentre questa scoppiava alle mie spalle, distruggendo due galeoni della marina inglese e spagnola... Quindi, se sto dove sto, non credere che sia merito solo del capitano. -
Connor emise una specie di guaito, anche se ancora non mi tolsi la soddisfazione di vedere sparire dalla sua espressione quel lampo divertito. - Sei stata trasparente, ma temo proprio di essere stato frainteso... -
- Non credo. - lo lasciai andare e mi tirai in grembo il mio rotolo di corde, come se niente fosse. - Se vuoi il mio consiglio, smettila di fare giochi pericolosi, e già che ci siamo vedi di lasciare in pace anche Faith. E anche Valerie, se vogliamo dirla tutta. -
- Faith e Valerie?- inarcò le sopracciglia, e per un attimo mi sembrò davvero sorpreso. - Oh. - allargò le labbra un sogghigno. - Forse tu e le tue affascinanti compari siete state un po' troppo a lungo tra i pirati: vedo che non sai più riconoscere la semplice galanteria, quando te la trovi davanti. -
- Sì, come no... quelli che ho imparato a riconoscere sono proprio gli uomini, Connor. Ascolta il mio consiglio, e vedi di non prenderti troppe libertà anche con me. -
- Libertà?- ripeté lui, senza smettere di sogghignare. - Andiamo... nessuno potrebbe biasimarmi. Non sei neanche sposata. Davvero. Che valore credi che abbia un matrimonio celebrato da un frate a bordo di una nave pirata?-
Per qualche istante indugiai sulle sue ultime parole, presa alla sprovvista e completamente a corto di risposte. Più che altro, ad infastidirmi fu il modo insinuante con cui mi mise la pulce nell'orecchio, eppure l'istante dopo mi domandai se non avesse ragione lui. E la domanda che mi feci subito dopo quella fu: aveva importanza? La domanda più importante, però, mi venne fuori soltanto dopo un lungo momento di imbarazzante silenzio.
- E tu come lo sai che siamo stati sposati da un frate?-
Per un attimo soltanto, rapidissimo, mi sembrò di vedere il perfetto ghigno di facciata di Connor incrinarsi, come se si fosse reso conto di avere parlato troppo: fu un'inezia, durò un secondo appena, poi l'irlandese inclinò il capo e mi scoccò un'occhiata obliqua. - Non so se te ne sei mai accorta, ma il nostromo parla decisamente troppo, specialmente quando gli si offre da bere... capisci che intendo?-
- Intendo eccome, ma se questo particolare non ha nessuna rilevanza per me, non vedo perché dovrebbe averla per te. - mi chinai a raccogliere dal ponte il capo sfilacciato di una cima e gliela gettai in grembo, facendolo sussultare. - Torna al lavoro, testarossa, o ci metteremo tutto il giorno. -

*

- Sono passati cinque giorni, Sparrow, cinque giorni che non esito a definire... tranquilli!-
Cinque notti senza incubi.
- I quartieri dei Mercanti sono bruciati, i nostri nemici hanno subito danni incalcolabili, eppure adesso, dopo cinque interi giorni, nessuno ha osato puntare neanche un dito su di noi. Siamo intoccabili. -
Cinque giorni, e la marea ancora spingeva contro i moli i resti bruciacchiati di quello che era stato il cantiere navale dei Mercanti.
- State pur sicuro che nessuno si azzarderà più a farvi scherzi di cattivo gusto. Li abbiamo domati, finalmente, e questo anche grazie al vostro prezioso aiuto. -
Cinque giorni, e ora che ci stava attento avrebbe potuto giurare che almeno altri tre uomini si erano ammutinati ed erano partiti su altre navi.
- Sono felice di poter affermare a ragione che io, Robert Silehard, col vostro aiuto ho ufficialmente affermato il dominio della Gilda su Tortuga... e non ho più nemici. -
Cinque giorni e le sue domande ristagnavano ancora, prive di risposte.
- Mi avete fatto un grande favore, capitano, e di certo non mi sembra giusto lasciare che sia solo io a raccoglierne tutti i frutti. Non ho più bisogno di controllarvi da vicino, e credo che lavorare per me vi abbia costretto a terra troppo a lungo: consideratevi libero di salpare quando preferite, mi basta che facciate regolarmente scalo a Tortuga almeno una volta alla settimana. Se ci fosse bisogno di voi mentre siete lontano, non preoccupatevi... ormai sapete che la mia alleata è perfettamente in grado di raggiungervi, se dovesse presentarsi l'occasione. - Silehard non si diede nemmeno la pena di nascondere il sogghigno che sottolineò le sue ultime parole.
Jack si agitò sulla sedia, apparentemente disinteressato a quello che il capo della gilda gli aveva appena comunicato, e molto più concentrato nello scrutare le travi del soffitto. Cinque maledetti giorni. Se avesse aspettato soltanto cinque giorni, non sarebbe dovuto salpare senza di lei.

*

Quando Jack, quella mattina, ordinò di mollare gli ormeggi, quasi tutta la ciurma sulle prime pensò che si trattasse di uno scherzo. Ci volle il tempestivo intervento di Gibbs, che si affrettò a ripetere l'ordine a voce alta, perché gli uomini si decidessero a scattare ai loro posti, sciogliendo cime e liberando vele che erano rimaste all'imbando fin troppo a lungo: il vento era favorevole, e non ci volle molto perché la Perla Nera si allontanasse dalla baia di Tortuga, filando verso il mare aperto come un uccello da preda che si sgranchiva le ali.
E proprio mentre guardava le suddette ali, ossia le vele nere finalmente spiegate al vento, Gibbs emise un profondo respiro di sollievo e strinse con fierezza il timone, respirando a pieni polmoni la brezza marina prima di voltarsi verso Jack ed esclamare: - Capitano, lasciatemi dire che è un vero piacere tornare in mare aperto! Allora, qual è la rotta?-
Jack, tuttavia, non sembrava condividere il suo stesso entusiasmo, perché se ne stava impalato a pochi passi dal suo nostromo, aprendo e richiudendo la bussola che continuava a consultare ad intermittenza. Il viso di Gibbs si oscurò quando vide l'ago della bussola che scattava da una parte e dall'altra senza sosta.
- Jack... non di nuovo!- gemette, perdendo in un attimo solo tutto il suo entusiasmo.
Il capitano richiuse la bussola in tutta fretta e si voltò verso di lui. - Non ha importanza, vecchio mio. - replicò, con una vistosa scrollata di spalle. - So esattamente dove andare: facciamo rotta a sud degli stretti, e vediamo di sfruttare il vento fino all'ultima goccia. -
A quelle parole, l'espressione del nostromo passò dallo sconforto al terrore nell'arco di un battito di ciglia. - A sud...? Jack, ti prego, dimmi almeno che non stiamo andando... -
- Se sono il capitano, e mi pare proprio di esserlo, mi spieghi perché dovrei mettermi a giustificare le mie decisioni? Tu pensa a portarci là in fretta!- Jack troncò il discorso in tono irritato, per poi voltare le spalle a Gibbs e incamminarsi giù per le scale del cassero. A metà strada si fermò, girò su sé stesso e tornò a rivolgersi al nostromo, come per un ripensamento. - E vedi di farci attraccare dal lato giusto dell'isola, stavolta, non combinare un casino come l'ultima volta!-
- “L'ultima volta” non ero io quello con una fretta pazzesca di toccare terra, non importa quanto pericolosa... - borbottò il nostromo, ma senza alcuna enfasi; rivolse a Jack un vago cenno del capo e aggiustò la rotta col timone, sperando in cuor suo una volta di più che il suo capitano sapesse che cosa stava facendo.
La navigazione procedette rapida e tranquilla, ma prese ugualmente loro tutta la giornata, così che fu soltanto verso l'imbrunire che gli uomini della ciurma videro comparire all'orizzonte il profilo di una grande isola boscosa, con montagne che svettavano verso il cielo come se fossero emerse in quel momento dal mare. Anche a distanza si distingueva un'ampia striscia di spiaggia bassa e sabbiosa, dove sarebbe stato facilissimo attraccare, se avessero voluto: Jack invece ordinò di restare nelle acque basse, a debita distanza dalla costa, e di circumnavigare l'isola.
Faith assistette a quelle manovre affacciata dal parapetto di babordo, quello che dava verso la costa: l'isola era grande, eppure dovunque posasse gli occhi non vedeva altro che vegetazione; non le mura di un forte arroccato in cima alle prime alture, neppure un minuscolo molo. Sembrava completamente disabitata e, ripensando alle esperienze che aveva avuto nella piccola ma altrettanto selvaggia isola di Khael Roa, le vennero i brividi.
- Scialuppa!- gridò Jack ad un tratto, attraversando il ponte a grandi passi e venendo nella sua direzione, seguito a breve distanza dal nostromo. - Io e il signor Gibbs risaliamo il fiume. Faith?- il capitano si fermò accanto alla giovane, voltandosi a guardarla da sopra la spalla e facendole un cenno col dito. - Tu vieni con noi: ho un urgente bisogno delle tue conoscenze. -
Faith lo fissò inarcando le sopracciglia, sorpresa, ma si affrettò a seguire lui e Gibbs mentre i marinai approntavano una scialuppa e si preparavano a calarla in mare non appena loro vi fossero saliti. La giovane gettò un altro sguardo fuoribordo e notò che, a poca distanza da dove la Perla si era messa alla fonda, un largo fiume attraversava la striscia di terra della costa, tagliando perfettamente a metà la vegetazione che formava due compatti muri verdi a destra e a sinistra. Davanti a lei, Jack montò con un balzo a bordo della scialuppa, ed era evidente che si aspettava che lei facesse altrettanto: per un momento tentennò, quindi si decise a chiedere: - Dove stiamo andando esattamente, capitano?-
Jack sembrò esitare un istante a rispondere, ma poi la accontentò: - C'è un piccolo villaggio alla fine del fiume: ci fermeremo lì, daremo un'occhiata, e poi torneremo indietro. - il guizzo di un sorriso dal dente d'oro balenò tra le sue labbra. - Niente serpenti. - promise, in tono più vivace.
- Lo spero proprio... - borbottò tra sé Faith, montando a bordo della scialuppa, subito seguita da Gibbs.
La barca fu calata in acqua, e Faith e Gibbs presero a remare di buona lena mentre Jack si sedette a prua, voltando loro le spalle e scrutando la foce del fiume davanti a loro: la giovane era quasi convinta che il capitano avesse richiesto la sua presenza soltanto per avere qualcun altro ai remi, tuttavia aveva visto qualcosa nell'espressione di lui che glielo aveva fatto sembrare davvero preoccupato. Ma perché, poi, avrebbe dovuto chiedere aiuto proprio a lei?
Una volta vinta la resistenza della corrente che li ricacciava indietro, la barca si addentrò verso la foce del fiume, e la vegetazione fitta e lussureggiante inghiottì in un attimo il cielo, soffocando la poca luce serale e sprofondandoli in un'inaspettata oscurità. Poco a poco, anche i suoni della giungla cominciarono a crescere di tono, sovrastando anche il regolare sciabordio dell'acqua: mentre remava, Faith dovette fare del suo meglio per non sussultare; da un punto imprecisato sopra la sua testa, qualcosa, forse scimmie, cacciavano strilli acuti e improvvisi che sembravano quasi umani. C'erano degli insetti che emettevano un ronzio incessante, e il passaggio della scialuppa in un'ansa del fiume risvegliò improvvisamente un coro irritato di rane. Ad un tratto il remo si incagliò in qualcosa sotto la superficie dell'acqua, costringendo Faith a dare uno strattone per liberarlo, cosa che fece beccheggiare per un attimo la scialuppa: in quel punto la corrente rallentava visibilmente il suo corso, e l'acqua stagnate era diventata melmosa e torbida.
Né Jack né Gibbs dissero una parola durante tutto il tragitto, sebbene Faith notasse che il nostromo lanciava occhiate circospette su entrambe le rive che li circondavano, e di tanto in tanto alzava gli occhi verso il capitano come se fosse sul punto di dire qualcosa, ma poi si mordeva la lingua e tornava a remare. La cosa andò avanti per un bel pezzo, fino a che Faith non scorse -quasi completamente inghiottiti dalla vegetazione- i resti di quella che sembrava una piccola capanna, abbarbicata ad un grosso albero che affondava le radici nelle acque limacciose del fiume. Solo dopo averli notati, e averli indicati a Gibbs con un sussulto, si accorse che ce n'erano altri tutt'attorno; meno visibili ma perfettamente riconoscibili. Dei pali intrecciati ricoperti di rampicanti, un tetto di paglia sfondato, il pavimento ancora integro di una palafitta: tutte queste cose sembravano comparire per un attimo soltanto, sbucando dal fogliame e dai rami che li soffocavano, per poi tornare a confondersi col paesaggio circostante, ridiventando invisibili. Faith deglutì. Qualunque cosa fosse, aveva tutta l'aria di un villaggio fantasma.
- Jack...? Ci vive ancora qualcuno, qui?- chiese Gibbs, decidendosi a rompere il silenzio.
Il capitano scosse la testa, continuando a scrutare l'acqua davanti a sé. - No. Per quanto ne so, dopo che lei è sparita, poco a poco se ne sono andati tutti. Non credo che si fidino a restare nei paraggi... -
- Chi ci viveva, qui?- domandò Faith, senza più riuscire a trattenersi. Jack si voltò verso di lei per un attimo, esitò, poi scoccò a Gibbs un'occhiata eloquente. Il nostromo colse la palla al balzo e, senza smettere di remare, abbassò la voce come era solito fare quando si metteva a raccontare una storia e cominciò: - In pochi sanno come sono andate veramente le cose, tuttavia... la verità è che un tempo il primo, antico consiglio della Fratellanza dei Pirati riuscì a confinare la dea del mare in una forma umana; una donna. Quella donna ha mantenuto le sue sembianze mortali per molto, moltissimo tempo... Quella donna viveva qui. -
Come a sottolineare le sue parole, la scialuppa svoltò di nuovo per attraversare un basso acquitrino fangoso: nel centro del piccolo laghetto si ergeva una grande palafitta, malmessa e ricoperta di rampicanti, ma ancora integra, al contrario di tutte quelle che avevano visto fino ad allora.
Gibbs sollevò il remo, lasciando che la barca si accostasse a quello che una volta era stato un piccolo pontile a pelo d'acqua, al quale adesso mancavano diverse assi ed altre stavano marcendo. - All'epoca si faceva chiamare Tia Dalma. -
Jack si alzò e saggiò con un piede la solidità del pontile, quindi smontò dalla scialuppa facendola dondolare piano. - Gibbs, tu bada alla barca. Faith... - si voltò verso la ragazza e le porse la mano per aiutarla a scendere; lei accettò l'aiuto e mise a sua volta piede sul piccolo ponte, sentendo il legno marcio scricchiolare sotto i suoi stivali. Senza aggiungere altro, Jack le fece strada su per una corta rampa di gradini cigolanti, che li portarono davanti all'ingresso dell'abitazione: quando il capitano spinse la porta, questa fece resistenza, e ci vollero diversi strattoni prima che qualcosa si sbloccasse con uno stridio acuto di cardini. Come fecero il loro ingresso nella casupola, a Faith venne spontaneo trattenere il fiato.
Era evidente che nessun essere umano aveva più messo piede in quel luogo da anni: le piante rampicanti avevano cominciato a prendere il possesso dell'abitazione, crescendo indisturbate sulle pareti di legno e filtrando attraverso i buchi del pavimento e del soffitto. Tuttavia c'erano ancora moltissimi oggetti che ricordavano la presenza del precedente occupante e, sebbene tutto fosse coperto da uno spesso strato di polvere, Faith aveva la netta sensazione che tutto quanto fosse stato lasciato esattamente come lo aveva disposto la proprietaria.
Dal soffitto pendevano innumerevoli bottiglie appese alle travi con corde sottili: il vetro era talmente impolverato che era praticamente impossibile dire cosa contenessero. Jack si fece avanti scostandole con le mani senza tanti complimenti, Faith invece stette istintivamente attenta a non intralciare il loro dondolio.
Nell'aria c'era un odore strano, ma non sgradevole: doveva essere per via di tutti quei mazzi di erbe, fiori e chissà cos'altro, anch'essi appesi a testa in giù ad essiccare, per poi venire dimenticati.
Le pareti erano completamente ricoperte di scaffali ricolmi di giare di vetro, ma anche lì, qualcuno avrebbe dovuto lottare strenuamente contro una muraglia di polvere e ragnatele per poter guardare con attenzione il contenuto. Nella stanza in cui erano entrati c'erano ancora i mobili, e una lunga tenda logora separava le altre stanze: la ragazza si trovò davanti ad un basso tavolo di legno massiccio, e quattro sedie sparpagliate in giro per la stanza senza un'apparente ordine. C'erano anche due sgabelli, come si accorse urtandone uno col ginocchio.
- Così... questa sarebbe la casa della dea del mare?- domandò, tanto per rompere il silenzio.
- Di certo la è stata, se non altro. - rispose lui, mentre si tirava su le maniche della giacca e poi cominciava a frugare tra la massa di oggetti impolverati che ingombravano il tavolo: lì per lì, con tutto quel lerciume, Faith non riuscì a riconoscerne neppure uno, poi vide le dita del capitano liberare dalle ragnatele le pagine ingiallite di un grosso libro aperto. Jack lo squadrò con interesse, sfogliò le pagine per un momento, poi improvvisamente lo chiuse con un tonfo e lo sbatté senza tanta delicatezza in un angolo del tavolo, per riprendere a frugare tra gli altri oggetti.
- Jack, che cosa stiamo cercando esattamente?- scattò Faith, spazientita, senza più riuscire a trattenersi: quel posto le dava i brividi, e l'idea di doverci restare proprio adesso che calava la notte le piaceva anche meno.
Il capitano sembrò ricordarsi improvvisamente della sua presenza e sollevò gli occhi su di lei, restando a fissarla con un'espressione strana per un lunghissimo istante, poi prese a ripulirsi con calma le dita impolverate sul bavero della propria giacca.
- Faith, credimi quando ti dico che, se lo sapessi, te lo direi senza esitare. - ammise in tono quasi dolce, come se le stesse confessando una debolezza. Poi si mise a sedere su una delle sedie e si trascinò in grembo il libro, aprendolo e ricominciando da capo a sfogliarlo: non sapendo che altro fare, Faith recuperò uno degli sgabelli e si sedette a sua volta, cercando di tanto in tanto di sbirciare oltre la copertina consumata del grosso volume che sembrava interessare tanto il capitano.
- Allora, almeno vuoi dirmi perché siamo venuti qui?-
- Per cercare qualcosa. - fu la laconica risposta di Jack, e prima che Faith potesse sbuffare dall'esasperazione, lui le scoccò un sorrisetto da dietro la copertina del libro e aggiunse: - Per vedere se è possibile combattere la magia con la magia. -
La giovane si portò una mano alla fronte. - Non ti sto dietro. -
- Allora stammi davanti. -
- Eh?!-
- Stai lì... - il capitano indicò lo sgabello sul quale era seduta. - ...e aiutami quando te lo chiedo. - detto questo, diede un'altra rapida occhiata al libro, poi senza alcun preavviso si alzò di scatto e col volume ancora sottobraccio cominciò a rovistare tra le innumerevoli boccette sigillate accumulate sugli scaffali. Dopo qualche minuto tornò reggendone in braccio almeno una decina, e le rovesciò tutte quante sul tavolo davanti a Faith, così di malagrazia che lei stessa dovette afferrarne un paio al volo prima che rotolassero fin sul pavimento.
- Niente etichetta... - lo sentì commentare mentre si rigirava in mano uno dei boccetti. - Niente di niente. Dovresti aiutarmi a riconoscere il contenuto di queste boccette, nient'altro. -
Faith sospirò piano, poi si mise di buona lena per aprire uno dei barattoli che aveva salvato: il tappo sembrava diventato tutt'uno con il contenitore e ci vollero numerosi tentativi, ma alla fine riuscì a toglierlo con uno schiocco. Il vasetto era pieno per metà di piccole foglie ancora verdi, ricoperte da una sottile peluria biancastra: se lo accostò al viso per guardare meglio, annusando cautamente.
- Assenzio... - mormorò, spalancando gli occhi per la sorpresa. - Foglie di assenzio, ancora fresche... è straordinario, dove se lo sarà procurato?!-
Jack si strinse nelle spalle. - Avrà avuto i suoi metodi. - commentò, aprendo un altro barattolo senza distogliere gli occhi dal libro. Il capitano non sembrava affatto intenzionato a dirle di più, o forse davvero non sapeva nemmeno lui che cosa stava cercando, così Faith fece l'unica cosa che poteva fare: il suo lavoro. Dopotutto suo padre era stato medico, prima di andare in rovina, e fin da piccola lei aveva fatto tesoro dei suoi preziosi testi di medicina che all'epoca le sembravano così grandi e misteriosi: piante, foglie, fiori, misture, veleni... era cresciuta in mezzo a quelle cose, erano tutte lì negli scaffali della sua mente proprio come i barattoli stipati nella bottega di un dottore; doveva soltanto ripescarli. E fece davvero del suo meglio, mentre i minuti si trasformavano in ore, e le ore si susseguivano una dopo l'altra in quella cupa catapecchia misteriosa.
Identificò quasi tutto quel che Jack le fece esaminare, e fu contenta che il capitano si fosse limitato ai barattoli contenenti foglie e tinture: era più che sicura di avere visto una giara colma fino all'orlo di bulbi oculari, e non aveva alcuna intenzione di toccare niente del genere.
Quando Jack allontanò l'ultimo barattolo di sostanze e richiuse improvvisamente il libro, doveva già essere notte fonda: aveva fatto mettere da parte a Faith una decina di barattoli, ciascuno pieno di una mistura diversa, mentre altri li aveva semplicemente ignorati e accumulati sul tavolo o sul pavimento.
- Va bene, basta così: penso che adesso possiamo andarcene. - commentò, in tono soddisfatto, reprimendo uno sbadiglio. - Dammi una mano e raccogli quella roba, fammi il favore... -
Faith bofonchiò una vaga protesta mentre raccattava uno dopo l'altro i piccoli barattoli pieni, stringendoseli al petto per non farseli sfuggire: era tardi e lei era stanca ma, se non altro, sembrava che almeno per quella sera avessero finito. Jack si mise sottobraccio il librone e precedette Faith all'uscita per aprirle la porta, dato che aveva le mani occupate da tutti quei barattoli: una rapida occhiata e un gemito strozzato della ragazza, però, lo fecero immediatamente scattare all'indietro.
Dallo stipite della porta penzolava un grosso serpente bianco. Aveva avvolto le sue spire attorno all'intelaiatura priva di vetri della porta e si sporgeva verso l'interno, quasi con interesse, con la testa che dondolava pigramente ad un soffio dalla maniglia che Jack stava quasi per afferrare.
Faith emise una specie di rantolo spaventato e arretrò di un passo, sentendosi le gambe molli. Tutti i barattoli le tintinnarono tra le mani tremanti, tanto che temette di essere sul punto di fracassarli tutti, ma al momento le importava solamente del rettile bianco che era rimasto immobile a fissarli. Arretrò ancora, e l'attimo dopo sentì il petto di Jack contro la schiena e le sue mani chiudersi sui suoi gomiti, impedendole di perdere la presa sul fragile carico.
- Ti sarei molto grato se non lo facessi... - la avvertì il capitano, con quanta più calma gli fu possibile. Faith inghiottì la saliva e annuì in fretta, trattenendo a sé i barattoli, ma tenendo gli occhi piantati sul serpente.
- Il s-s-s-serpente... - balbettò, mentre perfino pronunciare correttamente le parole sembrava essere diventato troppo difficile.
- Lo avevo notato anch'io... - Jack la lasciò andare e le girò attorno con cautela, avvicinandosi di nuovo alla porta; il rettile albino non fece una piega vedendolo arrivare, così il capitano non trovò di meglio da fare se non agitargli davanti il libro intimandogli, secco: - Sciò!-
In verità, neppure questo sembrò impressionare molto l'animale, tuttavia si limitò a scrutare il pirata ancora per un secondo per poi abbassare la testa fino al pavimento, su cui si lasciò scivolare con calma e strisciò via verso un angolo riparato dell'abitazione. Vedendolo dirigersi verso l'interno, Faith schizzò in tutta fretta davanti a Jack e si precipitò fuori dalla porta, lanciandosi giù per i gradini ad una tale velocità che li fece gemere come se fossero sul punto di spezzarsi.
Gibbs, che se ne stava mezzo assopito sul fondo della scialuppa, si riscosse all'improvviso e sgranò gli occhi quando si vide arrivare di gran carriera la ragazza che, così carica di barattoli, si tuffò dentro la barcaccia e si accucciò a poppa, bianca come un cencio. - Per tutti i diavoli di cielo e mare, cos'è tutta questa fretta?!- esclamò, allarmato.
- È tutto a posto, mastro Gibbs, solo qualche ospite indesiderato!- commentò Jack in tono molto più tranquillo, stringendosi il libro al petto e chiudendosi la porta alle spalle. Nel momento esatto in cui lo fece, però, una folata di vento freddo sembrò spirare direttamente dal folto degli alberi, facendo increspare l'acqua sotto la scialuppa e soffiando indietro i capelli del capitano. Per quell'unico istante, tutti e tre i presenti si irrigidirono, come temendo l'arrivo imminente di qualcosa... invece non accadde niente; anche la folata d'aria gelida svanì senza lasciare traccia.
Jack esitò sulla soglia della palafitta per un momento, quindi si voltò, e Faith aggrottò le sopracciglia nel vederlo fare una specie di riverenza al nulla, battendo un colpetto sulla copertina del libro. - Col tuo permesso!- declamò, sempre rivolto al niente più assoluto. Poi, come se niente fosse, si girò verso di loro e salì a bordo della scialuppa.
Gibbs non fece domande mentre ripercorrevano il fiume in senso inverso, e Faith gliene fu grata: ora come ora, non avrebbe saputo dargli neppure una risposta.

*

Nel giro di una settimana avevamo fatto porto su altrettante delle isolette dell'arcipelago delle Bahamas, approdando su una nuova ogni mattina, e ogni volta la Sputafuoco veniva accolta da orde di indigeni che, a bordo delle loro barche a remi, circondavano le navi in arrivo per offrire alla ciurma cibo, frutta, armi, gingilli di ogni tipo e perfino animali. Gli uomini erano così contenti di potere di nuovo pescare a piene mani in quelle meraviglie esotiche, che adesso almeno una decina di loro possedeva una scimmia o un pappagallo... che probabilmente avrebbero rivenduto sulla prossima isoletta su cui avremmo fatto porto, ma era il gusto di fare affari quello che contava veramente.
William aveva fatto affari vendendo corposi carichi di barili di rum, e il tintinnio dell'oro nelle tasche aveva migliorato ulteriormente l'umore di tutta la ciurma. Insomma, le cose andavano che era un piacere. Ed io, al fianco di Elizabeth e Will, mi accorgevo di stare bene. Vergognosamente bene.
Così bene che quella notte, sebbene la mezzanotte fosse scoccata da un pezzo, ero ancora sveglia come un grillo, seduta ad un tavolo nella piccola bettola scalcinata che avevamo trovato nel nostro ultimo porto, a parlare con voce molto più alta del normale con Trentacolpi, il quale si era già scolato tre pinte di rum e sembrava pronto a fare fuori la quarta senza accusare il minimo segno di stanchezza.
- Che io sia appeso per i mignoli e rosolato sul fuoco se sto raccontando balle, signora mia! Io racconto soltanto quello che vedo, e ti dico che quella che ho visto era una dannatissima sirena, con tutte le poppe e le pinne nel posto giusto!- sbraitò il vecchio, calando con decisione il pugno sul tavolo tanto da fare tremare tutti i boccali.
- Ma certo, Trentacolpi... e cosa aveva di tanto importante da dirti questa sirena, visto che dici che ti chiamava con tanta insistenza?-
- Non lo so. Perché, quanto è vero Iddio, appena l'ho vista tirare fuori quei suoi dentacci da squalo, ho tirato fuori Betsy e le ho sparato in mezzo agli occhi! Così! Bum!- il pirata si agitò sulla sedia, mentre brandiva a colpo sicuro una delle sue innumerevoli pistole che portava appese addosso e la agitava in aria, facendo scattare il cane in modo preoccupante. Io ed Elizabeth ci alzammo e ci affrettammo a prenderlo per le braccia e a farlo tornare a sedere, ottenendo soltanto qualche blanda protesta prima che il vecchio si decidesse a rimettere le sue pistole al loro posto. - E insomma, dopo quella è affondata sott'acqua, e chi s'è visto s'è visto. Scomparsa nel nulla!- concluse, come un ripensamento, prima di buttarsi con gusto sulla sua quarta pinta.
Will trattenne una risata e scosse il capo con fare bonario: in quel momento mi sembrava più a suo agio che mai; se ne stava seduto al tavolo, con una mano posata sul suo boccale vuoto, e il braccio libero avvolto attorno a David che sonnecchiava contro la sua spalla. Ad un tratto, dalla vivace clientela alle sue spalle emerse una delle cameriere che avanzava trasportando un vassoio carico di boccali pieni; accanto a lei c'era qualcuno che la stava aiutando a portarlo, approfittandone anche per avvolgerle il braccio libero attorno alla vita. Era Connor, che insieme alla cameriera si fermò proprio di fianco al nostro tavolo, scoccandoci un gran sorriso.
- Signori, offrirò io questo giro se mi concederete l'onore di sedermi insieme a voi!- annunciò in tono allegro. Elizabeth e Will per un attimo sembrarono sorpresi -Trentacolpi invece sembrava solo troppo contento di potere mettere le mani sul quinto boccale della serata- poi il giovane capitano rispose al sorriso dell'irlandese e scostò un poco la sedia in modo che potesse aggregarsi al tavolo.
- Sedetevi pure, Donovan, siete il benvenuto. -
Connor sciolse la stretta attorno alla vita della cameriera, rifilandole nel frattempo un buffetto ben poco innocente che quella accolse con una risatina, e occupò una delle sedie libere al nostro tavolo, mentre la donna ci serviva un altro giro di rum. - Lasciatemi dire che è un vero piacere navigare con voi, capitano Turner. - continuò, rivolto a William. - Sappiamo già dove faremo porto, domani?-
- Fare il giro delle isole sta dando i suoi profitti, e penso proprio che continueremo così. - rispose lui con una scrollata di spalle, ma era impossibile non notare che le parole di Connor gli avevano fatto piacere. - E alla fine, nel caso le nostre riserve di denaro comincino a scarseggiare, penso che ci metteremo su qualche rotta mercantile e aspetteremo di vedere che cosa ci porta la marea. -
L'irlandese accolse le sue parole con una sonora risata di approvazione, e sollevò il boccale in direzione del giovane capitano prima di bere. Sorrisi anch'io, mentre mi rendevo conto una volta di più di quanto fosse cambiato il mio vecchio amico: era strano sentirlo parlare di mercantili da depredare, ma era evidente che, da quando aveva il comando della Sputafuoco, sembrava essersi prefissato di assolvere ai suoi compiti di capitano in maniera impeccabile.
- Per tutte le fetenti carcasse di capodoglio, da dove è uscito quel damerino?- il commento improvviso di Trentacolpi, al quale il numero di boccali bevuti sembrava solo fare alzare sensibilmente il tono della voce, attirò la mia attenzione verso l'entrate del locale, dove in quel momento si stava facendo largo un gruppo di quattro uomini.
A giudicare dall'abbigliamento doveva trattarsi di altri pirati, ma l'uomo che camminava in testa al gruppetto -prevedibilmente il capitano- risaltava in mezzo a loro come un pavone in un pollaio. Per un momento mi ricordò Calico Jack Rackham: aveva in comune con lui il gusto per gli abiti eccessivamente sfarzosi, come dimostrava la lunga giacca blu damascata e uno splendido cappello bicorno marrone chiaro, con la punta sul davanti, decorato di piume azzurre, che portava sopra una selva di ricci capelli neri.
- E quello chi si crede di essere, per portare un cappello del genere?- bisbigliai, mentre trattenevo una risatina.
- Urla vanità da ogni poro. - rincarò Connor a bassa voce, nascondendo un sogghigno complice. Gli uomini si avvicinarono senza smettere di parlare a voce alta tra di loro; quando però arrivarono accanto al nostro tavolo, il capitano si fermò talmente di botto da far sì che due dei suoi uomini che camminavano dietro di lui sbattessero violentemente l'uno contro l'altro. Per qualche momento restò a fissarci assai poco discretamente ad occhi sbarrati, poi, lasciandoci tutti quanti sbalorditi, fece bruscamente il gesto di pulirsi le mani sul bavero della giacca e sputò per terra, proprio ai piedi del nostro tavolo. Poi ci voltò le spalle, come se niente fosse successo.
Elizabeth, che di certo non avrebbe mai fatto finta di niente davanti ad un affronto del genere, si alzò di scatto e, con voce più che udibile al di sopra del chiacchiericcio che permeava la taverna, gridò dietro al capitano: - Signore! Quello voleva essere rivolto a noi?!-
Il capitano aspettò qualche istante a voltarsi, ma quando lo fece mise su un cipiglio sprezzante e ci squadrò con le mani piantate sui fianchi: naturalmente si stava mettendo in mostra per i suoi scagnozzi, che rimanevano alle sue spalle come se si aspettassero di assistere ad uno spettacolo divertente.
- Sicuro che era rivolto a voi, e da come ve la siete presa sono sicuro che non avete bisogno che vi spieghi il perché!- replicò in tono assolutamente antipatico.
- Ma chi siete voi?!- esclamò Elizabeth, accalorandosi. - Come vi permettete di parlarci in questo modo?-
- Io sono il capitano Armand Lanthier. - il naso dell'uomo si arricciò con una punta di nobile disprezzo. - E voi della ciurma di Sparrow fareste meglio a moderare i termini. Io almeno non tratto con lord Silehard e le sue dannatissime streghe!-
- Noi non siamo la ciurma di Sparrow!- scattò Will con una calma mortale nel tono della sua voce, fulminando il capitano con un'occhiataccia. In quel momento mi sentii profondamente sleale. - E poi, se davvero disprezzate tanto Silehard, perché lo chiamate lord?-
Per un attimo il capitano Lanthier avvampò in viso, come accorgendosi di essere stato colto in fallo, ma poi tornò alla carica con ancora più stizza di prima. - Non siete la ciurma di Sparrow? Hah! Non fatemi ridere, la vostra nave viaggia sempre fianco a fianco con la sua! Come mai non è qui anche lui, stasera? Forse è troppo impegnato a strisciare ai piedi di quel diavolo maledetto, che avvelena i porti preferiti di noi onesti pirati con le sue stramaledette magie! Lui e la gente come voi, che gli state attorno come cani, state cercando di scatenare l'inferno sui Caraibi!-
Vidi Will alzare gli occhi al cielo, e quando gli rispose sentii che si stava sforzando in tutti i modi di mantenere la calma: - Capitano Lanthier, se voi foste un uomo ragionevole vi farei notare che né io né la mia ciurma abbiamo la minima simpatia per Silehard o per i suoi metodi, anzi, condividiamo molto di quello che avete detto. Peccato che voi non mi sembriate affatto un uomo ragionevole, anzi, sono piuttosto sicuro che siate venuto ad insultare me e i miei uomini solo per il gusto di attaccar briga. Quindi, mi comporterò di conseguenza. -
Il capitano Lanthier si fece improvvisamente paonazzo in volto, e con una smorfia di rabbia sguainò la spada -un lungo fioretto dall'elsa cesellata- e tagliò l'aria a meno di una spanna dal viso di William. - Mi state sfidando, razza di sbarbatello che non siete altro?- sibilò in tono di scherno. Non aveva ancora finito di dirlo, che un'altra lama andò a cozzare contro la sua, bloccandola. Era stata quella di Elizabeth, che aveva sfoderato la propria spada all'unisono con l'irritante capitano e ora gliela puntava contro, fissandolo con occhi fiammeggianti, fremente dalla voglia di battersi.
- Lui no, ma azzardatevi di nuovo a minacciarci e vedremo se la prima a cadere per terra sarà la vostra spada o la vostra testa!- ruggì la giovane, furente, mentre con la sua spada spingeva all'indietro la lama del suo avversario. Riprendendosi dal suo stupore, il capitano Lanthier oppose resistenza, e le due lame stridettero l'una contro l'altra. Io spinsi indietro la sedia, portando la mano all'elsa della mia spada.
Will si alzò molto lentamente, sollevando David dalle proprie ginocchia e appoggiandolo a terra: il bambino si guardò attorno e, senza bisogno che nessuno gli dicesse niente, sgattaiolò rapido sotto il tavolo, mettendosi al sicuro. - Signori. - con un gesto fluido, il giovane sguainò l'arma e con una stoccata precisa si insinuò tra le spade dei due contendenti, separandole. - Mi avete davvero stancato. -
- Abbasso i leccapiedi di Silehard!- a quell'urlo, Lanthier e i suoi attaccarono, gettandosi su di noi come un sol uomo. Io scattai in piedi, rovesciando la sedia, e mi preparai a ricevere il pirata più vicino: mi corse incontro urlando e roteando la spada sopra la propria testa. Tutta scena, troppa.
Ero preparata, perciò aspettai la sua carica restando perfettamente immobile, e appena mi arrivò a tiro parai il suo fendente dall'alto, e nel frattempo lo colpii con una ginocchiata in pieno stomaco. Quando si piegò per il dolore disimpegnai la spada, e ne approfittai per colpirlo in testa con l'elsa: crollò come un sacco di patate, gemendo e imprecando.
- Renditi utile, testarossa!- gridai, mentre giravo su me stessa con la spada puntata in avanti, preparandomi a ricevere altri attacchi. Lanthier era impegnato con William, e i due si stavano sfidando in un duetto di stoccate impeccabili e rapidissime; uno dei suoi tirapiedi l'avevo appena atterrato io, il secondo si stava prendendo a sciabolate con Elizabeth, il terzo invece si precipitò su Connor, il quale seguì il mio consiglio e fece un balzo all'indietro, sguainando la spada e respingendo il primo attacco del suo avversario. Il vecchio Trentacolpi era troppo pieno di rum per partecipare, o forse semplicemente non gliene importava. Mentre le spade gli saettavano intorno, lui raccolse il suo boccale e si infilò prudentemente sotto il tavolo, dove se ne rimase abbracciato ad una gamba di legno a finire di bere, mentre al suo fianco David assisteva a tutta la battaglia dal loro nascondiglio.
Vidi Connor battersi in maniera a dir poco singolare: cominciò ad incalzare il suo avversario con delle finte, muovendosi di scatto e facendo ripetutamente come per buttarsi all'attacco, con un gran dimenar di spada e di pugni, ma sempre per tirarsi indietro l'attimo dopo. Alla quinta volta che si ripeteva quella specie di balletto tra galli zoppi, l'avversario, esasperato, si decise ad attaccare per primo, e caricò con tutta la sua forza, tranciando l'aria con un fendente brutale che, se fosse andato a segno, avrebbe aperto in due la pancia dell'irlandese. Donovan però si era già spostato di lato, e appena l'uomo gli fu vicino gli sferrò un gran calcio alle ginocchia, per poi sferzarlo con una sciabolata mentre inciampava. Per un attimo mi chiesi se lo avesse ucciso davvero, ma poi lo vidi rotolare a terra urlando e stringendosi il fianco, dove la lama aveva aperto un lungo taglio sanguinante: sarebbe sopravvissuto, ma di certo se lo sarebbe ricordato finché viveva.
Corsi a dare manforte ad Elizabeth, anche se la mia amica non ne aveva veramente bisogno: la vidi respingere un colpo dopo l'altro, urlando di rabbia come se fosse spiritata, mentre spingeva continuamente indietro il suo avversario nel tentativo di farlo inciampare nelle sedie vuote. Io riuscii ad arrivargli alle spalle e piantai anche a lui un calcio, nelle reni, stavolta. L'uomo vacillò, ma non riuscii a disorientarlo come speravo, tanto che l'istante dopo fece una giravolta spaventosa su sé stesso, tanto che mi abbassai nell'attimo esatto in cui la punta della sua spada tagliava l'aria dove era stata la mia faccia.
Quel tentativo gli costò caro, perché Elizabeth seppe approfittare di quell'attimo di distrazione e gli piombò addosso, colpendo il braccio con cui reggeva la spada: uno schizzo di sangue impregnò di rosso la manica della sua camicia, e la spada cadde al suolo, sferragliando. - A terra, bastardo!- intimai, puntandogli la spada alla gola prima che potesse farsi venire altre cattive idee.
Le spade di Will e del capitano Lanthier si muovevano quasi troppo velocemente per potere essere seguite con lo sguardo, tuttavia era il secondo a perdere continuamente terreno, incalzato a più riprese dalle stoccate di Will. Ad un tratto, con un violento fendente dal basso verso l'alto, la lama di Will cozzò contro l'elsa nemica, sporcando le dita di Lanthier di sangue e facendo schizzare la spada in alto, sopra le loro teste. L'attimo dopo, il nostro giovane capitano la agguantò al volo con la mano libera.
Trovandosi di fronte un nemico con due spade in pugno, Lanthier arretrò bruscamente, incespicò su una sedia rimasta in mezzo al suo passaggio e inciampò, ruzzolando a terra in modo ben poco dignitoso: quando si rivoltò a quattro zampe sul pavimento e alzò di scatto la testa, si trovò faccia a faccia con Trentacolpi, che non si era mosso dal suo posto sotto il tavolo. Vedersi ad un palmo dalla faccia quel vecchiaccio bardato di pistole da capo a piedi sembrò terrorizzarlo ancora di più, e lo vidi chiaramente spalancare la bocca per la paura, quando Trentacolpi alzò le mani e...
...incrociò i polsi davanti a sé, in segno di resa, sfoderando un sorriso mezzo sdentato e proclamando con voce strascicata: - Mi avete preso, signore!-
William lo toccò sulla spalla con la punta di una delle spade, facendolo girare di scatto verso di lui. I due si scrutarono per qualche momento, quindi il giovane gettò la spada ai piedi del capitano accovacciato sul pavimento. - Riprendete i vostri uomini, capitano Lanthier, e andatevene. Ma prima voglio le vostre scuse, e voglio che diciate a tutti che noi non siamo al soldo di Silehard. Questo mai. Mi spiace solo che con voi ci siano volute le maniere forti, per farvelo capire. -
Lanthier sembrò sul punto di protestare, ma la vista dei suoi uomini a terra e l'espressione di Will, che aveva ancora la sua spada puntata su di lui, sembrarono farlo tornare sulle sue convinzioni. Molto lentamente e con una certa goffaggine, raccolse la propria spada e la ripose nel fodero. - Mi scuso per... avervi mancato di rispetto, capitano... -
- Capitano Turner. -
- Mi scuso, capitano Turner. -
- E il vostro cappello. - aggiunsi ad un tratto, cogliendo di sorpresa perfino Will. Tutti quanti si voltarono a guardarmi con facce stupite, il capitano Lanthier più di tutti. Allungai la mano verso di lui e gli feci un cenno sbrigativo con due dita. - Voglio il vostro cappello. -
Non discusse: mi diede il suo cappello. Me lo rigirai tra le mani, ammirandone la tela marrone chiaro e le piume vaporose, bianche e marroni, e me lo misi in testa con fierezza mentre Lanthier e i suoi se la filavano dal locale con la coda tra le gambe.


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Capitolo 10
*** Tradimento ***


Capitolo 9
Tradimento.


La nostalgia di casa mi coglieva a tarda sera, quando il rollio delle onde mi cullava in una delle amache di sottocoperta. Durante il giorno non avevo tempo di pensarci, ma di notte qualcosa riusciva ad avere il sopravvento sulla stanchezza, e rimanevo sveglia per ore, rigirandomi e tormentandomi con la sensazione di avere fatto un grosso errore ad aver lasciato la Perla.
Mi mancava molto la compagnia di Faith e Valerie, e naturalmente mi mancava Jack. Tuttavia, l'attività della giornata mi assorbiva completamente e per un bel pezzo riuscivo a dimenticarmi della Perla e della ciurma lasciata a Tortuga, godendomi quanto c'era da godere sul mare aperto e sulle isole. Negli ultimi giorni, William trovò anche il tempo di prendere accordi con un fabbro locale e installarsi nella sua fucina per un po', forgiando una decina di spade ad una velocità mai vista. Io ed Elizabeth assistemmo quando le portò via dall'armeria per caricarle a bordo, mentre le deponeva una ad una sopra un panno di tela, ciascuna lucida e brillante nella sua perfezione. - C'è sempre stato un solo, vero fabbro a Port Royal!- commentò Elizabeth mentre, con uno slancio di orgoglio, gettava le braccia attorno al marito e gli schioccava un bacio sulla guancia.
L'ultimata forgiatura della spade sancì definitivamente l'ora del nostro ritorno a Tortuga.
Sotto il sole del pomeriggio, nel nostro undicesimo giorno di viaggio, arrivammo in vista dell'isola. C'erano poche navi, in porto, e non ci fu difficile individuare la Perla Nera, anche se notai che era ormeggiata in un punto diverso di quando l'avevamo lasciata. A bordo della Perla, la notizia del nostro avvistamento volò rapida di bocca in bocca, tanto che, quando le navi furono di nuovo fianco a fianco, la ciurma di entrambe era assiepata sulla murata e sulle sartie, gridando e applaudendo in segno di saluto. Fu gettata la passerella ed io, Elizabeth, William e David facemmo il nostro ingresso a bordo da trionfatori, con tutta la ciurma che faceva un gran fracasso perfino battendo tra loro le spade. Le prime a corrermi incontro furono Faith e Valerie, con le quali mi strinsi in abbraccio collettivo, ridendo e gridando di contentezza.
Jack mi comparve davanti come sciolsi l'abbraccio da Faith: per un istante restammo a guardarci senza dire niente, poi lui abbozzò un sorrisetto. - Sei in ritardo. - commentò, con leggerezza. - Bel cappello. - aggiunse poi, adocchiando il mio bicorno.
- Grazie. - sorrisi. - A quanto pare te ne sei andato a zonzo, mentre io non c'ero. -
- Questioni di forza maggiore, gioia. - con aria noncurante si appoggiò col gomito alla murata. - Come sta Connor?-
- Come sta Silehard?- lo rimbeccai. Lui quasi rise alla mia provocazione, poi mi scoccò un'occhiata molto significativa.
- Stiamo perdendo un sacco di tempo in futili chiacchiere... non trovi?-
- Decisamente sì. - mi feci avanti e lo abbracciai forte, felice di poter sentire di nuovo le sue braccia che mi stringevano.
Neanche due minuti dopo caracollammo in cabina, talmente avvinghiati che Jack ebbe dei seri problemi anche solo a chiudere la porta dietro di noi. Rotolammo sul letto, incapaci di tenere mani, bocche e gambe l'una lontani dall'altro: tutti i nostri battibecchi e la nostra reticenza vennero istantaneamente dimenticati nel momento in cui fummo l'uno nelle braccia dell'altra, baciandoci, ansimando, mormorando e chiamandoci a vicenda senza sosta, finché non ci fummo rifatti del tempo perduto.
Dopo mi distesi soddisfatta sotto le lenzuola, felice di sentirmi di nuovo a casa. Jack era seduto sul bordo del letto, impegnato ad abbottonarsi con calma i pantaloni: come si accorse che lo guardavo, si voltò per scoccarmi un'occhiata intenerita. - Goccetto?- propose, accennando col capo alle bottiglie sul tavolo della cabina.
- Dammi solo dell'acqua, al momento dubito che potrei reggere altro. - replicai, sorridendogli. Jack fece finta di sbuffare con aria di sufficienza, mentre si alzava e andava a raggiungere il tavolo, ma poi tornò con due calici pieni fino all'orlo e si sedette sul materasso, porgendomi il mio.
- Allora... - commentò, mentre si stendeva languidamente al mio fianco e si portava il calice alle labbra per prenderne un sorso. - Ti sei goduta la tua uscita fuori porta?-
Vuotai il mio boccale in un sorso, godendomi la frescura dell'acqua, quindi mi rigirai prona sul materasso. - Sì, molto. E tu dove sei stato, nel frattempo?-
- Avevo bisogno dei segreti di una vecchia amica. Oh, non preoccuparti: suddetta amica ci ha lasciati da un pezzo... la sua vecchia casa, invece, aveva ancora diversi gioiellini nascosti. Può raccontartelo Faith. -
Alzai il capo a guardarlo, incrociando le braccia. - Insomma, cosa sei andato a cercare?-
- Ho solo pensato che, essendo una strega quella con cui ho a che fare, mi sarebbero venute utili le conoscenze di una dea. -
Sussultai, sbarrando gli occhi. - Calypso? Stai parlando di Calypso?-
- Proprio lei. -
- Continui ad avere gli incubi, vero?- domandai, anche se ormai non c'era bisogno di chiedergli conferma. - E la colpa è di quella strega, che vuole qualcosa da te. -
Jack sorseggiò lentamente dal suo boccale, cercando di eludere la mia domanda. - Ti tranquillizzerebbe sapere che, grazie a Calypso, potrei anche riuscire a tenere la strega lontana dai miei sogni?-
- E come?-
- Sto ancora limando i dettagli. -
- Al diavolo, allora. - sbottai, gettandomi dietro le spalle il boccale vuoto che andò a rimbalzare sul pavimento con un clangore metallico. Jack si limitò a seguirlo con lo sguardo, inarcando un sopracciglio. - Ehi, non la regalano, l'argenteria. - commentò, pigramente, poi allungò una mano verso di me e mi scompigliò i capelli. A quel gesto affettuoso non potei fare a meno di sorridergli ancora, e mi appoggiai contro la sua spalla.
- Mi sei mancato. - mormorai, fissando nelle profondità dei suoi occhi neri, che mi scrutavano con dolcezza.
- Anche tu. - rispose Jack nello stesso tono, poi si protese verso di me per rubare un altro bacio, sul quale indugiò a lungo prima di separarci. Per un momento lo vidi gettare uno sguardo fuori dalla finestra della cabina, quindi si alzò dal letto e si mise in cerca del resto dei suoi vestiti.
- Temo di dovere andare, adesso. - annunciò, mentre recuperava la sua camicia dal pavimento.
Mi alzai a sedere, tirandomi attorno le lenzuola, e rimasi a guardarlo finire di rivestirsi. - A parlare con Silehard?-
- Sì. -
- Vai pure. - replicai, alzando gli occhi al cielo in modo evidente. Jack recuperò il tricorno e, prima di andarsene, mi fece con quello una pomposa riverenza dalla soglia della porta per poi metterselo in testa.
- Mi piace molto il tuo nuovo cappello!- commentò a mo' di saluto, accennando col capo al cappello piumato che avevo abbandonato in un angolo della cabina. Senza aggiungere altro, se ne andò.

*

Quello che era stato il cantiere navale dei mercanti era un dedalo di macerie e crateri bruciacchiati causati dalle esplosioni; l'edificio del quartier generale non aveva più il tetto, e ciò che all'interno non era stato divorato dal fuoco, se lo erano ormai portato via i ladri temerari. I ricchi magazzini lasciati incustoditi erano stati depredati peggio che da un esercito di cavallette. In quelle settimane, non era stato fatto alcun tentativo per ricostruire il tutto. La Gilda aveva di che essere soddisfatta.
In quel momento una piccola imbarcazione attraccava al molo deserto, quello situato nella zona più spoglia e solitaria di Tortuga. Un uomo alto, dalle spalle massicce, con una lunga giacca grigia e un largo cappello piumato salì con un balzo sulla banchina e strattonò una cima, per assicurare la barca al pilone d'ormeggio. Sebbene non apparisse certo giovane, i suoi movimenti erano agili e sicuri; i gesti di un esperto.
Mentre era assorto nella sua operazione, tre uomini si avvicinarono alle sue spalle. Uno di loro, il giovane lentigginoso dai capelli rossi, si fece avanti con la spada sguainata e, senza esitare, la premette contro la nuca dell'uomo.
- Questo molo appartiene alla gilda, vecchio. - sibilò, con un sogghigno compiaciuto. Quella era in assoluto una delle cose che gli piacevano di più: sapere di poter dettare legge nel porto era una sensazione inebriante come nient'altro.
Dal canto suo, l'uomo non fece una piega e continuò con calma ad assicurare la cima al pilone. Quando ebbe finito, scostò senza tanti complimenti la spada dal collo come se non fosse stata niente più che una mosca fastidiosa, e si alzò in piedi, voltandosi per guardare in faccia i tre che lo avevano circondato.
- E allora?- replicò, ruvidamente, con una voce rasposa che aveva qualcosa di inquietante. Aveva il viso scavato dalle rughe, dal sole e da vecchie cicatrici, e una folta barba incolta gli copriva il mento. Il giovane ebbe un attimo di esitazione nel vederlo così gelidamente indifferente davanti al nome della gilda, ma riacquistò quasi subito il proprio sangue freddo e puntò di nuovo l'arma contro lo sconosciuto, stavolta al suo petto, al centro della fibbia argentata della cintura che portava a tracolla.
- E allora non dovresti essere qui!- con la consueta arroganza, fece un cenno ai due che erano con lui. - Date un'occhiata alle tasche di questo qua: credo che richiederemo un pedaggio... -
I due uomini si avvicinarono ghignando. Anche lo sconosciuto si concesse una breve risata, come se convenisse con loro che la faccenda era molto divertente. Poi, con una mossa fulminea e del tutto inaspettata, estrasse dalla cintura in un colpo solo spada e pistola. Il primo non ebbe nemmeno il tempo di sgranare gli occhi per la sorpresa, che la pistola fece fuoco. Lo prese in pieno stomaco, buttandolo riverso sulla banchina. Il secondo parò il primo fendente con la spada, ma in un attimo si ritrovò ad indietreggiare senza scampo sotto una raffica di colpi violenti e spietati, che si abbattevano sulla sua lama con tanta veemenza da fargli vibrare il manico sotto le dita.
Il giovane lentigginoso, che all'attacco fulmineo del pirata aveva provvidenzialmente indietreggiato, sbarrò gli occhi davanti al macabro spettacolo: l'ultimo affondo del vecchio lupo di mare era andato a segno; il compagno cacciò un grido di dolore, mentre lo sconosciuto sbottava in una risata cruda e rigirava la lama nelle sue carni. Quando il sangue dell'uomo cominciò a colare in rivoli sottili sulla banchina, l'altro liberò la spada, gli sferrò un calcio al ventre e lo spedì in acqua.
Questo era troppo. Il ragazzo puntò la pistola verso lo sconosciuto, che si era girato di lato rispetto a lui, e fece scattare il cane con le dita che tremavano. Prima che avesse il tempo di premere il grilletto, qualcosa di nero e peloso sbucò dalla barca, attraversò il molo come una furia e gli balzò sulla faccia. Lui urlò, prendendo a dimenarsi come un indemoniato, nel tentativo di togliersi di dosso la piccola, malefica creatura, la quale aveva cominciato a morderlo selvaggiamente sul naso e a cacciargli piccole dita pelose negli occhi. Inciampò malamente e cadde di schiena sul molto: solo a quel punto l'esserino saltò via dalla sua faccia, con uno squittio soddisfatto. Il giovane sentì il legno scricchiolare, e quando voltò la testa si trovò a fissare un paio di stivali di pelle nera.
Vedendo il pirata incombere su di lui, rotolò rapido su un fianco e scappò via a gambe levate, mentre alle sue spalle il suo avversario scoppiava in un'ultima, grassa risata: quella se la fece veramente di gusto, scompisciandosi dal ridere nel vedere quanta fretta era riuscito a mettere a quello sciocco rampollo. Distolse lo sguardo dal ragazzotto che fuggiva, e in tutta calma ripulì la spada sugli abiti del morto impallinato che gli giaceva ai piedi.
- Grazie, Jack. - fece capitan Barbossa, rivolto alla scimmietta che, a pochi passi da lui, lo guardava con tutti i dentini scoperti in un sorriso smagliante.

*

Jack posò il calice vuoto sul tavolo e arricciò le labbra, sentendo il gusto sgradevole aggredirgli la gola.
Imogen rimase a fissarlo con pazienza, in perfetto silenzio, finché non lo vide sprofondare nella sedia, in preda al torpore fisico e mentale provocato dall'intruglio.
- Bene, Jack Sparrow, devo ammettere che avete fatto un ottimo lavoro. - proferì, con calma. - Siamo tutti molto soddisfatti di voi. -
Lo sguardo imbambolato di Jack ebbe un unico, lieve guizzo, e lui fece un movimento goffo e pigro che assomigliava ad una scrollata di spalle. Dietro di lui, Silehard sorrise in silenzio. Era molto fiero degli effetti impeccabili che la pozione della sua complice aveva sui suoi sottoposti: nulla era più affidabile di un collaboratore che non riusciva a mentire.
- Perciò, riteniamo che sia il momento di attuare il nostro piano. - la strega tamburellava con le dita sul ripiano del tavolo, con evidente impazienza. - Siete pronto a condurci all'Isla de Muerta?-
- Sì. - rispose Jack, piatto, senza muoversi di un soffio.
Un ghigno scintillò sul viso della donna. - Bene!- esclamò, raddrizzandosi bruscamente. - Ho visto, però, che non siete molto bravo a tenervi vicini i vostri alleati. Il giovane capitano della Sputafuoco vi ha lasciato per diverso tempo, prima di decidersi a tornare. La vostra stessa donna se ne è andata con lui. Queste improvvisate vi tormentano, e ingarbugliano i vostri progetti. -
Il capitano batté le palpebre, domandandosi per un istante come facesse a saperlo, ma poi si ricordò il motivo per cui la strega gli frugava dentro la testa ogni notte. Doveva pur esistere un modo per chiuderla fuori.
- Vero... - borbottò di nuovo, con la mano abbandonata e immobile sulla fiaschetta che portava appesa alla cintura.
- Non va bene. - commentò lei, in tono sbrigativo. - Chi non è con noi è contro di noi... ne convenite?-
- Sì. -
La risposta parve fare esitare Imogen per un breve istante di sorpresa, quindi il suo sogghigno si fece più ampio. - Perfetto... comprendete dunque che è giunto il momento di sottoporvi ad un'altra prova. Quali erano i termini del nostro patto? Volete ricordarmeli?-
Il pirata batté le palpebre un'altra volta, come se fosse l'unico movimento che non gli fosse faticoso compiere. - La mia nave e mia moglie. -
- Giustamente. Allora vi terrete la vostra nave, mentre vostra... moglie, e forse anche la vostra ciurma saranno dichiarati membri ufficiali della gilda, se accetteranno le nostre condizioni e il nostro comando. Sarete messo a capo della spedizione, se rispetterete la vostra parte del patto. -
In quel momento, Silehard si mosse, e appoggiò le mani allo schienale della sedia su cui sedeva Jack per protendersi verso la strega. - Siamo sicuri che sia in grado di farlo?- domandò, a voce bassa, ma senza preoccuparsi di non farsi sentire dal capitano, come se non fosse altro che una cosa inanimata messa per caso tra lui e Imogen. - Non è mai stato quel genere di pirata... -
- Questo si vedrà. - replicò lei in tutta tranquillità, senza smettere di sorridere. - È un uomo che conosce il prezzo delle sue azioni. E poi, ho potuto insinuarmi all'interno della sua mente abbastanza a lungo da condurlo dove vogliamo. - tornò a rivolgersi a Jack come se nulla li avesse interrotti. - Jack Sparrow, siete pronto, dunque, ad eliminare chiunque si metterà sulla nostra strada?-
Innaturalmente impassibile, con lo stesso tono privo di qualsiasi emozione, Jack rispose nuovamente: - Sì. -

*

I boccali cozzarono tra loro, versando rum sui pirati ubriachi; i canti e le risa si levavano al di sopra delle note miagolanti dei violini.
Era scesa la sera, e il ponte della Perla era gremito di gente: uomini della ciurma, ma anche quelli della Sputafuoco. Era la prima sera che le ciurme si trovavano di nuovo insieme, e si era deciso di comune accordo che era il caso di celebrare il ritorno con un festino degno di questo nome.
- Largo, gente, largo!- il signor Gibbs, già discretamente rosso in viso, si fece spazio reggendo tra le mani due enormi boccali di rum pieni fino all'orlo. Subito dietro di lui venne il vecchio Trentacolpi, barcollante sotto il peso di un intero barilotto che si portava sulla schiena. - Alla larga, topi di fogna, questa è una riserva privata!- sbraitò, sghignazzando, mentre caracollava dietro al suo compagno di bevute.
-Abbiamo i nostromi più strani del mondo!- risi allo spettacolo, mentre brindavo insieme a Faith, Valerie ed Elizabeth. Ce ne stavamo sedute sotto all'albero maestro, proprio accanto ai musicanti che, appollaiati sopra l'argano, suonavano i loro violini come indiavolati.
In quel momento un boato di giubilo salutò l'arrivo di Michael, che Ettore si era caricato sulle spalle e portava avanti e indietro per il ponte come un eroe di guerra. - Salutiamo la pancia più dura dei Caraibi!- gridò il pirata, togliendosi senza sforzo il ragazzino dalle spalle e depositandolo in mezzo a noi.
- Mickey! Allora stai bene!- esclamai, abbracciandolo. Michael appariva ancora un po' provato e decisamente più quieto del solito, ma, a parte l'imbarazzo di trovarsi di colpo al centro dell'attenzione, sembrava anche lui felice di rivederci. Ce lo strapazzammo un po' tutte prima di lasciarlo libero di andare a bersi qualcosa in santa pace; Ettore invece venne a sedersi con noi, e circondò Faith con un braccio.
- Anche i capitani sono più allegri, stasera. - commentò, accennando col capo verso prua. Seguendo il suo sguardo notai William; era sotto il castello di prua, seduto su una cassa, e in piedi di fronte a lui c'era Jack, che aveva tutta l'aria di essere ubriaco fradicio. Mentre li guardavo, Jack fece come un tentativo di sedersi di fianco a lui, ma sbagliò clamorosamente mira e quasi rovinò per terra, salvato solo dall'intervento di Will, che riuscì ad acciuffarlo e sorreggerlo alla meno peggio. Avevo visto entrambi solo di sfuggita durante la serata, e mi chiesi che fine avesse fatto il loro interminabile battibeccare.
- Quei due rinuncio a capirli. Prima che partissimo non si potevano soffrire... - Elizabeth si strinse nelle spalle, prendendo un altro sorso dal boccale.
- Un'intera bottiglia di rum, e Jack è il migliore amico di tutti. - scherzai, però di tanto in tanto tornai a dare un'occhiata incuriosita ai due, attraverso la folla festante. Per qualche momento sembrarono confabulare in tono animato, poi però conclusi che Will si stava probabilmente sorbendo i deliri di Jack, poiché quest'ultimo sembrava ormai talmente brillo da aver perso completamente anche la capacità di stare dritto. Ridacchiai tra me: certo che aveva scelto proprio la sera giusta per prendersi una sbronza coi fiocchi; e io che speravo di trovarmelo ancora in buono stato, per quando fosse stata l'ora di ritirarci in cabina... pazienza.
Al suono dei violini si aggiunsero le chitarre, e uno dei suonatori cominciò a cantare, coinvolgendo in breve tutta la ciurma.
- She was the parson's daughter
with the red and rosy cheeks... -
- Wa-hey-heave-hi-ho!- risposero i pirati in cori stonati.
- She went to church on sunday
and song the anthem sweet,
there's fire down below!-
La ciurma fu presto del tutto intenta a sbraitare il ritornello, agitando a tempo armi e boccali. Ad un certo punto mi voltai e mi trovai accanto Will: quasi sussultai, perché non lo avevo assolutamente visto avvicinarsi.
- Sarà meglio che vada a fare la mia consegna a Tiago Marquina; credo che noi ci salutiamo adesso. - annunciò. Sottobraccio portava un involto di tela cerata dal quale spuntavano le else delle spade che aveva forgiato: ci salutò tutti quanti con un sorriso, baciò Elizabeth, e poi scese a terra, per scomparire nell'oscurità delle strade. Nello stesso momento vidi farsi avanti Jonathan, che si accostò alle spalle di Valerie e la abbracciò, stringendole le braccia attorno alla vita. - Avanti, altro rum, che qui siamo a secco!- rise, agitando in modo eloquente il boccale vuoto che aveva in mano.
Valerie rise di rimando, reclinando il capo all'indietro per premere i lucidi capelli neri contro la guancia del giovane. Doveva essere il primo momento di affettuosità che vedevo tra di loro da settimane intere, ma, vedendo le loro espressioni totalmente rilassate, mi ripetei per l'ennesima volta di non farmi domande. Chissà dov'era il tanto chiacchierato signor Donovan, tra l'altro. Ero sicura di averlo visto prima, in mezzo alle ciurme mescolate della Perla e della Sputafuoco, ma lo avevo perso di vista da un pezzo.
- Aspettatemi, che vado a procurarmene un po'. - mi offrii, alzandomi: comunque andassero le cose, mi era mancata molto la mia vecchia ciurma, e quella notte pareva prospettarsi piacevole. Attraversai il ponte aggirando qua e là pirati ubriachi che cantavano, raggiunsi le botti dalle quali si spillava il rum, e ne avevo quasi riempito una bottiglia intera quando lo sguardo mi cadde su Jack, che trovai ancora stravaccato sulla cassa a prua. Non sembrava essersi accorto che lo stavo guardando, e di punto in bianco lo vidi alzarsi in piedi con sorprendente prontezza.
Sorpresa, continuai a seguirlo con la coda dell'occhio: non sembrava affatto ubriaco. Con cautela, sgattaiolò fra i pirati e scese di buon passo la passerella fino alla banchina. Il rum stava ormai traboccando dalla mia bottiglia, ma di colpo la abbandonai accanto alla botte e quasi d'impulso mi affrettai a seguire Jack mentre scendeva a terra.
Lui era partito a passo svelto, e mi aveva già distanziata, ma lo seguii da lontano. Si infilò nelle tortuose stradine di Tortuga senza un attimo di esitazione, come se sapesse perfettamente dove stava andando. E io dietro. Camminava più silenzioso, più furtivo del solito: fu solo dopo un po' che dovetti ammettere che stava senza dubbio seguendo Will. E io, non vista, seguivo tutti e due.
Da un lato la faccenda mi sembrava così assurda che ero tentata di chiamare Jack ad alta voce e chiedergli di persona che cosa stava succedendo... dall'altro sentivo che c'era qualcosa di molto strano, e che era meglio se continuavo a seguire entrambi nell'ombra. William sapeva di essere seguito? Non avrei saputo dirlo, ma avevo la sensazione che fosse l'unico ad ignorare tutto quello che stava succedendo.
Avevamo raggiunto l'armeria di Tiago Marquina. Vidi Will bussare alla porta, attendere per qualche istante, poi un ometto che riconobbi come Tiago aprì la porta, stagliandosi per un attimo contro il vano illuminato. Poi William entrò nell'armeria, richiudendosi la porta alle spalle.
Jack si era fermato poco lontano dall'armeria, appiattendosi contro il muro di una casupola, rintanato nell'ombra. Io mi inginocchiai dietro ad un grosso barile ad un lato della strada, e rimasi nascosta ad osservare: non facevo il minimo rumore, ma il cuore aveva preso a martellarmi nel petto. L'unico suono reale era lo sciabordio impetuoso dell'acqua in un canale di scolo che scorreva nello spazio scavato tra due case, a pochi passi dal nascondiglio di Jack. C'era qualcosa di profondamente sbagliato in tutto quello che stava accadendo, e ad un tratto la figura appena distinguibile di Jack, nell'ombra, era stranamente minacciosa.
Volevo chiamarlo, volevo disperatamente che si voltasse verso di me e mi facesse un cenno, uno qualsiasi, che mi dimostrasse che andava tutto bene. Però tacqui, prudentemente.
William non usciva. Ma quanto tempo ci metteva a vendere a Tiago quelle spade? I secondi diventarono minuti, sempre più lunghi e carichi di tensione. Non fiatai, non mossi un muscolo, e Jack fece altrettanto, ignaro della mia presenza.
L'agitazione sempre più crescente mi fece salire un nodo fastidioso alla gola, mentre nel silenzio udivo un rumore lieve, ma perfettamente riconoscibile, provenire da un punto imprecisato della strada deserta. Passi felpati. C'era qualcun altro nascosto nell'ombra, qualcuno che cercava di non farsi sentire. Non ero la sola a spiare, e la sensazione di essere osservata a mia volta mi fece correre brividi gelidi lungo la schiena.
Doveva essere passata quasi mezz'ora, quando la porta dell'armeria si aprì con uno schianto che mi fece sobbalzare. Distinsi la figura di Will, senza più il carico di spade, che scendeva le scale e si immergeva di nuovo nel buio della strada.
Ero così concentrata su di lui, cercando di vederne il viso o l'espressione nella strada troppo buia, che non vidi subito che Jack si era mosso in fretta e silenziosamente, ed era arrivato ad un passo da lui. Will sembrò non accorgersi di nulla finché non se lo trovò davanti: i due rimasero fermi per un istante appena, Will esitava, forse riconoscendo solo in quel momento la figura che gli stava davanti.
Poi, con un movimento fluido e fulmineo, Jack sguainò la spada, afferrò con la mano libera il braccio di Will per scivolargli alle spalle, e con un unico gesto gli tagliò la gola.
Un grido inarticolato mi uscì dalle labbra, incontrollabile, insieme al lamento strozzato di William che si piegava su sé stesso come un fantoccio, crollando ai piedi di Jack. Quest'ultimo si voltò di scatto nella mia direzione, e per un unico istante io e lui ci fissammo negli occhi: stupore contro orrore.
Ero rimasta paralizzata, aggrappata convulsamente al barile fino a sbiancarmi le nocche: il grido che mi era sfuggito sembrava avermi seccato completamente la lingua. La massa nera e confusa che era stata Will giaceva a terra, sovrastata dall'altra figura nera che riconoscevo come Jack solo dal brillio degli occhi. Quegli occhi erano ancora puntati su di me. Tuttavia, qualcun altro si era allarmato al mio grido: due figure, che fino ad allora erano rimaste nascoste, apparvero come dal nulla dalle ombre della strada.
Spie della gilda, ne ero sicura. Sicari, forse. Anche loro guardavano dritto verso di me. In quel momento Jack si chinò rapidamente sul corpo esanime di William e lo spinse in avanti come un sacco, dritto verso il canale dove l'acqua scorreva impetuosa.
“Oh no, no...” pensai, incapace di fare altro se non sbarrare gli occhi, impotente. Il tonfo del corpo di Will che toccava l'acqua sembrò rimbombarmi nella testa con un'eco infinita.
Reagii per puro istinto, poiché i miei pensieri in quel momento erano completamente annullati: scattai all'indietro, rimettendomi in piedi il più velocemente che potei, e cominciai a correre a rotta di collo. Le due spie della gilda erano dietro di me: sentivo i loro passi di corsa avvicinarsi.
Ero disarmata e priva di qualsiasi pensiero, se non quello di fuggire. Un terrore cieco guidava i miei passi, mentre mi sembrava di avere sul collo il fiato dei due uomini che mi stavano alle calcagna. Non vedevo dove andavo; avevo stampata nella mente l'immagine di Will con la gola tagliata dalla spada di Jack. Non avevo visto in faccia nessuno dei due mentre succedeva, se non Jack quando si era voltato a guardarmi... eppure mi sembrava di rivedere tutta la scena nei suoi minimi particolari, anche quelli che non potevo avere visto.
La faccia di William mi balenava davanti agli occhi, incessantemente. Non aveva avuto nemmeno il tempo di gridare.
I suoni mi si mescolavano nelle orecchie: il mio respiro affannoso, i passi di corsa delle spie, l'orribile ricordo del suono metallico della spada sguainata e lo strappo flaccido del ferro che tagliava la carne.
Terrore, terrore puro. Riuscivo a stento a pensare in quale direzione scappare, e fu solo un miracolo se ad un certo punto, svoltata precipitosamente una curva, mi trovai di fronte ad un edificio conosciuto: la Lanterna Fioca.
L'ingresso era vivacemente illuminato dalle grandi lampade arancioni; sul porticato, numerose donne in abiti succinti facevano moine ai marinai di passaggio, altre si affacciavano alle finestre per ridere alle battute dei passanti. C'era folla, lì, gente, persone. Vidi tutto questo in pochi secondi mentre mi lanciavo di corsa verso l'ingresso, spingendo via senza tanti complimenti prostitute e avventori, che lanciarono grida indignate al mio passaggio. Quasi persi l'equilibrio quando attraversai di slancio il grande portone: l'interno della casa di piaceri mi disorientò; troppa gente, troppe donne e uomini che mi guardavano con aria sbigottita o che erano lenti a togliersi dalla mia strada. Uno spesso tappeto rosso rallentò i miei passi: ero circondata da divanetti occupati dagli avventori e dalle prostitute, e le scale che portavano ai piani superiori erano ugualmente affollate. Non sapevo se le spie della gilda mi avessero seguita fin là dentro, ma avevo l'orrenda sensazione di averli solo a pochi passi.
- Aiuto!- mi trovai a gridare, in preda al panico. - Aiuto, vi prego!-
- Miss Sparrow!- miss Bondies, apparsa da dietro un gruppo di giovani ragazze, mi sembrò un'apparizione benedetta. Mi venne incontro e, vedendomi sconvolta, mi prese le mani. - Mia signora, che vi è successo?-
- Aiutatemi... mi ammazzano... - riuscii a balbettare, col fiato corto e un dolore terribile alla milza. In quel momento si sentì del trambusto di fuori: i guardiani del bordello stavano evidentemente trattenendo qualcuno che cercava di entrare, e avevo idea di chi potesse essere.
In un attimo, miss Bondies sembrò avere capito la situazione, e il suo sguardo si fece di nuovo altero e determinato. - Restate qui e non muovetevi. - mi ordinò, prima di uscire dall'ingresso. Attesi col cuore in gola, mentre sentivo la sua voce alzarsi al si sopra delle proteste degli uomini della gilda.
- Che cosa sta succedendo qui fuori? Voi due, cosa credete di fare?-
- Di' alle tue guardie di togliersi di mezzo, donna!- rispose, aspra, una voce che non conoscevo, ma che apparteneva senz'altro ad uno dei miei inseguitori.
- E lasciarvi entrare nella mia casa assetati di sangue e con le spade in mano? Potete scordarvelo, signori! Girate al largo!-
- C'è una schifosa spiona che si è nascosta in questo bordello: lascia solo che la staniamo, e a voi non faremo nulla!- rincarò il secondo uomo.
- Non ho idea di chi diavolo stiate parlando, ma chi entra qui ha il diritto di farlo. E voi due, mi spiace tanto, ma non l'avete!-
Ammirai il sangue freddo di miss Bondies, perché udii i due imprecare e un rapido cozzare di spade: anche gli animi dei guardiani del bordello si stavano surriscaldando. In quel momento ringraziai il cielo che miss Bondies fosse così attenta alle misure di sicurezza per le sue lavoratrici.
- Ti stai mettendo contro la gilda, donna!-
- Niente affatto. Il signor Silehard è il benvenuto, quando vuole mettere piede in questa casa. Se proprio ci tenete ad entrare, sappiate che aprirò soltanto a lui in persona. Non vi permetterò di fare del male alle mie ragazze, né a nessun altro che si trovi sotto la protezione di questa casa. -
Qualcuno mi prese per un braccio e mi tirò gentilmente da una parte. - Venite, presto. -
Voltandomi, riconobbi Dorthy, la giovane dai boccoli castani che aveva incontrato la sera che eravamo approdati a Tortuga. La seguii senza opporre resistenza, e lei mi portò in una camera dove mi venne incontro un'altra faccia conosciuta.
- Laura!- Daphne mi tirò dentro la camera con aria spaventata: era una stanzetta piccola, con un lettuccio e una culla di legno dove dormiva il suo bambino. Daphne e Dorothy mi fecero sedere sul letto e rimasero accanto a me, mentre io mi sforzavo di riprendermi. - Che cos'è successo? Si è scatenato il putiferio, là fuori!-
- Sono due uomini della gilda. Mi stanno inseguendo. - finalmente riuscii a proferire parola.
- Che cosa gli avete fatto?- esclamò Dorothy, spaventata, sgranando gli occhi.
Deglutii a fatica. - Li ho visti. - fu tutto quello che riuscii a risponderle.
Jack aveva ucciso Will. Lo avevo visto con i miei occhi, eppure era sorprendente quanto non riuscissi a credere a quel che era appena accaduto. Jack sapeva che lo avevo visto: mi aveva sentita urlare e, voltandosi, mi aveva notata, nascosta dietro al barile. Però si era girato per finire il suo lavoro, e buttare il corpo privo di vita di Will nel canale...
Improvvisamente mi piegai su me stessa, colta da un accesso di nausea. Non vomitai, ma ci mancò poco. Mi sentivo malissimo, e avevo la sensazione di non riuscire a trattenere abbastanza aria dentro i polmoni.
- Ci ha traditi... - boccheggiai, stranita. In quel momento la porta della camera si aprì, e miss Bondies entrò in tutta fretta, reggendo tra le mani i lembi dell'ingombrante gonna scarlatta.
- Se ne sono andati, grazie al cielo!- borbottò in tono irritato. - Miss Sparrow, non permetterei a nessuno di farvi del male, ma vi siete fatta dei nemici potenti e non so per quanto potrò proteggervi. Per questa notte non avrete nulla da temere, e domani sarete scortata alla vostra nave... -
- No!- quasi gridai: un'improvvisa consapevolezza si era appena accesa nella mia mente in preda alla confusione. - Non posso aspettare. Devo tornare alla Perla stanotte... adesso! Devo dare l'allarme. Lui potrebbe tornare... -
- Calmati, Laura, calmati. - cercò invano di rassicurarmi Daphne. - È pericoloso per te andare là fuori, adesso. Le spie della gilda ti cercano e... -
- Siamo tutti in pericolo!- gridai, balzando in piedi e spaventando ulteriormente le mie già preoccupate soccorritrici. - Jack ci ha traditi, Will è morto... Devo tornare alla Perla, ora!-
Le mie grida avevano svegliato il bambino di Daphne, che ora aveva cominciato a piangere forte, ma il tutto non fece che accrescere il senso d'urgenza che mi opprimeva il petto: ancora una volta fu miss Bondies a prendere in mano la situazione perché, dopo avere riflettuto per un momento, si fece avanti con cipiglio severo e proclamò: - E va bene. Non mi piace per niente che voi torniate in strada con quella gente pronta ad uccidervi, ma vi voglio aiutare. È fondamentale che non vi riconoscano una volta fuori di qui, ma non c'è abbastanza tempo per farvi sembrare una delle ragazze, e soprattutto non ho un uomo da affiancarvi perché possa proteggervi e reggervi il gioco. Però l'uomo potreste essere voi... nessuno farebbe troppo caso ad un pirata e una prostituta in giro per le strade. -
- Mandate me, miss Bondies!- si offrì Dorothy, con una caparbietà che male si accordava alla sua giovane età.
- Potete uscire dal retro: la strada la sapete. -
Annuii bruscamente. - Va bene, basta che facciamo in fretta. -
Mi imbrattai la faccia di fuliggine, mentre Daphne mi legava i capelli in una stretta treccia da uomo: mi diedero una larga giacca e un cappello sotto il quale nascondermi, assieme ad una pistola che fui più che felice di infilare tra la fusciacca e la cintura. Presi Dorothy sottobraccio, mentre miss Bondies ci faceva uscire dalla porta posteriore, augurandoci buona fortuna. Appena mi ritrovai nel buio della strada fui felice di avere Dorothy al mio fianco: mi accorsi di stare tremando come una foglia.
- Coraggio!- mi bisbigliò la ragazza mentre, di buon passo ma non troppo veloci per non destare sospetti, ci dirigevamo verso la strada del porto.
Per caso o per fortuna non incontrammo neanche uno degli uomini della gilda, e quando fui sulla banchina, in cista delle due navi, avrei tirato un sospiro di sollievo se non avessi saputo di avere ben poco di cui rallegrarmi.
- Tu vai. - dissi a Dorothy, stringendole una spalla. - Torna alla Lanterna Fioca, e stai attenta. -
La ragazza esitò, poi azzardò a farmi una domanda: - Quando avete detto Will... quello che è morto... parlavate di William Turner? Quello che era con voi la notte che siete venuti qui?- mormorò, con espressione mortificata.
Avvertii un'ulteriore morsa allo stomaco mentre, per l'ennesima volta, la scena mi si ripeteva davanti agli occhi, quindi mi limitai ad annuire. Dorothy si morse le labbra, portandosi una mano sulla bocca, e vidi i suoi occhi riempirsi di lacrime.
- Grazie di tutto. - tagliai corto, prima di voltarmi e correre alla Perla. A bordo non si sentivano più canti né risa, ed era un pessimo segno: voleva dire che la maggior parte degli uomini era ubriaca fradicia, proprio quando a me servivano svegli e pronti agli ordini.
- In coperta, uomini!- urlai mentre salivo a bordo, gettando il cappello sul ponte. - In coperta, dannazione, è un'emergenza!-
Il ponte era disseminato di bottiglie e pirati ubriachi, addormentati o mezzi intontiti: l'esasperazione fu tale che sferrai un calcio nella schiena al primo pirata che mi trovai a tiro, strappandogli un lamento di protesta.
- Che cosa succede?!-
Da diversi angoli della nave vidi venirmi incontro Ettore, Faith, Michael, Valerie... ed Elizabeth. Ebbi un colpo al cuore al pensiero di quello che avrei dovuto dirle, ma nel vederli lì tutti quanti mi sentii quasi svenire dal sollievo. Mi trovai a spiegare tutto d'un fiato la situazione, mentre continuavo ad andare da una parte all'altra del ponte, svegliando a calci gli uomini addormentati.
- Siamo stati traditi!- annunciai, scavalcando un pirata troppo ubriaco per badare ai calci che gli avevo sferrato. - Io ero lì, l'ho visto! Jack ha seguito Will mentre lui andava a portare le spade a Tiago, io mi sono nascosta e l'ho visto quando lo ha... Signor Gibbs!- con un calcio fin troppo energico tra le scapole, svegliai il vecchio nostromo, che sobbalzò, gemendo frasi sconclusionate e roteando gli occhi spalancati.
- In piedi, signor Gibbs, e mi ascolti! Jack ci ha traditi. Ha ucciso Will con le sue mani, si è venduto alla Gilda!-
- Laura, fermati!- mi interruppe Elizabeth, parandomisi di fronte e prendendomi per le spalle perché mi calmassi. - Che cosa stai dicendo?-
Ricambiai lo sguardo incredulo di Elizabeth con quanta più fermezza potei, cercando di tirare fuori le parole che ora sembravano pesare come piombo. - Will... è morto. Ho visto Jack ucciderlo davanti all'armeria. C'erano due spie della gilda a controllare quello che faceva... loro hanno cercato di uccidermi quando hanno capito che avevo visto tutto. -
- No... - la mia amica boccheggiò, sconcertata. - Non, non è possibile. Ci deve essere dell'altro. -
- Elizabeth, l'ho visto! - le gridai in faccia. - L'ho visto con i miei occhi, ed è stato Jack... è stato Jack!-
Faith e Valerie dovettero afferrarmi per le braccia perché riuscissi a riacquistare un qualche controllo di me stessa; Elizabeth sembrava scossa, ma non quanto sarebbe stato logico pensare. Invece del mio stesso terrore, sul suo viso vedevo solo sconcerto e dubbio... lo sguardo di chi si arrovellava per cercare una risposta sensata. Solo che non c'era una risposta sensata e, sfortunatamente, io lo sapevo. Quello che era accaduto non aveva senso, lo sapevo benissimo: il Jack che conoscevo non avrebbe mai fatto del male a William. Mai. Tuttavia, ero obbligata a credere a quello che avevo visto.
- Devi dirmi che cosa hai visto. - mi disse Elizabeth. Notai che si sforzava di controllare la voce, ma non riusciva a nascondere un tremito di sconcerto. - Hai visto Jack uccidere qualcuno? Di questo sei sicura?-
Avevo visto Jack uccidere Will, dannazione, non semplicemente “qualcuno”!
- Sì. - risposi, in un sibilo. Lo sguardo di Elizabeth si oscurò.
- Era Will quello nell'armeria?-
- Solo lui è entrato e solo lui è uscito. Jack lo stava aspettando fuori. È stato allora che lo ha... raggiunto. -
Tutti quanti, compreso Gibbs che si era alzato barcollando in quel momento, ci fissavano in attonito silenzio. - Laura... - fece Ettore, esitante. Non lo avevo mai sentito balbettare, e la cosa mi spaventò. - Sei... sei sicura di quello che hai visto?-
- Fin troppo. - annuii in fretta, mentre sentivo che stavo ricominciando a tremare. - Ci ha traditi... ascoltate, dobbiamo allontanarci. Dobbiamo andarcene e impedirgli di tornare a bordo e di portarsi dietro altri di quella maledetta gilda... prima che finisca ucciso qualcun altro... signor Gibbs!-
- Sì, Laura?- rispose lui, disorientato.
- La Perla e la Sputafuoco devono salpare... in un modo o nell'altro. Usciamo dalla baia e mettiamoci alla fonda, basta che ci allontaniamo dal porto. Elizabeth... - fissai negli occhi la mia amica, e pur leggendovi il mio stesso sgomento, capii che non mi credeva. Non ancora. - Liz, ti prego... devi tornare alla Sputafuoco e salpare insieme a noi. Raccogli tutti gli uomini che ancora si reggono in piedi: dobbiamo prendere il largo. -
In un attimo tutti si misero in azione, e in quello stesso istante smisi di mantenermi lucida: mi accasciai contro l'albero maestro, mentre tutti correvano da una parte all'altra, svegliando gli ubriachi, mollando le cime d'ormeggio, mettendo mano ai remi. Non so come ci riuscimmo, solo che le due navi presero finalmente il largo, coi marinai che inciampavano sui compagni addormentati: mentre ci staccavamo dal molo vidi Elizabeth al timone della Sputafuoco, che manovrava senza emettere un suono, con la medesima espressione di prima scolpita sul viso terreo. Ci allontanammo dal porto, uscendo dalla baia di Tortuga sotto un cielo trapuntato di stelle.
Insieme alla paura, l'unica cosa che mi accorsi di provare in quel momento fu una devastante sensazione di sfinimento. Dopo quello che avevo visto, probabilmente sarebbe stata impensabile anche la sola idea di poter chiudere occhio... e invece mi trovai a desiderare ardentemente di potere sparire nella mia cabina per riemergerne soltanto quando fossi stata sicura che era stato tutto quanto un brutto sogno.
Sapevo di dovere ulteriori spiegazioni alla mia ciurma, di dover organizzare un piano d'azione, o almeno chiedermi che cosa avremmo fatto al sorgere del sole... eppure in quel momento non desiderai altro che dormire e dimenticare tutto quanto.
Ma, naturalmente, i miei amici non me lo avrebbero permesso: specialmente non dopo che ero tornata a bordo in quel modo, e dopo quella partenza che assomigliava molto ad una fuga. Quando fummo a sufficiente distanza dalla baia, nascosti dalle ombre della notte, come era prevedibile, la Sputafuoco si mise alla fonda al fianco della Perla, ed Elizabeth tornò immediatamente a bordo. Peggio ancora, si portò appresso David, così che in pochi minuti mi ritrovai sul ponte, circondata dai miei amici e quasi dall'intera ciurma. Guardavano tutti me, evidentemente aspettandosi che parlassi.
- Ci devi delle spiegazioni. - fu Elizabeth a rompere il silenzio, e quasi non riconobbi la sua voce.
- È vero. - ammisi, cercando di dare alla mia voce una parvenza di calma. Avanzai verso l'albero maestro, coi pirati che mi seguivano con lo sguardo, e Faith, Ettore, Valerie e Gibbs mi si accostarono. - Anche se vi posso dire ben poco di più di quello che ho detto poco fa. -
Circondata dai miei amici e dalla mia ciurma, raccontai per filo e per segno l'accaduto, cercando di non tralasciare nulla: qualsiasi cosa poteva essere importante per decidere come muoverci. Mentre raccontavo dell'assassinio, mi accorsi che mi tremava la voce: per di più, David mi fissava con aria smarrita da dietro le gambe di sua madre. Perché Elizabeth aveva portato anche lui? Non erano cose che un bambino così piccolo avrebbe dovuto sentire, anche se non poteva capirle. Il nodo alla gola si faceva sempre più insopportabile se, per sbaglio, incrociavo lo sguardo di quegli occhi castani sgranati. Non volevo parlare della morte di suo padre davanti a lui. Soprattutto, non dopo che aveva dovuto aspettare il suddetto padre per tre anni.
Ancora peggiore, però, fu il silenzio attonito che calò alla fine del mio racconto, e sentire su di me gli occhi di tutta la ciurma. Sapevo molto bene che cosa si stavano chiedendo. Jack ci aveva traditi... e io, la sua donna, sua moglie, suo capitano in seconda, che cosa avrei fatto?
- Passeremo la notte qui. - mi decisi a dichiarare, infine. - State all'erta. Voglio dei turni di guardia su entrambe le navi, e se qualsiasi imbarcazioni si avvicina a noi voglio essere avvisata all'istante. Non fidatevi di nessuno. Non lasciate salire a bordo nessuno, nemmeno se fosse Jack in persona. - una lunghissima pausa di silenzio, carica di tensione. - Soprattutto se fosse Jack. Qualcuno ha domande?-
Nessuno ne aveva. Le labbra di Elizabeth erano ridotte ad una fessura, e il suo viso si era trasformato in uno scudo impenetrabile: non avrei saputo nemmeno dire se fosse addolorata, sconvolta, o se ce l'avesse con me. Dato che nessuno parlava, mi congedai dalla ciurma e me ne andai verso il cassero di prua, per poi richiudermi pesantemente alle spalle la porta della sala degli ufficiali. Mi ritrovai in cabina, reggendomi in equilibrio precario sulle gambe che non avevano ancora smesso di tremare.
Mi liberai alla rinfusa della giacca e degli stivali, poi mi buttai vestita sul letto. Non riuscivo a cacciare via l'immagine dell'istante in cui Jack, dopo avere tagliato la gola a Will con la sua spada, si era voltato e mi aveva guardata.
Sentii le lacrime superare il livello di guardia. Mi infilai, tremante, sotto le lenzuola, come in cerca di un riparo. Quasi senza farlo apposta, mi ero messa nel lato del letto dove di solito dormiva lui.
Tirai un respiro profondo per calmarmi, ma peggiorai la situazione: c'era il suo odore fra le coperte.
- Perché lo hai fatto?!- urlai, soffocando il grido nel cuscino. Con la nausea alla gola e il petto scosso dai singhiozzi, artigliai le coperte e piansi.




Note dell'autrice:
Ebbene... non sono sparita dalla circolazione, affondata, impiccata, abbandonata su un'isola deserta. Sono solo schifosamente pigra, e il fatto di avere passato a zonzo le ultime settimane decisamente non aiuta a scrivere con regolarità. ^^' Comunque sia, sono tornata con questo bel capitolo bomba: anche lui era già pronto da un po', è il suo fratellino successivo che va a rilento. Grazie come sempre a Fannysparrow per seguirmi con fedeltà impressionante: tra parentesi, spero ti sia piaciuta l'entrata in scena di un certo capitano... Ebbene sì, posso finalmente dire che Barbossa ha fatto ufficialmente il suo ingresso in questa saga! *grida di giubilo*
Di recente, ho ricevuto un commento da parte di Itillis sul primo episodio di Caribbean Tales: è sempre un onore e un piacere sapere che qualcuno legge e apprezza le mie storie, con tutti i loro difetti (e so di averne) e i loro pregi. Quindi grazie. E, come sempre, wind the sails!
PS: Il nuovo cappello di Laura, sottratto al pirata, è quello che compare nel ritratto di lei che Dani ha fatto per me. Consideralo un omaggio al tuo splendido lavoro, matey!

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Capitolo 11
*** Fuoco alle polveri ***


Capitolo 10
Fuoco alle polveri


Come era possibile dormire, dopo tutto ciò che avevo visto?
Come era possibile chiudere gli occhi anche solo per un secondo, quando nella mia mente esplodevano vivide le immagini della notte precedente?
Eppure dormii come un sasso: non fu certo un sonno tranquillo, ma la mente e gli occhi erano felici di potere andare alla deriva per un po', dove le immagini di morte non erano altro che confusi squarci dei miei sogni. Svegliarsi fu il vero incubo: presente e abitudine si mescolavano nella nebbia del risveglio, così che cercai Jack al mio fianco nel momento esatto in cui mi chiedevo con terrore se lui e Silehard ci avessero già raggiunti.
Quando uscii sul ponte, la ciurma era silenziosa, segno che erano già stati tutti informati dell'accaduto in un modo o nell'altro. La Perla e la Sputafuoco si erano messe alla fonda in mare aperto, a distanza di sicurezza dalla baia di Tortuga. Elizabeth e David erano ancora a bordo; li vidi in disparte, mentre lei parlava a voce bassa con Ettore. Non avrei saputo dire se avessero passato la notte sulla Perla o se ci avessero raggiunti di prima mattina. Mi sentivo addosso gli occhi di tutti.
Per mia fortuna, non ebbi il tempo di fare tre passi sul ponte che qualcuno mi acchiappò per un braccio e mi tirò in disparte: era Faith, che senza dire una parola mi trascinò con sé, e allo stesso tempo mi mise in mano un boccale pieno.
- Di prima mattina? Devo essere ridotta proprio male. - commentai, cercando di tenere il suo passo senza rovesciare tutto.
- Guarda che non è mica rum. - replicò la mia amica, fermandosi con me accanto alla murata e scrutandomi con occhio clinico. - Bevilo: sei sconvolta, e non hai messo niente dentro lo stomaco da ieri sera. Dopo dobbiamo parlare. - aggiunse, in tono sinceramente preoccupato.
Annuii senza parlare e mi portai il boccale alle labbra, vuotandolo in lunghe sorsate. Era the caldo; forse anche un po' troppo per quella mattina soleggiata, ma lo buttai giù volentieri. Faith rimase al mio fianco a guardarmi bere come se fossi stata una bambina che prendeva la sua medicina; solo quando abbassai il boccale mi accorsi che ci si era avvicinato anche il signor Gibbs.
- Come state stamattina, capitano?- mi domandò, con fin troppa cautela.
- Come uno straccio. - risposi onestamente, stringendo il boccale vuoto tra le mani senza sapere che farne. Gibbs e Faith si scambiarono uno sguardo, quindi il nostromo continuò: - Ci avete davvero spaventati, ieri notte, ma abbiamo eseguito gli ordini senza discutere. Come vedete, ci siamo tenuti alla larga dal porto, e nessuno è venuto a disturbarci. Adesso non pensate che dovremmo tornare indietro e cercare di fare un po' di chiarezza sulle cose?-
- Sicuro, che dobbiamo fare chiarezza. Ma io so quello che ho visto. -
Il vecchio pirata tentennò, si strofinò la barba, quindi fece un lungo sospiro. - Laura, devo confessartelo: nessuno, qui, crede che Jack abbia veramente potuto fare quello che dici di avere visto. Deve esserci per forza qualcosa sotto. -
Probabilmente il lampo di rabbia che mi attraversò lo sguardo dovette dire tutto, perché Faith fece un cenno verso il nostromo e cominciò a dire: - Gibbs... - ma non le diedi il tempo di finire.
- Anche per me è piuttosto difficile crederlo, grazie, Gibbs. - scattai. - E, se sono leggermente sconvolta, probabilmente è proprio perché ho visto quello che ho visto! Quindi, se hai una spiegazione razionale per tutto quanto, credimi se ti dico che sono la prima a non vedere l'ora di sentirla!-
Il nostromo sembrava davvero mortificato, e per qualche momento esitò, cercando le parole.. quando ci interruppe la voce di Michael che, con lo sguardo rivolto verso la baia, gridò: - Nave a dritta!-
Quasi come un sol uomo, tutti si precipitarono al parapetto e sgranarono gli occhi davanti al galeone che stava uscendo dalla baia, chiaramente per venirci incontro. Batteva un'enorme bandiera nera, sulla quale spiccava il profilo bianco di uno squalo con le fauci spalancate.
Avanzai sulla tolda, fissando lo stendardo: non avevo visto nessuna nave battere quei colori, prima d'ora, e non avevo idea di chi potesse trattarsi. A meno che...
Quando il galeone fu abbastanza vicino da permetterci di distinguere gli uomini sul ponte, strinsi i pugni, vedendo confermati i miei sospetti. Sulla tolda c'era nientemeno che Silehard, tutto tronfio nella sua giacca damascata da capitano, col vento che gli spazzava le piume del largo cappello. Poco distante da lui vidi Jack appoggiato al parapetto, e mi sentii serrare la gola da una mano invisibile.
- Sono loro... - mormorò Ettore, al mio fianco, mentre fissava la nave in avvicinamento.
- Che cosa vogliono?- sibilò Elizabeth, senza staccare lo sguardo da Silehard, gli occhi ridotti a due fessure.
- Parlamentare. - annunciò gravemente Gibbs, come vide il galeone rallentare fino a giungere bordo a bordo con la Perla Nera. Notai che Silehard si era premurato di fermare la nave sul lato opposto della Perla rispetto alla Sputafuoco; era evidente che in caso di pericolo non ci teneva a finire nel fuoco incrociato delle nostre due navi.
Eravamo abbastanza vicini da poter parlare: Silehard si rizzò sulla tolda tutto impettito, e gridò nella mia direzione: - Capitano Laura Sparrow!-
Sfilai la pistola dalla cintura, mi aggrappai ad una fune per issarmi sul parapetto e sparai.
Sfortunatamente, Silehard fu lesto a togliersi dalla mia traiettoria, e il mio proiettile finì sul ponte facendo volare schegge di legno. I pirati di Silehard rumoreggiarono divertiti, Jack fece una delle sue smorfie da “c'è mancato poco” e borbottò: - Gran bell'inizio. -
- Avete un modo strano di accogliere chi viene a voi in pace, signora!- rise Silehard, affacciandosi nuovamente alla tolda. Le mie dita fremevano sul cane della pistola mentre lo guardavo.
- Vogliate perdonarmi, Silehard. Rimanete fermo un istante solo, e vi prometto che correggerò la mia mira. - replicai in tono velenoso.
Gibbs mi prese per il braccio armato e mi riportò sul ponte, intimandomi di calmarmi. - Capitano, è meglio non fare mosse azzardate. - mi disse, accennando febbrilmente al galeone nemico. - Ci tengono sotto tiro da quando sono usciti dalla baia, e per quanto possiamo forse sostenere uno scontro a fuoco con loro... credo proprio che ci convenga evitarlo con tutte le nostre forze!-
Per quanto avessi una gran voglia di uccidere Silehard in quell'istante, senza porre tempo in mezzo, dovetti riconoscere che il signor Gibbs aveva ragione. Sull'altra nave, Silehard, premurandosi di rimanere ben riparato, fece un cenno a Jack. Quello rispose con una smorfia, ma obbedì e prese il suo posto, sporgendosi dalla murata.
- Ascoltami. - mi gridò, con la voce innaturalmente priva di emozione. - Ho un accordo con Silehard: né lui né nessuno della gilda vi farà del male. -
Una mossa davvero infingarda, quella del signore della gilda: trovarmi Jack a pochi metri, sul ponte della nave avversaria, mi fece tremare la voce, ma riuscii a ricacciare lo sgomento in fondo alla gola e a gridare, in risposta: - Io però non ho un patto con lui; non vedo per quale motivo dovreste farvi vedere qui attorno. -
- La Perla è una nave al servizio della gilda, adesso. - replicò Jack, guardandomi di sbieco. C'era qualcosa di innaturale nei suoi modi di fare: stava troppo fermo, la sua voce era troppo controllata. - Ed è molto ingiusto da parte tua impedirmi di salire sulla mia nave!-
- Oh, scusami tanto!- gridai, stringendo il legno nero del parapetto per cercare di contenermi. - Ed è un po' più che “ingiusto” da parte tua avere ucciso Will!-
In quel momento, anche senza guardarla, divenni perfettamente consapevole della presenza di Elizabeth al mio fianco: sapevo che stava fissando Jack almeno quanto lo stavo fissando io, alla ricerca del minimo segno di emozione rivelatrice sul suo volto. La sentii trattenere il respiro. Jack ebbe un sussulto, solo per un attimo, ma poi sembrò soltanto profondamente seccato. - Non è il momento né il posto per questa discussione!-
Altre parole che non erano da lui. Niente mi sembrava più da lui da quando lo avevo visto la sera precedente. Era successo qualcosa.
- Al contrario, questo è l'unico momento e l'unico posto!-
- Jack!- fu Elizabeth a gridare, così vicina a me che per poco non sobbalzai: si aggrappò alla murata e si sporse, come se avesse voluto raggiungere il capitano e strappargli la verità con le proprie mani. I suoi occhi mandavano lampi, ma il suo tono era mortalmente serio mentre si rivolgeva a lui. - Voglio la verità, Jack. Guardami negli occhi e dimmi che non lo hai fatto. -
Solo in quel momento, e per un breve attimo, Jack abbassò lo sguardo, e mi sembrò quasi di sentire tutti i presenti trattenere il respiro. Quando rialzò gli occhi aveva ancora la stessa espressione funerea, e si limitò a scuotere il capo in direzione della giovane. - Questo non posso farlo. Mi dispiace, Elizabeth. -
Senza ulteriori esitazioni, mi voltai verso la ciurma. - Armate i cannoni. -
- Laura...!- sibilò Gibbs, sbarrando gli occhi.
- Fate come vi dico: armate i cannoni!- ripetei con rabbia e, mentre i pirati eseguivano i miei ordini, tornai a voltarmi verso la nave di Silehard e il suo equipaggio. - Non permetterò alla gilda di servirsi della Perla Nera. Se il capitano Sparrow vuole stare dalla vostra parte, che ci stia: questa nave e i suoi uomini rimangono liberi. -
- Non sarete più i benvenuti a Tortuga. Dovreste saperlo che questa città è mia. - si intromise Silehard, con la consueta freddezza.
- Quello che state cercando di fare è troppo grosso anche per voi, Silehard, e ve ne accorgerete presto. Dividiamo qui le nostre strade. Oppure, se volete questa nave, dovrete prima affondarla, perché non ho nessuna intenzione di lasciarvela. -
Un silenzio nervoso calò tra le due navi, e notai che anche gli uomini del capo della gilda stavano caricando i loro cannoni.
- Sono nel nostro punto morto. - mi fece notare Elizabeth, vedendo la nave bordeggiare per evitare di esporsi al nostro fuoco diretto.
- Levate l'ancora, e viriamo il più rapidamente possibile. - ordinai: se davvero fosse scoppiato uno scontro a fuoco, sarebbe stato di vitale importanza avere più libertà di movimento possibile. Gettai un rapido sguardo alla Sputafuoco, ma capii che al momento non poteva aiutarci: era alle nostre spalle, e per di più il suo unico capitano rimasto si trovava con me sulla Perla.
A bordo dello Squalo Bianco, Jack si accostò a Silehard. - Non intenderete attaccarla?-
- Solo se lei non ci lascerà scelta. - rispose lui, stringendo gli occhi fino a ridurli a due fessure. - Abborderemo la nave. -
Jack scrutò le manovre della Perla Nera con occhio critico, quindi schioccò le labbra. - Non si lascerà abbordare. - constatò, con un pizzico di intimo orgoglio, accennando col capo alla nave nera. L'irritazione di Silehard divenne quasi palpabile, e il capitano si affrettò ad aggiungere. - Il mio patto prevedeva che “due elementi” non venissero danneggiati. -
Il capo della gilda annuì impercettibilmente: certo, entrare in uno scontro a fuoco con la Perla era l'ultima cosa che voleva. Primo, perché non poteva permettere che lo Squalo Bianco subisse danni gravi; secondo, perché non aveva la minima intenzione di infliggerne a quella che era forse la nave migliore che avesse mai solcato i mari dei Caraibi. Aveva comprato l'alleanza del suo capitano, ora anche quel gioiello di legno nero gli spettava di diritto, e non poteva assolutamente permettersi di perderlo.
- Non attaccheremo la Perla Nera. - dichiarò, infine, con una certa riluttanza ad abbandonare così il campo. - Lei tornerà. - aggiunse, con un sogghigno, rivolto a Jack. - Non fuggirà ora che è in tempo per farlo, e noi avremo tutto il tempo per organizzarci con comodo per rimettere le mani sulla nave. Ho l'impressione che non rinuncerà a voi così facilmente. - si concesse una breve risata soddisfatta, mentre Jack rimaneva ancora una volta in silenzio. Poi si rivolse al timoniere, con un sorriso crudele stampato in faccia. - Vira di bordo. Non vogliamo fare del male alla Perla Nera, vero?-
Quando lo Squalo Bianco ci girò attorno, apparentemente con l'intenzione di allontanarsi, non intuii subito le loro intenzioni: solo quando ebbero a tiro la nave che stava al nostro fianco e fecero uscire i cannoni dalla fiancata, mi resi conto di quel che stava succedendo.
- Vogliono tirare alla Sputafuoco!- gridai. La nostra nave alleata era ancora alla cappa. Non sarebbe mai riuscita a mollare gli ormeggi e sfuggirgli in tempo. - Virate di prua! Virate di prua, dobbiamo coprirla!-
I primi colpi di cannone partirono, assordanti, dallo Squalo Bianco, aprendo fori fumanti nel legno della Sputafuoco. Se avessero sparato una bordata, probabilmente l'avrebbero fatta a pezzi: ma, a quanto pare, non volevano rischiare di prendere la Perla nel mezzo.
Gli uomini a bordo della Sputafuoco gridarono e corsero ai cannoni, ma erano in una pessima posizione: non sarebbero mai riusciti a virare prima che lo Squalo Bianco sfondasse a cannonate la loro prua.
- Rispondiamo al fuoco!- mi gridò Elizabeth, voltandosi dalla murata dalla quale si stava sporgendo.
- Avanti tutta!- gridai. Era l'unica speranza: infilarci tra l'incudine e il martello, e augurarci che servisse a qualcosa.
La nave avanzò, mettendosi precipitosamente tra la Sputafuoco e i cannoni dello Squalo Bianco. Sorprendentemente, non appena la Perla si mosse, lo Squalo cessò il fuoco e terminò la sua manovra, virando del tutto e allontanandosi da noi per tornare alla baia. Fu un amaro sollievo: era ovvio che a Silehard interessava la Perla Nera e non voleva rischiare di combattere contro di essa. Con la Sputafuoco non si era fatto scrupoli: la nave presentava danni sulla fiancata, dove le cannonate avevano sfondato il legno.
- Abbiamo avuto una fortuna sfacciata, per mille palle di cannone con la barba!- sbottò Gibbs, scrollando il capo e fissando la nave che se ne andava, come se si rifiutasse di credere alle parole che aveva appena sentito pronunciare da Jack. Seguii a mia volta il galeone con lo sguardo, ammettendo sconsolata che non era stata altro che una repentina quanto violente continuazione dei fatti accaduti la sera prima.
Avevo la brutta sensazione di avere appena dato inizio ad una guerra.

*

In cima alle frastagliate scogliere che circondavano la baia, il pirata dal cappello piumato abbassò il cannocchiale, mentre lo Squalo Bianco rientrava nelle braccia della baia per tornare in porto. Aveva seguito il breve scontro tra le navi e, a giudicare da coloro che aveva visto su una nave o sull'altra, cominciava ad intuire che qualcosa era appena cambiato in modo estremamente interessante.
- Bene bene... - commentò quasi fra sé, con un sorrisetto, mentre scendeva gli scogli fino alla barchetta. - Vieni, Jack. - aggiunse, rivolto alla scimmietta che lo attendeva, pazientemente appollaiata su di una roccia. - Credo proprio che ci sia bisogno di noi. -

*

Quando Michael, dalla sua postazione di vedetta in cima al pennone, ci avvisò gridando di una scialuppa in avvicinamento, mi chiesi con una certa esasperazione che cos'altro dovevamo aspettarci.
Il sospetto si trasformò presto in stupore, quando l'uomo della scialuppa fu fatto salire a bordo e me lo trovai davanti sul ponte: mi fece lo stesso effetto di Silehard, aveva un aspetto imponente anche senza esserlo. La sua lunga giacca e il cappello piumato erano lisi e vissuti; una lunga barba ispida -che forse un tempo era stata bionda- gli cresceva su un viso bruciato dal sole, nel quale dardeggiavano due occhi azzurro stinto. Quando incrociai lo sguardo di quegli occhi, per un attimo soltanto ebbi la netta sensazione di avere già visto quell'uomo da qualche parte. Ma era impossibile; ero sicura che se l'avessi incontrato in precedenza me ne sarei ricordata. Ancora più grande fu la mia sorpresa, però, quando notai la scimmietta che se ne stava accoccolata sulla sua spalla: una piccola bestia dal pelo nero vestita di una casacchina in miniatura. Con sgomento, la riconobbi come la stessa scimmia che avevo visto sulla Perla la prima volta che vi ero salita, quando io e Faith avevamo appena conosciuto Jack.
Se avessi avuto qualche dubbio sull'identità di chi mi stava davanti, furono subito cancellati da Elizabeth che, con gli occhi sbarrati, esclamò: - Barbossa!-
- Felice di rivedervi, signora Turner. Anche voi qui?- replicò l'uomo, in tono sarcastico, mentre si guardava in giro con le mani piantate sui fianchi con un fare autoritario.
- Potrei chiedervi la stessa cosa. - replicò Elizabeth, scrutando il pirata con espressione indecifrabile. Io assistevo al loro scambio di convenevoli senza proferir parola: improvvisamente avevo capito dove avevo già visto quegli occhi azzurri; Beatrix Barbossa, la prima avversaria contro la quale avevo combattuto, aveva ereditato gli occhi di suo padre.
- Ho assistito al vostro amichevole scambio di vedute con Robert Silehard, prima... - continuò capitan Barbossa, con un sorriso sgradevole. - So che cosa sta accadendo a Tortuga, e ritengo che quella che, a quanto pare, avete scelto, sia l'unica parte dalla quale valga la pena di schierarsi, in questa faccenda. Per giunta, vedo che a questa nave manca un capitano. Di nuovo. -
- Questa nave ce l'ha un capitano. - replicai, facendomi avanti verso di lui con tutta la freddezza di cui fui capace. La scimmietta sulla sua spalla squittì come se mi avesse riconosciuta -e, per quanto ne sapevo, poteva anche essere così- e Barbossa posò lo sguardo su di me come se si fosse accorto solo in quel momento della mia presenza.
Mi superava in altezza di due spanne abbondanti, perciò non gli fu difficile squadrarmi dall'alto in basso, inarcando un folto sopracciglio con l'aria di chiedersi se fosse uno scherzo. - Tuttavia, io non lo vedo. - rispose lentamente, in tono acido, con gli occhi color ferro che mandavano lampi. Il suo tono era talmente sprezzante che ne sarei rimasta spiazzata, se non ci fossimo trovati in una situazione già di per sé così delicata.
- Capitan Barbossa. - insistetti: avevo intravisto in quel momento quella che poteva essere la nostra unica speranza. - Se è il vostro aiuto che volete offrirci, potrebbe esserci prezioso, perché la situazione è veramente pericolosa. Jack Sparrow ci ha traditi, ed è passato dalla parte di Silehard. -
- L'avevo notato. - fece Barbossa, con un cenno del capo, mentre tamburellava con le dita sulla pistola che portava alla cintura. - Questo è curioso, direi. Che motivo aveva per farlo?-
- È questo il punto: non lo sappiamo. -
Il pirata si corrucciò ancora di più, mi guardò per qualche attimo ancora, poi si voltò verso Elizabeth. - Chi è?- le domandò, accennando a me con un cenno del capo.
- Potete chiederglielo di persona!- scattò la mia amica, fulminandolo con un'occhiata. Barbossa roteò gli occhi, ma poi ammorbidì appena i toni e si rivolse direttamente a me: - Qual è il vostro nome?-
- Laura Sparrow. - tentennai appena sul cognome. - Capitano in seconda della Perla Nera. -
Il capitano sbarrò gli occhi, e non capii se stesse trattenendo lo stupore o una risata, quindi fece di nuovo il suo ghigno sghembo, come se non credesse alle sue orecchie: - Miss “Sparrow”... forse è il caso che mi facciate luce sulla situazione. -
Così, io ed Elizabeth ci ritirammo in cabina con Barbossa, dove ci sedemmo al tavolo degli ufficiali e gli raccontammo la storia dal principio: dal nostro primo incontro con Silehard a come Jack aveva seguito e ucciso Will davanti alla bottega. Quando arrivammo a quel punto, il capitano inarcò le sopracciglia e fissò Elizabeth, carezzandosi pensoso la barba. - Con questo devo capire che il giovane Turner era... tornato in circolazione?-
- L'incarico di capitano dell'Olandese era passato a suo padre... una lunga storia. - rispose lei, la quale ancora si chiudeva in un silenzio carico di astio nel sentire raccontare da me la vicenda del suo assassinio.
- Che ragazzo baciato dalla fortuna. - commentò lui, sardonico. - Qualcosa non torna, però. Miss Sparrow, siete assolutamente certa di quel che avete visto?-
- Come?- sussultai, sentendomi piccata al pensiero che perfino lui mi facesse per l'ennesima volta quella domanda. - Insomma, c'era buio, è vero. Ma ho visto Will entrare e poi uscire, prima di venire ucciso. -
- Forse hai visto soltanto quello che loro volevano che vedessi. - mi interruppe Elizabeth, enigmatica. Ero già abbastanza sotto pressione per conto mio, e quelle sue arie da chi la sapeva lunga servirono solo a farmi irritare di più.
- Ah, davvero? Be', lo spero sul serio, perché è stato terribilmente convincente!- scattai.
- Fidati. - continuò lei, che sembrava avere conservato il sangue freddo che a me mancava. - Hai sentito Jack, prima? Non ha detto “l'ho fatto”; ha detto “non posso”. Non capisci? Voleva dirci qualcosa!-
Barbossa grattò distrattamente la testa della scimmia, che si era accoccolata sul tavolo, prima di continuare: - È troppo strano, perfino per Jack Sparrow. Posso dire per certo che il Jack che conosco io non avrebbe mai ucciso William Turner, ci metto la mano sul fuoco. Se fosse capace di un gesto del genere, probabilmente non avrebbe perso la Perla Nera due volte. - ridacchiò piano, e questo mi punse sul vivo.
- Voi l'avete persa altrettante volte. - lo ripresi, seccamente.
- Giusto. Errore mio: le sue erano tre volte. -
La sua pungente ironia mi irritava, ma le sue parole avevano riacceso una seppur minima speranza: Elizabeth mi precedette, esclamando: - Quinti potrebbe essere andata diversamente? Jack avrebbe potuto solo fingere di uccidere Will?-
- Gli ha tagliato la gola e lo ha buttato in un canale!- mi contenni a fatica, ma la visione del macabro assassinio mi aveva tormentata per tutta la notte. Barbossa annuì in silenzio, col mento tra le dita.
- Infatti io non stavo dicendo che William Turner potrebbe essere vivo... il che non è da escludere, ma ne parleremo dopo. Stavo pensando al comportamento di Jack Sparrow. Uccide Turner e passa dalla parte di Silehard di punto in bianco... ditemi, ha avuto contatti con la strega?-
Drizzai le orecchie. - Sapete della strega?-
- Qualunque cosa dicano in città, la verità è una sola: Silehard ha dalla sua parte una strega. Una sciroccata sacerdotessa di Calypso, per essere precisi: l'ultima di un'antica generazione di sacerdotesse che furono accusate di stregoneria e sterminate a Santo Domingo. C'è un tempio in disuso sull'isola, dove lei si rifugiava: penso proprio che Silehard l'abbia trovata lì. - Barbossa intrecciò le dita e fissò davanti a sé, rimuginando. - Ora, sono assolutamente certo che sia dotata di poteri soprannaturali. E, se Jack ha avuto a che fare con lei in qualche modo... -
- Oh oh... - avevo capito dove voleva arrivare. I suoi occhi color ferro inchiodarono i miei con un'intensità pericolosa. - Sì?- mi incitò, in tono inquisitorio.
- Jack faceva dei sogni strani, prima che tutto questo cominciasse. - ammisi. - Sogni che era convinto fossero manovrati da qualcun altro. Per questo ha cominciato ad interessarsi alla gilda, quando Silehard ha fatto cenno di sapere dei suoi sogni: voleva scoprire chi c'era dietro. Ha scoperto che la strega aveva in qualche modo libero accesso ai suoi ricordi durante il sonno. -
Barbossa si batté una mano sulla fronte con fare esasperato. - Curioso imbecille!- ringhiò, alzando gli occhi al cielo. - Gli hanno agitato l'esca davanti al naso e lui ha abboccato come un pesce!-
- Che cosa ha a che fare la strega con quello che è successo?- insistette Elizabeth.
- Forse tutto. Fino a questo momento ci siamo chiesti il perché dello strano comportamento di Sparrow... e se Sparrow non stesse agendo di sua iniziativa?-
- Ma sotto il comando della strega? È questo che volete dire?- terminai, sentendomi il cuore in gola.
Barbossa annuì. - Non conosco i poteri della strega, ma so per certo della sua esistenza e del lavoro che svolge all'interno della gilda. Silehard ha ottenuto la fiducia e il servizio di un numero spropositato di capitani pirata, e in poco tempo ha avuto la malavita di Tortuga ai suoi piedi... perché? Come ha fatto? Deve per forza esserci in ballo qualcosa di più del semplice potere del denaro o della paura. Quello che mi avete detto mi fa davvero sospettare che la strega possa fare agire gli uomini come vuole. Ergo... - sogghignò. - ...c'è davvero di che avere paura. -
- Quella strega è un avversario da togliere di mezzo. - ribattei caparbiamente. - Se Silehard ha fondato la sua gilda sui suoi poteri, vuol dire che possiamo farlo crollare con lei!-
Il capitano mi osservò con aria quasi divertita, inclinando il capo da una parte. - Perché volete dichiarare guerra a Silehard? Niente vi impedisce di prendere il largo e andarvene in mari meno movimentati; vi risparmiereste molte seccature... e molte vite, probabilmente. -
- Jack ha ucciso Will!- scattai, sostenendo il suo sguardo. - La gilda ha ucciso Will! E, se lasciamo che Silehard vada avanti in questo modo, che ne sarà di Tortuga? Sarà un brutto giorno quando i pirati non potranno stare tranquilli nemmeno qui!-
Questo lo fece scoppiare a ridere sul serio, e avrei probabilmente reagito male se non avessi capito che si trattava di una risata di approvazione: quando smise aveva un sorriso da un orecchio all'altro. - Quando avete ragione, avete ragione. - disse, senza smettere di guardarmi come se mi trovasse molto divertente. - Neanche io sono disposto a lasciare che un damerino sputasentenze si permetta di fare il bello e il cattivo tempo, né a Tortuga né in nessun altro angolo dei Caraibi. Per quello abbiamo già quella persecuzione della Marina. -
- Siamo d'accordo, allora!- esclamai, lasciandomi contagiare dal suo entusiasmo. - Voi sembrate saperne molto più di noi: aiutateci a fare cadere la gilda. -
- E riguardo a Jack Sparrow?- mi domandò lui a tradimento, terribilmente tranquillo. Era evidente che si era conservato quella domanda fino all'ultimo. Mi trovai ad esitare per un lungo, imbarazzante istante, prima di rispondere con un poco convincente: - Ci ha pur sempre traditi... -
- Voi lo amate, miss. - replicò lui, con un ghigno e una schiettezza disarmante. - Che cosa farete se vi troverete ad affrontarlo come nemico? Gli cascherete tra le braccia alle prime belle parole che vi dirà?-
- È improbabile, dopo che l'ho visto uccidere uno dei nostri migliori amici! Che lo abbia fatto di proposito oppure no. - ringhiai, punta sul vivo. Imperturbabile, Barbossa fece un cenno di assenso col capo.
- Molto bene. Se vi trovaste alle strette, lo uccidereste?-
- No. - sibilai.
- Non ci provate, capitano. - scattò Elizabeth, in tono fermo ma inequivocabile. - Nessuno di noi farà del male a Jack finché la situazione non sarà più chiara. Non potete usarci per risolvere le vostre faccende. -
- Mi stavo solo informando. Spero, allora, che vi atteniate alle vostre parole. - mi tese la mano, avvolta in un guanto di pelle nera senza dita. - Uniti contro la gilda, abbiamo un accordo?-
- Abbiamo un accordo. - gli strinsi la mano, e così suggellammo il patto.
Ci alzammo tutti e tre per lasciare la cabina e raggiungere il ponte, per informare la ciurma dei cambiamenti: mentre attraversavamo la porta, con la scimmietta che trotterellava sul pavimento davanti a noi, Barbossa aggiunse: - Per poter leggere nei pensieri di una persona, occorre un rituale particolare che comprende un oggetto di proprietà del bersaglio, quindi vi suggerisco di tenervi stretti i vostri effetti personali... specialmente quelli che avete tenuto accanto per un certo tempo, come indumenti o gioielli. Ma anche la storia degli incubi non mi è nuova: si racconta che i persecutori delle streghe ebbero incubi orrendi per anni, come pena per ciò che avevano fatto. Ci sono molti modi di gettare il malocchio su una persona... o su un'intera nave. Perciò, tutte e due, fareste meglio a dire agli uomini di controllare le navi e di raccogliere tutto quello che potrebbe sembrare sospetto, in particolare oggetti che assomigliano a piccole bambole. Se qualcuno ci ha appiccicato addosso dei feticci, voglio saperlo in tempo. -
- Feticci?- ripeté Elizabeth, accigliandosi, mentre uscivamo sul ponte sotto gli occhi della ciurma. - Le sacerdotesse di Calypso usano anche quelle cose?-
- Non si può mai sapere. - replicò lui, poi, rizzandosi in tutta la sua statura, volse lo sguardo attorno a sé sul ponte e gridò: - Avanti, ciurmaglia, portiamo queste navi in un posto più sicuro, muoversi!-
- Barbossa. - protestai, avanzando a mia volta. - Il capitano sono ancora io. -
Barbossa si voltò verso di me con un sorriso che forse voleva essere accattivante. - Scusatemi. Mi sembrava che aveste bisogno di un po' di incoraggiamento. -
Alzai gli occhi al cielo e lo seguii, mentre i pirati correvano ai loro posti, per portare le navi lontano dalla baia, al riparo dallo sguardo di Silehard e da quello della strega. Ero soprappensiero mentre camminavo in mezzo alla ciurma, così che ci misi qualche istante ad accorgermi del pirata che cercava di attirare la mia attenzione.
- Laura!- Connor mi raggiunse e si fermò davanti a me con tanta fretta che pensai fosse sul punto di dirmi qualcosa di importante: per qualche attimo si fermò, con la bocca aperta, senza sapere che dire. Ricominciò, vagamente imbarazzato. - Capitano... mi dispiace per quello che è successo. Davvero. -
- Non ce n'è bisogno, Connor. Ma grazie. - concessi, con un cenno del capo.
Il pirata mi scrutava, serio. - Va tutto bene?-
Una domanda stupida, viste le condizioni, ma sapevo che cosa intendeva davvero e in fondo apprezzai l'interessamento. - Non andrà bene per un bel pezzo, amico mio. - gli risposi, con un sorriso stanco, poi però indurii sia il tono che l'espressione. - Voglio una controffensiva. Adesso. E dobbiamo essere più rapidi della gilda. -
Connor strizzò gli occhi, scrutandomi con aria vagamente confusa. - Avete già qualche idea?-
- Me le farò venire. E in fretta, anche. -

*

Il sole tramontava sulla baia di Tortuga, mentre una nebbia leggera cominciava al aleggiare sul pelo dell'acqua. Una piccola nave prendeva il largo in quel momento: la chiglia sottile fendeva rapida le onde; sul pennone sventolavano alla brezza serale due bandiere, una nera col profilo di uno scheletro verde scuro, l'altra era uno squalo bianco su fondo nero.
Aveva appena sorpassato gli scogli che abbracciavano la baia, quando una seconda nave emerse dalla nebbia: quelli a bordo della prima imbarcazione non fecero in tempo neppure a chiedersi da dove fosse spuntata, che quella fece fuoco a tutta potenza.
Era stato un agguato in piena regola; i cannoni erano già puntati sulla preda: le palle di cannone sfracellarono la chiglia, strapparono le vele, mandarono in pezzi l'albero maestro.
- Rispondete al fuoco! Rispondete al fuoco!- gridò il capitano della nave condannata.
A bordo della Sputafuoco, Elizabeth si voltò, repentina, verso gli uomini della sua ciurma, pronti ai cannoni. - Fuoco!- urlò a pieni polmoni.
Un'altra bordata, e la piccola nave fu sventrata ancora prima di poter rispondere di un solo colpo: l'acqua si colorò di rosso e nero, i morti e i sopravvissuti, sbalzati fuori dall'imbarcazione distrutta, riemersero fra le macerie fluttuanti. A quel punto, la Sputafuoco alzò le vele e si allontanò, rapida come era arrivata, lasciando dietro di sé la scia del fumo acre dei cannoni.

*

Una scialuppa ormeggiò al molo col favore delle tenebre: uno degli uomini dell'equipaggio si sporse dall'imbarcazione e strinse gli occhi, distinguendo alcune figure che attendevano nell'ombra, a pochi passi da lì. Con cautela emise un basso fischio, e si rilassò sentendo rispondere con due fischi più acuti: solo allora lui e gli altri contrabbandieri rimossero il telo dal fondo della barca, rivelando alcune casse di legno accuratamente allineate.
Nel frattempo, il drappello di uomini sul molo si era avvicinato alla barca. Uno dei contrabbandieri si alzò in piedi per posare il suo carico sulla banchina, quindi, quasi per caso, alzò gli occhi e improvvisamente ebbe un sobbalzo. - Ehi! Tu non sei dei nostri!- esclamò.
Non aveva neanche finito di dirlo che la lama della spada gli sferzò la gola, mandandolo boccheggiante e sanguinante a cadere in acqua con una grande spruzzo.
- Ci puoi giurare che non sono dei vostri, canaglia!- replicò Barbossa, sprezzante.
Al suo segnale io feci fuoco, con la pistola fermamente puntata addosso all'uomo che avevo più vicino, e tutto il resto della mia truppa con me: i contrabbandieri della gilda cercarono di opporre una disperata e frenetica resistenza, ma eravamo troppi, e tutti armati di pistole. Morirono in fretta, sulla loro barca, crivellati di colpi.
Una volta che fu tutto tranquillo, Barbossa si chinò per aprire la cassa che il contrabbandiere aveva caricato sulla banchina prima di morire: una volta rimosso il coperchio, rivelò contenere dei fucili nuovi di zecca. - Niente armi, stasera, per la gilda!- commentò in tono vivace, spingendo la cassa di nuovo nella barca.
- Due di voi portino questa barca e il carico alla Perla; gli altri con me. - ordinai in fretta, rinfoderando le pistole ancora fumanti. - Torniamo alle barche più in fretta possibile, e torniamo alla nave. -
Rapidi e silenziosi abbandonammo il campo, rintanandoci nell'oscurità per sfuggire agli eventuali curiosi che sarebbero potuti intervenire, richiamati dagli spari. Scavalcai il corpo di uno degli uomini della gilda che avrebbe dovuto ricevere i contrabbandieri, e di cui ci eravamo occupati in precedenza appena eravamo venuti per appostarci. Nemmeno Silehard avrebbe dormito sonni tranquilli, quella notte.





Note dell'autrice:
Ebbene sì: si riparte! Prima di tutto, per questo capitolo devo ringraziare Billy, che col suo entusiasmo, la sua instancabile vena di fan e di lettrice, i suoi commenti e il suo occhio per gli errori (allenatissimo!) mi ha ridato la voglia di scrivere. Questo è per te! E poi devo fare un ringraziamento speciale a Capitan Alwilda che in questi giorni mi ha omaggiata di ben tre disegni ispirati alle mie storie: rispettivamente questo, questo e questo! Sono lusingatissima per queste fanart (che, lo giuro, erano totalmente inaspettate) e sono molto felice di averti a bordo, matey. Grazie a Fannysparrow (sono riuscita a sconvolgerti con l'ultimo capitolo, eh?) e alla nuova arrivata MeStYu93. Per il resto, dico solo che sto lavorando ai nuovi capitoli, e spero di poter essere un po' più rapida coi prossimi aggiornamenti!
PS: Non potevo non segnalare anche questo ultimo gioiellino sfornato da Daniela: senza parole, matey. Grazie. Come sempre!

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Capitolo 12
*** Bugiardi ***


Capitolo 11
Bugiardi.



I due uomini cenciosi scaricarono con malagrazia il cadavere ai piedi di Silehard.
Quello lo fissò con gli occhi ridotti a fessure, quindi alzò lo sguardo sui due malandrini con la stessa espressione. - E questo che cosa significa?- sibilò, con un tono che, al pari degli occhi, non prometteva niente di buono.
- È quello che abbiamo trovato nel posto dove doveva esserci lo scambio, signore. Tutti morti. Merce sparita. - l'uomo spostò il braccio del morto con il piede. - Prima ci affondano la nave di Avery... adesso questo!-
Silehard notò che nella mano stretta a pugno del morto era stato infilato qualcosa. Qualcosa che sembrava un foglietto di pergamena. Ignorando i due portavoce e tutti gli altri che, nella sala della gilda, tenevano gli occhi puntati addosso al morto, si inginocchiò ed estrasse il foglietto dalle dita contratte dello sfortunato. Rialzatosi in piedi, lo fissò a lungo, con gli occhi che mandavano lampi. Sulla pergamena spiegazzata, qualcuno aveva disegnato lo schizzo di un passero in volo contro un sole che tramontava sulle onde.
Si voltò di scatto, e a grandi passi raggiunse Jack, il quale se ne stava tranquillamente seduto ad un tavolo e stava a guardare insieme agli altri. Sbatté il foglietto sul tavolo e lo passò al pirata perché lo prendesse. Dopo un attimo di esitazione, guardandosi attorno come a chiedere il permesso, Jack prese il disegno e lo studiò con blanda curiosità, mentre attorno a lui tutti i ladri della gilda sprofondavano in un silenzio di tomba.
Quando lo ebbe osservato a sufficienza, rialzò gli occhi su Silehard. - Con questo volete dire che pensate che abbia a che fare con me?- domandò, in tono del tutto innocente.
- Non farmi perdere la pazienza, Sparrow. - ribatté seccamente Silehard. - La tua storia mi sta dando fin troppi problemi. Io ho rispettato la mia parte del patto, ma cosa mi dici di te? Sei una delusione. Una grossa delusione! A cosa mi serve che tu abbia tolto di mezzo Turner? A cosa mi servono i tuoi servigi di capitano se non hai neanche la nave sulla quale contavo?-
- Non è colpa mia!- si giustificò Jack, allargando le braccia.
- Ma è colpa della tua donna!- il capo della gilda si stava infervorando. - La sua interferenza non era prevista negli accordi, come non era previsto che ti lasciasse senza nave da un giorno all'altro... e che sferrasse attacchi diretti alla mia gilda! A cosa mi serve... - alzò la voce, alzando lo sguardo per rivolgersi a tutti i presenti nella sala. - ...un buffone di capitano che si fa soffiare la nave dalla sua compagna di letto?-
Un coro di risate più o meno forzate accompagnò le sue parole: quando Silehard voleva sbeffeggiare qualcuno in pubblico, non stare al gioco sarebbe stato assai poco saggio. Jack incassò la provocazione facendo spallucce e ostentando una faccia colpevole, ma quello al capo della gilda non bastò neanche un po'. Per la prima volta provò davvero l'impulso di frantumare quella maledetta faccia di bronzo, fosse stato anche solo per capire cosa diavolo ci fosse nascosto dietro.
- Tu non vali niente, Sparrow. - sibilò, scandendo le parole. - D'ora in avanti, questa faccenda è affare tuo. Io rispetto i patti se sono messo in condizione di farlo, perciò, se vuoi la tua nave e la tua puttana tutte intere, vai a fermare lei con la forza, se è necessario, e rimetti le mani sulla tua nave. Ferma quella maledetta spina nel fianco, è un ordine. Oppure, da adesso in poi, non ci faremo scrupoli a liberarci di lei alla vecchia maniera appena ne avremo l'occasione. -
Il mormorio concitato dei briganti accolse con approvazione le parole del capo della gilda. Jack chinò il capo con aria remissiva, accettando di buon grado la strigliata, e Silehard non poté fare a meno di chiedersi se la pozione di Imogen stesse già avendo su di lui gli effetti che provocava a lungo termine ai suoi tirapiedi. Ma, se così fosse stato, oltre che silenzioso, obbediente e facilmente manovrabile, avrebbe anche dovuto diventare... prevedibile. Cosa che -Silehard lo temeva più di quanto volesse ammettere- Jack Sparrow non era affatto.
- D'accordo, d'accordo. - rispose il capitano. - Cercherò di non costringervi a misure così... uhm... drastiche. -
- Bravo. E ora fa il favore e sparisci. - con un brusco cenno del capo, Silehard gli voltò le spalle. - E portate via il cadavere di quell'imbecille!- gridò, come per un ripensamento, indicando l'uomo morto che ancora giaceva a terra come un sacco di rifiuti.
Poco dopo, nella sala tornò il consueto caos, e in breve l'accaduto fu dimenticato. Jack si rigirò tra le mani il foglietto col disegno del passero, scrutandolo di sottecchi. Infine se lo mise in tasca e si alzò: era ora di tornarsene a quello che aveva eletto suo alloggio provvisorio, ovvero la fucina di Tiago Marquina. Mentre si avvicinava all'imboccatura del condotto che l'avrebbe portato a destinazione, come spuntato dal nulla gli apparve accanto il ragazzo lentigginoso, che cominciò a seguirlo senza dire una parola.
Jack lo notò e roteò gli occhi con una certa esasperazione, mentre sganciava una lanterna dal suo sostegno e la accendeva. - Toby. Stai diventando assillante. -
- Mi chiamo Tobias. - rispose il ragazzo in tono rude, senza rallentare il passo. - Lo sai che, finché non avrai dato prova della tua lealtà, sei sorvegliato. Considerami il tuo angelo custode. - ghignò, compiaciuto.
- Allora mi curerò di rimanere inaffidabile, visto che questo compito sembra farti sentire così importante. -
Tobias sbuffò, indispettito, ma non replicò: i due camminarono a lungo nel buio condotto che, intrecciandosi con altri, formava un'intricata rete di corridoi che si allargavano sotto Tortuga come tane di topi. Jack pensò che era davvero una fortuna avere una lanterna sottomano e avere imparato in fretta il percorso, altrimenti lui e il ragazzo avrebbero probabilmente finito per perdersi in quel dedalo di gallerie.
Giunti finalmente a quello che sarebbe potuto sembrare un vicolo cieco, spinsero insieme la parete di legno, la quale scivolò lentamente di lato fino ad aprirsi sull'interno dell'armeria di Tiago Marquina. Il muto era al suo posto dietro il bancone, intendo a lucidare meticolosamente le spade. Vedendo entrare i due, sollevò gli occhi -quello sbendato, se non altro- e li degnò appena di uno sguardo vacuo.
Tobias gli scoccò un'occhiata, aggrottando le sopracciglia: il muto sembrava anche meno in forma del solito. Era sempre più pallido; il biancore del viso spiccava netto contro lo straccio grigio sporco che gli bendava l'occhio sinistro. Tra sé, Tobias si trovò a pensare che a breve lo scorbuto si sarebbe mangiato quanto restava del vecchio barcollante.
- Buonasera, amico mio!- lo salutò vivacemente Jack, mentre si liberava del proprio cinturone per depositarlo rumorosamente sul banco. Non ebbe altra risposta se non una vaga occhiata dallo svitato armaiolo.
- Vi lascio. - si congedò freddamente Tobias, rientrando nel cunicolo con la lanterna in mano e richiudendo dietro di sé la rastrelliera di armi che nascondeva la porta scorrevole. L'apertura si richiuse con un tonfo, senza lasciare nessuna traccia se non un leggerissimo dislivello sulla parete.
Jack si buttò su di una sedia e si stiracchiò, posando i piedi sul bancone. - Giornata lunga. - commentò, poi si frugò in tasca e ne estrasse il disegno appallottolato. Tiago sembrò improvvisamente incuriosito da quel particolare, e fece un cenno per indicare il foglietto.
- Oh, questo?- fece il capitano, sollevandolo. - Qualcuno spedisce le lettere d'amore nelle bottiglie; a me arrivano i biglietti nelle mani di un morto. Be', quello che conta è il pensiero, come si suol dire. - diede un'ultima occhiata al disegno con un sorrisetto, prima di rimetterselo in tasca con cura, poi si alzò e tornò alla rastrelliera di armi. La aprì bruscamente, infilando rapido la testa nell'apertura.
- Sembra che Tobias stia perdendo l'abitudine di origliare. Bravo ragazzo. - commentò, soddisfatto, mentre si ritraeva e richiudeva la porta scorrevole. Tiago fece un piccolo sorriso.
- Bene, io vado a dormire. - Jack si diresse a grandi passi verso la stanzetta del retrobottega, dove c'erano due piccole brande sgangherate. - E già che sei lì a rassettare le spade, dai una passata anche alla mia, che sta perdendo un po' il filo. -
- Ora non te ne approfittare. - disse il muto.

*

Era stata una mia idea, una sorta di personale ripicca.
Ci pensavo intanto che osservavo, alla luce tremolante delle lanterne della sala ufficiali, lo schizzo che avevo disegnato più volte sui brandelli di una pergamena: il simbolo del passero, ovunque.
Mi ero divertita a lasciarlo dietro di me come una firma, uno schiaffo in faccia a Silehard e, sì, anche a Jack. Io, Barbossa, i miei uomini ed Elizabeth con la sua ciurma avevamo sferrato diversi colpi a tutti i poli della gilda che conoscevamo, dall'alba al tramonto. Ora che era scesa la notte, la Perla e la Sputafuoco erano ormeggiate a largo della costa occidentale di Tortuga, dove una fitta foresta ci separava dalla città. Se fossi salita sul ponte, all'orizzonte avrei visto solo il profilo scuro della parte boscosa dell'isola, senza nemmeno una luce umana a rischiarare l'oscurità.
Ad un tratto, la porta della cabina si spalancò, e Barbossa entrò di gran carriera, seguito dalla sua inseparabile scimmietta: come entrò, si diresse al tavolo e in un solo gesto rabbioso spazzò via tutte le carte con una mano.
- Via questa roba!- ordinò seccamente, com'era nel suo stile. - Che cos'è, un'altra delle vostre brillanti idee? Ci farete ammazzare!-
Mi feci indietro con la sedia, incrociando le braccia: la scimmietta era balzata sul tavolo e mi fissava con gli occhietti brillanti sgranati. - Non capisco cosa volete dire, capitan Barbossa. -
- Sto parlando di questa pagliacciata!- rispose lui, agguantando uno dei foglietti col disegno del passero. - Vi piace lasciare la vostra firma in modo che possano venire a tagliarvi il collo più rapidamente?-
- Sanno benissimo che si tratta di noi; io non rivelo niente di più. - replicai. Barbossa roteò gli occhi con aria esasperata, stringendo entrambe le mani come artigli sul bordo del tavolo.
- Se a voi diverte, non è un mio problema. - fece, scandendo le parole. - Ma agli uomini della ciurma sembra essere piaciuta molto la vostra bravata, e cosa vogliono fare adesso? Anche loro vogliono mettersi a lasciare la vostra dannata firma su ogni uomo della gilda che colpiamo. “Così li spaventeremo!” dicono... “Così gli sembrerà che siamo dappertutto!”- storse il naso. - Che branco di idioti. -
Mi scappò una risatina, e sogghignai. - Adesso esagerano un po', è vero. - concessi, senza sbilanciarmi.
- Esagerano un po'? Ammetto che prendere il nemico per i fondelli può essere divertente... - continuò il capitano con più calma, ma i suoi occhi color ferro mandavano lampi. - Ma, se continuate così, ci metterete in pericolo tutti. Come possiamo mandare gli uomini come spie, se basta che gli trovino addosso uno di quei ridicoli disegni per farli smascherare? Non possiamo permetterci di rischiare per uno stupido gioco. -
- Capisco. - mi alzai e feci il giro del tavolo, voltando le spalle a Barbossa per fissare il buio fuori dalla vetrate: da quando aveva messo piede sulla Perla aveva fatto di tutto per mortificarmi, ma non intendevo permettergli di continuare a farlo. - Dirò ai miei uomini di non essere imprudenti. -
- Fareste meglio a non esserla nemmeno voi. - replicò lui, laconico.
Mi voltai a guardarlo, facendomi scura in volto. - Il nostro scopo l'abbiamo raggiunto, no? I piani restano quelli accordati, e sono più che sicura che ogni pirata, me compresa, farà del suo meglio. Questi... - accennai ai foglietti sparsi sul tavolo. - ...sono poco più che uno scherzetto. Che Silehard veda che noi non ci arrendiamo facilmente. E che anche Jack veda che non ci può ignorare. -
Alle mie ultime parole, un sorriso strano si era allargato sul viso bruciato dal sole del capitano: la scimmietta camminava a quattro zampe sul tavolo, frugando dappertutto con le manine pelose.
- Dunque, è un messaggio anche per lui, miss? Non perdiamo di vista il comune obbiettivo... - il sorriso scomparve dalla sua faccia, e lui mi puntò contro l'indice con fare accusatore. - Non sono qui per salvare Jack Sparrow. Ci odiamo di tutto cuore da anni, e voi gli assomigliate troppo per andarmi a genio. Io sono qui solo per la Perla. -
- Voi siete qui perché io ho bisogno di voi, e perché voi avete bisogno di me!- scattai con rabbia, fronteggiandolo dal lato opposto del tavolo. Barbossa sbuffò, indispettito, poi si fece lentamente indietro mentre mi squadrava con un'irritante aria di sufficienza.
- Non mi impressioni, ragazza. - replicò, tranquillo, lasciando cadere ogni forma di cortesia. - Ma siamo qui per aiutarci a vicenda contro un avversario scomodo. Questo è tutto. - e, senza aggiungere altro, con tutta la calma del mondo mi voltò le spalle e si diresse alla porta. - Vieni, Jack. - ordinò alla scimmia, la quale, in men che non si dica lo seguì in quattro balzi e gli si arrampicò su una spalla.
Tornai a sedermi al tavolo con un sospiro: tutti gli attacchi che avevamo programmato erano andati a segno con precisione stupefacente, e questo anche grazie alla supervisione di Barbossa. Ma allora, perché riuscivo a sentirmi solo amareggiata?
Erano morte molte persone quel giorno, e il pensiero non mancava di darmi la nausea anche se mi ero ripetuta fino all'inverosimile che lo facevo per fermare Silehard. Per vendicare William. Per salvare i miei amici. Per Jack? L'indomani ci aspettavano altri grossi sgambetti da tendere ai nostri nemici: altre missioni più o meno furtive. Potevamo contare solo sulla fortuna e sull'abilità dei nostri uomini.
Ripensai alle parole di Barbossa, mentre mi rigiravo tra le dita uno dei fogli col disegno del passero. Davvero somigliavo a Jack? Forse, come avrebbe detto Faith, a forza di stare troppo tempo insieme a lui avevo finito per acquisirne i modi. Buffo.
Ma non c'era niente di buffo nella solitudine di quella cabina, dove mi sembrava di avvertire la sua presenza in ogni angolo, in ogni oggetto, in ogni ombra tremolante alla fiamma delle lanterna: e non riuscivo a capire se la sensazione della sua presenza fosse rassicurante o spaventosa.

*

Jonathan risalì lentamente le scale fino ad uscire sul ponte di coperta, riempiendosi con piacere i polmoni dell'aria fresca della notte: il ponte era deserto, la nave aveva calato l'ancora e rollava lievemente sul mare calmo. La sponda boscosa di Tortuga era scuro contro il cielo tappezzato di stelle: accanto alla Perla, anche la Sputafuoco se ne stava ormeggiata, immersa in un silenzio rotto solo dal respiro del mare.
Il giovane prese a vagabondare a passi lenti lungo il ponte: non riusciva a dormire, e il russare degli altri pirati nelle amache di sottocoperta non conciliava certo il sonno. Ma non era solo quello: era da quella mattina, da quando i due capitani si erano fronteggiati dalle navi avversarie, che sulla Perla si respirava un'aria pesante. Paura. La paura di non sapere che cosa dovevano aspettarsi.
Aggirò l'albero maestro, avvicinandosi al castello di prua, e ad un tratto si accorse di una figura ferma accanto al bompresso. Si fermò, poi però riconobbe la chioma di capelli neri agitata dalla brezza.
- Valerie?- la chiamò a bassa voce, avvicinandosi.
La ragazza si voltò e gli lanciò uno sguardo: non sembrava colta di sorpresa. - Ciao Jonathan. - lo salutò, in tono pensieroso. Jonathan le si accostò e le cinse la vita con le braccia: lei sospirò profondamente e si abbandonò contro la sua spalla come se non desiderasse altro, ricambiando l'abbraccio.
- Perché non sei a dormire? Oggi abbiamo solo cominciato, ci aspetta ancora un bel po' di lavoro ingrato domani. - le disse dolcemente il ragazzo.
- Magari è proprio per questo che non dormo. - rispose lei, senza spostare la testa dalla sua spalla. Jonathan le carezzava i capelli, avvertendo il nervosismo nella sua voce.
- Non avere paura. -
- Non ne ho!- rispose lei, staccandosi improvvisamente un poco da lui per guardarlo in faccia. - Insomma... non per quello che dobbiamo fare. È tutto quello che è successo prima che mi preoccupa: quello che ha fatto Jack... e sono preoccupata per Laura. -
Jonathan annuì, con le mani sui fianchi morbidi di Valerie. - Lo so... - disse, cercando di essere confortante. Non c'era paura sul viso di lei, proprio nessuna: solo una tristezza così evidente da fargli male al cuore. Dentro di sé sapeva di non essere mai riuscito a comprenderla fino in fondo, così come non comprendeva il suo carattere sfuggente. Gli aveva detto di amarlo, una volta, eppure gli sfuggiva. Era preoccupato per lei. Era geloso, anche se sapeva di non averne il diritto. - Mi dispiace, piccola, io... -
Valerie gli gettò le braccia al collo e lo strinse a sé con impeto; il ragazzo ricambiò, affondando il viso nei suoi capelli, stringendola tanto forte che sembrava non volerla più lasciare.
- Resta qui, Jonathan. - gli sussurrò lei all'orecchio. - Resta, per favore. -
- Adesso vuoi che resti?- mormorò lui in risposta, in tono quasi lamentoso. Avrebbe voluto osare di più: avrebbe voluto chiederle che gusto ci provava a gettarsi tra le sue braccia solo quando ne sentiva il bisogno, e perché quella sera scegliesse lui e non qualcun altro. Avrebbe voluto dirle del dolore sordo che aveva provato quando l'aveva vista ballare con Connor. Ma non disse niente: Valerie premette la propria bocca sulla sua, facendogli dimenticare qualunque pensiero razione.
Le piaceva il suo odore. Le piaceva farsi stringere da quelle braccia robuste. Le sue labbra scivolarono sul collo del ragazzo, scendendo e poi risalendo di nuovo fino al mento pungente di barba corta, e poi a incontrare ancora la sua bocca per un nuovo bacio intenso, quasi frenetico.
- Resto con te. - mormorò Jonathan tra le labbra di lei, carezzando con le dita il collo abbronzato, il profilo dei seni sotto la camicia. - Io resto con te, Valerie. -
Valerie quasi si stupì di come i loro gesti diventassero semplici, spontanei, e soprattutto di quanto quella sensazione familiare le fosse mancata, mentre Jonathan la adagiava sul legno scuro e si chinava su di lei, nascosti nell'ombra tra la murata e il bompresso. C'era solo il fresco del legno sotto la sua schiena nuda, il calore quasi rovente del corpo di Jonathan sul suo, i baci che non li lasciavano mai sazi. Stringendosi al ragazzo, Valerie aveva spalancato gli occhi verso l'alto, verso il cielo blu cupo che faceva loro da tetto, con le stelle che ora sembravano così luminose da abbagliarli.
“Quante...” pensò, prima di abbandonarsi completamente, col respiro di Jonathan nelle orecchie, mentre si chiedeva se fosse così sbagliato amare il suo tenero e ribelle compagno, ma pensare nel frattempo a qualcun altro.

*

Sgattaiolai rasente il muro, facendo del mio meglio per passare inosservata agli occhi dei presenti nella locanda. L'avevo fatto di nuovo: sapevo che Barbossa non sarebbe stato contento, ma dovevo sapere, e non mi accontentavo di mandare spie per la città come avevamo fatto negli ultimi due giorni.
La situazione, quel giorno, era peggiore di quanto ricordassi: se prima la gilda agiva pressapoco in silenzio, come una malattia che aveva già infettato tutto la città ma del quale nessuno parlava, ora Silehard sembrava essere infine sceso in campo con tutte le sue forze. Gli uomini della gilda camminavano in piccoli gruppi armati fino ai denti, pattugliando a loro piacimento le strade della città, e ogni tanto picchiando chiunque ritenessero avere un'aria sospetta, o particolarmente danarosa.
Cercavano noi. Prima non capivo come un qualsiasi genere di potere avrebbe mai potuto imporsi sull'anarchica Tortuga, ma ora vedevo che il piano di Silehard era di una semplicità disarmante: in una comunità selvaggia e senza leggi come l'isola dei pirati, gli era bastato imporre le sue regole con la forza, l'oro, e con un gran numero di uomini pronti a tutto. E nessuno, lì, si sarebbe mai sognato di organizzare una resistenza contro di lui.
Nessuno tranne noi.
Mi accovacciai tra le botti, col cuore in gola: il rumore della locanda di aveva coperta, ma ero ben lontana dal sentirmi al sicuro. Ero sbarcata da sola sul molo, a bordo di una scialuppa, e mi ero addentrata nei vicoli osservando come si erano messe le cose dall'ultima volta che avevo messo piede in città. Ero vestita da uomo e dubitavo che qualcuno mi avrebbe riconosciuta, ma sfortunatamente i gruppi armati che pattugliavano le strade erano molti più di quanto ricordassi: prima che qualcuno di loro cominciasse a seguirmi o tentasse di fermarmi -cosa che non potevo assolutamente permettere- ero fuggita a rintanarmi all'Albatro.
La porta della locanda sbatté con violenza, ed io imprecai a bassa voce mentre mi appiattivo ancora di più nell'angolo tra i barili accatastati. Cinque uomini dall'aria per niente rassicurante entrarono di gran carriera, scansando senza tanti complimenti tavoli e avventori, puntando le armi a caso contro i primi che trovavano.
- Nessuno si muova!- sbraitò uno, agitando attorno a sé le pistole come se fossero mazze. - Tenete le mani dove posso vederle, e alzate quelle brutte facce! Se c'è qualcuno nascosto, giuro che lo sgozzo!-
Respirai profondamente, con la schiena appiccicata alla parete. Fra le proteste dei presenti, gli uomini avanzarono, agguantando a forza la gente per guardarla in faccia. Imprecai di nuovo: a questo punto ero sicura che tutti conoscessero bene la mia faccia, e forse anche quella di Barbossa, e che ci stessero dando una caccia spietata. Cercando di essere più silenziosa possibile, avanzai carponi e mi infilai sotto una lunga tavolata che correva lungo un buon pezzo di parete, arrancando sul pavimento, finché non fui abbastanza lontana dai miei inseguitori. In ogni caso, sfortunatamente, non avevo vie d'uscita.
Ad un tratto, qualcuno si fermò proprio davanti al tavolo sotto il quale ero rintanata: mi arrestai di botto, con la mano che già correva alla pistola, ma un attimo dopo riconobbi la tonaca grigia, tanto lunga da spazzare il pavimento sporco.
- Miss Laura... - bisbigliò frate Matthew, abbassandosi sotto il tavolo: al riconoscere i tratti marcati del suo viso mi sentii quasi svenire dal sollievo, ma non avevo tempo da perdere.
- Fatemi uscire da qui!- lo supplicai, in un bisbiglio concitato. Frate Matthew gettò una rapida occhiata attorno a sé, quindi mi fece cenno di seguirlo. Uscii a quattro zampe da sotto il tavolo e mi nascosi alla meno peggio dietro la tonaca del frate, che camminava lento, rasente il muro. Sudavo freddo. Non ce l'avremmo mai fatta, così. Fortunatamente, a pochi passi da noi c'era la porta della cantina: frate Matthew la aprì e mi diede un colpetto col ginocchio per farmi strisciare all'interno; incespicai carponi sulle scale, mentre la porta si richiudeva alle mie spalle, sprofondando la stanza nell'oscurità. Il buio avrebbe dovuto forse darmi sollievo, ma non ebbi tempo di pensarlo, perché le mie mani tese in avanti mancarono un gradino, così che scivolai e mi feci il resto della scala ruzzolando.
- Ahia...!- mi morsi le labbra, maledicendo il piccolo strillo che mi ero fatta sfuggire, quindi mi rialzai malamente in fondo alla scala. Sgattaiolai via alla cieca, urtando contro a casse e altri oggetti che non riuscivo a vedere, e imprecando in silenzio ogni volta per il rumore -seppur lieve- che facevo. Infine mi decisi a fermarmi in mezzo a quelle che immaginai fossero casse di cibarie, e attesi. Sentivo da sopra le voci degli uomini di Silehard, e mi chiedevo quanto sarebbe passato prima che a qualcuno venisse in mente di controllare la cantina.
Con mia grande sorpresa -e sollievo- non venne nessuno. Attesi per lunghi minuti, la tensione che mi stringeva lo stomaco a tal punto che quasi arrivai a desiderare di vedere la porta aprirsi, solo per farla finita con quell'attesa snervante. Alla fine la porta si aprì davvero, ma non entrarono gli uomini di Silehard, bensì frate Matthew, con una lanterna in mano.
- Grazie al cielo, se ne sono andati. - esclamò, col suo solito modo buffo di arrotondare le erre, mentre scendeva le scale in tutta fretta. - Qualcuno li ha richiamati fuori. Qui però non siete al sicuro, e farvi uscire dalla porta di certo non è un'ottima idea. Seguitemi, presto. - sollevò la lanterna davanti a sé e mi superò, per poi farmi strada verso un angolo della cantina. Posata la lanterna a terra, si mise a spostare di buona lena alcune casse, fino a rivelare una porticina nascosta incassata nel muro.
- Ma c'è un angolo di Tortuga senza passaggi segreti?- commentai, con una risata amara e nervosa.
Frate Matthew non rise, mentre apriva il piccolo passaggio: non era altro che un minuscolo corridoio, terminante con una scala a pioli che saliva verso l'alto, probabilmente verso una botola sull'esterno. - Non dovete girare da sola per Tortuga. Tutti stanno cercando l'equipaggio della Perla Nera e il suo capitano, e sono disposti a tutto. - si spostò per farmi passare. - Tornate alla vostra nave e rimaneteci: non voglio che vi accada qualcosa di male. -
- Frate Matthew... grazie. - feci in tempo a dirgli, appena prima che richiudesse la porticina dietro di me.
Mi arrampicai su per la scaletta a pioli e trovai la botola: un chiavistello la chiudeva dall'interno; lo sbloccai e sbucai in un vicolo cieco invaso dai rifiuti, proprio nel retro dell'Albatro. Richiusi la botola e mi guardai in giro: non c'era nessuno in vista; l'uscita segreta era ben nascosta da cumuli di spazzatura. Sul muro di fronte a me, una scala di legno rosa dai tarli era appoggiata all'edificio accanto. Tirai un sospiro di sollievo.
Poi mi voltai, e mi trovai sotto il tiro di cinque pistole.
- Ferma dove sei!-
Balzai indietro: i cinque bruti di Silehard erano spuntati da dietro l'angolo, chiudendomi ogni via di fuga, Rimasi senza parole per qualche istante: sapevano da dove sarei uscita? Era stato proprio frate Matthew a tradirmi?
Il più grosso dei cinque si fece avanti con un ghigno sulle labbra. - Non fare storie, piccola stupida, e forse Silehard deciderà di non essere troppo duro con te... -
Afferrai a mia volta la pistola e la puntai contro di loro: sentii lo scatto quasi simultaneo del cane di tutte quante, che le caricava in pochi, letali secondi. Cinque contro uno: avrei avuto il tempo di piazzare una sola pallottola, e me ne sarei trovata in corpo almeno quattro. Il braccio cominciava a tremarmi.
- Fermi!-
Due degli uomini si voltarono di scatto, mentre gli altri tre continuavano a tenermi sotto tiro: il mio cuore, invece, fece un salto mortale nel petto, perché avevo riconosciuto la voce che veniva da dietro l'angolo del vicolo. Tentai la sorte e, approfittando dell'attimo di distrazione, balzai sulla scala appoggiata al tetto della casa a fianco.
- Ehi!- sentii urlare uno degli uomini, mentre risalivo a razzo i pioli scricchiolanti: la detonazione della pistola arrivò con un solo, prezioso attimo di ritardo, e il proiettile scalfì il muro ad un palmo di distanza dalla mia gamba sinistra.
- Non sparare, idiota!- protestò un altro, e non mi presi la briga di restare per scoprire perché non mi volessero morta. Ero sul tetto: la scala mi fu sfilata da sotto i piedi proprio mentre raggiungevo la meta, ma riuscii ad issarmi all'ultimo secondo con le gambe che ancora penzolavano nel vuoto. Libera!
Scattai in piedi, reggendomi in equilibrio precario sul piano inclinato, e corsi su per il tetto incespicando sulle assi traballanti. Sentii che dietro di me qualcuno risaliva la scala per inseguirmi, ma non mi fermai a controllare. Appena ebbi acquistato un po' di equilibrio, corsi a rotta di collo sulla cima stretto del tetto e poi mi lasciai scivolare dall'altra parte: le assi rullavano sotto i passi di corsa miei e del mio inseguitore.
Un altro edificio continuava, attaccato al primo: saltai sul secondo tetto senza rallentare, barcollai per un istante interminabile, e solo in quel momento riuscii a guardarmi alle spalle.
Jack era lì, con me, in cima al tetto: i piedi uno davanti all'altro sullo spazio precario, le braccia spalancate per tenersi in equilibrio. Avanzando, guardò dritto verso di me e inarcò un sopracciglio.
- Questa non è stata un'ottima idea, lo sai?- commentò, mentre saltellava fino alla fine del tetto.
Corsi lontano da lui, tenendomi in equilibrio sul cornicione: il prossimo tetto distava circa un metro, separato da una stradina stretta. - Prova a prendermi!- gli gridai di rimando, mentre mi piegavo per saltare.
Jack sgranò gli occhi e prese ad agitare le braccia verso di me. - Ohi! Ferma!-
Non gli diedi retta e spiccai un balzo. Arrivai al tetto vicino per un soffio: i piedi mi scivolarono sul cornicione, ma riuscii a tuffarmi in avanti e atterrare a faccia in giù sul tetto, aggrappandomi forte per non scivolare. Salva per un pelo. Fui quasi convinta di sentire Jack che tirava un sospiro di sollievo, ma non ebbi il tempo di accertarmene, perché mi voltai e lo vidi prepararsi a saltare dietro di me.
Non aveva nessuna intenzione di lasciarmi scappare. Mi tirai su e mi arrampicai sul tetto: questo era molto più grande di quello che avevo appena lasciato, ma le assi di legno cigolavano sinistramente sotto il mio peso.
Jack saltò. Io corsi dalla parte opposta, ma l'attimo dopo sentii il tetto crollarmi sotto i piedi: senza poter fare nulla per fermarmi, precipitai in una nuvola di polvere, calcinacci e legno spezzato.
La caduta fu breve, ma dolorosa. Emersi malamente dal mucchio di assi spezzate con un grugnito di dolore; la gamba destra mi faceva male, e tutto il fondoschiena risentiva della botta. Mi alzai e mi mossi zoppicando, guardandomi attorno: sembrava che fossi precipitata nella bottega di un fabbro, perché il locale era un'unica grande stanza piena di attrezzi, con una grossa forgia spenta che occupava un intero lato.
Un'ombra si affacciò sul cerchio di luce proiettato sul pavimento dal buco nel tetto. Arretrai, mentre osservavo Jack chinarsi, aggrapparsi alle assi e dondolarsi per atterrare con precisione a terra, barcollando come suo solito.
Non fiatai. Non mi mossi nemmeno; feci solo scivolare lentamente la spada fuori dal fodero. Jack era solo a pochi passi da me, e mi guardava senza parlare: per come lo vedevo, poteva non essere passato nemmeno un minuto dall'ultima volta che eravamo stati faccia a faccia. Il cappello in testa, le mani a mezz'aria, nella sua consueta, bizzarra posizione da finto ubriaco.
Ci guardammo in silenzio per un pezzo. Che cosa c'era da dire? Ricordare le circostanze in cui lo avevo visto in faccia l'ultima volta era insopportabile.
Infine, Jack si decise e mosse un passo verso di me. Non aveva sguainato la spada. Io puntai la mia.
- Non ti avvicinare. - lo ammonii, secca. La gamba mandò una fitta dolorosa quando mi ci appoggiai: ce l'avrei fatta a combattere?
Lui batté le palpebre, con aria vagamente sorpresa. - Altrimenti?- replicò.
- Altrimenti ti dimostro che questa non è qui solo per bellezza. -
Ridacchiò sotto i baffi, cosa che mi procurò un ribollire di rabbia silenziosa, quindi tornò ad avvicinarmisi con un curioso sorriso sul volto.
- Oh, andiamo, Laura... - fece, senza smettere di sorridere, e allargando le braccia. - Tu mi ami. Non mi faresti mai del male... - non aveva ancora finito di parlare che si trovò la mia spada puntata alla gola.
Sgranò gli occhi e sollevò le mani. - ...Magari un pochino. - si corresse, arretrando leggermente per prudenza. - Ma siamo seri... non puoi certo dire di rappresentare una gran minaccia ora come ora, comprendi?-
Non mossi la mia spada da dove si trovava. - Tu prova solo ad avvicinarti un altro po'... -
Mi guardò di sottecchi: conoscevo fin troppo bene quello sguardo, rilassato ma pericoloso. Senza aggiungere una parola fece tre passi in avanti, e anche se gli puntavo la spada alla gola fui costretta ad assecondare il suo movimento e lasciare che si avvicinasse a me... troppo.
- Così va bene?- sussurrò, con una dolcezza che era pura sfida. Faccia a faccia. Pochi centimetri tra di noi, e una lama in mezzo.
Serrai la presa sull'elsa. - Sì, perfetto!- gridai, e l'attimo dopo attaccai. Lui non se l'aspettava, e fece un salto all'indietro, affrettandosi a sguainare la sua spada. L'istante dopo le lame erano incrociate al di sopra delle nostre teste. Ritrassi l'arma e attaccai di nuovo, mentre Jack si sbilanciava di lato per parare i miei colpi.
- Che cosa ti prende? Hai dimenticato come si combatte?- lo schernii, mentre lo costringevo ad arretrare verso la fornace. Senza rispondere, lui indietreggiò rapidamente di tre passi e tirò un calcio ad una rastrelliera di armi, ribaltandola, e mandando le spade a rotolarmi davanti ai piedi con un gran fracasso.
Mi spostai all'indietro, e stavolta fu lui ad avanzare: superate con un salto le spade per terra, mi fu davanti e mi attaccò a più riprese, spingendomi sempre più indietro. Arretravo in fretta, rispondendo ad un fendente dopo l'altro: la gamba mi faceva male, ma avevo sopportato di peggio.
La spada di Jack tagliò l'aria dritto davanti a me; la mia la parò e la respinse. Fu subito chiaro che, per quanto violento, il nostro scontro era una farsa. Miravamo alla spada e non all'avversario; colpivamo esclusivamente per tenerci a distanza.
Jack fece roteare la spada, imprigionando per un secondo la mia, quindi la spinse di lato. - Non ha molto senso continuare così, ne convieni?- mi fece, abbassandosi di scatto per evitare la mia stoccata in risposta.
- Cosa suggerisci di fare?- replicai tra i denti, mentre giravamo su noi stessi e le lame tornavano ad incrociarsi. Lui fece una finta per farmi indietreggiare.
- Magari mi potresti ascoltare!-
Le lame si incastrarono saldamente, trascinandoci vicini per un istante: mentre lottavamo per vedere chi avrebbe disimpegnato la spada per primo, mi trovai a pochi centimetri dalla sua faccia. - Sono tutt'orecchi. - sibilai, liberando l'arma e spingendolo lontano da me con una ginocchiata.
Jack barcollò all'indietro, quindi si fermò con la spada in guardia: rimasi ferma anch'io, aspettando che fosse lui a contrattaccare o parlare. Lui si corrucciò, poi annuì e disse: - Va bene. - avanzò cauto di un passo, stavolta senza abbassare la spada: probabilmente era un po' meno sicuro di sé, adesso. - Innanzitutto, cos'è questa storia che Barbossa sarebbe sulla mia nave?-
Quasi mi sfuggì una risatina, mentre osservavo i suoi movimenti senza perderlo d'occhio un secondo. - Come dire... ha visto che eravamo in difficoltà ed è venuto ad aiutarci. Sai, ci siamo trovati molto d'accordo: in fondo lui odia Silehard e i suoi scagnozzi quanto me. -
- Tu non lo conosci!- scattò, chiaramente piccato.
- Forse no. Ma credevo di conoscere anche te, e invece guarda... -
Jack avanzò di scatto: io feci guizzare la lama tra di noi, ma era solo una finta. Prendemmo a girare lentamente in cerchio, fissandoci, con le spade alzate.
- Tu non capisci. - sospirò Jack, senza fermarsi. - Non mi importa di Silehard, né delle sue mire su Tortuga, comprendi? Il problema è che stanno per scuotersi tutti i Caraibi, credimi, e non ho nessuna intenzione di finire schiacciato nel mezzo... Silehard e la sua strega vogliono l'Isla de Muerta? Diamogli l'Isla de Muerta. -
Aggrottai le sopracciglia, non capendo le sue ultime parole. - L'Isla de Muerta? Cosa significa che la vogliono?-
Jack strizzò le palpebre per un momento, quindi continuò: - Laura, ascolta... - era serio come non lo avevo mai visto. - Scappare e farmi gli affari miei mi piacerebbe molto, credimi. Ma ci sono cose che non posso ignorare. Fare parte della flotta di Silehard, di certo, vorrà dire combattere, lo so... ma prova a pensare. - agitò vago la mano libera in aria. - La Perla sarebbe al comando di una flotta pirata che potrebbe perfino tenere testa alla stessa marina britannica. Non è una cosa da poco, comprendi?-
Scossi la testa, troncando sul nascere quella conversazione: quel ragionamento non filava, non per il Jack Sparrow al quale ero abituata. Il Jack che conoscevo io si sarebbe curato solo di andarsene per la sua strada, e di tenersi bene alla larga da un gretto criminale come Silehard. Forse Barbossa aveva ragione a pensare che la sua mente fosse manovrata dalla strega? Chi era la persona che avevo davanti?
- Non venire a farmi questi discorsi adesso. - le nostre lame si incrociarono e si sollevarono di nuovo; due passi e fummo nuovamente vicini, fissandoci negli occhi. - Non sei più tu!- gli gridai in faccia, mentre fremevo di rabbia. - Non venire a giustificarti dopo che ci hai traditi tutti... e hai ucciso Will!-
Le lame cozzarono e stridettero l'una contro l'altra. Guadagnai terreno, mentre Jack indietreggiava in tutta fretta. - Dammi una scusa, se ci riesci! Dimmi perché l'hai fatto!-
- Ho dovuto!- ora era lui ad attaccare con più violenza: mi costrinse ad arretrare, per evitare i suoi affondi sempre più precisi. - Non capisci che non avevo scelta?-
- No, non capisco!- urlai, con tutto il fiato che mi rimaneva. - No che non capisco!-
Stavo perdendo pericolosamente il ritmo: i miei gesti nel manovrare la spada si facevano più violenti, ma sempre più scoordinati, e Jack prese in mano la situazione in un batter d'occhio. Cominciò ad attaccarmi sempre più velocemente, facendomi perdere completamente sia la calma che il controllo: sfuggivo ai suoi colpi sgusciando freneticamente all'indietro, colpendo a caso, parando per disperazione. Ad un tratto il mio piede teso urtò qualcosa, e mi accorsi troppo tardi del pericolo che correvo. Il muro!
Jack mi si buttò addosso con tutto il suo peso, e mi inchiodò alla parete: con la mano libera mi bloccò sopra la testa il braccio armato, stringendolo fino a farmi dolere tutti i muscoli, mentre io mi divincolavo come un'anguilla.
- No!- ansimai, cercando di togliermelo di dosso. Lui mi torse il braccio finché non fui costretta a lasciare la spada, che cadde a terra sferragliando.
Lo presi a pugni con la mano sinistra libera, gli tirai una ginocchiata, cercai perfino di morderlo, ma lui mi schiacciò contro la parete, immobilizzandomi. Con la sinistra mi bloccava la mano destra contro il muro; con l'altra mi premette la lama contro la gola.
- Stai ferma. - sussurrò: senza alcuna rabbia, solo un semplice ordine.
Sudavo freddo, mentre ancora cercavo di liberarmi dalla sua stretta. - Se no mi uccidi?- ringhiai, dimenandomi. - Avanti, voglio vedere se lo fai!-
Jack mi schiacciò ancora di più contro il muro, facendomi male: strinsi i denti e serrai gli occhi, senza smettere di lottare. Odiavo averlo così vicino senza potermi difendere.
- Su, provaci!- sbottai, in faccia a lui. - Prova ad uccidermi come hai ucciso Will, ti voglio proprio vedere!-
Il piatto della lama premette contro il mio collo, vanificando ogni altro tentativo di liberarmi e costringendomi a stare ferma una volta per tutte. Jack accostò il viso al mio, in modo che lo guardassi negli occhi.
- A te non farei del male. - disse, quasi con rabbia. Poi si protese e, del tutto inaspettatamente, premette la sua bocca sulla mia.
Non seppi come reagire: mi paralizzai e basta. Ora davvero avrei potuto morderlo e fargli male... ma non ne fui capace: rimasi solo immobilizzata contro la parete, con le sue labbra sulle mie, riuscendo a pensare solo a quanto quel bacio fosse assurdo. Ero terrorizzata e spiazzata allo stesso tempo, ma ad un certo punto lui mi lasciò andare un polso e sentii la sua mano stringermi il fianco.
Non esitai un secondo di più: con la mano improvvisamente libera, lo agguantai per la spalla e lo spinsi via da me. - Lasciami!- gridai, divincolandomi. - Lasciami! Lasciami!-
Riuscii a togliermelo di dosso e caracollai lontano da lui: avevo perso la spada, ma non importava. Jack non fece cenno di volermi fermare: dondolò pigramente sul posto, con la spada in mano, squadrandomi con espressione indecifrabile. In quel momento, un rumore sopra le nostre teste attirò l'attenzione di entrambi: sollevammo lo sguardo di scatto, ed io sussultai vedendo due degli scagnozzi di Silehard che mi avevano teso l'imboscata affacciarsi dal buco sul soffitto. Il tetto della bottega non era alto, e probabilmente i due non avrebbero fatto fatica a balzare all'interno come aveva fatto Jack poco prima: per di più, ero abbastanza sicura che i rimanenti tre del gruppo non fossero molto lontani.
Tentennai un attimo solo, poi tentai l'unica via d'uscita e mi gettai di corsa verso la porta della bottega, alle spalle di Jack. Lui non si mosse in tempo per fermarmi, o forse lo fece apposta: non mi fermai ad assicurarmene. Spalancai la porta con una spallata e corsi via per i vicoli, con le ali ai piedi, senza riuscire a credere di averla scampata.

*

Uno degli uomini imprecò, mentre si calava dal tetto sfondato.
- L'hai lasciata scappare!- protestò, una volta a terra, fissando Jack con aria truce.
- Vorrei far notare che è stato piuttosto il vostro arrivo a permetterle di svignarsela... - replicò Jack, rinfoderando la spada: non sembrava per nulla turbato. Gli altri uomini della gilda arrivarono uno dopo l'altro, calandosi nella bottega: uno di loro si guardò attorno, passando dallo squarcio nel tetto alle spade disseminate per terra, e fece un basso fischio. - Bel casino. Se qualcuno viene a lamentarsi, noi non siamo mai stati qui, chiaro?-
- Silehard non sarà contento di questo, Sparrow. Avevi promesso che avresti preso la ragazza. - insistette il primo degli uomini, senza smettere di puntare su Jack uno sguardo accusatore.
Il capitano rimase per un po' a fissare la porta, dondolandosi pigramente. - Tornerà, amico. Conosco i miei polli, come si suol dire... e questo si chiama semplicemente prendere tempo. Comprendi?-
E, non visto, si concesse un sorriso segreto.

*

Riuscii a recuperare la barca e remai indisturbata fino al largo, dove la Perla Nera mi aspettava.
Quando fui issata a bordo avevo ancora il cuore che batteva come un tamburo, e non era solo per avere remato tutto il tempo: qualcuno mi porse la mano per aiutarmi a salire la murata, e fu solo un attimo dopo che mi accorsi che si trattava di Ettore.
- Dove sei stata?!?- esclamò, trascinandomi praticamente di peso sul ponte di coperta. Non avevo nessuna voglia di discutere con lui o con chiunque altro, così feci per allontanarmi senza una parola, ma lui mi trattenne per un braccio. - Perché eri a terra? Era Barbossa che doveva guidare la missione, oggi!- il pirata aveva accettato la presenza a bordo del nostro nuovo alleato, ma si rifiutava categoricamente di chiamarlo “capitano”. Irritata oltre ogni limite, cercai di divincolarmi, ma Ettore non voleva lasciarmi il braccio: mi guardò, e in quel momento pensai che non lo avevo mai visto così arrabbiato e preoccupato.
- Infatti non stavo seguendo la missione. - sbottai. Ora che ci pensavo, quel giorno una truppa dei nostri sarebbe dovuta tornare a sabotare i commerci di Silehard, ma tanto se ne stava occupando Barbossa. - Sono solo andata a controllare la situazione in città. Lasciami, Ettore!-
Dopo un attimo di esitazione, lui mi lasciò andare. Dovette però accorgersi che qualcosa non andava, in me, perché rimase a guardarmi con aria preoccupata. Mi feci largo come una furia fra i pirati sul ponte, sgomitando quando ritenevo fossero troppo lenti a lasciarmi passare, quindi finalmente raggiunsi la cabina e mi sbattei la porta alle spalle con forza. Respirai profondamente, appoggiando le spalle alla porta: avevo commesso una grossa imprudenza a scendere a terra da sola. Era mancato poco che mi catturassero.
E avevo rivisto Jack... Passai i minuti successivi a lanciarmi tutti gli insulti che conoscevo, per essermi ficcata nella situazione di poco prima. Mi accorsi di stare tremando. Perché ero così sconvolta? Ricordavo ancora fin troppo chiaramente la sensazione del bacio che mi aveva dato, e sapevo benissimo che era stato tutt'altro che spiacevole.
Con vergogna, risentii nelle orecchie le parole di scherno di Barbossa: “E voi che cosa farete? Gli cascherete tra le braccia alle prime belle parole che vi dirà?”
Picchiai un pugno contro la porta. “Assassino.” pensai con rabbia. “Assassino, assassino, assassino!”
Me lo ripetei come una litania furibonda, ma, anche avendolo visto con i miei occhi, non riuscivo a fare coincidere il volto del Jack Sparrow che conoscevo a quello che aveva ucciso Will quella notte. Presi un altro respiro profondo per calmarmi, poi mi staccai dalla porta: solo in quel momento di accorsi di sentire qualcosa che mi dava fastidio alla gamba.
Lì per lì pensai alla botta che avevo preso cadendo, e tastai con cautela dalla coscia al polpaccio per controllare i danni: sentii solo un vago dolore dei muscoli, quindi probabilmente me la sarei cavata con qualche livido... ma era stato qualcos'altro ad attirare la mia attenzione. Avevo qualcosa in tasca.
Incuriosita, affondai la mano nella tasca ed estrassi un minuscolo foglietto arrotolato che non ricordavo proprio di avere. Solo dopo averlo srotolato -con una certa fatica perché era tutto accartocciato- mi accorsi del disegno che c'era sopra. Il disegno del passero.
Sgranai gli occhi: era uno di quelli che avevo lasciato io, ne ero sicura. Ma quando...? Mi sorse un dubbio: Jack mi aveva appoggiato la mano sul fianco quando mi aveva baciata. Possibile che...?
C'era dell'altro, oltre al disegno. Voltai il foglietto e vidi che vi era stato scritto qualcosa in una grafia disordinata e familiare: il mio sguardo cadde e si fermò sulle prime parole, scritte in grande.

Will è vivo.




Note dell'autrice:
Come promesso... eccomi! Non ho molto da aggiungere a questo capitolo. Suspaaanceee... Anche se, ammettetelo, ve lo aspettavate. Bentornata ad eltanin e un brindisi a Fannysparrow e a Billy (alla quale avevo promesso questo nuovo capitolo).

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Capitolo 13
*** Triplo gioco ***


Capitolo 12
Triplo gioco.



Nella mia mente ripetei e rigirai quelle tre parole all'infinito, finché sembrarono perdere senso, quindi mi riscossi e le trovai ancora lì, nero su bianco, sul foglietto che stringevo quasi convulsamente tra le dita. Will è vivo. Cosa voleva dire? Se Will era vivo, allora... allora cambiava tutto.
Quando ebbi fissato le prime parole abbastanza a lungo da convincermi che non si trattava di un abbaglio, il mio sguardo cadde sulle scritte seguenti, scarabocchiate in fretta.
“Undici di sera. Scarsi controlli. Non farti riconoscere. Tiago Marquina: sotto il cappio, finestra.”
Mi presi alcuni istanti per capire il senso di quelle frasi: si trattava senza ombra di dubbio di una richiesta di incontro... presumibilmente proprio nella bottega di Tiago Marquina, proprio dove era cominciato tutto quanto. Ma cosa voleva dire “sotto il cappio, finestra”?
Esitavo, tormentando il foglietto fra le dita. Poteva benissimo essere una trappola, ed io ero il bersaglio più facile a cui mirare. Eppure... eppure il biglietto me lo aveva dato Jack in persona, di nascosto da tutti gli altri. E credevo di conoscerlo abbastanza da non ritenerlo capace di assassinare William... e abbastanza da notare i buchi evidenti nelle sue giustificazioni. Mentiva, dunque? Aveva mentito a noi come mentiva in realtà a Silehard? Aveva fatto il doppio gioco per tutto il tempo?
Certo, c'era sempre la possibilità che fosse davvero manovrato dalla strega di Silehard. Questo voleva dire che mi stavo buttando dritta dritta in bocca al gatto.
Mi alzai, decisa. Il pomeriggio volgeva al termine, ma le undici di sera non mi erano mai sembrate così lontane.

*

Non c'era la luna, quella notte. Questo rese ancora più facile, per me, avventurarmi in coperta e preparare una scialuppa da calare in acqua. Mentre lo facevo, udii dei passi avvicinarsi alle mie spalle: inevitabilmente i miei movimenti avevano attirato l'attenzione del pirata che stava di guardia... ovvero Faith. Sapevo che quella sera ci sarebbe stata lei.
- Laura?- esclamò lei, mentre mi si avvicinava con una torcia in mano. Calò il silenzio, mentre la vedevo squadrarmi da capo a piedi e realizzare che cosa stavo per fare: ero adeguatamente travestita con cappello, bandana stretta attorno al capo, i capelli raccolti in una treccia rigida da marinaio, e una giacca lunga sotto la quale portavo un arsenale di armi, fra due pistole, la mia spada e un coltello.
- Che diavolo credi di fare? Ma soprattutto, dove stai andando conciata così?- fu infatti la sua domanda seguente. Le feci cenno di abbassare la voce, guardandomi attorno per assicurarmi che fossimo sole sul ponte.
- Faith, ascolta... credo che Ettore ti abbia detto che sono già uscita da sola, oggi. Quello che non ho detto a lui né a nessun altro, è che ho incontrato Jack. -
Vidi la mia amica mordersi furtivamente le labbra, con un guizzo di allarme negli occhi, ma poi decise di non commentare e col capo mi fece un rigido cenno per dirmi di andare avanti.
- Abbiamo combattuto. Nessuno di noi si è fatto male... e credo che nessuno dei due lo volesse. Ma poi lui, di nascosto, mi ha dato questo. - le porsi il foglietto accartocciato, e lei lo prese e lo srotolò senza una parola. Scrutai le reazioni sul suo viso mentre leggeva le poche parole che vi erano scritte, e all'improvviso la vidi boccheggiare come se avesse a malapena trattenuto un grido di sorpresa.
- Oh mio Dio... ma questo cambia tutto!- sibilò, fissandomi con un'espressione a metà tra l'esaltazione e la paura.
- È quello che dico anch'io... se è tutto vero. Per questo sto tornando laggiù. Per incontrarlo, e per scoprire cosa c'è sotto a tutto questo. -
- No, aspetta. - Faith mi prese per il polso, trattenendomi. - Non puoi fidarti così, sulla parola. Senti, anch'io voglio credere che Jack non abbia ucciso William, e che in realtà sia tutto un suo piano... ma che succede se non lo è? Non puoi semplicemente andare da lui. -
- Posso, invece. -
- Ma perché devi andare da sola?!-
- Perché... - sibilai tra i denti, dura. - ...se è una trappola, non voglio che ci finisca dentro nessun altro. -
- Lasciami venire con te!- insistette lei, e per qualche momento fui davvero tentata di accettare: al momento, lei era davvero l'unica di cui sentivo di potermi fidare completamente, e sapevo che, se glielo avessi chiesto, mi avrebbe guardato le spalle senza interferire. Ma, proprio perché sapevo di poter contare su di lei, non potevo permetterle di venire con me.
- No. Tu sei l'unica a cui ho raccontato tutto: sai dove sarò stasera, e sai perché. Se non torno, saprai che cosa è successo. In tal caso, dovete essere tu, Ettore, Elizabeth... e Barbossa... a prendere il comando: sono sicura che insieme riuscirete a battere Silehard, se non ci riuscirò io. -
- Devi sempre fare di testa tua, vero?- sbottò Faith, poi però mi abbracciò stretta ed io ricambiai con altrettanto slancio. Non mi avrebbe fermata. Non mi avrebbe chiesto di cambiare idea. E avrebbe saputo prendere le redini della situazione, se le cose fossero precipitate.
Faith mi aiutò a calarmi in mare con la scialuppa, e rimase a guardare mentre remavo, immergendomi nell'oscurità.

*

Se Tortuga non mi era mai sembrata meno ospitale di giorno, di notte era anche peggio.
Ai ladri, attaccabrighe e semplici ubriaconi che spuntavano ad ogni angolo ero abituata, ma da dove diavolo erano arrivate tutte quelle nuove bande che si tendevano agguati l'un l'altra nel buio dei vicoli?
Presi l'ennesima scorciatoia per evitare un'altra baruffa tra due di quei gruppetti di scalmanati. Capivo cosa stava succedendo, e almeno in parte ne ero quasi contenta: spaventati o solo indignati per il potere che aveva preso in città la gilda, gli spiantati di Tortuga si erano decisi a mettere su anche loro le loro piccole bande ribelli. Stavano naturalmente finendo per azzuffarsi a vicenda e devastare la città dall'interno, ma se non altro la cosa forniva un po' di scompiglio in più al nuovo impero di Silehard. Ero felice che almeno non gli stessero rendendo le cose troppo facili.
Fu in mezzo a tutta quella baraonda notturna che, alla fine, arrivai davanti all'armeria di Tiago Marquina.
Esitai, ferma all'angolo della strada. Ricordare i particolari dell'ultima volta che ero stata lì non era per niente piacevole, e non faceva che accentuare la raggelante sensazione di stare per infilare il piede in una trappola tesa. E di starlo facendo di proposito.
Che capitano imprudente che aveva la ciurma della Perla! Troppo stupidamente impulsiva e curiosa, che usciva di nascosto per correre in casa del nemico! E io mi ero permessa di accusare Jack di negligenza? Mi vergognavo ad ammettere che, per ora, quello che stava mantenendo più controllo sugli eventi era probabilmente Barbossa.
“È un po' tardi per tirarsi indietro.” mi rimproverai, arrestando il corso dei pensieri.
L'armeria era buia, salvo per una luce fioca che proveniva dall'ingresso della bottega. Dovevo pur decidermi ad entrare, anche se non avevo la minima intenzione di farlo dalla porta.
“Sotto il cappio; finestra. Sotto il cappio; finestra. Che diavolo c'entra il cappio?”
Cominciai ad osservare più attentamente le finestre del piccolo edificio, fingendo di avvicinarmi per caso. Tutte quante erano chiuse, ad eccezione di quelle illuminate della bottega, che davano direttamente sulla strada. Fuori discussione.
Poi mi accorsi di una viuzza secondaria che passava accanto alla bottega, forse ne faceva addirittura il giro. Era un passaggio alto e stretto, ma ciò che attirò la mia attenzione fu un oggetto che penzolava parecchi metri sopra la mia testa, appeso ad una trave. Un cappio di corda spessa, che dondolava lentamente ad ogni alito di vento. Chi lo aveva messo lassù doveva avere un macabro senso dell'umorismo, perché a me ricordava fin troppo il gibbet che alcune città mettevano sulle scogliere appena fuori dal porto, coi cadaveri impiccati dei giustiziati a reggere un cartello con scritto: “Pirati, siate avvisati.” Avevo trovato il cappio.
Lentamente imboccai la viuzza, senza che il mio sguardo smettesse di balzare da una finestrella serrata all'altra, alla ricerca di una qualsiasi possibile entrata. E ad un tratto, quando ormai stavo per rassegnarmi al fatto che non ci fossero finestre dalle quali sarei potuta entrare di nascosto, fu proprio sul retro della casa, quasi immersa nell'oscurità, una finestra aperta.
La fissai, titubante, per qualche attimo, poi, gettando al diavolo ogni altro ragionevole dubbio, raggiunsi la finestra. L'interno era debolmente illuminato dalla luce di una candela, ma appariva come una stanza di piccole dimensioni: sfortunatamente era troppo alta per permettermi di vedere con chiarezza. A quel punto mi afferrai al davanzale, puntai i piedi contro il muro e mi issai, sbuffando in silenzio, fino a tuffarmi letteralmente dentro il vano della finestra.
Atterrai sul pavimento un piede dopo l'altro, sentendolo scricchiolare sotto i miei passi, e prima ancora di avere ripreso l'equilibrio avevo una mano sotto la giacca. La stanza era molto piccola, gli unici arredi erano un letto e due sedie di legno. Una, nell'angolo più lontano della stanzetta, era occupata.
Jack aveva sussultato, quando ero piombata attraverso la finestra, ma ora mi fissava con curiosità, con le sopracciglia inarcate. Non potevo neanche dire di essere sorpresa di trovarlo lì, perché in un certo senso sapevo che sarebbe stato ad aspettarmi. E nemmeno lui, ora che ci pensavo, sembrava sorpreso... semmai sollevato.
- Ciao. - si decise finalmente a dire, sorridendomi con un angolo della bocca.
Se non altro era solo, e la cosa incoraggiò un poco le mie speranze. Non tolsi la mano dal calcio di una delle pistole, però, e indietreggiai di un passo per avere la schiena al muro.
- Spero per te che non sia una trappola. - replicai in tono sbrigativo, imponendomi di mantenere il controllo della mia voce. Indugiavo, con la mano sull'arma, mentre Jack mi guardava negli occhi. E intanto pensavo se sarei mai stata in grado di sparargli. Di ucciderlo di sicuro no. Mai. Ma sapevo di dovere essere pronta a prendere misure estreme, se le cose fossero precipitate.
Ad un tratto Jack sorrise più apertamente, col suo solito, familiare sorrisetto furfante, e per la prima volta non c'era nessuna traccia di finzione o inganni. Si alzò dalla sedia, stiracchiandosi: guardandolo fare così, mi venne il dubbio che fosse rimasto lì seduto ad aspettarmi per parecchio tempo.
- Non la è, anche se ho la sensazione che, se lo fosse stata, saresti venuta comunque. Adesso chiamo l'ultimo invitato e poi possiamo parlare, d'accordo?- prima che potessi rispondere, lui batté tre colpi decisi sulla porta della stanza, poi tornò a guardare me e sollevò le mani. - No no, ora non saltare come se fossi sulle braci. Va tutto bene: siamo solo noi tre e non verrà nessun altro. E come vedi, io sono disarmato... cosa che tu assolutamente non sei, mi pare. -
Non sapevo cosa rispondere, e tanto meno cosa aspettarmi. Fatto sta che, poco dopo, udii del passi frettolosi, poi la porta si aprì, lasciando entrare un trafelato Tiago Marquina il quale, vedendomi, sbarrò gli occhi quanto me. Presa dal panico, sfoderai la pistola e arretrai ancora, premendo le spalle contro il muro.
- Mi hai imbrogliata!- scattai, tenendo Tiago sotto tiro: non era armato, o almeno non mi sembrava.
- No, aspetta!- esclamò Tiago, -sì, il muto- alzando una mano verso di me.
Mi paralizzai, senza riuscire a credere alle mie orecchie, perché per assurdo avevo riconosciuto quella voce. Ma non era possibile.
- Non aver paura, fa tutto parte del piano. Ecco, guardami. -
Eccome se lo guardavo. Dall'aspetto non avrei mai potuto riconoscerlo, ma la voce non lasciava dubbi.
- Will?- osai mormorare, in un soffio.
Il rumore secco che fecero le imposte della finestra, quando Jack le richiuse di colpo, sembrò svegliarmi da uno stato di trance: il capitano mi passò accanto, strizzando l'occhio. - Non è il caso che qualcun altro veda quel che sta succedendo qua dentro, comprendi?- si giustificò, in tono di scusa.
- Sei vivo!- quasi gridai, abbassando la pistola e avvicinandomi, per convincermi che non si trattava di un'illusione. Will... Tiago... chi diavolo era, sorrise e si passò distrattamente una mano sulla faccia.
- Non è stato facile farsi passare per lui, soprattutto perché abbiamo avuto pochissimo tempo per organizzare tutto... - disse, con la voce di William. - Ma, considerando che era muto e un po' scemo, è stato abbastanza semplice imparare a passare inosservato. Jack è l'unico che rimane qua in armeria; tutti gli altri membri della gilda usano solo l'entrata segreta e non hanno mai bisogno di parlare con me. -
- Avevate preparato tutto?!- domandai, incredula, con lo sguardo che rimbalzava dall'uno all'altro. - Fin dall'inizio? Ma che diavolo...?-
- È stato merito di Jack e del suo piano d'emergenza, devo ammetterlo. - fece Will, accennando a Jack con il capo. Mi faceva ancora una certa impressione sentire la voce di Will da quel volto estraneo, eppure, più lo scrutavo con attenzione e più cominciavo ad intuire il trucco. I capelli erano lunghi, sporchi e scarmigliati, ma erano quelli di William, stretti sotto una bandana sudicia. Non usava il bastone per muoversi, un particolare a cui non avevo fatto assolutamente caso quando lo avevo visto entrare. L'occhio e la guancia erano coperti dalla fasciatura, che lo aiutava ancora di più a mascherare i tratti del viso. La sua pelle però era la cosa più impressionante: era pallida e butterata proprio come quella del vero Tiago Marquina, tanto che per un istante mi domandai se Will non si fosse preso di proposito anche lo scorbuto, tanto per rendere più realistica la mascherata. Il camuffamento era praticamente perfetto.
Jack si strinse nelle spalle, accennando ad un gesto vago a mezz'aria con le dita. - Silehard mi aveva chiesto di togliere di mezzo William, ed io di certo non potevo farlo. Ma potevo sempre fargli credere che l'avrei fatto. Ho ucciso il vero Tiago, fuori dall'armeria. -
I nostri sguardi si incrociarono. - Lui lo hai ucciso per davvero, quindi. -
Jack fece una smorfia, e di colpo diventò molto serio. - Laura... - disse, in tono più cupo. - Non sono minimamente dispiaciuto per lui. Tiago si era unito alla gilda perché questo gli permetteva di trattare liberamente con i mercanti di bambini, e di tenere i... migliori... per sé. Capisci perché non mi sono fatto nessuno scrupolo. -
Rabbrividii, ma annuii con decisione. - Spero che si sia strozzato col suo sangue, allora. -
- In sintesi... - continuò Jack. - Will è andato a vendergli le spade, e poi gli ha proposto una partita a dadi: Tiago è uno che gioca d'azzardo, e non sa dire di no. Prima hanno giocato sul prezzo delle spade, poi ha cominciato a farlo bere e uno dopo l'altro gli ha vinto i suoi averi: benda, bastone, tutto quanto. Tiago era pieno come una botte e aveva addosso la camicia di William, quando lo hai visto uscire dall'armeria. -
- Oh, mamma. Che cosa disgustosa. - non sapevo più se ridere o sconvolgermi, e Will fece una smorfia disgustata.
- Non è stato divertente. -
- E meno male che il nostro signor Turner ha imparato a barare a dadi, o non ce l'avremmo mai fatta!- Jack sogghignò. - Insomma, Will ha mandato Tiago fuori dall'armeria, così Silehard ha avuto il suo morto e il nostro amico invece è rimasto qui, sano e salvo, per tutto il tempo. Comprendi? E ho anche avuto poco tempo per i dettagli: buttare il cadavere nel canale e assicurarmi che nessuno andasse a ripescarlo, per esempio. -
- Trasformarmi in lui è stato un incubo, però. - replicò Will, con una smorfia. - Con un occhio bendato mi sento come se dovessi andare a sbattere ogni secondo... per di più, questa roba che ho in faccia puzza, e devo spalmarmela addosso più volte perché resista. - tornò a grattarsi la guancia, e capii che doveva essersi ricoperto il viso e le mani di qualche sostanza che, seccandosi sulla pelle, la faceva sembrare pallida e rovinata.
- Non ci posso credere!- esclamai, allargando le braccia. - Ma... ma quando diavolo avete preparato tutto questo?!-
Jack abbassò gli occhi. - Ecco, abbiamo dovuto fare le cose molto in fretta, quindi per lo più abbiamo... improvvisato. -

… Era stato durante i festeggiamenti a bordo della Perla, quella notte fatale. Will stava seduto su una cassa, e ad un certo punto Jack venne verso di lui, ciondolando, quasi troppo ubriaco per reggersi in piedi.
William si fece in là per fargli posto, ma Jack prima crollò malamente seduto sulla cassa, poi si accasciò contro la spalla del giovane, cercando un punto d'appoggio. Will sbuffò, cercando di sorreggere alla meno peggio il compagno ubriaco: non era neanche troppo ben disposto nei suoi confronti, dopo tutto quello che aveva combinato con la storia della gilda. - Jack...?!-
- Zitto e ascolta. - la voce del pirata era improvvisamente chiara e urgente, per niente da ubriaco. - Silehard sa che andrai da Tiago per consegnare le spade, stasera, e ti vuole morto entro l'alba. -
Will sussultò, voltandosi di scatto a guardare in faccia Jack, il quale continuò: - Vuole che sia io a ucciderti, comprendi? E io gli ho dato la mia parola. -
Sbarrando gli occhi, il giovane si fece istintivamente indietro, anche se la mano di Jack lo teneva saldamente per una spalla. - Tu... tu vuoi...?!-
- Per chi mi hai preso?- il capitano quasi ridacchiò. - Ascoltami: Silehard crede di potersi fidare di me, ma non troppo. La strega crede di potermi controllare, ma anche lei non troppo. Perciò, quando tu scenderai dalla nave, io ti dovrò seguire, ma di certo sarò pedinato a mia volta... sai, per verificare che faccia il mio lavoro. -
- Potrei non andare da Tiago, allora. - rispose lui, abbassando la voce.
- Troppo ovvio: così mi gioco del tutto la fiducia di Silehard, la strega continuerà a frugarmi nella testa, e il mio piano andrà in fumo. - Jack scosse il capo.
- Cosa facciamo, allora?-
- Dobbiamo prendere misure estreme, tu devi uscirne vivo, e abbiamo drammaticamente poco tempo. Senti, tu andrai da Tiago per vendergli le spade, e poi devi farlo giocare a dadi con te e farlo bere, d'accordo? Fallo ubriacare di brutto e fa in modo che si giochi tutto quello che ha, vestiti compresi. Non regge l'alcol e non resiste al gioco: basterà poco. -
- ...E a quel punto?-
- A quel punto dovrete scambiarvi i ruoli. Ora, non prenderla nel verso sbagliato, ma devi scambiarti i vestiti con lui, e poi mandarlo fuori come se fossi tu. È abbastanza scemo da stare al gioco, e confido che sarà abbastanza sbronzo. Io lo ucciderò, e Silehard avrà la sua vittima. Tu pensa a farti passare per Tiago: penserò io a far passare Tiago per te. -
Gli occhi di William si allargarono ancora di più, ma ormai anche lui capiva che non c'era altro modo di venirne fuori. - Ma... una volta che crederanno che tu mi abbia ucciso, che cosa succederà?-
- Allora Silehard e la strega saranno convinti di potermi far fare qualsiasi cosa, e intanto saremo in due ad essere infiltrati nella gilda. Spiegherò tutto io alle nostre ciurme, e intanto potremo rovinare quella scomoda corporazione dall'interno. -
- Sì, ma perché stiamo facendo tutto di nascosto?- bisbigliò il giovane. - Hai paura che ci siano degli infiltrati anche nella ciurma?-
Jack annuì, confermando i peggiori presentimenti di William. - Temo che ci sia una talpa, e sospetterò di chiunque finché non saprò per certo chi è. Per questo dobbiamo tenere acqua in bocca fino alla riuscita del piano. -
- Ma allora tu hai sempre voluto colpire la gilda, fin dall'inizio... perché?-
- Stanno cercando di manovrarmi, e la cosa non mi piace neanche un po'. - Jack sogghignò. - Vogliono il tesoro di Cortéz, maledetto lui, il suo forziere e i suoi ottocentottantadue gingilli maledetti per i guai che ci stanno dando... ma ti spiegherò meglio dopo. Allora, sei pronto?-
- Pronto. - …

*

Faith sedeva sulla murata in cima al cassero di poppa, senza riuscire ad evitare di lanciare lunghe occhiate ansiose verso il profilo nero dell'isola. Era più che mai preoccupata, e ne aveva tutte le ragioni.
Il ponte era deserto, e lo sarebbe rimasto per un bel pezzo: l'unica luce era quella fioca della sua lanterna, appena un lume, perché nessuno si azzardava a tenere accese troppe lampade che avrebbero potuto rivelare la loro posizione. Da dove stava, lei stessa distingueva a malapena la Sputafuoco, in mezzo a tutta quell'oscurità.
Se Barbossa si fosse presentato in quel momento sul ponte a chiederle notizie, avrebbe dovuto dirgli dell'improvvisa partenza del capitano? Faith arricciò il naso, persa nei propri pensieri. Non era ancora sicura di essersi fatta un'idea del cupo personaggio che aveva preso in mano le sorti dell'intera ciurma da un giorno all'altro. Di certo, e non poteva negarlo, sotto sotto era contenta che uno come lui si fosse presentato proprio in quel momento, giusto quando ne avevano più bisogno: la ciurma della Perla Nera e della Sputafuoco avevano urgente bisogno di una guida, e Barbossa si era rivelato all'altezza del compito. Con il benestare di Laura e di Elizabeth, quasi.
La giovane non aveva avuto occasione di parlare di persona col brizzolato capitano, ma non era pronta a scommettere che sarebbero andati d'accordo. Tuttavia, doveva ammettere che aveva qualcosa: qualcosa che aveva spinto entrambe le ciurme a fidarsi di lui e ad eseguire i suoi ordini senza protestare. Carisma, probabilmente. E nervi d'acciaio in qualsiasi situazione.
Ad un tratto sentì un rumore, come il cigolio di una porta. Scattò in piedi, recuperando la lanterna, e con quella corse fino alle scalette del cassero per affacciarsi sul ponte. Il cono di luce tremolante proiettato dalla lanterna si allargò sulle assi scure, poi su una sagoma in movimento... che si fermò e si voltò, non appena si accorse di essere osservata. Faith emise un silenzioso sibilo tra i denti: che il diavolo la portasse se lì sotto non c'era Connor, fermo a guardarla con gli occhi sgranati come se le stesse chiedendo cosa aveva fatto di male.
- Tu cosa ci fai qui?- esclamò, forse in tono anche più secco di quanto avesse voluto. Il pirata dalla zazzera rossa la guardò, schermandosi gli occhi con una mano: la giovane non mancò di notare che si trovava a pochi passi dalla porta della cabina dei capitani. Che diavolo credeva di fare?
- Stavo cercando il capitano, ma non l'ho trovata... - rispose Connor, in tono quasi speranzoso. Tra sé, Faith si domandò se l'ingenuità di quell'uomo fosse divertente o semplicemente irritante.
- E allora, molto probabilmente non le interessa farsi trovare. E lasciatelo dire, tu non dovresti proprio gironzolare nelle cabine in mancanza dei capitani. - ora il suo tono era senza ombra di dubbio tagliente. La ragazza scese le scale del cassero e si prese qualche altro momento per scrutare da capo a piedi Donovan, il quale ricambiava lo sguardo come se non realizzasse affatto di aver potuto fare qualcosa di male.
- Non intendevo essere scortese. - si giustificò, stringendosi nelle spalle.
- Non è scortese, Connor. È sospetto. -
Il pirata quasi rise, e scoccò a Faith uno sguardo bonario mentre quella gli girava attorno con la lanterna. - Che cosa? Adesso cominci perfino a parlare come Barbossa... ho come la sensazione che la sua presenza agiti tutti quanti. - ad un tratto smise di ridere, e si accigliò. - Puoi smetterla di guardarmi in quel modo? Non sto nascondendo niente. - alzò le braccia e fece un mezzo giro per mostrare che non era armato e non nascondeva nulla dietro la schiena.
- Sì, vedo. - rispose Faith in tono piatto, mentre abbassava la lanterna. - Non mi piace comunque che tu te ne vada in giro tutto furtivo, specie nella cabina del capitano. Non metterti in testa strane idee. -
Il pirata sembrò improvvisamente divertito, e scrutò Faith inclinando il capo di lato. - Strane idee? Mia cara, io non ho alcuna strana idea in mente, ma se continui a parlarmi così temo proprio che potresti suscitarmene qualcuna. -
- Detta fuori dai denti, Connor, non sperare che ci sia qualcosa per te solo perché Jack non è più a bordo. -
Questo lo fece ridere sul serio, e la giovane si impose di ignorarlo mentre la scrutava dall'alto in basso con quei suoi occhi brillanti alla luce della lanterna. - Diavolo! Devo averti messa davvero fuori strada... - commentò, abbassando la voce ad un sussurro ammaliante e avvicinandosi a lei di un passo, con le braccia protese. - Non avevo nessuna mira sulla tua affezionata capitana... a meno che quella che sento nell'aria non sia un po' di gelosia. -
Posò le mani sui fianchi di lei e le si accostò, alla distanza di un respiro l'uno dall'altra. Lentamente si chinò per sfiorare il viso di lei, e... lei lo gelò scoppiando in una risata fragorosa. Non una timida risatina di imbarazzo da fanciulla, ma una vera, grassa, risata di scherno: stava ancora ridendo quando lo prese gentilmente per i polsi e lo allontanò da sé, come se gli stesse facendo un favore.
- Oh, assolutamente no... guarda, un solo bacio dato per sbaglio in vita mia mi basta e avanza. - commentò, con un ghigno.
- Ma non mi hai lasciato nemmeno darti il primo. - replicò Connor, mentre cercava con qualche difficoltà di recuperare un briciolo della sua baldanza.
- Fidati, lo so io di cosa sto parlando. - e con un ultimo sussulto divertito delle spalle, come se trovasse tutta la situazione particolarmente esilarante, la giovane gli voltò le spalle e lo lasciò solo sul ponte.

*

Tutto architettato fin dall'inizio. Ora che si scoprivano le carte, mi trovai a pensare che avrei anche potuto immaginarmelo, o arrivarci da sola... ma il modo in cui sia Jack che Will avevano costruito le cose era stato terribilmente convincente. Mi sentii come se mi fosse stato tolto un grosso peso dal cuore: Will era lì, vivo, e Jack era sempre rimasto la persona che conoscevo. Sembrava un miracolo.
- Diavolo, avete recitato “troppo” bene!- scattai, guardandoli entrambi.
- Non volevamo spaventarti... anzi, quella notte sei tu che hai colto di sorpresa noi. - rispose Will, in tono di scusa. - Io ero dentro e ti ho sentita gridare, e quando Jack è rientrato mi ha raccontato quello che era successo. Siamo stai in pensiero per te per tutta la notte!-
- Voi siete stati in pensiero?!- di colpo mi girai e affibbiai a Jack una spinta che lo colse del tutto impreparato. - E anche tu! Cinque minuti fa mi stavo chiedendo se sarei stata in grado di spararti, diavolo!-
- Che carina. - commentò Jack, barcollando all'indietro.
- Mi avete fatta morire di paura!-
- Lei è morta di paura!- scattò lui, seccato. - Io sapevo di essere seguito, quella notte, e l'ultima volta che ti ho vista stavi scappando con due spie di Silehard alle costole! Per non parlare di quando ti sei data alla fuga sui tetti. Mi hai fatto perdere dieci anni di vita. -
- Così magari, la prossima volta che deciderai di ammazzare per finta qualcuno, avrai la bontà di avvisarmi con un po' di anticipo. -
William si mise in mezzo a noi, interrompendo il nostro battibecco per tornare alle faccende importanti. - Comunque, nel tempo in cui siamo stati qui, Jack è riuscito a conoscere la gilda in modo più approfondito, e ha avuto da Silehard alcune informazioni importanti. Vero, Jack?-
- Oh, sì... - fece lui, come se lo ricordasse giusto in quel momento. - Il piano del nostro Silehard è il seguente: intanto ha gettato le basi del suo potere qui, nella roccaforte dei pirati, pronto per quando gli sarà permesso fare il bello e il cattivo tempo. Poi, la strega. Lei conosce bene gli effetti del tesoro di Cortéz, ma credo che sia proprio questo che le interessa. Subito credevo che lei e Silehard avessero intenzione di creare una flotta di corsari immortali ai suoi comandi, ma... -
Will si accigliò. - Perché, non è così?-
- Forse non del tutto. Se ricordi, la maledizione di Cortéz non è un peso piacevole da portare, e dubito che Silehard vorrebbe ritrovarsi con una flotta di pirati scontenti, rivoltosi e immortali. Non so cosa abbia in mente, ma qualche volta ha vagamente accennato ad un uso... alternativo del tesoro. -
- Che cosa vuoi dire?- domandai, senza capire a cosa potesse riferirmi. Jack scrollò le spalle a sua volta.
- Purtroppo non ne ho idea. Di quel tesoro abbiamo sempre e solo conosciuto una sola faccia, ed è quella della maledizione di Cortéz. Se possa funzionare anche in altri modi, o se ci si possa fare qualcosa... non lo so. Ma la strega di sicuro lo sa, e sto cercando di scoprirlo da lei. - il capitano allargò le braccia con aria rassegnata. - Sfortunatamente, si da il caso che io sia uno dei pochi che conosce la via per l'isola, e Silehard e la sua strega hanno voluto tirare dentro il loro piano proprio me... Ma i loro progetti a lungo termine non mi piacciono neanche un po', e non ho nessuna intenzione di aiutarli. -
- E ci mancherebbe. - finalmente sorrisi, quasi senza riuscire a credere a quanto mi sentissi sollevata. - Quindi, adesso cosa hai intenzione di fare? Non vorrai davvero portarli all'Isla de Muerta?-
- No. Voglio affondarli lungo la via, e far finire sul fondo del mare sia Silehard che la sua strega una volta per tutte. -
Lo disse con un tono tale che, per un momento, provai quasi un brivido di cruda soddisfazione: dopo tanta paura, dopo tanta ansia, spedire il capo della gilda e la sua maledetta strega in fondo all'oceano era un pensiero più che allettante. Mi rendevo conto che, fin dalla morte di Tiago, la faccenda aveva preso una piega decisamente sanguinosa, ma in quel momento non desiderai altro che realizzare il piano di Jack, e il più in fretta possibile.
- Come avete fatto a passarla liscia fino adesso?- domandai, distogliendomi dai miei stessi pensieri. - In giro si dice che la strega tenga sotto controllo gli scagnozzi di Silehard con una pozione magica, o qualcosa del genere. -
- Infatti. Lo chiamano “siero della verità”, come piace a lei... - precisò Jack, agitando pigramente le dita. - Ma, d'altra parte, chiamano così anche il grog. Magari un pizzico di magia c'è, perché ho notato che quelli che stanno più vicini a Silehard -e quindi devono berla più spesso- non sembrano molto presenti. Col cervello, intendo. In sostanza, quando bevi quella sbobba ti si bloccano corpo e cervello per un po': una specie di ipnosi. Sei talmente intontito che puoi dire solo la verità, e quella stregaccia sa come andare a frugare nella testa della gente... Ma abbiamo trovato il modo -anzi, ho trovato il modo- di aggirare anche questo ostacolo. -
- Sarebbe?-
Lui mi fece cenno di attendere, e andò in fretta ad inginocchiarsi per frugare sotto la branda che stava in un angolo: udii un cigolio sordo come se avesse rimosso una delle assi dalla parete, quindi si rialzò e mi porse quello che aveva preso. Era una bottiglia, e quando la presi in mano notai che il contenuto era scuro e viscoso.
- Oh no... - protestai, ma Jack l'aveva già stappata tra le mie mani. L'odore acre mi punse le narici, e dovetti girare il capo, disgustata. Se era quel che pensavo che fosse, era ancora peggio di quanto ricordavo.
- L'hai riconosciuto?- mi fece lui, con un ghigno da un orecchio all'altro.
- Come dimenticarlo... a cosa ti serve quella porcheria anche qui?-
- Il Kaav è solo uno degli ingredienti, cara. Non so se Faith te lo ha raccontato, ma io e la tua amica siamo andati a fare una piccola visita ad un posto che non frequentavo da molto tempo, mentre tu eri via con i Turner... la vecchia magione di Tia Dalma. Ti ho parlato di lei, no? Ho pensato di dare un'occhiata ai suoi libri, e procurarmi qualcuno dei suoi ingredienti... specialmente quelli che avevano qualcosa a che fare con il controllo della mente. -
Rabbrividii, mentre davo un'altra occhiata al contenuto della bottiglia, che non sembrava affatto invitante. - Ti sei messo a pasticciare con... erbe che venivano da chissà dove, e rituali voodo?-
- Che tu ci creda o no, quello è il nostro antidoto contro la strega. - rispose Will, anche se dal tono mi sembrava vagamente imbarazzato. Jack, invece, non mi risparmiò i particolari.
- Diciamo che ho fatto qualche tentativo. Ora, non ho afferrato esattamente il meccanismo, ma pare che funzioni. - cominciò a spiegare, agitandosi e gesticolando più del solito: sembrava particolarmente fiero di quest'ultima bravata. - Probabilmente ostacola il lavoro dell'intruglio che mi propina la strega: ti aiuta a non perdere i sensi e, di conseguenza, il trucchetto dell'intontimento totale non funziona più quando il resto del corpo è... sveglio, comprendi? Insomma: mi imbottisco di questa roba prima di ogni colloquio con lei, e il suo trucco non funziona più. Sono giorni che la faccio in barba a Silehard rispondendo alle loro domande come voglio io. -
- Fantastico... e devi prenderlo anche tu?- domandai, rivolta a Will. Per un attimo fui convinta di vederlo quasi arrossire sotto l'impasto che gli ricopriva la pelle, poi, schiarendosi la voce, si ricompose.
- La strega non interroga mai Tiago, ovviamente... non ha senso, se non può parlare. Credo però che di tanto in tanto provi a sondare le menti dei suoi collaboratori, come fa con Jack: per questo per qualche notte ho dovuto prendere l'antidoto. Credo che abbia funzionato, perché non è successo nulla... e non ci hanno ancora scoperti. -
- Quando le nostre menti illuminate ci abbandonano, è il caso di ricorrere ai nostri istinti più bassi, per salvarci!- scherzò Jack, dando una pacca sulle spalle ad entrambi, e voltandosi poi verso di me. - E non guardarmi così: ho tutte le prove che quella roba funziona eccome. Ma adesso bando alle ciance, stavamo parlando di una cosa importante. Dunque, so per certo che Silehard intende salpare al più presto per l'Isla de Muerta, ma ancora non sappiamo quando intende farlo. Certo, col fatto che adesso la ciurma della Perla è in guerra aperta con lui, di sicuro vorrà affrettare le cose. Stanotte è prevista una riunione speciale dei membri della gilda, e appena sapremo qualcosa... sarà nostro interesse farlo sapere subito a chi di dovere. - mi diede un buffetto sul mento e accennò un sorriso. - Che, sapendolo, saprà di doversi preparare ad inseguire chi sappiamo. Comprendi?-
- In breve... tendiamo un'imboscata allo Squalo Bianco?- probabilmente mi brillavano gli occhi mentre lo dicevo, perché Jack mi rivolse un sorriso soddisfatto e annuì.
- Tecnicamente, sì. Perciò, possiamo tornare ufficialmente tutti quanti alleati e smetterla di fare il triplo gioco? Stava diventando snervante. -
- Ehi, io, del tuo piano, fino a stasera non ne sapevo niente!- protestai, piccata.
- Sentite. - si intromise William, tornando serio. - Ora devo tornare in bottega, e anche tu, Laura, faresti meglio ad andartene da qui: abbiamo già rischiato abbastanza per stasera. Presto sarà ora che Jack partecipi all'incontro con Silehard, e dobbiamo essere pronti. Laura... di' ad Elizabeth che sono vivo e sto bene, per favore. E dille che, davvero, era necessario. Non avrei mai voluto farle passare un'altra volta una cosa simile. -
- Glielo dirò, ma non ti preoccupare. Lei non ha mai creduto veramente che fosse andata come sembrava... - mi morirono le parole in gola, mentre lo dicevo. Lei aveva avuto fiducia in Will, e in Jack, fin dal primo istante. E io no.
William si congedò con un cenno del capo e lasciò la stanza, richiudendosi la porta alle spalle. Rimanemmo io e Jack, e per qualche momento ce ne restammo lì impalati, senza sapere che cosa dirci.
Spostai il peso da un piede all'altro, sentendomi vagamente in imbarazzo. - Be'... direi che mi sento meglio, adesso. -
Jack mi guardò, e per qualche motivo mi sentii molto strana. Cosa ci si dice, dopo aver seriamente dubitato l'una dell'altro? Dopo essere stati, seppur per breve tempo, veramente... nemici?
C'era una specie di barriera tra di noi, e fu lui a spezzarla per prima, avvicinandosi a me e avvolgendomi un braccio intorno alle spalle. - Hai avuto paura?- mi sussurrò dolcemente, premendo la fronte contro la mia, e soltanto allora ebbi il coraggio di ammettere anche con me stessa quanto la sua presenza rassicurante mi fosse mancata. Sapere di potermi di nuovo fidare di lui era un sollievo troppo grande.
- Sì!- mi arresi, abbracciandolo di rimando. Niente mi rincuorava di più che sapere che era stato tutto quanto un brutto sogno, che Jack non era mai stato quello che avevo temuto che diventasse. Con una dolcezza inaspettata, lui mi infilò una mano tra i capelli e mi baciò la fronte.
- Scusami. - disse in tono veramente serio. Poi, dopo un attimo, lo sentii ridacchiare. - Diavolo, ci siamo anche presi a botte mica da ridere, eh?-
- Non mi hai insegnato a tirare di spada per niente, no?- sogghignai anch'io. - Ma lasciati dire che le tue tecniche di distrazione lasciano molto a desiderare. -
- Non nascondiamoci dietro un dito, signorinella. Avrei potuto infilarti in tasca un libro intero, invece di un foglietto, e non te ne saresti accorta. -
- Ti sopravvaluti. -
Il capitano sogghignò più apertamente, facendo scivolare le braccia attorno alla mia vita per stringermi contro di sé. - Potrebbe essere. Ma resti sempre tu quella che si è lasciata “distrarre” così facilmente. -
Lo allontanai un po', per scherzo, ma sorridevo ancora. - Non farmi arrabbiare, o potrei dire la mia sul fatto che tu e Will ve ne stiate qui soli e imbottiti di Kaav dalla mattina alla sera. -
Questo lo lasciò senza parole per cinque secondi buoni, con un'espressione oltraggiata in faccia. - Questa era veramente meschina. - protestò infine, offeso.
- Lo so. - sorrisi e diedi un colpetto con l'indice alle treccine che gli pendevano dalla barba. - Fammi sapere tutto quel che c'è da sapere. E non farti aspettare troppo... stai cominciando a mancarmi, a bordo. -
Jack scoprì i denti d'oro. - Anche tu. -
Mi strinse a sé per un bacio rapido, quasi frettoloso, ma non per questo meno intenso, e trovai una certa difficoltà a separarmi da lui. Uscii dalla stessa finestra per la quale ero entrata e, quando corsi via nella notte, mi sembrò di essere tornata a respirare per la prima volta dopo troppo tempo.





Note dell'autrice:
Ok, ammetto che dall'ultima pubblicazione è successo un po' di tutto, tra cui vacanze lampo seguite da subitanea morte del computer... cosa che mi ha impedito di mettere mano a questa fanfiction per un bel pezzo. Inoltre, una nuova ossessione e una nuova fanfiction scritta alla velocità della luce si sono imposte piuttosto insistentemente, perciò ho dovuto per forza fare scalare altri progetti. Ma, per farmi perdonare per aver trascurato così i miei pirati, avevo questo capitolo già bello che pronto. ^^
Grandi applausi per il ritorno di Mally -grazie a te; cominciavo a sentire la tua mancanza!- e un grazie a Fannysparrow. E a Billy. Lo so che sei lì. Perdonami per averti fatto aspettare così tanto, ma prometto che saprò farmi perdonare l'attesa!
PS: Sono molto contenta di aver fatto tornare Jack alla normalità: fargli fare il doppio gioco stava diventando difficile! E sono anche felice di essere riuscita, in questo capitolo, a recuperare il rapporto tra le ragazze: Faith e Laura sono sempre stati personaggi paralleli, però sono sempre contenta di tornare a mostrare la gande amicizia che le lega. Yay!

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Capitolo 14
*** A carte scoperte ***


Capitolo 13
A carte scoperte



Faith marciò come una furia sottocoperta, superando Valerie che -seduta su di un cannone- stava pulendo la propria pistola alla luce di una lanterna.
- Qui sono impazziti tutti!- sbottò la ragazza, fermandosi improvvisamente per voltarsi verso di lei. Valerie inarcò un sopracciglio e distolse per un momento l'attenzione dalla pistola, fiutando una certa tensione nell'aria.
- A guardarti, direi che hai proprio ragione. - commentò, beffarda. Faith sospirò rumorosamente e si accostò alla ragazza, sedendosi accanto a lei: aveva lo sguardo perso nel vuoto e una smorfia preoccupata sul volto.
- Io non ci capisco più niente: su questa nave ormai tutti fanno quello che vogliono. -
- Be', mi sembrava invece che quello spaventapasseri con la scimmietta che ci è saltato a bordo l'altro giorno esigesse una certa disciplina... -
- Barbossa, dici? Oh, lui di sicuro. - la ragazza strinse le labbra. - Quell'uomo ha qualcosa di inquietante, e non so se ci possiamo fidare di lui... ma è la guida di cui abbiamo bisogno adesso. Ma ciò non toglie che tutti qui fanno di testa loro, e io non riesco a stare dietro più a nessuno. Jack, Laura, Elizabeth... tutti! Ci dev'essere qualcosa nell'aria. -
Vedendola così irritata, Valerie non poté trattenersi e si mise a ridere. Faith invece alzò le braccia al cielo. - Insomma, ci deve essere per forza qualcosa che non va, se ho quasi baciato Connor!-
Valerie smise improvvisamente di ridere, ma in compenso la guardò con una divertita, blanda curiosità.
- Oh. Anche tu?-
- ...cosa?-
La ragazza inarcò un sopracciglio in modo eloquente, e Faith si trovò improvvisamente a corto di parole. L'unica cosa che riuscì ad aggiungere fu un titubante: - ...dici sul serio?-
- Certo. E non è tutto. - altra alzata di sopracciglio, ancora più eloquente.
- Oh. - adesso, se possibile, era ancora più a corto di parole. Più che altro, la notizia le arrivava come un fulmine a ciel sereno perché non riusciva a capire quando diavolo fosse accaduto tutto questo senza che nessuno se ne accorgesse. O magari, al contrario, se ne erano accorti tutti e lei era l'unica ad avere frainteso le vere intenzioni dell'irlandese? Non capiva più niente. - Scusa la curiosità, ma, quando è successo?-
- Piuttosto in fretta, in effetti... - Valerie si ravviò distrattamente i lunghi capelli neri. - La sera prima che lui salpasse sulla Sputafuoco con la ciurma di Elizabeth e William. - scrutò l'espressione dell'amica e soffocò a stento una risatina sagace. - Non fare quella faccia. Diciamo che non lo avevo in programma, ma lì per lì mi è sembrato un vero spreco lasciarlo andare senza sapere neanche se ci saremmo rivisti. -
- Ma... - Connor che ballava con Valerie. D'accordo, fin lì c'era arrivata anche lei. Ma dopo? Li aveva mai visti comportarsi in modo diverso, o anche solo rivolgersi la parola? Non ricordava. Il primo, insidioso interrogativo si presentò da solo... ma la giovane ci rifletté un attimo, e decise che non le avrebbe chiesto di Jonathan. Quello che Valerie combinava sottocoperta era affar suo. In confronto a lei, Faith doveva ammettere con un certo imbarazzo di essere solo una brava moglie benpensante... per quanto fosse convinta che mesi di convivenza coi pirati l'avessero ormai abituata a qualsiasi cosa. E adesso invece arrossiva per un'amica che raccontava di essere andata a letto con un altro uomo. Di colpo si sentì patetica, e il fatto che fosse proprio Valerie a farla sentire così la fece irritare.
Davanti al suo evidente turbamento, Valerie smise di ridacchiare e sgranò gli occhi, sorpresa. - C'è qualcosa che non va?- le sue sopracciglia si inarcarono di nuovo. - Va bene, devo aver detto qualcosa di sbagliato, vero? A meno che... tu non fossi interessata a lui. -
- No!- Faith quasi strillò, poi si decise a darsi una calmata. - Valerie, a questo punto credo di capire che Connor Donovan si sia comportato in modo molto strano con tutte e tre: te, me e Laura. Come ti ho detto, poco fa ho perfino rischiato di baciarlo. E adesso vengo a sapere di questi... hmmm... trascorsi tra te e lui. Non credi che ci sia qualcosa di strano?-
La ragazza dai capelli neri si strinse vistosamente nelle spalle, con l'aria di non avere idea di che cosa stesse parlando. - Che un uomo si interessi a più di una donna? Non lo trovo affatto strano, Faith... che io ne abbia approfittato e voi due no è un discorso tutto diverso. -
- Non stiamo parlando di questo, adesso!- scattò Faith, che stava tentando di ragionare. - Quindi, quella notte... eravate sulla Sputafuoco?-
- Se ti interessa tanto, è salito sulla Perla per recuperare le sue cose, ci siamo incontrati, e lì mi ha proposto di seguirlo per passare un po' di tempo con lui. Tutto qui. E quando abbiamo finito, io sono tornata sulla Perla. -
Prima che Faith potesse chiedere ulteriori spiegazioni, le due ragazze furono interrotte da un improvviso scalpiccio di passi di corsa, che scendevano frettolosamente le scale di sottocoperta.
- Voi due, aprite le orecchie. - disse una voce familiare. - Ci sono un bel po' di cambiamenti. E non intendo ripetere questa storia più volte di quante già mi toccherà raccontarla. -

*

Raccontare i fatti a Faith e Valerie risultò più rapido del previsto, e suscitò in loro meno entusiasmo di quanto mi sarei aspettata. Entrambe espressero un gran sollievo davanti alla notizia della falsa morte di Will, accompagnate da immancabili commenti tali “Elizabeth lo aveva detto!”, ma al frettoloso resoconto dei piani sembrarono soltanto confuse, come se già avessero la mente occupata altrove e tutti questi giochi più o meno sotterranei le stessero disorientando ulteriormente.
Mi separai da loro con la promessa di tenere acqua in bocca fino al mattino: quelle novità erano troppo preziose per permettere che se ne parlasse troppo in giro, specialmente ora che era di fondamentale importanza che la copertura di Jack e Will non saltasse. Non sapevo ancora di chi potevo fidarmi, a bordo. Non sapevo nemmeno se fidarmi completamente di Barbossa. Avrei avvertito Elizabeth a tempo debito, di certo. Ma, ora che avevo finalmente riguadagnato qualcuno di cui potermi fidare senza indugio, non intendevo mollare la presa.
Mentre facevo per andarmene, ad un certo punto Faith mi prese per un braccio e si avvicinò per sussurrarmi all'orecchio parole frettolose e concitate che avevano a che fare con Valerie e Connor, ma, per quanto la novità mi lasciasse sorpresa, non potei fare a meno di chiedermi perché sentisse il bisogno di parlarmene in quel momento. Certo, né io né lei ce lo aspettavamo, ma importava davvero qualcosa? Con chi Valerie andasse a letto non erano affari miei, per quanto non fosse gentile nei confronti del povero, cornuto Jonathan. E poi, a dirla tutta, per me era un sollievo: era la conferma che Donovan non aveva strane mire su di me, e quindi mi avrebbe finalmente lasciata in pace.
Quando dissi questo a Faith, lei però si accigliò ancora di più.
- È questo che non quadra, Laura. - mi bisbigliò, anche se Valerie era già sparita ed eravamo sole. - Ci ha puntate tutte e tre, o era solo un modo per confonderci? Io stessa l'ho visto aggirarsi dalle parti della tua cabina solo stasera e, per trarsi d'impaccio, ci ha provato con me. C'è qualcosa che non mi torna. Ci sono molte cose che non mi tornano!-
Mi chiusi in cabina con le sue parole ancora in mente, cercando di trovarci un senso. A dirla tutta, ero così contenta per le rivelazioni che avevo appena avuto da Jack e da William, che era molto forte la tentazione di dimenticarmi di Connor e accantonarlo come un semplice, ingenuo scocciatore a caccia di compagnia femminile. Era semplice: aveva fatto il cascamorto con tutte e tre la sera in cui avevamo ballato, e probabilmente quella stessa sera aveva avuto Valerie e realizzato che Faith era fuori dalla sua portata. Dopodiché, come si era trovato con me a bordo della Sputafuoco, forse aveva pensato di poter approfittare della mancanza di Jack. Ma io lo avevo respinto. Chissà, magari si illudeva ancora di poter cogliere qualche opportunità con me o con la mia amica, ma nel complesso, quasi certamente, era innocuo.
Sì, sarebbe stato facile accantonarlo e non pensarci più. Ma c'era davvero qualcosa che non tornava, e quel che mi dava più fastidio era che non riuscivo a capire cosa.
Mi liberai della spada e delle due pistole che mi ero portata appresso; poi mi buttai sul letto a pancia in giù, pensando a quando avrei dovuto parlare faccia a faccia con capitan Barbossa e dirgli che, nell'ordine, avevo lasciato la nave di nascosto per due volte, mi ero incontrata con Jack, e avevo scoperto il suo piano. La cosa buona era che, se non altro, adesso sapevamo tutti di stare dalla stessa parte.
Forse.
Faith aveva visto Connor aggirarsi nelle vicinanze della mia cabina. Che cosa ci faceva lì? In tutta onestà, dubitavo che avesse quel tipo di secondi fini. E poi, in quel momento, io non mi trovavo neanche in cabina...
Ma lui non poteva saperlo. Nessuno tranne Faith sapeva che avevo appena lasciato la nave. O forse lui lo sapeva? Possibile che fosse stato nascosto da qualche parte e ci avesse viste, mentre io lasciavo la mia amica di guardia e scomparivo nella notte? Possibile, certo.
E, una volta scoperto, aveva tentato un approccio piuttosto precipitoso con Faith, a detta di lei. Un caso, un'altra dimostrazione delle sue manie da donnaiolo, o un facile metodo per distogliere l'attenzione da altro?
Ma da cosa? Cosa era venuto a cercare nella mia cabina?
Affondai il viso nelle braccia incrociate, sentendomi troppo stanca per fare qualsiasi ipotesi, ma la mia mente continuava a lavorare. C'era qualcosa che valesse la pena rubare, lì dentro? Oro e gingilli a parte. No, niente che valesse il rischio. Allora dovevo dedurre che era venuto a spiare... chissà, magari lavorava ancora per i suoi vecchi datori di lavoro, i Mercanti, e loro stessi gli avevano ordinato di tallonare da vicino i pirati che avevano distrutto il loro quartier generale...
Aveva senso. Forse Connor era vivo proprio perché i suoi ex amici, gli stessi che lo avevano condannato a morte nell'arena, avevano deciso che un infiltrato a bordo della Perla Nera avrebbe potuto fargli comodo. Chissà.
Premetti la guancia contro il materasso, senza aprire gli occhi.
Ma, all'epoca, i Mercanti non potevano avercela con noi. Non avevamo ancora concluso nulla con Silehard... ma forse a loro era bastato notare l'interesse che il nuovo signore di Tortuga aveva dimostrato per noi.
Ebbene, Connor era una spia dei Mercanti. Cosa comportava questo, per noi? Al momento, non molto. Era troppo invadente, ficcava il naso dove non doveva e faceva troppe domande, ma non aveva ancora scoperto niente che avrebbe potuto mettere nei guai noi, o Jack.
Anche se la mia mente era una tempesta di pensieri, stavo cedendo al sonno. Domattina lo avrei fatto chiamare e lo avrei interrogato sul ponte, davanti a tutti: gli avrei detto che sapevo che era lì per conto dei Mercanti, e gli avrei chiesto se davvero erano convinti che fossimo in possesso di qualcosa che fosse di una qualche rilevanza per loro. E poi? Poi probabilmente lo avrei rispedito a terra. Non sapeva nulla di pericoloso.
Immaginai altre domande che mi sarebbe piaciuto fargli, ma nessuna di quelle avrei potuto pronunciare ad alta voce.
“Ebbene, non sei che una banale spia dei Mercanti. Farti Valerie faceva parte del piano, o è stato solo un piacevole intermezzo?”
“Sei una spia, Donovan, lo so. Qual era il piano: seduci la donna del capitano, e se non ci riesci punta qualsiasi donna ci sia a bordo?”
Ad un tratto tutto si fece molto strano, perché ebbi la netta sensazione che ci fosse veramente Connor insieme a me, dentro quella stessa stanza. Udii la mia voce fargli proprio quelle domande, eppure le mie provocazioni non scalfivano l'espressione di quieto divertimento sul volto beffardo dell'irlandese. L'unica cosa che fece fu scrollare le spalle e ridere, scuotendo lentamente il capo come se avesse a che fare con una bambina ignorante.
- Possiamo smetterla di fare il triplo gioco?- disse. Solo che adesso aveva la faccia di Jack.
Di colpo ebbi la netta e orrenda sensazione che ci fosse qualcuno alle mie spalle, letteralmente alla distanza di un respiro: potevo quasi sentire il suo fiato sul collo. Ad un tratto mi sentii prendere dal panico: per qualche ragione sapevo che, chiunque ci fosse alle mie spalle, non doveva assolutamente essere lì, non ora. Sudavo freddo, e mi sentivo i piedi inchiodati al pavimento: tuttavia, col cuore in gola, lottai per voltarmi e guardare in faccia la persona che mi stava spiando. I miei muscoli parevano fatti di pietra, per la fatica che ci misi semplicemente a girare la testa e guardarmi alle spalle.
C'era una donna, dietro di me. La sua sagoma non era altro che una forma scura, irriconoscibile: non ne vidi neppure il volto, ma come la guardai ebbi la certezza che fosse una donna, e che mi stesse fissando con un'intensità che mi diede i brividi.
Il panico mi afferrò alla gola: lei non doveva essere qui! Di tutti i posti in cui poteva comparire, non doveva assolutamente trovarsi qui, adesso!
La donna senza volto incombeva su di me. Probabilmente avrei ceduto al terrore o mi sarei paralizzata se... se... se un dolore acuto non mi avesse pungolato fastidiosamente la coscia.
In quel momento, le immagini davanti a me sembrarono confondersi, mentre il dolore fastidioso alla gamba diventava l'unica cosa reale.
“Sto sognando!” lo pensai, ma dentro la mia testa lo sentii forte e chiaro come se lo avessi urlato.
Mi svegliai di soprassalto, e fu come riemergere in superficie dopo una lunghissima apnea. Ma il terrore che mi aveva afferrata nel sogno non mi aveva ancora lasciata andare; rotolai di lato sul materasso, sussultando come un animale ferito, e la mia mano scattò verso l'oggetto che mi pungolava la gamba. Era il coltello che avevo nascosto sotto la cintura prima di lasciare la Perla: mi ero dimenticata di togliermelo. Quello fu l'unico pensiero razionale che riuscii a mettere insieme, perché l'istante dopo agguantai il coltello per il manico e menai selvaggiamente due fendenti all'aria vuota davanti a me, come impazzita.
- Fuori dalla mia testa!- urlai, in preda ad un furore cieco. - Fuori dalla mia testa! Sta fuori dalla mia testa!-
Nella foga, finii per accoltellare il materasso, squarciando la stoffa: uno spruzzo di piume si riversò all'esterno, volteggiando nell'aria. Tremando, lasciai cadere il coltello e mi ritrassi, scivolando oltre il bordo del letto per finire pesantemente seduta sul pavimento.
Era stato solo un sogno. Mi ero assopita, in preda ai miei pensieri e alle mie supposizioni, e avevo sognato... Appoggiai la schiena al bordo del letto, respirando profondamente. No, non era stato solo un sogno. Avevo visto la strega: ne ero più che sicura. Avevo ceduto al sonno e per un attimo, un attimo solo, quella donna aveva cercato di frugare dentro la mia testa...
Come aveva potuto? Non era mai successo prima; i suoi poteri avevano colpito soltanto Jack. Mi aveva lanciato un incantesimo, o qualcosa del genere? Ma quando?
Rabbrividii al pensiero di cosa avrei potuto rivelare involontariamente se il sogno non si fosse interrotto... Tutto il piano di Jack. La nostra unica copertura. Le vite di Jack e di William erano appese ad un filo, che si sarebbe spezzato se solo qualcuno avesse scoperto il loro gigantesco inganno.
Ero ancora seduta sul pavimento, scossa come una bambina caduta dal letto dopo un incubo: mi imposi di alzarmi e di sistemare un po' quel disastro, ma mi accorsi che mi tremavano le gambe e le mani. Mi inginocchiai di fianco al letto, raccogliendo alla meno peggio le coperte, e... e poi mi piegai per guardare sotto il letto. Fu un gesto automatico, lo feci quasi senza pensare, o forse, dentro di me, già sospettavo qualcosa. Non c'era nulla sul pavimento -salvo un paio di bottiglie di rum vuote rotolate lì sotto tempo prima- ma guardai tra le doghe del letto per accertarmi che la coltellata non avesse attraversato il materasso da parte a parte.
E in quel momento trattenni il respiro, perché lì, infilato tra le sottili assi di legno, c'era un feticcio.
Niente di più che una minuscola bambola di stoffa rozzamente cucita, ma per poco non urlai nel trovarmela davanti. Non era stato Barbossa in persona a menzionare i feticci? Non avevo fatto controllare entrambe le navi, la Perla e la Sputafuoco, da cima a fondo proprio per essere sicura che non ci fosse in giro niente del genere? L'avevo fatto, sì. E allora come ci era arrivato lì quell'affare?
Di colpo fu tutto chiaro. Di colpo seppi che cosa era venuto a fare Connor nella mia cabina.

*

- Trovatemi Donovan! Trovatemelo adesso!-
Uscii dalla mia cabina sbraitando queste parole come una furia, e le ripetei a squarciagola mentre scendevo sottocoperta, svegliando l'intera ciurma che dormiva nelle amache del ponte intermedio. In meno di un minuto avevo scatenato il finimondo, neanche avessi dato l'allarme di una burrasca in vista.
Vidi lo sconcerto più totale sui volti dei miei uomini mentre correvo da una parte all'altra come un'indemoniata, e potevo anche capire perché: camminavo rapida, con una lanterna accesa in una mano e nell'altra il coltello, sul quale avevo infilzato il feticcio trovato sotto il mio materasso. Non mi ero azzardata a toccarlo con le mani nude, e così non avevo trovato altro modo se non piantarci dentro la punta della mia arma.
Intanto, le mie grida avevano dato il via ad una vera e propria caccia all'uomo: i pirati correvano da ogni parte, si passavano parola, e il nome di Donovan veniva ripetuto in tono sempre più concitato e minaccioso. Ad un certo punto, la luce della mia lanterna illuminò Marty, il quale, cercando di ergersi in mezzo agli altri nella sua minuscola statura, scrollava un'amaca vuota.
- Al suo posto non c'è, capitano!- annunciò, in tono grave.
Mi sentii come se un brivido ghiacciato mi squassasse lo stomaco. “Lo sa. Sa che l'ho scoperto. Mio Dio, mio Dio, questo vuol dire che la strega ha letto la mia mente e ha riferito tutto ai suoi seguaci?”
- Trovatelo!- gridai, girando sui tacchi per correre su, verso il ponte di coperta. E fu proprio sul ponte, appena fui emersa dalle scale, che udii il lieve ma distinto tonfo di un corpo che cadeva in acqua.
- Uomo in mare!- gridarono alcuni pirati affacciati alla murata, cercando di dirigere verso l'acqua la luce delle lampade, per cercare di trovare l'uomo.
- Nooo!- urlai, al colmo della frustrazione, mentre anch'io mi lanciavo contro il parapetto e guardavo giù, verso l'acqua scura. C'era buio, troppo buio, e l'unica cosa che riuscii ad individuare del fuggitivo fu il suono delle sue bracciate mentre se la svignava a nuoto.
- Sparate a quel cane! Fermatelo, non mi importa come!- ero fuori di me, e se solo avessi avuto a portata di mano un moschetto avrei di certo sparato io il primo colpo.
I pirati che avevano un fucile o una pistola cominciarono a sparare colpi in acqua, pur sapendo di stare tirando praticamente alla cieca. Dopo il rimbombo delle detonazioni, infatti, il lieve sciabordio dell'acqua smossa da Connor che fuggiva non smise; ma era troppo lieve e lontano per permetterci di capire da dove provenisse.
- Il figlio di puttana ce l'ha fatta!- sibilai, voltando rabbiosamente le spalle alla murata. La ciurma mi stava guardando con aria stupefatta: gli uomini non avevano messo in discussione il mio ordine di sparare, prima, ma ora volevano almeno qualche spiegazione.
Posai la lanterna sulle assi del ponte, e accanto, con un gesto deciso, conficcai il coltello col feticcio infilzato sulla lama. Tutti i pirati si avvicinarono per guardare, e ben presto ci fu un bel po' di parapiglia, perché quelli davanti si ritrassero in fretta, facendo gli scongiuri, sputando, segnandosi o scacciando la malasorte come meglio credevano, mentre quelli dietro si misero a spingere per vedere.
- Che cosa diavolo sta succedendo qui, branco di pecore impaurite?- sbraitò una voce fin troppo familiare, e un attimo dopo capitan Barbossa emerse dalla folla di pirati, che si scostarono al suo passaggio.
L'anziano capitano avanzò con decisione fino a me, poi puntò gli occhi su ciò che stava ai miei piedi. La scimmietta trotterellava sul ponte, ma nemmeno lei ebbe il coraggio di avvicinarsi al feticcio. Gli occhi grigio ferro di Barbossa si strinsero.
- Questo è un feticcio, miei signori. - annunciai a voce alta. - Messo nella mia cabina, in mia assenza, da Connor Donovan. Il bastardo si era presentato a noi come un membro dei Mercanti, ma ora ho capito che non lo è mai stato: era uno della gilda di Silehard fin dall'inizio. Il testarossa ci doveva la vita: siamo stati noi a rimettere insieme la sua pellaccia da quattro soldi. E come ci ripaga? Mettendo su di noi gli occhi della strega, ecco come!-
Un mormorio di disgusto seguì le mie parole. L'espressione di Barbossa era indecifrabile, ma, dopo essere rimasto per qualche momento immobile, con gli occhi puntati sul feticcio, si fece avanti e si inginocchiò. Prese il coltello, e con un colpo secco lo staccò dalle assi: con la mano libera aprì lo sportello della lanterna, e usò la punta del coltello per mettere il feticcio sulla fiamma.
Mentre Barbossa compiva quell'operazione, io alzai lo sguardo e, ad un tratto, mi trovai ad incrociare quello di Valerie. Era in piedi accanto alla murata, immobile: al contrario degli altri pirati, non aveva l'aspetto scarmigliato di chi era appena rotolata giù dal letto. Ci guardammo. Semplicemente ci guardammo per un istante, e capii che era stata lei ad avvisare Connor.
Forse stavano già parlando quando io ero uscita di corsa dalla mia cabina, o forse lei mi aveva sentita mentre gridavo a tutti di portarmi l'irlandese, ed era corsa ad avvertirlo di scappare in fretta. In ogni caso, aveva funzionato. Donovan si sarebbe fatto una lunghissima nuotata fino a riva, ma con tutta probabilità ce l'avrebbe fatta, e per noi era troppo buio e troppo rischioso per cercare di inseguirlo.
Tuttavia, in un certo senso, ne fui quasi sollevata. Era stata Valerie ad avvisarlo, non la strega. Quindi, quella non sapeva niente di Jack, e nemmeno Donovan. Non c'era niente che il testarossa potesse rivelare, eccetto dove eravamo: e noi saremmo stati a debita distanza prima ancora che lui avesse toccato terra.
Barbossa chiuse lo sportello con uno scatto secco, e tutti noi restammo a guardare il fantoccio che prendeva fuoco e si consumava in una vivida fiamma gialla. Solo allora il capitano alzò gli occhi verso di me.
- Credo proprio che dovremmo parlare. -
Annuii, mentre lui mi porgeva il coltello dalla parte del manico.
- Non sapete quanto. - risposi, riprendendomi l'arma.

*

Quando Jack si sedette davanti alla strega, fu sorpreso di non vedere il solito calice fumante sul tavolo.
- Niente medicina, oggi?- domandò, come per alleggerire l'atmosfera.
- Non ce n'è bisogno. - rispose Imogen, senza fare una piega. - Ti voglio attento. Silehard ha degli ordini per te, quindi vedi di ascoltare bene. Si parte domattina prima dell'alba: tu sarai a bordo dello Squalo Bianco e ci porterai all'isola. -
- “Ci”?... -
- Io verrò con voi. - Jack era quasi sicuro di avere visto Imogen nascondere un sogghigno. - È ovvio che ciò che cerchiamo andrà spartito come si deve. -
- Sicuramente. - borbottò il capitano, annuendo distrattamente. - Vi siete accertati, prima di partire, che i vostri seguaci siano favorevoli ad una vita da non morti, per quanto immortale essa sia?-
Di nuovo quel risolino fastidioso. - Ancora una volta sei fuori strada. - lo corresse la strega in tono quasi divertito. - Non si tratta di compiere un furto, come tu, i tuoi uomini e svariati tuoi nemici avete fatto ripetutamente. No, Sparrow, non hai ancora capito... c'è un rituale. Noi andremo lì, il sangue verrà ripagato come ultimo sacrificio, e in cambio la dea Calypso ci concederà quello che vogliamo. -
Jack alzò un sopracciglio, colto alla sprovvista. - Un... rituale? Sul serio?-
- Potrai usufruirne anche tu, se vorrai. Davvero non ti tenta? Io ho visto quanto a lungo hai accarezzato il sogno dell'immortalità... ho visto quanta paura hai della morte. - Imogen puntò gli occhi dritti nei suoi, per quanto lui cercasse di evitare il più possibile il suo sguardo. Ebbene, era andata a vedere anche quello, nella sua testa, prima che lui trovasse lo stratagemma per chiuderle le porte?
Nessuno dei due parlò per lunghi istanti, quindi la strega sembrò rinunciare ad avere una risposta e si sistemò più comodamente nel suo scranno. - Domattina ti voglio al porto all'alba, e non ammetterò ritardi. - continuò in tono pacato. - Ah, a proposito... Silehard concede una nottata libera a tutto l'equipaggio, basta che domattina si sia in porto all'ora prestabilita. Tutti i suoi uomini hanno diritto ad un prezzo di favore alla Lanterna Fioca: dammi retta e prenditi una serata divertente. - fece una pausa. - Credo che tu ne abbia bisogno. -
Jack dovette controllarsi per non ridere: quella era la prova tangibile di quanto il Kaav e le erbe di Tia Dalma contrastassero i poteri della strega. Ingurgitava la mistura soprattutto la sera, perché sapeva che quella non perdeva l'occasione per frugargli nella testa appena non riusciva più a resistere il sonno, e cadeva addormentato suo malgrado. Chissà che cosa aveva trovato quando aveva riprovato a carpirgli i ricordi. Per ora, le sue fantasie più azzardate sembravano fornirgli un ottimo scudo mentale contro i suoi attacchi.
- Ma, in effetti, so che a te il tesoro non interessa. - la strega cambiò argomento, guardandosi le nocche delle dita intrecciate. - Ho visto anche questo. Sei già tornato una volta in quel luogo, ma non hai approfittato dell'occasione, perché il prezzo da pagare ti sembrava troppo alto. Sai, io sono sempre stata molto richiesta dalla gente, perché vivo su quest'isola da anni, e so tutto di Tortuga e della gente che la abita. Ho sempre potuto offrire i miei servigi, senza il timore di essere incarcerata e ammazzata come le mie sorelle di Santo Domingo... immagino che tu conosca la storia. E immagino anche che tu abbia sentito raccontare che gli uomini che hanno giustiziato le mie sorelle non hanno più dormito bene una sola notte in vita loro. - fece un ghigno crudele, scoprendo i denti che nella penombra brillarono come zanne bianche. - È sempre stato così, anche tanti anni fa... ricordo che un giorno venne da me una giovane donna, la quale da tre anni, a dispetto del suo sesso e della sua giovane età, era entrata nell'impresa a bordo di una nave chiamata Deliverance. Era una ragazzina selvaggia, crudele, perfino. Il suo nome era Beatrix. Beatrix Barbossa. -
Jack spalancò improvvisamente gli occhi e li alzò su Imogen, che gli rivolse un sorriso torvo. - Ero certa che il suo nome ti fosse familiare... lei aveva il temperamento giusto: era sulla giusta strada per diventare più grande del padre che ammirava tanto. Dovrei essere in colla con te, Jack Sparrow: ho visto che sei stato tu ad ucciderla. -
Non era una cosa di cui andava fiero, ma nemmeno era disposto a lasciarsi giudicare da quella fattucchiera che gli aveva avvelenato il sonno. - È questo che va a cercare nella mia testa, quando dormo?-
- I sogni, capitano... i sogni scavano ogni notte nel più profondo della nostra anima, e chi sa come vedere attraverso le vie del sogno sa anche come suscitare i ricordi giusti... quelli che possono rivelare la verità. -
- Sì, già sapevo che si diverte molto a frugare nei cassetti della mia memoria. Avrei anche qualche ricordo privato, eh? No, nel caso ogni tanto le venisse voglia di chiedere il permesso prima di... -
- Non siamo qui per parlare di questo. - lo interruppe bruscamente lei. - Parlavamo di Beatrix, che, allora sedicenne, venne da me in cerca di un nome. Sua madre, una prostituta, prima di morire le aveva rivelato l'esistenza di un fratello. -
Jack si corrucciò, ancora una volta preso alla sprovvista. - ...Fratello?-
- Sì, un fratello gemello nato e cresciuto a Tortuga come lei, ma separato da lei e affidato ancora in fasce ad un'altra donna, poiché era troppo gravoso occuparsi di due bambini. La Deliverance stava attraversando un pessimo periodo: scarso bottino, molti danni e gran malcontento. Beatrix si era appena ammutinata, fuggendo con la sua paga, intenzionata a ricominciare da qualche altra parte su qualche altra nave. Ma, lì per lì, era spiazzata e sola. Frustrata dagli insuccessi dei suoi tre anni passati per mare, probabilmente pensò che le sarebbe potuta andare meglio se avesse avuto al suo fianco un alleato, qualcuno con sui collaborare. -
- Qualcuno a cui dare ordini, insomma. -
- Se vuoi vederla così... - Imogen si strinse nelle spalle, chiaramente soddisfatta di avere catturato l'attenzione del capitano. - Allora si ricordò dell'esistenza di uno del suo stesso sangue, un altro Barbossa. Così si incuriosì, chiedendosi se avrebbe trovato in lui un degno rivale o un buon alleato, e venne da me per sapere chi cercare. -
- E lo trovò?- Jack non cercava più nemmeno di trattenere la curiosità.
La strega ridacchiò, dondolando il capo in un gesto che non significava né sì né no. - A questa storia potresti mettere tu stesso il finale. Lo trovò, e fece di lui il suo braccio destro. Quale ironia che tu lo abbia avuto sotto gli occhi per tutto questo tempo... -
Jack si protese in avanti, corrucciato, i pugni chiusi sul tavolo. - Chi?-

*

Quella notte, alla Lanterna Fioca, la clientela era la più numerosa e scalmanata che si fosse vista da tempo. Quasi l'inter gilda si era radunata nel bordello, per festeggiare e darsi ai bagordi prima dell'imminente partenza: Silehard lo considerava di buon auspicio, e i suoi uomini di certo non disapprovavano.
- Miei signori, benvenuti, benvenuti!- miss Bondies accoglieva tutti gli avventori con un sorriso gioviale, sebbene alcuni di loro non fossero affatto il genere di uomini che normalmente avrebbe lasciato entrare nel suo ricercato bordello. Ma doveva fare buon viso a cattivo gioco: Silehard pagava bene -e in anticipo- per ognuno di loro, come si conveniva ad una casa di piaceri d'altro bordo, e non si poteva dire di no ad un tale fiume di denaro che scorreva sonante direttamente nelle casse della proprietaria.
Quando però, mentre accoglieva i clienti all'entrata, si trovò davanti Jack Sparrow in persona, il sorriso le si congelò sulle labbra.
- ...Capitan Sparrow. - si riprese un attimo dopo, salutandolo ugualmente con un educato cenno del capo e un sorriso falso, invitandolo ad entrare.
Jack sorrise di rimando, e una volta entrato si guardò attorno: nella sala principale del bordello, di solito piuttosto tranquilla, c'era decisamente un'atmosfera festaiola. C'erano dei musicanti, e giravano boccali di liquore forte a volontà; molte ragazze correvano da tutte le parti, ridendo, cercando di accaparrarsi gli uomini più appetibili, e c'era un certo movimento dietro le tende rosse che coprivano gli ingressi a stanze più riservate. In cuor suo, Jack ringraziò che l'effetto del Kaav fosse già sbollito.
- È impegnata Dorothy?- domandò, accostandosi a miss Bondies con una mano sulla sua spalla, mentre insieme fendevano la folla.
- Non credo... vado a chiamarla?- Jack sentiva su di sé lo sguardo dubbioso della donna, e gli sembrava di indovinare i suoi pensieri.
- Sì, per favore. -
Mettendo da parte le domande e tornando al suo ruolo di direttrice del bordello, miss Bondies accompagnò Jack nelle stanze sul retro, e in pochi minuti recuperò Dorothy, come richiesto. Il capitano, nel frattempo, era distratto a chiedersi quando fosse stata l'ultima volta che aveva fatto una richiesta simile in un bordello... decisamente era passato del tempo, ed erano cambiate un bel po' di cose. Curiosamente, il pensiero lo divertiva.
- Ecco a voi!- miss Bondies gli mostrò la ragazza, col suo miglior sorriso da donna d'affari. - Abbiamo libera una delle stanze migliori, e la metterò a vostra completa disposizione per tutto il tempo che vorrete, capitano. Per il prezzo e quant'altro, credo che possiate prendere accordi da soli. -
Il capitano gettò uno sguardo a Dorothy, che, da parte sua, sembrava a dir poco terrorizzata. Lo fissava ad occhi sbarrati, mordendosi ripetutamente le labbra e tenendosi una mano sul petto. Notando questo repentino cambiamento nel suo atteggiamento, miss Bondies le rifilò una spinta in mezzo alle scapole per spingerla avanti, sibilandole, scandalizzata, un secco: - Dorothy!-
Jack ringraziò con la sua espressione più affabile e rivolse a miss Bondies un mezzo inchino, poi, con gentilezza, posò una mano sulla schiena della giovane e si allontanò con lei verso il piano di sopra. La ragazza non osava guardarlo, e aveva il cuore che batteva come un tamburo dentro lo stretto corsetto rosso fuoco che le fasciava esageratamente i seni. Perché il capitano era venuto a cercare lei? A parte che era strano che desiderasse lei, che era così giovane, anche se le erano capitati uomini ben più attempati. Ma come avrebbe potuto stare tranquilla dopo avere saputo quello che aveva fatto a William Turner? Non dimenticava l'espressione del capitano Evans quando era venuta a rifugiarsi nel bordello.
Ma, nonostante le sue paure, il capitano non sembrava avere cattive intenzioni nei suoi confronti, e finora nemmeno aveva fatto come certi clienti, che neppure avevano la decenza di aspettare di essere arrivati alle camere per cominciare a riscuotere il dovuto. Le camminava accanto, conducendola gentilmente con sé: Dorothy sentiva le sue dita sul collo e non poteva negare quanto la cosa le facesse piacere. In fondo, tutte ne avevano sempre parlato bene, e poi era bello. Non poteva essere tanto male.
Entrarono nella camera, e il capitano si fermò per girare la chiave dentro la serratura. Approfittando del fatto che le stesse dando le spalle, Dorothy respirò a fondo, intimandosi di stare calma e smetterla di fare storie. Lui poteva essere un assassino e un traditore, forse, ma non le avrebbe fatto del male. Per quella notte, poteva anche ritenersi fortunata.
- Prima che tu dica qualsiasi cosa... - le fece, voltandosi verso di lei proprio quando era sul punto di scusarsi per il suo atteggiamento freddo. - Ti devo dire di non preoccuparti: non sono qui per chiederti di lavorare, comprendi?-
Questo la lasciò sbigottita più di tutto il resto. - Oh. - dopo aver cercato di mascherare la paura, adesso si trovava a dover nascondere la delusione. - E... perché siete venuto, allora?-
Dei rumori piuttosto espliciti, provenienti presumibilmente dalla stanza accanto, riempirono in modo imbarazzante quel momento di silenzio. Jack sembrò non farci troppo caso: si sedette sul bordo del letto e fece cenno a Dorothy di avvicinarsi, mentre sfilava dalla tasca un foglio ripiegato.
- Mi dispiace davvero doverti chiedere di farmi da corriere, ma non so di chi altri fidarmi qua dentro. - le disse mentre glielo porgeva, abbassando la voce. - Credo anche di sapere perché mi guardi così da quando sono entrato... ti è arrivata qualche voce, non è vero?-
Dorothy era sulle braci, senza sapere se accettare o no il biglietto che lui le porgeva.
- Dicono... che avete ucciso il capitano Turner. - le tremò la voce, su quel punto. - ...e che avete tradito i vostri compagni della Perla Nera. -
Jack fece un sorrisetto soddisfatto, facendo scintillare i denti d'oro. - Mi sta bene che lo dicano: vuol dire che ci credono. - le si avvicinò un poco, sempre sorridendo. - Quello che ti ho detto non deve uscire da questa stanza, e non devi fermarti o parlare con nessuno né prima, né durante né dopo questa consegna. Ho bisogno che porti il biglietto a mia moglie, comprendi? Consegnalo solo a lei in persona, per favore. La troverai al molo: lei saprà riconoscerti. Allora, pensi di poterlo fare?-
Dorothy si concesse di indugiare ancora per un istante, anche se ormai era già convinta: maledetto il capitano e il suo essere dannatamente persuasivo. Ad indorare la pillola ci pensò lui, frugandosi ancora in tasca e allungandole una manciata di monete. - Oh, e queste sono per il disturbo. E per il tuo silenzio, se non ti dispiace. -
La ragazza annuì e prese il biglietto dalle mani del capitano, nascondendoselo sotto il corsetto con abilità consumata. - Certo che lo farò. Potete fidarvi di me, capitano!-
Jack le fece un altro sorriso, anche se -per una volta- distolse gli occhi da tutto quel lavorio di mani attorno ai seni della ragazza, che sembravano sul punto di esplodere fuori dal corsetto. Dorothy si accorse di quello strano gesto di cavalleria del tutto fuori luogo, e decise che si sentiva abbastanza di buon umore da continuare, con un sorriso aperto: - Se, dopo la consegna, aveste comunque voglia di qualcos'altro... vi assicuro che per me sarebbe un piacere. -
Tanto per rincarare la dose, gli posò una mano sul ginocchio e gli accarezzò la gamba. Jack saltò come se lo avesse punto un'ape e, davanti allo sguardo stupito della giovane, se ne uscì in tono impacciato: - Ehm... sei molto gentile, tesoro, ma credimi se ti dico che sarebbe una pessima idea. -
- Perché?-
- Perché se il minimo sentore di una cosa del genere arrivasse all'orecchio della destinataria del messaggio, domani ci sarebbe la tua testolina esposta in pubblica piazza, e un pezzo di me appeso all'estremità di ogni pennone della Perla Nera. -
Dorothy inarcò le sopracciglia, visibilmente impressionata. - ...Oh. -
- E perché sono innamorato di lei, ovviamente. - concluse Jack, con una scrollata di spalle e un sogghigno.
La ragazza inclinò il capo ed emise un sospiro svenevole, con gli occhi che brillavano. - Che cosa dolce!- esclamò, stringendosi le mani al petto.
- Da morire... - replicò Jack, soprappensiero. Poi aggiunse: - Grazie mille, bellezza. - le prese il mento fra due dita e le stampò un bacio sulla guancia morbida. Dorothy si allontanò da lui con il viso in fiamme. Si stava davvero comportando più come una verginella imbarazzata che come l'esperta e spigliata che era, ma quel maledettissimo pirata aveva su di lei un effetto tutto suo.
Lasciò la stanza di corsa, in un frullo di sottane. Jack richiuse la porta dietro di lei: per il resto della notte non voleva essere disturbato, onde evitare le sopracitate furibonde ritorsioni dalla sua dolce metà. Una volta rimasto solo, si buttò sul letto, e si accomodò intrecciando le braccia dietro la testa: non contava di restare lì fino all'alba, ma almeno per un tempo accettabile da non destare sospetti. Addormentarsi era ancora troppo pericoloso.
Si era appena calato il tricorno sugli occhi, quando un suono più insistente, proveniente dal piano di sotto, attirò la sua attenzione. Si sollevò sui gomiti e tese l'orecchio: non era solo il baccano del bordello -o degli occupanti della stanza di fianco, dei quali era abbastanza sicuro che fossero almeno in tre e uno fosse portoghese- , c'era un bambino piccolo che strillava come un'aquila e una donna che gridava, e questo no, non era normale.
Il capitano si alzò, spalancò di nuovo la porta e scese giù per la scala, seguendo il baccano: al piano di sotto si trovò davanti una scena che lo lasciò a bocca aperta, e lo fece appiattire contro il muro per precauzione.
Daphne, pallida e in camicia da notte, si protendeva selvaggiamente verso nientemeno che Silehard, il quale si ritraeva da lei, tenendo fra le braccia un fagotto che si dimenava.
- Ridatemi mio figlio! Ridatemelo, vi prego, non me lo potete portare via! Vi prego!- Daphne sembrava fuori di sé, mentre artigliava la giacca dell'uomo tentando di riprendersi il bambino.
- Finiscila!- Silehard rinforzò la presa sul fagotto, strappandolo definitivamente dalle mani della donna. - È anche mio figlio, e me lo prendo per diritto di padre. Dovresti ringraziarmi, stupida, ti sto togliendo un peso!-
- Non hai nessuna prova che sia tuo! Porco! Carogna!- ora la donna sembrava furibonda: Jack si aspettava quasi di vedere Silehard fatto a pezzi dalla giovane inferocita da un momento all'altro. Non capiva perché miss Bondies non intervenisse, o perché nessuno di quelli che stavano a guardare quel penoso spettacolo facesse niente. Daphne, probabilmente, pensava le stesse cose, perché si guardò attorno come un animale braccato e cominciò a chiamare aiuto. - Miss Bondies! Miss Bondies! Qualcuno, dannazione! Oh, tu non puoi... non puoi!-
Fece per avventarsi su di lui, ma quello la prese per un polso e la respinse con forza, scagliandola a terra.
- Posso eccome, schifosa! Tu non hai idea di quello che posso fare! Questa città è mia. Ed è meglio che tu, come tutti quanti, cominci ad abituartici!- fece un gesto come a minacciare di sferrarle un calcio, quel tanto che bastava per spaventarla, poi girò sui tacchi e se ne andò senza aggiungere altro, con il bambino frignante tra le braccia.
Jack era rimasto in silenzio a guardare. Certo non gli piaceva affatto aver dovuto fare il muto testimone davanti a tutta quella scena, ma non era stata l'unica cosa a scuoterlo. Perché Silehard si era preso il bambino? Che cosa aveva a che fare con la missione che dovevano compiere l'indomani? I suoi pensieri tornavano al suo ultimo colloquio con la strega, e non era un pensiero confortante.
In silenzio, risalì le scale e chiuse per l'ultima volta la porta dietro di sé: sarebbe stato meglio se Silehard lo avesse creduto in camera il più a lungo possibile. Ora non gli restava che aspettare.




Note dell'autrice:
Ehm ehm ehm.
O dovrei dire "oh oh oh", vista la data, e cercare di cavarmela dicendo che questo capitolo è un regalo di Natale... Ok, poche scuse: gli ultimi capitoli di questa storia si sono presi dei tempi biblici, e il fatto che la nuova fanfiction su Cats si sia fatta largo sui pirati a gomitate non ha aiutato. ^^ In ogni caso, rieccomi! Per chi ha ancora la pazienza di aspettare i capitoli, per chi ancora mi legge, per chi approda qui per la prima volta, rieccomi, e buon Natale!
Passiamo alle comunicazioni di servizio, anche quelle vecchie di secoli. In particolar modo, lancio un appello accorato per la prematura sparizione di Captain Alwilda, la quale è sparita da Deviant Art senza colpo ferire. Dove sei, compare? Ma ha fatto in tempo a lasciarmi alcuni graditissimi omaggi, che non posso non condivedere con voi!
Rispettivamente: 1, 2 e 3.
Poi, altra menzione speciale e un inchino con alzata di cappello per Dani o "Rivan145th" per i suoi fantastici regali, quali non una ma due Laura Evans, e un divertentissimo spaccato di vita direttamente dalla testaccia malata dell'autrice. Thank you, matey.
Inoltre, grazie alla mia fida Sara o Billy, affezionatissima e utilissima editor e vero e proprio dottor Watson alla quale non sfugge nulla.
Un saluto di cuore a Dannata93 (grazie per il balletto della gallina spastica, sono onorata!), a Mally (eh sì, lo spiegone è arrivato, e mo tocca sbrogliare con calma tutte le fila) e a Fannysparrow (che spero continui ad apprezzare Will piratizzato e Connor... talpone).
Wind in your sails e buon Natale!

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Capitolo 15
*** A caccia. ***


Capitolo 14
A caccia.


Dorothy arrivò dove la stavo aspettando, e, quando mi vide, sembrò scoppiare dalla gioia come se non ci credesse neanche lei.
- Allora diceva la verità!- continuava a squittire, mentre io dovevo praticamente strapparle il biglietto dalle mani. - Non vi ha mai tradito! Era dalla vostra parte fin dall'inizio! Quindi anche William Turner è vi... - le ultime parole finirono soffocate dalla mano che le si posò fermamente sulla bocca.
- Sì, e se continuerete a strillarlo ai quattro venti, presto lo saprà anche tutta la gilda. - la riprese duramente Barbossa, che fino a quel momento era rimasto immobile alle spalle della giovane come un fantasma nella notte. Attese giusto qualche altro istante per essere sicuro che Dorothy avesse recepito il messaggio, quindi la lasciò andare: il suo gesto e uno sguardo truce furono sufficienti per zittirla completamente. Io mi rigiravo con fare possessivo il biglietto tra le mani.
- Mille grazie, Dorothy, sei stata preziosa. - la ringraziai, in tono molto più gentile di quello del capitano, e così la congedai. Mentre lei si allontanava di corsa, io e Barbossa ci voltammo all'unisono, e senza una parola raggiungemmo la scialuppa che ci attendeva nell'ombra. Elizabeth era lì, già pronta ai remi, e fu sufficiente scambiarci un semplice cenno perché tutti quanti cominciassimo a remare, spingendoci al largo. Eravamo scesi a terra soltanto io, Elizabeth e Barbossa, più la sua inseparabile scimmietta, per non rischiare di essere scoperti. Tutto sembrava andare per il meglio. Nel porto non avevamo trovato traccia di Donovan, ma nemmeno avevamo perso tempo a cercarlo. Ormai era andato.
Sentivo gli occhi di Elizabeth su di me da quando avevo messo le mani sul biglietto di Dorothy. Probabilmente il mio desiderio di notizie era secondo soltanto al suo: convocarla insieme a Barbossa, poco prima, e raccontarle che Will era vivo, stava bene, e che faceva tutto parte del piano di Jack era stato più difficile di quanto avessi immaginato.
Se non altro ero stata avvantaggiata dal fatto che avessimo tutti una certa fretta, il che mi aveva permesso di spiegare tutta la situazione molto in fretta e senza troppi preamboli... questo però non aveva impedito a lei di cacciare uno strillo e prendermi per le spalle, mentre mi chiedeva a raffica: - È vivo? Lo hai visto? Sta bene?- per terminare con l'immancabile, inevitabile e irritante: - Io te l'avevo detto!-
Decisamente, la fretta era stata una benedizione, altrimenti sarei scoppiata. Sì, me lo aveva detto. Tutti me lo avevano detto. Ma quella che era mezza morta di paura, quella notte, quella che per lunghissimo tempo aveva dovuto convivere con l'incertezza, ero e rimanevo io. E questo, nessun “te l'avevo detto” lo avrebbe cambiato.
Per questo, ad un tratto, non seppi trattenermi dal prendermi una piccola rivincita personale, voltandomi verso Barbossa con un sorriso trionfante e bisbigliando: - Visto? Ve l'avevo detto che avrebbe mantenuto la parola!-
- Questo, se permettete, lo giudicheremo quando ce la vedremo con Silehard. - rispose lui, senza smettere di remare. - Il biglietto che cosa dice?-
- Lo leggiamo dopo: ho le mani occupate. - ma, prima che avessi finito di parlare, la scimmia mi sgusciò tra le ginocchia e mi strappò il biglietto dalla tasca della giubba.
- Ehi!- protestai, cercando di riacchiapparla: la scimmia saltò sul parapetto e aprì il cartiglio in tutta calma, come una persona normale avrebbe srotolato una lettera. - Ti avverto, mostriciattolo, fallo cadere in acqua e... -
- Lo sa quello che fa. - mi interruppe Barbossa, divertito. Sentii Elizabeth sbuffare leggermente, ma non fece commenti: era evidente che era curiosa quanto lui di sapere che notizie ci fossero. Barbossa smise di remare e allungò una mano verso la scimmia, la quale gli porse il biglietto: il capitano se lo portò davanti agli occhi e si sforzò di leggere col solo ausilio della luce della luna, dato che non ci eravamo portati nessuna lanterna. La scimmia berciò, soddisfatta. Non potei fare a meno di pensare che l'animaletto assomigliava ad una piccola estensione del capitano stesso, un terzo braccio animato che prendeva quello che voleva senza bisogno che lui le dicesse niente. Onestamente, mi davano i brividi.
- Dunque... salpano domani all'alba, con lo Squalo Bianco. Accidenti al buio... ah, ecco... a bordo ci saranno quasi tutti quelli che contano qualcosa, nella gilda. Cosa... ah. Qui parla di un rituale. - i suoi occhi si strinsero, poi si sollevarono su di me e su Elizabeth. - Voi ne sapete niente?-
- Quale rituale?- ripeté Elizabeth, dando voce al pensiero di entrambe.
- Rituale?- ripetei, aggrottando le sopracciglia. - Non vogliono semplicemente prendere il tesoro dell'Isla de Muerta, e prendersi insieme maledizione e immortalità?-
- Non credo proprio. - Barbossa scosse il capo, allontanando il biglietto dagli occhi per lasciarlo illuminare un po' di più. - Hanno quella sacerdotessa di Calypso con loro, e quella sembra sapere il fatto suo. Hm. Che io sia dannato se so cosa hanno intenzione di fare: da quel tesoro non può venire niente di buono, qualsiasi uso se ne faccia. -
“E chi può saperlo meglio di voi...” pensai, senza azzardarmi a tradurlo in parole. Il capitano mi inquietava anche per questo: di lui, tramite i racconti dei miei amici, sapevo soltanto che aveva condotto per dieci anni un'esistenza da incubo, né vivo né morto. Avevo visto gli effetti della maledizione su Jack, una volta sola, e per brevissimo tempo. Ora non potevo fare a meno di guardare quel viso rugoso nell'argentea penombra lunare, e immaginare le ossa scoperte, la pelle del volto a brandelli, i denti ghignanti di un teschio.
Rabbrividii e distolsi lo sguardo, sperando che non notasse il mio gesto. Cercavo di ripetermi che non c'era motivo di avere paura: non era una creatura mitologica o un qualche fantasma del passato; era semplicemente un uomo. Un uomo di carne e ossa, mortale quanto me. Tuttavia, quell'ombra minacciosa incombeva ancora sopra di lui, incancellabile. Lui era stato immortale, e anche per un bel po' di tempo. Chissà che effetto faceva.
- A bordo ci saranno sia Jack che... hm, “Tiago”. Bene. D'accordo, il resto può attendere. - ripiegò il biglietto e lo infilò con cura nella tasca della sua giacca: il gesto non mancò di darmi fastidio, ma ormai mi ero imposta di portare pazienza e di collaborare col capitano: la nostra alleanza era ora più che mai vitale.
- Forse sarà un azzardo, ma ne varrà la pena. Non credete?- domandai.
Per la prima volta vidi l'ombra di un ghigno di approvazione sul viso attempato di Barbossa, mentre riprendeva a remare di buona lena. - Oh sì. Senz'altro ne varrà la pena. -

*

- Svegliati. Svegliati. Svegliati, e che diavolo! Impersonare un muto non ti dà il diritto di non rispondere!-
Will protestò fiaccamente, mentre apriva gli occhi e scopriva che era ancora buio, intontito dal sonno. Subito dopo fece del suo meglio per cacciare via Jack, il quale si era chinato sulla sua branda e aveva cominciato a scrollarla violentemente.
- Smettila... sono sveglio. -
- Sì, sei sveglio. Ma non sembri abbastanza Tiago. - Jack accennò alla pittura che iniziava a staccarsi dal viso del giovane. - Dobbiamo essere pronti prima del ritrovo al porto, o qualcuno si insospettirà. Su, in piedi. -
Will si alzò più in fretta che poteva, cercando di schiarirsi le idee: la sera prima era nervoso e si era addormentato solo a fatica, adesso invece non la finiva più di sbadigliare. Inoltre, doveva essere terribilmente presto. La stanzetta in cui alloggiava nei panni di Tiago era ancora buia; appena rischiarata dalla luce di una candela che Jack aveva lasciato sul tavolo. A giudicare dalla debolissima luce che filtrava dalle imposte sbarrate, doveva essere a malapena l'alba. Non aveva dormito che pochissime ore.
Scoccando un'occhiata al capitano, di colpo si accorse che neanche lui sembrava avere dormito bene: aveva il viso segnato da due profonde occhiaie, e lo sguardo scuro come lo aveva visto ben poche volte.
- Che ti è successo?- domandò, preoccupato, scrutandolo da capo a piedi.
- Niente di che... va tutto bene. -
- Hai avuto un altro incubo?- non sarebbe stata certo la prima volta. Jack aveva passato le ultime notti dormendo nella stanzetta attigua alla sua: poter usare l'armeria di Tiago si era rivelata una copertura perfetta, senza nessun membro della gilda troppo vicino. Il capitano era stato molto fiero dei suoi risultati nel chiudere la mente alla strega, usando la sbobba che aveva ottenuto mischiando il Kaav e gli intrugli di Tia Dalma... ma, notte dopo notte, Will si era accorto che la pozione non lo proteggeva del tutto dagli incubi.
Si era svegliato urlando due volte, ed entrambe le volte Will era corso fuori col cuore in gola e armato di tutto punto, convinto che Silehard avesse scoperto l'inganno.
Alla sua domanda, Jack fece un sospiro e scrollò bruscamente le spalle, quasi infastidito. - Mi sono addormentato, maledizione... - sbuffò, con aria imbronciata. - E non avevo in programma di farlo. Dannazione, passare la notte nel bordello mi sembrava un alibi sufficiente; non credevo che quella avrebbe cercato di frugarmi la testa anche stanotte... proprio quando non avevo preso la pozione. Ho corso un grosso rischio: meno male che ormai ho imparato a tenerla fuori in ogni caso. - storse la bocca, come per levarsi dalla lingua un sapore amaro. - Peccato che, se non riesce ad entrare, si vendica con gli incubi. È ovvio che non vuole lasciarmi in pace. -
Will annuì in silenzio, mentre recuperava da un cassetto un barattolo pieno di pittura. - Forse... è più sicuro se continui a prendere la pozione. -
- Un poco ogni tanto è un conto, troppo è un suicidio... capisci che non lo bevo volentieri né qui, né in un bordello. - borbottò Jack in tono eloquente. Pur essendo dispiaciuto per lui, per un attimo Will dovette controllarsi per non ridacchiare.
- A me non fa un effetto così spaventoso. - commentò, tanto per sdrammatizzare, mentre si stringeva nelle spalle. Svitò il tappo del barattolo e immerse le dita nella pittura: era biancastra e vischiosa, e aveva un odore strano; tuttavia, si tappò il naso e se la spalmò sul viso senza fare una piega. Mentre si seccava, la pittura disegnò finte rughe sulla sua faccia, che resero perfetto il camuffamento.
- Tu non ne prendi quanto me. - sbottò Jack, scoccandogli un'occhiata di sufficienza. - E poi, probabilmente hai poco da far funzionare. Dai, ora sbrighiamoci, prima di arrivare in ritardo. -
Will sospirò tra i denti, cercando di ricordarsi di non dare corda alle battute del capitano se voleva conservare intatti i suoi nervi. - Arrivo. - si legò con cura la benda attorno al capo, nascondendo un occhio. - ...Jack?- aggiunse, esitante, qualche attimo dopo.
- Sì?-
- ...Funzionerà?-
Jack allargò le braccia e fece un sogghignò. - Dico, ho mai deluso la tua fiducia?-
Will abbassò gli occhi, scuotendo il capo, e recuperò il bastone di Tiago. - Lasciamo perdere... - mormorò, mentre provava la sua migliore camminata zoppicante.
- Razza di ingrato. Funzionerà. - concluse Jack, in tono vivace.

*

Il sole era appena sorto sulla baia di Tortuga, e la ciurma dello Squalo Bianco era in fermento.
Provviste, armi e rifornimenti erano appena stati caricati fra il baccano e i richiami dei pirati che si gridavano istruzioni l'un l'altro; il vento quel mattino soffiava forte, regalando per quel momento un cielo limpido e senza nuvole, ma facendo presagire un mare agitato, una volta che il galeone avesse finalmente preso il largo.
Poco a poco le grida dei marinai si smorzarono, mentre Robert Silehard in persona dava il suo personale inizio a quella che considerava la sua grande impresa. Il signore della gilda aveva deciso di dare alla partenza un tocco solenne e trionfale, perché sfilò sul pontile sotto gli occhi dei suoi uomini, vestito di tutto punto in una sfarzosa giacca blu e il suo ampio cappello, con ben due spade che gli pendevano dalle cinture ai fianchi. Dietro di lui veniva Imogen, nei suoi consueti abiti esotici da chiromante, ma con un leggero scialle nero avvolto attorno al capo. Per quanto ne sapeva la maggior parte dei presenti, era praticamente la prima volta che la strega si presentava alla luce del giorno.
Imogen conduceva con sé una giovane donna quasi insignificante: sarebbe potuta essere una cameriera o una prostituta, e nessuno avrebbe notato la differenza. Quel che veramente sembrava importare alla strega, che stringeva saldamente la giovane per un braccio fin quasi ad affondarle le unghie nella carne, era il fagottino che la donna teneva tra le braccia.
Dietro il terzetto venivano i tirapiedi più grossi e nerboruti di Silehard, come una muraglia. Da sopra il gomito di uno di loro si affacciò Jack, che seguiva quel piccolo corteo a breve distanza insieme agli altri comuni membri della gilda che si preparavano ad imbarcarsi dietro il loro condottiero.
Il capitano saltellò alle spalle della guardia del corpo per non perdere di vista le due donne. Le vedeva di schiena, quindi ebbe solo un rapido e fugace squarcio del bambino che dormiva appoggiato alla spalla della giovane, poi la muraglia umana si richiuse, impedendogli di vedere altro.
Solo allora Jack si ritrasse, rientrando nei ranghi. Era abbastanza sicuro che il bambino fosse lo stesso che aveva visto strappare alla madre da Silehard la notte prima: su questo c'erano pochi dubbi, a meno che il capo della gilda non di fosse messo di punto in bianco a collezionare neonati.
Tiago -o meglio, William- camminava accanto a lui, battendo forte a terra il bastone ad ogni passo. Jack scambiò una rapida occhiata con lui, e indovinò lo sguardo interrogativo dell'unico occhio visibile.
Impersonare un muto comportava una notevole scomodità, per il giovane fabbro: non poter comunicare. Perciò, negli ultimi giorni il capitano si era specializzato in ciò che gli riusciva meglio: parlare per entrambi, inserendo nel discorso il maggior numero di informazioni possibile, sperando che William recepisse, tra queste, quelle veramente importanti.
- Ebbene, bizzarra compagnia, davvero!- esclamò, mentre l'improvvisato corteo attraversava il pontile. - Di' un po', non è un bambino quell'affare là davanti? Quello là, in braccio alla ragazza che la nostra strega stringe così amorevolmente... devo dire, in effetti, che è strano vederla alla luce del sole: cominciavo a convincermi che l'avrei vista andare in cenere, se l'avesse toccata anche solo un raggio di sole. Così non è, a quanto pare. Almeno per il momento. Chissà, potrebbe voler dire che la nostra Imogen è più di carne e ossa di quanto non volesse far sembrare in realtà... Tornando al bambino, che stavo dicendo? Oh, sì! Sai che somiglia moltissimo ad uno che ho visto solo poche settimane fa, alla Lanterna Fioca? Ora, non che me ne intenda di bambini, ma... -
- Basta con le chiacchiere, là dietro!- lo riprese bruscamente uno dei pirati che faceva scudo alle spalle di Silehard, Imogen e la donna, girandosi per scoccare a Jack un'occhiataccia.
Il capitano assunse la sua migliore espressione contrita. - Stavo solo cercando di ravvivare un po' l'atmosfera. - si scusò, mentre il gruppo risaliva la passerella per raggiungere finalmente sul ponte dello Squalo Bianco. - Il muto, qui, non è molto di compagnia. -
- Uomini, ai posti!- gridò in quel momento Silehard, che, tutto impettito al centro del ponte, si godeva il suo momento. - Issare l'ancora e spiegare le vele! Nostromo... - si rivolse con un cenno del capo ad uno dei pirati che lo accompagnavano e indicò la giovane col bambino. - ...chiudete questa donna nella mia cabina, e assicuratevi che a lei e al bambino non accada nulla di male. Imogen, tu affiancherai il timoniere alla barra. -
La strega si limitò a fare un piccolo cenno d'assenso col capo, e lasciò andare la giovane donna solo per consegnarla nelle mani della guardia. Le sue dita scure avevano lasciato segni rossi sulla pelle del braccio di lei. Senza una parola, si incamminò su per il cassero di poppa e si fermò accanto all'uomo che teneva il timone: gli si accostò un poco per dirgli poche parole a bassa voce, quindi rimase ferma al suo posto come una statua di sale.
Vedendo che Silehard non aveva avuto neanche una parola per lui, Jack pensò bene di seguire la strega: il timoniere non fece caso a lui, e neppure Imogen lo degnò di mezza occhiata.
- Ehm ehm. - Jack si schiarì sonoramente la gola, sperando che qualcuno notasse la sua presenza. La strega strizzò le palpebre. Lo prese come un segno sufficiente. - Ora che ci penso, non abbiamo mai parlato delle modalità del viaggio. Non mi è stata fatta nessuna domanda, e ora non sono nemmeno stato messo al timone... come contate che vi conduca all'Isla de Muerta?-
Gli occhi scuri della strega erano quasi l'unica cosa che si scorgeva di lei sotto il velo: quegli occhi si voltarono verso Jack, e vi brillò un lampo di scherno.
- Mi hai già detto quello che volevo sapere, Sparrow. Tu conosci la rotta per l'isola: ora la conosco anch'io. -
Jack represse a stento un brivido. - Capisco. - con la coda dell'occhio, notò che Tiago si era fermato sulle scale del cassero, con lo sguardo rivolto al ponte. Abbastanza vicino, però, da ascoltare in modo discreto la loro conversazione. - Cioè, in realtà capisco, ma sono confuso. Credevo che aveste bisogno della mia guida, o... -
- Della tua bussola?- terminò la strega per lui. Alle sue parole, il capitano appoggiò istintivamente le dita sulla bussola che pendeva dalla sua cintura, ma la donna scosse il capo. - So anche di quella. Non preoccuparti: non dubitare che, se l'avessi voluto, quell'oggetto sarebbe già in mano mia. Ma perché dovrebbe interessarmi una bussola, anche una col potere di indicarmi ciò che desidero di più, quando so perfettamente dove andare?- fece un risolino fastidioso. - Tieni la tua preziosa bussola, capitano. Ci sarà utile, dopo, per una sola cosa: ritrovare la tua amata Perla e riprendercela una volta per tutte. -
- ...Oh. - si limitò a mormorare Jack, che cominciava a trovarsi a corto di risposte.
- Cominci a perdere di vista la tua effettiva utilità in tutto questo?- gli domandò la strega, con voce flautata. - Ne sono lieta, perché così capirai quanto precaria è diventata la tua situazione. Con Silehard, stiamo andando a risvegliare antichi poteri e forze oscure per stringere un patto... un patto che ci concederà l'immortalità, il dominio dei mari, tutto quello che vogliamo. È a questo che serve, tutto ciò. Il viaggio, il tesoro... -
- ...e il bambino. - terminò Jack per lei. Per qualche attimo fu lui a lasciarla senza parole, e la strega sostenne il suo sguardo in silenzio per lunghi istanti, rispondendo così alla sua implicita domanda.
- Vuoi sapere che ruolo hai tu, in tutto questo?- continuò poi Imogen, sollevando il mento con gesto brusco. - Tu guidi una nave abitata da uno spirito del mare: uno degli stessi spiriti che stiamo andando a risvegliare. Sei anche uno dei pochi ai quali questo spirito si è rivelato. È per questo che è importante che sia tu a guidare la Perla Nera. Perciò non fare scherzi, Sparrow. Stai dalla nostra parte, e sarà nostro interesse che tu stia al timone della tua Perla il più a lungo possibile. Continua a fare ciò che ti viene chiesto: obbedisci, esegui gli ordini e non fare errori, e parola mia non sarai mai separato dalla tua nave, qualunque cosa accada. Ma devi collaborare. -
- Mi sembra di non aver fatto altro, ultimamente!- scattò Jack, in tono improvvisamente duro: sentire la strega parlare dello spirito che lui chiamava la Dama lo aveva innervosito ancora di più. Peggio ancora, sapeva tutto di come lui e lo spirito fossero legati. - Non ho fatto che collaborare! Questo almeno me lo dovete riconoscere. Mi sono inimicato la mia intera ciurma, e ho ucciso per voi. Non potete dire che non ho collaborato. -
La strega lo guardò, accigliandosi come se stesse meditando se dovesse preoccuparsi per questo suo scatto improvviso, quando ad un tratto un certo clamore proveniente dal ponte attirò l'attenzione di entrambi.
Proprio quando i pirati stavano ritirando la passerella, un uomo era arrivato di corsa, chiamando a gran voce Silehard e chiedendo di essere preso a bordo. Dopo qualche attimo, due delle grosse guardie del signore della gilda avevano accontentato l'uomo a modo loro: afferrandolo ciascuno per un braccio, tirandolo a bordo e trascinandolo brutalmente al cospetto del capitano.
- Oh. - commentò la strega, con un sospiro esasperato. - Eccolo. -
Jack riconobbe una chioma di capelli rossicci e sgranò gli occhi, dimenticandosi per un attimo di tutta la conversazione con la strega: si scostò da lei e scese i gradini del cassero, fino ad arrivare a portata di voce. Non c'era alcun dubbio: quello che i pirati scaricarono sul ponte ai piedi di Silehard era Connor Donovan.
Un po' frastornato per il rude passaggio ricevuto dai due bruti, l'irlandese si raddrizzò sulle ginocchia e si guardò attorno. - Grazie per avermi concesso udienza. Troppo gentili. - commentò, sarcastico, senza perdere il sorriso.
Silehard lo guardava dall'alto in basso, con le braccia incrociate e una smorfia annoiata dipinta in viso.
- Donovan. - sillabò, come se le parole avessero un cattivo sapore. - Cosa diavolo ci fai qui?-
“Ottima domanda.” aggiunse Jack, in cuor suo. “E, già che ci siamo, perché diavolo Silehard conosce il testarossa?!”
- Sono dovuto fuggire stanotte, signore. - ammise umilmente Donovan, mentre sembrava realizzare che era più saggio restare in ginocchio. - Mi hanno scoperto. -
- Lo hanno scoperto. - mormorò Silehard con fare velenoso, in un tono basso, ma non abbastanza da non essere udito dai pirati che li circondavano. - Ma guarda, mi sembra di avere già assistito a questa scena. Solo che io non mi diverto più, Donovan: stai diventando estremamente ripetitivo... onde per cui, noioso. -
Le cose non sembravano girare bene per Donovan, ma quello interruppe Silehard alzando le mani: - Aspettate, signore. Ho fatto quello che dovevo fare: sono riuscito a mettere un feticcio il più vicino possibile alla donna, ma lei lo ha scoperto. È il nuovo capitano, quel Barbossa, che li ha messi tutti in guardia: prima nessuno di loro sospettava a che cosa servissero. -
Jack incrociò le braccia dietro la schiena e si appoggiò alla balaustra della scala, tentando così di mascherare le dita, che contrasse così tanto da affondare le unghie nel legno. “Tranquillo, tranquillo, tranquillo.” si impose, appellandosi a tutto il suo autocontrollo per mantenere una faccia di bronzo più che impeccabile.
- Imogen!- Silehard si voltò di scatto verso la strega, che assisteva alla scena dall'alto del cassero. - Sei riuscita ad entrare nella mente della donna, mentre dormiva?-
- No. - rispose quella. - Ma di certo il feticcio era stato messo al suo posto. Ho tentato, ma quella è riuscita a sfuggirmi prima che riuscissi a prenderla. -
Le dita di Jack allentarono di un poco la stretta sul legno. Solo di un poco.
- Quindi, sei stato scoperto e sei scappato. - continuò Silehard, che stava visibilmente perdendo la pazienza. - Giacché non sei venuto subito da me a riferire il tuo fallimento, perché hai pensato bene di rincorrermi stamattina? Avresti avuto ancora qualche giorno prima che ti facessi tagliare il collo, se fossi rimasto a terra. - la sua mano fremeva sull'impugnatura di una delle spade.
- Proprio per questo, signore. - insistette Connor, con una mano tesa verso di lui. - Se non fossi altro che un vigliacco inutile, sarei rimasto ben lontano da voi, sperando di sparire prima che aveste scoperto il mio fallimento. Invece sono tornato per riferirvi tutto. Questo non conta niente?-
“Astuto bastardo.” Jack aguzzava l'orecchio, e anche Silehard sembrò, suo malgrado, riconsiderare la cosa.
- Parla in fretta. -
- Barbossa sta imponendo una certa disciplina a bordo della nave: è uno che sa il fatto suo, e sospetto che conosca bene sia i vostri metodi che quelli della vostra strega. - continuò Connor. - Insieme alla Evans e alla Swann ha organizzato tutti i numerosi attacchi a danni della gilda che ci sono stati in questi giorni. Di recente, però, sono quasi sicuro che il capitano Evans abbia lasciato la nave di nascosto, forse più volte. Credo che non condivida i metodi di Barbossa, e che vada in missione per conto suo. -
- Sì, di questo già ne abbiamo avuto un assaggio... Lo stesso Sparrow e alcuni dei miei l'hanno incontrata, da sola, e non sono stati in grado di fermarla. - commentò il signore della gilda, acido, guardando per la prima volta in direzione di Jack. Anche Connor alzò gli occhi, e incrociò quelli del capitano. I due si squadrarono per un istante, poi, per quanto assurdo potesse sembrare, Connor alzò una mano e gli rivolse con le dita un rapido cenno di saluto, che Jack ricambiò tale e quale dopo un attimo: sembravano entrambi troppo sorpresi di rivedersi per fare altro.
- Quello che voglio dire... - continuò l'irlandese, dopo che ebbe distolto lo sguardo da Jack. - È che c'è molta tensione a bordo, e non tutti collaborano volentieri. Barbossa e la Evans non vanno troppo d'accordo, e la Swann è troppo infuriata per la morte di suo marito per dare ascolto a loro due. Anzi, a dirla tutta, penso che la Swann non creda neanche che Sparrow le abbia davvero ucciso il marito. -
“Cristo, sta zitto!” stavolta il capitano dovette mordersi le labbra per impedire ai suoi pensieri di diventare parole.
Ci fu un attimo di silenzio inquietante, ma poi fu Silehard a prendere la parola. - L'eccessiva fiducia della Swann potrebbe giocare a nostro vantaggio: questo è un dettaglio che abbiamo già visto. Inoltre, i miei uomini hanno visto con i loro occhi che Sparrow ha tagliato la gola a Turner. - la sua voce, però, ebbe una vibrazione che a Jack non piacque affatto. Inoltre, vide che i suoi occhi rimbalzavano da lui a Connor, e in quegli occhi vide guizzare l'ombra del sospetto.
- Sì, ma... - ad un tratto anche Connor sembrava dubbioso, e parlò come se stesse rimuginando tra sé, piuttosto che con qualcuno. - ...be', ora che ci penso, lo avete ritrovato il cadavere?-
Jack si scostò dalla scala e avanzò a grandi passi verso Silehard e Donovan. No, certo che non si era ritrovato il cadavere: aveva scelto con cura il canale in cui aveva buttato il corpo di Tiago, un gorgogliante, profondo fiotto di fogna che si gettava dritto nelle profondità della baia, sotto i moli, dove i pesci e i piccoli squali di passaggio erano così tanti e così affamati da far sparire in poco tempo qualsiasi cosa fosse anche solo vagamente commestibile.
- Se volevi setacciare personalmente tutto il canale, caro il mio Connor Donovan, non dovevi far altro che chiedere. - lo interruppe, fermandosi davanti a lui con le mani sui fianchi e un sorrisetto sprezzante. - Io ho fatto il mio lavoro in modo rapido e pulito, e credimi se ti dico che non è stato un piacere farlo. Hai qualche altro dubbio sulla morte di William Turner? Se vuoi ti faccio vedere subito cosa gli ho fatto, e come. Non ci metto che un istante. -
- Datevi una calmata. - li riprese pigramente Silehard, scoccando un'occhiata di biasimo ad entrambi. - Stare qui a sentirvi litigare è una perdita di tempo. Finisci in fretta, Donovan, e vedi di dirmi qualcosa che non so. - lo aveva detto in modo un po' troppo secco, però, e Jack non mancò di notare le continue occhiate che il capo della gilda cominciava a lanciargli. Il tarlo del sospetto si era annidato in lui, e non lo avrebbe abbandonato. Poteva solo sperare che lo vincesse la fretta, altrimenti era davvero nei guai.
- Forse sanno della nostra partenza. - concluse rapidamente l'irlandese. - Non ne sono sicuro, ma con Barbossa alla loro testa potrebbero tentare di inseguirci e combattere in mare aperto. Non è da escludere, ma non so di più. -
Silehard fece una smorfia di sufficienza. - Se ci attaccheranno, saremo pronti a rispondere. Per cosa credi che abbia portato tutta l'artiglieria? Non ci faremo trovare impreparati. - dalla sua espressione, i pirati intuirono che il discorso era chiuso: infatti fece un gesto imperioso verso Connor e disse: - Già una volta ti ho mandato morte, e mi sei tornato tra i piedi poco dopo. Stavo per mandartici una seconda, ma sei riuscito a rimanere in circolazione lo stesso. Vedi di non tentarmi una terza, o ti assicuro che non sarai altrettanto fortunato. -
Dopodiché, Silehard voltò le spalle all'uomo e perse ogni interesse per lui, mentre ordinava di spiegare le vele e prendere il largo una volta per tutta. La ciurma si mise all'opera, e presto la nave cominciò a dondolare sotto la spinta delle onde.
Vedendo che nessuno faceva più caso a lui, Connor fece per rialzarsi, e ad un tratto trovò, tesa davanti a sé, la mano di Jack. Sembrò considerare molto attentamente la cosa, ma alla fine si decise a prenderla, accettando il suo aiuto per alzarsi in piedi.
- Bene, credo di avere quantomeno il diritto ad un paio di risposte. - commentò Jack, squadrando l'irlandese dalla testa ai piedi. - Fammi indovinare. Sei stato tu ad appiccare il fuoco alla Perla, non è così? Una cosa piccola, quel poco che bastava per attirare l'attenzione. È stata tua anche l'idea del marchio dei Mercanti?-
- Indovinato. - rispose Connor, senza tradire la minima agitazione. - Mi spiace, sai. Silehard aveva bisogno che tu cominciassi a temere i Mercanti, altrimenti probabilmente non ti saresti mai messo contro di loro, non è vero? Ne ero certo. -
- E toglimi una curiosità. - continuò Jack, con un sorriso da squalo. - Anche il tuo pestaggio faceva parte del piano, o si è trattato di una mera casualità?-
- Sorprendentemente, la seconda. Facevo parte della gilda da un pezzo, Jack. Il fatto è che ho deluso Silehard vincendo un incontro di pugilato che invece avrei dovuto perdere... - si strinse nelle spalle, con aria rassegnata. - Non l'ha presa bene. Mandarmi contro il vostro gigante era una specie di esecuzione, ma penso che nessuno si aspettasse che voi mi recuperaste e mi rimetteste in sesto. -
“Promemoria per chi so io” aggiunse Jack in cuor suo. “Per la prossima volta che mi pregherà di raccattare un disgraziato pestato a sangue!”
- La storia che lavoravi per i Mercanti, allora, era una balla confezionata all'occasione, giusto?-
- Ho solo scambiato qualche nome. - il sorrisetto di Donovan era quasi divertito. - Rivelarvi che lavoravo per la gilda era troppo rischioso. Cerca di capirmi: dovevo riguadagnare un po' di rispettabilità, e offrirmi volontario come talpa tra la vostra ciurma era il modo migliore. Alla fine, non siamo forse arrivati ad un accordo comune, tu ed io? Entrambi abbiamo finito per fare il doppio gioco. Siamo dalla stessa parte, adesso. -
“Mi sta bene che tu continui a crederlo, testarossa.”
- In un certo senso, hai ragione. - concesse, con un cenno del capo. - Ora, se vuoi scusarmi... -
- Certo. - Connor si congedò alzando le mani, ed entrambi si voltarono simultaneamente le spalle. Jack ritornò a passi lenti verso il cassero di poppa, continuando a sforzarsi per controllare la propria espressione. Va bene, trovarsi il testarossa tra capo e collo senza il minimo preavviso era stata una sorpresa sgradita, ma non aveva rovinato il piano, se non altro. Forse la fiducia che Silehard riponeva in lui si stava rapidamente incrinando, e forse presto sarebbe crollata: Imogen non era andata troppo per il sottile nel fargli intendere che, senza la Perla, lui valeva poco.
Tuttavia, poteva bastare. Ancora per un po'. Il tempo di prepararsi a rovesciare le cose.
- Sorpreso, Sparrow?- gli piombò dal cielo la voce della strega, che si affacciava sopra di lui dal parapetto del cassero di poppa. Jack alzò la testa per poterla guardare in faccia.
- Un pochino. - ammise, con una scrollata di spalle.
- Inoltre, volevo ricordarti... - continuò Imogen. - So che anche la tua donna ha parlato con lo spirito. Credi che altrimenti Silehard sarebbe stato così incline ad essere paziente con lei? Ma, tranquillo, una volta che io e Silehard avremo ottenuto ciò che vogliamo, potrai farla ragionare e riavere la Perla. Pensaci. Non sei molto al sicuro, finché sei sostituibile. -
Sostituibile. Buffa parola da usare, in quel frangente.
“Siamo l'uno l'ostaggio per l'altra.” realizzò Jack, meditando sulle parole della strega. “Ecco perché ci vogliono tutti e due. Sono loro due a poter scegliere chi di noi usare. Pensavo che avrebbero minacciato lei, per far collaborare me... presto si renderanno conto che fanno prima a minacciare me, per far collaborare lei.”
- Buffo. - fu tutto quel che commentò, dopo qualche momento. La strega si accigliò: era evidente che non era quella la risposta che si aspettava. - Che cosa sarebbe buffo?-
- Il modo in cui, gira che ti rigira, non è cambiato nulla. Tutto resta come è sempre stato fin dall'inizio, e tutto va secondo i piani. -
Imogen non capì a cosa, in particolare, si stesse riferendo il capitano: forse si era reso conto di essere stato beffato fin dall'inizio, forse realizzava solo ora di come tutti avessero cospirato contro di lui.
Will, invece, aveva ricevuto perfettamente il messaggio.

*

Dalla coffa della Perla Nera, col vento che fischiava furiosamente attorno a me sbattendomi i capelli sulla faccia, seguii la sagoma in lontananza dello Squalo Bianco che si allontanava dalla baia di Tortuga.
Eravamo ormeggiati al largo, mimetizzati tra scogli e isolette. Puntai il cannocchiale dritto davanti a me, e vidi comparire la bandiera di Silehard che sventolava in cima al pennone.
Non importava quanto si sarebbero allontanati. L'enorme galeone poteva anche diventare un puntolino all'orizzonte: noi eravamo abbastanza veloci da recuperarli in un battibaleno. Potevamo permetterci di giocare con loro, proprio come Silehard aveva giocato con noi il gioco del gatto e del topo. Solo che ora il gatto ero io. E adesso che era cominciata la caccia, non avrei più mollato.
- Vai, carogna. - mormorai, mentre seguivo il vessillo di Silehard col cannocchiale. - Sto venendo a prenderti. -




Note dell'autrice:
Avevo detto "imperdonabile" quando ho pubblicato l'ultimo capitolo? Decisamente non avevo ancora toccato il fondo. Ma stavolta non è del tutto colpa mia: il mio computer si era momentaneamente ammutinato, e tale è rimasto per qualche settimana, privandomi delle mie mansioni cibernetiche ma... spingendomi a scrivere a mano! Quindi, posso affermare di avere prodotto due capitoli e mezzo e di avviarmi verso la conclusione, quindi spero di farmi perdonare la pausa!

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Capitolo 16
*** Pistole e sciabole ***


Capitolo 15
Pistole e sciabole


Jack passeggiava per la nave, camminando rasente le pareti degli angusti corridoi di sottocoperta per non intralciare il continuo viavai di marinai al lavoro. Nessuno faceva più caso a lui: per la ciurma contava meno che un passeggero, uno strano tizio che Silehard aveva voluto a bordo per motivi noti soltanto a lui.
Al capitano non erano sfuggite le occhiate di disprezzo degli uomini dello Squalo Bianco: sembrava che per la gente della gilda lui fosse diventato una specie di barzelletta. Anche adesso, se i pirati alzavano lo sguardo quando gli passavano di fianco, era soltanto per gettargli un'occhiata noncurante, o per scrutarlo con un ghigno di derisione.
Non che questo atteggiamento facesse molto bene al suo amor proprio, ma per il momento aveva altro per la testa.
Udì il rintocco di un bastone sul legno alle sue spalle, e si morse le labbra, infastidito. Tiago lo stava seguendo. Il capitano si fermò, scostandosi appena in tempo per lasciare passare due pirati che trasportavano un barile d'acqua, e scoccò un'occhiata al fondo del corridoio, da dove era arrivato: il muto era laggiù, e si incamminava nella sua direzione con passo zoppicante, anche se curiosamente spedito. Incontrò per un momento lo sguardo dell'unico occhio scoperto, e con una mano gli fece un lieve cenno per dirgli di andarsene.
Tiago si fermò per un momento, ma scosse il capo. Ancora più seccato, Jack gli fece di nuovo cenno di andare, stavolta con entrambe le mani e con una certa insistenza. L'altro non colse il suggerimento, anzi, scosse ancora il capo, con maggiore decisione, per far capire che la sua richiesta non era l'unica cosa che stava rifiutando.
In cuor suo, Jack sapeva perfettamente che cosa William stava negando, ma aveva sperato di poter evitare quel particolare il più a lungo possibile. Il giovane, invece, era venuto a cercarlo subito, mettendo peraltro a rischio la loro copertura.
- Dopo. - sibilò, scrutando il corridoio momentaneamente sgombro. Will scosse la testa di nuovo.
- Oh, va al diavolo. - il capitano gli voltò le spalle e continuò per la sua strada, ma il martellio del bastone sulle assi del ponte lo seguì molto rapidamente, e in pochi attimi William fu di fianco a lui. Quasi non mosse le labbra e non lo guardò neppure in faccia per non far sembrare che parlassero: tuttavia parlò, a voce bassissima.
- Non possiamo farlo. -
- Scht!- replicò Jack, febbrilmente, ma anche lui evitò di guardare l'altro: adesso procedevano senza meta, fianco a fianco, cercando di mascherare la loro conversazione clandestina con una parvenza di fretta.
- Jack... -
- Schhhht, imbecille!-
- C'è un bambino. -
Jack inghiottì un groppo in gola, poi individuò un angolo riparato tra un cannone e una pila di sacchi, che poteva ripararli per poco da sguardi indiscreti. Vi si avvicinò e poi si abbassò di scatto, accucciandosi dietro i sacchi: dopo aver dato una rapida occhiata attorno, Will lo seguì.
- Mi hai sentito?- continuò, azzardandosi a parlare in tono appena più udibile, inginocchiato tra i sacchi e il cannone. - Tu ne sapevi niente? Perché Silehard si è portato dietro quel bambino?-
- Non lo so!- replicò Jack, in un sussurro animato. - Come ho cercato di dirti, ho visto solo quando lo ha portato via dal bordello la notte scorsa: è suo figlio. Credimi, non ho idea di cosa abbiano in serbo per lui, ma sono abbastanza sicuro che non sarà niente di buono in ogni caso. -
Non poteva dirglielo. Non poteva ammettere di avere trovato il nesso fin troppo facilmente, quando la strega gli aveva parlato di “ripagare tutto il sangue versato”. Poche gocce di sangue da coloro che avevano subito la maledizione era bastato, al tempo, per liberarli dalla loro condizione... ma se ci fosse stato di più? Imogen sembrava conoscere le antiche leggende attorno al tesoro di Cortéz perfino meglio di lui che, in fondo, era ragionevolmente convinto di aver già visto e toccato con mano tutto quel che c'era da vedere.
Era quel bambino la chiave d'accesso per un diverso rituale, per un potere più grande, per la possibilità di stringere un accordo con Calypso in persona?
Ma i pensieri di Will erano su tutt'altra strada. - Possiamo salvarlo, allora!- sibilò, speranzoso.
- E quando? Vorrei ricordarti che noi due avremo già il nostro bel da fare per uscire vivi dalla nave. -
L'unico occhio del giovane che ancora era visibile sembrò mandare un lampo. - Jack, se credi che ti lascerò affondare la nave con quel bambino ancora dentro... -
- Che cosa farai? Hm?- lo provocò Jack, seccato, mentre si guardava attorno un'altra volta: nessuno in vista nello stretto corridoio male illuminato. - Non posso salvare tutti. Se vogliamo stare qui a farci prendere dai sensi di colpa, con questa nave andranno a fondo anche un bel po' di uomini che non hanno altra colpa se non quella di essere stati così stupidi da diventare i leccapiedi di Silehard... e non ti ho sentito sollevare alcuna obiezione, in quanto a loro. Siamo qui per salvarci la pelle, Will, non per fare gli eroi. -
Will rimase a fissarlo in silenzio in un modo che lo mise quasi a disagio, così che Jack continuò a guardarsi attorno con fare circospetto, sperando che quel lungo silenzio indicasse che la conversazione era finita. Proprio quando stava per alzarsi e andarsene, però, il giovane lo gelò con un altro sussurro.
- Non posso credere che lo pensi davvero. -
Cristo, ovvio che non lo pensava, o che l'idea di un bambino nel bel mezzo di una battaglia navale non lo rallegrava affatto: semplicemente era consapevole che il destino di quel neonato andava oltre le sue possibilità di aiutarlo, quindi si era semplicemente rassegnato a disinteressarsene. Cosa che William, dal canto suo, non sembrava affatto intenzionato a capire.
Si rialzò in piedi bruscamente, spazzolandosi la polvere dai pantaloni. - Di miracoli credo di averne già fatti abbastanza, fino ad ora. Non rovinare tutto!- stava per andarsene e lasciarlo lì, quando si voltò ancora una volta, e aggiunse: - Fai quello che vuoi: so che non posso trattenerti. Ma non ci mettere in pericolo. C'è in ballo troppo, per mandare tutto a monte. -
La cosa veramente strana era che, mentre lo diceva, era sicuro che Will non avrebbe lasciato perdere. Da quando lo aveva visto posare gli occhi sul bambino, aveva saputo che avrebbe complicato tutto. Non avrebbe cercato di fermarlo. Perché avrebbe dovuto? Era naturale che William avrebbe cercato di salvare quel bambino, così come era inevitabile che tutto ciò avrebbe messo a rischio l'intero piano. E lo accettava. C'era qualcosa di eccitante nell'essere sull'orlo del disastro.
Un'ora dopo, la nave veleggiava in mare aperto, circondata da null'altro se non l'immensa e uniforme distesa d'acqua.
Niente in vista, né terra né navi. Le vele si gonfiavano sotto un vento leggero, il cielo sembrava promettere bene. Tuttavia, la strega era sul cassero di poppa, rivolta verso la terra che avevano appena lasciato: dal momento della partenza, Jack era passato più volte avanti e indietro per il ponte, ma non l'aveva mai vista muoversi. Teneva lo sguardo fisso in una direzione precisa.
Quello sguardo cominciò ad innervosire Jack, anche perché aveva la sensazione di sapere benissimo su cosa fosse puntato.
Poi, ad un tratto, un suono si levò al di sopra degli ordini e dei richiami urlati dai marinai: cominciò come uno strano sibilo, poi tutti, poco a poco, si zittirono e lo riconobbero per quello che era. Una voce umana. La strega cantava, aggrappata al parapetto.
Tutti i marinai furono scossi da un brivido, e non era il solito, superstizioso fastidio per chiunque fischiasse o cantasse sul ponte, attirando i venti capricciosi; no. Quello della strega era un canto senza parole, frenetico, nient'altro che suoni che crescevano e calavano... e tuttavia, c'era qualcosa di spaventoso: la voce di Imogen correva dal ponte fino all'alto della coffa, come se una moltitudine di gole ripetessero all'unisono le sue note.
Jack si guardò attorno. Dalle espressioni dei pirati attorno a lui, era evidente che tutti avrebbero desiderato ardentemente che smettesse, ma nessuno si azzardava a metterla a tacere, neanche con tutta la buona volontà di un marinaio superstizioso. E il capitano sapeva benissimo che non c'era niente di più superstizioso di un marinaio superstizioso.
Solo Silehard appariva calmo: era uscito sul ponte per godersi un po' d'aria, e non sembrava condividere affatto il nervosismo del resto della sua ciurma. Mentre il canto della strega continuava, il vento si alzò di colpo: cosa che non contribuì minimamente a tranquillizzare i marinai, anzi. I gabbieri, che fino a poco prima si erano lamentati per la brezza svogliata, dovettero reggersi alle sartie per non precipitare.
Jack fu colto talmente alla sprovvista che -inaudito- il tricorno gli fu strappato da un improvviso refolo gelido, e rotolò sul ponte. Imprecò e gli corse dietro, allungando le mani per acchiapparlo, ma qualcuno si era già chinato a raccoglierlo: Donovan alzò gli occhi su di lui e, dopo averlo scrutato in modo strano per qualche momento, gli porse il cappello con espressione indecifrabile.
Il capitano se lo riprese con una smorfia curiosa, che non era né di apprezzamento né di fastidio. - Grazie. - borbottò.
- Che cosa diavolo sta facendo?- domandò l'irlandese, accennando alla strega con più di una sfumatura di paura nella voce. Che il testarossa si stesse già pentendo del suo ritorno a bordo? Interessante.
Jack si sistemò il cappello e seguì lo sguardo di Donovan: Imogen era ancora immobile sul cassero, e la sua voce innaturale riempiva l'aria. Diede un'occhiata al cielo: le nuvole si erano concentrate sopra di loro.
- Temo proprio... - rispose, allargando le braccia come se la cosa fosse piuttosto ovvia. - ...che stia propiziando il vento. -

*

Mentre lo seguivo col cannocchiale, lo Squalo Bianco sembrò quasi sparire per un istante, inghiottito da un banco di nebbia. Sibilai tra i denti e premetti l'occhio contro lo strumento, come se questo potesse migliorarmi la visuale: vedevo ancora la sagoma della nave, ma improvvisamente era diventata fumosa e indistinta. Da dove era spuntato quel banco di nebbia? Attorno a noi non c'era che il mare aperto, e il cielo era quasi del tutto sereno.
Alzai un poco il cannocchiale. In effetti, ora anche il cielo si era scurito in un punto preciso: dritto sopra il galeone, come se le nuvole stessero scendendo per avvolgerlo in un manto.
- Diavolo, no!- ringhiai, abbassando lo strumento. - Non possiamo perderli!-
Mi voltai verso Gibbs, che in quel momento teneva il timone, e alzai la voce perché mi sentissero anche i gabbieri: - Liberate tutto e alla via così! A tutta forza! Teniamo la direzione delle nubi, e fuori i remi. -
- Di già, capitano?- fece Gibbs.
- Sì. Quella nave se la sta filando a velocità spaventosa. -
- E, al contrario di noi, ha un vento di poppa che le tiene ogni vela spiegata. - aggiunse Barbossa, comparso in quel momento, anche lui con un cannocchiale puntato verso il lontano Squalo Bianco. Ricontrollai a mia volta e, in mezzo alla foschia, mi accorsi che aveva ragione.
- Com'è possibile?-
Barbossa sorrise senza allegria, con un lampo gelido negli occhi color ferro. - C'è la strega con loro, e forse non ha intenzione di renderci le cose facili. -
- A tutta forza!- ripetei a voce alta. - Segnalate alla Sputafuoco di starci dietro. -
Le vele si dispiegarono fino all'ultimo pollice, i rematori si misero al lavoro, e la Perla finalmente mise le ali. Posai la mano sul parapetto e strinsi le dita sul legno, mentre la sentivo prendere velocità. Silehard poteva pure contare su quel vento innaturale, ma gli avrei fatto vedere cosa voleva dire saper sostenere un inseguimento.
La presenza di Barbossa mi rendeva irrequieta, così lasciai il posto accanto al timone per percorrere in fretta il ponte in tutta la sua lunghezza. Ovunque, i pirati si affannavano ai loro posti: Valerie si inerpicò sulle sartie come una scimmia, Faith e Michael correvano trasportando palle di cannone, Ettore ne stava sistemando uno in posizione di tiro con l'aiuto di altri tre pirati. La Sputafuoco era dietro di noi, e al timone c'era Elizabeth: intrepida e inarrestabile.
Sentivo crescere l'eccitazione e il nervosismo insieme, e percepivo la stessa cosa in ognuno dei pirati attorno a me. Ero quasi arrivata a prua, e stavo scrutando l'orizzonte davanti a noi quando, come per caso, mi accorsi di una figura ferma accanto al bompresso. Subito non ci feci neanche caso, distratta dai movimenti della ciurma attorno a me... ma poi vidi vesti bianche e una chioma di capelli neri agitati dal vento.
Mi paralizzai, incapace perfino di respirare, e puntai gli occhi su ciò che stavo vedendo, per assicurarmi di non averlo immaginato. No. Era reale.
La Dama era in piedi sulla tolda della Perla: mi dava le spalle, ma il nero dei suoi capelli e il biancore ultraterreno delle sue braccia simili a marmo era inconfondibile. Era là. Era sotto gli occhi di tutti.
Col cuore in gola, avanzai finché non riuscii a vedere il profilo del suo viso, e vidi che stava fissando la nave di Silehard con gli occhi spalancati e un'espressione dura, quasi furiosa, dipinta in volto.
Poi forse distolsi gli occhi per un istante, o ebbi un impercettibile guizzo dello sguardo: l'istante dopo, lei semplicemente non era più lì. Emisi un gemito, e restai ferma con una mano a mezz'aria come se fossi stata bloccata nell'atto di fermarla.
Niente, non c'era più: e io stessa mi chiedevo se l'avevo vista veramente. Mi guardai attorno, ma nessuno dei pirati sembrava badare minimamente a me, o alla figura che era stata sulla tolda fino a pochi secondi prima. Nessuno! Nessuno l'aveva vista!
Provai un attimo di totale smarrimento. Di colpo mi sentivo come se la Dama fosse stata qualcuno che mi era molto caro, che mi fosse stata sottratta bruscamente e senza una spiegazione. Che dovevo fare? Aiutami... Aiutami! Perché non era lì ad aiutarmi?
Fu questione di istanti, ma mi ripresi. Nessuno l'aveva vista: dunque quel momento era stato solo per me. Ignoravo che cosa la Dama avesse voluto dirmi con quella sua apparizione, ma osavo sperare che significasse che ci sarebbe stata vicina, come sempre.
Raggiunsi la tolda e mi fermai esattamente nel punto in cui lei era scomparsa.
La caccia era cominciata.

*

La caccia durò quasi un'altra intera ora.
Ormai tutti i marinai dello Squalo Bianco avevano intuito di essere inseguiti, e presto la sagoma della Perla Nera si stagliò chiaramente contro l'orizzonte.
Sembrava impossibile, però, pensare che potesse raggiungerli. Era troppo lontana, drammaticamente troppo lontana, e lo Squalo era sospinto da un vento che per gli inseguitori non soffiava.
Tuttavia, la Perla non cedeva terreno.
Jack camminava avanti e indietro. Ad un certo punto, mentre era ancora assorto nei suoi pensieri, si sentì agguantare per le spalle da qualcuno che non riuscì a vedere, e scagliare in ginocchio sul ponte, urtando dolorosamente le assi di legno. Questo lo colse impreparato. Non fece in tempo ad alzare lo sguardo, che si ritrovò bloccato dai due bruti di Silehard, costretto in ginocchio, esattamente come lo era stato prima Donovan.
E, come prima, Silehard torreggiò sul suo nuovo imputato, solo che stavolta sguainò la spada e la puntò alla gola di Jack, con uno sguardo carico di rabbia. I pirati che non erano impegnati a far tenere il vento alla nave si sporsero per vedere, eccitati all'idea di un'esecuzione fuori programma.
- Hai finito di giocare con me, Sparrow. - gli disse Silehard, mortalmente tranquillo, mentre rigirava la lama sotto il mento del capitano con una leggerezza che a quest'ultimo sembrò un tantino eccessiva. - Mi hai stancato. Non sei stato utile nemmeno la metà... ma che dico, nemmeno un terzo di quanto avevo sperato. Sei una delusione. E sei anche un idiota, perché forse mi credi stupido. La tua piccola nave, laggiù, è forse spuntata dal nulla?-
- No di certo, signore. - rispose Jack, cercando di ostentare un'alzata di spalle convincente anche se era bloccato saldamente da entrambi i lati. - Ma credo che possiate facilmente constatare che, di certo, non la sto conducendo io. -
La lama lo punse sul collo, facendolo sussultare.
- Continui a prendermi in giro. - sibilò Silehard. - Forse non hai capito a che gioco stai giocando. Ma tanto meglio. Basta così. Legatelo ad un cannone e mettetelo bene in vista! Voglio vedere se la sua ciurma deciderà di lasciarlo finire in fondo al mare!-
“Non si mette bene.” pensò il capitano, deglutendo.
Per fortuna, anche se un filo più tardi di quanto avesse sperato, risuonò il colpo di un cannone. I pirati fissarono la Perla col fiato sospeso, ma poi si tranquillizzarono: non erano ancora a portata di tiro, per quanto il boato fosse suonato molto vicino. In molti tornarono al divertimento principale: corsero a sciogliere un cannone, trascinandolo in mezzo al ponte e preparando le corde per legarvi Jack.
Il capitano stava guardando verso il cassero di poppa. Imogen era ancora là, apparentemente indifferente a tutto quel che stava succedendo, intensa solo a cantare la sua nenia che portava il vento nelle vele della nave. Ignorato da tutti, Tiago stava salendo verso di lei. Con calma, senza farsi notare, senza intralciare nessuno, misurando ogni passo col battito ritmico del pesante bastone.
I due bruti tirarono Jack verso il cannone, ridendo. I pirati con le corde lo aspettavano.
Poi Tiago, con un balzo e un movimento troppo rapido per poter essere fermato, colpì la strega col bastone e la fece piegare in due dal dolore. Dopodiché abbandonò il bastone per afferrare la spada, agguantò saldamente la donna e le puntò l'arma alla gola, gridando con voce chiara e perfettamente udibile: - Fermi tutti!-
Più che il suo grido, fu il repentino calare del vento ad attirare l'attenzione di tutti: le vele ricaddero flosce, e la nave beccheggiò così violentemente da far vacillare gli uomini in piedi sul ponte. Jack sentì i due pirati mollare la presa su di lui per un momento solo, e ne approfittò: sgusciò dalle loro mani, gettandosi a terra e rotolando sul ponte con una capriola. Non riuscirono ad acchiapparlo, e quando si rialzò aveva la pistola in una mano e la spada nell'altra. La pistola era puntata contro uno sbigottito Silehard.
- Fareste meglio a dare ascolto al muto. - commentò il capitano, sfoderando uno dei suoi migliori sorrisi.
- Che cosa credete di fare?!- esclamò il capo della gilda, con voce vibrante di rabbia: la sua spada era ancora sguainata, e la sua mano sinistra era sul calcio della pistola. Quella di Jack, però, era già puntata. - Speri forse che riuscirete a prendere questa nave in due soltanto?-
- Sono il capitano Jack Sparrow. - rispose, ricordando vagamente un episodio in cui gli era stata rivolta una domanda molto simile, e aveva risposto nello stesso modo. - E ora ascoltatemi tutti. - continuò, alzando la voce, rivolto all'intera ciurma che era rimasta a guardare. - Non c'è nessuna immortalità che quest'uomo possa offrirvi, nel luogo in cui ci sta portando. Io lo so meglio di chiunque altro: era di me che questi due avevano bisogno, per arrivarci. Ma non c'è nessuna gloria, nessun tesoro, nessun potere sconosciuto che possano darvi in cambio della vostra fedeltà: vi stanno ingannando. Evitiamo una carneficina. La mia flotta è qui per affondare l'intera nave, se glielo ordino. Vogliamo solo Silehard e la strega, e so che non sono una grande rinuncia per nessuno di voi. -
Per un lungo momento, quasi si permise di pensare che i pirati gli avrebbero dato ascolto e avrebbero scelto la via più facile pur di salvarsi la pelle, come era giusto che fosse. Era la cosa più logica e naturale.
Ma poi la strega parlò, mentre ancora si divincolava come un serpente tra le braccia di Will, che faticava a tenerla ferma anche puntandole la lama alla gola.
- Quel lurido topo di fogna non sa niente!- ringhiò, e la sua voce suonò forte e inquietante come era stato prima il suo canto. - L'unica cosa che mi serviva di lui erano i suoi ricordi: il resto, ormai, per me potete buttarlo ai pesci! Io so quello che prometto, e questo stupido non ne conosce neanche una briciola! Io ho il potere! Io so cosa farne! E giuro che ti scannerò con le mie mani, Sparrow, tu e chiunque altro oserà rifiutarsi di lottare per difendere la gilda!-
Le sue parole, purtroppo, sembrarono sortire molto più effetto di quelle di Jack, fosse per convinzione, timore reverenziale o solo paura. Le lame brillarono sotto il sole.
Per un attimo soltanto, Jack guardò Will: visto quanto le cose si erano messe male, la cosa più sensata da fare sarebbe stato uccidere la strega, e farla finita almeno con lei.
Ma, ancora una volta, sapeva esattamente che cosa aspettarsi da lui, ed ebbe la certezza che non lo avrebbe fatto. Infatti li vide lottare avvinghiati, vide Imogen graffiare la faccia di William, con la spada che le tagliuzzava la pelle. Ma lui non colse l'occasione. Lì per lì, il capitano ne fu seccato: stavano per uccidere a sangue freddo i primi pirati che si fossero mossi per attaccarli; che uccidesse anche la strega senza tante storie! Ma capiva che con Will non poteva andare che così. Avrebbe dovuto essere lui a farlo, ripensandoci... ma Imogen non avrebbe mai commesso l'errore di voltare le spalle a lui, mentre aveva completamente ignorato colui che le era sembrato l'inutile Tiago.
Jack sparò, e Silehard si buttò a terra quasi nello stesso istante. La pistola fumava nella sua mano. Mancato. Peccato. La lasciò, e si tirò indietro riparandosi dietro la spada, mentre l'intera ciurma veniva a prenderlo.
Era il momento di inventarsi qualcosa per restare vivo. Non che la cosa gli dispiacesse: dopotutto, era rimasto insopportabilmente quieto e remissivo per troppo tempo, sforzandosi di stare al gioco di Silehard per capirlo e rovinarlo. Adesso si era stufato.
Arretrò in fretta, minacciato da un centinaio di spade, fino ad arrivare a dare le spalle al parapetto. Poi, sempre con la spada in pugno, balzò sulla murata, si afferrò ad una delle cime e si diede la spinta, lanciandosi in volo oltre il ponte. Il salto appeso alla fune gli fece attraversare l'intera fiancata, da poppa a prua: e la ciurma indiavolata, come una massa urlante, gli corse dietro.
Terminato l'arco, cozzò con le gambe contro la murata, e fece del suo meglio per reggersi. Barcollò. Poi, proprio mentre la ciurma inferocita lo raggiungeva, si lanciò di nuovo e dondolò follemente dalla parte opposta: da prua a poppa. Dai pirati si levò un boato di rabbia e di sconcerto.
- Tirate giù quel cane vigliacco!- urlò Silehard, fuori di sé davanti al penoso spettacolo della sua ciurma che giocava ad acchiapparella col capitano. - Prendetelo!-
Jack atterrò sulla parte di ponte ora sgombra, e se la filò di corsa verso poppa. Intanto, la Perla e la Sputafuoco erano arrivate a portata dei cannoni.
Il boato simultaneo dell'artiglieria fu assordante: le palle di cannone sfondarono la parte inferiore della chiglia dello Squalo, mentre nuvole di fumo acre appestavano l'aria. I pirati gridarono, e Silehard decise di lasciar perdere Jack per ordinare agli uomini di mettersi ai cannoni e rispondere al fuoco. Le navi erano in rotta di collisione.
Jack corse fino al timone, dove Will aveva abbandonato la strega per respingere due pirati che lo incalzavano con le spade. Il capitano arrivò alle spalle di uno di loro, lo agguantò per la giacca e lo infilzò sulla propria spada. Will tagliò la gola all'altro. Mentre lo faceva, Jack si lanciò verso Imogen, che stava tentando di darsi alla fuga, e riuscì nello slancio a travolgerla e a buttarla a terra.
- Se vuoi fare qualcosa di eroico, fallo adesso!- gridò a Will, poco prima che la strega lo colpisse con una gomitata nello sterno. Il giovane esitò per un momento, poi, vedendo che Jack sembrava avere la meglio, corse giù per le scale del cassero. Il vecchio, onorevole, prevedibile William. Era bello essere di nuovo dalla stessa parte.
Aveva bloccato Imogen sotto di sé. La strega si dibatteva e ringhiava come una belva, e le mani di lui erano coperte di graffi per colpa di quell'indemoniata. Ebbene, era il momento di essere più spietato di lei.
La agguantò e la sollevò, spingendola contro il parapetto: la teneva per le braccia, impedendole di ribellarsi.
- Allora, vuoi che finisca così?- domandò la strega: lo fissava con occhi brucianti, ma la sua voce era ferma e terribile nella sua determinazione. - Possibile che tu non veda quanto sei vicino ad ottenere quello che vuoi? Tutto quello che avrei fatto per Silehard lo farò per te, se me lo chiedi. C'è il rituale, Jack! Nessuna maledizione, nessuna rinuncia, nessun compromesso. Solo un'offerta, e poi Calypso ci concederà tutto quello che chiederemo. È così semplice! Tu hai bisogno di me!-
- Non ho bisogno dell'immortalità. - rispose Jack, in tono quasi tranquillo. Poi, in crescendo, mentre si dava lo slancio, continuò: - Né di un rituale, né di Calypso, né di Silehard, e soprattutto no, non ho assolutamente alcun bisogno di te!-
Con tutta la forza che aveva, sollevò Imogen e la spinse oltre il parapetto. Di lei sentì soltanto l'ultimo urlo di rabbia mentre precipitava come un sasso nell'acqua sottostante, in mezzo al fuoco incrociato dei cannoni.

*

La bandiera rossa sventolava sul nostro pennone sotto quella nera, segno che non avremmo avuto pietà di nessuno. Lo Squalo Bianco stava rallentando visibilmente, mentre noi gli arrivavamo addosso a tutta velocità.
- Tutta a tribordo, dentro i remi!- gridai, dalla mia postazione sulla tolda. Lì, in testa alla nave, sentii tutto il vertiginoso spostamento della virata, e restai a guardare mentre ci accostavamo allo Squalo da tribordo. Anche i loro cannoni erano pronti.
Come arrivammo uno di fianco all'altra, le due navi fecero fuoco contemporaneamente. Era ovvio che stavolta Silehard non si sarebbe fatto scrupoli a colpire la Perla: avevamo passato il segno.
Il boato mi rimbombò nelle orecchie, e mi accucciai dietro il bompresso per sfuggire ad una nuvola di schegge che esplose nell'aria a pochi passi da dove mi trovavo. Jack e Will non si vedevano. Secondo gli accordi, appena fossimo stati bordo a bordo loro avrebbero dovuto tentare di lanciarsi sulla Perla il più in fretta possibile, in modo da consentirci di fare fuoco a volontà sullo Squalo. Altrimenti... altrimenti avremmo dovuto dare l'abbordaggio, e che parlassero le spade. Già da quando avevo letto quel “altrimenti” nella sua lettera, sapevo che non ce la saremmo cavata per la via più facile.
L'aria esplose attorno a noi, mentre la bordata si scatenava in tutta la sua potenza sia da una parte che dall'altra. Le palle di cannone fischiarono, spezzando assi, sfondando travi e boccaporti, travolgendo gli uomini. Schegge ovunque. L'aria era irrespirabile. Coprendomi la faccia con un braccio, tornai sul ponte girando dal lato di tribordo, quello che non era rivolto verso i cannoni dello Squalo.
Dietro di noi stava arrivando anche la Sputafuoco: non era riuscita a tenere la nostra stessa velocità durante l'inseguimento, ma ci aveva tallonato fedelmente e ora arrivava a darci manforte. Avevamo azzannato la preda. Ora restava una cosa da fare: spezzarle il collo.
- Ettore! All'albero maestro!- gridai, e il mio grido fu ripetuto fino a raggiungere i cannonieri che stavano nel primo ponte inferiore. Sapevo che Ettore si trovava laggiù, e manovrava uno dei cannoni centrali: il mio ordine gli sarebbe arrivato, e lui avrebbe saputo che cosa fare. Su entrambi i ponti risuonarono colpi secchi di pistole e moschetti, mentre la ciurma ricaricava frettolosamente.
Sottocoperta, gli artiglieri attesero che il rollare delle onde ci portasse nella posizione giusta, quindi accesero la miccia. Il botto risuonò un secondo dopo, assordante, come un eco tardivo della precedente bordata: la palla di cannone sfondò prima la murata dello Squalo, e poi si piantò con precisione nel corpo dell'albero maestro, sollevando una pioggia di schegge e scuotendo tutta la nave come se l'avesse ferita a morte. Tutta la mia ciurma emise un boato di giubilo, urlando, ruggendo, battendo le armi contro il parapetto.
L'albero del galeone nemico si inclinò, con lo scricchiolio sordo del legno e delle sartie che si strappavano. Ci fu un fuggi fuggi generale su entrambe le navi, mentre l'albero maestro precipitava di lato, per crollare di traverso sul ponte della Perla Nera: travolse le nostre sartie e ne spezzò alcune, ma questo non era niente in confronto alla ferita che gli avevamo inflitto noi.
- Pistole e sciabole, uomini!- Barbossa fu il primo a sollevarsi in mezzo alla ciurma, che si era allontanata dal parapetto per evitare la caduta dell'enorme albero. In quel momento, solo in mezzo al fumo che saliva dalle bocche dei cannoni, con la scimmia sulla spalla, aveva davvero un aspetto inquietante. - Si va all'arrembaggio!-
A mia volta salii in piedi sulla murata e gridai, incitando gli uomini. I miei pirati non si fecero attendere, e i più vicini lanciarono i primi rampini per tirare lo Squalo ancora più vicino a noi: altri si lanciarono con le funi, brandendo le loro armi e urlando. Misi mano alla spada e, con la mano libera, agguantai la cima più vicina a me. Poi guardai Barbossa, che stava in piedi dall'altra parte del ponte.
“Non saltare.” mi dissi, mentre lo guardavo. “Lascia la nave, e lui sarà libero di prendersela. Ti volterà le spalle. Appena alzerai i piedi dal ponte, lui prenderà il comando e ti porterà via la Perla, se solo ne avrà l'occasione.”
Come se avesse sentito i miei pensieri, o forse si era solo accorto che lo stavo fissando, Barbossa si voltò verso di me. Forse sapeva esattamente cosa sospettavo, forse gli stessi pensieri stavano attraversando anche la sua mente in quel preciso momento: fatto sta che restammo a guardarci per attimi interminabili, ad un intero ponte di distanza, tra gli spari e le urla dei pirati all'arrembaggio. Poi lui afferrò a sua volta una cima, mi fece un gesti col braccio che sembrò la parodia di un inchino, e si lanciò sul ponte nemico con un'agilità assolutamente insospettata per un uomo della sua età.
Va bene, io non potevo certo essere da meno. Mi afferrai alla cima, strinsi forte la mia arma e mi lanciai.
Sul ponte avversario era già il caos. La prima carica dei miei uomini aveva provveduto ad indebolire le loro difese, ma ora non c'era un angolo dello Squalo Bianco dove i pirati non stessero affrontando altri pirati, in una mischia mortale. Ero nel bel mezzo di quello che avevo pregato di evitare.
Silehard. Dov'era Silehard? Il suo era l'unico sangue che volevo davvero sulla mia lama.
Tuttavia, dovetti versarne altro, e anche in fretta: uno dei pirati della gilda corse verso di me nella mischia, urlando e tagliando l'aria con la spada ad un palmo dalla mia faccia. Parai il colpo, e usai il suo stesso impeto per far roteare bruscamente la sua lama. Lo sbilanciai. Le nostre spade si incrociarono violentemente altre due, tre, quattro volte, poi vidi un buco nella sua difesa e gli sferrai un calcio all'inguine. Quando si piegò, gli conficcai la spada nella spalla, e poi passai oltre senza neanche guardare se lo avessi ucciso.
Altre spade davanti a me. E ancora nessuna traccia di Silehard.



Note dell'autrice:
Si riparte a vele spiegate, o meglio, dovrei dire che ci si avvia verso la conclusione a vele spiegate.
Come sempre grazie a Sara che legge tutto quello che scrivo e mi delizia con i suoi commenti, spero che questi capitoli ti aiutino a toglierti un po' di soddisfazioni. ^^ Grazie ad eltanin, sono felice che Jack ti abbia fatto un bell'effetto: devo ammettere di averlo tenuto piuttosto "alla catena" per buona parte di questa ff, e infatti, come potete vedere, adesso si sta scatenando. Letteralmente. Weee. Grazie a Fannysparrow, anche se ha ceduto al fascino di Donovan (XD). Grazie e benvenuta su questi lidi a Wany. E infine, grazie anche su queste pagine alla compare Captain Alwilda per le sue vignette e per le interminabili chiacchierate via chat a tema piratesco/vampiresco ad orari improbabili. E già che ci sono segnalo anche questa sua creazione, in risposta alla scena tra Jack e Dorothy di qualche capitolo indietro... Che dire. Lol.
Wind the sails!

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Capitolo 17
*** Per ora. ***


Capitolo 16
Per ora.


William si aprì la strada con la spada contro i pochi che gli intralciarono il cammino, mentre il resto della ciurma era molto più interessata a caricare i cannoni piuttosto che a badare a lui. Spalancò la porta che conduceva agli alloggi del capitano e si gettò di corsa lungo lo stretto corridoio: in fondo ad esso, uno dei nerboruti pirati di Silehard sorvegliava la porta. Sembrava però più allarmato per i rumori di battaglia che venivano dall'esterno, che non per la sua comparsa, e quando lo vide gli gettò un'occhiata interrogativa.
- Siamo sotto attacco: Silehard ha ordinato di mandare ogni uomo armato di spada sul ponte! Presto!- gridò Will, sperando che gli desse retta. Forse avrebbe anche funzionato, se il pirata non si fosse improvvisamente ricordato che quello che gli aveva appena rivolto la parola era il muto di bordo.
L'uomo urlò e sguainò la spada, facendo sibilare la lama ad un soffio dal petto di Will che era balzato all'indietro appena in tempo. Il giovane agguantò la pistola e fece fuoco, colpendo il pirata mentre quello gli veniva addosso in piena carica: lo sparo lo prese in pieno petto, e lo fece cadere all'indietro con un gemito strozzato. Annaspò a terra ancora per qualche momento, poi giacque immobile in una pozza di sangue che gli zampillava dal foro aperto in mezzo al torace.
Will deglutì, poi si inginocchiò e si costrinse a frugare il cadavere ancora caldo: come previsto, aveva con sé un mazzo di chiavi. Perse minuti preziosi ad infilarle nella serratura una dopo l'altra, sibilando maledizioni tra i denti finché non trovò quella giusta. La serratura scattò, e William fece aprire la porta molto lentamente. La cabina era deserta, o almeno così pareva... da qualche parte, molto vicino, un bambino piangeva.
Will individuò una porta che dava ad una piccola stanza, adiacente alla cabina del capitano: il pianto veniva da lì. Avanzò, e mentre lo faceva ne approfittò per liberarsi completamente della benda che ormai gli si era allentata sul capo: la appallottolò nel pugno e la usò per strofinarsi la faccia, ripulendosi almeno un po' da quella sostanza appiccicosa che faceva sembrare butterata la sua pelle. Poi gettò la pezza di stoffa sul pavimento e varcò la porticina.
Nella minuscola stanza c'era una rozza culla, ma era vuota. Il neonato era in braccio alla donna che avevano imbarcato con loro quella mattina, la quale lo stringeva a sé e lo cullava febbrilmente, spaventata dal frastuono dei cannoni. Quando vide entrare William, soffocò un grido e si rintanò in un angolo, fissandolo con occhi terrorizzati.
Il giovane era combattuto. Che fare? Era corso laggiù con l'intenzione di salvare il bambino, anche se non sapeva esattamente come: la cabina del capitano era forse il posto più sicuro dove lui e la donna potessero stare... per il momento, almeno. Fino a che una palla di cannone non avesse sfondato le pareti, o finché lo Squalo non fosse colato a picco. No, non potevano restare lì.
- Sono qui per salvare il bambino. - disse, col tono più fermo che poté. - Questa nave verrà bombardata o affondata a momenti. Vuoi vivere?-
La donna sembrò rendersi conto che il giovane parlava sul serio, e annuì freneticamente. - Sì!- supplicò, stringendosi il neonato frignante al petto.
- Allora vieni con me. -
Mentre correvano fuori, sul ponte, furono quasi assordati dal fragore delle cannonate e dell'albero maestro che crollava. Will circondò con un braccio donna e bambino e corse più rapido che poté verso il lato di babordo, sul quale ancora non si stavano abbattendo le cannonate.
Davanti ai loro occhi, apparve la figura della Sputafuoco che si avvicinava a vele spiegate. Con un tuffo al cuore, Will riconobbe i capelli biondi del capitano che stava al timone, conducendo avanti la nave a tutta potenza: Elizabeth.
- Attento!-
Il grido della donna lo salvò appena in tempo: Will si girò di scatto, spingendo lei e il bambino a nascondersi dietro di lui, e incrociò la spada con uno dei pirati di Silehard piombato su di loro in quel momento.
L'abbordaggio era iniziato. E ora, la ciurma del signore della gilda lottava con le unghie e coi denti per la propria vita. William parò e affondò, muovendosi troppo rapidamente per il suo avversario, che lo caricava a più riprese, spinto unicamente dalla furia. Con pochi colpi decisivi riuscì a fargli volare di mano la spada, poi la sua lama tagliò di netto la camicia e la carne dalla spalla al fianco. Il pirata gridò di dolore e cadde in ginocchio, premendo le mani sulla ferita: Will lo lasciò perdere e corse verso la murata insieme alla donna.
La Sputafuoco era ormai vicinissima: vedeva le facce degli uomini ammassati contro il parapetto. Ma lo avrebbero riconosciuto? Will si voltò disperatamente verso Elizabeth, al timone, e sollevò in alto la spada facendola brillare al sole. Un istante dopo, lei gli rispose nello stesso modo, quasi in segno di vittoria.
- Ascoltami!- Will prese una cima e la mise tra le mani della donna che gli stava accanto. - Devi lanciarti. Devi stringerti alla cima più forte che puoi, e non mollare il bambino. Mi hai capito? Non mollare!-
La donna annuì, e il giovane la aiutò ad avvolgere la corda attorno al braccio libero: poi lei tenne il bambino contro il petto e strinse la cima con entrambe le mani. Will tirò un respiro profondo: era folle, ma era l'unica cosa da fare.
Sul ponte, Elizabeth stava gridando qualcosa alla ciurma: Will riconobbe da lontano il vecchio Trentacolpi sulla murata opposta; si era fermato proprio di fronte a loro come se li stesse aspettando. Will aiutò la donna a darsi la spinta.
- Prendetela!- gridò a Trentacolpi, con tutto il fiato che aveva in corpo. Poi la donna e il bambino si lanciarono.
Li vide volare nel vuoto tra le due navi per un istante interminabile: la donna pendeva dalla cima a peso morto, un assurdo pendolo lanciato sopra l'acqua. Poi le sue gambe scavalcarono l'orlo del parapetto: lei annaspò, ma c'era Trentacolpi pronto a prenderla. Il vecchio carico di pistole la acchiappò al volo, trafficò per un momento per liberarla dalla corda con cui si era avvolta, e depositò sul ponte sani e salvi sia lei che il neonato urlante.
Will tirò un sospiro di sollievo. Poi si girò, spada in pugno, e si preparò ad affrontare l'inferno che aveva alle spalle.

*

Sul ponte era il caos più totale. Rimasi quasi stupita dalla furia cieca con cui si battevano gli uomini di Silehard: quella ciurma di ladri, truffatori, tagliagole e piccoli ladri di strada che si erano riuniti insieme in un folle crogiolo sotto le mani di un solo uomo.
Un solo uomo che adesso, in mezzo a quel marasma, io non riuscivo a trovare da nessuna parte.
Le spade turbinavano davanti a me: d'istinto sferravo fendenti e colpivo armi, mani, braccia, colli e teste. Il ponte era ricoperto di feriti: inciampavo su uomini sanguinanti che imprecavano e si lamentavano.
Un pirata, dritto davanti a me! Mi si avventò addosso e mi venne così vicino che potei sentire l'odore rancido del sangue e del sudore: le nostre spade si incrociarono, rapidissime e violente, e tremai per il contraccolpo. Roteai, trascinandolo con me, e quando lo vidi con un braccio alzato per recuperare l'equilibrio, gli sferzai il fianco, imbrattando la lama di sangue. Urlò.
Lo spinsi a terra. Non mi preoccupai di finirlo, come non avevo finito nessuno degli altri pirati di cui ero riuscita a liberarmi. Vigliaccheria. Forse. Forse ancora non accettavo che tutto ciò dovesse finire in un bagno di sangue, volevo che gli altri si levassero di mezzo per lasciarmi uccidere la strega e Silehard.
Sentii uno sparo, vicinissimo, e per poco non mi buttai a terra. Nello stesso istante, mi vidi davanti il volto insanguinato di un uomo barbuto che arrancava sul ponte: sibilai di paura e sollevai la spada... ma quello agitò le mani: erano ricoperte di tagli sanguinanti. Mi fissava, spaventato quanto me. E gridò: - Pietà! Ti prego!-
Pietà. Sì, forse era quello l'unico modo: alzare la bandiera rossa era stato un errore. Jack aveva dato loro l'occasione di arrendersi subito, ma quanti di loro ora combattevano per pura rabbia, o solo per paura della strega? Promettendo il massacro, invitavamo solo i nostri nemici a combatterci fino alla morte.
- Pietà. - ripetei, senza fiato, annuendo all'uomo ferito e tirandomi indietro. Lui si rannicchiò a terra, con un'espressione che aveva qualcosa di simile alla gratitudine. Quando sollevai gli occhi vidi che ero momentaneamente circondata dai miei uomini: riconobbi i visi familiari, con gli sguardi che saettavano alla ricerca di un nuovo avversario.
Erano abbastanza da sentirmi. - Pietà!- ripetei a voce alta, mentre quelli mi guardavano. - Risparmiate tutti quelli che si arrendono! Trovate Silehard!-
Fui abbastanza fortunata: la battaglia stava prendendo bruscamente una piega positiva per noi, e il mio ordine, che venne ripetuto in un grido crescente, sembrò cominciare a convincere i feriti a smettere di lottare come animali. Sul pennone della Perla, la bandiera rossa venne ammainata.
Certo, non era abbastanza da mettere fine al combattimento: i feriti e i meno temerari gettarono le armi e approfittarono della grazia insperata, ma quelli ancora armati e bellicosi non cedettero terreno. La battaglia si concentrò a piccoli gruppi qua e là sul ponte, coi feriti di entrambe le fazioni che se la davano a gambe ai due lati della nave.
Passi, dietro di me. Mi voltai, col cuore in gola, ma mi trovai a fissare due bellissimi, familiari occhi ridenti: Jack era ad un passo da me, ansimante, con la spada in pugno, scarmigliato e col cappello storto, ma stava bene.
- Ciao tesoro. - mi salutò, ammiccando. Mi gettai verso di lui e ci stringemmo in un abbraccio folle e rapido, poi le grida, vicinissime, ci riportarono al presente.
- Spada!- mi avvisò Jack, come se ce ne fosse bisogno, e ci voltammo all'unisono per ricevere la carica di pirati che ci correvano addosso. Lui disarmò e spinse a terra il primo pirata, io l'altro, in perfetta sincronia. Ora avevamo anche i nostri che ci spalleggiavano. Ci girammo di nuovo e stavolta sussultai per lo stupore: davanti a noi c'era Connor, con la spada in pugno.
Tutti e tre ci squadrammo per un momento che sembrò interminabile: notai che non c'era sangue sui suoi abiti, ma in compenso ce n'era sulla sua lama. L'irlandese ci fissò. Sembrava divertito, e divertito fu anche il tono in cui ci disse: - Posso approfittare della pietà che avete appena offerto?-
Non lasciò la spada.
- Getta la spada e l'avrai. - risposi.
- Preferirei tenerla, miss. La prudenza non è mai troppa. -
Io e Jack ci muovemmo di nuovo all'unisono: Connor ci sorprese con un'incredibile agilità; aveva una pistola nella sinistra, e la usò per respingere la mia spada mentre con la sua parava il colpo di Jack. Lo incalzammo ancora da ogni lato, e ogni volta lui roteò, rapidissimo, respingendo entrambe le nostre spade. Se la cavava bene. Fin troppo.
- Ci tengo a farvi sapere... - riuscì perfino a dirmi, mentre piroettava come un ballerino. - ...che non avevo niente di personale contro di voi. -
- Buono a sapersi. - con una stoccata gli feci volare di mano quella maledetta pistola. - E anche irrilevante!-
- Sono solo fedele al migliore offerente, come buona parte di questa ciurma!- Connor disimpegnò la spada e sgusciò lontano da noi, arretrando in fretta. - Avete già vinto! Questi non si batteranno ancora a lungo per un capitano che li ha abbandonati. -
- E tu, invece?- Jack si fece avanti e incrociò di nuovo la spada con lui: girarono attorno, io li seguii cercando di cogliere Connor alle spalle.
- Io sto lottando per la mia, di pelle. - precisò. - Quindi, se vorrete lasciarmela, vi prometto di sparire e di mettere fine a quella che è stata solo una lunga serie di malintesi. -
Se Jack si sentì irritato come la ero io da quelle parole e dal sorrisetto canzonatorio dell'irlandese, non lo diede a vedere. - Malintesi. - ripeté, mentre fermava Connor con le spalle alla murata. - D'accordo, chiamiamoli così, se ti pare. Dimmi, dove si è cacciato Silehard?-
- Si è nascosto in cabina: l'ho visto entrare dopo che il tuo amico finto muto ha fatto uscire la donna. Mi è sembrato anche di sentirlo gridare di rabbia... forse si è accorto troppo tardi della cosa!-
- Dov'è la strega?- domandai io, ansiosa.
Connor accennò col capo alle acque sottostanti. - Galleggia là sotto, per quel che ne so. -
- Ce l'ho buttata io. - confermò freddamente Jack, poi rivolse a Connor un sorriso affabile. - Grazie, Donovan: oserei proprio sperare che le nostre strade non debbano mai più incrociarsi. E adesso giù, se non ti dispiace. -
L'espressione divertita di Connor si incrinò un poco. - Come?-
Estrassi la pistola dalla mia cintura, feci scattare il cane e la puntai verso di lui: non era neanche ad un passo da me. Sorrisi. - Giù, figlio di puttana. -
Donovan sembrò intuire che le cose non giravano bene per lui. Tuttavia rinfoderò la spada, ci fece un inchino buffonesco, poi scavalcò il parapetto e si tuffò a braccia aperte, ricadendo in acqua molti metri più in basso.
Scoppiai in una risata vagamente isterica, mentre Jack mi prendeva per un braccio e mi portava con sé fino all'ingresso della cabina del capitano. La battaglia intorno a noi stava finendo. Se Silehard non aveva abbandonato la nave, doveva trovarsi per forza ancora lì dove Connor diceva di averlo visto. Will ed Elizabeth erano lì davanti: lei aveva lasciato il timone della Sputafuoco per gettarsi nella battaglia, e adesso stringeva la spada e William con lo stesso vigore. Ci scambiammo uno sguardo simultaneo: affannati, increduli, felici di essere vivi.
- Bello rivedervi. - commentò Jack a mo' di saluto. - Ora, se non è chiedere troppo, direi di entrare in quella cabina. Con cautela, comprendi?-
La porta era stretta, e dovemmo procedere in fila indiana per passare nel breve corridoio. Non mi piaceva: qualunque cosa ci attendesse oltre la porta in fondo, non avevamo modo di difenderci. Jack sembrò pensarla allo stesso modo, perché osservò la porta, poi si voltò verso di noi e, facendoci un cenno con la mano, sussurrò: - A terra, tutti. -
Ci accucciammo sul pavimento più silenziosamente possibile: in quello spazio angusto le spade erano ingombranti, così la misi via e tenni la pistola. Will ed Elizabeth erano accanto a me. Jack aprì la porta con uno spintone.
Due spari risuonarono nell'aria, assordanti, e quasi gridai prima di capire che non ci avevano colpiti. Silehard aveva sparato all'altezza degli occhi.
Jack si tuffò per primo attraverso la porta e sparò a sua volta: il proiettile si conficcò nel duro legno del tavolo rovesciato dietro cui Silehard si era nascosto.
- Voi due non avete idea di che cosa avete distrutto oggi. - disse la voce del signore della gilda, lenta e tagliente. Silehard era dietro la protezione del tavolo, assurdamente seduto sulla sua sedia migliore come se ci stesse ricevendo nella sua cabina, con una pistola fumante in ogni mano.
Io, Elizabeth e Will entrammo nella stanza, allargandoci attorno a Silehard. Non mi azzardai ad avanzare: vedevo che accanto a lui c'erano altre pistole, almeno sette, sparse sulle suo ginocchia e ai suoi piedi. Con ogni probabilità erano tutte quante cariche, e pronte ad accoglierci.
- E non ce ne frega, onestamente. - rispose Jack, sguainando la spada con una certa noncuranza.
- Certo, da te non mi aspettavo niente di diverso. - Silehard gettò via le pistole scariche, facendole sferragliare sul pavimento, e ne recuperò altre due. - Tu sei un idiota, Sparrow, ma un idiota ostinato. Ho commesso un grave errore quando ti ho rivolto la parola per la prima volta. -
- Sì, me lo dicono in molti. - Jack era immobile. - La tua strega è morta, lo sai, vero? La tua ricerca non ha più senso e la tua ciurma fuori di qui sta perdendo: possiamo finirla qui. -
- Se uno di voi muove un passo, lo impallino. - minacciò lui, con calma mortale.
- E se lo farai, per noi sarà il segnale dell'attacco. - replicò Elizabeth, dura. Silehard la ignorò, ma la tensione tra noi tutti era palpabile.
- Finirla?- fece eco a Jack. - Non è finito niente. Tu mi hai solo impedito di aggiungere al mio piano il pezzo mancante: so come scendere a patti con gli dei pagani, so come ripagare il sangue del tesoro azteco che tu, una volta, hai soltanto toccato... so come esigere i loro favori. Imogen me lo aveva insegnato. -
- Ma non c'è più nessun bambino innocente che tu possa offrire per i tuoi disgustosi riti, Silehard. È finita. - l'espressione di Will era una maschera impenetrabile.
- Per ora. -
- No. - mormorai, carica di odio per quell'uomo che ci fissava con tanto disprezzo e ci teneva sotto il tiro delle sue pistole. - Non per ora. Tu sei un pazzo sadico, e non ho nessuna intenzione di lasciarti continuare. -
Prima che potessi aggiungere altro, Silehard si mosse. Ma non sparò, come ci saremmo aspettati, bensì diede un calcio al tavolo rovesciato: l'immenso mobile, già in equilibrio precario, dondolò e si ribaltò ancora, cadendo dritto addosso a me e Will che eravamo i più vicini.
Cozzai contro il durissimo ripiano di legno e caddi a terra, e sentii William inciampare a sua volta accanto a me: tutto il peso del mobile piombò sulle mie gambe, causandomi una fitta di dolore. Poi la stanza si riempì del suono degli spari. Mi mancò il fiato. Jack! Elizabeth! Non avevo idea di chi avesse sparato a chi, ma lottai per liberarmi dal peso insopportabile del mobile, e puntai la pistola alla cieca nella direzione in cui ricordavo di aver visto Silehard. Sparai, e il mio proiettile fracassò una finestra.
Stavano tutti urlando, furiosi, quando mi accorsi che alle nostre spalle, sulla soglia, c'era qualcun altro.
Barbossa entrò, scostando la porta con un calcio, e con una pistola per ogni mano. Vidi Silehard afferrare un'altra arma e cercare di sparargli, ma il capitano fu più veloce: la mano che reggeva la pistola sembrò esplodere come un macabro fiore rosso, e Silehard cacciò un urlo orribile.
L'altro proiettile colpì la parete alle sue spalle: era evidente che aveva cercato di piazzare il secondo colpo nella sua testa, mancandolo solo di poco.
Silehard barcollò in un angolo della stanza, con la mano sinistra sanguinante, inservibile. Il proiettile doveva averla bucata da parte a parte, e il sangue zampillava copioso sul palmo, sulle dita, colava sul pavimento.
Barbossa sbuffò, più infastidito che furioso. - Stai fermo, cane. - sbottò, in un tono così insofferente da dare i brividi.
Il capo della gilda si mosse più rapidamente di quanto ci saremmo aspettati, e si gettò attraverso una porticina che conduceva in una stanza adiacente, sparendo alla nostra vista. Barbossa imprecò e lo seguì: intanto si rialzarono Elizabeth e Jack, che avevano dovuto buttarsi a terra quando Silehard aveva iniziato a sparare. Elizabeth corse a dare una mano a me e Will per liberarci del tavolo che ci schiacciava: mi accorsi che una pallottola doveva averla presa di striscio; la sua camicia era strappata sulla spalla, e c'era un'abrasione sulla pelle, anche se non era nulla di serio.
Anche Jack stava bene: si avvicinò e la aiutò a sollevare il tavolo, liberandoci. In quel momento fummo richiamati dall'imprecazione di Barbossa e ci precipitammo nell'altra stanza, dove restammo nostro malgrado a bocca aperta.
Una cannonata aveva sfondato parte della parete di quella che era stata la stanza del bambino e della donna che lo accompagnava: nelle assi era stato aperto uno squarcio largo circa un metro, e la palla di cannone era ancora conficcata nella parete opposta.
Silehard non c'era. E Barbossa stava affacciato allo squarcio, sibilando una sequela di insulti.
- No!- protestai. - No! Non dirmi che si è tuffato!-
- È così. - replicò il capitano, tirandosi indietro con aria seccata.
- Non può!- gridai. - Ripeschiamolo! Andiamo a cercarlo, non può andare lontano!-
Nessuno però sembrava avere la mia stessa smania di riprenderlo: Will era accanto a Elizabeth e si accertava delle condizioni della sua ferita, Jack invece andò a recuperare la propria spada, che aveva lasciato cadere quando era cominciata la sparatoria.
- Non ha molto senso, ormai. - disse, rinfoderandola. - La nave è nostra, tutta la sua gilda è pressoché distrutta... e lui, come hai detto, non nuoterà molto lontano con una mano maciullata. Non possiamo metterci a cercare di ripescarlo adesso: non è più un mio problema. -
- Figurati se è mio. - commentò Barbossa, stringendosi nelle spalle.
Era la prima volta che i due capitani si rivolgevano la parola, e si squadrarono per un lungo, tesissimo istante, nel quale gli sguardi di noi tre rimbalzarono dall'uno all'altro senza sapere se dovessimo aspettarci un nuovo scontro o cosa.
- Hector!- disse infine Jack, facendo un cenno di saluto. - Mi avevano riferito che eri tornato in circolazione. -
- Come puoi vedere. - Barbossa lo scrutava dall'alto in basso, a braccia conserte. - E a me avevano riferito che tu avevi quasi precipitato tutti quanti in un disastro colossale. -
Jack lo ignorò deliberatamente e si rivolse a me, venendomi vicino per cingermi la vita con un braccio.
- Grazie per averlo tenuto a bada, Laura!- commentò, accennando al vecchio capitano con tono fatto apposta per irritarlo. - Si fa sempre strane idee riguardo la proprietà della Perla, quando viene lasciato solo troppo a lungo. Ma ora potremmo anche lasciarlo a terra, che cosa ne dici?-
- Sei tu quello che ha abbandonato la Perla per andare a fare i tuoi stramaledetti doppi giochi, fino a prova contraria. - ribatté lui, tagliente, ma mi accorsi che non sembrava affatto in vena di battibeccare con Jack: sembrava quasi stanco. Infatti, fu con stanchezza che guardò fuori dallo squarcio nelle assi, ascoltando le grida di vittoria dei pirati della Perla Nera, e poi si voltò verso di noi. - Che vogliamo fare con quelli là fuori?-
Jack si strinse nelle spalle, tornando serio: ad un tratto sembrava anche lui stanco come il suo vecchio rivale. - Ci prendiamo la vittoria. - rispose, semplicemente.
E ci prendemmo davvero la vittoria, quando uscimmo sul ponte. Era tutto finito: quasi un quarto della ciurma di Silehard era morta, tutti gli altri si erano arresi così che, tra vincitori e vinti, il ponte era ingombro di gente.
Le acque erano piene di detriti, pezzi di pennone sfasciati, vele, uomini che nuotavano. Corpi. Mi affacciai alla murata dello Squalo e rimasi a guardare finché non vidi quello che stavo cercando: una figura vestita di nero galleggiava trasportata dalle onde; quando mi passò sotto vidi gli occhi morti e spalancati nel viso livido di Imogen. Era ricoperta di schegge: forse era finita troppo vicina all'esplosione di una cannonata. La corrente cominciò a trascinare via il suo corpo, ed io mi ritrassi dal parapetto con un brivido.
- La nave è nostra, e così tutto quello che ne riusciremo a recuperare. - annunciò Jack dal centro del ponte, rivolgendosi tanto ai nostri pirati quanto a quelli della gilda. - Non vi sarà fatto del male. Siamo a poche ore da Tortuga e avete ancora scialuppe in abbondanza: occupatevi dei vostri feriti e non intralciate!-
Silehard si era portato una piccola fortuna a bordo: gli alloggi del capitano erano arredati con eccessivo sfarzo, quindi arraffammo tutto quello che si poteva recuperare, dai tappeti alle armi, dall'argenteria ai vestiti. Trovammo anche un piccolo baule nascosto in uno scomparto: io e Jack lo aprimmo e ci trovammo davanti un piccolo mucchio di monete d'oro e gioielli.
I nostri occhi balenarono su quello spettacolo per qualche momento, poi Jack richiuse il bauletto e mi guardò: c'eravamo solo io e lui a perquisire quella stanza, e quindi ad aver visto quel piccolo tesoro.
- Questa era una piccola somma per il viaggio. - mi disse, in un sussurro estasiato: i suoi occhi scuri brillavano. - Ti rendi conto che Silehard teneva in mano gli incassi di tutti i tagliaborse del porto, e forse anche di più? Quasi ogni uomo a Tortuga gli pagava un tributo, comprendi?-
- E tu sai dov'è custodito tutto quel denaro?- domandai lentamente.
Il sogghigno di Jack si allargò, con aria maliziosa.
- Abbiamo appena fatto a pezzi la gilda: le persone che sono rimaste a Tortuga non sono che gli ex protetti di Silehard, i suoi leccapiedi, la sua corte inutile, per dirla in breve, Quando si spargerà la voce che la gilda non esiste più, si scatenerà il finimondo per mettere le mani su qualunque cosa Silehard abbia mai posseduto. Perciò, ora urge che torniamo indietro e ci prendiamo davvero tutta la vittoria... finché è ancora possibile. Comprendi?-
Sorrisi. Comprendevo.




Note dell'autrice:
Orbene, che per una volta io sia riuscita a non fare "promesse da marinaio" e mettermi a pubblicare decentemente? Così pare. Per ora, tanto per citare il nuovo capitolo. Ebbene eccoci qui, un po' di acciaio e sangue che fan sempre piacere e qualche piccola vendetta personale!
Per rispondere a Fannysparrow che ha gradito la battuta di Jack nello scorso capitolo "C'era qualcosa di eccitante nell'essere sull'orlo del disastro": ringrazio e confesso che è un piccolo omaggio a Mr Depp, perché si tratta di una frase che lui pronunciò davvero durante un'intervista! Stranamente, invece, non sono reduce da una visione recente del primo film: purtroppo devo ammettere di non riguardare per intero i film della saga da un bel po' di tempo... ohibò!
Sara, che giustamente ha imparato a non dare nessuno per morto finché non le portano la testa mozzata, spero sia stata rincuorata dalla dolce visione del cadavere della strega. Invece so di essere stata sleale in quanto a Silehard e Donovan. Oooh sì.
Infine, l'immancabile e dovuto omaggio alla mia compare Alwilda, che con una nuova vignetta ha quasi anticipato il breve stacchetto Jack/Barbossa/Laura di fine capitolo. ^^
Wind in your sails, e buona Pasqua, già che ci siamo!

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Capitolo 18
*** Eredità. ***


Capitolo 17
Eredità.



Ripensandoci, potrei dire che quel giorno facemmo davvero i pirati nel senso più reale del termine.
Ritornammo a Tortuga a spron battuto, lasciandoci alle spalle lo Squalo Bianco e i sopravvissuti, e sbarcammo nel porto con tutti quelli che ancora se la sentivano di impugnare un'arma come se fossimo stati un piccolo esercito. Probabilmente era la prima volta che una città di pirati veniva presa d'assalto dai pirati.
Nessuno si sognò di fermarci, per la strada, e quando sfondammo il portone del quartier generale della gilda, trovammo ciò che ci aspettavamo: nella sua sfacciata sicurezza, Silehard aveva portato con sé tutti i suoi uomini validi, e a presidiare la gilda non era rimasto che un gran numero di uomini e donne qualunque; ladruncoli di bassa lega, tagliagole, puttane e ragazzini rissosi.
Del resto, con l'intera Tortuga completamente soggiogata a lui, Silehard non aveva da temere nessun attacco interno. Salvo che da parte nostra.
Non fu versata neanche una goccia di sangue, e fu un sollievo considerato il massacro che ci lasciavamo alle spalle: la corte cenciosa di Silehard era troppo spaventata per opporre resistenza.
Saccheggiammo il quartier generale, lasciando perdere cose come viveri, legname e altre merci che da sole avrebbero costituito un fenomenale bottino, e andammo a colpo sicuro nei depositi privati sotterranei. Jack aveva avuto molti giorni per studiarsi i quartieri della gilda e intuire a che cosa servissero tutte quelle stanze interrate.
Forzammo la porta, e i pirati sciamarono nei sotterranei come topi in una cambusa.
C'erano casse ovunque, casse che i nostri uomini non si fecero pregare per scassinare con sbarre di ferro, fino a romperne le serrature e rivelare il contenuto.
Grida deliziate si levarono da ogni angolo della cantina, ed io stessa non riuscii ad evitare di rimanere a bocca aperta. Mi feci largo, e i miei uomini mi fecero passare perché potessi toccare il contenuto delle casse con le mie mani. Monete, una quantità inimmaginabile di monete: moneta sonante di rame, d'argento, d'oro. Non avevo mai visto così tanto denaro in tutta la mia vita. E non c'era solo quello: altre casse vennero scoperchiate, e per poco non mi commossi davanti allo splendore di un mucchio di gioielli di ogni genere: perle, diamanti, rubini, bracciali, rosari e diademi incastonati di ogni tipo di gemma preziosa.
C'era tanta di quella roba da lasciarmi stordita. Perfino i pirati erano prossimi alle lacrimi davanti a tutto quel ben di dio, eppure non osavano toccare neppure una moneta finché io e Jack non avessimo dato un ordine preciso. Guardavano l'oro come se bruciasse e avessero paura di toccarlo, tuttavia non riuscivano a distoglierne lo sguardo.
Dopo avere esaminato il contenuto delle casse, Jack ed io ci ritrovammo nel mezzo delle cantine: sulle nostre facce c'era la stessa identica espressione estatica ed allibita.
Era quasi troppo da immaginare. Là dentro c'era un capitale, e sapevo che buona parte doveva provenire direttamente dalle casseforti dei Mercanti: nient'altro avrebbe potuto spiegare un così nutrito traffico di ricchezze tra le mani di Silehard.
Forse, se avessimo restituito il loro denaro, ci saremmo potuti guadagnare un occhio di riguardo da parte della corporazione dei Mercanti: una fruttuosa alleanza. Forse sarebbe bastato per rimettere le cose a posto in città, una volta scomparsa la violenta occupazione della gilda. Forse tutta Tortuga avrebbe finito per acclamarci per la nostra generosità.
Guardai Jack. Lui inarcò un sopracciglio.
Oppure...

*

Alcune ore dopo, la stiva della Perla Nera era così zeppa di tesori che la linea di galleggiamento si era alzata di almeno tre spanne.
Le casse erano state ben chiuse: Jack si arrampicò sopra l'unica che era ancora aperta e si sedette direttamente sul tesoro, facendosi scorrere le monete tra le dita. Non lo avevo mai visto così euforico, e non era neppure tanto per il denaro in sé: era più l'idea che fossimo veramente riusciti a soffiare un tesoro del genere sotto il naso di tutti.
Noi eravamo lì, gli unici a cui ora fosse permesso entrare in quella stiva delle meraviglie: io, Faith, Ettore, Gibbs, Barbossa, Elizabeth e William.
Faith fissava il tesoro come se non credesse ai suoi occhi. - Non posso credere che lo stiamo facendo davvero. - ripeté per l'ennesima volta.
- Che cosa: scappare con l'intero tesoro della gilda?- risi. - Non è una cosa incredibilmente arrogante? Siamo pirati. E ci piace. Niente sensi di colpa, per una volta che ci va così bene!-
- Non sono tranquillo. - Barbossa non abbandonava il suo portamento arcigno nemmeno adesso. - È rischioso andare in giro con tante ricchezze a bordo: inoltre non dobbiamo nemmeno fare aspettare la ciurma. Adesso sono euforici, ma presto si agiteranno, se non riceveranno la loro parte il prima possibile. L'oro dà alla testa agli uomini. -
Jack si sistemò più comodamente, incrociando le gambe. - Non temere, lo so benissimo: c'è gente che arriverebbe perfino ad ammutinarsi per una cassa piena d'oro, pensa un po'. Comunque, voglio solo arrivare fino al porto più vicino nel minor tempo possibile, poi ogni uomo avrà la sua parte e chiunque potrà restare o lasciare la ciurma, a suo piacimento. Ho anche un po' di spesucce da fare. Ma non sono così pazzo da farlo qui: se uno qualunque di noi dovesse mettere piede a Tortuga adesso, si troverebbe la gola tagliata e le tasche vuote, temo. No, ci conviene stare alla larga da qui finché la storia di questo meraviglioso bottino non sarà diventata soltanto una voce. - prese una moneta e la fece rotolare sulle nocche delle dita con abilità consumata. - Inoltre, ho qualche nome falso che ho usato di tanto in tanto in Inghilterra: credo di poter mettere un po' di denaro in una di quelle banche inglesi. Sarà divertente: un pirata che si fa amministrare il denaro dagli stessi a cui lo ruba! Oh, sarà perfetto. -
- Quando leviamo l'ancora?- domandò William.
- Subito, Will. Il più “subito” possibile, appena avremo finito con le piccole faccende che ci tengono ancora in questo porto. - Jack si alzò dalla cassa e la richiuse. - Voi tornate sulla Sputafuoco e siate pronti a seguirci: entro mezz'ora al massimo voglio che salpiamo, e sarà meglio se restiamo vicini. Suvvia, lasciamo questo dannato porto. Non voglio più sentir parlare di Tortuga per almeno qualche mese!-
Obbedimmo e cominciammo ad uscire dalla stiva: vidi Barbossa incamminarsi insieme ad Elizabeth e Will, anche se la cosa non mi sorprese più di tante. Era da quando si erano incontrati che lui e Jack si guardavano in cagnesco, ed era evidente che la presenza del vecchio capitano sulla Perla non avrebbe portato nulla di buono. Forse finalmente si sarebbe deciso a togliere il disturbo?
Io e Faith eravamo fianco a fianco, ridanciane e allegre come non mai. Ettore era alle nostre spalle, ma ad un tratto lo richiamò la voce di Jack.
- Ettore, rimani. - era ancora nel mezzo della stiva, appoggiato alla cassa chiusa. - Ho bisogno di parlare con te. -
Il pirata sembrò vagamente sorpreso, ma tornò indietro di buon grado per rimanere col capitano. Io mi guardai indietro, e Jack mi rivolse un piccolo cenno per dirmi che potevo andare.
Uscimmo, richiudendo la porta della stiva, e non seppi rispondere allo sguardo interrogativo che Faith mi rivolse: anch'io, come lei, non avevo idea di cosa potessero avere da dirsi quei due. Tuttavia, in quel momento avevo la testa da un'altra parte: la riuscita del piano e l'immenso tesoro avevano catturato la mia attenzione fino a quel momento, ma c'erano ancora alcune cose che avevo lasciato irrisolte. La prima, ovviamente, era riportare il bambino di Daphne alla Lanterna Fioca: avevo già detto a Will che me ne sarei occupata personalmente, anche perché volevo assicurarmi che Daphne stesse bene. Poi c'era un altro particolare ben più grave, di cui avevo volutamente evitato di occuparmi fino a quel momento. Presto o tardi, avrei dovuto parlare con Valerie.

*

Will si fermò ad un passo dalla passerella tesa tra la Perla e la Sputafuoco, voltandosi verso Barbossa che aveva camminato al suo fianco fino a quel momento.
- Allora, capitan Barbossa. - fece, senza preamboli e con un curioso sorrisetto. - Venite con noi?-
Il capitano inarcò le sopracciglio come se pensasse ad uno scherzo; la scimmia sulla sua spalla si guardava attorno, fissando ora la Perla ora la Sputafuoco.
- E questo cosa vorrebbe essere, “capitano Turner”?- lo schernì. Elizabeth, al fianco di Will, rise sommessamente: entrambi stavano fissando Barbossa, il quale si sentiva sempre di più al centro di qualche scherzo di cui era l'unico a non sapere niente. Poi la giovane donna si ravviò i capelli biondi dietro le spalle e lo guardò: - Un invito, mi pare. -
Cominciando ad intuire dove sarebbe finita quella conversazione, lui si voltò verso Will e gli puntò addosso l'indice. - Mettitelo bene in testa: tu non sarai mai il mio superiore, caro il mio William Turner junior, e io non sarò mai il tuo secondo. -
- E invece, mio ospite?- rincarò William, senza lasciarsi intimidire. - Andiamo, conosciamo tutti il vostro valore ed è per questo che vi sto offrendo un posto sulla mia nave. Non sono obbligato a prendervi a bordo. Ah, e lo sapete che Jack ha ordinato di buttarvi fuoribordo se vi trova ancora sulla Perla prima della partenza?-
Un sogghignò tremò sulle labbra di Barbossa. - Questa vorrei proprio vederla. - lo sfidò, ma sembrava riderne fra sé.
- Sulla Perla non vi lasceranno stare. - insistette Elizabeth, a braccia incrociate. - E non è nel vostro interesse rimanere a terra: veniamoci incontro. -
Barbossa li squadrò entrambi come se li stesse silenziosamente valutando, quindi fece un cenno col capo per esortarli ad andare avanti. - Le condizioni, signor Turner?-
Will si fece sfuggire un sorriso. - Non tenterete di impossessarvi della Perla Nera, né della Sputafuoco. E non tenterete mai di fare del male a Jack, o a chiunque altro membro di entrambe le nostre ciurme. -
- Per chi mi avete preso?- sbottò il capitano in tono oltraggiato.
- Su questa nave io ed Elizabeth siamo i capitani. Voi sarete parte della nostra ciurma, ma collaborerete direttamente con noi: a bordo non sarete secondo a nessuno. -
Il capitano si prese tutto il tempo per rispondere, anche solo per il gusto di fare aspettare un po' i due audaci coniugi Turner che avevano avuto il fegato di proporgli un patto del genere. Se sperava di vederli spazientirsi, però, rimase deluso, perché quelli attesero in perfetto silenzio e senza distogliere gli occhi da lui come se già conoscessero la risposta. Questo un po' lo punse nell'orgoglio: stava forse diventando prevedibile? Forse, prima o poi, sarebbe stato il momento di fare qualcosa di inaspettato, anche solo per disturbare un po' le coscienze di amici e nemici. Ma non oggi, e non con quei due. Al momento, l'offerta gli piaceva.
Ridacchiò lentamente, di gusto, mentre sollevava una mano per dare una grattatina alla scimmietta. - Per ora mi va bene, capitani Turner. - rispose, ridendo. - Fate strada. -

*

- Dite, capitano. - lo invitò Ettore. Il pirata sorrideva: erano salvi, erano in possesso di un tesoro favoloso; sembrava che nulla più potesse andare storto.
Jack tentennò per qualche momento prima di dirgli: - Siediti. -
Si sedettero sulle casse chiuse, uno di fronte all'altro: Jack aveva un'espressione strana e sembrava restio a guardarlo negli occhi. Questo Ettore lo notò, e si accigliò.
- Qualcosa non va? C'è qualcosa che dovrei sapere?-
- C'è senz'altro qualcosa che dovresti sapere. - il viso del capitano si rilassò un po'. - Sai, ho parlato con la strega, Imogen: una volta mi ha fatto il nome di Beatrix Barbossa. -
L'espressione di Ettore ebbe un tremito quasi impercettibile a quel nome, ma il pirata conservò la sua compostezza.
- L'aveva vista nei miei ricordi, quando sognavo, ed è così che ha assistito alla sua morte. Non le importava molto di lei, ma la conosceva, comprendi? Mi ha raccontato alcune cose del suo passato, incluso quando a tredici anni venne a cercarti e ti offrì di imbarcarti insieme a lei. -
Il pirata alzò il capo, sorpreso. - Sì, è così. - ammise. - Fu allora che ci incontrammo per la prima volta... io non sapevo niente di lei, e lei non sapeva niente di me: credo che sapesse soltanto che c'era un ragazzo giovane e robusto che lavorava dal falegname, e probabilmente mi ha cercato per quello. -
Jack schioccò le labbra: sembrava imbarazzato. - Non è del tutto vero. In effetti, Beatrix sapeva esattamente chi tu fossi, il giorno che venne a cercarti. Imogen viveva già a Tortuga da un pezzo quando voi eravate ragazzi: Beatrix andò da lei perché aveva appena saputo di avere un fratello, e voleva che lei la aiutasse a scoprire chi era. -
Ad Ettore mancò il fiato.
- Cosa?- mormorò, con gli occhi sgranati.
- Gemelli. - continuò Jack, in tono piatto. - La madre era una prostituta di nome Gabrielle Dubois, il padre era Hector Barbossa. Ne era sicura perché il suddetto era stato suo ospite fisso per un certo periodo di tempo. Lei cercò di dare via subito la bambina perché per ovvie ragioni non voleva tenerla nel bordello, ma la famiglia del falegname volle il maschio... te. Beatrix restò per qualche anno nel bordello, prima che Gabrielle riuscisse a dare via anche lei, ma in questo modo lei riuscì a restare in contatto con sua madre e a sapere delle proprie origini: l'unica cosa di cui le sia mai importato. -
Ora Ettore aveva cessato definitivamente di parlare, e fissava Jack con una sorta di muta incredulità. Era strano vedere un uomo così massiccio stare perfettamente immobile, le labbra con una piega spaventata, da bambino, sotto la barba ispida. Sedeva, e beveva le parole di Jack una ad una, per quanto sembrassero avvelenarlo.
- Lei si era ossessionata col pensiero di essere Beatrix Barbossa, un nome che per lei valeva più di ogni altra cosa, e aveva già cominciato ad andare per mare. Quando tornò, seppe quasi per caso che sua madre era in fin di vita per una malattia, e sempre quasi per caso accettò di vederla e si sentire le sue ultime parole: Gabrielle le rivelò che aveva un fratello gemello, e probabilmente la cosa la mandò fuori dai gangheri. Poi però decise che aveva bisogno di te, così si rivolse alla strega per sapere dove fosse finita la famiglia del falegname che ti aveva adottato tredici anni prima... e ti trovò. Ettore Barbossa... anzi, in realtà sarebbe Hector, ma credo che il falegname fosse italiano. -
- Sì. - fu la prima parola che uscì dalla bocca di Ettore, quasi in un soffio. - Sì, è vero. -
- Sei stato con lei fin da allora. - continuò Jack, e il pirata si limitò ad annuire. - Possibile che non ti abbia mai... detto niente?-
Ettore si passò stancamente una mano tra i capelli scuri e ricciuti: fissava il vuoto davanti a sé e sembrava stordito.
- Niente. Anche se, ora che ci penso, molte cose adesso hanno senso... - si interruppe, scosse il capo, riprese. - Le sono stato a fianco per anni, sai cosa vuol dire? Ero il suo braccio destro. Un tempo ho anche creduto di amarla, come avrei potuto amare una qualsiasi donna... anche se sentivo che tra me e lei c'era qualcosa di strano, diverso. Lo sentivo. E lei per prima mi ha sempre respinto: rideva, diceva che non avevo idea... oh, ecco di cosa non avevo idea. Dio, mi sento così stupido... -
Chinò il capo, strofinandosi il viso con le mani. Osservandolo, Jack non riusciva a capire se fosse prossimo alle lacrime o all'ira, perciò nel dubbio se ne restò in silenzio a guardare le sue reazioni.
- Dopo, ho cominciato quasi ad odiarla. Era diventata stupida e crudele, eppure io le correvo sempre dietro in ogni cosa che faceva. - a meno che non si sbagliasse di grosso, gli occhi arrossati di Ettore erano davvero diventati umidi? - Aveva perfino incontrato Barbossa, suo padre: lo sapevo. A forza di sbandierare a destra e a manca il suo nome, aveva finalmente ottenuto quello che voleva. Aveva attirato la sua attenzione. So che si incontrarono e parlarono molte volte, in segreto, lontano da tutti... Ci credi che questa è la prima volta che io lo vedo in carne e ossa?-
- Non voleva dividerlo con nessuno. - confermò Jack, a voce bassa. Dentro di sé, si stava chiedendo se fosse il caso di fare qualcosa di confortante, che so, appoggiare una mano sulla spalla di Ettore. Ma preferì continuare a parlare. - La conoscevo anch'io: ci siamo incontrati e abbiamo avuto i nostri momenti, più o meno piacevoli o spiacevoli. Mi spiace dire che non ricordo se io e te ci siamo mai visti, prima che mi prendesse prigioniero... -
- Io mi ricordavo di te, un po'. Anch'io però non ho mai prestato molta attenzione: non eri il primo che passava ogni tanto per il suo letto... o per la sua spada. - finalmente il guizzo di quello che poteva assomigliare ad un sorriso balenò sulle labbra del pirata, per un brevissimo istante.
- Eh già... A scanso di equivoci, non sono passato per il suo letto. Ci sono solo passato molto vicino, molte volte. Comunque, credo che lei abbia sempre cercato di essere degna di suo padre, o più grande di suo padre. Tutto ciò sempre con un unico scopo: attirare la sua attenzione, in qualsiasi modo. Si fidava di te, ma non ti avrebbe mai permesso di farle ombra. -
- Lo so. - ora il tono di Ettore era duro. - Lo avevo capito da molto tempo, ma semplicemente non potevo lasciarla. Non sapevo dove altro andare. Pensa che quella notte, sull'Isla de Muerta... è stata la prima volta che ho capito che lei mi avrebbe ucciso, se io le fossi stato d'intralcio. Eppure avrei dovuto saperlo da molto... molto tempo. - un altro lungo silenzio, poi un sospiro carico di rimpianto e di rancore. - Se solo me lo avesse detto. -
Il capitano non disse altro: annuì una volta, poi rimase in silenzio, seduto con lui nella stiva deserta. Dopo istanti che sembrarono durare per ore intere, Ettore sollevò ancora lo sguardo: non c'erano più lacrime nei suoi occhi, però c'era un'aria di stupita rassegnazione.
- Jack. - disse, secco come un colpo di pistola. - Perché mi hai detto questo? Perché mi hai fatto sapere che il tuo peggiore rivale di sempre è mio padre?-
Stavolta, Jack si piegò un poco in avanti e afferrò saldamente la spalla di Ettore, fissandolo negli occhi. - Perché ti dovevo la verità. - rispose, semplicemente. - E perché non era rimasto più nessuno che potesse raccontartela... forse. -
Ettore meditò su quell'intenzionale “forse” e su tutto ciò che poteva comportare, quindi sospirò di nuovo e scosse il capo come per chiarirsi le idee. In quel momento Jack sussultò, con l'aria di essersi ricordato improvvisamente qualcosa, e si mise a frugare nelle tasche della giacca: quando ebbe trovato quello che cercava, si avvicinò e lo porse ad Ettore.
Era un medaglione dorato: un oggettino piccolo, molto raffinato. Il ciondolo si apriva e si chiudeva come una conchiglia, ed era decorato con sottili volute che ad Ettore ricordarono delle foglie, o forse delle onde. Jack continuava a porgerglielo: lo prese in mano, stupendosi di quanto fosse leggero, e fece scattare la chiusura per aprire il ciondolo.
All'interno c'era un piccolo ritratto colorato: il viso di una donna. E sotto c'era inciso un nome: Gabrielle.
Per un attimo, il pirata ebbe un fremito. Non avrebbe saputo dire se in senso buono o cattivo: la vista di quell'oggetto era confortante e dolorosa insieme. Per qualche momento ebbe anche dei seri dubbi sulla sincerità del capitano: quel medaglione, tirato fuori ad arte proprio al culmine del loro discorso, sembrava un tocco di classe troppo elegante e insperato per essere vero.
- Questo era in cabina da un sacco di tempo. - spiegò Jack. - Ho sempre pensato che risalisse a quando quella cabina la occupava Barbossa, ma solo adesso sono riuscito a ricostruire tutta la storia. -
Il nome era giusto. Gabrielle. E, quando ebbe guardato con attenzione il ritratto, il pirata non ebbe più nessun dubbio: era la figura di una donna dai lunghi capelli castani, che le scendevano fin sotto le spalle in grandi riccioli. Anche i suoi occhi erano di un castano intenso, e chiunque l'avesse ritratta aveva catturato una strana luce, un'energia che traspariva dal cipiglio di quegli occhi e dalla bocca sorridente. Era una bellezza, ma una bellezza da donna alta e forte, da selvaggia amazzone: non c'era niente di delicato in lei. Ed Ettore seppe per certo di stare guardando il riflesso della verità, perché quella donna somigliava a Beatrix in modo impressionante. E a lui stesso, dovette ammettere. Per quanto tempo era volontariamente rimasto cieco davanti ai loro identici capelli ricci, gli stessi occhi, spesso lo stesso cipiglio? All'epoca pensava che le loro somiglianze facessero parte del loro legame, della vita simile che conducevano: ora sapeva che era semplicemente dovuto al sangue.
Chiuse il medaglione nella mano, con rispetto, quasi con tenerezza. Gabrielle Dubois. Sua madre.
- Ho voltato le spalle a Beatrix, ma solo perché mi ha dato più di un motivo per farlo. - continuò, serio. - Non volterò le spalle a te. Sono un uomo della Perla Nera, e il nome Westley, per me, è più importante di qualsiasi Barbossa. -
Jack prima sorrise, poi ridacchiò per davvero, scrollando le spalle. - Mi fa piacere, ma non mi interessa. Comprendi?-
Gli diede una pacca sulla spalla e gli fece un cenno, per poi alzarsi e dirigersi verso la porta della stiva, chiudendo definitivamente quella conversazione.

*

Daphne scoppiò in lacrime quando ebbe di nuovo il suo bambino tra le braccia, e quando riprese fiato riuscì soltanto a dirmi: - Grazie. - e a ripeterlo senza sosta.
Eccetto il neonato eravamo solo donne, riunite nella camera di Daphne: io, Faith, Valerie, Daphne, Dorothy, che si era occupata di lei da quando Silehard era venuto a portare via il suo bambino, miss Bondies, alla quale avevo chiesto personalmente di seguirci, e la giovane donna portata via dallo Squalo Bianco, che si chiamava Mary.
- William Turner ti manda i suoi saluti: è stato lui a portare in salvo il bambino. - dissi, stringendo amichevolmente la spalla di Daphne. - Devo dire la verità: non sappiamo se Silehard sia morto. Si è tuffato in mare con una mano maciullata, ma non abbiamo trovato lui né il suo corpo. Quindi, in ogni caso, vi consiglierei di stare in guardia... -
- Se vedo il brutto muso di Silehard sulla porta del mio bordello, gli faccio ingoiare la mano che gli resta!- sbottò miss Bondies, arrossandosi in viso per la rabbia. - Perdio, come sono contenta che la gilda sia caduta! I miei buttafuori avranno di che divertirsi, se gli schifosi ratti di fogna che seguivano Silehard osano farsi vedere ancora da queste parti!-
Sorrisi. - Ne sono felice, miss Bondies. A proposito, ho dei regali per voi. Daphne, il primo è per te. -
Mi accostai alla giovane donna, che sedeva ancora sul bordo del letto col bimbo tra le braccia, e le porsi una borsa di tela: lei la prese con una mano, e sussultò nel sentire quanto fosse pesante. Incuriosita, slacciò i cordoni e la aprì quel poco che bastava per darci un'occhiata dentro... vidi i suoi occhi allargarsi quando notò lo scintillio dell'oro.
- Ma questo... - mi guardò, sbalordita. Io non avevo smesso di sorridere.
- È un regalo, te l'ho detto. - dissi, stringendomi nelle spalle. - Mary. Questo è per te. - allungai alla donna un'altra piccola borsa, e lei la afferrò, allargando gli occhi di gioia nel sentire il tintinnio delle monete. Poi alzò di nuovo lo sguardo su di me e mi chiese, in tono ansioso: - Capitano, il nostro patto?-
- Certo. Miss Bondies, Mary faceva la sguattera nella gilda di Silehard, e avrebbe bisogno di un posto dove stare. Certo, ora ha una piccola somma di denaro, però vorrebbe pagarsi vitto e alloggio qui alla Lanterna Fioca come cuoca. Pensate che sia possibile?-
La padrona del bordello squadrò Mary da capo a piedi, poi però la sua espressione granitica si addolcì in un sorriso, e lei annuì. - Certo che è possibile, qui c'è sempre bisogno di una mano per mandare avanti la baracca. Però non posso non notare, mia signora capitana, che nel dispensare i vostri regali vi siete dimenticata di me!-
Feci del mio meglio per non ridere, anche se con scarso successo: non potevo farci niente, ero di buon umore.
- Non mi sono affatto dimenticata. Faith, Valerie, non avevamo portato qualcosa?-
Le due ragazze colsero l'occasione e spinsero in mezzo alla stanza un pacco avvolto in un telo, che ci portavamo dietro da quando eravamo entrate nel bordello. Sotto gli occhi di tutte le presenti svolsero il telo, rivelando un cofanetto di legno scuro che porsero a miss Bondies. Sulle loro facce c'erano gli stessi sorrisi inequivocabili, e intuii che io dovevo avere la stessa espressione.
La donna non si fece certo pregare, e fece scattare la chiusura del cofanetto: per poco non cacciò un urlo quando lo trovò pieno di monete, inclusa qualche pietra preziosa giusto per arricchire un po' il tutto.
- Per il bordello. - dissi. - Perché mi avete salvato la vita e ci avete coperti: forse non ce l'avremmo mai fatta senza il vostro aiuto. Lo so che è strano chiedere ad un bordello di pensare al bene delle ragazze, ma... -
Miss Bondies era sull'orlo delle lacrime. - So cosa intendete, signora. - disse, con la voce rotta dalla commozione. - Non vi deluderemo. E, sotto questo tetto, chiunque sia un amico degli Sparrow troverà sempre protezione. Sempre. -
- Vi ringrazio. -
In quel momento, qualcuno si fece sentire con un colpetto di tosse volutamente sonoro. Naturalmente era Dorothy, che era rimasta impalata accanto al letto, fissando le borse e lo scrigno come un cane a cui avessero portato via l'osso. Non disse niente, ma mi guardò con i begli occhi sgranati finché non mi decisi di dare segno di essermi accorta di lei.
- Oh, giusto!- esclamai, cercando di mascherare il mio divertimento. Feci apparire un'altra piccola borsa: avevo riempito anche quella con alcune monete e qualche gioiello. - Dorothy, sei stata preziosa e hai fatto bene il tuo lavoro. Questa è per te. -
La ragazza cacciò un gridolino e mi corse accanto, prendendo la borsa che le porgevo. Mentre lo faceva, le afferrai il polso e la guardai negli occhi.
- Ah, Dorothy?- aggiunsi. - Se allunghi ancora le mani su Jack, giuro che te le taglio. -
Lei mi guardò con una faccia talmente mortificata che non ce la feci più: scoppiai in una gran risata, lasciandola andare. Dalla sua espressione, la mia reazione sembrò spaventarla ancora più delle mie parole di prima... tuttavia, non riuscivo a fermarmi. Faith e Valerie mi guardarono di sottecchi, con l'aria di chiedersi se stessi esagerando o se fossi semplicemente impazzita. Forse non erano troppo lontane dalla verità.
Cercando di smettere di ridere e di darmi un contegno, mi congedai da tutte quante e il nostro terzetto uscì dal bordello, scendendo in strada. Ma, oh, era troppo bello poter camminare per le vie di Tortuga alla luce del giorno e sapere che non avevamo più niente da temere. Che la gilda era andata in pezzi, e con essa tutto il male che ci aveva fatto. Che noi eravamo più forti di tutti loro, e lo saremmo sempre stati.
Certo, proprio per lo stesso motivo, per un bel pezzo avremmo fatto meglio a non farci neanche vedere, a Tortuga. Ma ora, nel poco tempo prima di salpare, prima che la notizia della sconfitta di Silehard e del magnifico bottino di cui ci eravamo impossessati facesse il giro di tutte le locande, Tortuga era tornata ad essere il posto che avevo sempre conosciuto.
Pensai a tutte queste cose, mentre camminavo per le sue strade e le davo il mio temporaneo addio.
Tuttavia, avevo un'ultima visita da fare: ci fermammo davanti all'Albatro; la porta come al solito non era chiusa, quindi entrammo senza alcun problema. Non c'era molta clientela, a quell'ora, e i pochi che si radunavano attorno ai tavoli e al bancone per mangiare un boccone o tracannare qualche pinta di rum non ci degnarono neppure di uno sguardo, quando facemmo il nostro ingresso.
Bill Night invece ci riconobbe, e quando ci vide tutte e tre in piedi sulla soglia sembrò sul punto di lasciar cadere il calice che stava pulendo, tanto era lo stupore. Portandomi un dito alle labbra gli feci segno di non fare baccano, e noi tre ci avvicinammo al bancone come se niente fosse.
E pensare che era cominciato tutto proprio lì, quasi nello stesso punto su cui stavo poggiando i piedi. Quello laggiù era il tavolo dove eravamo seduti quando gli uomini di Silehard erano venuti ad attaccar briga con noi. Il tavolo che allora era stato occupato dal signore delle gilda e dai suoi scagnozzi era vuoto. Lì, invece, aveva freddato gli ubriachi senza la minima esitazione. Ancora mi domandavo che cosa avesse in mente, all'epoca: si era accorto che i suoi balordi avevano infastidito dei personaggi interessanti, e si era alzato per imbastire quello spettacolino -nonché dimostrazione di forza- davanti ai nostri occhi, apposta per noi?
Ebbene, ora finalmente potevo dire che aveva arruffato le penne con le persone sbagliate.
Però, sarei stata molto più tranquilla se l'avessi visto morto.
Con o senza una mano, avevo il pessimo presentimento che fosse ancora vivo e vegeto, e di certo la cosa non ci avrebbe portato bene. Anche per questo era meglio sparire. Per dove, non ne avevo idea, ma diavolo, avevamo un tesoro o no?
- Perdio, che cosa ci fate qui?- sibilò a bassa voce Bill Night una volta che io, Faith e Valerie fummo accanto al bancone. Ancora non sapeva! Probabilmente aveva solo sentito quel che si ripeteva in città: che eravamo tornati di gran carriera, che avevamo fatto irruzione nella gilda, ma ancora nessuno sapeva esattamente cosa fosse successo alla nave di Silehard, o alla gilda stessa.
- Aspetta che venga sera, Bill, e ne sentirai di novità. - replicai con un sorriso. - Ma per allora, noi non saremo qui. Jack ti manda i suoi saluti. Ah, e puoi smettere di lasciare che la gentaglia della gilda si prenda il tuo rum gratis... non dovrai più preoccupartene. -
Gli occhi del locandiere si allargarono, e quando puntò il dito verso di me non avrei saputo dire se fosse meravigliato o sconvolto. - Sentite... Se anche solo metà delle voci che ho sentito sono vere... - di nuovo la sua espressione che lottava tra la gioia e la paura, e la sua voce divenne un sussurro appena udibile. - Per mille balene... la gilda, caduta? Silehard...?-
- Sht. - gli feci di nuovo cenno di fare silenzio. - Come ti ho detto, ne sentirai di storie. Comunque, sì. A dargli una lezione ci abbiamo pensato noi, ma adesso voi fate in modo che una cosa del genere non possa mai più ripetersi. Ci siamo lasciati dietro abbastanza scompiglio da scongiurare il rischio, ma non si sa mai... Ora, dov'è il tuo prete?-
Frate Matthew occupava una stanzetta dietro le cucine della locanda. Andai ad incontrarlo da sola, e lo trovai seduto ad una piccola scrivania: dava le spalle alla porta, e leggeva un libricino rilegato in pelle. La stanza era piccola e spoglia, come se il frate si fosse ricreato attorno la sua cella personale: non c'erano che il letto, la sedia e la scrivania, più una piccola cassa priva di coperchio che doveva contenere tutti i suoi averi. Vidi sbucare la borsa lisa che conteneva i suoi strumenti da chirurgo, e rabbrividii pensando a Michael steso sul tavolo della locanda deserta, con frate Matthew che gli apriva la pancia.
E i libri. Aveva un bel po' di libri, ammucchiati uno sull'altro.
Quando udì il rumore della porta che si richiudeva ebbe un piccolo sobbalzo: non mi aveva sentita entrare. Si voltò verso di me, e per un attimo quasi non sembrò riconoscermi, poi il suo volto dai tratti duri si illuminò di stupore e... sollievo? Sembrava qualcosa di molto simile.
- Oh, grazie a Dio, siete voi!- esclamò, abbandonando il libro sullo scrittoio e alzandosi. Io non dissi niente, ma lui venne da me e si piegò appena per guardarmi in faccia: mi prese addirittura le mani tra le sue. - Non so dirvi quanto sono contento che ce l'abbiate fatta! Va tutto bene? In città parlano di voi da ore, la nave di Silehard è salpata questa mattina e... Ma di certo sapete tutto meglio di me. State tutti bene? O... avete dei feriti? C'è bisogno del mio aiuto?-
Io ancora non dicevo niente, limitandomi a guardarlo. Il mio silenzio sembrò disorientarlo, poi, lentamente, un'espressione più seria scese sul suo viso.
- Non ho tradito. - mi disse, con voce ferma. - Mai. Non vi ho mai venduta a nessuno: quella sera, quando vi ho fatta uscire dalla locanda, stavo davvero cercando di salvarvi. Non ho messo gli uomini della gilda sulle vostre tracce. Vi avevo fatta uscire credendovi al sicuro, ma è probabile che alcuni di loro conoscessero il passaggio, o immaginassero l'esistenza di qualche uscita segreta. Se cercate un traditore, quello non sono io. Avete la mia parola. -
Avevo temuto anche quello, quando ero sgattaiolata fuori dall'Albatro per il passaggio segreto e mi ero trovata davanti gli scagnozzi di Silehard... e Jack. Però probabilmente stava dicendo la verità. Lui forse era rimasto quello che sembrava: un uomo buono, nonostante tutto. E alla fine, importava davvero qualcosa, adesso?
- Avete salvato Michael. - dissi, infine. - E vi credo, comunque. Noi stiamo bene. La Perla sta per salpare, e non torneremo più per un bel pezzo... volevo lasciarvi questo. - gli misi in mano una piccola borsa di denaro in tutto e per tutto simile a quelle che avevo appena consegnato alle donne nel bordello. Frate Matthew, al contrario di loro, non si fermò ad aprirla e ad ammirarne il contenuto: come sentì il peso delle monete tra le dita, sbarrò gli occhi e scosse il capo con fermezza.
- No, non posso accettarlo. -
Non ero dell'umore di ascoltare polemiche. - Se non lo volete voi, datelo a Bill Night. È per voi in ogni caso, per la locanda, per aiutare o curare tutti quelli che vorrete. Fatene quello che vi pare. - mi toccai la tesa del cappello in segno di saluto. - Vorrei poter restare qui a chiacchierare, ma siamo a corto di tempo. Vi devo salutare. -
Frate Matthew rimase per un attimo titubante, con la borsa tra le mani, ma poi sembrò arrendersi e risolversi ad accettare il mio regalo. - Va bene. Vi... Vi ringrazio molto. Avrei voluto poter fare di più. -
- Avete fatto abbastanza. - feci per uscire, ma proprio mentre ero sulla soglia mi fermai e mi voltai. - Frate Matthew? Posso farvi una domanda?-
- Certo. -
- Esattamente, che valore ha un matrimonio celebrato da un frate a bordo di una nave?-
Quella domanda parve davvero lasciarlo sconvolto e imbarazzato come niente prima di allora. Per un lunghissimo istante mi fissò, impacciato, cercando più volte di iniziare una frase, per poi lasciarla cadere in un tenue balbettio. Alzai gli occhi al cielo e ridacchiai. - Guardate che non mi offenderò. - assicurai.
Il frate sembrò finalmente ritrovare la voce e, ancora con un certo imbarazzo, ammise: - È... difficile da stabilire, ecco. Capite bene che un frate è un servo di Dio, certo... ma la verità è che neanche a terra ce li avrebbe, certi poteri! C'è da considerare, poi, che un semplice frate non rappresenta l'autorità a bordo, e... ecco... -
Al contrario di quello che sicuramente temeva, gli sorrisi di nuovo e gli feci cenno che poteva bastare.
- Non vi preoccupate: la mia era semplice curiosità. -
Lui si ricompose, e si schiarì la voce. - Miss Sparrow? Se posso dire la mia... credo che in questo caso abbia il valore che voi decidete di dargli. Ecco cosa penso. -
Questa sì che fu una sorpresa. Il mio sorriso si allargò, e gli feci un cenno riconoscente prima di andarmene e chiudere la porta dietro di me.

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Capitolo 19
*** Che tu sia felice. ***


Capitolo 18
Che tu sia felice.

Quebrada Costillas.
Neanche ad un giorno di navigazione da Tortuga, e altrettanto vivace e rifornita di osterie e bordelli: un minuscolo porto, ma era esattamente ciò di cui avevamo bisogno.
Non appena approdammo, la divisione del bottino portò via ciò che restava della serata: a notte fonda, l'intera ciurma si disperse per tutte le vie della città, con le tasche piene come non mai. Molti si sarebbero fatti pelare dalle prostitute o dagli osti, non importava. Molti non sarebbero tornati: avevamo guadagnato abbastanza bottino da autorizzare ogni membro della ciurma a prendere congedo, quindi sarebbe stata l'alba a rivelarci chi avrebbe scelto di restare.
Saputo che Barbossa era ancora a bordo della Sputafuoco con Elizabeth e Will, Jack aveva insistito perché le navi ormeggiassero in punti diversi: precauzione quasi inutile, dato che il porto di Quebrada Costillas era ridicolmente piccolo, ma non ci fu verso di fargli cambiare idea.
Così, nel cuore della notte, ci ritrovammo io e lui da soli in una tavernetta piccola e affollata, praticamente gomito a gomito con una folla di avventori beatamente ubriachi e ridanciani. Avevamo deciso che anche noi avevamo diritto ad una notte di festa, come il resto della nostra ciurma.
Con la scusa che i posti scarseggiavano, mi ero seduta sulle ginocchia di Jack e non avevo nessuna intenzione di scendere. Con un braccio gli cingevo le spalle e con la mano libera tenevo il mio boccale: la locanda era rumorosa, c'era caldo e il rum era fin troppo forte ma, per una volta, tutto quello non mi dispiaceva affatto.
Jack si protese a darmi un bacio sulla guancia, facendomi il solletico con la barba. La sua presenza mi era mancata più di quanto ritenessi dignitoso ammettere.
- Non hai ancora parlato con Valerie, vero?- mi disse all'orecchio, ad un un certo punto. Quello mi mise un po' a disagio, ma cercai di non darlo a vedere.
- No. - ammisi. - Lo sai che avrei voluto farlo, è solo... abbiamo dovuto fare un sacco di cose molto in fretta; non ho trovato il momento giusto. -
Jack mi guardò, inarcando un sopracciglio. - Capisco. Però, tesoro, essendo che non hai ancora avuto modo di parlarle, io stavo suggerendo di non parlarle affatto. -
- Stai dicendo che dovrei... ignorare la cosa? Lasciar correre?-
- Esattamente. -
- Ma... - appoggiai il boccale sul tavolo, fissando il vuoto davanti a me. - Lei ha disobbedito ad un mio preciso ordine. Ha lasciato scappare Donovan quando sapeva benissimo quanto fosse importante prenderlo prigioniero. Poteva mandare a monte tutto il piano: dovrei ignorare tutto questo?-
Jack fece un profondo sospiro, alzando gli occhi al cielo, poi mi avvolse la vita con le braccia per farmi girare verso di lui.
- Valerie è una giovincella che si è presa una sbandata. - mi disse, sottolineando le sue parole con un sorriso malizioso. - Se vuoi il mio parere, lei lo sa benissimo che cosa ha fatto e perché, comprendi? Però ha anche fatto il suo dovere nel nostro scontro con lo Squalo Bianco, e non si è ulteriormente dimostrata indegna di fiducia. -
Non ero ancora convinta, e di certo me lo si leggeva in faccia. Il capitano rise e mi diede un altro bacio. - Lo sa, quello che pensi. - continuò, senza smettere di sorridermi con l'aria di chi la sa lunga. - Me lo hai raccontato tu stessa come vi siete guardate in quel momento, no? Lo sa benissimo. Ma siamo sani e salvi, alla fine, o no? Per me possiamo graziarla e dimenticare l'accaduto. -
- Come siamo misericordiosi, capitano. - commentai, in un tono di rimprovero che era scherzoso solo per metà. - Sicuro di non stare sottovalutando la cosa?-
- No: sto sopravvalutando la mia ciurma. - rispose. - Non facciamoci illusioni, cara: potremmo ritrovarci con meno di metà ciurma, domattina, e dobbiamo tenerci stretti tutti quelli che resteranno. Ah, a proposito, Jonathan se ne va. Non te l'hanno detto? Forse lui per primo non era tanto contento della piega presa dalla sua dolce compagna. -
A quello non avevo pensato, e in effetti era vero. Però il tarlo rodeva ancora. Alla fine, che cosa avevo tanta urgenza di dire a Valerie? Non facevo che ripetermi che dovevo parlarle, ma ogni volta che ci pensavo poi mi mancava il coraggio di farlo, anche perché non sapevo cosa dirle. Che mi aveva disobbedito, che aveva fatto il gioco di Donovan e non il mio... e poi? L'avrei cacciata dalla ciurma? No, io volevo che restasse. E allora? Da quel momento non ci eravamo più rivolte la parola, se non quando avevo chiesto a lei e a Faith di accompagnarmi da Daphne: eppure, anche allora non avevo avuto il fegato di affrontarla a quattrocchi, comportandomi esattamente come se nulla fosse successo.
Però, lei aveva fatto il suo dovere senza esitare, in battaglia. Non mi aveva tradita una seconda volta: forse era questo quello che contava.
Imbronciata e con i sensi di colpa, mi appoggiai a Jack e lo abbracciai, e lo sentii ridacchiare ancora.
- Niente muso!- mi prese in giro, appoggiandomi un dito sulle labbra. - Non è proprio serata per i musi lunghi. Siamo ricchi, comprendi? E la ciurma dimezzata non sarà un problema, vedrai: viaggeremo più leggeri e più veloci verso mari che non avevi neanche sognato di vedere!-
Sorrisi a mia volta. - Davvero? E dove saremmo diretti?-
- Ma ad est, naturalmente! La prima volta che abbiamo attraversato l'Atlantico non lo abbiamo fatto come si deve. Che cos'è una traversata, se ci si limita a toccare le coste dell'Africa e poi correre indietro? Stavolta dai un bacio d'addio ai Caraibi, tesoro, perché ce ne andiamo via per un pezzo. Prima in Portogallo, direi. Poi risaliamo dritti dritti e ti porto a Londra. -
Lo guardai per cercare di capire se stesse scherzando, ma aveva il sorriso spiritato di quando si metteva in testa un'idea. Gli brillavano gli occhi.
- Stai dicendo sul serio?- mormorai: il pensiero mi riempiva di ansia e mi eccitava al tempo stesso. L'Inghilterra! Londra! Posti di cui sentivo parlare da tutta la vita, ma che non avevo mai visto con i miei occhi.
- Te lo assicuro, gioia. Ah, e Parigi. Sarei un vero villano se non ti portassi a Parigi. -
- Se neanche lo parli, il francese... -
- E che c'è da parlare? Vin, femmes, chambres libres... Semplice ed elegante, per le prime necessità!-
- Bello... dato che, con quel vocabolario, si prospetta una visita per bordelli, io posso stare a casa?-
- Scema. - Jack rise e mi abbracciò stretta, strofinando il viso contro il mio collo. - Su, dammi un po' di soddisfazione. Altre farebbero i salti di gioia se proponessi di portarle a Parigi. -
- Io sto facendo i salti di gioia, Jack... lo do solo meno a vedere. - proprio mentre ero a metà frase, però, lui iniziò a giocare sporco baciandomi la gola, e non potei neanche togliermi lo sfizio di rendergli le cose più difficili, perché mi teneva avvinghiata. Mmm. Be', tanto meglio. Mi rilassai contro di lui, affondando le mani nei suoi capelli. - E poi dove andiamo, Jack?- mormorai, chiudendo gli occhi.
- Dove vuoi. - sussurrò lui, con le labbra contro il mio collo. - Forse per la prima volta, non ci sono davvero limiti a quello che possiamo fare. Andiamo a vedere i posti più belli del mondo. Andiamo a vedere come vive quella gente. Andiamo a bere, parlare, brindare e ballare con loro. Di giorno ce la spasseremo da gran signori, e di notte faremo festa nelle taverne del porto. -
- La cosa mi interessa molto. - sorrisi, mentre lo tenevo abbracciato. - Però, come mai questa fretta di lasciare i Caraibi? Dobbiamo temere qualcosa? A parte tutti i vecchi membri della gilda, e tutti quelli che cercherebbero di mettere le mani sul tesoro... -
A quelle parole, Jack si fece improvvisamente più serio e si scostò un po' da me, fissando il vuoto con aria corrucciata.
- Non lo so, in verità. - ammise, mentre mi prendeva una mano e intrecciava le dita con le mie. - So che la gilda non ritornerà, e non temo una ricomparsa di Silehard: lo abbiamo sbeffeggiato abbastanza da far sì che a Tortuga nessun uomo vorrebbe prendere di nuovo le sue parti. Però mi preoccupa che si sia potuto arrivare a questo. Forse Silehard era solo l'inizio di qualcosa di più grosso... non lo so. Sento un sacco di venti cambiare, e non so se ho voglia di stare a vedere da che parte soffieranno. -
- Perciò vuoi che partiamo. -
- Sì. - mi sorrise, facendo brillare i denti d'oro. - Allora, che cosa ne dici? L'Europa si merita la nostra magnifica presenza?-
- Direi proprio di sì. - annuii, soddisfatta. - Ah, ti ricordo che c'è ancora quell'inquietante libro di stregoneria aperto sul tavolo della cabina. Non avrai mica intenzione di tenertelo?-
- E perché no?-
- Non hai più bisogno di pasticciare con le pozioni e i riti voodoo! La strega è morta. - gli carezzai la barba, soprappensiero. - Dormirai bene, questa notte?-
- Dipende da quanto mi stanco prima. - rispose, scoccandomi un sorriso inequivocabile.
Ridacchiai, per poi abbracciarlo di nuovo e tenerlo stretto.
- Mi sei mancato. - mormorai, con un'improvvisa e inaspettata punta di malinconia. - Mi sei mancato veramente tanto. -
- Guarda che non ero andato da nessuna parte. - bisbigliò lui, mentre mi stringeva a sua volta. - E tu te la sei cavata perfettamente... Se vi avessi tradito davvero, ce l'avresti fatta. Avresti salvato la ciurma e gli altri. Sono contento che tu sappia cavartela anche senza di me. -
L'indesiderata punta di malinconia si fece sentire un po' più forte.
- Ho capito che cosa volevi dirmi; però non dire così, ti spiace?-
- È la verità, tesoro. - insistette lui, perfettamente tranquillo. - Mi fido di più di te, ora che so che puoi anche metterti contro di me. -
- Basta. - lo zittii, in tono improvvisamente duro, divincolandomi dalla sua stretta. - Non è stato facile per me, d'accordo? Sto ancora male se ci ripenso. Ho avuto paura di te come non mi era mai capitato prima, e ho vissuto nell'ansia per giorni. Non voglio che debba mai, mai, mai più capitare, hai capito? E forse sì, ho fatto quello che c'era da fare, ma crederci è stato orrendo. Non voglio mai più avere così tanta paura. -
Jack sembrò sorpreso, e addolcì il tono. - Scusami. Non volevo sminuire la cosa... e, tra l'altro, non è che io mi sia divertito, comprendi? Volevo dirti che sono fiero di te. -
- Grazie. - replicai, forse in tono un pochino troppo freddo. Lui però non se la prese, anzi, si fece una risatina per alleviare la tensione.
- Allora, dove preferisci che cominciamo a smerciarlo, il contenuto delle cantine di lord Silehard?- mi domandò in tomo amabile.
- Oh, dovunque ci paghino... aspetta, hai detto “delle cantine”?-
- Non ci siamo portati via solo l'oro, no? Tutti i suoi preziosi liquori dovevano pur trovare qualche onesto acquirente. -
- I preziosi liquori?- ripetei, allibita. - Abbiamo le stive piene di bottiglie di Kaav?-
- Precisamente. - ora Jack stava chiaramente facendo tutto il possibile per non scoppiarmi a ridere in faccia.
- Non ce la voglio quella robaccia a bordo!-
- Scherzi? Sai in quanti porti ci pagherebbero bene tutte quelle belle bottiglie e il loro contenuto? Non hai il senso degli affari, dolcezza. -
- Sì, lo conosco il tuo “senso degli affari”... Se ti vedo stappare anche una sola di quelle bottiglie... -
Jack si mise a ridere sul serio, senza riuscire a trattenersi. - Smettila di rimproverarmi, suorina di clausura. E stai tranquilla, non intaccherò il carico. -
- A chi hai dato della suorina di clausura, cretino?-
- A voi, madre badessa. -
- Sta un po' zitto. - gli passai un braccio attorno al collo e lo baciai, chiudendogli la bocca per un po'. Avrei potuto dirgli che ero ancora preoccupata per Valerie. Avrei potuto dirgli che non mi andava giù il fatto che avessimo lasciato scappare Silehard vivo, e temevo che potesse rispuntare fuori quando meno ce lo saremmo aspettato. Avrei potuto dirgli che secondo me eravamo stati fin troppo gentili perfino con Connor, sebbene farlo saltare fuoribordo era stata una gran soddisfazione. Avrei potuto dirgli che sapevo che non era contento di avere Barbossa tra i piedi, ma che lui era stato innegabilmente d'aiuto, e che ancora non sapevo come ce la saremmo cavata senza di lui. E invece gli dissi: - Lo sai che il nostro matrimonio, ufficialmente, non è valido?-
Jack inarcò un sopracciglio. - È un problema?-
- No. Trovo anzi che renda il tutto decisamente divertente. - sogghignai, con le labbra contro le sue. - Allora? Portogallo, Londra e Parigi?-
- Per cominciare. - confermò Jack, con un sorriso trionfante.

*

Quella sera, capitan Barbossa non era sceso a terra a festeggiare come tutti gli altri. La sua fida scimmia era andata a scorrazzare libera in giro per la nave, come le piaceva fare a quell'ora. Il tesoro era stato diviso equamente tra la ciurma delle due navi gemelle; per quella sera, ogni uomo dell'equipaggio aveva tutto ciò che poteva desiderare: un mucchio di denaro e tutta la notte per spenderlo.
Anche lui, in quel momento, si sentiva molto vicino ad avere ciò che poteva desiderare. Era su una nave, in una cabina tutta per lui, seduto alla scrivania con la sola luce baluginante di una candela a mostrargli la mappa ingiallita che lui continuava a lisciare con le dita per distendere le pieghe. Quella curiosa mappa di forma circolare, le carte dei confini del mondo, come le chiamavano, era ormai quasi irriconoscibile. Le listelle di legno scricchiolavano, e quando faceva ruotare le varie sezioni della mappa doveva farlo con infinita cautela, perché non si spezzassero sotto le sue dita.
Quando Jack si era ripreso la Perla, dopo il loro fallimentare ritrovamento della tanto decantata fonte della giovinezza, le carte erano rimaste a lui.
Frustrato, senza nave e senza ciurma, non se ne era certo rimasto con le mani in mano: aveva studiato ogni centimetro di quelle carte alla ricerca dei molti altri segreti che celava. Ne aveva anche svelato qualcuno. Si era imbarcato ed era andato a caccia di misteri come ai vecchi tempi, sebbene non sempre in veste di capitano. Aveva viaggiato con una ciurma di pirati scadente, ma con una nave accettabile: dopo pochi mesi era stato facile convincere la ciurma ad ammutinarsi e passare sotto il suo comando. Un piccolo divertimento, più che un vero atto di forza. Gli aveva permesso di godere dell'ebbrezza di comandare di nuovo una nave per un po' di tempo e, quando le sue peregrinazioni lo avevano soddisfatto, era tornato nei Caraibi, aveva congedato la ciurma e venduto la nave, che non era niente più che un guscio di noce buono solo per condurlo da un posto all'altro.
Sì, dopotutto erano stati anni piacevoli. Poteva addirittura definirli stimolanti.
Rimettere piede sul ponte della sua sempre amata Perla era stata un'emozione, una che non aveva creduto di potere riprovare. Tuttavia, sperare di tornare ad esserne il capitano era un altro discorso: non poteva contare sull'ennesimo ammutinamento, e si era guardato attorno abbastanza attentamente da capire che quella ciurma non lo avrebbe seguito.
Il giovane Turner aveva una minima idea del tesoro che aveva messo nelle sue mani, offrendogli il posto di primo ufficiale? Su quel punto, i suoi pensieri erano contrastanti. Da una parte si ripeteva che, no, il ragazzo non poteva sapere cosa significava per lui essere di nuovo in mare, avere di nuovo un posto, e non un posto qualsiasi. Dall'altra parte aveva la fastidiosa sensazione che il giovane William lo avesse capito più di quanto non gli piacesse ammettere.
Diventava vecchio. Questa era un'altra verità. Il posto di primo ufficiale era quanto di più gradito, per ora, gli potesse offrire il destino. Ed era più che deciso a tenersi stretto quel posto, e a sistemarcisi comodamente, prendendosi tutto ciò che gli spettava.
Sentì dei passi che si avvicinavano dal corridoio di sottocoperta: strano, sapeva che a bordo non era rimasto quasi nessuno. Poi i passi si fermarono proprio vicino alla sua cabina, e qualcuno bussò energicamente alla sua porta.
- Chi è?- sbottò, vagamente infastidito per l'interruzione.
- Ettore Westley, signore. -
Barbossa esitò un momento, con le sopracciglia aggrottate, prima di replicare: - E chi diavolo dovresti essere?-
Una pausa anche dall'altro lato della porta, poi un'altra risposta in tono secco. - Sono un membro della ciurma di Sparrow. Sono venuto perché voglio parlarvi. -
- Ebbene, entra. -
Lui entrò. Barbossa spostò appena la seggiola per girarsi e guardarlo mentre si avvicinava: l'uomo era alto e robusto, non abbastanza per poter essere definito massiccio, ma quanto bastava per indurre alla prudenza. Era in abiti semplici, da marinaio. Aveva una selva di capelli castani e ricciuti, legati con un laccio, e la barba mal rasata. I suoi occhi e il suo viso erano cupi, quasi turbati. Barbossa lo squadrò attentamente, badando di osservare ogni dettaglio. Portava un unico anello, grosso e vistoso, all'anulare della mano sinistra. Non aveva la spada, ma teneva una pistola infilata tra la cintura e la fusciacca. Si era armato apposta per venire a parlare con lui, o era semplicemente abituato a portarsela addosso?
Troppo silenzio in quella cabina. E troppo turbamento nell'espressione di quel giovane uomo.
- Allora, mi sbaglio o avevi detto di volermi parlare?-
- Volevo, infatti. - il pirata continuava ad abbassare gli occhi: a dispetto della sua imponenza, non era affatto tranquillo né determinato. - Voi siete il capitano Hector Barbossa. -
- Lo sono, e ancora non capisco che cosa tu sia venuto a fare qui. -
- Di certo dovete ricordare vostra figlia, Beatrix Barbossa. Lei vi adorava, non ha fatto che vivere per eguagliarvi... -
- Sì che la ricordo, la mia selvaggia figlia bastarda. Un cannone caricato con troppa polvere, se vuoi il mio parare. - Barbossa distolse lo sguardo. - So che è morta. Non mi stupisce. -
Un altro lungo silenzio: gli occhi di entrambi erano sul pavimento. Il respiro di Ettore cambiò leggermente di tono.
- L'avete mai amata?- domandò con voce più bassa, carica di trepidazione. - Anche solo per un momento, l'avete mai amata per ciò che lei era? Vostra figlia?-
Il capitano rialzò lo sguardo. - Perché dovrei dirlo a te?- replicò, ma lo disse in modo strano: più che acido, il suo tono suonava ironico.
- Perché facevo parte della sua ciurma, e l'ho servita fino a quando lei non è diventata troppo pazza e crudele. Ero il suo secondo e il suo braccio destro, un tempo... e forse l'unico vero amico che lei avesse avuto in moltissimo tempo. -
- E dimmi, sei rimasto ad assistere in silenzio mentre la uccidevano, o stavi convenientemente guardando da un'altra parte?-
Quella fu una vera e propria lama nel cuore di Ettore; di colpo dovette voltarsi e distogliere gli occhi dal capitano, da quella cabina, dalla luce della candela che gettava ombre lunghe e sinistre sui lineamenti di quell'uomo sconosciuto... Non sarebbe dovuto venire. Non poteva aspettarsi che quell'uomo capisse.
- So che eri il suo secondo: mi ricordo di te. - aggiunse Barbossa, lapidario. - Ti ho visto con lei. Più di una volta. -
- E ancora mi chiedete perché sono venuto a cercarvi?- per un attimo, Ettore fu quasi divertito da quella sensazione di incertezza. Chissà se lo sapeva. Chissà se le sue parole erano state volutamente così insinuanti. Gli occhi azzurri del capitano lo fissarono con un'intensità quasi dolorosa, quindi lui incrociò lentamente le braccia e lo squadrò. Chissà come faceva a dargli la sensazione di starlo squadrando dall'alto in basso, pur stando seduto.
- Guarda che lo so. So chi sei. Beatrix può averlo scoperto in ritardo, ma io sapevo benissimo di avere avuto due figli. -
Quello fu il momento in cui Ettore dovette imporsi di non tremare, non crollare, non mostrare niente del dolore sordo che sentiva da qualche parte dentro al petto. Era consapevole del tremito del proprio viso, della pena nei propri occhi, ma sapeva anche come sarebbe finita quella conversazione.
- E allora, perché non hai mai detto niente? Ti sei rivelato a Beatrix, quando lei ti ha cercato. -
Un lampo di collera illuminò lo sguardo del vecchio capitano. - Per lei, il nome di suo padre importava più di ogni altra cosa. A te è mai importato qualcosa?-
- Mi importa adesso. -
- Perché?- alzò le spalle: era una domanda sincera. - Se tutto quello che cercavi era una conferma, te la posso fornire ora senza esitazione. Sono tuo padre. Tu sei mio figlio. Così stanno le cose. Ma, in tutta sincerità, non vedo come o perché questo fatto dovrebbe essere significativo, o cambiare qualcosa tra di noi. -
Ettore non mosse un muscolo, mentre lo fissava. - Ah. - un sospiro, e l'ombra di un sorriso triste. - Ecco, padre. Era esattamente questo che ero venuto a chiederti. Per essere sincero, non ho mai provato nessun interesse particolare per te... Però so che sei mio padre, e non posso semplicemente ignorare la cosa. -
- Non puoi o non vuoi? Ti sei convinto di dovermi qualcosa, o di poter pretendere qualcosa da me?-
- Niente di tutto questo. - lo strano sorriso a metà tra la derisione e la tristezza non lasciava le labbra di Ettore. - Però, lascia che ti dica che io ho conosciuto Beatrix, l'ho conosciuta davvero, e le ho voluto bene finché lei me lo ha permesso. Ancora adesso sono convinto che sarebbe stata una persona molto migliore, se solo non fosse stata ossessionata dal pensiero di essere come te. -
Il capitano non replicò, e nemmeno abbassò lo sguardo. I due rimasero ancora in silenzio per istanti insopportabili, poi Barbossa riprese la parola: - Hai finito, o senti l'urgenza di dire altro?-
- No, credo di avere finito. Solo una cosa. - con uno scatto febbrile, il giovane pirata si portò una mano al petto e prese qualcosa che portava attorno al collo, sfilandoselo in un unico gesto. Si avvicinò di tre passi fino a raggiungere lo scrittoio, e lì depositò con malagrazia l'oggetto. - Questo lo ha ritrovato Jack nella sua cabina, e lo ha dato a me. Puoi riaverlo, se lo vuoi. -
Barbossa mosse soltanto gli occhi mentre posava lo sguardo sul medaglione laccato d'oro: lo sportellino ovale era aperto, e la luce della candela illuminava il ritratto di una bella donna bruna, le labbra dischiuse nel sorriso, gli occhi splendenti. Barbossa la guardò. Guardò il ritratto, e ogni singola lettera incisa nell'oro: “Gabrielle”. Poi i suoi occhi tornarono su Ettore.
- Non lo voglio. - disse, semplicemente. - Tienilo tu, lo vedo che ci tieni. Sarebbe sciocco darlo a me. Riprendilo, o lo vendo insieme al resto del tesoro. -
Ettore rimase a guardarlo per un attimo, poi si riprese il medaglione, lo chiuse e se lo mise al collo. - Benissimo. -
Nessuno dei due aggiunse altro. Non avevano nulla da dirsi.

*

Mi svegliai di soprassalto: uno di quei risvegli lampo che ti fanno dubitare di essere stato addormentato solo fino ad un secondo prima.
Strizzai le palpebre: che cosa mi aveva svegliata? Nel buio cercai di muovermi, ma mi trovai bloccata. Jack russò: sentì il suo petto gonfiarsi nel respiro contro il mio. Si era di nuovo addormentato sopra di me.
Per un attimo ebbi una strana sensazione, come di una scena già vissuta, e sentii un groppo d'ansia salirmi in gola. Poi capii: mi ero svegliata esattamente nello stesso modo una delle prime notti in cui Jack aveva iniziato a fare gli incubi.
Lo guardai: c'era ancora buio, ma dalle spesse vetrate filtrava abbastanza luce da immergere la stanza nella penombra. Doveva essere mattino presto. Jack stava dormendo profondamente, con la guancia contro il mio sterno, e sembrava finalmente e completamente tranquillo. Quasi inconsciamente feci un piccolo sospiro di sollievo mentre gli carezzavo piano il viso. Era bello essere di nuovo lì con lui. Anche se mi stava stritolando un'altra volta.
C'era movimento sul ponte, me ne accorsi solo allora: non trambusto, semplicemente dei passi. Ma se era presto come immaginavo, chi era che trafficava là fuori a quell'ora del mattino? Non pensavo che gli uomini si sarebbero ripresi dalla sbronza prima del mezzogiorno.
Per un attimo ebbi il segreto timore che fosse Barbossa, e che lui potesse essere là fuori a preparare qualche brutto tiro per noi proprio adesso che avevamo abbassato la guardia. Quel pensiero mi raggelò: e se i nostri guai fossero appena cominciati? L'anziano capitano si era rivelato un alleato eccellente, ma forse Jack non era stato così esagerato a volerlo tenere lontano.
Ora il dubbio si era insediato, e non se ne sarebbe andato facilmente: facendo il più piano possibile, scivolai di lato, sgusciando sotto il braccio di Jack, e stavolta riuscii a liberarmi senza svegliarlo. Avevo addosso soltanto la camicia: cercai frettolosamente il resto dei vestiti, e uscii che ancora mi stavo allacciando la cintura.
Sul ponte non c'era nessuno. Oltre l'orizzonte, il sole era basso sull'acqua: avevo ragione, probabilmente non erano trascorse nemmeno due ore dall'alba. E, a dirla tutta, cominciavo a risentire dell'alzataccia: mi girava la testa e avrei dato qualsiasi cosa per tornare a letto, ma sapevo anche che non sarei più riuscita a riaddormentarmi se prima non avessi scoperto cosa mi aveva svegliata.
C'era qualcuno sul pontile, però. Qualcuno che stava scendendo dalla nave con una sacca sulle spalle, e capii subito di chi si trattava.
- Valerie. - la salutai, quando l'ebbi raggiunta. Mi dava ancora le spalle. - È una partenza o una fuga, la tua?-
Lei si voltò, scrollando i lunghi capelli neri, e non sembrò affatto sorpresa di vedermi: portava di traverso sulle spalle la sua sacca da marinaio, piena di tutto ciò che possedeva; aveva chiaramente radunato le sue cose, pronta ad andarsene.
- Però, adesso hai deciso di parlare? Credevo che non ci saremmo mai arrivate. -
La sua insolenza improvvisa mi sorprese: magari avrei dovuto esserne irritata, invece mi ferì. Che cosa avevo detto?
- Qual è il problema, si può sapere?-
- So che sai perfettamente che ho parlato con Connor. L'ho avvertito e gli ho detto di andarsene, quella notte. Tu l'hai capito, e comunque non hai fatto niente. - per un attimo mi fissò in modo strano: non capivo, non riuscivo a decidere se la sua espressione era altezzosa o rassegnata. - Credevo che prima o poi lo avresti fatto notare, mi avresti punita, cacciata dalla ciurma o come ti pare. E invece niente. Perché?-
- Perché?- quasi sputai la parola, allibita. - Se proprio vuoi saperlo, ti ho perdonato il piccolo dettaglio di avere spifferato tutto a Connor, quando io avrei voluto catturarlo! Ecco perché non ne ho parlato!-
L'espressione di Valerie divenne dura.
- Tu... sei... - scandì le sillabe, come se faticasse a trovare le parole giuste: mi fissava scuotendo il capo, con un'espressione sconcertante, in bilico tra lo stupore e qualcosa di simile alla compassione. Fu vederla fare quell'espressione, che mi fece più male. - A volte sei davvero insopportabilmente buona, Laura. Sei incredibile. Scateni delle vere e proprie guerre per questioni di poco conto, mentre ad altre persone perdoneresti qualsiasi cosa. Non ti capisco. -
- Volevi che ti punissi? Volevi finire ai ferri per tradimento? È questo che volevi?-
- Senti, forse a te questo è sembrato un bel gesto, anzi, sono sicura che tu sia in buona fede. Ma a me non serve la tua pietà né quella di nessun altro. Adesso è questo, quel che pensate tutti quanti? La povera Valerie, traviata da scelte sbagliate, dobbiamo perdonarla e avere compassione di lei? No, grazie: se l'atmosfera è questa, non voglio più restare in questa ciurma. -
- Non hai capito nulla. - mormorai, scuotendo il capo. - Non è vero, non pensiamo questo di te. - ma, mentre lo dicevo, ricordavo le esatte parole di Jack la notte prima. - Almeno, io non lo penso. È solo che in tutta questa faccenda tu sei quella che ha cominciato a comportarsi in modo strano; prima hai allontanato Jonathan e poi ti sei messa a fare comunella proprio con quello che si è rivelato il doppiogiochista peggiore di tutti. Sì, ci hai confusi tutti, Valerie, me per prima. Ma non vuol dire che devi bandirti dalla ciurma per una sciocchezza del genere. Perfino Connor se l'è cavata con un tuffo dal parapetto. -
- E io, invece, me la cavo coi vostri sorrisi di indulgenza?- non c'era rabbia nella voce di Valerie, né nei suoi occhi: al contrario, mi fissava con tanta franchezza da lasciarmi senza parole. - Ripeto: no, grazie. Non dirmi bugie, per favore: tu e Faith avete cominciato a guardarmi storto da quando ho iniziato a lasciare perdere Jonathan. E questo non dovrebbe interessarvi. -
- Non mi interessa!- protestai. La situazione era a dir poco assurda. Ma era possibile che dovessi sopravvivere agli intrighi più letali, ai malefici di una strega e alle spade dei pirati solo per ritrovarmi a discutere di questioni amorose? - Va bene, lo ammetto: ho cominciato a giudicarti male da quel momento. Ma solo perché un po' mi dispiace anche per Jonathan. Lo so che è solo un ragazzo della ciurma, ma permettimi di dispiacermi per lui dato che lo conosco di persona. Dimmi solo perché te ne devi andare per via di una questione così ridicola. Non posso credere che tu ce l'abbia con me per non averti ripresa. Il fatto che abbia voluto perdonarti non vuol dire niente per te?-
Solo allora lei abbassò lo sguardo, anche se soltanto per un istante.
- Certo che vuol dire qualcosa. Laura, mi dispiace per quel che è accaduto, va bene? Ho agito senza pensare. È solo che Connor mi piaceva, e non mi sembrava giusto non dargli nemmeno una possibilità di squagliarsela, tutto qui. È stato sleale e lo so. Mi dispiace per quello che ho fatto. -
- E allora, perché adesso te ne stai andando?-
Si strinse nelle spalle. - Avete detto voi che ogni uomo della ciurma era libero di fare come preferiva. -
- Certo, ma... - lei era una delle poche donne a bordo della Perla Nera. Eravamo state proprio io e Faith a ingaggiarla quando ancora faceva la cameriera in una locanda di Tortuga. E adesso si preparava ad andarsene, semplicemente, proprio come aveva fatto Anamaria poco tempo prima: era già stato difficile dire addio a lei, mentre se ne andava sulla sua nuova nave, e adesso avrei dovuto lasciare andare anche Valerie?
Ebbi un dubbio. - Te ne vai con Jonathan?-
Per un momento sembrò rabbuiarsi, quasi infastidita. - No. Jonathan non ha più niente a che fare con me... spiacente di deluderti. - aggiunse, ironica, dopo avere scrutato la mia espressione.
- Non ti stavo deridendo. Ho solo saputo che anche lui vuole lasciare la ciurma, ero curiosa di sapere dove volesse andare. -
- Non con me. -
- Se il problema era Jonathan, perché non resti a bordo?-
Lei fece un piccolo sospiro, gettandosi i capelli dietro le spalle: aveva una tale espressione di sufficienza, in quel momento, che cominciai a sentirmi irritata. Era più giovane di me, eppure quando faceva quella faccia riusciva perfettamente nel suo intento di farmi sentire stupida.
- Ti ho già spiegato che il problema non è lui, ma tu non mi ascolti. Semplicemente, ora non c'è più niente che mi leghi a questa ciurma o a questa nave: e, per la prima volta, posso concludere con più denaro di quanto abbia mai avuto. Posso anche stabilirmi qui e fare quello che voglio. Non mi interessa ripartire. -
Non le interessava. La nave, la ciurma, noi, non le interessavamo. Era tutto qui, dunque.
- Be', allora spero che tu sia contenta!- scattai. - Spero proprio che tu sia felice di avere rovinato in un colpo solo tutto quello che avevi. Spero solo che la scopata con Connor valesse il prezzo. -
Al contrario di quanto avrei intimamente sperato, lei non batté ciglio alle mie provocazioni: era abituata a rispondere a ben altro.
- Spero che anche tu sia felice. - replicò, gelida. - Spero che ti goda il tuo posticino di favore col tuo amato capitano, e spero che siate felici con quell'immenso tesoro che vi siete tenuto tutto per voi. -
- La tua parte del bottino ce l'hai in quella sacca. E se solo venissi con noi, ti godresti anche tu tutto quello che potremmo fare con il resto. -
Ero sincera. Volevo che cambiasse idea e che restasse. Stavamo per attraversare l'Atlantico, avremmo visto un sacco di posti meravigliosi... c'era tutto il tempo del mondo per discutere. In fondo non mi importava davvero che avesse rotto con Jonathan -il quale, onestamente, non mi interessava tanto- o che fosse andata a letto con Connor. Quello che avrei voluto veramente era poter avere lei e Faith sulla mia nave, e viaggiare, bere e brindare insieme: noi, le donne pirata della Perla Nera.
Ma a lei questo non interessava più: glielo leggevo negli occhi.
- Non voglio. - mi confermò, annuendo, e faceva quasi male vedere quanto fosse tranquilla. - Non voglio più seguire te e Jack. Voglio semplicemente fermarmi qui. -
Mentre la guardavo, ebbi un dubbio. Un dubbio che cominciò a prendere forma molto rapidamente, e più prendeva forma, meno assurdo mi sembrava. La guardai negli occhi. Chiediglielo. Chiediglielo. Chiediglielo. Non ci sarà un'altra occasione, forse non la rivedrai. Chiediglielo.
Non glielo chiesi.
- Ebbene, non posso chiederti di fare qualcosa che non vuoi. Però non posso dire che non mi dispiace o che non mi mancherai. Valerie... - tentennai. - Siamo mai state amiche? Anche solo per un po' di tempo?-
Sembrò sorpresa.
- Certo. - replicò, in tono quasi stupito: c'era una sorta d'innocenza nel modo in cui lo disse.
- Meno male, perché nonostante tutto non riesco a pensare a te in nessun altro modo. Per me siamo ancora amiche. E mi dispiace. - dovetti inumidirmi le labbra, e faticavo a trovare le parole. - Senti... io spero davvero che tu sia felice. Spero che non debba mai pentirti, se adesso decidi di lasciarci. -
L'ombra di un sorriso sul suo volto. - Anch'io spero che tu sia felice... e spero che ve la caviate. Sempre e comunque. -
Ripensandoci, avrei voluto averla abbracciata, o averle almeno toccato la spalla per colmare quella distanza tra di noi, ma lei non me lo permise: dopo avermi salutata con quell'ultimo, piccolo sorriso, si girò con la sacca sulle spalle e si incamminò lungo il molo, verso la terraferma. Dopo qualche momento anch'io risalii a bordo, ma tornai a voltarmi indietro molte volte, fino a che non vidi la giovane ragazza sparire, inghiottita dalla nebbiolina delle strade del porto.



Note dell'autrice:
Il dialogo tra Jack e Laura prende liberamente ispirazione da una chiacchierata particolarmente divertente con la compare Captain Alwilda: grazie per ispirarmi certi scambi di battute, matey! Come vedi, i nostri faranno veramente rotta per l'Europa. Il resto è storia (nonché il prossimo capitolo)!
Poi: al confronto tra Ettore e Barbossa ci tenevo in modo particolare. Ora posso rivelarlo: quando l'ho creato, non avevo immaginato Ettore come il figlio di Barbossa. È nato come la spalla di Beatrix, un seguace devoto, tradito e deluso dalla sua capitana, ma non avevo ancora scavato abbastanza dentro di lui. Poi, di colpo, mi sono accorta che tutto filava. Che lui e Beatrix erano sempre stati fratelli gemelli, e non poteva essere altrimenti. Certe rivelazioni mi disorientano ancora. 0.o
Tra parentesi, la separazione di Laura e Valerie era già stata programmata e pensata: questa, così come il titolo del capitolo, prendono ispirazione da questa fanart che disegnai tempo fa, e da questa canzone.
Grazie ad Aishia per i complimenti: per risponderti posso dirti che, sì, è previsto un quinto e anche un sesto episodio... e poi vedremo!
Grazie a Fannysparrow, che avviso: ancora un capitolo e anche questo episodio sarà concluso!
E a Sara naturalmente. Sempre!
Wind in your sails.

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Capitolo 20
*** Oltre il limite, e ancora più in là ***


Capitolo 19
Oltre il limite, e ancora più in là.


Valerie camminava a passo svelto, con la sacca che le rimbalzava contro la schiena al ritmo dei suoi passi. I vestiti appallottolati attutivano il tintinnio delle monete chiuse nelle loro borse: con la paga che le era stata data, aveva abbastanza denaro per fare qualunque cosa avesse desiderato. Solo che al momento non si sentiva molto sicura di ciò che desiderava.
Aveva lasciato la Perla Nera, e quella era già una liberazione, anche se dolorosa. Andarsene era triste, e in fondo al cuore era sicura che la ciurma le sarebbe mancata... ma non aveva intenzione di ragionarci sopra e di rendere patetica tutta quella situazione. Si era semplicemente sganciata: era libera, e ora andava per conto suo. Solo, non sapeva ancora dove.
La nebbiolina del mattino invadeva i viottoli stretti del porto, rendendoli ancora più umidi. Valerie si trovò a rabbrividire, stringendosi addosso la giacca: innanzitutto, avrebbe trovato una locanda.
Qualcuno si mosse nella nebbia a poca distanza da lei, facendole fare un balzo per la sorpresa.
- Ebbene? La figlioletta disobbediente scappa di casa e non torna mai più? Che sorpresa. Devo dire che questo proprio non me lo aspettavo. -
Valerie girò su sé stessa e rimase a bocca aperta, incapace di credere a ciò che vedeva. Nell'ombra del vicolo davanti a lei, con la schiena appoggiata al muro umido e scrostato, c'era un uomo robusto avvolto in una lunga giacca, col tricorno calato sugli occhi. Le sorrideva, coi denti che scintillavano leggermente tra la barba rossiccia.
- ...Connor!- dovette fare alcuni tentativi prima che le uscisse abbastanza fiato per pronunciare quel nome.
- Valerie. - la salutò in risposta lui, dandosi un colpetto con le dita alla punta del tricorno.
Era lì, in carne e ossa. E, apparentemente, in perfetta salute: quindi era uscito tutto intero dallo scontro con lo Squalo Bianco. Ma come poteva essere lì?
- Cosa ci fai qui?- sibilò la giovane, scrutandolo con sospetto. - Come hai fatto? Ti avevamo lasciato in mare, con tutti gli altri!-
L'irlandese annuì, con aria meditabonda. - Sì, me lo ricordo. Tuttavia, non per disorientarti ancora di più, temo di doverti informare che sono arrivato qui giusto ieri, qualche ora prima di voi, in effetti. Ti sorprende? Ma non è stato così difficile: sono riuscito a salire su una delle scialuppe con quelli che sono scappati quando la battaglia si è messa al peggio. Sono stato io a convincerli che non era proprio il caso di ritornare a Tortuga... credo che da oggi non tiri una bella aria per chi faceva parte della gilda, non trovi?-
Valerie annuì senza parlare.
- Quebrada Costillas era la scelta più logica: abbiamo solo dovuto remare per ore, e ore, e ore... - fece una faccia addolorata e sibilò tra i denti, come ad enfatizzare il fatto che fosse stata una faticaccia. Credeva forse di impietosirla? - E ora siamo qui. Giusto ieri sera ho visto arrivare la vostra bella nave nel porto. Che coincidenza ritrovarci qui, vero? Ma suppongo che anche voi aveste fretta di attraccare in un porto diverso da Tortuga. -
- Chi sarebbe “noi”?- lo interruppe la ragazza, senza smettere di scrutare lui e allo stesso tempo di osservare i dintorni per accertarsi di essere soli.
Connor piegò la testa di lato, grattandosi la barba. - Noi? Be', non siamo tanti, perché di certo non siamo rimasti insieme, noi sopravvissuti, una volta toccata terra. Due si sono presi a sciabolate per avere la scialuppa, figurati... per me possono tenersela. Comunque, “noi” siamo il sottoscritto, il piccolo galoppino lentigginoso Tobias, che non sapeva dove altro andare, e uno degli ex energumeni di Silehard, non ho capito se si chiama John, o Joshua, o qualcosa del genere. Non mi è piaciuto come mi ha trattato quando sono andato a implorare perdono a Silehard, però confido che le sue maniere forti ci saranno utili adesso. -
Valerie quasi si mise a ridere nel sentirlo parlare così. - Per che cosa ti “saranno utili”? Cosa credi, di essere il nuovo Silehard che farà risorgere la gilda dalle ceneri?-
- Oh, no no!- Connor alzò le mani e scosse il capo come se l'idea non lo avesse neanche sfiorato. - Assolutamente no: niente gilde. Abbiamo visto come finiscono queste cose. Però siamo in tre, siamo in un piccolo porto, e abbiamo una gran voglia di metterci in affari. Lo sai, posti come questi sono una miniera per chi sa dove mettere le mani... -
- Tanti auguri, allora. -
- Aspetta... - Connor la fermò, spostandosi dal muro e mettendosi davanti a lei: Valerie lo squadrò, per niente intimidita. L'uomo le mise una mano sulla spalla, con gentilezza. - Ammetto che vi stavo tenendo d'occhio perché ero curioso di vedere che cosa combinavano gli Sparrow. Non mi aspettavo di rivederti. Perché stai lasciando la nave?-
Di nuovo le stesse domande?
- Non mi interessava più stare a bordo, tutto qui. Perché dovrebbe interessarti?-
- Non sarai stata bandita?-
- No. - il tono di Valerie si fece acido. - Tu non c'entri niente. -
- Tu però mi hai aiutato. Mi hai fatto una soffiata più che mai opportuna: non dico che mi hai salvato il collo perché dubito che la nostra Laura Sparrow mi avrebbe fatto appendere, però di certo mi hai evitato di finire chiuso in una cella sottocoperta. - sorrise. - Mi dispiacerebbe saperti sperduta e senza risorse. -
- Come di certo avrai potuto intuire dalla razzia che abbiamo fatto a Tortuga, non sono senza risorse. -
Il sorriso di Connor si allargò. - Lo so. - disse, in tono flautato. - Proprio per questo ti sto offrendo amichevolmente di unirti alla mia piccola ciurma, invece di limitarmi a strapparti la tua sacca piena di denaro e lasciarti nel vicolo. Diciamo che ti do questa opzione. È abbastanza chiaro?-
Per alcuni attimi, Valerie non seppe se ridere della spietata chiarezza nelle parole dell'irlandese, o se averne veramente paura: aveva detto tutto con la solita espressione gioviale, senza smettere di sorriderle neppure per un istante. Lo stesso sorriso che aveva avuto quando erano scivolati insieme nella sua cuccetta, di nascosto, per qualche rapido momento clandestino. E, sebbene avvertisse la verità nella sua minaccia, quell'uomo non riusciva a farle paura o a metterla veramente in allarme. Aveva la sensazione che non ci sarebbe mai riuscito.
- Sfidami e vieni a prenderti l'oro, allora, se è quello che vuoi. - lo invitò, posando la mano sull'elsa della spada: lui non era nemmeno armato, anche se avrebbe scommesso che aveva un coltello o forse una pistola nascosti sotto la giacca. - Perché disturbarti a chiedermi di venire con te?-
- Perché, mia cara, adesso ho più che mai bisogno di gente, non importa se uomini o donne. Mi serve una ciurma. Solo con quella potremo impadronirci di una nave, non credi?-
Valerie tentennò, considerando la proposta.
- Perché io?-
- Perché sei qui. - Connor ridacchiò tra sé, mentre le sfiorava il mento con le dita. - Nessun trattamento di favore. Se sei nella banda, vali per quello che fai. -
- Bene: non voglio nessun trattamento di favore. -
- Questo non vuol dire che non puoi dormire con me, se ti va. - aggiunse lui, ammiccando.
Valerie considerò anche quella proposta.
Dopo qualche altra breve contrattazione, i due se ne andarono in silenzio, camminando fianco a fianco, per poi scomparire nei vicoli.

*

All'ora della partenza, la nave era in fermento: per tutta la mattina il ponte era stato raschiato con le pietre sante fino a farlo tornare liscio e pulito, e ora una fila interminabile di pirati si susseguiva dal molo alla passerella trasportando barili di acqua e rum, casse e sacchi di cibo, enormi rotoli di stoffa per le vele e di cordame; tutto quello che ci poteva servire per affrontare una lunga traversata.
Come avevamo previsto, la ciurma era stata quasi dimezzata: molti dei nostri uomini però si trattennero sul molo per assistere alla partenza e salutare per l'ultima volta i vecchi compagni di viaggio, perciò l'atmosfera era piuttosto allegra.
Dovetti rimangiarmi quel pensiero, però, quando tra gli uomini che lasciavano in fretta la nave riconobbi Jonathan.
Quando lo vidi ero ancora impegnata a sorvegliare i pirati che si occupavano degli approvvigionamenti: decisi che quelli potevano cavarsela da soli per qualche minuto, e mi mossi verso di lui, chiamandolo.
- Jonathan!-
Non si voltò subito, così dovetti continuare a chiamarlo finché non si accorse di me. Si fermò e si voltò a guardarmi: credo che in quel momento lo osservai come non l'avevo mai osservato, scrutandolo da capo a piedi e cercando di imprimermi nella mente ogni dettaglio della sua strana espressione. Aveva la stessa faccia di Valerie quando, quella mattina, mi aveva compatita dicendo che ero “insopportabilmente buona”. Ma forse era soltanto una mia impressione, perché quella faccia e quelle parole mi erano rimaste dentro.
Guardai il giovane Jonathan Wood. E mi resi conto di non conoscerlo affatto.
Quello che stava un passo davanti a me, nel bel mezzo del pontile affollato di pirati vocianti, era un giovanotto alto, allampanato, dai capelli scuri e ricci, il viso lungo, cupo, le guance ruvide di corta barba mal fatta. Mi resi conto che avrei voluto dire qualcosa a quel ragazzo, forse per confortarlo, ma che non ci riuscivo. Ai miei occhi era quasi un estraneo, solo un altro visto tra quelli dei pirati della ciurma. Chi era lui? Il nostro giovane carpentiere di bordo. Non era mai stato un mio amico: l'unico legame che avessi mai potuto avere con lui era svanito con Valerie. Non ricordavo nemmeno l'ultima volta che gli avevo rivolto la parola. Era così facile lasciare che alcune persone sparissero così, tra le pieghe della nostra vita?
Tuttavia, poiché ero pur sempre un capitano, gli dissi: - Mi dispiace che tu te ne vada. Sei stato di grande aiuto. -
Jonathan sorrise tra sé, come si sorride ad una frase di circostanza, e mi fece un cenno con il capo mentre si spostava di lato, in modo che la nostra conversazione non intralciasse il passaggio degli altri pirati.
- Grazie, capitano: è stato un piacere lavorare per voi. - rispose, concedendosi un barlume di entusiasmo che illuminò appena un po' la sua espressione cupa.
Mi dispiaceva per lui, e allo stesso tempo mi sentivo in colpa perché non mi dispiaceva abbastanza. “Sei davvero insopportabilmente buona, Laura.” Ma era così? Quel ragazzo dopotutto faceva parte della mia ciurma: avrebbe dovuto starmi un po' più a cuore. Invece mi rattristava di più la perdita di Valerie, nonostante le parole acide che ci eravamo rivolte.
- Mi dispiace per Valerie, Jonathan. -
Il suo sorriso tremò e sparì lentamente.
- Non ha più importanza, ormai. - replicò, mogio. - Lei se ne è andata stamattina, non è vero? Me lo hanno detto. E non c'è bisogno che mi guardi così: so cosa si diceva, so che si è scopata l'irlandese, e tutti mormorano anche che quella notte lui sia riuscito a scappare grazie ad una soffiata che gli ha fatto lei. Non so se lo sapevi. -
Non dissi nulla.
- Insomma, non importa. Che vada dove vuole. Solo, io ancora non capisco perché: perché fare il gioco di quel testarossa, perché ha lasciato che la sua presenza provocasse tutti questi danni? Perché rovinare tutto e lasciare la ciurma così, di nascosto?-
“Perché non voleva le critiche né la pietà di nessuno, perché si era stancata di noi, perché si è cacciata in un bel pasticcio con il testarossa e aspetta un figlio da lui...” pensai tutte quelle cose e non ne pronunciai nessuna ad alta voce, limitandomi ad alzare le spalle e battere la mano sul braccio di Jonathan con fare comprensivo.
- Temo che nessuno di noi l'abbia mai capita fino in fondo, Wood. Forse nemmeno tu. Mi dispiace davvero per come è andata, e spero che tu possa avere maggior fortuna. -
Di nuovo il fantasma di un sorriso. - Grazie, capitano. -
E furono le ultime parole che ci rivolgemmo io e il giovane Wood.

*

Il racconto di quelle vicende potrebbe concludersi qui.
Però non mi sembra appropriato chiamarla conclusione: quello fu invece l'inizio di quello che potrei definire il nostro periodo d'oro, un periodo di viaggi, scoperte e meraviglie come non ne avevo mai viste prima di allora, e che durò il tempo di un sogno che sembrava infinito; lunghi mesi di beatitudine.
Andammo in Europa? La Spagna, l'Inghilterra, la Francia, come Jack mi aveva promesso? Ebbene sì: andammo in Europa.
Prima sulle coste del Portogallo, dove la parlata dei mercanti del porto che offrivano le loro merci con urla entusiaste -delle quali non capivo una parola- mi lasciò talmente frastornata che, dovunque andassimo, Jack doveva trascinarmi con sé praticamente di peso mentre lui si barcamenava senza la minima esitazione tra una contrattazione e l'altra: la sua borsa piena d'oro lo rendeva sempre il beniamino di tutti, non importava se per un giro di rum alla taverna, o seduto al tavolo di un mercante per trattare il prezzo di una partita di tabacco.
Costeggiammo tutto il nord della Spagna, ubriacandoci di vino e della calda parlata spagnola fin quando potevamo. Tuttavia, dato che non era molto saggio farci trovare per troppo tempo nello stesso posto, pieni di soldi o no, attraversammo quasi subito lo stretto per dirigerci in Inghilterra.
Se il nostro soggiorno iberico fu una toccata e fuga, quello in Inghilterra fu un balzo in un nuovo mondo. La lingua era di nuovo il nostro familiare inglese, i signorotti e la gente comune assomigliava in tutto e per tutto ai numerosi britannici trapiantati nei Caraibi che avevo conosciuto fin da bambina, ma era come guardare un quadro dentro una cornice del tutto diversa.
Faceva freddo, più freddo di quanto non avesse mai fatto nei Caraibi col loro clima sempre umido e caldo: giorno dopo giorno ancora mi stupivo di vederci veleggiare su un mare grigio, sotto un cielo ancora più grigio. Grigio era anche il porto di Brighton, dove approdammo: sembrava che non esistessero altri colori, in Inghilterra.
Ma dovetti ricredermi quando arrivammo a Londra. Vero, c'era la nebbia, fitta come e più di quella che aleggiava sul porto di Quebrada Costillas la mattina in cui la nostra ciurma si era sciolta, ma al di là di essa c'erano le stra di Londra, i vicoli di Londra, la gente di Londra.
Non avevo mai visto una città tanto grande: io e Jack passavamo tutto il giorno a correre da un capo della città all'altro, affittando carrozze che sfrecciavano sulle strade rimbalzando forsennatamente sui ciottoli, mentre all'interno si ballava come se fossimo stati sul ponte nel bel mezzo di una tempesta, ma era fantastico. La sera ci fermavamo ai bordi delle strade a parlare con gli ubriaconi, con le puttane che si davano appuntamento attorno ad una fontana, e poi mezz'ora più tardi potevamo entrare nei migliori caffè dove ricchi borghesi bevevano vino e discutevano di politica, purché ci pulissimo gli stivali prima di entrare.
A volte Will ed Elizabeth venivano con noi: spesso portavo Faith con me, ed Ettore veniva più raramente, trascinato da lei; non che non si divertisse a passare le giornate accompagnandoci nelle nostre indiavolate peregrinazioni, solo, quella grande città lo intimidiva e ce lo aveva confessato senza alcun imbarazzo. Si sentiva più a suo agio nel porto, dove la Perla e la Sputafuoco rimanevano pazientemente ad attenderci per giorni, mentre gli uomini della ciurma si godevano tutto quello che potevano, almeno fino alla nostra prossima partenza.
Barbossa quasi non lo vedevamo. Se ne stava tutto il giorno chiuso nella sua cabina a studiare libri e mappe con attenzione maniacale: Will ci raccontava che lui stesso non lo vedeva molto, e quando il vecchio capitano usciva, lo faceva per conto suo. Meno lui e Jack avevano occasione di vedersi, meglio era, a quanto sembrava: Barbossa era sprofondato comodamente nella poltrona che ora occupava, e per il momento non sembrava assolutamente intenzionato a dare fuoco alle polveri.
Ma Londra era grande, e tutta da gustare.
Vi trascorremmo alcune settimane, durante le quali Jack mi portava da un posto all'altro, parlando senza sosta, raccontandomi di avventure passate che aveva avuto in quello o quell'altro posto, di luoghi e persone di Londra che conosceva e voleva rivedere. Sembrava che fossimo precipitati entrambi in uno stato di beata frenesia, e non avevamo alcuna intenzione di smettere. Jack raccontava, e io mi bevevo ogni parola con lo stesso stupore col quale fissavo la città attorno a me: più volte al giorno capitava che restassi bloccata in mezzo alla strada, col naso per aria e la bocca aperta, persa a fissare ora un palazzo, una statua, un monumento, un ponte in costruzione.
A ripensarci, in verità non c'era nulla di poi così meraviglioso o realmente eclatante, ma la verità è che in quei giorni tutto quello che vedevo mi sembrava splendido. Per il semplice fatto di potermi trovare lì, guardarmi intorno, vedere coi miei occhi quei posti e quelle persone. Eravamo a vele spiegate nel bel mezzo del mondo.
Jack sembrava vivere in uno stato di beatitudine costante, come mai lo avevo visto prima. Era bello dividere con lui quei giorni frenetici, correre da una strada all'altra, da una taverna all'altra, gettarci in indiavolate discussioni ai tavoli delle osterie fino a tarda notte. Andavamo nelle migliori locande, e qualche volta ci facevamo riservare le camere più sontuose nei migliori bordelli. So che detta così suona un po' scabroso, ma in realtà -a modo nostro- era piuttosto romantico.
Tuttavia, avevo il sospetto che Jack si sentisse in qualche modo minacciato: era come se avesse una gran fretta di godere di tutti i piaceri che l'Europa ci poteva offrire, prima che fosse troppo tardi. Più di una volta ne parlammo: gli chiesi se credeva che avessimo qualcosa da temere, o peggio, se stessimo scappando da qualcuno.
- Scappando? No, non credo. - mi rispose, col viso corrucciato come se ci stesse riflettendo molto seriamente, anche se al momento si trovava sdraiato di traverso su un gran letto a baldacchino -un po' roso dai tarli, ma confortevole- con una bottiglia in mano, al piano più alto di una nota casa di piaceri londinese.
- Scappando per un po' dai Caraibi, forse questo sì. Mi ha preoccupato, quello che ho visto accadere con Silehard... il fatto che un solo uomo fosse riuscito a mettere in ginocchio Tortuga non è certo un buon segno, comprendi? Le acque si stavano scaldando un po' troppo, ecco tutto. -
Prese un sorso dalla bottiglia quasi vuota, poi si spostò sul materasso per ricadere accanto a me, passandomi un braccio attorno alle spalle: ce ne stavamo distesi nella lussuosa camera riscaldata dal camino crepitante, e accidenti se era una bella sensazione.
- Prima o poi ci torneremo, però. - dissi, e la mia non era una domanda: volevo tornare nei miei Caraibi, ai miei mari azzurri, l'ombra delle palme, i riflessi colorati del sole al tramonto sull'acqua, i mercanti dalla pelle scura. Era casa mia, e non avrei sopportato il pensiero di non rivederla mai più. Anche se, al momento, il mondo era decisamente più invitante.
Jack sorrise e premette la fronte contro la mia. - Certo che ci torneremo!- esclamò, ridendo, come se fosse ovvio. - Sono un pesce tropicale: presto o tardi sentirò nostalgia dei miei mari natii, comprendi? Ma non ora. - si protese a darmi un bacio delicato. - Ora sono piuttosto propenso a risalire la corrente fino a quando essa non mi risputerà indietro a forza. -
Una delle cose più divertenti che facemmo in quel periodo, fu intrufolarci tra la “gente perbene”.
C'erano in continuazione balli, feste e banchetti che si svolgevano in questa o in quella villa appartenente al tal duca, la tal contessa, lord tal dei tali: non si sa come, Jack riusciva a trovare il modo di farci imbucare. Quando succedeva, partiva sempre una gran mascherata: sospetto che lo facesse così spesso perché si divertiva troppo a vedere me, Faith ed Elizabeth travestite da gran dame.
Adesso nei forzieri non mancavano mai abiti eleganti e tessuti pregiati, che erano allo stesso tempo ottima merce da vendere e perfetti travestimenti quando se ne presentava l'occasione: di tanto in tanto io, Faith ed Elizabeth accettavamo di abbandonare i nostri comodi vestiti da pirata e ci addobbavamo in seta e velluto, tirate a lucido come non mai, coi corpetti che mettevano in mostra tutto quello che c'era da mostrare, tanto che di solito Jack non mi si staccava più per il resto della serata.
Per accompagnarci, lui e William si mettevano in pompa magna quanto noi, con lunghe giacche eleganti: secondo me quell'abbigliamento gli donava, nonostante tutto, ma la prima volta che erano usciti così combinati e si erano guardati in faccia l'un l'altro, c'erano voluti dieci minuti buoni perché smettessero entrambi di ridere.
A quelle feste sfarzose ci presentavamo con qualche nome assurdo e degli inviti che Jack rimediava chissà dove, e di solito finivamo per passare tutta la notte a bere e parlare con tutti gli eleganti invitati, che spesso si rivelavano vere e proprie miniere di informazioni da ogni angolo del mondo. Dalle loro bocche sentivamo le novità dai Caraibi, mentre nelle taverne malfamate ci facevamo dare le ultime notizie dalla nostra amata Tortuga, che sembrava finalmente essere tornata alla normalità.
Qualche volta Elizabeth si portava dietro David, abbigliato come un piccolo lord: in quel caso ci ritrovavamo circondati da tutte le signore presenti, che si contendevano il piccino dalla faccia d'angelo... e che di solito finivano per tornare a casa con qualche anello mancante, o con qualche collana di perle misteriosamente sparita.
Poi, con la stessa mascherata che imbastivamo per infiltrarci alle feste, Jack cominciò a portarci a teatro. Se per me i banchetti dei damerini imparruccati non erano stati che uno scherzo, un passatempo, il teatro fu un innamoramento a prima vista.
Non avevo mai visto un teatro. Non sapevo che cosa volesse dire sedersi nel buio di uno dei palchi sopraelevati, vedere quel tendone rosso sollevarsi come per magia, e vedere animarsi sotto i miei occhi quella moltitudine di attori pronti a stregarti con le parole.
Rimasi sconvolta. In tutta la mia vita, al massimo avevo visto delle compagnie di attorucoli che giravano per le piazze, imbastivano spettacoli per bambini con marionette che parlavano, cantavano, litigavano, o piccole compagnie che si azzuffavano su un palco di legno improvvisato, contendendosi l'attenzione di uno sparuto pubblico vociante.
Quello era tutto diverso. Credo che lasciai sconcertato Jack e tutti i miei amici, perché durante qualsiasi rappresentazione scoppiavo ora a ridere, ora a piangere, senza ritegno e in modo del tutto incontrollato. La volta in cui Jack mi vide sciogliermi in lacrime durante un pezzo cantato, fece tanto d'occhi e mi disse che non mi ci avrebbe portato più, se dovevo stare male in quel modo.
- Non ti azzardare!- sibilai, con gli occhi lucidi fissi su ciò che accadeva sul palco sotto di noi.
Poi fu la volta di salutare Londra, e di riattraversare lo stretto per dirigerci, stavolta, verso Parigi.
Inutile dire che fu l'ennesimo fulmine a ciel sereno: come mi ero persa a Londra, mi persi ancora di più a Parigi, un posto che mi era adesso completamente estraneo, sia per lingua, che per posti, usanze e bellezza.
Sguazzammo dentro Parigi esattamente come avevamo sguazzato senza ritegno dentro Londra. Qualche volta tornava ad assalirmi il sospetto che lo stessimo facendo per dimenticare qualcosa, per sfuggire ad una paura senza nome che ogni tanto riusciva ad allungare i suoi artigli su di noi fin dai lontani mari dei Caraibi. Ma la strega era morta. Silehard non mi faceva paura. Non c'era nessun nemico a cui potessi dare una faccia e un nome: forse anch'io temevo quello che aveva preoccupato Jack; quella strana aria di cambiamenti indesiderati che aveva aleggiato sui moli della nostra Tortuga.
Ma non era un nostro problema. Eravamo a Parigi.
E Parigi era bella e cupa, come la bella cattedrale affacciata sulla brutta Place de Grève, dove si svolgevano le esecuzioni. Una volta, per la strada eravamo stati inseguiti da una zingara che voleva a tutti i costi venderci erbe e pozioni: quando aveva capito che non parlavamo francese, si era messa a parlarci in un inglese stentato con un fortissimo accento, cercando di venderci strani amuleti e -a detta sua- pozioni per la fertilità.
- Dio ce ne scampi e liberi, signora!- l'aveva apostrofata Jack, facendo un cenno di diniego.
Allora quella, nel totale disinteresse ma con una semplicità disarmante, gli aveva perfino messo la mano sul pacco, per poi dichiarare con aria grave: - Ah, monsieur, tanto da qui non verrà mai nessun bambino, ve lo dico. Ci avete il malocchio addosso. Se arriverà, sarà solo dopo una dura battaglia, e ancora di più dovrete combattere per tenervelo, monsieur!-
Per tutta la strada fino alla locanda in cui alloggiavamo, Jack non riuscì a smettere di ridere per la faccia che avevo fatto quando quella zingara aveva allungato le mani. Le era andata bene che avesse girato sui tacchi e se ne fosse andata mentre eravamo entrambi troppo basiti per risponderle, altrimenti avrei potuto mettere in atto rappresaglie sanguinose. Quando andammo in camera avevo ancora la faccia scura, e Jack, che se ne stava inginocchiato sul letto, si voltò verso di me. - Non te la sarai presa?!-
- Solo un pochino. - concessi, di malavoglia. - Comunque, che cosa avrà voluto dire? Secondo te stava solo straparlando?-
Lui si limitò a ridere di nuovo.
- Leggimi la “mano”, zingara. - mi provocò, dimenando le anche.
A Parigi parlavamo con mercanti e contrabbandieri, che ci raccontavano quali fossero le rotte più sicure e le strade più pericolose per dei “gentiluomini di fortuna” come noi.
Poi, quando avevamo finito coi nostri commerci, ero io adesso a trascinare Jack in tutti i teatri che trovavo, perché volevo tornare a vedere gli attori che cantavano, ballavano, morivano, litigavano e si innamoravano sul palco.
Una sera ci trovavamo in un piccolo teatro, io e Jack soli. Eravamo in uno dei piccoli palchetti sopraelevati: sotto di noi la platea era gremita, faceva caldo e si sentiva tutto il pubblico ridere, gridare e sbuffare, ma anche quello era bellissimo; faceva parte dello spettacolo. Io e Jack ce ne stavamo stravaccati molto poco signorilmente sulle nostre sedie, io ancora una volta in abiti femminili, lui in giacca elegante e coi capelli nascosti sotto una ridicola parrucca bianca e ricciuta, lunga, così improbabile che ogni volta che la indossava mi mettevo a chiamarlo “Governatore” o “Re Giorgio”.
Sul palco si stava svolgendo una qualche commedia dell'orrore probabilmente di bassa qualità, ma molto divertente. Manichini abbigliati come gli attori venivano decapitati, e subito una nuvola di straccetti rossi eruttava dal collo mozzato per riversarsi sul pubblico, in un'assurda parodia del sangue. Ogni volta che accadeva, cominciavo a ridere fino alle lacrime, e la mia crisi di risate non faceva che peggiorare ad ogni nuovo, comico massacro.
Guardavo i manichini decapitati e gli attori che strillavano fin troppo per essere convincenti, e rivedevo il ponte intriso di sangue dello Squalo Bianco. Avevo guardato negli occhi degli uomini morenti, avevo tagliato la loro carne con la mia spada, li avevo colpiti fino a quando non si erano mossi più.
E tuttavia, ridevo di gioia davanti a quella sciocca parodia del sangue, proprio perché non aveva niente a che fare con la morte, quella vera. Ridevo perché quei torrenti rossi non avevano niente in comune col vero sangue che avevo visto scorrere a fiotti. In quel piccolo teatro, per qualche momento e per qualche fantasiosa associazione di pensieri, mi sentii al sicuro come non mai.
“Sei davvero insopportabilmente buona, Laura.”
Le parole di Valerie erano sempre lì, chiuse in un piccolo forziere in un angolo della mia testa, e di tanto in tanto tornavano a risuonare chiare e forti come se le sentissi per la prima volta. Che cosa aveva voluto dirmi? Che, malgrado tutto, sarei comunque rimasta per sempre un'ingenua, una che si fidava, una che confidava sempre che il mondo fosse meno brutto di quanto apparisse? Una sciocca ragazzina che in nome di una fragile amicizia poteva perdonare qualsiasi cosa? O una vigliacca, che piuttosto di affrontare il mondo a muso duro si sarebbe bendata gli occhi e tappata le orecchie?
Per quanto mi riguardava, ero partita proprio per cominciare a capirlo un po' di più, il mondo. E, anche se la sensazione di pericolo non se ne andava, anche se mi sentivo nelle ossa che altri nemici sarebbero usciti dall'ombra per darci la caccia, e avrei rivisto presto arti mozzati e ponti insanguinati... ero felice perché potevo sedere in quel teatro buio, stringendo la mano di Jack, e ridere davanti a degli attori truccati da mostri.
Anche quella che avevamo recitato alla corte di Silehard era stata una finzione, dopotutto. Una recita così perfettamente riuscita da gelarmi il sangue: una recita alla quale avevo creduto per pochi orribili giorni.
Ma noi ora eravamo lì, eravamo vivi, eravamo liberi, mentre Silehard era caduto dentro la sua stessa trappola.
Sentii le dita di Jack stringere piano le mie, e mi voltai verso di lui; mi rivolse un sorrisetto dai denti d'oro dietro quella sua ridicola parrucca.
- Tutto bene?-
- Sì. - annuii, ricambiando la stretta e appoggiandomi contro la sua spalla, mentre tornavo a guardare il palco. - Va tutto bene. Andrà sempre tutto bene finché ci sarà qualcosa di bello da guardare. Finché potremo avere qualcosa per cui ridere e applaudire. Sì. Sì, Jack, ora come ora, eccome se va tutto bene!-





Note dell'autrice:
Fine?
Ebbene, no. Non ancora. C'è anche un minuscolo epilogo, che caricherò a breve... giusto per divertirmi crudelmente a stuzzicare la vostra curiosità ancora per un pochino.
Ma intanto: questo è un capitolo insolito. L'ho scritto volontariamente in uno stile che si distacca dal mio solito modo di scrivere, proprio perché era l'unico modo in cui avrei voluto raccontare del viaggio dei nostri in Europa: stavolta nessun lungo e dettagliato resoconto, ma una visuale d'insieme. E l'ho voluto così: questo capitolo è una linea di demarcazione; tra questo momento e il prossimo episodio ci sarà uno stacco temporale di quasi un anno. Per questo ho voluto chiudere "in dissolvenza", dando un'idea di dove saranno i nostri pirati in questo periodo, ma senza raccontarlo con precisione. Anch'io, per un po', li lascerò al loro viaggio oltre oceano.
Wind in your sails, mateys.

PS: Le richieste di una possibile prole di piccoli Sparrow da parte dei lettori continuano a colpirmi a tradimento e a fare sghignazzare sadicamente la mia editor di fiducia... chissà se ho seminato abbastanza dubbi con questo capitolo? ^^
Ah, e dato che dalla mia matita ogni tanto esce anche qualcosa di un po' più serio del solito, un piccolo ritratto della famiglia Barbossa!

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Capitolo 21
*** Epilogo ***


EPILOGO


La bufera infuriava su Port Royal, con la pioggia che squassava le foglie delle palme e picchiava contro i vetri. Il Commodoro Gillette era nel suo ufficio, solo, seduto al suo tavolo ingombro di carte: aveva fatto accendere tutte le candele, eppure il loro chiarore non sembrava nemmeno vagamente sufficiente a rischiarare la stanza, anzi, col cielo grigio ferro di fuori sembrava ancora più cupa.
Da alcuni minuti era concentrato sulla lettera che teneva davanti a sé, lisciandola ripetutamente con le dita, con gesto nervoso. Erano poche, pochissime righe. Ma aveva impiegato più di un'ora per decidersi a scriverla. Adesso mancava soltanto la sua firma e il suo sigillo, dopodiché avrebbe potuto inoltrarla immediatamente, e un messo si sarebbe occupato personalmente di recapitarla al destinatario.
I suoi occhi azzurri saettavano da una parola all'altra, ripetendo nella mente spezzoni di quelle frasi che ormai sapeva a memoria, girandole e rigirandole come per convincere anche se stesso della loro importanza.
“In seguito alle notizie di disordini e insurrezioni violente da parte di flotte pirata... situazione insostenibile... pericolo reale e concreto... La Marina britannica non può permettersi di restare in disparte ed ignorare questa pressante... non essendo sufficienti le nostre forze per sedare una tale...”
Tutte quelle infiorettature non erano che scuse: doveva essere onesto con se stesso. Era stato informato dei disordini a Tortuga, come sapeva delle voci pressanti che davano la Perla Nera in viaggio e in possesso di un tesoro favoloso sottratto all'ultimo, autoproclamato “signore dei pirati” che poi era prevedibilmente stato abbattuto in una battaglia in mare aperto. La Perla Nera. Sparrow, di nuovo.
Da quando era stato eletto Commodoro, Gillette non aveva mai abbandonato il sogno di vedere quel criminale penzolante da una forca, una volta per tutte, come avrebbe dovuto essere molti anni prima. Invece Sparrow e quelli della sua risma erano ancora uccel di bosco: in tutti quegli anni, per tutto quel tempo, non avevano fatto che prendersi gioco della marina britannica più e più volte, ancora e ancora e ancora.
Gillette non lo sopportava più. Sparrow aveva significato la fine del suo vecchio superiore, il Commodoro Norrington, e il pensiero ancora bruciava nel ricordo dell'ex giovane tenente.
Bisognava fare qualcosa. Sapeva che era necessario fare qualcosa, eppure ancora esitava, davanti alla prospettiva di combattere il fuoco con il fuoco, un criminale con un criminale ancora più oscuro e minaccioso.
Ma c'erano criminali e criminali, si disse, inghiottendo un groppo in gola. I suoi occhi si posarono sulle ultime parole.
“Ed è per questo che richiediamo i servigi di un uomo che conosca il suo mestiere e i pericoli che esso comporta: un cacciatore di pirati...”
Fece un respiro profondo, intinse la penna nel calamaio d'inchiostro e firmò.




Fine

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