I Pilastri dell'Apocalisse di khyhan (/viewuser.php?uid=153073)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. Adventus ***
Capitolo 2: *** II. Occursi ***
Capitolo 3: *** III. Promissionen ***
Capitolo 4: *** IV. Culpa ***
Capitolo 5: *** V. Animus ***
Capitolo 6: *** VI. Tranquillitas Innocens ***
Capitolo 7: *** VII. Vulnera ***
Capitolo 8: *** VIII. Nephilim ***
Capitolo 9: *** IX. Somnia ***
Capitolo 10: *** X. Solae Animae ***
Capitolo 11: *** XI. Sancta Sanctorum ***
Capitolo 12: *** XII. Rosa rubra ***
Capitolo 1 *** I. Adventus ***
0. Adventus
Adventus
“E infatti, quando
eravamo con voi,
vi dicevamo in
anticipo che eravamo destinati
a soffrire tribolazione,
come è anche
accaduto e come voi sapete”
1 Ts 3:4
Dalla
cima della collina Louisa poté vedere tutta la valle in cui la brughiera
scozzese faceva da padrona. Un immenso mare di verde sbiadito e giallo smorto
tra cui spuntavano, di tanto in tanto, delle rocce grigie e coperte di muschio.
L’aria
fredda e il cielo plumbeo erano saturi di umidità, e lei, si strinse nel cappotto
lungo fino alle ginocchia e tirò su il cappuccio, cercando di mettere al riparo
le orecchie e i capelli castani da quell’aria uggiosa.
Le sembrava che la natura le fosse ostile, che le dicesse con tutte le sue forze di
andarsene da lì e di lasciarli in pace, che una straniera nelle brughiere
scozzesi non era la benvenuta.
Sospirò,
leggermente stanca per il lungo viaggio, e mise a fuoco la vallata fino ad individuare la casa, che le avevano indicato al
villaggio a una decina di chilometri da quella valle dimenticata.
Scese
dalla collina a passi lenti e pesanti; e con una certa dose di difficoltà. Nonostante
gli stivali da cavallerizza i suoi piedi venivano risucchiati dalle chiazze
fangose o scivolavano sul l’erba bagnata, provocandole disagio e chiazze verdi
sui pantaloni quando scivolava.
La
casa che cercava era in fondo alla valle, nascosta dietro una delle colline.
Era
su tre piani, in pietra grigio scuro alla base e massicce tavolate di legno scuro
agli ultimi due. Diverse finestre punteggiavano tutti i muri; e la ragazza si
chiese, senza capacitarsene, come faceva un uomo come Yang Fen a sopportare di
vivere così, in mezzo al nulla.
Quella
assomigliava più alla casa di Heidi che a quella di un Sigillo braccato dai
Grigori.
Cercò
il campanello, ma non trovò nulla, nemmeno la cassetta per le lettere che
indicasse il nome del proprietario.
Ragionando
freddamente si rese conto che quella casa probabilmente non aveva la corrente
elettrica e decise di bussare al pesante maniglione decorato che c’era sulla
porta in legno.
Attese
diversi secondi prima di bussare ancora, poi divenne irrequieta. Sua madre gli
aveva detto di cercare Yang Fen e ora non riusciva più ad aspettare, voleva
sapere la verità e voleva saperla subito. Bussò ancora, prendendo addirittura
la porta a calci dalla frustrazione – C’è nessuno? – urlò. La sua voce divenne
un eco che si propagò lungo la valle, facendo saettare alcuni conigli su per la
collina alla ricerca di un riparo.
La
ragazza fece il giro della casa, cercando di intravedere tra le finestre uno spazzo
di vita; magari, si disse Fen sospettava che lei potesse essere un Grigorio.
Trovò
la porta sul retro era sbarrata come quella davanti, ma lei non si perse
d’animo e provò a bussare ancora.
-
Non troverai nessuno. – la voce sconosciuta alle sue spalle la fece trasalire.
Si girò piano e a qualche metro di distanza c’era un tipo con il cappuccio
della felpa calato sugli occhi che gli nascondeva quasi del tutto il viso – Qui
non ci vive più nessuno da molto tempo. – proseguì lui. Lei riuscì a vedergli solo
le labbra, che si muovevano scandendo le parole in inglese.
Dalla
voce capì che era un uomo, ma lei non riuscì a identificarne l’età. Lasciò
perdere l’analisi del giovane e tornò sul suo obbiettivo. Trovare Yang Fen.
– Sto cercando Yang Fen. – rispose, dando le
spalle alla casa – Dove posso trovarlo? Viveva qui? È ancora in queste zone? –
Lui
rise, facendo balenare i denti bianchi e regolari, ma non c’era gioia in quella
risata – Certo, viveva qui molto tempo fa. Poi è scomparso. – scrollò le spalle
e alzò lo sguardo sui piani superiori della casa.
Lei
finalmente gli vide gli occhi. Erano azzurri intensi, scuri e profondi. Le
sembrava di guardare l’oceano – Io devo trovare Yang Fen. – ripeté con ansia
crescente – Ha una cosa che mi serve. – tornò a concentrarsi sulla porta, che
rimaneva irrimediabilmente chiusa.
Per
lei, la porta sbarrata di quella casa carica di promesse, era il gioco ironico
di qualche macchinazione superiore e malvagia e le venne da piangere. Ora che
aveva una traccia, se pur misera, quella era sparita, represse un singhiozzo
isterico e tirò un pugno alla porta.
Il
dolore si propagò dalla mano fino al braccio per poi esploderle nel cervello,
si mise istintivamente in bocca una delle nocche succhiandole leggermente – Non
sei di qui, vero? – chiese lui, ora appena dietro di lei – Qui nessuno
prenderebbe a pugni una porta in legno massiccio; a meno che non voglia farsi
parecchio male. Dà qui, fammi vedere. -
le prese la mano e la studiò con occhio clinico, con ancora con il cappuccio calato
sulla fronte – Non te la sei rotta. Sei fortunata, io mi ci sono lussato una
spalla su questa porta una volta. –
Lei
rimase di stucco a quell’affermazione – Hai provato a buttare giù la porta? –
domandò.
Lui
alzò le spalle – Sono il custode di questa casa. Yang Fen mi ha detto di
prendermene cura, solo che una volta ho dimenticato le chiavi dentro e ho
dovuto ehm.. spaccare una finestra per entrare a prenderle. –
Entrare
da una finestra.
Quell’idea
si fece prepotentemente strada nella sua mente e decise di rischiare, se quella
casa non aveva corrente elettrica, probabilmente non aveva allarme. Si chinò a
raccogliere un sasso, soppesandolo con la mano – Hei! Che pensi di fare? – lui
le bloccò la mano, togliendole il sasso e buttandolo di nuovo a terra.
-
Io devo entrare! Devo! – protestò, strattonando la mano per liberarsi – Devo
assicurarmi che non ci sia nessuno! –
Il
ragazzo sospirò, mettendosi una mano in tasca – Immagino che se io ora me ne
andassi, tu proseguiresti con i tuoi piani e sfonderesti la finestra. – la
tratteneva senza sforzo apparente, rimanendo quasi immobile mentre lei si divincolava
cercando di liberarsi.
-
Ovvio che si! Io devo entrare!
Lui
scosse la testa, stranamente divertito – Ti ho detto che sono il custode, ho le
chiavi di casa. Ti faccio entrare, ma ad una condizione.. –
-
Che condizione?
-
..Se mi fai parlare senza interrompermi. Sai, tra parentesi, che è molto
maleducato interrompere le persone? – piegò la testa di lato, studiandola – Io
ti faccio entrare, ma tu metti i piedi dove li metto io, non vai in giro per
gli affari tuoi e soprattutto, non
tocchi nulla. – era serio e il suo tono non ammetteva repliche.
-
Bene, – disse lei mentre lui la lasciava andare – Mi sta bene. Io sono Louisa,
tra parentesi. -
Il
ragazzo estrasse le chiavi dalla tasca dei pantaloni – Non te l’ho chiesto. La
cosa non mi interessa.
-
Chi è ora il maleducato? – rispose.
Il
ragazzo ridacchiò infilando la chiave giusta nella toppa e facendo scattare la
serratura.
A
Louisa quella serratura parve strana. Non la toppa in se, ma il rumore profondo
che produsse, quasi di ingranaggi che si muovessero e cigolassero. Lei sgranò
gli occhi e fissò la porta leggermente confusa, forse, pensò, era tutto frutto
della sua fantasia e degli echi della valle.
Il
ragazzo entrò per primo e la Louisa lo seguì mettendo i piedi dove li metteva
lui. L’interno della casa era scura e dagli arredi pesanti e i loro passi erano
attutiti dallo spesso strato di polvere che si era posata sulla moquette
bordeaux.
Anche
l’interno le ricordava la casa di Heidi: tendine bianche con pizzo alle
finestre, la scala di legno lucido che si arrampicava al piano di sopra, quadri
e quadretti ricoprivano il muro. Le sembrava più la casa di una vecchina tutto
the e merletti, che di un pericoloso Sigillo pieno di segreti e scheletri
nell’armadio.
-
Di qua. – disse lui, conducendola prima in cucina, poi nel salotto.
Tutto,
dalle pentole di rame ossidato appese al muro, alla poltrona piazzata davanti
alla libreria parlavo di abbandono e incuria.
Il
quella casa non ci viveva nessuno da anni.
-
Ti basta? – chiese il ragazzo – Qui dentro non ci entra nessuno da un sacco di
tempo. Meglio se andiamo.
-
Voglio vedere di sopra. – disse lei risoluta – Devo assolutamente vedere tutto.
– si sentiva morire dentro, ma aveva ancora un briciolo di speranza e si portò
una mano al collo. Sotto i vestiti sentiva l’anello appeso alla catenina e si percepì
il conforto provenire da quel peso leggero.
-
Come vuoi, ma continua a mettere i piedi dove lo metto io. – la condusse al
piano di sopra, ma per lei non c’era nulla di interessante.
La
camera da letto, come il resto della casa, aveva uno stile antiquato, con le
testiera del letto in ottone battuto e il copriletto bianco ricoperto di
merletti.
Louisa
continuava a non riuscire a far combaciare l’immagine che aveva di Yang Fen con
quella della persona che poteva vivere lì.
Continuarono
a fare il giro, finché non arrivarono in quella che senza dubbio era una
palestra di arti marziali. Il pavimento era ricoperto di tatami, e inchiodate
ai muri facevano bella mostra diverse armi orientali. Al centro della stanza
troneggiava un oggetto di legno circolare con diversi protuberanze. Louisa lo
valutò per un paio di secondi, era alto quando un uomo e le protuberanze erano
all’altezza della testa e dei piedi – Che cos’è? – chiese prima senza riuscire
a trattenere la curiosità.
Il
ragazzo seguì la direzione del suo sguardo e sorrise riconoscendo l’oggetto – È
un wooden dummy. Un uomo di legno. Lo si una per gli allenamenti di Kung Fu.
Louisa
ne fu immediatamente attratta e incuriosita. Attraversò la stanza velocemente,
senza riflettere.
-
Ferma!
Lei
toccò il wooden dummy prima che lui potesse fermarla, e il legno ruotò su se
stesso ben oleato. Si sentì sordo toc
della guida che arrivava a fine corsa seguito da uno snap sinistro.
-
Merda! Così non va! – lui la afferrò stringendola le braccia, e la sollevò di
peso lanciandosi fuori dalla finestra.
Mentre
precipitavano verso terra dal secondo piano vennero sbalzati in avanti da una
violenta esplosione e Louisa si ritrovò a rotolare sull’erba bagnata con lui
che ancora le teneva stretta. La ragazza percepì più dolore di quanto ne avesse
mai provato in vita sua e sbatté violentemente la testa contro un sasso, mentre
una miriade di luci le esplodevano davanti agli occhi; annebbiando tutto il
resto.
Rimase
cosciente per pura fortuna.
-
Ti avevo detto di non toccare nulla. – percepì un peso estraneo sopra di lei e
aprì gli occhi. Il ragazzo, era una macchia sfocata ai suoi occhi, ancora
confusi, ma Louisa capì che gli era scivolato via il cappuccio e ora lei poteva
vederlo chiaramente. Se solo il mondo avesse smesso di girare per un secondo. Vide
i due punti luminosi che erano i suoi occhi, incorniciati da qualcosa di nero.
-
Che è successo? – chiese senza riconoscere la propria voce e con la testa che
le pulsava sordamente da un punto non precisato.
- Quella casa è piena di trappole, solo chi ci
viveva sa esattamente come muoversi e
disattivarle. Tu, stupida, ne hai fatta scattare una bella grossa. – non
accennava a scansarsi da lei, mentre respirava cercando l’aria a bocca aperta. Il
suo fiato arrivò al naso di Louisa, e lei si accorse che sapeva di miele e
limoni.
La
ragazza girò la testa, attirata da un bagliore e da un calore che fino a quel
momento, nella confusione, non aveva notato. L’intera casa era in fiamme,
consumata violentemente dalle fondamenta fino al tetto – No! – urlò, cercando
di alzarsi – No! Io devo sapere! – provò a tirarsi su, ma le testa le girò
violentemente e sentì parecchio dolore al torace, mentre lui la ributtava a
terra.
-
Sta giù, stupida ragazzina! – il ragazzo osservò anche lui quella scena, poi,
come se rispondesse a un illuminazione improvvisa, si calò di nuovo il
cappuccio sugli occhi e si stese completamente sopra di lei, coprendole il viso
con la stoffa scura e spessa – Che fai? – chiese soffocata dal tessuto e
dall’odore di lui che respirava a pieni polmoni. Sentiva i suoi capelli solleticargli
il viso e provò a scacciarlo, ma come prima, il ragazzo la tratteneva senza
sforzo.
Una
esplosione ancora più violenta la bloccò sul posto, sentì i vetri andare il
frantumi e il ruggito delle fiamme diventare più forte.
Il
ragazzo si irrigidì sopra di lei ed inspirò bruscamente. Louisa stava per
chiedergli cosa non andasse, poi sentì un dolore lancinante alla gamba
diventare sempre più profondo. Le scavava l’arto fino ad arrivare alle ossa, di
nuovo, le luci le danzarono davanti agli occhi prima che lei perdesse
definitivamente i sensi.
Louisa
sentiva delle voci arrivare alle sue orecchie e pensò, per un secondo, di
essere ancora a casa e che il suo fosse stato solo un sogno.
-
La casa è saltata completamente? – chiese una voce sconosciuta, mentre Louisa
riemergeva dalle nere profondità in cui era caduta e riprendeva conoscenza con
il suo corpo.
-
Bruciata fino alle fondamenta. Non c’è rimasto nulla, solo qualche trave
annerita e qualche masso. – l’altra voce che parlò la riconobbe, anche se a fatica.
Era quella dello strano ragazzo che era entrato con lei in casa di Fen.
-
Nulla? – domandò la prima voce.
-
Nulla – confermò il secondo – È saltato anche il serbatoio del gasolio, facendo
un gran bel botto, ma scommetto che Fen lo sapeva e ora è da qualche parte che
si sbellica dalle risate..
-
È sempre stato strano..
-
È sempre stato matto vorrai dire, ha riempito la casa di trappole meccaniche e
a pressione. Era un po’ paranoico. – la ragazza li sentì ridere e poi lei ricompose
nella sua mente gli eventi che erano accaduti.
L’uomo
di legno, la trappola attivata, il ragazzo che l’afferrava e si lanciava con
lei fuori dalla finestra, l’esplosione. Tutto sembrava un intricato puzzle
nella sua testa, il cui unico pezzo centrare era composto dagli occhi di quel
ragazzo.
-
Come starà lei? – chiese il ragazzo che conosceva con tono freddo e distaccato.
-
Jason ti preoccupi un po’ troppo. A parte qualche ammaccatura e quella
bruciatura sulla gamba, non si è fatta troppo male. Tu, invece sei preso
decisamente peggio. Le hai fatto scudo con il tuo corpo.
Al
ragazzo chiamato Jason scappò un gemito di dolore e qualche imprecazione – Fai
più piano, Will.
Louisa
sentì l’altro tizio ridacchiare – Io faccio piano, ma hai delle schegge di legno
e di vetro piantate nella schiena e nelle natiche.
Anche
Jason scoppiò a ridere – Scommetto che ti crea qualche problema dovermi
estrarre quelle dalle natiche.
-
Se vuoi chiamo mia sorella Sophie. – disse Will con voce falsamente dolce e
accomodante.
-
Ti prego, risparmiami. Sophie è molto meno delicata di te, potrebbe fare
seriamente dei danni ad un malato sofferente come me. – Louisa sentì qualcosa
che assomigliava ad un schiaffetto sordo seguito da un “ahi”.
-
È mia sorella, trattala bene. – ribeccò Will
-
E vuoi lasciarle l’onore di vedere le mie natiche? Sei uno strano fratello..
-
No, voglio lasciarle l’onore di torturarti. Ma cambiamo discorso, la ragazza. Sai
cosa voleva?
-
Cercava Fen. – disse ispirando rumorosamente.
-
Fen? E cosa voleva da lui? – domandò Will facendosi improvvisamente attento.
-
Se lo sapessi, lei ora non sarebbe qui, – disse Jason con un tono scuro nella
voce – Ma possiamo chiederglielo direttamente. Puoi anche aprire gli occhi
Louisa, non sai fingere di dormire. –
Louisa
aprì bruscamente gli occhi, e sperò, che il rossore che sentiva sul viso, fosse
dato dal calore della stanza e non dall’imbarazzo per aver origliato la
conversazione. Il ragazzo moro, di cui ora sapeva il nome era steso a pancia in
giù, a meno di un metro da lei, su un tavolino di metallo e a parte i calzini,
era praticamente nudo.
Louisa
spostò rapidamente lo sguardo da un'altra parte concentrandosi sui mobiletti
bassi della stanza. Erano uniformi, di un giallo spento illuminati dalla luce
fredda del neon. Individuò un lavandino in un angolo e parecchi flaconi di colore
diverso messi un po’ dappertutto. E su tutto aleggiava l’odore di disinfettante.
Il
viso dell’altro ragazzo riempì il suo campo visivo. Era biondo con gli occhi
grigi scuro e i capelli leggermente arruffati – Come stai? – chiese con voce
preoccupata – Senti dolore da qualche parte?
Louisa
provò a scuotere la testa, ma le venne un capogiro ed emise un gemito infastidito
– Hai preso una bella botta, – continuò lui – È normale che tu sia stordita. –
-
Sto bene, grazie. - disse lei, cercando di non dargli troppa confidenza – Mi
gira la testa tutto qui. – Will annuì e le prese il polso, controllando il
battito cardiaco, Louisa pregò che non si accorgesse di quanto fosse veloce.
-
Will! Qui c’è uno malato seriamente! Ho ancora diverse schegge in corpo! – la
voce squillante di Jason fece scoppiare la piccola bolla in cui, per alcuni
secondi, si erano ritrovati isolati Louisa e Will.
Il
ragazzo biondo tornò allegramente da Jason – Ti comporti come un bambino, – disse con un
sorriso caldo – Lei è nostra ospite.
-
Tua ospite. – lo corresse Jason – La
mia casa è bruciata poche ore fa. – chiuse gli occhi e appoggiò il mento sulle
braccia muscolose, lasciando che Will gli estraesse le ultime schegge dal corpo,
mormorando tra i denti qualcosa a ogni scheggia estratta.
Louisa
impiegò qualche secondo per mettere insieme le ultime parole che aveva sentito,
cercandoci un senso logico – La tua casa? Non era quella di Yang Fen? Sei suo
figlio? –
Jason
aprì di nuovo gli occhi puntandoli su di lei come dei fanali – Ti sembro
cinese? –
-
No.
-
Allora non sono suo figlio. – disse tagliando corto.
-
Smettila di essere così cattivo, Jason.
– disse Will che continuava a lavorare con un sorriso tranquillo – È confusa,
le hai fatto fare un volo dalla finestra del secondo piano. Jason è il figlio
adottivo di Fen. – spiegò Will – Ecco perché ha le chiavi di casa.
-
E perché sa muoversi lì dentro. – aggiunse Louisa meditabonda, ricordando come
Jason le avesse detto di mettere i piedi dove li metteva lui.
-
Casa che tu hai fatto saltare come un petardo. – sottolineò Jason vagamente
irritato.
Louisa
inspirò bruscamente – Mi dispiace, – disse tutto d’un fiato – Ma io devo
trovare Fen, lui ha una cosa che mi serve. – si mosse avanti indietro sul
posto, con ansia crescente.
-
Puoi anche rilassati e smettere di comportarti da invasata. – disse Jason tornando
a chiudere gli occhi – Tutto quello che possedeva Fen è bruciato con la casa. –
Louisa
gli scoccò un’occhiataccia – E lui dov’è? Hai detto che sei il custode della
casa, ma in realtà sei suo figlio adottivo. Mi hai mentito. Quindi, dov’è Fen?
– era profondamente irritata da quel ragazzo, ma non ne capiva il motivo, forse
era il suo modo di fare saccente che la urtava.
-
Non ti ho mentito. Io ne sono il custode, perché la casa è mia come figlio adottivo, ma Fen è realmente
andato. –
-
Andato dove?
Jason
alzò gli occhi al cielo, con uno sguardo eloquente e lei seguì la direzione dei
suoi occhi verso il soffitto, poi sbiancò – Morto? –
Jason
sorrise triste – Poi sono io quello con una delicatezza da elefante, vero Will?
– disse rivolgendosi all’amico - Si, signorina è morto tre anni fa. – Jason
allungò la mano verso il collo di Louisa e le tirò fuori dal colletto della
camicia la catenina d’oro a cui era appeso un anello dello stesso metallo con
una gemma azzurro chiaro incastonato al centro – E scommetto che sei qui per il
gemello di questo. – Louisa gli allontanò la mano di scatto e si nascose la
l’anello sotto la camicetta azzurra – Non sono affari tuoi! ma se sai dov’è
l’anello..
-
Sei coinvolta in quella setta di vecchi pazzi? – chiese Jason a brucia pelo
-
Ti sembro vecchia?
-
Mi sembri pazza. – concluse lui
Will
mise via la pinza, le garze, ago e filo e prese il rotolo di cotone germanico –
Fatto! Estratte tutte, mettiti seduto così ti faccio la fasciatura. – disse
soddisfatto.
-
Grazie – Jason si mise a sedere di scatto, facendo arrossire Louisa fino al
collo, che si voltò a fissare ostinatamente il muro – Sei nudo! – urlò scandalizzata
alla parete.
Will
rise, mentre Jason le metteva una mano sulla spalla richiamandola – Guarda che
siamo in Scozia. Andiamo in giro in Kilt.
-
Cosa centra il Kilt con l’essere nudi? – domandò Louisa con la fronte
corrucciata, rifiutando di voltarsi finché Will non le disse che Jason si era
completamente rivestito.
Non
sapeva perché, ma si fidava più di Will e delle sue parole rassicuranti,
piuttosto che di Jason che le aveva salvato la vita.
Louisa
tornò ostinatamente all’argomento che le premeva – Sai dov’è l’anello di Fen? – chiese a Jason
ancora una volta.
-
Sei noiosa, lo sai? “Devo trovare Fen”, “devo entrare in quella casa”, “devo
avere il suo anello”. Fatti una vita per favore.
-
Ma..
-
In qualsiasi cosa in cui tu sia coinvolta, Fen non ne voleva fare parte e io
nemmeno; quindi puoi anche andartene. – disse Jason tagliando corto il
discorso.
Senza
attendere una risposta scese dal tavolo e uscì dalla stanza, zoppicando
leggermente.
“Dio,
non avrei mai creduto che
il nostro incontro
potesse cambiare
radicalmente le sorti della Guerra”
NAD:
premettendo che le mie note d’autore non sono mai serie, mi accingo a dare un
po’ di spiegazioni. Allora: la frase d’apertura è tratta dalla Bibbia e
possiamo dire che è una specie di “profezia” (anche se non era così in
Tessalonicesi) su quello che accadrà ai protagonisti. Poi, più avanti troverete
dei nomi conosciuti, sia per i Sigilli, che per di Decaduti che per i Grigori,
sono tutti presi dalla Bibbia e da Wikipedia, a parte forse Ismael che ho preso
da un libro.
Le
ultime frasi che troverete in fondo ad ogni capitolo sono una specie di
preghiera che fanno i protagonisti.
Poi
vorrei subito ringraziare Madamoiselle Nina che ha deciso di tradurmi i titoli
in latino e Thalia_Socia_Grace e Valerie Carstairs per essersi innamorate di Jason e Will al
primo colpo e di leggere, insieme a Nina, tutti i miei appunti incasinati.
Per
quanto riguarda la velocità di aggiornamento è un bel mistero, primo perché ho
altre due long da gestire, secondo perché gli esami e il tirocinio in ospedale
mi porteranno via un bel po’ di tempo ed energie, ma dovrebbe essere ogni 2-3
settimane.
Grazie
a chiunque legga.
Khyhan
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Capitolo 2 *** II. Occursi ***
Occursi
Occursi
Perciò, io ti farò
come ho detto, o Israele;
e poiché io farò questo contro di te,
preparati, o Israele, a incontrare il tuo Dio!
Poiché, eccolo Colui che forma i monti e crea
il vento,
e fa conoscere all’uomo qual è il suo
pensiero;
Colui che muta l’aurora in tenebre,
e cammina sugli alti luoghi della terra;
il suo nome è Geova,
l’Iddio degli eserciti.
Amos
4:12-13
Will
scosse tristemente la testa vedendo la figura di Jason che si sbatteva la porta
alle spalle – Devi perdonarlo. Jason sa essere un gran cafone quando vuole, ma non
è cattivo. – cercò di farle sorriso, ma Louisa notò solo una smorfia triste.
Lei,
invece, aveva l’adrenalina che vorticava velocemente nelle arterie, dandole un
forte senso di irrequietezza. Se la gamba non le avesse fatto troppo male,
avrebbe inseguito Jason per tirargli un calcio sugli stinchi, sfogandosi e
urlando fino a non avere più fiato nel polmoni – Sarà come dici, ma mi sembra
un gran maleducato comunque. – il tono era acido, come se avesse mangiato un
limone intero.
Se
non fosse stata talmente tanto arrabbiata, avrebbe potuto cercare di capire il punto di vista di Jason e la
tristezza di Will. Se una perfetta sconosciuta fosse apparsa dal nulla, avesse
innescato una trappola mortale e poi avesse insistito per trovare l’anello del
proprio padre defunto, anche lei avrebbe reagito come Jason.
Pensando
all’anello la rabbia che provava per le parole ironiche di Jason, lasciò il
posto a un profondo senso di disperazione. Yang Fen era morto e forse ciò che cercava era
perduto per sempre; scacciò dalla mente quel pensiero, Louisa non poteva
permettersi di perdere la speranza, non con tutte quelle vite in ballo. Doveva
continuare a cercare, almeno finché ne aveva le forze – Senti, – disse a Will,
cercando di controllare il tono della propria voce e sperò che non risultasse
acida come prima – Dovrei tornare alla casa di Fen.. –
Sul
volto del ragazzo si dipinse un sorriso dolce, e Louisa sentì le guance farsi
calde, notando la piccola scheggiatura sull’incisivo di Will, che lo rendeva meno perfetto, ma ai suoi occhi più
carino – Non sei una che molla al primo no, eh? – estrasse una piccola torcia
dalla tasca della camicia e gliela puntò agli occhi, accecandola per un paio di
secondi – Riflessi pupillari normali. – poi, inaspettatamente, le diete un
pizzicotto alla base del collo.
-
ahi! – strillò Louisa più per sorpresa, che per vero dolore e scansò
istintivamente il busto – Ma che fai? –
-
Riflessi nocicettori in ordine, – disse scrutandola sottecchi finendo di
esaminarla, il suo sorriso si allargo e Louisa divenne sempre più torva sotto
quello sguardo – Quindi devo dedurre che sei solo masochista. –
Louisa
sbuffò e incrociò le braccia al petto, sottraendosi agli occhi grigi di Will –
Oggi mi sono beccata della pazza e della masochista, bell’affare.. –
Will
ridacchiò, prendendo la mano della ragazza e premendo leggermente sul polso con
due dita – Scusa per la masochista. Mi è scappato, ma dovevo controllare che tu
non avessi una commozione cerebrale. Jason mi ha detto che hai preso una bella
botta in testa. –
-
Sei un medico? – domandò rilassandosi leggermente sul lettino, capendo
finalmente il perché del pizzicotto a tradimento – No, – rispose scuotendo
la testa - Solo uno studente, ma mio padre è il medico
del villaggio e mi ha insegnato un po’ di cosette. Posso? – prese uno strumento
che teneva vicino al lettino e glielo mostrò aprendo la custodia.
Louisa
riconobbe un fonendoscopio; lo aveva visto usare spesso durante le visite
mediche all’Istituto, ma non si era mai lasciata visitare da uno sconosciuto.
Nonostante
Will non le sembrasse un tipo pericoloso ebbe improvvisamente paura di lui - Che
devi fare? – chiese sulla difensiva, spostandosi di un paio di centimetri verso
il muro, ignorando le proteste della gamba ferita.
-
Nulla di che. Controllare la pressione, poi cuore e polmoni. Voglio escludere
qualsiasi possibile problema. –
-
E non potevi farlo mentre ero senza sensi? – ogni minuto che passava Louisa
sentiva il sospetto crescere nei confronti di Will. Tanta gentilezza non era
normale in una persona che non l’aveva mai vista prima.
-
L’ho fatto, non appena Jason ti ha portata qui, ferita e coperta di sangue, ma
voglio fare un controllo per sicurezza. A dir la verità avrebbe dovuto
visitarti mio padre, ma era fuori per un emergenza. Ho dovuto fare qualcosa io
e spero che non ti dispiaccia. Ti vedo visibilmente tesa. –
Louisa
arrossì leggermente – No! Cioè si, in genere i dottori sono tutti.. –
-
Cinquantenni canuti, pieni di rughe con lo sguardo di chi ne ha viste troppe e
la puzza sotto il naso? – chiese ironicamente Will, mettendosi il fonendoscopio
attorno al collo.
-
All’incirca; ma non fraintendere, non che mi dispiaccia che tu mi abbia
aiutata. Voglio dire: tu non sei ne canuto, ne cinquantenne, sei..- fece una
pausa con la bocca improvvisamente secca - Sei giovane e gentile.. – il calore
si diffuse dalle guance al collo, mentre desiderava sprofondare nel pavimento
per la piega che stava prendendo il discorso.
-
Ma non ti fidi di me. – concluse Will prendendo l’apparecchio per la pressione
e tirandole su la manica fino alla spalla. Louisa aprì la bocca per replicare e
cercare di spiegarsi, ma il ragazzo la fermò portandosi un dito alle labbra –
Aspetta. – sillabò, mentre gonfiava il bracciale attorno al braccio.
Dopo
un paio di secondi Louisa sentì il braccio formicolare, per poi percepire le
potenti pulsazioni del suo sangue che portavano l’ossigeno e i nutrimenti in tutti
i distretti del suo corpo quando il ragazzo inizio a sgonfiare lentamente il
palloncino del bracciale- Hai la pressione un po’ altina, – decretò Will – Ma
credo di averti messo a disagio io. – strappò il velcro del bracciale e glielo
tolse, risistemandole gentilmente la camicia - Vuoi una tazza di tè e facciamo quattro
chiacchere? –
Louisa
soppesò l’offerta per alcuni secondi guardando gli occhi grigi e sinceri del
ragazzo – Va bene – disse cercando di mettersi seduta sul lettino. I muscoli
della gamba ferita si tesero improvvisamente e uno spasmo di dolore la
attraverso violentemente, facendole perdere la presa, già precaria, che aveva sui gomiti. Will la
afferrò dietro la schiena e la spinse indietro sul lettino, controllandole di
nuovo il polso – Sei diventata terribilmente pallida. Vuoi un antidolorifico? –
il battito del cuore di Louisa impazzì, era vicinissima al viso di Will che la
guardava con crescente preoccupazione.
Lo
spinse via, chiudendo gli occhi e cercando di calmare il proprio cuore. Aveva
passato anni a sopprimere quel tipo
di istinti, si era addestrata apposta per non farsi distrarre e non sarebbe
stato un medico, o meglio uno studente medico
di campagna a farle cambiare idea – Sei
molto gentile grazie, ma preferirei di no. Se sto ferma riesco a ignorare il
dolore, ma ora come ora, vorrei veramente la tazza di tè che mi avevi proposto
poco fa.. – si bloccò, quando Will si morse il labbro.
-
Vedi, per farti il tè dovrei andare in cucina, ma non posso lasciarti da sola.
Non ora che ti sei sentita male. –
-
È stato solo un momento. È passato, non c’è bisogno che ti preoccupi così
tanto; e poi, non per essere scortese, ma non so nulla di te, per quello che
conosco dietro questa tua gentilezza potrebbe nascondersi un maniaco o peggio. - la mente di Louisa volò
irrimediabilmente ai suoi mortali nemici, i Grigori, ma si calmò pensando che
se Will fosse stato uno di loro, la avrebbe
uccisa non appena avesse visto l’anello al collo.
Will
inclinò leggermente la testa di lato e Louisa si sentì trafiggere il petto da
quegli occhi grigi – Immagino, – disse il ragazzo freddamente – Di non essermi
guadagnato la tua fiducia accogliendoti in casa mia, curandoti e tenendoti al caldo,
quando la logica mi diceva che tu avevi
appena messo in pericolo il mio migliore amico. Amico, che per inciso, mi ha
implorato di salvarti. –
Louisa
non riuscì a sostenere oltre lo sguardo glaciale di Will, sapeva di essere
stata meschina e scortese nel dire che Will poteva essere un maniaco o
insinuando che fosse un Grigorio.
Nessuno
l’aveva costretto a curarla, e nessuno l’aveva costretto ad essere gentile con
lei – Mi dispiace, – disse. La voce le uscì in un sussurro roco e la gola era
secca e in fiamme – So di essere stata cattiva, non volevo dire quelle cose. Mi
sono scappate, – una mano calda di Will si infilò sotto il suo mento e la
costrinse a guardarlo di nuovo. I suoi occhi erano più gentili e il sorriso era
tornato sul suo volto – Non volevo le tue scuse. Immagino che per insistere
così tanto per trovare l’anello di Fen, tu abbia un motivo importate, ma se
tratti tutti con sufficienza e freddezza non arriverai mai da nessuna parte. –
la lasciò andare e la testa di Louisa si mosse meccanicamente verso il muro
contro cui era appoggiato il lettino. Lo vedeva appannato e liquido per le
lacrime che iniziavano a sfuggirle.
Will
era riuscito a farla sentire in colpa e Louisa sapeva da molto tempo che a
volte feriva le persone usando le parole sbagliate; lo faceva in maniera del
tutto inconsapevole, e dovevano farglielo notare per capire dove e come
sbagliava; e ora, tramite i gesti e le parole di Will, si rendeva conto di
averlo ferito – Will, senti, – represse un singhiozzo isterico e cercò di
dominare la voce, incredibilmente acuta – Non volevo offenderti, tu sei stato
incredibilmente gentile a prenderti cura di me, e lo è stato anche Jason a
salvarmi la vita, ma, – fece una pausa per asciugarsi il naso - Devo veramente
cercare l’anello di Fen, o almeno avere qualche prova del fatto che non sia qui.
È troppo importante per me. È importante per tutti. – la mano di Will coprì la
sua, costringendola ad allentare la presa spasmodica che aveva sulla camicia –
Guardami. – le disse dolcemente – Per favore, guardami. – Louisa si passò il
dorso della mano sugli occhi, cercando di fermare le lacrime che non smettevano
di scendere. Ancora con gli occhi le bruciavano si voltò a studiare il volto
sereno di Will e ritrasse istintivamente la mano sotto quello sguardo. Sentiva qualcosa
all’imboccatura dello stomaco, forse era quello che le altre ragazze definivano
“farfalle”, ma lei l’avrebbe definita come una sensazione di profonda
conoscenza e malinconia. Come se
rivedesse qualcuno dopo tanto tempo, ma non riusciva a ricordarne i tratti e a
collegare i momenti in cui si erano conosciuti – Louisa, è così importante
trovare quell’anello? – chiese asciugandole una guancia – Così tanto da non
poter aspettare di guarire? –
Louisa
gli prese la mano e la posò delicatamente sul lettino, il sangue si accumulò
sotto la pelle dove lui l’aveva sfiorata – Si, non posso aspettare. Anche se
dovessi strisciare, devo andare a cercare informazioni. –
Will
proruppe in uno sbuffo e gli spuntò un mezzo sorriso agli angoli della bocca –
Non ci posso fare nulla allora. Ho qualcosa che dovrebbe aiutarti ad aumentare
la soglia del dolore, ma ti stordirà un po’. Se vuoi provare, posso farti
un’iniezione, ma non so quando durerà l’effetto terapeutico –
Il
battito del cuore di Louisa perse un colpo per la sorpresa. Quel ragazzo stava
facendo i salti mortali e si stava esponendo a un gran rischio per aiutarla – Sei
sicuro di essere solo uno studente? Voglio dire: non hai una laurea, non farai
danni? –
-
Certo che posso fare danni, sono un essere umano. Come dice il proverbio:
errare è umano..-
-
Ma perdonare è divino – concluse Louisa con un sorriso, ricordando il proverbio
che sentiva spesso all’Istituto.
-
Stavo per dire: ma perseverare è diabolico, veramente. – il sorriso di Will si
allargò di un paio di molari, rendendo Louisa irrequieta. Quel sorriso era
importante, lo sapeva e doveva ricordarselo - Louisa, io voglio davvero
aiutarti e per farlo devo metterti in piedi. Non sono che al terzo anno di
medicina, ma credimi se ti dico che so quello che faccio. A volte mio padre
dice che ho un dono; voglio crederci e lo voglio usare ora, per aiutare te, se
tu vuoi fidarti di me. -
Louisa
mosse leggermente la gamba ferita e avvertì una forte fitta di dolore e la
testa prese girarle, mentre la vista si appannava e il volto di Will scompariva
per diversi secondi, sostituito da diverse luci che le si accesero davanti agli
occhi. Le orecchie le fischiavano, escludendo la domanda di Will e sentì il
contenuto dello stomaco risalirle il petto, incendiandolo con il suo retrogusto
acido.
La
mano di Will si posò su una guancia, mentre lei recuperava rapidamente l’uso
della vista e dell’udito – Che è successo Louisa? Sei pallida e sudorante, ti
sei sentita male ancora? –
Louisa
non rispose, lo stomaco era ancora contratto e rischiava di vomitare addosso a
Will se avesse osato aprire bocca in quel momento – Vuoi provare a fidarti di
me? E vedere se il medicinale fa effetto? – Louisa tentò di annuire, ma la
nausea le provocò un'altra ondata di vertigini e ricadde stancamente sui
cuscini. Si passò una mano sulla fronte, bagnata di sudore, per quel piccolo
sforzo che aveva appena fatto.
Da
sola, senza l’aiuto di Will, non sarebbe mai riuscita a raggiungere la casa di
Fen e non avrebbe potuto mandare avanti la sua ricerca – Will, – disse con voce
incerta e strascicata – Mi daresti quel farmaco? E anche dell’acqua? – vide
Will annuire, passandole un lembo del lenzuolo sulla quale era stesa sulla
fronte – Mi allontano qualche secondo, non cadere nel frattempo. – Will le dava
spalle aprendo e chiudendo i cassetti dei mobili e Louisa fu presa da un fiotto
di rabbia improvvisa.
Non
era colpa sua se stava così male, o meglio era colpa sua che non aveva dato
retta a Jason, ma se quel ragazzo l’avesse avvertita delle trappole, lei non
sarebbe finita in quel lettino, in un ambulatorio nelle Highlands con la gamba
talmente malconcia da non poterla muovere.
Quando
Will riapparve accanto a lei, con un bicchiere d’acqua in mano e una siringa
nell’altra, la mente di Louisa aveva deciso che la colpa di quella situazione
era tutta da attribuire a Jason e al suo modo di fare irritante e strafottente.
-
Ti do una mano a tirarti su? – Louisa scosse lentamente la testa e provò a
puntarsi sui gomiti, cercando di non muovere la gamba. Quel piccolo gesto le
bastò a mozzarle il fiato e sarebbe ricaduta all’indietro se Will non l’avesse
sostenuta, mettendole prontamente una mano dietro la schiena – Non è normale
che tu stia così male. – il ragazzo si morse il labbro, visibilmente
preoccupato e aiutò Louisa a tornare stesa – Speravo che riuscissi a stare
seduta qualche secondo senza aiuto, ma è meglio se tiro su la testiera. – le
dirò su lo schienale, permettendole di stare semistesa e di non pesare troppo sulla
gamba malconcia – Va meglio così? – domandò passandole il bicchiere d’acqua,
che Louisa bevve avidamente con bocca secca e la lingua in fiamme – Grazie –
disse con un sospiro soddisfatto, – Va molto meglio. Grazie. – guardò la siringa
che Will teneva in mano – Che ci devi fare con quella? – il sangue le defluì
dal viso. L’ago era incredibilmente acuminato e l’idea che potesse bucarle la
pelle le faceva rizzare i peli lungo le braccia. Ritrasse il braccio, mentre
Will le posava una mano sulla spalla – Louisa, guardami. Non ti faccio nulla se
non vuoi, puoi ancora decidere di non farlo e riposarti qui finché non ti
sentirai meglio. –
-
Quel farmaco aumenta sul serio la soglia del dolore? Riuscirò a muovermi? –
chiese, tenendo sempre sott’occhio la siringa.
-
Non dico che correrai la maratona, avrai comunque bisogno d’aiuto per
camminare. La tua era una ferita abbastanza profonda..-
-
Fammela! – lo interruppe lei – Io detesto gli aghi, quindi fammela, prima che
cambi idea. – chiuse gli occhi, cercando di cancellare dalla mente l’idea che
quel ragazzo appena conosciuto stesse per pungerla.
Odiava
gli aghi più di ogni altra cosa al mondo, era più forte di lei, come ne vedeva
uno iniziava a sudare freddo e desiderava fuggire il più in fretta possibile.
-
Come ti chiami? – chiese Will ad un tratto. Louisa spalancò gli occhi – Come,
come mi chiamo? Louisa, no? – Will ridacchiò, mentre si infilava i guanti e
metteva del disinfettante scuro su una garza.
Will
le tirò su una manica della camicia, appena sotto la spalle – So che ti chiami
Louisa, quello che intendo dire è che non ci siamo presentati. Io sono William
Caimbeul, prima che mi muori di paura, volevo almeno fare una presentazione
decente. –
Louisa
sentì il fresco del disinfettante sulla pelle – Credevo che a voi scozzesi non
importasse nulla delle presentazioni. – rispose non riuscendo a distogliere lo
sguardo dal proprio braccio e da William, che la teneva dolcemente con la mano
inguantata, tendendole delicatamente la pelle.
Con
la mano libera Will la prese sotto il mento e la costrinse a guardarlo,
distraendola dalla tensione che saliva dentro di lei e che le irrigidiva i
muscoli – Chi ti ha detto questo? –
-
Non me lo ha detto, me lo ha fatto capire. – gli occhi corsero a fissare con
astio la porta dell’ambulatorio chiusa.
-
ah, Jason! – disse capendo a chi si riferiva Louisa - Non è una cima in fatto di educazione,
soprattutto con gli estranei. Quando eravamo piccoli e ancora non ci
conoscevamo mi ha tirato una mela in testa. Peccato che fosse una mela del
nostro frutteto. – Louisa tornò a guardarlo con un mezzo sorriso. Non riusciva
a immaginarsi qualcuno tirare una mela addosso a un ragazzo così gentile e
premuroso – E tu che hai fatto? – chiese incuriosita.
-
Gli ho rotto un braccio – disse Will sorridendo al ricordo – Non l’ho fatto
apposta, è scivolato ed è caduto dall’albero su cui si era arrampicato quando
l’ho inseguito. Fatto! – disse soddisfatto.
Louisa
sentì premere il braccio e vide che Will le teneva la garza contro la pelle – Che
hai fatto? – chiese, domandandosi se per caso lui le avesse già fatto
l’iniezione senza che lei sentisse nulla.
-
Ti ho punto, che domande! Comunque non mi hai risposto, mi dici il tuo nome e
ci presentiamo in maniera decente? – prese una piccola scatola gialla e rossa
vivo e ci buttò dentro ago, siringa e guanti, mentre aspettava che Louisa si
decidesse a rispondere.
Louisa
sospirò, Will la spiazzava terribilmente. Raramente vedeva ragazzi che non
fossero membri dell’Istituto, e le era stato esplicitamente proibito parlarci
se non per chiedere indicazioni stradali – Louisa Van Der Meer. – disse infine
– William, grazie per avermi aiutata e tutto il resto. –
Come
il farmaco iniziò a fare effetto, Louisa si sentì un po’ stanca e sudata, ma
muovendo la gamba, non le arrivavano più fitte lancinanti, ma solo un
sensazione sorda e pulsante che non riusciva a identificare correttamente – Come
hai fatto? – chiese ruotando leggermente il piede per saggiare la sua nuova
resistenza. Will le fu accanto e ne osservò incuriosito i movimenti – Non ne ho
la più pallida idea. Era un bolo intramuscolo; il rilascio e
l’assorbimento dovevano essere
ritardati, così avevi più tempo per muoverti. – si spostò ai piedi del lettino
e osservò la gamba con aria clinica – Fermami se ti faccio male. – spinse il
piede di Louisa, poi ruotò il collo del piede, cercando di far lavorare tutti i
muscoli della gamba. La ragazza sentì poco più di un fastidio, come se le
prudesse qualcosa sotto la pelle, all’altezza della ferita – Prova a far forza
Louisa, spingi. –
-
Spingere cosa? –
-
La gamba, fai forza, spingi contro le mie mani, ma se senti dolore fermati
all’istante. – Louisa obbedì e iniziò a spingere con forza la gamba, ma non sentì
dolore, anzi, si sentiva sempre meglio e provò a spingere più forte,
costringendo Will a contrastarla seriamente.
Louisa
smise di spingere improvvisamente e le guance si infiammarono, rendendosi conto
che stava ammirando le curve dei bicipiti di Will messi in risalto dallo sforzo
fisico.
Ritrasse
il piede di scattò e fissò il muro, sperava ardentemente che Will non avesse
notato il suo disagio, ma da quel che aveva capito di Will, aveva diversi dubbi
– Ti sei fatta male? – chiese il ragazzo.
-
No, – disse senza guardarlo – Anzi, sto molto bene, non sento più nulla alla
gamba, come se non mi fossi mai fatta niente. –
Will
le rivolse uno sguardo dubbioso, mordicchiandosi il labbro inferiore prima di
porgerle la mano – Ti va di provare a scendere e fare qualche passo? - Louisa annuì vistosamente e accettò la mano
che le Will le tendeva. Saltò, quasi letteralmente, giù dal lettino; come mise
i piedi per terra constatò, con sorpresa, che la gamba non le faceva male,
aveva solo un insistente prurito dove era stata ferita, ma per il resto si
sentiva riposata e piena di energie; se glielo avessero proposto, avrebbe
scalato l’Everest.
Accompagnata
da Will, che la teneva saldamente per la mano e sotto il gomito, fece avanti e
indietro diverse volte dalla porta al lettino, strappando a Will un sorriso
soddisfatto e un sguardo di pura ammirazione – Devo dire che ti muovi come un
cacciabombardiere. Con la ferita che avevi avresti dovuto fare mesi di
riabilitazione. Sei forse un miracolo della scienza medica? – chiese prendendo
il sfigmomanometro e il fonendoscopio in mano – Ti misuro di nuovo la
pressione. Prima di uscire da qui voglio che sia tutto in ordine. –
-
O forse, – disse Louisa, porgendo il braccio – Ho avuto un ottimo medico. –
Will
le fece cenno di tacere, mentre sgonfiava per la seconda volta il bracciale nel
giro di mezzora – Hai una pressione ottimale nonostante tu abbia perso
parecchio sangue. Vorrei dare un’occhiata alla ferita e vedere se la fasciatura
regge. – si mosse verso di lei, ma Louisa si scostò malamente, guardandolo
torva, proteggendosi contemporaneamente la gamba con
la mano – Nonn ce n’è bisogno. Credimi. Se sentissi che qualcosa non va te lo
direi, okay? – il suo istinto le urlava a gran voce di non scoprire la gamba, e
nel corso degli anni, l’istinto le aveva salvato più di una volta la vita.
Will
le sorrise rassicurante, mentre alzava le mani arrendevole – Va bene. Non ti
controllo la gamba per il momento, ma se vedo anche un solo cenno di cedimento
sul tuo volto, una singola goccia di sudore o segni di pallore, ti controllerò
dalla testa i piedi e non accetterò un no in risposta. Sono un medico; e se
devo passare sopra le persone con un carro armato per salvarle, lo faccio. –
-
Ma.. –
-
Ma è una congiunzione avversativa che va a contrastare quello che ho appena
detto. Quindi, o fai quello che ti dico, o ti faccio una fiala di morfina e ti
stendo finché non mi ascolterai. Puoi scegliere. – si guardarono negli occhi
per alcuni secondi e Louisa constatò che Will non scherzava: le avrebbe
sul serio dato la morfina se lei non gli
avesse dato retta. Abbassò gli occhi, confusa per aver perso quello scontro di
volontà – Credevo che si potessero rifiutare le cure mediche. – disse con un
filo di voce.
Will
la sentì – Non nei casi di emergenza. – disse mettendole entrambe le mani sulle
spalle – Ora muoviamoci, o tra un po’ farà buio e non vedremo più nulla. – Will
si diresse alla porta e aprendola fece cenno di precederla in corridoio, mentre
lui spegneva le luci.
Louisa
aspettò che Will si richiudesse la porta alle spalle, prima di guardarsi
intorno. Sul corridoio, avvolto dalla semioscurità, si affacciavano diverse
porte il legno scuro, e la carta da parati verde con disegni color panna, e il
silenzio totale, le davano la sensazione
di soffocamento e di malattia mortale.
Un
brivido scosse Louisa dalla testa ai piedi – Non devi avere paura, – disse Will
indirizzandola verso la fine del corridoio dove si intravedevano le scale – È
una casa vecchia e piena di scricchiolii, ma non c’è nulla di cui aver paura. –
Louisa
accarezzò la colonnina della balaustra, ammirandone gli intagli a forma di
fiori e tralicci – Tutte le vostre case sono così? –
-
Da quel che ho capito, hai visto la casa di Jason, – disse Will con un sospiro
iniziando a scendere le scale due a due – Sono stili parecchio simili, ma devo
dire che Miss Marple sarebbe orgogliosa di quella di Jas. –
-
Miss Marple? – ripeté Louisa seguendo Will e domandandosi chi mai potesse
essere quella donna.
-
Mai letto Agatha Christie? – alla domanda di Will, Louisa scosse lentamente la
testa, bloccandosi a metà delle scale.
-
Scriveva romanzi gialli. Miss Marple è una dei suoi protagonisti – spiegò Will,
voltandosi a guardarla da un paio di gradini più in basso – Quando torniamo, se
vuoi sapere qualcosa di più su di lei, ti presto uno dei miei libri. –
Louisa
riprese a seguirlo, domandandosi come facesse Will a fidarsi così tanto di lei
da dirle che le avrebbe anche prestato uno dei suoi libri. Lei, non avrebbe mai
potuto dare i suoi a qualcuno, non li avrebbe prestati nemmeno a quelli che
considerava dei fratelli, figurarsi a un ragazzo che conosceva da poche ore.
Will
le posò gentilmente una mano sulla spalla – Louisa, mi stai ascoltando? –
domandò Will, richiamandola alla realtà.
-
Cosa scusa? Stavo pensando a delle cose. –
-
Ti ho chiesto: vuoi che ti presti una delle mie giacche? Sono un po’ grandi per
te, ma la tua si è tutta rovinata e macchiata di fango ed erba. – Louisa si
fissò le scarpe e il pavimento sentendosi di nuovo bollente in faccia.
Ormai
era certa che Will fosse così gentile di natura, anche se prima, quando l’aveva
minacciata di usare la morfina, aveva uno sguardo che lei non avrebbe mai osato
sfidare. Se fossero stati nemici, Louisa avrebbe tremato sotto quegli occhi
grigi - Sei gentile, ma preferirei rifiutare. Voglio dire, posso stare anche
senza giacca. Stamattina c’era solo un po’ di vento e cielo coperto. –
-
Peccato che abbia piovuto fino a un’ora fa e la temperatura si sia abbassata.
Insisto, Louisa. – le porse una giacca marrone, invitandola ad infilarsela e
Louisa capitolò con un mezzo sorriso. Le parole e le premure che Will le
riservava, iniziavano a mettere in difficoltà le sue capacità di porre dei
rifiuti razionali.
Si
abbottonò la giacca fino al collo e guardandosi allo specchio, Louisa si sentì
un palombaro.
A
William sarebbe sicuramente finita a metà coscia, mentre a lei arrivava oltre
il ginocchio, coprendo totalmente i pantaloni bruciacchiati e strappati. Le maniche
le coprivano interamente le mani, e il tessuto le pesava terribilmente sulle
spalle facendola incurvare.
Sentì
qualcuno scoppiare a ridere non distante da lei e Will
-
Un sacco di patate sarebbe sicuramente più a suo agio di te! – allo specchio vide
Will alzare gli occhi al cielo e girarsi verso la porta alle loro spalle.
-
Jason! Essere un po’ gentile, mai? – voltandosi lentamente, impacciata dalla
giacca di Will, Louisa vide due brillanti occhi azzurri fissarla da sopra il
divano.
-
Mi hai fissata per tutto il tempo? – domandò portandosi le braccia al petto e
guardandolo, con quello che sperava fosse uno sguardo furioso.
Il
sorriso di Jason si allargò, scavando due fossette ai lati delle labbra – Io
sono gentile Will, è la nostra ospite
che mette a dura prova quel lato del mio naturale ed esuberante carattere.
Quando guardo i suoi occhioni grigi spalancati nel vuoto, il mio desiderio
principale è quello di strapazzarla per bene. Comunque esci? E ti porti via
l’uccello del malaugurio? – domandò spostando lentamente lo sguardo da Louisa a
Will.
L’ondata
di rabbia che aveva travolto Louisa, quando lui era uscito sbattendo la porta,
la riavvolse come un mantello ed entrò nella stanza a passo di marcia con le
mani chiuse a pugno lungo i fianchi – Come scusa? – chiese cercando di
mantenere un tono di voce calmo e distaccato.
Jason
continuò tranquillamente a guardare oltre Louisa, nella direzione di Will, che
ancora non aveva emesso un suono – Dovresti tenere a bada i tuoi animaletti,
Will. Alcuni sono troppo estroversi e potrebbero dare fastidio. –
-
Senti un po’ bellimbusto, ma come ti permetti di parlarmi così? E poi chi
sarebbe l’uccello del malaugurio? –
Jason
si grattò distrattamente il collo – Sai quando a casa mia ti ho detto di non
toccare nulla e tu, ovviamente hai
dovuto fare di testa tua, credevo solo che fossi solo un po’ tarda, ma ora mi
ricredo: tu soffri di stupidità mentale congenita e scusa la franchezza, porti
anche un tantinello sfiga. –
-
Sfiga? – domandò Louisa sbattendo gli occhi e facendo un mezzo passo indietro.
-
Sfiga: avversità, sfortuna, scalogna, disgrazia, fatalità, iella. Chiamala come
ti pare. Ogni parola ti rappresenta perfettamente. – scartò la testa all’indietro
evitando lo schiaffo che Louisa provò a dargli, non resistendo più all’impulso
di far sparire quel ghigno – Ma visto che sono una persona gentile ti farò un
rapido riassunto della situazione e ti farò partecipe delle mie conclusioni:
primo: hai fatto suonare l'allarme messo ai confini di casa mia e mi hai svegliato
da un bellissimo sogno fatto di stupende donne formose, arcobaleni e unicorni;
e sono di pessimo umore quando mi svegliano. Secondo: mentre mi vestivo in
fretta e furia per vedere chi era il cretino che cercava di forzare una casa
visibilmente vuota, ho sbattuto l'alluce contro la cassettiera facendomi un
gran male, tra parentesi, lo aggiungo alle spese mediche che mi rimborserai.
Terzo: non ho più una casa, l'hai fatta saltare e mi sono riempito di schegge
di metallo e legno la schiena. Ora, correggimi
se sbaglio, ma converrai con me che porti sfortuna. Comunque è appena
mattina, farai tranquillamente in tempo a far esplodere una bomba
nucleare e farti rapire. -
Louisa
inspirò bruscamente, pronta a fare una tale tirata a Jason che, se tutto andava
come lei voleva, gli sarebbero venuti i capelli bianchi, quando la mano di Will
la trattenne per una spalla – Lascia perdere, – le disse gentilmente – Jason è
uno che non si batte a parole. E poi non ne vale la pena. –
-
Potrei stenderlo come un tappetino per il bagno. –
Jason
incrociò le braccia al petto, guardandola divertito – Anche a me piacerebbe
stenderti tesoro, ma visto quanto sei piatta non ci sarebbe gusto. – Louisa
sentì la presa sulla sua spalla farsi più pressante, mentre desiderava
acchiappare Jason e ridurlo alla dimensione di una molecola. Con quel ragazzo
il detto: “porgi l’altra guancia”, veniva messo a dura prova anche se al suo
posto ci fosse stato un angelo.
-
Andiamo. – la incalzò Will all’orecchio – Faremo tardi. – Louisa inspirò
profondamente, cercando di calmarsi e di ritrovare la lucidità.
-
Va bene, Will! Spero almeno di riuscire a trovare l’anello. –
Mentre
si girava Jason la afferrò per un polso, stringendo fino a strapparle un gemito
– Sei ancora a caccia dell’anello di Fen? Hai deciso di fare altri danni, oltre
al farmi saltare per aria la casa? – Louisa tornò a fissarlo torva, mentre
strattonò il braccio cercando di liberarsi dalla sua presa che non cedeva di un
millimetro – Non smetterai mai di torturarmi con il fatto che la tua casa è
esplosa, vero? – domandò dando al ragazzo un forte pizzicotto sul dorso della
mano, cercando di liberarsi di lui.
Jason
sorrise mellifluo – Non in questa vita. Magari tra sette od ottocento
reincarnazioni, se ci incontreremo
ancora, ti perdonerò. -
-
Grazie, ma non mi serve il tuo perdono, mi basta che ti mordi la lingua o che
conti fino a cento prima di parlare –
Il
ragazzo alzò un sopracciglio, sembrava visibilmente incuriosito da Louisa,
quasi guardasse al microscopio una specie rara e sconosciuta – Sai quante
offese potrei inventare contando fino a cento? Mi dai un bel vantaggio.
Comunque ne possiamo discutere per strada.
Togliti quella giacca, cammini come un papero idrofobo. –
-
Come cammino scusa? –
-
Sei sorda oltre che stupida? – domandò Jason – Ho detto togliti quella giacca,
è troppo grande per te. Te ne presto una delle mie, dovrebbe andarti meglio. –
Jason passò oltre Louisa e Will e si diresse all’ingresso, prendendo un
cappotto scuro per se e una giacca di pelle, rivestita di lana marrone e la
porse a Louisa – Questa dovrebbe andarti meglio, almeno finché starai zitta non
farò la figura di uno che va in giro con una deficiente. –
-
Smettila di offendermi! E poi chi ti ha detto che tu vieni con noi? – seguita
da Will, Louisa raggiunse Jason, ma rifiutò la giacca nera che lui le porgeva
per stringersi in quella di Will.
-
Io non vengo con voi. Io vengo con te. Voglio che Will rimanga casa. – guardò
il suo amico per lunghi istanti, scambiandosi occhiate eloquenti, che a Louisa
sembravano valere discorsi interi.
-
Ce la farai lo stesso? – chiese Will a un tratto.
-
Se mi dà retta, sarò di ritorno per l’ora di cena. –
Will
fece un passo indietro e guardò Louisa, che stava cercando di capire che cosa
si fossero detti con gli occhi – Ok – disse il ragazzo – Ma prenditi cura di
lei. È ancora sotto osservazione. –
Louisa
si rivolse a Will, affondando le mani nel cappotto – Perché non puoi venire tu?
Jason è.. – si fermò cercando una parola che potesse descriverlo perfettamente,
ma non gli venne in mente nulla.
-
Una distrazione dannatamente sexy e affascinante? Lo so piccola, ma sentirmelo
dire non fa mai male, aiuta a mantenermi modesto, quindi ti prego, prosegui. – interruppe
lui guardandosi le unghie perfettamente curate.
-
..così! – aggiunse Louisa indicandolo – Vuoi veramente mandarmi con lui? –
Louisa iniziava a sentire il cuore accelerare al pensiero di passare il
pomeriggio con Jason. Ogni parola che quel ragazzo pronunciava era, o una
stilettata al suo ego, o uno stimolo per suo centro della rabbia.
Jason
scoppiò a ridere, mentre Will le faceva un sorriso rassicurante – Mi fido di
Jason. Con lui sei al sicuro, più di quanto tu non possa esserlo con me. –
-
A meno che non la rapiscano gli alieni. In quel caso lascerei perdere. – Louisa
si voltò di scatto per fissare torva Jason, che le fece un sorriso malizioso a
trentadue denti – Tranquilla. Non lascio le fanciulle in difficoltà e dal quel
che ho potuto tastare quando ti ho preso in braccio, sei decisamente una
fanciulla, anche se piatta come un tavolino Ikea –
Louisa
non sapeva più come rispondergli e si accontentò di diventare rossa fino al
collo – Mi hai palpato quando ero svenuta? – non riconobbe la propria voce,
mentre la gola le bruciò per la rabbia repressa.
-
Ogni singolo centimetro. Esaminata tutta, – lanciò un occhiata eloquente al
petto, per poi far scorrere lo sguardo sul resto del corpo – Sai, dovevo
controllare che tu non avessi ferire interne. – Louisa sentì i due ragazzi
scoppiare a ridere, mentre sapeva, di essere diventata ancora più rossa di prima.
-
Jas, smettila di prenderla in giro! – disse Will guardandola in faccia con gli
occhi che gli brillavano per le risate – Non vedi che la fai sentire a disagio?
Tranquilla, Jason è un gentiluomo, non toccherebbe mai una donna senza aver
avuto prima il permesso, ma gli piace prenderle in giro e far credere a tutte
che sia un amante fantastico. –
-
Io sono un amante fantastico. – aggiunse lui – Ora, per favore, levati la
giacca di Will. Quella che tengo in mano da un’ora come un attaccapanni, ti
terrà più al caldo. – sentendo il tono gentile di Jason, Louisa capitolò e
prese tra le mani la giacca nera che le porgeva. Era morbida e liscia al tatto,
anche se un po’ consumata e opaca – Hai detto che sei un amante fantastico, –
aggiunse lei, sbottonandosi la giacca di Will per poi allungarla verso il
proprietario – Chi lo dice? –
Jason
alzò un sopracciglio, visibilmente incuriosito dalla domanda, per poi farle un
altro sorriso di scherno – Vuoi provare? Perché di sopra c’è camera mia e..-
-
Non hai capito, – disse lei interrompendolo – lo dici tu, o lo dicono le donne
con cui sei stato? –
-
Vuoi le referenze piccola? Te le posso far avere nel giro di un’ora. –
-
Sono così poche? – chiese Louisa con un attacco di perfidia, mentre il sorriso
le si apriva – Allora non sei così bravo come dici. Forse, vorrei parlarci con
queste donne, solo per farmi quattro risate nei momenti di noia. -
Il
sorriso di Jason si smorzò di un paio di molari, mentre una vene sul collo si
gonfiò visibilmente – Okay, ammetto di essermelo meritato, ma tesoro, – si
avvicinò fino a trovarsi a pochi centimetri da lei, sovrastandola totalmente –
non provocarmi, non sono Will e non sono per niente gentile come lui. Io
accetto sempre le sfide. – Louisa sentì il calore propagarsi a ondate dal corpo
di Jason, nonostante tra di loro ci fossero diversi strati di vestiti a
proteggerli. Fece un passo indietro, bisognosa di mettere distanza fra lei e
quel ragazzo arrogante e sfacciato – Io non mi chiamo né piccola, né tesoro.
Per te sono signorina Van Der Meer. – si
girò verso Will, che osservava silenzioso e rilassato lo scambio di battute – Se
fa piacere Will puoi continuare a chiamarmi Louisa – proseguì, sentendo la
rabbia svanire guardando il viso gentile del ragazzo, certa che a Jason avrebbe
dato fastidio il tono pacato e confidenziale che usava con Will – Davvero non
vuoi venire con noi? Mi salveresti da una noia mortale. – fece un ultimo
tentativo per avere vicina una delle poche persone realmente gentili che lei
avesse mai conosciuto, ma si rattristò
quando vide Will scuotere la testa – È meglio se vai solo tu con Jason, anche
se penso che vi scannerete a parole a vicenda, lui ti proteggerà: è un esperto
di arti marziali e mi fido del tuo buonsenso.. –
-
Come della sua fortuna? Perché avrebbe bisogno di un buon esorcismo in quel
caso. – interruppe Jason aprendo la porta di ingresso.
-
Ha avuto fortuna. – ribeccò il biondo - Ha incontrato te al momento del bisogno – Will
le tirò su la zip della giacca che Jason le aveva prestato – Spero che troverai
quello che cerchi –
Louisa
gli prese la mano, cercando le parole giuste per ringraziarlo – Lo spero anche
io. Grazie per le cure e per l’iniezione di prima, sto davvero bene ora.
Comunque non so quanto sia stata fortunata a incontrare Jason, riesce a farmi
arrabbiare costantemente –
Jason
si voltò, mentre rigirava tra le dita un paio di chiavi – Sono un toccasana per
la gente con la pressione bassa. E piccola, quando ti ho preso in braccio,
credimi se ti dico che avevi la pressione ai minimi storici. L’ho fatto per te,
ma potrai ringraziarmi insieme al conto della mia parcella da medico –
Louisa
boccheggiò per un paio di secondo – Sta scherzando vero? Lui non può essere un
medico, quale università malate gli ha dato una laurea in medicina? – Will le
mise le mani sulle spalle, rassicurandola con il suo gesto - No, non lo è, ma è un gran sbruffone.
Non farla morire di paura con la tua guida. – disse all’amico.
-
Non ti preoccupare Will, – disse Louisa, prima che Jason potesse infilare una parola
- Mi stringerò bene addosso la cintura di sicurezza. – varcò l’ingresso,
stringendosi nella giacca del ragazzo, profumava di felci, salsedine e di
ragazzo. Le girò lievemente la testa investita da quell’odore penetrante e
aromatico.
-
Guarda che non andiamo via in auto, – disse Jason aprendo un armadietto accanto
la porta e tirando fuori un paio di caschi scuri – Prendiamo la mia moto.
Sempre che tu non preferisca camminare due ore. –
Louisa
aprì la bocca, pronta dire che preferiva di gran lunga camminare piuttosto che
affidare la sua vita a un megalomane moro in moto, ma le parole che poco prima
Will le aveva detto la fecero desistere.
E
poi Jason era ancora vivo, tanto folle non doveva essere.
Prese
il casco più piccolo che Jason le offrì, cercando di capire come metterlo a
prima vista dato che non era mai salita su una moto in vita sua. Studiò i
movimenti del ragazzo, che faceva sembrare tutto facile e intuitivo.
Con
la visiera scura abbassata, Jason si rivolse verso di lei. – Che c’è? Non sai
mettere il casco? – Louisa si morse la lingua per non dargli una risposta
tagliente e scosse lentamente la testa – Non sono mai salita in moto, nemmeno
su un motorino. –
Anziché
scoppiare a ridere, come si sarebbe aspettata che facesse Jason, lui le prese
gentilmente il casco dalle mani – Dai qua, se te lo metti male può diventare
pericoloso e inutile. Meglio che faccia io. – le raccolse i capelli castani,
indicandole come tenerli fermi, mentre lui tirava le alette del casco,
facendoglielo scivolare dolcemente sul viso – Ti da fastidio? Lo senti scomodo?
– la voce di Jason arrivava attutita dal casco, come se si trovasse
improvvisamente sott’acqua.
Scosse
la testa, cercando di recuperare il senso offuscato, e il peso del casco la
rintronò, facendole perdere l’equilibrio.
Jason
la afferrò prontamente per il polso prima che potesse cadere e la tirò a di sé
– Non fare movimenti bruschi, o ti girerà la testa. Ora, alza il mento che ti
assicuro il casco. – un brivido scorse sulla schiena di Louisa, quando le mani bollenti
di Jason le alzarono il mento e armeggiarono velocemente con le cinghiette – Se
ti devi togliere il casco di corsa premi qui. – le mise un dito su un bottone
appena accanto all’allacciatura – È l’apertura rapida. –
Jason
la tenne stretta a sé mentre attraversavano il cortile; con il casco sulla
testa, Louisa faceva fatica a infilare correttamente un piede dietro e l’altro
e se non ci fosse stato il ragazzo a guidarla sarebbe caduta dieci volte in
dieci metri.
Il
ragazzo sfilò via il telo che copriva il mezzo, rivelando una moto color verde
brillante e nero satinato. Louisa alzò la visiera del casco.
Ora
che la vedeva da vicino preferiva di gran lunga andare a piedi, piuttosto che
affidarsi alla guida del ragazzo.
Per
quel che ne capiva, la moto rifletteva esattamente il carattere di Jason:
esibizionista, tagliente e sfrontata.
Jason
si mise a cavalcioni sul mezzo e incrociò le braccia, aspettando che lei si
decidesse a salire – Che ti prende? hai paura di scompigliarti i capelli? – la
voce di scherno di Jason le arrivava attutita dal casco, ma le rimbalzò nel
cervello come un elastico – Fatti in là! – ancora prima di rendersene
seriamente conto si stava già stringendo intorno alla vita di Jason – Non
competere con me bellimbusto in moto. Anche io so accettare le sfide! – sentì
Jason ridere forte, mentre le abbassava la visiera – Tieni forte ragazzina, ho tutta l’intenzione di mettere a
dura prova i tuoi nervi –
Mentre
la moto iniziò a rallentare, Louisa sentì l’impulso di dare di stomaco e
abbracciare la terra ricoperta di erba delle colline circostanti.
Quei
dieci minuti in moto con Jason le erano costati vent’anni di vita, dei
probabili danni irreversibili alle corde vocali per il troppo urlare, e il
giuramento di non salire mai più in moto con un arrogante menefreghista come
Jason. Prima che la moto fosse completamente ferma saltò giù, attutendo
l’impatto con il terreno con le ginocchia e strappandosi il casco dal volto – Tu!
Sei un pericolo pubblico! Si può sapere a quanto andavi? –
Jason
si prese tutto il tempo di sfilarsi il casco con calma e guardarla con quel
largo sorriso strafottente, che gli delineava le fossette e faceva saltare
tutti i nervi di Louisa. Se la ragazza non fosse stata tanto felice di
risentire la terra sotto i piedi gli avrebbe tirato un calcio sugli stinchi – L’ultima
volta che hai gridato, e tra parentesi devi aver superato la barriera del
suono, eravamo a 184 chilometri orari, ma potevo spingerla a dare di più, - si
passò la mano fra i capelli mori, scompigliandoli più di quanto non avesse
fatto il casco – Ma ci sono andato con il piede leggero, visto che era la tua
prima volta. –
-
Piede leggero? Quello lo chiami piede leggero? – gli lanciò il casco e si voltò
incrociando le braccia al petto. Il cuore le batteva violentemente contro la
gabbia toracica e i polsi le tremavano a tal punto che non riusciva a tenere le
mani ferme.
Jason
si avvicinò di soppiatto a la afferrò per la vita, stringendola contro di lui,
facendole sentire tutti i muscoli tesi e l’eccitazione del ragazzo – Mi piace
correre. Mi piace sentire il vento addosso, mi piace sentire l’adrenalina
scorrermi nelle vene e il cuore accelerare per ogni curva fatta da Dio. Che
senso ha vivere se non faccio le cose che mi danno piacere? –
Louisa
di districò da quella presa e mise qualche passo tra lei e Jason – A volte
bisogna vivere per il bene degli altri. Cosa penserebbe Will se ti ammazzassi
in un incidente? –
-
Che sono morto facendo quello che amavo. Io voglio bene a Will, è il mio
migliore amico e sono disposto a tutto per proteggerlo. E ora, non voglio che
tu lo coinvolga in quello che stai facendo. – il sorriso scomparve dal volto di
Jason e gli occhi del ragazzo si incupirono fino ad assumere una tonalità più
scura, che a Louisa ricordava tanto una tempesta in via di formazione.
-
Che ne sai tu di quello che sto facendo? – strinse i pugni lungo i fianchi e si
morse l’interno della guancia fino a sentire il gusto del sangue.
Teoricamente
gli umani non dovevano sapere quello che si trovava appena oltre la superficie
del mondo. E non dovevano venire a conoscenza del fatto che il loro tempo era
agli sgoccioli, se Fen aveva detto a Jason tutta la verità, anche il ragazzo e
tutte le persone che lui conosceva erano in pericolo.
-
Mio padre, – disse Jason interrompendo il filo dei suoi pensieri – Mi ha detto
che una volta apparteneva a una setta di poveri pazzi che credevano che il
mondo stesse per finire per opera di demoni, e che loro dovevano assolutamente
fermarli riunendo sette sigilli per poter salvare le colonne che sostenevano il
nostro mondo. Per come la vedo io, sono una marea di fandonie inventate da dei
ciarlatani, per spillare soldi e vivere come avvoltoi sulle spalle altrui. E tu
ragazzina, con i tuoi occhioni grigi bisognosi di aiuto, con le tue maniere
falsamente gentili; per come la vedo io sei venuta qui per cercare di
convincere mio padre a rimanerne invischiato di nuovo e forse anche Will se ci
riesci, ma non pensare di poter ingannare me. – si guardò intorno, facendo una
smorfia alla vista della casa distrutta infondo alla vallata – Ti ho portato
qui, come volevi, ora trova quello per cui sei venuta e non disturbarci mai più.
Will non ha bisogno di una fanatica come te nella sua vita, e non ti permetterò
di rovinargliela come i tuoi padroni hanno fatto con mio padre.-
Louisa
deglutì, il nodo alla gola le dava fastidio e non sapeva se arrabbiarsi per le
parole che Jason aveva usato per i Custodi o mettersi a piangere per una tale
prova di fedeltà - Non voglio rovinare
la vita a nessuno, Jason. Voglio solo l’anello di Fen. – seguì la linea dello
sguardo del ragazzo, fino a fermarsi sulla casa.
Le
fondamenta di pietra e sassi erano annerite dall’incendio e le mura sventrate
dall’esplosione, erano in frantumi e sparse per un raggio di una decina di
metri intorno alla casa. Il legno che sorreggeva i controsoffitti e il contro
tetto era crollato su se stesso, completamente carbonizzato, ne rimaneva solo
lo scheletro annerito.
Louisa
si toccò una guancia asciugandosi una lacrima sfuggita al suo rigido controllo,
non aveva mani assistito a una devastazione simile in vita sua – Mi dispiace –
sussurrò. Non le vennero in mente altre parole da dire a quel ragazzo che si
era dimostrato scontroso e arrogante. Eppure alla vista di quella casa
distrutta Louisa si sentì vicina a Jason.
Con
i suoi modi di fare impulsivi lo aveva privato, non solo delle sue proprietà
materiali, ma anche dei ricordi di una vita intera e del l’unico legame
rimasto con il padre adottivo – Mi
dispiace veramente, Jason. – parlava talmente tanto piano che non era sicura di
aver detto veramente qualcosa – Cercherò di rimediare in qualche maniera, anche
se gli oggetti che c’erano dentro sono andati per sempre. –
-
Non mi importa di quello che è bruciato, non entravo in quella casa dal giorno
del funerale, se volevo qualcosa lo avrei già portato via. Quello che mi ha
lasciato veramente Fen è qualcosa che non si più toccare con mano. Comunque non
puoi ancora avvicinarti a quelle rovine. Vedi il riverbero? Alcune braci devono
essere ancora accese. Quella casa è una fornace in questo momento. –
Louisa
annuì, troppo sconvolta per dire qualcosa. Aveva portato lei tutta quella distruzione
in un solo momento, aveva trattato male Jason nonostante lui le avesse salvato
la vita e se stava rendendo conto solo ora – Jason, per quello che hai detto
prima, – fece un gran respiro, cercando di calmare il cuore impazzito. L’istinto
le gridava di mettere più strada possibile tra lei e quella casa, ma per una
volta lo zittì, decisa a dire qualcosa di più a quel ragazzo – Quello che tu
sai di Fen o del mondo da cui provengo non è del tutto corretto. Nessuno chiede
soldi a nessuno, e per me e mia madre l’Istituto da cui arrivo è stata l’unica
cosa che ho mai conosciuto. Ci hanno accolto a braccia aperte quando nessuno ci
voleva..-
-
Mon credo che mi interessi. – disse Jason freddo – La storia della tua vita non
è affar mio, anche perché ora te ne andrai. – Louisa incrociò il suo sguardo
rimanendo raggelata dalla durezza del viso di Jason – Ti ho portato qui solo
per farti vedere il casino che hai combinato e per allontanarti da Will, quello
che farai appena me ne andrò sono affari tuoi. –
Louisa
represse l’impulso di rispondergli male, mentre un allarme nella sua testa
esplose con tanta violenza da appannarle la vista per un secondo – Dobbiamo
andare via. – disse cercando di recuperare l’equilibrio, mentre il gusto
dell’acido dello stomaco le riempiva la gola e la bocca – Immediatamente. – la
presa di Jason si fece ferrea sul suo braccio, mentre la scrutava attentamente
in viso – Ti senti male? Ho promesso a William che non ti saresti sentita male.
–
-
No. – le parole le uscivano soffocate, mentre il senso di oppressione al
cervello schiacciavano tutti i suoi pensieri razionali. L’unica parola che si
formava nella sua mente di continuo era: “corri!”.
La
mano di Louisa corse alla camicia, cercando l’anello che teneva nascosto sotto
i vestiti, se il suo istinto aveva ragione Jason era seriamente in pericolo.
Strinse
la mano intorno al cerchietto d’oro quando una voce calda e sensuale le vece
strizzare i peli sulla nuca – Ma che bel quadretto! –
Louisa
si voltò lentamente nella direzione da cui arrivava la voce.
A
una decina di metri di distanza, appollaiato su una Jeep completamente
scoperta, un ragazzo bello come un angelo li osservava un sorriso famelico
stampato sulle labbra - Mi dispiace interrompere una scena così dolce e
romantica, ma prima che finiate per rotolarvi sull’erba in un grandiosa scopata
d’addio, io requisirei la Sigillo. - mentre parlava il sorriso non arrivò mai a
illuminare gli occhi azzurri e Louisa sentì il violento impulso di mettere dei
chilometri tra lei e lo sconosciuto.
Stringendo
l’anello nel palmo della mano, Louisa sentì il coraggio affluire dentro di lei,
sgombrando la mente dai pensieri confusi e irrazionali – Chi sei? – cercò di
mantenere calmo il tono della voce e di non far trapelare quanto fosse
impaurita.
Il
ragazzo scese dalla Jeep, avvicinandosi alla coppia con passi deliberatamente
lenti e felini. Se Louisa avesse dovuto associarlo a qualcosa, avrebbe detto
che le ricordava una tigre a caccia – Mia piccola, piccola, innocente Sigillo,–
il sorriso si allargò fino ai canini e Louisa fece un passo indietro,
soggiogata dal misterioso fascino velenoso che emanava quell’uomo – Non sono
qui per farti del male, i miei uomini mi avevano riferito che la casa di Fen è
diventata un bel falò, come se si festeggiasse l’Up-Helly-aa e sono venuto a
controllare. E cosa trovo? Una Sigillo che ci prova spudoratamente con un
ragazzo, come una puttana qualunque. Non credo che questa notizia faccia molto
piacere a Dio, non credi? -
Sentì
le mani di Jason stringerle le spalle, e si appoggiò al suo petto con la
schiena, tutti i muscoli del ragazzo era
tesi e pronti a uno scatto: anche lui percepiva quanto fosse pericoloso quel
tizio.
-
Tu, - Louisa richiuse la bocca, incapace di staccarsi da quegli occhi
ipnotizzatori – Non hai alcun diritto di giudicare! Chi sei tu per sputare
sentenze? –
Lo
sconosciuto spalancò gli occhi azzurri, per poi rovesciare la testa bionda e
riccia all’indietro e scoppiare a ridere fragorosamente – Avevo sentito dire
che i Sigilli studiavano sui Libri Sacri, che addirittura ne custodivano
alcuni, ma a quanto pare Belfagor e Abbadon si sbagliavano, voi non sapete
nulla di noi! Quello che ho di fronte è una ragazzina impaurita che trema sotto
lo sguardo di Belial, uno dei Sette Grandi Diavoli. –
Louisa
sentì un ringhio sorgerle prepotentemente dalla gola al nome di Belial e un
moto di rabbia sconosciuta le invase la mente – Sei uno dei Sette Traditori del
Cielo! Hai tradito Gabriel e il Creatore! –
Belial
si rimirò le unghie, allontanando della sporcizia invisibile con un gesto secco
delle dita – Diciamo che io e Dio
abbiamo una differenza di opinioni per quel che riguarda la gestione di quegli
animaletti striscianti che voi chiamate uomini e per quel che Gabriel, la
faccia che ha fatto quando le ho piantato un pugnale nello stomaco, valeva bene
il mio tradimento. Il suo modo di fare mi ha
sempre dato sui nervi, – lo sguardo di Belial attraversò Louisa, andando
a posarsi su Jason, che era rimasto immobile al suo posto con i muscoli tesi –
Ma queste sono cose che un essere umano non dovrebbe sentire. Dimmi Sigillo,
pensi che Dio interverrà a salvare un misero umano da un diavolo? Pensi che
aprirà il cielo e smuoverà le schiere celesti per lui? – indicò il ragazzo con
il mento, e Louisa strinse convulsamente la collana sentendo la pietra e le
incisioni del metallo, affondarle nel palmo.
Il
peso delle mani di Jason scomparve dalle spalle di Louisa – Non sono un
bambino, e ho smesso di credere nel Diavolo e in Dio, quando ho smesso di
credere in Babbo Natale. Non so che legame di follia ossessiva - compulsiva ti
lega a questa fanatica, ma ho promesso al mio migliore amico che non le verrà
fatto del male. E io mantengo sempre le mie promesse. – si mise davanti a
Louisa, prendendo una posizione che, Louisa aveva visto usare solo da alcuni
Custodi all’Istituto. Il peso del corpo di Jason gravava sulla gamba
posteriore, pronta all’attacco, mentre le mani e l’altra gamba erano pronte a
difendere qualsiasi tipo di attacco.
-
Bene, bene, - Belial allargò le braccia – Fatti sotto ragazzino. Fen era un
discreto combattente, sono curioso di vedere cosa hai appreso da lui. –
Louisa
vide un’arteria sulla tempia di Jason pulsare pericolosamente, mentre negli
occhi si accese una luce omicida.
Attaccò
Belial senza attendere oltre e provò a tirargli un calcio allo sterno che non
andò mai a segno perché il diavolo lo bloccò sul nascere puntandogli il piede
sul ginocchio – Troppo facile così. –
Jason
riprovò a attaccarlo mirando al collo con un colpo di taglio della mano, ma
Belial, si limitò a schivarlo spostandosi di lato – Non sei all’altezza di tuo
padre, i tuoi colpi sono imprecisi e deboli. –
Il
ritmo di attacco di Jason accelerò alternando calci di lato, a pugni mirati in
tutti i punti vitali di un uomo. Se davanti a se avesse avuto una persona
normale, Louisa era sicura, Jason avrebbe vinto in pochi secondi.
Il
sudore iniziò a colare lungo la fronte di Jason, mentre Belial evitò l’ennesimo
calcio mirato a fargli perdere l’equilibrio, semplicemente saltando – Come
spero che tu abbia capito bambino, io ti sono nettamente superiore. Potrei
continuare così una settimana e non avrei una goccia di sudore sulla fronte. –
si abbassò per schivare il calcio di Jason, e poi scartò di lato, evitando un
pugno che se fosse arrivato a segno, gli avrebbe sfondato il petto – Mentre tu
sgrondi, letteralmente. – afferrò il polso di Jason con una mano e lo tenne
saldamente senza sforzo apparente, facendogli un gran sorriso di scherno – Chiudiamola
qui ti va? Hai fatto quello che potevi e ti sei sfogato, sono sicuro che la
Sigillo ti aprirà la via per lo Sheol. Preparati,
o Israele a incontrare il tuo Dio! – con quella citazione biblica, tirò a
se Jason, che ormai aveva il fiatone e gli sferrò un violento pugno
all’imboccatura dello stomaco, per poi dargli un calcio rotante in viso spedendolo a tre metri di distanza.
Louisa
urlò e corse da Jason, sicura che ormai non ci fosse nulla da fare per il
ragazzo.
Il
viso di Jason era una maschera di sangue e il respiro era rantolante e
superficiale – Jason. – gli ripulì il sangue che gli usciva dalle labbra e dal
naso spaccato, mentre il viso di Jason si appannava a causa delle lacrime che
non riusciva più a fermare – Mi dispiace tanto. –
-
Saluta il tuo eroe e andiamo Sigillo, non ho tutto il giorno e ti voglio tenere
sotto controllo con un collarino fatto a posta per te. – la voce di Belial le
si inceppò nel cervello e un nuovo moto di rabbia sconosciuta prese possesso
del suo corpo, facendola tremare da capo a piedi.
Guidata
da una forza completamente nuova, Louisa si strappò la catenina dal collo e la
tenne ferma all’altezza del cuore Jason - simeni
kahowtam ‘al libbeka – non riconosceva le parole, ma le fluivano in testa
come un vecchio ricordo dimenticato e che ora riaffiorava limpido.
-
non provarci ragazzina –
-
kahowtam ‘al zeroweka, ki azzah kammawet
‘ ahabah – mise una mano sul petto di Jason, comprendo l’anello che la
identificava come Sigillo, mentre il calore delle fiamme che suggellavano la
Promessa le esplodevano lungo il braccio.
Dio,
qual è il prezzo che devo
pagare per salvare una
vita?
Nad:
non ho le forze per scrivere delle note decenti. Mi scuso per il ritardo, ma il
tirocinio mi ha prosciugata terribilmente. Ringrazio comunque tutti quello che
l’hanno letta e anche chi mi ha lasciato una recensione..spero che il capitolo
sia all’altezza delle aspettative, nonostante sia ancora l’introduzione.
Khyhan.
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Capitolo 3 *** III. Promissionen ***
3. Promissionen
Promissionem
“ Ponimi come
Sigillo sul tuo cuore,
Ponimi come Sigillo
sul tuo braccio;
perché l’amore è
forte come la morte”
Ca
8:6
Louisa
si accasciò sul petto di Jason, il braccio sinistro le pulsava sordamente e
ogni volontà di alzarsi e combattere era totalmente prosciugata dalla paura e
dalla disperazione per la salute di Jason.
-
Un bello spettacolino davvero. Erano secoli che non si vedeva un umano parlare
la lingua del Cielo, ma mia piccola Sigillo, ora è tempo di andare. I miei
amici saranno curiosi di conoscerti. Ovviamente, non giocherai con loro, sei troppo importante per dare
piacere a un branco di uomini arrapati. – la presa si Belial si strinse sulla
sua spalla e la rimise bruscamente in piedi, mentre il demone biondo si chinava
a raccogliere l’anello della ragazza – Non dimentichiamoci questo, non mi va di
portarmi dietro un Sigillo a metà. - come sfiorò il gioiello, ritrasse
bruscamente la mano – Ah! – mostrò i denti all’anello, con il bel volto
stravolto da una smorfia di dolore – Oro benedetto. Se esiste una cosa che mi
fa vomitare è proprio l’oro benedetto
con cui vi proteggete voi Sigilli. – fece un sorriso a Louisa, che senza dire
una parola, continuava a fissare completamente svuotata, il petto di Jason che
si alzava e si abbassava in maniera sempre più flebile.
La
mano di Belial salì dal collo fino alla testa. Louisa si morse la lingua
trattenendo un gemito di dolore, quando Belial le strattonò i capelli fino a
metterle a nudo il collo – Perché Dio ha scelto una ragazzina così carina per
essere un Sigillo? È una crudeltà costringermi a non toccarti fino a farti
urlare di piacere, ma questo non farà danni. Almeno non permanenti. – il morso
di Belial le strappò un grido di dolore, e sentì la pelle morbida del collo
venir risucchiata tra le labbra del ragazzo, mentre le mani di lui risalivano
sotto la giacca e la camicia, fermandosi sul reggiseno – In genere preferisco
quelle con le tette grosse, ma per un volta faccio volentieri uno strappo alla
regola. – nonostante fosse scossa per la sorte di Jason, Louisa ebbe il
violento impulso di vomitare per ciò che Belial le stava facendo, e scattò
all’indietro tornando improvvisamente in sé – Non toccarmi. – Belial la strinse
più forte, incidendole le unghie nella pelle della delicata del seno – Non così
in fretta. Ci sono altre cose che possiamo fare senza che tu ci rimetta la
verginità. Sai com’è alla fine, no? Una questione di forma. – il sangue
accelerò i battiti e le gambe di Louisa iniziarono a tremare violentemente e
tutti i suoi sensi diventarono improvvisamente più acuti stimolati dal una
nuova ondata di terrore – Lasciami! – spinse via Belial, ma nonostante Louisa
fosse un Sigillo e avesse il sostegno del Cielo, non postò minimamente il corpo
del demone, che scoppiò a riderle in faccia – Sei un Sigillo deboluccio, vero?
I tuoi predecessori non erano come te, avevano la forza per combattere quelli come me, ma questo rende tutto
incredibilmente più divertente. Dimmi, Sigillo, dov’è la tua emanazione
angelica? – Louisa lo spinse via ancora più forte, e gli graffiò il viso,
sperando di allontanarlo, mentre le lacrime le pungevano i margini degli occhi –
Aiuto! – l’eco delle voce di Louisa rimbalzò da una vallata all’altra, perdendosi
nella brughiera scozzese e la ragazza si sentì improvvisamente sola e
abbandonata.
-
Nessuno aiuta una straniera – disse dolcemente Belial a un soffio dal suo viso
scostandole una ciocca di capelli – E anche se lo facessero, non c’è nessuno a poterlo fare. Sei mia. – la
strinse ancora più forte, strappandole un grido acuto e il sapore metallico del
sangue le invase fondo della gola – Aiuto. – sussurrò chiudendo gli occhi,
troppo spaventata per continuare a guardare il demone. I tremori la scossero
violentemente, mentre sentiva la risata di Belial scuotergli il torace, mentre
le risaliva il collo, mordendola violentemente. Terrore e disperazione le si
accavallarono in mente, impedendole di formulare pensieri coerenti, non poteva
farcela da sola, ma l’unica persona che era con lei a parte Belial era..
-
Jason! – il nome del ragazzo le esplose in gola, mentre il braccio sinistro si
mosse autonomamente a cercarlo. La mano di Belial, si staccò improvvisamente
dal suo petto, per poi tapparle la bocca – Jason è morto. Capito? Il tuo eroe è
morto. Nonostante il marchio che gli hai posto nella lingua del Cielo, è.. –
-
Io non ripeterei morto una terza volta. A quanto pare sono ancora qui. – la
voce di Jason, fece accelerare i battiti del cuore di Louisa, più di quanto non
avesse fatto fin ora Belial.
Il
terrore scomparve improvvisamente quando vide Jason in piedi, coperto da una
maschera di sangue secco. Fissava Belial con il mento proteso in avanti, le
braccia incrociate al petto, e uno sguardo di furia repressa – Normalmente, non
interverrei in una situazione del genere, ti lascerei fare, ma tu mi hai
veramente fatto incazzare. E poi, se le facessi qualcosa, Will se la
prenderebbe con me, quindi, – si mise in posizione da combattimento,
ripulendosi una goccia di sudore con il
braccio – non te la prendere se ti prendo a calci in culo. -
Belial
strinse malamente un braccio di Louisa, la tirò davanti a se accarezzandole il
collo con il dorso della mano dove l’aveva morsa pochi istanti prima – Aspetta
qui. – le sussurrò – Lo uccido di nuovo e torno. – Louisa rabbrividì sentendo
il tono glaciale nella voce e la paura tornò a farsi sentire più intensa di
prima, non temeva più per sé, ma per Jason, che stava dritto e saldo, più forte
e più di sicuro rispetto prima, mentre i muscoli gli si gonfiavano per la
tensione. Ciò che aveva detto nella lingua del Cielo, pochi minuti, iniziava ad
acquisire significato ed ebbe bisogno di accertarsi che quello che aveva
davanti era veramente Jason in carne ed ossa. Corse da Jason, ignorando
totalmente i ringhi minacciosi di Belial; il braccio sinistro le faceva male quando toccò il volto coperto di
sangue del ragazzo e ne sentì il calore sotto la pelle – Sei vivo. – disse con
le lacrime agli occhi - Sei vivo e stai
bene.
Jason
batté un paio di volte le palpebre visibilmente stupido da quel contatto
inaspettato – Dimmi un po’, per caso, sei una di quelle che interrompono i
ragazzi quando giocano con Xbox?
Le
guance di Louisa diventarono improvvisamente bollenti e tutta la paura che
aveva provato per il ragazzo scomparve, sostituita dal desiderio di prenderlo a
schiaffi – Sei vivo e sei tu a quanto pare. Il Marchio poteva renderti un po’
più simpatico.
Le
labbra di Jason si piegarono in un sorriso sarcastico – Non ho la più pallida
idea di quello che hai detto, ma n-..- Louisa si ritrovò avvolta dalle braccia
di Jason e sentì il terreno mancarle sotto i piedi, mentre Belial urlava una
sonora imprecazione che la fece sussultare.
Quando
Jason la liberò dal suo abbraccio, Louisa fissò il demone stupefatta a cinque
metri di distanza da loro. Aveva un tirato un pugno nel terreno dove si
trovavano pochi istanti prima Jason e Louisa e ora guardava con fare omicida il
ragazzo, sul suo volto non c’era più il divertimento e lo scherno che aveva
durante il loro primo scontro.
-
Come ho fatto? – Jason si guardava le mani, pallido e stravolto in volto. E
Louisa gliele prese tra le sue e gliele strinse, cercando di rassicuralo – È la
Promessa, Jason. Hai le capacità di un Sigillo ora. Sei più forte, più veloce.
Anche i tuoi sensi sono più sviluppati così come il tuo istinto.
-
Bene – disse con uno sbuffo e si caricò Louisa in spalla senza tante cerimonie
– Almeno ora capisco perché il mio istinto mi sta dicendo di dirti che sei una
stronza.
Il
mondo le si rovesciò Louisa ebbe la chiara visione della schiena e del sedere
di Jason a pochi millimetri da lei – Ma come ti permetti! Brutto maniaco!
Lasciami!
Senza
darle retta, Jason saltò di fianco, mettendo altri metri tra loro e il nuovo
attacco di Belial - Scusa, eh? Ma sto cercando di salvarci la pelle.
Ogni
volta che evitava all’ultimo secondo gli attacchi di Belial, Louisa sentiva il
torace di Jason scosso da un profonda risata e resistette alla tentazione di
tirargli un calcio – Prendi almeno le cose sul serio! – gli urlò terrorizzata
nel vedersi il terreno venirle incontro un’altra volta. Il ragazzo strinse più forte il braccio
intorno alle gambe di Louisa e scartò di lato. – così? – domandò lui.
Nonostante il mondo intorno a lei non smettesse di girare, Louisa sentì sulle
gambe lo spostamento d’aria causato dal violento colpo di Belial.
La
nausea cominciò farsi strada prepotentemente dentro di lei e pregò
silenziosamente che Jason la smettesse di saltare, scartare, e di sballottarla da una parte all’altra – Non
così! Jason, ho la nausea. Ti prego, potrei vomitare.
-
Vedi di resistere e di non vomitare sulla mia giacca, sono un tantinello
impegnato ora. – Louisa deglutì, reprimendo il conato che le era salito, e
chiuse gli occhi per non vedere più il terreno allontanarsi e avvicinarsi
pericolosamente. La testa continuava a girarle, aveva bisogno di scendere dalla
spalla di Jason e lui aveva bisogno di potere contrattaccare se voleva avere
una possibilità.
-
Jason! Ti ordino di mettermi giù! – sentì il bocca il gusto del sangue e
dell’erba, quando cadde violentemente a terra. Il braccio sinistro le pulsava
più che mai. Alzando lo sguardo da terra si accorse che Jason era per sdraiato
per terra e si teneva il petto con il volto contratto di dolore.
Ansimante,
Belial si avvicinò ai due ragazzi e fece una smorfia soddisfatta quando afferrò
Jason per il collo e lo sollevò senza sforzo apparente – Immagino che avrai
capito perché ho tradito il Cielo. Le parole pronunciate nella sua lingua sono
vincolanti, non puoi scappare, non puoi disubbidire. E gli angeli hanno la
pessima abitudine di comandare a bacchetta – strinse più forte la presa sul
collo di Jason che emise un gemito soffocato, diventando rosso in volto.
-
Lascialo andare! – Louisa sferrò un calcio a Belial, che lui evitò con uno
sbuffo divertito e con una spinta la spedi a cinque metri di distanza – Stai
buona lì! A te penso dopo.
Mentre
la testa le esplodeva per il dolore, Louisa sentì un urlo e il pensiero corse a
Jason. Gli occhi le si appannarono di lacrime quando ricadde il silenzio nella
vallata e una figura le si avvicinò – Stai bene? – Jason si accucciò accanto a
lei e la mise a sedere, tastandole piano la testa – Potresti avere una
commozione cerebrale.
-
Sei vivo – le parole le uscirono in un rantolio e Jason le fece un gran
sorriso.
-
Inizio a pensare che tutta questa preoccupazione nei miei confronti sia quasi genuina.
-
Belial?
-
Gli ho tirato un bel calcio e ora è piegato in due dal dolore. Non credevo che
anche i demoni potessero star male con un calcio nelle palle. – Louisa guardò
verso la vallata. Belial era steso sul terreno raggomitolato su se stesso e
imprecava sonoramente contro Jason, maledicendo Dio e i Sigilli.
-
Gli hai tirato qualcosa di veramente forte. – disse guardandolo con un sorriso.
-
Non mi piace chi fa del male alle donne, e meno che mai, non mi piace chi cerca
di privare il mondo di tanta beltà.
-
Grazie. - Louisa arrossì leggermente e distolse lo guardo, non sapeva come
interpretare quello stranissimo complimento, non dopo le battute pungenti di
Jason.
-
Guarda che parlavo di me. Non mi sognerei mai di dire a te che sei bella. – Louisa
sbuffò sonoramente, sostenendosi la testa con la mano – Mi pareva strano. – ma
si raddrizzò immediatamente quando Belial si rialzò con uno colpo di reni.
Jason scattò in piedi, pronto a combattere quando lo squillo di un telefono
risuonò nella valle. Stupita Louisa, vide Belial rispondere con noncuranza al
telefono – Che vuoi? – disse senza preamboli – Ho da fare! – Belial fulminò con
lo sguardo Jason, mentre ascoltava la voce dall’altra parte del telefono – Stai scherzando? Non puoi chiedere una
cosa del genere! – iniziò a sputacchiare, mentre il viso gli divenne rosso e le
mani gli si strinsero a pugno.
Spense
il telefono e li rimise malamente in
tasca – A quanto pare ragazzino, non posso ucciderti. – senza dire un’altra
parola, tornò alla Jeep abbandonata sul ciglio della strada e partì sgommando,
sparendo alla vista di Louisa dopo la prima curva. Fissò la strada, non
riusciva a credere che Belial avesse rinunciato così facilmente a uccidere
Jason e ad avere lei.
-
Bene. – disse Jason, dopo qualche minuto di silenzio – Ora me ne vado anche io.
Addio, e non bussare mai più alla nostra porta.
-
Non puoi. – disse Louisa, riscuotendosi da un improvviso torpore. – Non puoi
andartene.
Jason
la tirò bruscamente in piedi – Onestamente. Ho rischiato di morire tre volte
oggi. Più di quante mi siano capitate in tutta la mia vita. E non è un record
che ho intenzione di sfidare. Addio. – Jason fece un paio di metri, prima di
cadere malamente a terra, tenendosi il petto.
Senza
pensare, Louisa corse da lui e gli toccò dolcemente il viso, fissandolo negli
occhi azzurro scuro – È quello che cercavo di dirti, Jason. – disse arrossendo
leggermente – Non puoi allontanarti da me con l’intenzione di andartene. La
Promessa con che ho pronunciato ti lega a me. Io ti ho dato tutte le mie
capacità di Sigillo: la mia forza, la mia velocità, i miei sensi sviluppati, in
cambio, tu devi rimanere accanto me. Non puoi disobbedire ai miei ordini diretti e non puoi allontanarti
da me senza un mio preciso ordine.
Jason
impallidì – Mi stai prendendo per il culo, vero? Ti tutte le cose che potevi
fare al mondo, dovevi proprio legarmi a te? Mi hai detto tutto o mi stai
riservando qualche altra sorpresa per i momenti migliori? – Louisa tremò
leggermente sotto lo sguardo furioso di Jason – Stando a quello che ho letto
sulle cronache passate, vedi, ecco – prese un gran respiro – stando a quello che ho letto su questo tipo di
patto, se il Sigillo muore, anche il suo Guardiano muore – disse tutto di un
fiato con il cuore che le martellava lo sterno.
-
E il Guardiano sarei io?
-
Si.
-
Vaffanculo!
-
Hei!
-
Liberami da questa maledizione. Ora!
Louisa
scosse lentamente la testa – Io non posso farlo. Cioè, io non lo so fare. La
lingua del Cielo è venuta in mio soccorso perché era l’unico modo per salvare
le nostre vita, ma io non so disfare un legame simile. – Jason la afferrò per
le braccia, incombendo pericolosamente su di lei, si divincolò, ma Jason la
teneva saldamente, impendendole di muoversi – Io non lo so fare, ma conosco
qualcuno che potrebbe farlo, – si affrettò a spiegare – Da dove arrivo io ci
sono i Custodi, studiano la lingua del Cielo e gli antichi scritti da una vita
e potrebbero sapere come liberarti. Te lo giuro Jason, non volevo arrivare a
tanto, ma non avevo altro modo per salvarti la vita – Jason la lasciò andare
bruscamente e senza dire una parola si diresse alla moto – Sali. – disse
inforcando la moto e guardandola storto – E non osare urlare a causa della
velocità. Se provi a darmi l’ordine di rallentare, ti giuro, ci ammazzeremo
entrambi. – Louisa prese timidamente il casco che Jason le porgeva senza
guardala in faccia – Perché? –
-
Non hai sperimentato sulla tua pelle il prendere ordini in questo modo, vero? È
come se decine di aghi ti si piantassero nel cuore e l’unico modo per alleviare
il dolore è obbedire. – Louisa deglutì e sentì il sangue defluirle dal viso –
Non lo sapevi? – Jason le fece un sorriso sarcastico – Ma sai che novità! –
Louisa
salì sulla moto e si infilò senza come capitava il casco – Mi dispiace, –
sussurrò – Ti prometto che farò di tutto per liberarti. – disse stringendosi al
torace di Jason.
Quando
rallentò per far entrare la moto nel cortile della casa di Will, Jason
stringeva ancora convulsamente i manubri fino a far sbiancare le nocche e
fissava torvo la strada davanti a se. Il corpo minuto di Louisa premeva contro
il suo e normalmente, avrebbe apprezzato la sensazione che gli dava il corpo di
una ragazza come Louisa stretto addosso. Ora, invece, l’avrebbe volentieri
abbandonata su una strada deserta, dandole una cartina, una bottiglia d’acqua e
dicendole di farsela a piedi. Peccato che non potesse abbandonarla. Non se non
voleva farsi male. Mentre spegneva la moto, Will apparve silenziosamente
accanto a lui e gli frugò il volto con lo sguardo – Ti sei azzuffato con un
branco di oche starnazzanti anche stavolta? – chiese con un mezzo sorriso.
-
Magari. Niente oche. Solo un coglione biondo. E la tua amica che ha deciso di
uccidermi nella maniera più originale possibile. -
Gli
occhi di Will si spalancarono per la sorpresa – Che è successo? –
Jason
individuò la figura di Louisa che stava
da sola in un angolo, cercando il più possibile di non farsi notare e la
fulminò – Fattelo raccontare da lei. Io vado a lavarmi. O devo farti da Boy
Scout costantemente e devi infilarti sotto la doccia con me? Riesci ad arrivare
alla porta di casa di Will senza inciampare e ucciderti?
Louisa
alzò lo sguardo e gli lanciò un occhiata glaciale – Ovviamente, ma se ci tieni
alla vita, forse dovresti portami in braccio. Così fai il tuo dovere di Boy
Scout fino in fondo. – Jason sorrise dentro di sé alla risposta pronta della
ragazza. Almeno a parole riusciva ad essere tagliente e non noiosa, se doveva
convivere con lei almeno aveva l’opportunità di divertirsi.
-
Sono un Boy Scout, baby. Non un marito. Passa la soglia di casa da sola. Io
vado a lavarmi. – si voltò senza ascoltare la risposta di Louisa e salì
rapidamente le scale, cercando in tutti i modi a non pensare al futuro che lo
aspettava. Louisa aveva detto che da dove veniva c’era qualcuno che era in
grado di liberarlo e farlo doveva per forza seguire Louisa. Ciò significava essere
costretto a entrare ancora più profondamente in quella storia, e soprattutto,
coinvolgere le persone a cui voleva bene. Arrivato al pianerottolo una porta
gli si spalancò davanti al naso e per poco non glielo tranciò via – Jason! – la
sorella di Will, Sophie, lo guardò dall’alto in basso con un largo sorriso –
Stavo uscendo per andare a una festa! Vieni con
me? Dobbiamo andare ad Edimburgo. – Jason le fece un mezzo sorriso,
osservando la maglietta a quadri neri e azzurri, la minigonna in tinta e le
calze spesse di due colori differenti – Sei diventata daltonica, Sophie? Una di
quelle calze è gialla e l’altra è rosa. – Sophie incrociò le braccia al petto –
Parla quello che ha addosso un nuovo modello di pittura facciale. La brughiera
ti ha improvvisamente attraversato la strada? – Jason la prese per la vita e le stampò un bacio in
fronte, seppellendo una risata tra i suoi capelli – Non è così brutto baciare
la brughiera se sai come fare Sophie; cambiando discorso come sta Fred? –
chiese sperando di aver azzeccato il nome del suo attuale ragazzo.
Sophie
batté un paio di volte le palpebre – Fred? Fred, l’ho mandato a quel paese un
paio di giorni fa. –
-
Perché? – le scostò dolcemente una ciocca di capelli rossi. Lo sorprendeva
sempre vedere quanto poco assomigliasse al fratello maggiore.
-
Era un’idiota. E non sapeva aspettare, quando ha allungato le mani, l’ho preso
a schiaffi e me ne sono andata. – Jason ridacchiò sotto i baffi, la sorella del
suo migliore amico non c’era mai andata piano con ragazzi e più di qualche
volta Jason ne era stato attratto - Non
troverai mai marito se continui a prendere a schiaffi tutti quelli che ci
provano. –
-
Non voglio un marito. Voglio andare in India e fare la pediatra. I maschi non
sono che dei meri accessori. Ci possono essere come no. E se mi vogliono,
devono essere disposti a seguirmi. – Jason alzò le mani, arrendendosi alla
caparbietà di Sophie. Sapeva che coltivava il sogni di essere pediatra fin da
bambina e per diventarlo avrebbe sacrificato tutto, anche la sua famiglia. Era
contento di vedere che lo stava realizzando e che pian piano si stava facendo
strada nel mondo universitario. Aveva temuto che durante il suo primo anno
all’università Sophie potesse cambiare radicalmente diventando seria e
taciturna. Aveva un carattere più estroverso di William e spesso e volentieri
era lei a difenderlo quando Jason gli faceva i dispetti. Più di qualche volta
Sophie gli aveva dato un paio di pugni e dei morsi ben assestati e sapeva che
poteva difendersi tranquillamente da ogni pericolo.
Le
scompigliò energicamente i capelli – Tuo fratello è giù con una mia amica, e io
devo andare a lavarmi. Ci vediamo dopo Sophie così ci salutiamo! – lasciò
Sophie basita sulla porta e si allontanò di corsa verso il bagno, sperando che
la ragazza ci mettesse qualche secondo a registrare quello che lui aveva detto.
Come
chiuse la porta del bagno alle spalle, sentì l’assalto di Sophie far tremare la
porta e i vetri della stanza – Jason Fen! Cosa vuoi dire che ci salutiamo? E
che vuol dire che mio fratello è con una tua amica? Intendi che è una delle tue amiche? – Jason abbandonò
stancamente la felpa e i jeans nel cesto della biancheria, e si tolse la fasciatura che Will gli aveva fatto, notando con soddisfazione le piccole linee rosse delle ferite ormai rimarginate. Come al solito Will aveva fatto un ottimo lavoro, e sperò che anche Sophie, carattere estroverso a parte, avesse ereditato il dono del fratello maggiore – Soph, abbasseresti la voce gentilmente? I miei
timpani ti sarebbero enormemente grati. –
-
Tu apri la porta e io parlo più piano.
-
Soph, sono in boxer!
-
Figurati se un paio di boxer mi creano problemi! Ti ho visto nudo Jason Fen,
non dimenticarlo!
Jason
sentì le guance farsi calde e scoppiò a ridere per l’imbarazzo – Avevo dieci
anni e avevo dimenticato il costume da bagno!
Sentì
la testa di Sophie battere contro la porta – Mi fai entrare? Perché ci dobbiamo
salutare Jason? Dove devi andare? – chiese tristemente
Jason
capitolò a quel tono e le aprì la porta, scostandosi per farla entrare – Entra
e smetti di starnazzare.
-
Le oche starnazzano Jason, e a volte anche tu. – rispose lei, entrando a passo
di marcia in bagno e sedendosi sul bordo della vasca – Ora mi dici tutto, e non
omettere nulla. Se mi menti, ti giuro, che ti pianto una sonda rettale dove
nemmeno ti immagini. – Jason sorrise e si sedette sul pavimento freddo a gambe
incrociate e iniziò a riordinare i pensieri, partendo dal suono dell’allarme a
casa sua, procedendo via, via, verso lo scontro con Belial e il legame che si
era creato con Louisa. Ad alta voce non lo avrebbe mai ammesso, ma quando
Louisa era intervenuta, lui sapeva di star morendo e aveva sentito le sue ossa
rinsaldarsi e gli organi ammaccati tornare al loro posto.
Quando
terminò il suo racconto, alzò lo sguardo
su Sophie, che lo fissava con le mani strette sul bordo della vasca; tramavano
leggermente ed erano sbiancate per la pressione – Prima che corra di sotto ad
ammazzare questa Louisa, dimmi una cosa:
perché cazzo non le hai dato
subito l’anello che porti al collo e ti sei liberato di lei?
Jason
si ritrasse sotto il suo sguardo, come Will, Sophie aveva la pessima capacità
di farlo sentire perennemente in colpa e a
disagio – Perché è la cosa più preziosa che mi ha lasciato mio padre e
perché mi ha detto di proteggerlo ad
ogni costo. –
Sophie
sbuffò, appoggiando il mento sulla mano – E magari ora sai anche il perché.
Comunque ora sei più forte e più veloce, no? Non vorresti restare così?
-
E prendere costantemente ordini da quella? Ma fammi il favore!
Sophie
sorrise, mettendo in mostra un paio di canini, che il quel momento sembrava
incredibilmente aguzzi – A me non dispiacerebbe, dare costantemente ordini a un
uomo. Magari con un frustino in mano. Fa figo.
Jason
scoppiò a ridere e rovesciò la testa all’indietro, sbattendo contro la colonna
del lavandino – È il motivo per cui non ti permetto di mettermi le mani
addosso, Sophie, non lo farei nemmeno in punto di morte. Tremo all’idea di cosa
potresti farmi! – esclamò, massaggiandosi la testa – Ora esci dal bagno, devo
lavarmi. E Sophie? Non andare di sotto come un tornado a rivoltare Louisa come
un calzino. – Sophie gli lanciò la sua occhiata più innocente, che Jason
sapeva, non prometteva nulla di buono – Chi io? Non sia mai. Piuttosto come una
tempesta perfetta. – disse dondolandosi con noncuranza su un piede. Jason incrociò
le braccia al petto, e la fissò torvo, non voleva che Sophie parlasse con
Louisa, non ancora, almeno. Dio solo sapeva cosa gli avrebbe ordinano Louisa
altrimenti – Non sto scherzando Sophie. È una cosa tra me e lei. Non metterti
in mezzo o mi incazzo di brutto. -
La
ragazza gli stampò un bacio sulla guancia – Non le ucciderò, promesso. Posso
staccarle un braccio?
-
Sophie – la ammonì dolcemente.
-
Va bene, niente di violento. Allora vado alla festa e ci vediamo tra qualche
giorno, e spero, senza di lei.
Come
Sophie uscì dal bagno, Jason finì di spogliarsi, posò l’anello che portava in
genere al collo, sul bordo del lavandino e sprofondò sotto il getto della
doccia. Tutto, il suo modo arrogante e saccente che Louisa esternava
continuamente che alternava a momenti di lacrime a profusione, gli faceva
pompare forte il cuore e gli faceva venire voglia di maltrattarla fino a farla
piangere di più. Louisa era la classica ragazzina viziata che non accettava dei
no come risposta e che pretendeva tutto e subito. Pensò distrattamente l’anello
che aveva lasciato sul lavandino; assomigliava molto a quello che portava
Louisa per forma e dimensioni, solo che al posto di un pietra azzurre, la sue
era trasparente e l’incisione all’interno riportava la scritta Shechaqim. Quando suo padre era morto, e
Jason, aveva ereditato l’anello con la promessa di non separarsene mai, aveva
digitato la parola su Google, solo per poi richiudere immediatamente la pagina
dopo aver letto due righe di cazzate. Lo Shechaqim
non esisteva, e Google era il modo più veloce per trovare la miglior
spazzatura di internet. Chiuse il getto
della doccia e appoggiò la fronte contro le mattonelle beige del bagno,
sperando che il freddo lo aiutasse a schiarirsi le idee. Ansimava, con gli
capelli scuri gli finivano negli occhi, mentre l’acqua ancora calda gli correva
lungo in corpo e strinse i pugni esasperato dalla situazione. Louisa gli aveva
strappato tutto quello che gli apparteneva. Gli aveva tolto la casa e tutto ciò
che era suo, e se avesse saputo dell’anello gli avrebbe tolto anche
quell’ultimo frammento che lo collegava alla vita con suo padre, e ora doveva
partire con lei, attaccato a una flebile speranza. Si staccò contro voglia
dalla frescura delle mattonelle e allungò il braccio cercando l’asciugamano,
quando lo sguardo gli cadde sullo specchio e rimase di stucco, con ancora il
braccio a mezz’aria. Quando si era spogliato non l’aveva notata, ma ora,
controluce, vedeva una sottile cicatrice avvolgersi a spirale all’altezza del
suo cuore. Si avvicinò allo specchio, e
spalancò la bocca.
שִׂימֵ֨נִי כַֽחֹותָ֜ם עַל־לִבֶּ֗ךָ כַּֽחֹותָם֙ עַל־זְרֹועֶ֔ךָ כִּֽי־עַזָּ֤ה כַמָּ֙וֶת֙ אַהֲבָ֔ה
La cicatrice era un’unica interminabile sfilza
di simboli in una lingua sconosciuta. Le palme gli fecero male e si accorse di
aver stretto talmente tanto i pugni da essersi conficcato le unghie nelle mani
fino a formare quattro, piccoli segni a forma di mezzaluna.
Corse
di sotto senza preoccuparsi di quello che aveva addosso, saltando i gradini due
a due, fino a precipitarsi nel salotto dove Louisa e Will parlavo
tranquillamente davanti a una tazza di tè – Che cazzo mi hai fatto stronza? –
Louisa si voltò verso di lui, per poi scattare verso il muro, violentemente
rossa in volto.
-
Jason – disse Will con voce calmo e deciso, si alzò e si mise davanti all’amico – Ti rendi
conto che sei nudo, vero? Immagino che qualcosa sia, possa aspettare almeno un
paio di pantaloni.
Jason
lo spostò malamente con il braccio, per una volta non gli interessava se feriva
il suo amico. Will ha sempre avuto un effetto calmante su di lui, ma ora non
voleva la sua gentilezza, voleva urlare e cacciare Louisa dalla sua vita –
Rispondimi! Che cazzo ho addosso? – per la prima volta in vita sua, Jason provò
il violento impulso di colpire una donna. Aveva le mani che gli tremavano e
solo la presenza di Will accanto a lui, pronto a placcarlo, gli impediva di
saltare il divano e prendere a schiaffi Louisa. Per arrivare a lei, prima avrebbe
dovuto passare su Will.
-
Sono le parole della Promessa. Sono incise su di te come su di me. Fanno in
modo che non sia solo la lingua del Cielo a tenerci uniti, ma qualcosa di più
profondo. – sospirò tristemente,
continuando a guardare il muro e si tirò su la manica della camicia,
fino a scoprire interamente il braccio.
Jason
ammutolì, improvvisamente con la bocca secca. Sentiva il bisogno di sedersi e
bere un bicchiere d’acqua e magari prendere un paio di tranquillanti. Il
braccio di Louisa presentava la stessa, identica cicatrice, le stesse identiche
parole, ma mentre quelle di Jason erano tracciate con un tocco leggero e
minuto, quelle di Louisa erano spesse e in rilievo, in oltre erano nere, come
se la pelle in quel punto fosse stata carbonizzata – Sapevo di infrangere un
mucchio di regole quando ho pronunciato quelle parole. – disse con le lacrime agli occhi – Tu sei ci sei stato trascinato
in questo patto. Legare la propria vita a quella di un altro è un atto
terribile, severamente punito in Cielo. La cicatrice diventerà come la tua solo
se riuscirò ad espiare la mia colpa. Per ora, non fa altro che ricordarmi di
come io non sia riuscita a proteggere un umano e abbia dovuto legarti a me per
tenerti in vita.
-
Che succede se non riesci a espiare le tue colpe? – chiese Jason coprendosi con
il cuscino che Will gli offriva di soppiatto.
Louisa
gli fece un piccolo sorriso tra le lacrime – È abbastanza semplice. Io muoio,
tu muori e fallirò come Sigillo di Dio. Di Sette Sigilli, rimarranno in sei,
insufficienti per fermare i Grigori.
Jason
si avvicinò a lei, improvvisamente più calmo e aperto verso la tristezza di Louisa,
in quel momento sembrava realmente fragile e molto vulnerabile – E ben sapendo
che rischiavi di condannare il mondo, hai deciso di salvarmi? Perché? – domandò
mettendole una mano sulla spalla.
Louisa
si asciugò gli occhi con il dorso della mano – È il mio compito. Se non riesco
a salvare un essere umano, come posso salvarne migliaia?
Jason
si voltò, non riuscendo a sostenere oltre il contatto con gli occhi rossi di
pianto di Louisa – Aspetta qui. Torno tra un quarto d’ora al massimo con il
borsone da viaggio.
-
Magari vestito. – si lasciò sfuggire Louisa.
-
Completamente vestito. – confermò Jason, che uscì dal salotto talmente di corsa
che inciampò su una delle gambe del tavolino messo accanto alla porta della stanza.
Jason
era seduto sul letto della stanza che i genitori di Will gli avevano dato dopo che lui era andato a
vivere con loro, alla morte di suo padre, rigirando l’anello che aveva
ripescato dal bagno. La maggior parte dei suoi oggetti personali erano bruciati
con la casa di Fen, e tutto quello che gli rimaneva era lì dentro: poche
fotografie ammucchiate dietro i libri di chimica sulla mensola sopra la
scrivania e dei vestiti gettati alla rinfusa nell’armadio. Non ci aveva mai
messo troppo impegno per arredarla perché quella stanza non l’aveva mai sentita
realmente sua, la sua vera camera era andata poche ore fa, e per quanti sforzi
facesse, Louisa non poteva capire la perdita che lui aveva subito. I sentimenti
che provava per lei in quel momento erano terribilmente contrastanti, da un
lato la odiava come non aveva mai odiato nessun altro al mondo, dall’altro, gli
faceva male il pensiero della cicatrice nera e degli occhi gonfi e rossi di
lacrime che aveva visto sulla ragazza. Allungò una mano sotto il letto per
tirare fuori il borsone da viaggio, e si chiese cosa lo avrebbe aspettato una
volta partito con Louisa. Con il borsone aperto accanto a se, incrociò le gambe
e si batté la testa con il palmo della mano, lui non aveva la minima idea di
dove dovessero andare. Per quello che ne sapeva poteva fare caldo, come freddo,
potevano stare in mezzo alla savana come ad una palude. Sorrise, pensando a
Louisa in mezzo a una palude a combattere alligatori e zanzare, forse avrebbe
dovuto salvarla da un alligatore, ma poteva tranquillamente farla divorare dalle
zanzare.
-
Posso? – la voce di Will lo riscosse dalle sue fantasie.
-
Entra. – si alzò velocemente dal letto e
iniziò a buttare nel borsone tutti i vestiti che gli capitavano sotto mano
senza nemmeno guardarli, mentre sentiva lo sguardo di Will addosso – Louisa sta
bene? – domandò senza voltarsi e concentrandosi su un paio di jeans blu che non
volevano saperne di entrare.
-
Sai, Jason, a volte dovresti andare da uno psicologo. Prima corri giù
completamente nudo e fai il diavolo a quattro e ora mi chiedi se sta bene.
Dovresti fare pace con il cervello ogni tanto.
-
Io sono in pace con il mio cervello, è solo che detesto veder piangere le
femmine. E ora scusa, ma sono impegnato a ricreare la teoria del Big Bang con i
miei vestiti – Intensificò gli sforzi per cercar di far entrare tutto nel
borsone, ed evitò accuratamente di incrociare lo sguardo di Will, Jason sapeva
che in quel momento il suo amico, stava per fargli la lavata di capo più
fantasiosa del mondo, e non aveva la minima voglia di ascoltarlo.
-
Forse potresti mettere qualche paio di pantaloni tuoi nella mia borsa, almeno
così non avranno l’aspetto di sardine in scatola.
Jason
scosse la testa – Non credo di fermarmi molto e più di una sacca mi sarebbe di
impiccio, ma grazie per l’offerta. – con la coda dell’occhio Jason vide la
borsa di Will cadere sul materasso e la soppesò con lo sguardo. Affondava
troppo nel materasso per i suoi gusti. Si morse il labbro e contò lentamente fino
a dieci – Perché quella borsa è così pesante? – domandò cercando di mantenere
la calma il più possibile. Sapeva la risposta, ma non poteva credere che Will
potesse essere tanto imbecille da averlo fatto.
-
Vengo con te. – rispose semplicemente Will. Jason chiuse gli occhi cercando di
calmarsi, se proseguivano di questo passo anche il gatto si sarebbe infilato in
camera sua con la borsa piena di scatolette pronto a partire.
-
Will, – iniziò Jason, non aveva la più pallida idea di come parlargli senza
offenderlo – Apprezzo quello che vuoi fare, ma è meglio che parta da solo, non
ho idea di quello che mi aspetta e non voglio che tu venga con me, potrebbe
essere pericoloso. Non l’hai visto, Belial era forte, molto forte e anche molto
veloce. Mi ha messo ko con un calcio.
Will
sorrise e scosse la testa – Per questo avrai bisogno di uno che conosca la
medicina e che soprattutto ti
conosca, Jason. Siamo amici da quando rubavi nel mio frutteto, abbiamo dormito
insieme in terrazzo promettendoci di aspettare l’alba e abbiamo scorrazzato con
il bob avanti e indietro per il villaggio. Ho ventidue anni, e non sono più
quel bambino gracile a cui hai tirato una mela in testa. Smetti di prendere le
decisioni per me. Ho già parlato con Louisa, anche se non era d’accordo ha acconsentito a farmi venire con voi. La
mia non era un proposta Jason, io ti stavo solo informando della mia decisione.
E poi, l’Olanda non è così distante.
A
quella tirata Jason si sedette sul letto e scoppiò a ridere sonoramente – Mi
stai dicendo che la sede dove stanno i Sigilli è in Olanda? La patria del sesso
libero e delle droghe leggere? Sembra quasi un contro senso. – tenendosi la
pancia cadde a terra sulle ginocchia continuando a ridere fino alle lacrime.
-
Devo imbottirti di morfina per tenerti buono? – domandò Will, sedendosi sul
pavimento e guardandolo storto. Jason si asciugò un occhio e cercò di
controllarsi, anche se gli faceva male il torace per il ridere – Assolutamente
no! Voglio vedere la faccia che farà Louisa quando gli dirò che andrò a farmi
un giro nel quartiere a luci rosse.
-
Ho detto Olanda, non Amsterdam. O pensi che tutti inizi e finisca con quella
città? – Jason gli lanciò un occhiata e sorrise, Will sapeva perfettamente che
lui non sarebbe mai andato nel quartiere a luci rosse, ma l’idea di
scandalizzare Louisa lo attirava troppo – Io lo so, ma Louisa? Voglio dire, mi
da l’impressione di non sapere nulla del mondo, farle prendere qualche colpo
ogni tanto la aiuterà a tenere i piedi ben saldi a terra.
-
Lo fai per il suo bene o per il tuo divertimento? – Jason si alzò agilmente da
terra, il pavimento iniziava a essere troppo duro per i suoi gusti e il borsone
ancora non aveva imparato a chiudersi da solo – Io faccio sempre le cose per il mio divertimento. E finché non
sarò libero, dimostrerò a Louisa che ha legato a sé la persona sbagliata.
Will
scosse la testa, con aria di chi stava per scoppiare a ridere e si alzò – Vado a dire a Louisa che siamo quasi
pronti e che deve uscire dalla doccia. Ci vediamo di sotto. –
Jason
si ritrovò a boccheggiare un paio di volte, cercando l’aria che non gli
arrivava nei polmoni – Hai dato il permesso a Louisa di farsi la doccia nel tuo
bagno? – disse tutto d’un fiato.
Will
annuì e lo guardò visibilmente confuso – Le ho spiegato come lavarsi senza
bagnare la fasciatura, ci metterà poco, che c’è di male? –
-
Sai che la mia vita è legata alla sua, vero?
-
Si, ma è solo una doccia, mica un rave.
-
Con la fortuna che si ritrova quella, sarà già tanto se non scivolerà sulla saponetta e non finirà
ammazzata sbattendo la testa. – Jason corse fuori dalla sua stanza e si fiondò
davanti la porta del bagno, tempestandola di pugni – Hei cretina! Esci
immediatamente da lì! Ci sono troppi pericoli! – lo scrosciò dell’acqua si
interruppe bruscamente - Ma anche sotto l’acqua non mi lasci in pace? – la voce
di Louisa gli arrivò carica di rabbia – Io devo lavarmi e Will è stato così
gentile da spiegare come non rovinare la fasciatura, quindi non ci sono
pericoli. E ora sparisci, così posso finire. – il getto della doccia riprese e,
passando da un piede all’altro, Jason afferrò la maniglia del bagno e aprì
bruscamente la porta. Si aspettava di trovarla chiusa a chiave, ma quella
cedette al primo assalto e si ritrovo a fissare Louisa, che in mezzo alla
nebbiolina si stava sciacquando i capelli. I secondi si dilatarono, mentre lo
sguardo di Louisa passava dallo stupefatto alla rabbia cieca. Un brivido
percosse la schiena di Jason e avvertì un imminente pericolo, mentre il flacone
dello shampoo lo colpiva sulla spalla – Non hai una buona mira. La mia faccia è
più su – non aveva voglia di provocarla, ma era l’unico modo per evitare un
silenzio imbarazzante. Schivò il balsamo spostando la testa di lato all’ultimo
secondo, la mira di Louisa era improvvisamente migliorata e se non si fosse
spostato l’avrebbe preso in pieno – Esci
immediatamente maniaco, egocentrico! Esci! Esci! Esci! Io ti ordino di uscire! – Jason cadde a terra, mentre la sensazione
di avere degli aghi piantati nel cuore, gli fece inarcare la schiena per il
dolore. Si rimise in piedi aggrappandosi al lavandino, e un passo dopo l’altro
si ritrovò a guadagnare l’uscita dal bagno, chiudendosi la porta alle spalle.
Si sedette in corridoio, con la schiena contro la porta a riprendere fiato,
mentre sentiva Louisa borbottare qualcosa sui ragazzi maniaci e maleducati. Quella
maledizione doveva finire al più presto, non poteva passare il resto della sua
vita a prendere ordini da Louisa.
-
Louisa – chiamò lui appoggiando la testa alla porta – Lo facevo per il tuo
bene, il bagno è pieno di pericoli. Le morti per incidenti domestici sono
altissime in bagno.
Il
getto si interruppe di nuovo e con i suoi nuovi sensi più acuti, Jason sentì i
passi della ragazza sul tappetino davanti alla doccia – E cosa dovrebbe
attaccarmi di grazia? Il balsamo o lo shampoo? – l’acidità nella voce era palese,
e Jason ebbe di nuovo voglia di entrare e sfidarla faccia a faccia – Cambiando
discorso, nessuno ti ha insegnato a chiudere a chiave le porte? Così evitavo di
vederti nuda, ora avrò gli incubi per un mese. Mi devi mesi di sedute con un
buono psicologo, aggiungo anche queste alle spese che mi devi rimborsare. – non
riusciva a capire perché, ma era istigato a continuare a stuzzicarla per vedere
fin dove riuscivano ad arrivare le sue rispostacce.
-
Così siamo pari. – la risposta pronta di Louisa gli fece allargare il sorriso,
erano davvero pari ora, ma, a parte l’ordine a cui era stato costretto ad
obbedire, lui si era divertito molto di più, nel vedere la ragazza nuda. Louisa
aveva un bel corpo snello, anche se aveva le gambe un po’ corte rispetto ai suoi
gusti e un seno minuto.
-
Vado a chiudere il borsone. Muoviti a vestirti, prima mi libero di me, prima mi
sentirò al sicuro. – senza aspettare la risposta di Louisa, Jason tornò in
camera sua, Will non c’era, ma aveva lasciato la sua borsa aperta accanto a
quella di Jason. Il ragazzo sorrise, Will riusciva a imporsi in modo del tutto
eccentrici e silenziosi, ed era questo quello che apprezzava di lui, Jason non
si sentiva mai costretto a fare le cose in sua presenza, Will gli metteva
davanti le opportunità, stava a Jason accettarle o meno. Mentre spostava i
jeans e qualche felpa spiegazzata, Jason si sentì rincuorato, non lo avrebbe
mai ammesso, ma era contento che Will lo stesse accompagnando.
Quando
Louisa arrivò all’Istituto in cui era cresciuta, era pomeriggio inoltrato, e, come aveva
previsto, Jason si era dimostrato il compagno di viaggio più irritante ed
estenuante che avesse mai avuto, e solo la presenza di Will le aveva impedito
di prenderlo a calci durante il viaggio in aereo e poi nell’auto dell’Istituto.
La
guardia al cancello dell’Istituto le fece passare la mano sullo scanner gel e
scattò sull’attenti quando scoprì lo status di Louisa – I signori sono con lei
signorina Van Der Meer? – Louisa annuì, e lanciò un’occhiata in tralice a Jason
che aveva iniziato a sghignazzare sentendola chiamare “signorina Van Der Meer”.
-
Si – disse. Cercò di dominare la voce e di mantenere una parvenza di controllo,
ma casa sua era dietro a quell’enorme cancello bianco e spesso, e la
possibilità di non vedere mai più Jason iniziava a diventare reale. L’unico neo
era Will, in quelle poche ore in cui l’aveva conosciuto aveva iniziato ad
apprezzare la sua generosità e disponibilità, ma le regole erano chiare: i
Sigilli potevano frequentare solo i Sigilli e i Custodi, e William non era né
l’uno né l’altro.
Mentre
attraversava il cancello, sentì Jason trattenere bruscamente il fiato e sorrise
dentro di sé. Finalmente il ragazzo avrebbe dovuto mostrare un po’ di rispetto
per l’istituzione dei Sigilli di Dio – Ma è un convento! – l’esclamazione di
Jason la fece sobbalzare ed evitò accuratamente di rispondergli male –
l’Istituto dei Sigilli non è un
convento, per quanto possa averne l’aspetto a causa del chiostro di
epoca romanica. Noi siamo dissociati dalle istituzioni religiose cattoliche in
quanto predicano bene, ma fanno l’esatto contrario di quello che dicono. Per
cui tieni a bada la lingua mentre sei qui Jason Fen, non tutti i Sigilli si limiteranno a cacciarti fuori con
un flacone di shampoo. – prese un profondo respiro, doveva assolutamente
calmarsi prima del suo incontro con i Custodi, e doveva assolutamente
spiegargli perché un miscredente come
Jason aveva messo piede lì dentro.
Senza
voltarsi per sapere se Will e Jason la seguivano si diresse al piccolo kart
elettrico, che i guardiani al cancello le avevano messo a disposizione.
-
Hei! Cos’è quel giocattolo? E le Maserati da milioni di sterline? La Papa
mobile? Il carro armato? –
Louisa
si voltò di scatto, Jason stava mettendo a dura prova la sua pace interiore
ogni minuto che passava con lui aumentava la voglia di strozzarlo – Primo: qui
non usiamo mezzi a benzina, ma sono elettrici in rispetto dell’ambiente.
Secondo: ti ho già spiegato che ci dissociamo dai cattolici, quindi niente Papa
mobile. Terzo: abbiamo un incontro tra mezzora con i Custodi per liberaci di
questo Patto. Quarto: sali e non fiatare per i prossimi trenta minuti.
Jason
la guardò dall’alto in basso sorridendo – L’aria di casa ti fa male lo sai? E
poi sai guidare questi cosi? Chi te l’ha data la patente? Paperino?
Louisa
guardò il cielo esasperata. Quale terribile peccato aveva commesso per
incontrare un ragazzo come Jason Fen? – Ho la patente come tutti i comuni
mortali, presa in maniera regolare e valida per tutta l’Europa, ora sali per
favore.
Jason
la sorpassò e si sedette al posto di guida, facendo cenno a Louisa di sedersi
accanto a lui – Non te la prendere a male, ma preferisco guidare io, tu fammi
da navigatore qui dentro. – Louisa incrociò le braccia e guardò male Jason – Sai
guidare quel kart? – domandò infuriata.
-
Ho la patente come tutti i comuni mortali, presa in maniera regolare e valida
per tutta l’Europa, ora sali per favore. – Louisa batté le palpebre un paio di
volte – Mi stai facendo il verso! Ma che razza di essere infantile sei? – Will
le mise una mano sulla spalla – Lascialo perdere, Jason ama kart simili, gli
piace giocarci, e fidati, non lo schiodi da quel volante, anche se dovessi
ordinarglielo, lui si ammanetterebbe al posto di guida pur di non lasciarlo. –
si ritrovò a chiudere gli occhi, Will era gentile, ma fermo e sapeva che aveva
ragione, Jason non gliela avrebbe data vinta facilmente. Si sedette a braccia
incrociate sul sedile accanto a quello di Jason ed evitò accuratamente di
guardarlo - Vai subito a sinistra, e segui la strada, ti ritroverai a una
piccola rotonda, non puoi sbagliarti, gira a destra e prosegui fino al palazzo
bianco e moderno, ci aspettano lì.
-
Agli ordini, signorina Van Der Meer.
– rispose mellifluo Jason accendendo la macchina e dirigendosi dove Louisa gli
aveva indicato.
Mentre
si recavano all’appuntamento, Louisa si chiuse in un cupo silenzio, non sapeva
che cosa raccontare ai Custodi, era la prima
volta che metteva piede fuori dall’Istituto da sola e aveva corso un
grosso rischio, ricevendo in cambio niente altro che guai. I Custodi non
l’avrebbero presa bene, proprio per nulla, e Louisa era sicura, non le
avrebbero più permesso di uscire, e probabilmente avrebbe dovuto continuare a
guardare gli altri andare alla ricerca dei Sigilli mancanti.
Alzò
lo sguardo sull’edificio basso e bianco immacolato che si trovava davanti, lì
c’era la sede dell’istituzione dei Custodi, leggermente separata dalle altre
aree dell’Istituto e dal chiostro dove vivevano i Sigilli – Will, secondo me
dovresti aspettare fuori. Credo che prima vogliano sentire me e parlare con
Jason riguardo questa Promessa. E Jason, ti supplico, tieni la lingua a freno,
i Custodi sono molto severi, più di quello che credi. –
-
Sono vecchi con la barba bianca vestiti alla moda di Gandalf? No, perché io
odio fare Frodo, al massimo mi concedo come Aragorn. – Jason saltò giù
agilmente dal kart e tese la mano a
Louisa che la fissò per dieci secondi buoni – Cosa sono un Aragorn e un
Gandalf? –
-
Non hai mai letto il Signore degli Anelli? – vide Jason dondolare sul posto un
paio di volte visibilmente stordito – Come si può non aver letto il Signore
degli Anelli? – Jason si infilò le mani nelle tasche dei jeans – Prima che me
ne vada devo rimediare. Non puoi non aver letto il Signore degli Anelli, va contro
le leggi dell’universo.
Louisa
scese dal kart e lo guardò storto – L’hai scritto tu? – Jason la fissò allibito
– Per la miseria! No!
-
Allora lo leggerò volentieri. – guidò Jason aldilà delle porte scorrevoli
bianche e avanzò lungo il corridoio fino alla porta in fondo. – Te lo ripeto
ancora, tieni a bada la lingua. – sussurrò prima di appoggiare la mano sullo
scanner gel e aprire la porta.
Louisa
entrò nella grande stanza semicircolare, interamente bianca e asettica. Sei
Custodi erano seduti dietro una grande scrivania rialzata e guardavano in basso
verso Louisa. – Louisa, ci aspettavamo il tuo rientro da un momento all’altro.
Quello che porti con te è uno dei Sette Sigilli? – domandò uno di quelli
centrali e Louisa lo riconobbe Isaiah, uno dei Custodi più anziani. Sentì le
gambe tramare, doveva dire subito la verità raccontare quello che aveva fatto e
pregarli di liberare Jason – No, signori. Jason, il ragazzo accanto a me, è il
figlio adottivo di Yang Fen, ma quando sono arrivata, mi ha detto che Fen era
morto da diversi anni e il suo anello è andato perduto con la sua morte.
Purtroppo durante la mia visita è avvenuto un imprevisto e sono stata attaccata
da uno dei Traditori del Cielo e se non fosse intervenuto Jason probabilmente
non avrei fatto ritorno. – alle parole di Louisa i Custodi si agitarono sul
posto, e alcuni avvicinarono le teste per parlare tra di loro a bassa voce.
Isaiah alzò la mano e il silenzio tornò a calare in sala – Dimmi Louisa, come
ha potuto questo ragazzo aiutarti essendo lui un mortale e notevolmente
inferiore ai Sigilli e ai Caduti? – Louisa deglutì con la bocca
improvvisamente secca – Il Decaduto stava per ucciderlo, in effetti all’inizio
Jason non riusciva neanche a sfiorarlo e stava per morire, ma io ho pronunciato
delle parole nella lingua del Cielo e lui e stato meglio e.. – ammutolì quando
vide Isaih e gli altri Custodi guardarla intensamente – Che parole hai
pronunciato esattamente Louisa? – Louisa prese un gran respiro, cercando di
farsi coraggio - Ponimi come Sigillo sul
tuo cuore, ponimi come Sigillo sul tuo braccio; perché l’amore è forte come la
morte. – disse solennemente. Alcuni Custodi più giovani saltarono in piedi rovesciando le sedie – Non
puoi aver fatto una cosa del genere, la
Promessa del Guardiano è pericolosa per entrambe le parti! Louisa cos-
Isaiah
lo azzittì con un gesto brusco della mano – Dimmi Louisa, questo ragazzo era
veramente in percolo di vita? Non c’erano altre soluzioni se non pronunciare
quelle parole? –
Louisa
scosse lentamente la testa – No, signore. Se non lo avessi fatto Jason sarebbe
morto. L’ho portato qui per chiedervi se esiste un modo per liberarlo. – Isaiah
e gli altri Custodi si consultarono talmente tanto a voci basse che Louisa non
riusciva a sentire quello che dicevano. Dopo alcuni minuti Isaiah si raddrizzò
– Esiste Louisa, ma visto che non hai ancora sviluppato a pieno le tue capacità
preferiremmo che sia questo ragazzo a proteggerti fino a quel giorno. – Louisa
si irrigidì, quando Jason scattò in avanti – Che cosa? Che razza di uomini di
Dio siete se negate la libertà alle persone? – i Custodi lo guardarono
altezzosi – Noi ragazzo custodiamo i Sigilli fino a quando non ci sarà bisogno
di loro, li proteggiamo, li istruiamo ai loro compiti e facciamo in modo che
siamo preparati ad affrontare i Grigori e per farlo usiamo ogni mezzo. La tua
vita vale forse quella di altre migliaia di persone? Finché sarai legato a
Louisa sapremo che farai di tutto per proteggerla perché ne andrebbe anche
della tua vita, quando lei sarà al sicuro ti libereremo. Questa è la nostra
promessa solenne. – le mani di Jason tremarono e Louisa gliele afferrò
saldamente – Qualsiasi cosa a cui tu stia pensando, non farla, ti supplico
Jason, tu non li conosci – Jason si scostò bruscamente – Trova una soluzione.
Non ho alcuna intenzione di stare qui. – ringhiò a un soffio dal suo orecchio.
-
Jason, figlio di Fen, – disse Isaiah – Per ora puoi andare. Louisa ti
raggiungerà tra qualche minuto. Dobbiamo parlare con lei da soli. – Jason
allargò le gambe, visibilmente pronto a sfidarli, ma Louisa gli prese un
braccio – Jason ti prego, fa quello che dicono. Non voglio ordinartelo, quindi
per favore, aspettami fuori. – inaspettatamente Louisa sentì i muscoli tesi di
Jason rilassarsi leggermente e guardarla dall’alto – Ti aspetto fuori. Fa
presto.
Come
Jason si chiuse la porta alle spalle, Louisa tornò a guardare i Custodi – Che
cosa avete da dirmi che non poteva sapere Jason? – domandò raddrizzando le
spalle. Conosceva i Custodi e sapeva che nascondevano parecchi segreti. Isaiah
la guardò, improvvisamente di dieci anni più vecchio – Hai corso un gran
rischio a pronunciare quelle parole e lo corri tutt’ora. Devi sapere che
esistono due modo per liberare Jason, ma non possiamo metterli in atto o lo
avremmo già fatto. Il primo è il più raro, ma è il più sicuro, il tocco diretto
di un Serafino a sciogliere il sigillo posto nella lingua del Cielo, ma questo metodo
è impossibile. Il secondo è in assoluto il più difficile e lo dovrai fare tu
stessa. Come sai legare la tua vita a quella di un altro è un grave peccato e
dovrai espirare le tue colpe prima o poi, per farlo verrai sottoposta a delle
prove, se ti dimostrerai inadeguata morirai e Jason con te. – Louisa deglutì e
il sangue le defluì dal viso – Che prove? – chiese con filo di voce che le era
rimasto.
-
Più sarai vicino a Jason, più combatterai con lui, più sentirai i tuoi peccati
capitali crescere dentro di te. Per riuscire a liberare Jason dovrai
affrontarli tutti. Non potrai cedere Louisa. Neanche una volta, perché se lo
farai morirai. Capisci quello che stiamo dicendo? Dovrai affrontare dentro di
te quello che rappresentano i Grigori: l’ira, la lussuria, l’avarizia e gli
altri peccati. Più starai vicino a Jason, più sentirai quei desideri crescere
dentro di te e divorarti l’anima. – Louisa abbassò gli occhi e annuì, aveva
capito fin dall’inizio che ci sarebbe stato un prezzo molto alto da pagare.
-
C’è dell’altro – disse Isaiah richiamando la sua attenzione – Molti anni fa,
Fen rapì un bambino che aveva risposto all’anello del Quinto Cielo e portò
l’anello con lui. Noi pensiamo che Jason potrebbe essere quel bambino. Anche se
volesse, noi non possiamo lasciarlo andate, non quando c’è la possibilità che
possa essere un Sigillo, quindi ti preghiamo di tenerlo sempre vicino a te e ti
non separartene mai, nemmeno se ti
chiedesse di lasciarlo andare. – Louisa si sentì mancare le forze, non poteva
credere che Jason potesse essere uno di loro, ma senza anello non aveva la
possibilità di controllare. – Un’ultima cosa Louisa poi ti lasciamo andare,
sappiamo che hai portato un altro
ragazzo con te. Non sappiamo cosa ti lega a lui, ma dovrebbe tornare a casa. –
Louisa scosse lentamente la testa, stupita del suo stesso gesto – Non posso, Will
non è qui per me, ma per Jason, è stato lui a curarmi quando Jason glielo ha
chiesto. Sono amici, quasi fratelli e se Will non vuole andarsene, non lo farà.
-
Ti ha curata quando sei rimasta ferita? – Isaiah si grattò il mento – In quel
caso, se vuole, potrebbe fare il medico qui. Abbiamo sempre bisogno di
personale valido e potrebbe alloggiare vicino alle stanze dei Sigilli, in modo
che possa sempre essere reperibile. Jason non mi sembra uno che sta alle
regole, la presenza del suo amico potrebbe renderlo più docile. – Louisa sentì
l’acido in fondo alla gola e lo stomaco si chiuse involontariamente, volevano
usare Will per tenere a freno Jason e renderlo più malleabile e lei non
riusciva e crederci.
-
Avete altro da dirmi? – chiese in maniera più brusca di quanto volesse. Alcuni
Custodi la fulminarono con lo sguardo, Isaiah scosse la testa – Puoi andare
Louisa. Spiega ai due ragazzi come funzionano le serrature delle stanze
nell’ala dei Sigilli e tu e Jason spostatevi in quella stanza. Quel ragazzo può essere arrogante quanto vuole, ma è
pur sempre la tua miglior difesa ed è meglio che tu ce l’abbia sempre vicino. –
senza aspettare che gli altri la congedassero Louisa prese la via della porta,
e come sospettava Jason la stava aspettando in corridoio contro il muro con le
braccia e le gambe incrociate – Allora quali segretucci vi siete scambiati tu e
quel branco di vecchi rimbambiti? – Louisa sospirò, il colloquio con i Custodi
l’aveva totalmente prosciugata e aveva bisogno di riposare – Nulla di che.
Stavamo decidendo dove farti alloggiare, cosa farti sapere di noi e quando
farti iniziare l’addestramento. In oltre devo fare una proposta a Will.
-
Ma non mi dire – Jason si staccò dal muro e la guardò fisso negli occhi a pochi
centimetri dal suo volto. Louisa ammutolì constatando quanto scuri potessero
diventare i suoi occhi quando Jason era furioso – Se in questa storia Will si
farà male ti giuro che te la farò pagare veramente cara, e non mi importa
quanti Custodi dovrò calpestare per arrivare a te. Sono stato chiaro? – Louisa
fece un mezzo passo indietro cercando di riconquistare il suo spazio – Non
voglio nemmeno io che Will si faccia male, ma finché resta qui è al sicuro, i
confini dell’Istituto sono protetti contro le intrusioni e qui Will potrebbe
fare il medico – Jason la afferrò per le braccia e la scosse violentemente– Tu
non lo conosci come lo conosco io, cosa ti fa credere che Will si accontenti di
lavorare per un’istituzione di pazzi complessati?
-
Ti prego lasciami! Mi fai male! – Jason la lasciò bruscamente e Louisa
indietreggiò fino a toccare il muro, il ragazzo ansimava e si guardava le mani
– Non farmi incazzare Louisa. Io non sono per niente una brava persona quando
mi incazzo. – Louisa annuì e si massaggiò piano le braccia, Jason le aveva
fatto veramente male, ma ciò che più la faceva soffrire era il fatto di non
aver lasciato libertà di scegliere a nessuno dei due.
Reprimendo
l’impulso di scoppiare a piangere, percorse il corridoio da cui era arrivata
con Jason alle spalle. Aveva bisogno di mettersi al sicuro nella sua stanza e
mettere delle solide mura tra lei e il resto del mondo. Quando uscì Will le
fece un timido sorriso seduto sul kart – Allora come è andata? – chiese a
nessuno in particolare. Jason sbuffò sonoramente – È andata che quelli non mi
voglio lasciar andare e tu sei stato promosso a medico dei Sigilli. A quanto
pare saremo ospiti di questo posto per un po’ – Will alzò le spalle rassegnato
– Me lo ero aspettato, ed è per questo che sono venuto con te. Almeno posso
impedirti di radere questo posto al suolo fino alle fondamenta, ma dimmi Louisa,
medico? Non avranno esagerato? –
Louisa scosse la testa, come faceva Will a essere così sereno e sorridente nel
trovarsi intrappolato dentro l’Istituto, lei proprio non riusciva a capire – Vi
mostro le vostre stanze, si trovano nel Chiostro riservato ai Sigilli, è un bel
posto e spero che vi troviate bene. –
-
Certo come no. E un Boa Constrictor è l’animaletto da compagnia che tutti
dovrebbero avere – Louisa lo ignorò e gli diete le indicazioni per arrivare a
Chiostro, nella parte vecchia dell’Istituto. Quando arrivarono Louisa diede
lanciò un’occhiata adorante alle proprie piante al centro dell’aiuola del
Chiostro, per poi guardare tutto il resto, come se si aspettasse di vedere
qualcosa di diverso, ma non era cambiato nulla in pochi giorni. Il portico
continuava a correre lungo il Chiostro e le stanze dei Sigilli erano chiuse con
un rilevatore di impronte a scanner gel che lasciavano entrare solo chi ne
aveva ricevuto il permesso. Il suo mondo iniziava e finiva in quel Chiostro, dalla torre dell’orologio alla
magnolia in mezzo all’aiuola.
Condusse
i due ragazzi sotto il portico e mostro loro lo scanner gel – Funziona come la
chiave in una toppa, ma non può essere clonata – disse appoggiando la propria
mano sul lettore – Il gel legge le vostre impronte digitali alla perfezione e
solo le persone a cui date il permesso possono entrare – la luce alla base
dello scanner lampeggiò due volte e la porta scorrevole si aprì – Will, pensavo
di farti stare in questa stanza. Durante
il giorno c’è un piacevole vento fresco, ma se non vuoi posso trovartene
un’altra. – Will diede un’occhiata rapida alla stanza, sperava che gli
piacesse, era arredata in maniera semplice, ma sperava che ci fosse tutto
quello che poteva servire al ragazzo. – Spiegami come posso inserire i miei
dati nello scanner gel – Louisa si accorse di aver ricominciato a respirare e
lo seguì nella stanza – Ecco vedi questo pannello? – disse indicando i
cristalli liquidi accanto alla porta – Appoggia la mano qui, lui farà una scansione
della tua mano e farà una rapida ricerca nei database su chi sei in base
all’impronta del pollice. Ecco vedi? Qui ci sono i tuoi dati anagrafici della
tua patente. Ora basta dargli l’invio e lo scanner gel ti riconoscerà ogni
volta che ci appoggerai la mano sopra. Per ora, essendo appena arrivato, potrai
aprire solo la porta della tua stanza perché ci sono dei livelli diversi di
sicurezza, ma ti sboccherò quella della mia stanza quanto prima, e anche della
biblioteca e ti tutti i posti dove vuoi andare, della palestra ad esempio, o
del-
Will
le mise una mano sulla spalla fermandola – Tranquilla ok? Me le farai vedere
dopo queste cose, lasciamo prendere confidenza con la mia stanza. – Louisa
annuì e uscì – Allora ci vediamo dopo, intanto mostro a Jason la sua. – mentre
percorreva il portico fino alla sua stanza sentì una voce chiamarla. Si voltò,
un ragazzo moro con gli occhi azzurro chiaro, non molto più alto di lei,
camminava verso Louisa a passo spedito – Louisa! Dove sei stata? Mi sono
preoccupato. I Custodi non hanno voluto dirmi nulla e.. – si fermò notando
Jason dietro di lei e lo guardò male – E questo chi è? È come noi? Voglio dire
è un Sigillo? – lo squadrò alcuni
secondi e Louisa scosse la testa – No James, lui è Jason, è il mio Guardiano. – disse diventando rossa e si
mise a fissare il pavimenti in attesa della sfuriata di James – Tutto quello
che devo dirti su questa enorme stupidaggine te la dirò dopo. Ora vieni con me,
mentre non c’eri Dim si è sentito male, e ha passato un giorno intero a
chiamarti nel delirio. – a quelle parole Louisa si dimenticò totalmente di
Jason e James e corse attraverso il Chiostro con il cuore in tumulto, finché
non sbatté violentemente la mano sullo scanner gel della porta di Dimitri. La
porta si aprì troppo lentamente per i suoi gusti e si fiondò dentro che non era
ancora del tutto aperta.
La
penombra della stanza la lasciò interdetta alcuni secondi, mentre i suoi occhi
si abituavano all’oscurità. Sentiva il respiro fievole di Dimitri e lo cercò la
figura del ragazzo tra le lenzuola. Dimitri giaceva immobile, mentre il monitor
che lo teneva costantemente sotto osservazione proiettava un inquietante luce
verde sul muro e sui suoi capelli castani. Louisa non riusciva a sopportare la
vista degli strumenti medici nella stanza del
suo amico. Ogni volta che vedeva il monitor acceso il dolore la
straziava dall’interno – Dim? – chiamò titubante. Il ragazzo aprì gli occhi e
Louisa vide quanto erano affossati e cerchiati di nero. – Louisa? – la voce roca di
Dimitri gli graffiò il cuore come la minaccia di violenza di Belial non era
riuscito a fare. In pochi secondi gli fu accanto e si inginocchiò sul pavimento
accanto al letto. Un piccolo tubicino scuro era collegato si infilava nel
braccio ghiacciato di Dimitri – Stai facendo la trasfusione? – chiese alzando
gli occhi sulla sacca di sangue appesa a un paio di metri più in alto. Dimitri
annuì piano – È la seconda oggi, poi ne avrò un’altra stanotte. – Louisa gli
strinse la mano gelida e si morse il labbro, non riusciva a sopportare di vedere
Dimitri in quelle condizioni – Vuoi che ti lasci riposare? –
-
No, ti prego tienimi compagni finché la sacca non finisce, odio restare da solo
con la sola compagnia del monitor. – Louisa annuì e Dimitri si mosse piano,
lasciandole spazio nel letto e la ragazza si stese accanto a lui.
-
Dove sei stata? –
-
In Scozia alla ricerca di un Sigillo, purtroppo non l’ho trovato, ma sono
tornata con un Guardiano. – gli raccontò la sua avventura e Dimitri le strinse
più forte la mano, mentre fissava pensosamente il soffitto. – Hai un Guardiano
– ripeté Dim – Non mi piace molto questa storia Lou, è pericolosa. I
Guardiani.. – inarcò la schiena, mentre si mordeva il labbro e affondava le
unghie nella mano di Louisa – Dim! Stai male? Vuoi che chiami aiuto? – Dimitri
scosse la testa e si rilassò, mentre tremava contro il corpo di Louisa – No, è
passato, ma Lou i Guardiani sono pericolosi. Non è mai finita bene tra Sigilli
e Guardiani. Quello che proviamo stando con loro.. –
-
So già dei peccati, Dimitri e sono disposta ad affrontarli. – Dimitri scosse la
testa castana – Non mi riferivo a quello. I Guardiani stanno con noi notte e
giorno è facile perdere la testa per loro. E Louisa, lo sai, l’amore ci farà
uccidere.
Dio,
in quale momento,
ho iniziato di dubitare di me stessa?
Nad:
scrivendo questo capitolo mi sto rendendo conto di quante cose devo stare attenta,
ad esempio agli indizi e alle rivelazioni che vi sto lasciando..non è facile..intanto
vorrei rendere grazie a quelli che mi seguono sempre e anche ai nuovi arrivati che
mi incitano sempre a scrivere nonostante stia facendo i salti mortali durante il
tirocinio. Probabilmente non sarei riuscita a scrivere questo capitolo in una settimana
senza di loro! Grazie mille!
Khyhan
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Capitolo 4 *** IV. Culpa ***
IV. Culpa
Culpa
“ Se tuo fratello
commette un peccato,
va e metti a nudo
la sua colpa fra te e lui solo.
Se ti ascolta, hai
guadagnato un fratello.”
Mt
18:15
Jason
fissò Louisa scappare di corsa improvvisamente impallidita e gli occhi grigi
spalanchi per la paura. In ventiquattro ore l’aveva vista traumatizzata e il
lacrime diverse volte, ma mai, fin ora, aveva sentito il bisogno di inseguirla,
stringerla tra le braccia e confortarla, come lo sentiva in quel momento, fin
ora non l’aveva mai vista così fragile e indifesa. In genere lui non confortava
le persone, lo lasciava fare volentieri a Will, che era un mago nel trovare le
parole e i momenti giusti, lui preferiva irritarle a morte fino a far dimenticare i loro vecchi
problemi, procurandone di nuovi. Resistette a quel neonato bisogno dentro di
lui e si appoggiò a una delle colonne che sostenevano il portico, osservando il ragazzo moro con cui aveva
parlato prima Louisa. Guardava la ragazza allontanarsi con aria impotente e gli
tremavano le braccia mentre stringeva i pugni – Se ti crea così tanti problemi
che Louisa sia corsa via perché non la insegui?
-
Louisa può fare quello che vuole, non è una bambina. – per poco non gli scoppiò
a ridere in faccia. Quel tipo moriva dalla voglia di seguire Louisa e non lo
faceva perché lei in teoria lei non era
una bambina e, sempre in teoria avrebbe potuto fare quello che voleva. Non
aveva mai sentito una risposta più ridicola e insulsa. Appoggiò la testa contro
la colonna e fissò torvo le volte a crociera del portico, maledicendo le
proprie gambe che puntava sempre nella direzione di Louisa, ogni minuto che
passava sentiva aumentare il desiderio di seguirla, stuzzicarla fino a farla
arrabbiare e toglierle quell’espressione triste e spaventata dal volto. – Ma
che cazzo! Non si può continuare così! Che diamine mi ha fatto quella donna?
Si
ritrovò James a pochi centimetri di distanza, ne sentiva il calore e il fiato
sul collo – Che hai detto di Louisa? – ringhiò aspramente.
A
Jason si tirarono le labbra in un sorriso, quel ragazzo era più basso di lui di
tutta la testa e lo fissava con le narici dilatate e una furia appena
trattenuta – Ho chiesto, – disse scandendo bene le parole – Che cazzo mi ha
fatto Louisa, perché ora ho una gran voglia di seguirla e di portarmela a
letto. Sono stato chiaro, nano? – il pugno improvviso lo colpì in pieno viso e
lo spedì per terra, mandandolo a tre metri di distanza da dove si trovava.
Nonostante il dolore alla mascella, si sforzò di scoppiare a ridere. Ci aveva
visto giusto: per quel ragazzo, Louisa era qualcosa di più di una semplice
amica. Si rialzò, e si passò il dorso della mano sul labbro spaccato,
ripulendosi da una goccia di sangue – Che ti prende? Sei geloso perché Louisa è
la tua fidanzatina e non ci sai fare e ora io devo stare con lei? Hai paura che
possa vedere quanto su possa divertire con me eh, nano? – lo provocò
deliberatamente, aspettandosi una nuova risposta violenta. Non avrebbe mai
potuto colpire Louisa, era talmente piccola e minuta che, se lo avesse fatto,
le avrebbe fatto realmente del male e si
sarebbe sentito in colpa per settimane, se non per mesi. Questo tizio, invece,
era basso e robusto e i muscoli gli spiccavano tesi e pulsanti sulla felpa; con
lui poteva usare tutta la sua forza senza poi avere minimamente i sensi di
colpa: per il momento era un’ottima valvola di sfogo. Si aspettò un altro pugno, ma inaspettatamente James
rimase rigido, a fissarlo con la mascella contratta e con il petto che si
alzava e si abbassava velocemente – Mi dispiace, non avrei dovuto colpirti. –
disse prendendo fiato - Conosco Louisa, e con uno come te non ci starebbe
neanche tra un milione di anni. Neanche se fossi l’ultimo uomo rimasto sulla
Terra. In oltre, le sa bene cosa ci
si aspetta da un Sigillo, sa cosa si aspetta Dio da lei. – tenne gli occhi
fissi sul pavimento, mentre le mani si aprivano e si chiudevano in maniera
spasmodica. Jason batté un paio di volte le palpebre, mentre un pulsare sordo e
ritmico contro la mascella reclamava vendetta; se lui fosse stato al posto di
James, non gli sarebbe passato neanche per l’anticamera del cervello di dire
“mi dispiace”, né avrebbe cercato di trattenersi dal saltare addosso al suo
provocatore – Voi Sigilli siete tutti così? – domandò canzonario.
James
alzò lentamente gli occhi su di lui, visibilmente rosso in volto – Così come?
-
Tutti un: “mi dispiace”, “non volevo ferirti”. Se realmente violentassi Louisa
cosa faresti, eh? Accetteresti tutto passivamente? Louisa mi perdonerebbe?
Siete così santi da accettare che vi facciano del male? O la vostra è pura
ipocrisia e vi vendichereste? – non lo sopportava più, ad ogni parola che
tirava fuori, vedeva chiaramente che James moriva dalla voglia di picchiarlo di
nuovo e farlo tacere, eppure si tratteneva fino ad affondare le unghie nei
palmi.
-
Noi non siamo ipocriti! – urlò James con una vena che gli pulsava visibilmente
sulla tempia - E prima che tu possa mettere le mani addosso a Louisa, i Custodi
ti appenderebbero a testa in giù su qualche albero! – incrociò le braccia al
petto fissandolo con odio e Jason alzò le spalle noncurante, troppe volte si
era visto fissare il quella maniera e ormai non ci faceva più caso – Allora se
vado a farmi un giro non creo disturbo, vero? Siete voi che andate tenuti
costantemente sotto controllo. Come degli
animaletti in gabbia. – risuonò volutamente crudele, sottolineando le
ultime parole e vide la mascella di
James contrarsi in modo anomalo, come se si stesse mordendo la lingua. Sorrise
per l’effetto che avevano avuto le sue parole e alzò il dito medio mostrandoglielo
apertamente – Saluta Louisa da parte mia, e dille che tornerò domani mattina e
di non scandalizzarsi troppo se vado a farmi un giro in città. Sono maggiorenne
e vaccinato.
Per
un attimo James cambiò espressione, aprì la bocca come per dire qualcosa, ma
tornò presto a gonfiare il petto e a guardarlo storto – Fa come ti pare. Se poi
ti fai male, non pretendere che Louisa ti curi. – Jason scoppiò a ridere
all’immagine che si era formata nella sua mente: Louisa con un completino da
crocerossina che lo aiutava ad assumere le medicine – Fidati, – disse ridendo ad
intermittenza – Se ti dico che una cosa del genere non accadrà mai. Non con il
genere di infermiera a cui penso io. – gli voltò le spalle e, senza aspettare
risposta, camminò nella direzione da cui era arrivato con Louisa e Will pochi
minuti prima.
Jason
scoprì presto che quello che Louisa chiamava Istituto era un gran complesso
formato da più edifici squadrati e completamente bianchi, e vicino alle porte
di ingresso delle varie stanze, brillava il led dello scanner gel, così come
aveva visto nel chiostro dove lo aveva portato Louisa: non c’erano decorazioni
a parte le lampade a forma di boccia che illuminavano il porticato e i giardini
ricchi di cespugli e di alberi, in contrasto con colonne lisce e i muri dipinti
di bianco, dandogli l’impressione di essere in un luogo asettico e freddo. Come
Louisa poteva chiamare casa quel posto, Dio solo lo sapeva. Lui, senza un tono
di colore nella vita, sarebbe impazzito già da diverso tempo. Sorrise appena,
Louisa era già completamente pazza era salita in moto con un perfetto
sconosciuto, come lui.
Fece
un lungo e tortuoso giro, cercando di raggiungere l’edificio romanico a cui lui aveva affibbiato il nome di
“chiesa”, e incrociò un paio di volte delle persone in camice che portavano
delle sacche arancioni fosforescenti a tracolla o che giravano su silenziosi kart
elettici parlottando tra di loro, verso
chi sa che meta. Si mise le mani nelle tasche dei jeans e proseguì alla ricerca
dell’uscita. Aveva bisogno di cambiare aria, di esplorare le zone circostanti e
di bere qualcosa di forte che lo aiutasse ad accettare quella nuova e indigesta
situazione. Il pensiero di non poter tornare a casa lo colpì come un pugno allo
stomaco e si bloccò vicino all’ennesima aiuola di fiori ed alberi che
spuntavano a intermittenza fra i vari edifici. La rabbia gli fece sentire il
gusto metallico del sangue in bocca e prese a calci un paio di sassolini dalla
frustrazione. I Custodi lo avevano incastrato per bene, così come Louisa, non
poteva lasciarla da sola per lungo tempo e doveva fare di tutto per proteggerla
se voleva tornare libero.
Alzò
lo sguardo e vide sopra gli alberi punteggiare il profilo di un edificio color
rosso mattone e sospirò soddisfatto. Prima aveva visto che la “chiesa” era
l’unico edificio che di quel colore e in quello stile, e lì davanti c’era
l’uscita che lo avrebbe portato in città.
Louisa
quella notte doveva concedergliela. Aveva bisogno di pensare, aveva bisogno di
stare da solo, e soprattutto, aveva bisogno di divertirsi come piaceva a lui.
Quando
Louisa uscì dalla stanza di Dimitri, il sole era basso sull’orizzonte e le lampade
gialle del chiostro gettavano ombre scure sulle colonne e sui cespugli di rose
che costeggiavano il portico; le sembrava di essere appena uscita da un film
dell’orrore per essere catapultata in uno ancora peggiore. Si sentiva addosso
l’odore del disinfettante e nelle orecchie le risuonava il lento gocciolio del
sangue, che dalla sacca arrivava fino alla vena di Dimitri, mischiato all’odore
delle rose e al crepitio secco dei rami. Come potevano due odori e due rumori
che avrebbero dovuto rincuorarla e parlarle di vita, sapere inesorabilmente di
morte, e farla sentire così inutile e impotente fino a soffocarla? Si accasciò
lungo il muro, e si rannicchiò con la testa tra le ginocchia, ogni respiro che
faceva le costava fatica, e la testa le girava mentre cercava affannosamente
l’aria tra un respiro corto ed un altro.
Doveva
tornare da Jason, ma era troppo tardi per mostrargli la stanza di cui avevano
parlato i Custodi, per cui lei avrebbe dovuto trovargli un’altra sistemazione
per la notte, probabilmente una delle camere adiacenti alla sua. Scosse la
testa, tornare da Jason in quelle condizioni significava farsi bombardare da
una raffica di battute pungenti e domande, e lei non aveva né la forza, né la voglia di
rispondergli. Non se si trattava di Dimitri e della sua malattia. Aveva bisogno
di tempo, di conoscerlo meglio, per dirgli certe verità e Jason non era il tipo
che ispirava confidenze, probabilmente non
avrebbe preso la situazione sul serio o si sarebbe solo infuriato,
maledicendo i Sigilli e tutto quello che gli ruotava attorno.
Dei
passi pesanti si avvicinarono, ma non alzò la testa per controllare chi fosse;
poche persone entravano nell’Istituto e ancora meno nella zona riservata ai
Sigilli, chiunque esso fosse lo conosceva e non aveva bisogno di spiegare per
quale motivo lei era accasciata, in panico, fuori dalla stanza di Dimitri.
-
Louisa? – James la chiamò dolcemente e le accarezzò la testa, sedendosi accanto
a lei – Non avresti dovuto correre così da lui. Ti fa solo male vedere Dim
così. – mentre parlava James le accarezzò continuamente i capelli, e Louisa si
sentì rincuorata dal tocco familiare e gentile dell’amico e alzò la testa.
-
Quanto tempo?
James
si morse il labbro inferiore e fissò il pavimento, stringendosi le braccia al
corpo – Non lo sappiamo. Non hanno ancora trovato un donatore per il trapianto,
per ora può solo continuare con le cure che gli fanno.
-
Tra quanto sarà di nuovo in piedi? Quanto tempo deve rimanere in quel letto? –
abbassò anche lei e fissò il pavimento fino a
mandarlo fuori fuoco. Erano sette miliardi su quel pianeta, possibile
che nessuno di loro fosse compatibile per il trapianto di Dimitri?
-
La trasfusione e le medicine hanno già iniziato a ripulirgli il sangue, di
questo passo sarà di nuovo in piedi tra un paio di giorni, ma sai come è fatto
Dimitri. Se ci avesse avvertito prima avrebbe potuto evitare quella crisi
dolorosa, ma tiene sempre tutto per sé.
-
Non è colpa sua. – sbottò senza riuscire a trattenersi – Dim ci vuole bene e
non vuole farci preoccupare. Non puoi fargliene una colpa. – la sua mente tornò
agli occhi infossati e cerchiati di scuro di Dimitri, Louisa non riuscì a capire
da dove il suo amico trovasse tutta quella forza di volontà per continuare a
combattere la sua malattia e allo stesso al loro fianco, come Sigillo dello Sagun, il Terzo Cielo. La missione dei
Sigilli la riscosse di colpo con una ventata di nuova energia e si guardò
intorno, cercando la figura di Jason nel oscurità del chiostro – James? Sai
dove è andato Jason? Dovevo mostrargli la sua stanza e.. - James sbuffò
sonoramente e mosse debolmente la mano, come se cercasse di scacciare un
insetto – Ti riferisci a quel ragazzo irritante e maleducato con cui mi hai
scaricato quando sei corsa da Dimitri? – domandò guardandola storto – È uscito.
Louisa
scattò in piedi, improvvisamente allarmata. Una parte del suo cervello le stava
inviando continuamente segnali di urgenza e di pericolo, facendole tramare le
gambe per l’adrenalina. Jason non poteva allontanarsi da lei con l’intenzione
di andarsene, ma poteva comunque sparire per diverse ore e cacciarsi in un mare
di guai – Come è uscito? Uscito dove? Dal chiostro?
James
scosse la testa – Prima che mi mostrasse il dito medio, ha detto che stava
andando a farsi un giro in città.
-
E tu lo hai lasciato andare? Non lo hai fermato? Nonostante il sole stia per calare?
-
Mi stava antipatico, e gli ho detto di
fare quello che voleva. - Louisa non riuscì a credere che James potesse
aver fatto una cosa del genere, non con i Grigori che li stavano cacciando.
-
Louisa dove stai andando? – alle urla di James, Louisa si rese conto che stava
già correndo nella direzione dell’uscita più vicina; doveva trovare Jason il
più in fretta possibile e riportarlo all’Istituto prima che chiudessero il
cancello. Lui non sapeva come agivano i Grigori, non ne aveva la più pallida
idea, non sapeva riconoscerli e soprattutto non sapeva come si divertivano.
Senza
fermarsi a dare spiegazioni, si tuffò attraverso il cancello che si stava
chiudendo per la notte, e sentì le guardie allarmate che la chiamavano
implorandola di tornare indietro. Per proteggere i Sigilli, i confini
dell’Istituto dovevano essere bloccati di notte. Una volta chiusi i cancelli
chi era dentro era dentro e chi era fuori.. doveva iniziare a pregare di poter sopravvivere
fino all’alba.
Corse
attraverso la strada alberata che la portava in città fino a ritrovarsi piagata
in due con il fiatone e il fianco destro che le mandava fitte dolorose. Correre
non era mai stato il suo forte,
nonostante James la stimolasse ad allenarsi; lei non era neanche lontanamente
forte e resistente come lui, perfino Dimitri, con tutta la sua malattia aveva
delle capacità fisiche maggiori delle sue. Si appoggiò ad un albero sconfitta
dal bruciore ai polmoni e dalla stanchezza e cercò di riprendere fiato.
Staccarsi
da lì e ricominciare a correre verso la città era difficile, i muscoli le
facevano male e si contraevano in maniera spasmodica implorandola di stare
ferma e di recuperare.
Spalancò
gli occhi nell’oscurità mentre si rese conto che lei non sapeva nulla di Jason,
anche se fosse stata in perfette condizioni fisiche per correre fino in città,
lei non sapeva da dove iniziare a cercarlo; non sapeva che locali frequentava,
né cosa gli piacesse fare per distrarsi.
Chiuse
gli occhi e strinse tra la mani l’anello – Ti prego, ti prego. Per una volta sola, ti prego.
Aiutami. – Non sentì nulla, né avvertì alcun cambiamento nel suo corpo. L’unica
cosa che le venne in mente fu una parola, appena sussurrata agli angoli della
sua mente.
L’istinto.
Jason
era seduto sullo sgabello del bar, dando le spalle al bancone, e guardò con un
sorriso di scherno i clienti troppo appariscenti per quel tipo di locale.
Sorseggiava la sua birra rossa, maledicendo per l’ennesima volta la situazione
in cui si era ritrovato e la birra che non gli dava alcuna soddisfazione.
Aveva
camminano come un ossesso per la città, scartando uno dopo l’altro i locali
ultra moderni, con le loro luci al neon colorate e tavolini in alluminio e
plastica, finché non aveva trovato quel pub nascosto in un vicolo laterale di
una delle vie principali. Non era un tipico pub britannico, ma i vetri offuscati,
le luci soffuse e basse, i tavoli in legno massiccio, e la promessa di birra
fatta in casa lo avevano attirato come una calamita.
Sperava
di poter respirare aria di casa, ma quel posto era un surrogato di uno dei
locali a cui era abituato: i clienti erano troppo ben vestiti, i tavoli in
legno scuro non avevano l’aria vissuta e opaca di chi ne aveva viste tante e la
gente non cantava e scherzava in gruppo accontentandosi di stare in piccoli
gruppetti ad ascoltare la band che suonava in un angolo. Sospirò, guardando il
fondo del proprio bicchiere, perfino le bevande erano leggere e senza gusto;
gli davano l’impressione di bere dell’acqua anziché la birra a doppia
fermentazione che aveva ordinato.
Senza
voltarsi, alzò il bicchiere e lo scosse verso il bancone – Un'altra! – disse
alzando la voce. Una mano gli tolse prontamente il bicchiere e il barista si
sporse a guardarlo – È la quinta. – disse senza preamboli. Gli angoli della
bocca di Jason si piegarono in un sorriso più largo, mentre non distoglieva gli
occhi da una coppia di ragazze bionde che ridacchiavano sopra un piatto di
patate fritte – Ci vogliono ben più di cinque birre per crearmi qualche
problema, e poi, - disse, alzando le spalle – Sono a piedi, il massimo che
posso fare è addormentarmi nell’angolo di qualche strada o provarci con qualche
ragazza non proprio bellissima. – rise alla propria battuta e si voltò a
guardare il barista che lo fissava corrucciato – Per ora mi accontento di
un’altra birra. Scura stavolta, possibilmente Guinness! – senza aspettare la risposta
si voltò nuovamente la sala; le due biondine che aveva adocchiato ora stavano
ridacchiando alla battuta di un ragazzo che gli si era affiancato. Jason
osservò il terzetto qualche altro minuto, ma perse interesse quando le due ragazze
si alzarono e seguirono il tipo verso un altro tavolo, dove li aspettavano
altri cinque ragazzi. Devo fare i miei complimenti a quelle due,
pensò, paghi uno, prendi sei. Un acquisto
niente male.
La
serata iniziava a stancarlo, e si chiese distrattamente se girare senza meta
per la città o tornare all’Istituto a parlare con Will, non fosse uno svago
migliore di quello che aveva trovato fin ora. Non ne poteva più di guardare
ragazzi sbavanti su minigonne e ragazze che giocavano a fare le preziose per poi
cedere dopo neanche mezzora. Conosceva quel gioco, e sapeva che meno della metà
di loro, il mattino dopo, si sarebbe ricordato il nome del proprio partner.
Appoggiò i gomiti sul bancone e sperò che un miracolo lo strappasse alla noia
mortale che quella città gli stava regalando, quando una ragazza con i capelli color
miele scuro e gli occhi azzurri gli si parò davanti – Ciao, – disse attaccando
bottone – Sono Miriam, sei nuovo di qui? Non ti ho mai visto. – Jason sorrise e
si raddrizzò immediatamente – A dir la verità si, sono nuovo in città. –
sorrise e bevve metà birra in un sorso, mentre Miriam si avvicinò di un altro
passo. Jason sentì il profumo di sapone alle rose, misto a qualcosa che non
aveva mai sentito prima, qualcosa che gli fece girare la testa e accelerare i
battiti del cuore – Se vuoi compagnia, – proseguì Miriam facendogli un largo
sorriso e mostrandogli i denti candidi e regolari – Io e le mie amiche tra poco
andiamo in un posto migliore. Puoi unirti a noi se lo desideri. – fece un gesto
in direzione di un tavolo dove cinque ragazze gli fecero cinque identici,
candidi sorrisi e Jason le squadrò da capo a piedi con quel poco di
autocontrollo che gli era rimasto. Erano tutte bellissime, con capelli che
andavano dal caschetto corto nero, a morbidi boccoli biondo platino, e tutte,
interamente vestite di rosso sgargiante. Jason si ritrovò a distogliere a
fatica lo sguardo per tornare a concentrarsi su Miriam che teneva gli occhi
puntati su di lui, talmente vicina che Jason sentiva il suo cuore battere e il
calore emanato dalla sua pelle bronzea; se si fosse mosso di un centimetro
avrebbe potuto toccarla – Perché siete tutte vestite di rosso? – fece fatica a
riconoscere la propria voce per quanto era roca. Miriam gli mise una mano sul
petto e giocherellò un po’ con la cerniera della felpa di Jason e sentì gli
occhi di tutto il locale puntati addosso – Diciamo che ci piace vestirci di
rosso, è il colore della passione e della sensualità, no? – un campanello
d’allarme suonò nella testa di Jason e gli disse di mettere spazio tra lui e
quella donna sfacciata – È anche il colore della vita, del fuoco e della
distruzione. – precisò Jason, guardandola in faccia e sentendo l’eccitazione e
la tensione salire, anche Miriam era bellissima, il seno della ragazza gli
sfiorava il braccio e l’abito rosso attillato che indossava gli arrivava a metà
coscia. Deglutì, sentendosi la bocca secca, quella ragazza era tutto ciò che un
uomo desiderava, e se Jason l’avesse conosciuta meglio, era sicuro, sarebbe
risultata anche simpatica. Voleva dirgli di si con tutte le sue forze, ma
qualcosa lo trattenne, mettendolo in guardia.
La
porta di ingresso del pub scampanellò e Miriam si raddrizzò immediatamente, ed
entrambi osservarono la nuova arrivata. Se Jason aveva considerato Miriam
eccitante, nulla era a confronto della donna che era appena entrata. Le gambe
erano incredibilmente lunghe e affusolate, e calzavano un paio di decolté rosse
fiammanti. Jason si ritrovò a trattenere bruscamente il fiato, mentre la
risaliva con gli occhi: portava una minigonna inguinale nera e un top rosso che
lasciava intravedere il seno abbondante bianco latte. Quando la guardò in
volto, le vene gli si incendiarono di desiderio; il viso era un ovale perfetto,
incorniciato da capelli rosso fuoco e gli occhi verde scuro erano accesi di
malizia, mentre percorreva con lo guardo il locale che, completamente in silenzio,
la fissava apertamente. Jason notò distrattamente un paio di ragazzi piegare la
testa per guardare sotto l’orlo della gonna e sorrise, li avrebbe imitati
volentieri, solo per scoprire il tipo di biancheria che portava una donna del
genere, ma i suoi occhi erano incatenati a quelli verdi. Voleva vederla
camminare, voleva sentirla parlare e sentiva il bisogno di sentire il suo odore
e di toccarne la pelle, solo così sarebbe riuscito a calmarsi, lo sapeva: il
suo era un bisogno prioritario.
La
donna scoccò un rapido sguardo nella sua direzione e corrucciò la fronte quando
vide Miriam irrigidita accanto a lui. Jason chiuse gli occhi, ricordandosi
improvvisamente di respirare, quella donna bellissima aveva il fascino di un
serpente velenoso, peccato che lui amasse giocare con i serpenti. Quando riaprì
gli occhi, Miriam non era più accanto a lui, ma insieme alle sue amiche e
guardavano tutte insieme la donna adoranti. Senza attendere oltre, la rossa si
mosse nella direzione del bar, nonostante i tacchi vertiginosi, camminava con
grazia e sicurezza, guardando dritto davanti a sé, senza curarsi delle occhiate
velenose delle ragazze e di quelle sbavanti dei ragazzi, fino a trovare posto
sul bancone del bar a un paio di posti di distanza da dove si trovava Jason.
Scosse
la testa, quando il profumo che aveva sentito addosso a Miriam tornò più forte
di prima, soffocandogli l’olfatto e offuscandogli la vista. Si sentiva avvolto
dalla presenza schiacciante di quella donna, mentre il suo campanello d’allarme
pulsava talmente tanto forte alla base del cranio da renderlo instabile sulla
sedia.
-
Sei solo? – quella voce era musica, una delle più belle che avesse mai sentito,
e il cuore di Jason mancò un paio di battiti per la sorpresa quando si accorse
che quella donna non parlava con lui, ma con il tizio totalmente sfigato, che
balbettava rosso in viso sulla sedia accanto
-
S-si. Sono solo, p-perché gli altri stasera
d-dovevano lav-lavorare. – Jason per poco non scoppiò a ridere crudelmente.
Poche volte nella vita capitava che una donna del genere che ti rivolgesse la
parola, se poi quell’opportunità andava sprecata balbettando e massacrando la
propria cravatta, le possibilità di combinarci qualcosa scendevano a meno di
zero, ma sembrava che alla donna non importasse molto e gli fece un sorriso,
incitandolo a proseguire – Dove lavori? Mi sembri un tipo molto intelligente,
sicuramente farai un lavoro di gran importanza. In banca? O un ricercatore,
magari? – parlava a bassa voce, vicinissima a quell’uomo che si era già
slacciato il primo bottone della camicia e allentato la cravatta. – N-no, cioè
si. Lavoro in quel gran complesso fuori città, come ricercatore, ma non posso
dire nulla di più. – per un secondo Jason ebbe l’impressione che negli occhi di
quella donna si fosse accesa la luce del trionfo, ma la sensazione scomparve
quando il sorriso della donna si allargò fino ai molari e lui si perse di nuovo
nel suo profumo avvolgente. – Io sono
Ismael. – disse la donna suadente – Ti prego, so che è tutto top secret, ma
sono sicuro che un uomo importante come te può dirmi qualcosa anche di piccolo,
senza farsi scappare segreti troppo importanti. Io adoro quel complesso e mi
piacerebbe lavorarci. – Jason sapeva che avrebbe dovuto sentirsi allarmato da
ciò che stava ascoltando, ma la testa era completamente svuotata e sperava
ardentemente che quella donna non smettesse di parlare.
L’uomo
scosse la testa, visibilmente nervoso – Ci sono troppe orecchie in giro. –
sussurrò - Sai, questione di sicurezza, chiunque potrebbe essere una spia. – le
fece l’occhiolino e a Ismael scappò una risata che a Jason fece rizzare i peli
sulla nuca – Certamente, capisco. – accorciò le distanze, fino a trovarsi a
pochi millimetri dalle labbra di quell’uomo – Allora che ne pensi se ci
appartiamo da qualche parte e stiamo un po’ tra noi?
L’uomo
annuì vistosamente e senza pensarci due volte abbandonò sul bancone una banconota a cinquanta euro – Il
resto mancia. – disse prendendo sotto braccio la donna e lasciandosi trascinare
fuori. Prima di uscire Ismael scoccò un’occhiata complice a Miriam e alle sue
amiche, che rimasero rigide e composte al loro posto. Un ape regina che comanda a bacchetta le sue operaie, pensò Jason
una volta che Ismael si fu allontanata e i pensieri gli si schiarirono. Miriam
lo aveva messo alle corde e se non si fosse distratta mentre lo circuiva a
quest’ora sarebbe con quel gruppo di ragazze interamente vestite di rosso. Gli
occhi volarono nella loro direzione, senza i sensi offuscati non le trovava più
così belle, i volti erano troppo truccati, e i vestiti talmente tanto scollati
o aderenti che non lasciavano spazio all’immaginazione, in oltre, i sorrisi che
prima aveva trovato accattivanti ora erano smaliziati e crudeli, sotto sguardi
rapaci che percorrevano la sala in cerca di nuove prede. Con la mente lucida e
all’erta Jason decise di tornare all’Istituto e di parlare con Louisa di ciò
che aveva origliato, forse quella donna voleva solo una preda facile, ma il
sesto senso gli diceva che Louisa e i Sigilli erano in pericolo.
Tirò
fuori il portafoglio – Hei! – urlò al barista, contando rapidamente i soldi che
gli doveva – Vuoi muovere il culo? Qui c’è gente che deve correre. – l’uomo che
gli aveva servito le birre gli si piantò davanti e lo afferrò per la felpa,
sollevandolo di un paio di centimetri – Chi è che deve muovere il culo,
ragazzino? – Jason gli afferrò le ultime dita della mano e gliele torse fin
quando l’uomo lo lasciò andare sbiancando di colpo – Cerchi rogne, moccioso? – urlò
l’uomo massaggiandosi le dita e Jason gli sorrise lisciandosi la felpa
sgualcita – A dir la verità volevo pagare il conto, ma sei così lento e ottuso
che l’inflazione sarà salita alle stelle e ciò che ho in mano non vale più
nulla. – il barista lo squadrò dall’alto in basso e poi scrollò le spalle –
Vattene, e non mettere più piede qui dentro.
Jason
scoppiò a ridere sguaiatamente, dondolandosi sui talloni – Mi piace questo
posto, ha quell’aria scura e tetra da film vecchio stile. Sai, dove ti aspetti
sempre che scoppi una rissa in qualsiasi momento. Quindi, visto che non è
successo nulla di interessante, tanto vale divertirsi, no? Ma forse sei così
lento che non riusciresti a prendermi neanche se mi muovessi a rallentatore. –
il volto del barista cambiò colore velocemente, passando dal bianco, al rosso,
per poi fermarsi sul viola intenso – Andiamo fuori moccioso, non ho alcuna
intenzione di rovinare qualcuna delle mie sedie spaccandotele addosso. Penso
che il cemento sia più che sufficiente per un pallone gonfiato come te. – Jason
fece segno di fargli strada quando la porta scampanellò di nuovo ed entrò
Louisa con le guancie arrossate e con il fiatone. Lo sguardo di Jason corse
rapidamente la sala fino alle ragazze vestite di rosse, che osservavano
attentamente Louisa, scambiandosi gesti eloquenti. In quattro passi, percosse la
percosse tutta fino a ritrovarsi accanto a Louisa con la discussione avuta pochi
secondi prima con il barista relegata in un angolo della mente – Che ci fai
qui, stupida? Devi andare via. Subito. – la afferrò per un braccio, mentre
lanciava un ultimo sguardo a Miriam e alle sue amiche.
-
Jason! Dobbiamo andare subito all’Istitu- uhmm. – senza pensarci due volte
Jason gli coprì la bocca con la mano, impedendole di completare la frase che
avrebbe firmato la loro condanna, non gli piaceva per nulla l’occhiata
insistente che Miriam stava lanciando a Louisa e gli piaceva ancora meno il
fatto che Ismael fosse sparita con quel tizio quando aveva nominato l’Istituto.
-
Noi andiamo via, Louisa. Sono stato chiaro? Non mi fai domande, non chiedi
spiegazioni, ti giri e torni da dove sei entrata. Chiaro? – Louisa annuì con
gli occhi grigi spalancanti per la sorpresa e Jason allentò lentamente la presa
sulla sua bocca. Senza fargli domande Louisa si girò e gli obbedì, lui riuscì a
sentirne il cuore battere all’impazzata contro la gabbia toracica e si chiese
cosa le fosse successo per agitarla in quel modo. Erano arrivati alla porta del
pub quando un urlo lacerò l’aria e Louisa scattò in avanti prima che lui
potesse trattenerla – Louisa! Aspetta! Maledetta stupida ragazzina! – diede un
calcio furioso contro il portaombrelli e corse fuori all’inseguimento di
Louisa, attraversando senza guardare la strada principale, per poi inoltrasi in
un altro vicolo, più stretto e scuro rispetto a quello di prima. Quando la
raggiunse, Louisa era in ginocchio che vomitava in un vaso di piante morte,
mentre qualcuno nell’ombra singhiozzava istericamente tenendo una palla in mano
– Louisa che ti prende? – le mise una mano sul fronte, aiutandola a tenere
indietro la testa, ignorando il liquido scuro sul cemento e l’odore metallico
che pervadeva l’aria. L’odore acido del vomito, mischiato a quello più
persistente gli diede la nausea, ma trattenne i conati con un profondo respiro,
concentrandosi su cose più importanti – Louisa! Ho bisogno che tu ti riprenda!
Non posso portarti via se vomiti anche il pranzi della scorsa settimana,
attireresti l’attenzione. – sentì il corpo della ragazza accasciarsi tremante
contro il suo e Jason la prese tra le braccia, notando solo allora che i
vestiti di Louisa erano macchiati di rosso scuro. – Che è successo? Sei ferita?
– Louisa alzò lo sguardo su di lui, con gli occhi sgranati più che mai – C’è un
sacco di sangue qui. Si dice sanguinare come un maiale, no? Non ci può essere
tutto questo sangue in un corpo umano. Cinque litri, sono solo cinque litri!
Questi sono di più. Il vicolo è pieno di sangue. – Louisa si prese la testa tra
le mani, macchiandosi il viso di rosso. Jason spalancò gli occhi a quelle
parole e si guardò intorno. Prima non lo aveva notato, preso com’era da Louisa,
ma dietro un cassonetto della spazzatura spuntava un corpo e ne riconobbe i
vestiti.
Ogni
cosa andò a posto nella sua mente. I vestiti, il sangue, il vicolo, la palla
che teneva la donna singhiozzante.
-
Louisa! Dobbiamo andare via! – perché quella che teneva in mano la donna non
era una palla, ma una testa.
La
testa dell’uomo che aveva visto sparire con Ismael.
Sangue.
L’unica cosa che riusciva a vedere Louisa era il rosso scuro del sangue.
Cinque litri. Cinque litri!
La
sua mente urlava quel dato, come una scappatoia. Un dato letto su un libro di
medicina doveva per forza essere veritiero. Allora perché per terra c’era tutto
quel sangue? Una macchia grande, che toccava i muri in pietra che delineavano
il vicolo e arrivava fin dove si trovava lei. Lambendola, toccandola, aggirandola,
permeando con il suo odore dolciastro e metallico tutti i pori della pelle di
Louisa fino a saturarli. Quel sangue era troppo. La macchia era troppo larga, troppo
vischiosa. Troppo nera.
Cinque litri,
ricordò la sua testa.
Louisa
non resistette più all’impulso e si piegò in due per dare di stomaco. Sentì una
mano premerle gentilmente sulla fronte e trattenerla, mentre vomitava il
contenuto dello stomaco fino a svuotarlo del tutto, ma anche dopo i conati con
si fermarono, continuandola a farla sussultare a intermittenza. – Che è
successo? Sei ferita? – la voce di Jason le arrivava lontana e distorta, come
se ascoltasse una radio sintonizzata male. Si voltò a guardarlo, ma la testa
era pensate e il viso del ragazzo ondeggiava davanti ai suoi occhi e gli
strinse convulsamente la maglia – C’è un sacco di sangue qui. – disse con la
voce rotta tra un respiro affannoso e l’altro -
Si dice sanguinare come un maiale,
no? Non ci può essere tutto questo sangue in un corpo umano. Cinque litri, sono
solo cinque litri! Questi sono di più. Il vicolo è pieno di sangue. – si
afferrò la testa, che pulsava talmente tanto forte che a Louisa parve che
stesse per scoppiare e si appoggiò contro Jason sentendone l’odore di salsedine
e felci che permeava i vestiti e la pelle del ragazzo, e iniziò a respirare
profondamente contro i suoi vestiti, cercando di calmarsi.
-
Louisa! Dobbiamo andare via! – il tono urgente nella voce di Jason la scrollò
da capo a piedi e lei spalancò gli occhi – Riesci a camminare? – Louisa provò a
rimettersi in piedi, ma come si staccò la corpo di Jason, le gambe ricominciarono
a tremare e i conati la colpirono allo stomaco come un pugno, minacciandola di
farla vomitare di nuovo nonostante non avesse più nulla da rimettere. Jason la
prese per le spalle e l’aiutò a sorreggersi e Louisa si sentì immediatamente
meglio sentendo il peso caldo delle mani del ragazzo sulle braccia. – Non credo
di riuscire camminare. Non ora almeno. – Jason annuì e le diede le spalle,
piegandosi sulle ginocchia – Passami le mani dietro al collo. – disse
semplicemente – Ti porto io finché non ti sentirai meglio. – fece un mezzo
passo indietro, ma i singhiozzi di quella povera disgraziata e l’odore del
vicolo la spronarono ad affidarsi a Jason, voleva andare via immediatamente.
Obbedì e sentì Jason prenderla per le gambe e tirarla su senza fatica. Seppellì
la testa tra le spalle di Jason, mentre lui lasciava il vicolo, senza voltarsi
indietro – Dovremmo fare qualcosa per lei. – disse Louisa dopo qualche minuto
lasciandosi confortare dal passo sicuro di Jason – Per la donna del vicolo
intendo. – le si strinse in cuore sapere che lei non era stata abbastanza forte
da poterla consolare, ben sapendo di essere scappata come una codarda.
-
Il mio compito è quello di tenere in vita te, non fare da psichiatra a lei,
chiamerò i soccorsi quando tu sarai al sicuro. Quello che non capisco è perché
non c’erano curiosi? Quella donna ha urlato, no? L’hanno ignorata tutti? – la
voce di Jason era senza sforzo e Louisa si strinse ancora di più a lui,
ammirando la forza di volontà che il ragazzo mostrava in quel momento.
-
Probabilmente il suo urlo non era così forte. Ricordati che ora hai i sensi più
sviluppati, l’abbiamo sentita urlare nonostante il rumore del pub e una strada
trafficata in mezzo. – si sentiva sonnolenta tra le braccia di Jason, ogni
dolore, fisico e mentale con lui stavano pian piano svanendo, sostituita da una
normale stanchezza di una giornata incredibilmente lunga. Se quello che i
Custodi sospettavano era vero, Louisa stava vivendo sulla sua pelle il potere
dell’emanazione del Sigillo del Quinto Cielo.
-
Perché sei corsa da lei?
Louisa
batté le palpebre un paio di volte, stupida da quella domanda – Perché è nostro
compito, no? Aiutare chi è più debole.
-
E l’hai aiutata vomitando nelle piante morte? – chiese Jason pungente, Louisa
sobbalzò leggermente quando Jason si sistemò meglio il carico sulla schiena.
-
No. – disse reprimendo un singhiozzo - Io sono debole. So di esserlo, tu non
saresti in questa situazione se non fosse per colpa mia.
-
Già, ma se non ci fossi stata, probabilmente sarei morto. E per quanto riguarda
il morto del vicolo, non pensarci troppo. Tu non puoi farci nulla e io dovevo
portarti via da lì il prima possibile. – Louisa alzò la testa per fissarlo in
mezzo alle scapole – Che vuoi dire con
“non pensarci troppo”? – chiese più burbera di quanto non volesse. Jason la
mise giù con un sospiro triste e Louisa lo vide passare un fazzoletto sotto la
fontanella accanto a loro, per poi passarglielo delicatamente sul viso. Quando
lo ritrasse era roseo e Jason lo gettò senza cambiare espressione nel cestino,
per poi farle cenno di montargli di nuovo sulla schiena. Louisa obbedì, stupida
dalla gentilezza e dalla delicatezza del tocco del ragazzo, troppo esausta per
protestare.
-
Louisa quello che sto per dirti non ti piacerà. Quel tipo se l’è andata a cercare, visto che ha
sbandierato ai quattro venti che lavorava all’Istituto con una perfetta
sconosciuta. I vostri addetti alla sicurezza non conoscono molto bene il
concetto di top secret. – Louisa si irrigidì sulla schiena di Jason – Hai appena
detto che il tipo che hanno ucciso lavorava all’Istituto?
-
Si.
-
Impossibile.
Jason
sbuffò sonoramente – Puoi anche non credermi per quel che me ne frega, dico
solo che..
-
Non hai capito, Jason. – si affrettò a precisare Louisa – Nessuno che lavora all’Istituto
esce dopo il calare del sole, fa parte del sistema di protezione per i Sigilli.
I cancelli vendono chiusi e non vengono riaperti prima dell’alba. Non so
spiegarti molto bene. In pratica con i cancelli chiusi, i confini formano un
circolo, una barriera intrecciata con parole scritte nella lingua del Cielo che
tengono lontano gli attacchi dei Grigori.
-
E i Grigori attaccano solo di notte? Peggio che in un film di serie B. – Louisa
lasciò scorrere via il commento sarcastico di Jason, respirando a fondo il
profumo della sua felpa, non sapeva perché, ma iniziava ad associarci cose
belle e tranquillizzanti, come quella camminata con Jason – I Grigori non
attaccano solo di notte, ma noi abbiamo bisogno di dormire, e non possiamo
sempre tenere tutto sigillato per paura che ci attacchino. Visto che abbiamo
questa soluzione tanto vale sfruttarla. Comunque tornando a prima, nessuno che
lavori all’Istituto esce di notte. E nessuno è così stupido da dire in giro che
lavora nell’Istituto, quindi.. – Louisa fece mentalmente due più due e il
sangue le defluì dal viso, mentre Jason contemporaneamente si bloccò sul
marciapiede – Quindi il tizio che è morto voleva solo farsi bello davanti a
quella donna, raccontando un sacco di balle. – concluse tristemente Jason per
lei.
Louisa
chiuse gli occhi, rivivendo dentro di sé il terribile momento in cui aveva
trovato il corpo e tremò contro la schiena di Jason, sconvolta dalle parole
crude del ragazzo – Che hai? – chiese Jason, riprendendo a camminare – Da
quello che mi hai detto sapevi che razza di esseri sono i Grigori. – Louisa
sentì il battito del cuore di Jason,
forte e vigoroso, rimbombare nella cassa toracica – Siamo solo degli esseri
umani, Jason. – l’odore del sangue le riempì nuovamente le narici, e vide di
nuovo quella macchia nera allungarsi inesorabile verso di lei – Non siamo nulla
di più. Saremo anche delle emanazioni angeliche, ma non siamo freddi e
distaccati. – soffocò un singhiozzo– Mi sento ancora il suo sangue addosso
accusarmi di non essere stata capace di proteggerlo. – calò il silenzio a
quelle parole, mentre Louisa cercava di calmarsi e di trattenere le lacrime.
-
Sapevi che una guerra porta delle vittime. – disse infine Jason – Bisognava
solo che qualcuno cominciasse.
-
Non avevo mai visto nessuno morire. Non sapevo quanto male potesse fare, né
quanto impotente potesse farmi sentire.
-
Mai? – ripeté Jason con lo stupore nella voce – Neanche un lontano parente? Un
amico? Avrai visto un funerale mentre passeggiavi, no?
-
A parte mia madre e i Custodi, non ho mai conosciuto nessuno altro. Non ho mai
messo piede fuori dall’Istituto prima di andare in Scozia. – le si formò un
groppo alla gole e non riuscì a proseguire – Fammi capire bene, - disse Jason
fermandosi e mettendola giù di nuovo – Non
sei mai uscita dall’Istituto? – si voltò a fissarla, il suo sguardo era
talmente tanto intenso che Louisa fu costretta ad abbassare gli occhi, per
sfuggire ai suoi e annuì tristemente. Jason le mise una mano sotto il mento e
la costrinse a guardarlo – E vuoi comunque stare lì? – i polsi le tremarono
leggermente. No! Urlò a gran voce la
sua testa. Non voleva passare tutta la vita all’Istituto ad aspettare che i
suoi poteri si facessero vivi. Voleva uscire, voleva vedere altri posti,
conoscere altre persone – È la mia casa. – si costrinse a dire – L’unico posto
che abbia mai conosciuto e dove mi sento al sicuro. – Louisa si guardò intorno:
riconosceva il viale alberato in cui si trovavano, collegava l’Istituto alla
città e con la coda dell’occhio poteva vederne le luci. Ispirò bruscamente per
la sorpresa – Quanta strada hai fatto in poco tempo, Jason? Per arrivare in città
ciò messo più di tre ore.
Jason
sghignazzò – Cammino veloce, e poi ti sei addormentata un paio di volte. –
incrociò le braccia al petto – Te lo hanno mai detto che russi?
Louisa
pestò i piedi a terra – Io non russo! Come ti permetti di dirmi.. – Jason la
zittì mettendole l’indice sulle labbra – Oh, si che russi, la prossima volta ti
registro. Sembrava di ascoltare un elefante in agonia. La cosa peggiore che io
abbia mai sentito.
-
Io non russo. – disse lei decisa, mentre Jason le dava le spalle e si inoltrava
tra gli alberi – Beh, che vuoi fare? – domandò lui da sopra la spalla – È
ancora notte e a quel che hai detto non possiamo tornare all’Istituto fino
all’alba. Tanto vale che ti godi questo momento di libertà.
Louisa
rimase sul ciglio della strada a fissare le spalle larghe di Jason – Ma è
appena morta una persona. – sussurrò, talmente tanto piano che non era convita
di aver dato voce al pensiero. Il ragazzo si voltò e le tese la mano nell’oscurità
degli alberi – Fa parte del passato. Sei stata male, ci hai pianto su, ma non
puoi far più nulla per lui. Puoi solo andare avanti e diventare più forte o
crollare. Sta a te la scelta. – guardò la mano che le tendeva, era grande, con
le dita lunghe e agili, senza pensare Louisa si allungò per prenderla – Che
intenzioni hai? – la mano era calda e la presa forte e sicura, e Louisa arrossì
lievemente rendendosi conto che non voleva lasciare una cosa che le trasmetteva
tanta sicurezza. Jason scoppiò a ridere mentre la guidava verso alberi più
fitti – Ti insegno a goderti un po’ la vita. – rispose lui, spingendola contro
un albero e bloccandole ogni vita di fuga.
Louisa
deglutì e guardò Jason, gli alberi non lasciavano passare abbastanza luce e lei
non riusciva a decifrare le espressioni sul suo viso, ma non poteva credere che
Jason stesse veramente insinuando di.. – No. – la protesta le uscì prima che
lei potesse finire di articolare i pensieri e cercò di spingerlo via con tutte
le sue forze e sentì il petto di Jason vibrare in un risata inespressa – Che
cosa hai capito, stupida. Voglio solo insegnarti ad arrampicarti sugli alberi.
– Louisa batté gli occhi, come le mani ancora sul petto di Jason – Oh. – si
ritrasse immediatamente e ringraziò il cielo che fosse troppo buio e che Jason
non potesse vedere quanto rosso fosse il suo volto – Sai che sei luminosa al
buio? Sei talmente tanto rossa che emetti luce.
-
È una bugia! Non è possibile che succeda una cosa del genere.
-
Lo so, – il respiro del ragazzo era a un passo dal suo orecchio – Volevo solo
avere la conferma del averti messo in imbarazzo.
-
Sei un cretino! Non si fanno scherzi del genere. – incrociò le braccia al petto
e lanciò a Jason la sua migliore espressione furiosa.
-
Sei tu che hai capito male. – ribatté Jason – Io non ho fatto nulla. – Louisa
si trattenne dal dargli una rispostaccia, poteva immaginarselo bene ammirarsi
le unghie, mentre la prendeva in giro –
Tu parli per doppi sensi! È logico che poi una persona fraintende quando la
sbatti contro un albero! – sentì il respiro di Jason sul viso e il calore
provenire dal suo corpo, e Louisa desiderò ardentemente mettere più spazio tra
loro due – I doppi sensi sono il pepe della vita, – le sussurrò – E tu sei
troppo maliziosa. Su, coraggio, l’albero non si scala da solo, e io non ti
porto su.
-
Che dovrei fare? – chiese Louisa accettando di buon grado la scappatoia che
Jason le stava dando.
-
Vedi quel ramo alla tua destra? Quello più basso? – Louisa alzò la testa,
seguendo l’indicazione che Jason le aveva dato, vedeva qualcosa di scuro tra le
foglia, una macchia nera che si confondeva tra le altre – Non è pericoloso salire sugli alberi di notte? –
deglutì, quel ramo era almeno a tre metri e mezzo da terra, e Louisa dubitava
fortemente di poterci arrivare.
-
È pericoloso. – confermò Jason - Ma sei
con me, quindi non ti succederà nulla.
Sentì
il cuore mancare un battito e le si formò quel nuovo, scomodo, nodo in fondo
alla gola – È la cosa più carina che tu mi abbia detto fin ora.
–
Guarda che ti tengo al sicuro perché la tua vita è legata alla mia, se finisci
in coma, tanto di guadagnato, almeno non devo sopportare la tua lingua lunga. –
sentì un fruscio e vide l’ombra di Jason farsi più vicina – Che stai facendo
ora? – domandò Louisa, mentre il ragazzo la faceva girare, scambiandosi i
posti, ora era lui a dare le spalle all’albero e Louisa poteva tranquillamente
fuggire da quella situazione imbarazzante.
-
Metti un piede sulle mie mani intrecciate e poi sali sulle spalle, se perdi
l’equilibrio ti tengo io, ok? – obbedì alle sue indicazioni, e sentì Jason
aiutarla, spingendola verso l’alto. Afferrò il tronco dell’albero con entrambe
le mani, per evitare di cadere in avanti e solo allora si accorse di quanto
dovesse essere imbarazzante la situazione – Non alzare la testa. – sussurrò
tenendo più forte la corteccia – Se lo fai ti uccido. – la risata di Jason le
risalì le gambe, facendola ondeggiare per qualche secondo – Perché? Porti i
pantaloni, non si vede nulla.
-
Non importa! Tu non farlo e basta!
-
Sei maliziosa, – disse Jason, dalla voce si sentiva che sorrideva – Sei
incredibilmente maliziosa per essere un Sigillo. Comunque, ora che sei sulle
mie spalle, dovresti riuscire a raggiungere il ramo. Riesci a tirarti su? – Louisa
aveva il ramo poco meno di un mezzo metro dalla sua testa – Ma se non riesco
neanche a correre senza farmi venire il fiatone, pensi d’avvero che riesca a
issarmi su un albero? – l’irritazione correva a fiumi nelle vene, quella
situazione iniziava a diventare ridicola in una maniera alquanto preoccupante –
E poi, perché devo salire su un albero? – sbottò, prendendo il ramo con
entrambe le braccia e cercando di fare forza fino a ritrovarsi in punta di
piedi sule spalle del ragazzo. Le mani di Jason le presero la pianta dei piedi,
e la spinsero in su, e Louisa, facendo appello a quel poco di forza che aveva
sulle braccia riuscì a mettersi seduta sul ramo. Chiuse gli occhi, cercando di
riprendere fiato, sentiva il cuore batterle in maniera spiacevole in gola. Fece
un paio di respiri profondi e aprì gli occhi, le gambe di Jason penzolavano nel
vuoto davanti a lei, mentre il ragazzo era seduto comodamente su un ramo poco
più alto del suo – Prima mi hai chiesto perché, vero? – domandò Jason guardando
un punto davanti a sé – Perché il mondo ha un aspetto diverso quassù. Più
pulito, più normale. Più bello. Cerco sempre posti alti quando devo pensare, mi
aiuta a scacciare i brutti pensieri.
Louisa
guardò giù, non erano molto in alto, ma essere continuamente punzecchiata da
Jason le aveva fatto bene. Ora aveva la mente più libera – Jason, volevo
chiederti: tu pensi? Voglio dire hai un cervello funzionante sotto quella testa
dura e arrogante che ti ritrovi? – sorrise alle foglie davanti a sé, doveva
togliersi qualche piccola soddisfazione e Jason gliel’aveva appena fornita su
un piatto d’argento. Incredibilmente Jason scoppiò a ridere, e Louisa vide
l’ombra del ragazzo accasciarsi contro il tronco principale, scosso da risate
convulse – A volte, - disse tra un singhiozzo e l’altro – Capita anche a me. Ma
ora proseguiamo, questa era la prima tappa e la più facile. Saliamo un altro
po’. – Louisa lo guardò incredula. Salire ancora? Già era stata una faticaccia
raggiungere quel ramo, come poteva lui pretendere di farla proseguire? Si voltò
per dire a Jason che non se ne parlava proprio, che stava bene su quel tronco,
ma lui era già sparito – Jason? – domandò all’oscurità, sentì un fruscio alla
destra dietro di sé, Jason era in piedi appoggiato al tronco – Ma come fai? –
domandò mettendosi una mano sul cuore – Mi hai fatto prendere un colpo. –
respirò profondamente e si diete della stupida. Lei era un Sigillo. Non poteva
sobbalzare a ogni suono sinistro o scricchiolio – Come faccio a fare cosa? – la
voce di Jason era profonda a roca e a Louisa si seccò la bocca – A essere così
veloce nello spostarmi? Mi hai detto tu che ora ho la velocità di voi Sigilli,
e tu, tecnicamente dovresti essere veloce così. – Louisa strinse le mani a
pugno e si appoggiò contro il tronco – Beh, non lo sono, – sbuffò, ferita – Ma
a quanto pare tu sei un Sigillo nato, vai a farti bello da qualche altra parte,
grazie. – avrebbe volentieri continuato a insultare Jason se lui
improvvisamente non fosse atterrato sul suo ramo e non l’avesse afferrata,
portandola più in alto. Quando Louisa riaprì gli occhi, Jason era di fronte a
lei e le tappava la bocca con una mano, mentre le faceva segno di tacere.
Spaventata si guardò intorno, erano in alto, molto in alto e non capiva perché
lui l’avesse portata su quel ramo striminzito, e non era sicura che potesse sostenere entrambi. Stava per
mettersi a urlare di riportarla immediatamente a terra quando lo sentì: un
pulsare sordo alla base del cranio che le aprì immediatamente tutti i sensi. Dopo
qualche minuto di silenzio assoluto apparvero sotto di loro delle voci che
ridevano e parlavano sguaiatamente e Louisa si irrigidì spaventata.
-
Siete sicure che fosse una di loro? – domandò una voce diversi metri sotto di
loro. La testa di Louisa girò violentemente e iniziò a tremare, contro
l’albero, talmente tanto forte che si chiese come mai non la sentissero. Jason
fece un mezzo passo verso di lei, e la inchiodò contro l’albero, rigido e con i
muscoli tesi, pronto ad un eventuale scontro.
-
Si signora, una mocciosa sciatta, accompagnata da un ragazzo così bello che
volevamo portarvelo, mia signora. – l’altra risuonava piena di deferenza e di
timore.
-
Come facevate ad esserne sicure?
– Avevamo qualche dubbio, ma poi lei è
scappata fuori quando ha sentito urlare, e nessuno, a parte noi e i Sigilli,
poteva sentire quel grido. – lo schiaffo suono nitido e secco nell’aria e
Louisa tremò contro il petto di Jason, incapace di qualsiasi pensiero
razionale. Voleva scendere, e allo stesso tempo voleva rimanere al sicuro
lassù.
-
Ve la siete lasciata scappare? – la
prima voce era talmente tanto alterata che a Louisa parve uno stridio per le
orecchie, ed ebbe il violento impulso di tapparsele per non continuare ad
ascoltarla.
-
M-ma mia signora Ismael! Correva nella vostra direzione! E quell’uomo ha detto
che veniva dall’Istituto, pensavamo che lei volesse aiutarlo, oppure
seppellirlo..– al nome di Ismael Louisa tremò più violentemente che mai, lei
non era un Grigorio qualsiasi, ma uno dei primi sette ad abbandonare il Primo
Cielo e il loro compito di guidare gli uomini. Sentì distrattamente Jason
stringerla a lui e lei gli mise le mani sul petto, scavando con le unghie per
sfogare paura e frustrazione.
-
Trovatela! Trovatela prima dell’alba o giuro che vi darò ad Astarte e ad Azazel
perché giochino con le vostre viscere! – Louisa sentiva la rabbia e l’odio del
Grigorio arrivare a lei a ondate accompagnato da un profumo delizioso, un misto
di cannella e fiori, che la facevano sentire con la testa leggera e vuota. Se
non avesse vinto la paura, probabilmente sarebbe scesa a controllare da dove
arrivasse. Spalancò gli occhi, quando si rese conto che stava respirando contro
il petto il Jason e sentiva il suo fiato sul collo. Ogni terminazione nervosa
del suo corpo era consapevole della presenza del ragazzo premuto contro di lei,
e inviavano costantemente segnali al suo cervello fino a mandarlo in tilt.
Voleva
sentire meglio l’odore del corpo di Jason senza quella felpa in mezzo e voleva
assaggiarne il gusto, dal centro del torace fino al collo, per poi
mordicchiargli il mento ruvido per la barba sfatta. E più di ogni altra cosa,
voleva baciare quelle labbra che gli respiravano addosso. Gli sarebbe bastato
alzare la testa per averlo.
Doveva
solo tirare su la testa.
Scattò
all’indietro violentemente, e se Jason non l’avesse trattenuta, sarebbe caduta
dall’albero. Le mise un dito sulle labbra, intimandole di continuare a tacere e
lei ebbe il violento impulso di staccarglielo a morsi, prima di alzare gli
occhi su di lui. Jason era serio e fissava con talmente tanta intensità il
tronco sopra la testa di Louisa che non era sicura che lei lo stesse veramente
guardando.
-
Sono andate via, – disse Jason sottovoce – Non le sento più. – Louisa ci mise
qualche secondo a registrare quello che Jason aveva detto – Le avevi sentite
arrivare? Come? – per un secondo vide i denti canditi di Jason balenare – Con
le orecchie. Tu come ascolti di solito? – sbuffò per soffocare una
rispostaccia, ma voleva seriamente prenderlo a schiaffi e farlo volare di
sotto, e che finisse in pasto a Ismael!
-
Louisa, – la voce di Jason cambiò radicalmente, facendosi scura e tesa – Ismael, quella donna, chi cavolo è? – Louisa lo
guardò sottecchi, ricordando come si era sentito qualche minuto prima tra le
braccia di Jason e a quello che aveva desiderato fargli. Il potere di Ismael
l’aveva influenzata talmente tanto da fargli desiderare Jason, non ci voleva di
certo un genio per capire che cosa rappresentasse Ismael. Questo i Custodi potevano dirmelo, pensò amaramente, non ci avevano detto che vicino ai Grigori
ne saremmo stati influenzati.
-
Vuoi sapere chi è Ismael? – chiese Louisa guardando verso il basso – A quanto
pare è l’incarnazione della lussuria, ma pare che tu non ne sia stato
influenzato. O sei un maniaco incallito o sei asessuale e racconti un sacco di
bugie. – fu volutamente acida e crudele, ma non poteva di certo perdonarsi per
aver ceduto così facilmente al potere del Grigorio, né per aver avuto così
tanta paura.
Sentì
la risata bassa del ragazzo – Credi davvero che non abbia avuto effetto su di
me? La domanda vera è: perché ha avuto effetto su di te? Sei o non sei un
Sigillo? Non dovresti esserne immune?
Touché,
si disse, lei doveva esserne immune, eppure si era sentita fragile e
completamente alla mercé dei suoi istinti più profondi.
Raddrizzò
la schiena e cercò di darsi un contegno, la paura di poteva vincere, anzi si doveva vincere. Se non voleva che un
innocente morisse di nuovo doveva assolutamente smettere di avere paura anche
della propria ombra, e iniziare a essere il Sigillo per cui era nata.
Chiuse
gli occhi e l’immagine di quel poveraccio gli si stampò bene in mente – Più
forte. Più coraggiosa. – sussurrò a sé stessa – Jason è ora di scendere. –
disse e guardò giù. I suoi buoni propositi di essere più forte vennero messi a
dura prova immediatamente. Come si scendeva da quell’albero senza rompersi
l’osso del collo?
Sentì
la mano di Jason sulla spalla – Sicura che vuoi scendere? Le pazze in rosso
saranno ancora là sotto a cercarti. E poi condividiamo questo ramo così bello e
intimo. Solo noi due. Non senti l’aria fresca della notte, i grilli che
cantano, la luna sulle nostre teste. C’è tutto quel romanticume che a voi donne
piace tanto. – la prese in giro volutamente, Louisa era sicura, e si chiese
come facesse Jason a sapere che cosa si era immaginata lei prima. Sbuffò, del
resto era un ragazzo, era nei intriso nei suoi geni essere un maniaco.
-
Io non voglio condividere nulla di intimo con te. Chiaro? Che sia un albero o
un fagiolo. – sbottò arrabbiata, continuando a studiare la situazione. Forse se
metteva un piede su quel ramo, lì a sinistra poteva scendere.
-
Un fagiolo? Ma che fantasie perverse hai?
-
Io ho fantasie perverse? – sbatté il piede contro il tronco dell’albero,
maledicendosi per il dolore all’alluce che si era provocata – Tu piuttosto! Che
hai pensato quando ho detto fagiolo? – Jason fece per aprire la bocca, ma lei
gliela tappò con entrambe le mani e scosse violentemente la testa – No! Non lo
voglio sapere! Mi è bastata Ismael e il suo potere per stasera! – Jason si strappò
le mani dalla bocca – Come vuoi, ma io voglio sapere le tue di fantasie
perverse. Non sei stata immune a Ismael, giusto? Dimmi quali erano i tuoi
pensieri. – la voce di Jason era bassa e suadente al suo orecchio, ma Louisa
non ebbe alcuna voglia di cascarci. Quello che aveva immaginato se lo sarebbe
portato dritto, dritto nella tomba – Mai. – disse incrociando le braccia e
voltando la testa per non guardarlo – Mai e poi mai. – proseguì decisa.
-
Dimmelo e io ti faccio scendere. – disse Jason sedendosi a cavalcioni sul ramo
– Abbiamo ancora due e mezza prima dell’alba, ho tutto il tempo di tirarti
fuori la verità. - Louisa si sedette a sua volta, in maniera molto più goffa e
lenta di Jason, ma emise un profondo sospiro soddisfatto quando riuscì a mettersi
nella sua stessa identica posizione – Allora possiamo passare il resto della
nostra vita qui Jason Fen, perché io non te lo dirò mai. – lo fissò torva,
mentre il sorriso di Jason fece capolino di nuovo - Vediamo chi dei due è più
testardo allora. Andiamo, Louisa, non vuoi ordinarmi di farti scendere?
Ordinarmi di non tornare più sul discorso? Scommetto che muori dalla voglia di
darmi quell’ordine.
Louisa
represse uno sbuffo, gonfiando le guance – No. Non voglio darti ordini se non è
strettamente necessario. – Jason spalancò gli occhi visibilmente sorpreso –
Perché?
Si
grattò il collo, cercando si rispondere alla domanda, che cosa poteva dirgli?
Che si sentiva terribilmente in colpa per quello che aveva fatto e non voleva
dargli ordini? Votò per una mezza verità – Prima di salire in moto, in Scozia,
mi hai detto che la coercizione a cui ti sottopongo ti fa male. – disse tenendo
gli occhi fissi sul legno. Dio, quanto potevano diventare ancora rosse le sue
guance? – E io non voglio. Non se non è necessario. – Jason le accarezzò la
guancia con il dorso della mano e lei alzò lo sguardo – Dici sul serio? –
Louisa annuì, non riuscendo a dire altro – La situazione è già difficile e non
voglio farti stare peggio di quanto già non sia. E poi mi spieghi una cosa? Perché
te ne sei andato? Che ti è saltato in
mente quando sei uscito dall’Istituto? – Jason strinse le spalle – Beh, visto
che ci stiamo facendo le confidenze come due adolescenti te lo dico: il tuo
amico mi aveva fatto girare le palle. Ti fissava come un fidanzato geloso e mi
ha dato un pugno quando l’ho preso in giro. – Louisa scoppiò a ridere – James?
Come un fidanzato geloso? – si asciugò gli occhi, lucidi per il ridere – James
è come un fratello! Lo conosco da quando sono nata e poi lui è un Sigillo, sa
che non possiamo.. – si bloccò prima di terminare la frase e deglutì, alcune
cosa non poteva dirle, non ora almeno.
-
Non potete che cosa? – chiese Jason allungando il collo per guardarla in viso –
Che cosa non potete fare?
-
Nulla. – si affrettò a dire Louisa – Nulla che ti interessi.
Jason
scattò indietro e Louisa sentì il suo sguardo addosso – Ora ti faccio una domanda e mi risponderai. Come hai fatto a
trovarmi? – Louisa aprì la bocca per rispondere e poi la richiuse seccamente –
Louisa. – la ammonì Jason.
-
Non lo so. Ti stavo cercando, - disse stringendosi le braccia cercando di fermare
i brividi di freddo che le erano venuti improvvisamente – Camminavo per la
città con l’unico scopo di trovarti e avvertirti della pericolosità dei
Grigori, quando ho intravisto l’insegna del pub nel vicolo, e ho sentito che dovevo entrare.
-
Il Marchio è un GPS? – domandò Jason, ma Louisa non era molto convinta che la
domanda fosse rivolta a lei – Non lo so. – rispose meccanicamente,
frizionandosi più velocemente le braccia – Sapevo solo che tu eri lì.
-
Non sai un sacco di cose. – la schernì Jason – Ma va bene così, sarà più
divertente insegnarti. – si voltò verso di lui, giusto in tempo per vedere
Jason togliersi la felpa e rimanere con la sola maglietta a maniche corte,
bianca e aderente – C-che vuoi fare? - istintivamente si fece indietro,
pregando dentro di lei di diventare il più piccola possibile – Mettiamola così:
è un gioco. Tu rispondi alle mie domande e io non ti faccio i dispetti. Intanto
mettiti questa prima che mi muori congelata e per ripicca mi togli il
divertimento. – le allungò la felpa e Louisa la accettò guardinga – Che genere
di dispetti? – se la infilò rapidamente, apprezzandone il peso leggero e il calore
di cui era intrisa e vide Jason alzare le spalle – Quelli che mi passano per la
testa, che ne so: ti rubo l’ultima fetta di dolce, ti costringo ad allenamenti
forzati sotto la pioggia, ti lancio in piscina vestita, ti rubo un bacio, cose
così.
-
Tu. – iniziò Louisa scandendo bene le parole – Non. Mi. Bacerai. Mai.
Stampatelo bene in mente. – Jason si fece immediatamente più vicino fino a lasciare
pochi centimetri di distanza tra di loro – La mia proposta è questa: visto che
non ho una fetta di dolce da rubarti, o mi dici che cosa ha pensato alla
presenza di Ismael o io ti bacio. E fidati: se lo dico, lo faccio. – Louisa
sentì il respiro caldo di Jason sul volto e non poté fare a meno di credergli,
lui l’avrebbe baciata sul serio se non avesse detto qualcosa. Aprì la bocca per
dirgli la prima stupidaggine che le venisse in mente quando un baluginio sul
petto di Jason catturò la sua attenzione. Abbassò gli occhi. Qualcosa di
rotondo e piccolo era legato a una catenella d’oro e brillava intensamente con
la sua pietra trasparente come l’acqua – L’anello di Fen! - esclamò prendendolo tra le mani – L’hai sempre avuto
tu! –
-
Ops. – sussurrò Jason
Dio,
per quale motivo
me lo hai fatto
incontrare?
NAD:
mamma che capitolo lungo e faticoso..cosa devo dirvi..ah sì! Su richiesta (ma chi
me lo ha fatto fare?) esiste un gruppo su FB dedicata a questa storia dove verranno
messi gli spoiler, degli extra che non appariranno nella storia e dei POV tagliati
e scene tagliate dei vari personaggi. Per chi fosse interessato può tranquillamente
contattarmi per MP.
Poi
ringrazio tutti quelli che leggono e che mi fanno sempre sapere che ne pensano e
vorrei anche ringraziare BBongini per aver segnalato la storia per le scelte.
Una
grazie anche a chi la ha messa tra i preferiti/seguiti/ricordati.
Khyhan
PS:
un giorno risponderò a tutte le recensioni!
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Capitolo 5 *** V. Animus ***
5 - Animus
Animus
“Abbiamo coraggio
e preferiamo piuttosto
essere assenti dal corpo
e fare la nostra
casa
presso il Signore”
2Co
5:8
-
Lo hai sempre avuto tu! – le mani le tremarono leggermente quando prese
l’anello per guardarlo più da vicino. L’anello dello Shechaqim rifletté la scarsa luce che filtrava tra le foglie,
brillando leggermente e a Louisa venne voglia di mi mettersi a ballare per la
felicità, poi si ricordò che era appollaiata su un albero e si ricompose soddisfatta
della scoperta. Alzò gli occhi sul ragazzo davanti a sé e lo vide sorridere sornione. Di colpo si ricordò
che cosa lui le avesse proposto di fare, del giro in moto, lo scontro con
Belial, il fatto che l’avesse vista sotto la doccia. Tutto, per cercare l’anello
che lui aveva sempre avuto al collo – Tu! Stupido pallone gonfiato! – gli puntò
minacciosamente il dito contro il petto richiamando dentro di sé tutte le
parole offensive che conosceva, in quel momento avrebbe voluto ridurre Jason ad
una particella subatomica – Ho cercato quest’anello per mesi! Mesi! E tu lo hai
sempre avuto addosso! Dovrei farti volare giù per quest’albero, farti
arrampicare di nuovo e buttarti di nuovo giù!
Inaspettatamente
Jason scoppiò a ridere, e le afferrò la
mano, baciandola dolcemente sulla piccola vena che spiccava nitida sul
polso – Non posso credere che tu sia davvero
così arrabbiata. – Louisa strattonò il braccio all’indietro per liberarsi della
sua presa – Io non sono affatto arrabbiata. – disse in tono stranamente
tranquillo e prese un gran respiro, cercando di immagazzinare più aria
possibile – Io sono furiosa! Stupido,
arrogante pezzo di cretino! Mi hai fatto girare come una trottola per mezza
Scozia, sopportando te che correvi in moto, quando l’anello l’hai sempre avuto
tu! – Jason la zittì baciandole il collo. Louisa affondò le unghie nei palmi
per evitare di tirargli uno schiaffo – Scommetto cinque sterile che se te lo
ripropongo ci risaliresti e ti godresti un altro giro. E poi, è stato
divertente vederti girare come una trottola. – non sopportò più quel sorriso
straffottente perenne e provò a veramente uno schiaffo, che Jason intercettò a
mezz’aria afferrandole il polso – Non baciarmi. Non ti è permesso baciare un
solo centimetro di me.
-
Perché?
-
Perché non puoi! Non puoi baciarmi, chiaro? – cercò di liberarsi dalla stretta
di Jason, ma lui la tenne stretta, guardandola intensamente – Non posso o tu
non vuoi? Perché in entrambi i casi potrei rimediare. – lei si strinse la felpa
addosso con la mano ancora libera, e si ritirò verso il tronco, cercando di
allontanarsi da Jason – Io non voglio. Non voglio farmi baciare da te. Chi ti
credi di essere per parlarmi in questo modo? – Jason la lasciò andare
improvvisamente – Io? Io sono quello che le ragazze chiamano un tipo da
attacco. E per quel che riguarda il tuo ‘non voglio’, prima o poi sarai tu a
venire da me.
Louisa
mise a tacere il cuore tumulto con un gesto sprezzante della mano – Non accadrà
mai. Mettitelo bene in testa. Mai. Fino a pochi secondi fa mi sentivo colpevole
per averti legato a me e lasciavo che ti
comportassi come preferivi. Ora mi sto rendendo conto che è tutta colpa tua.
-
Mia?
-
Tua! Tua, okay? Se tu non ti fossi intestardito e mi avessi mostrato l’anello
prima non saremmo tornati alla tua casa distrutta e non avremmo trovato Belial.
Tu non avresti rischiato la pelle e io non avrei rischiato di farmi violentare.
E tu! Egocentrico megalomane non saresti legato a me! Ora saremmo felicemente
agli antipodi l’uno dell’altro! – il sapore metallico e il bruciore che sentiva
in fondo alla gola non le impedirono di urlargli addosso tutto il risentimento
che provava in quel momento.
-
Louisa. – Jason guardò giù distrattamente e poi tornò a concentrarsi su di lei
– I tuoi toni soavi hanno attirato compagnia. A poche centinai di metri da noi
ci sono Miriam e qualche sua amica, che ne pensi di scendere e di metterle ko
prima che vadano a chiamare Ismael? – il tono calmo e quasi annoiato di Jason
la fece sobbalzare e Louisa guardò di sotto, sentendo per la prima volta le
risate sguaiate delle donne in lontananza – Che pensi di fare? – domandò
sentendosi improvvisamente spaventata. Era talmente tanto presa dalla
preoccupazione che Jason potesse mettere in atto le sue proposte che si era
completamente dimenticata di Ismael. lui si rimise in piedi afferrando
saldamente il ramo con le mani e fece una
verticale per poi guardarla con un placido sorriso – Penso di farle cadere
tutte ai miei piedi. Perché tu che vorresti fare? – le tese la mano che Louisa
accettò titubante – Ripeto: che pensi di fare? – domandò quando Jason la tirò
su – Per ora, scendere da qui. Tieniti stretta a me. Andiamo giù. – la prese in
braccio e Louisa gli gettò le braccia al collo, quando capì cosa intendesse
Jason per andare giù. Scese rapidamente l’albero, saltando da un ramo
all’altro, esattamente come all’andata, e Louisa, per la seconda volta da
quando conosceva Jason, fu segretamente grata di poter riappoggiare i piedi per
terra – Non riesci a fare le cose in maniera normale? – chiese sentendo le
foglie secche e il terreno morbido sotto i piedi – E poi, smettila di toccarmi
come hai fatto prima. – Jason si guardò intorno, appoggiandosi al tronco
dell’albero, perfettamente rilassato – Così come? Sentiamo.
-
Da maniaco. Ti è proibito toccarmi dalle spalle in giù e dalle ginocchia in su.
-
Scusa tanto. La prossima volta ti lascio spellarti le mani nel tentativo di
scendere, sempre se non cadi e non ti rompi l’osso del collo prima. – alzò lo sguardo
e fissò la fitta oscurità davanti a loro – E ora zitta che abbiamo compagnia. –
Louisa si zittì improvvisamente e guardò anche lei gli alberi e i cespugli,
sentendo avvicinarsi risate sguaiate e battute volgari. Irrigidì le spalle e si
avvicinò di qualche passo a Jason quando vide tre donne vestite di rosso sbucare
tra gli alberi – Ma guarda chi si rivede. Come mai da queste parti Jason? Avevi
voglia di divertiti, – scoccò un rapida occhiata ai vestiti di Louisa – con lei? Mi sorprendi. Non credevo che ti
piacessero ragazze del genere. Ti credevo più un tipo da avventura. – Jason
mise un braccio attorno alle spalle di Louisa e la dirò a sé – Sai Miriam, non
dovresti giudicare un libro dalla copertina. Non sai cosa potresti trovarci dentro, – le fece
un gran sorriso, e si staccò dall’albero raddrizzandosi in tutta la sua altezza.
Louisa sentì i muscoli del ragazzo irrigidirsi improvvisamente, diventando duri
e sodi, pronti allo scatto - ma di te si
capisce subito che la presentazione è la trama stessa. Louisa, invece mi
riserva sempre un sacco di sorprese. È una tappa e mi irrita fino alla morte,
ma ha un gran cuore e mi piace questa parte di lei. – nonostante il pericolo,
Louisa non poté fare a meno di arrossire per quello che aveva appena detto Jason,
mentre Miriam e le sue amiche, scoppiarono a ridere – Lo vedo, Jason. Non può
nemmeno starti vicino senza che tu la faccia diventare bordeaux, ma immagino
che trovarne una così pura sia difficile al giorno d’oggi.
Probabilmente per trovare una ragazza con la sua esperienza dovresti andare a
cercare negli asili. – la presa di Jason si allentò per un istante, per poi
tornare a stringerla più forte di prima – Che vuol dire? – Louisa sentì lo
sguardo del ragazzo su di sé e fissò il trio di donne vestite di rosso – Vuol
dire che sono vergine. – disse ad alta voce – Vuol dire che non ho conosciuto
nessuno uomo, che il mio cuore è interamente dedicato all’ amore per Dio, agli
uomini giusti e al mondo in cui vivo e che amo. – il braccio di Jason scivolò
via dalle sue spalle e se lo ritrovò davanti, in posizione da combattimento –
Sentito la ragazza? Mi pare che vada piuttosto fiera di quello che è. Ora vi
consiglio di sparire prima che vi prenda tutte e tre a calci in culo. – un
braccio di Jason la spinse indietro, e lui schivò, saltando di lato, un attacco
di una delle tre ragazze, per poi tirarle un violento colpo allo sterno a mano
aperta, che la spedì pesantemente a terra – Maledetto bastardo! – ringhiò
Miriam – Non te lo hanno mai detto che le donne non si toccano neanche con un
fiore?
-
Avete voluto la parità dei sessi? Ci sono anche i contro. Non faccio
trattamenti privilegiati. - la ragazza, che Jason aveva colpito rimase stesa a
terra con i capelli biondo platino le ricadevano in boccoli disordinati, e
Louisa sentì una fitta di pietà per quel trattamento violento. Segretamente
sperò che Jason non si fosse macchiato le mani con il suo sangue. Si tranquillizzò
quando vide la donna, respirare profondamente rimanendo comunque immobile –
Jason, - sussurrò, consapevole che lui l’avrebbe sentita – Non le uccidere, per
favore. Stordiscile solamente.
Il
ragazzo la guardò da sopra la spalla – Agli ordini. – vide il riflesso dei suoi
denti prima che lui corresse verso l’altra amica di Miriam.
Louisa
lo guardò tuffarsi a terra e spazzare con la gamba il terreno sotto i piedi
della ragazza, per poi sferrargli un violento pugno all’addome una volta a
terra, che la lasciò incosciente.
-
Bene Miriam. – disse rialzandosi – Mi sei rimasta solo tu da sistemare. Allora,
che vuoi fare? – si batté le mani sui pantaloni per togliersi la polvere, con
estrema lentezza e Louisa soffocò una risata. Perfino con quell’atteggiamento
calmo e noncurante Jason, riusciva a sembrare arrogante e strafottente.
Miriam
lanciò un rapida occhiata alle ragazze svenute e sorrise – Ci avevo visto
giusto con te, Jason. Saresti perfetto per la mia signora, un vero dominatore.
Non perdi la calma e mantieni il comando, ma lei mi ha insegnato a ribaltare
completamente queste situazioni. – Aprì la borsetta nera che portava a tracolla
e ne estrasse una piccola pistola semiautomatica – Immagino che nemmeno tu sia
immune ai proiettili. – Jason si bloccò e alzò le mani, fissando Miriam
improvvisamente serio – Vuoi spararmi, Miriam cara?
La
donna scoppiò a ridere sprezzante – No! Sarebbe un tale spreco, ma mi seguirete
entrambi dalla mia signora. E quando lei avrà finito con te, forse mi
permetterà di divertirmi. –fin ora Louisa, aveva lasciato gestire la situazione
a Jason, ben sapendo che lui se la sarebbe cavata meglio senza lei intorno, ma
non sopportava più quella donna e soprattutto non sopportava che si riferisse a
Jason in quel modo – Lui è mio. – sibilò ancora prima di rendersene conto – È
il mio Guardiano. La sua vita è indiscutibilmente legata …
-
Louisa zitta!
-
… alla mia. – Miriam le fece un ghigno feroce, e le puntò la pistola contro –
Quindi è così. Mi chiedevo perché Jason ti stesse sempre attorno e ti fosse
corso dietro come un cagnolino. Mi dispiace Jason, i piani sono cambiati. Non
mi piacciono i giocattoli usati da altri. – lanciò un’occhiata rapida al
ragazzo e e fece scattare la sicura della pistola. Un brivido scosse Louisa e
seppe cosa stava per succedere. Gli avrebbe sparato, senza dubbio. – Jason! –
si precipitò verso di lui, nel esatto momento in cui si sentì uno sparo e rivide
scorrere sangue per la seconda volta in poche ore – Jason. – cadde in ginocchio
coprendosi gli occhi, troppo spaventata per scoprire che cosa fosse successo al
ragazzo – Louisa? – la voce di Jason le arrivò fievole alle orecchie e lei alzò
la testa vedendo il ragazzo accucciato accanto a lei – Stai bene? – chiese lui
– Non sei ferita?
Louisa
scosse la testa, con il rumore dello sparo che le rimbombava ancora nel
cervello – Tu piuttosto, dove ti ha colpito? – sentiva le ginocchia tremare e
tornò a guardare il vuoto, pregando che non fosse nulla di grave – Non hanno
sparato a me, ma a Miriam. – Jason la prese sotto il mento e la costrinse a
guardarlo. Fletté un paio di volte le braccia, mettendo in risalto i muscoli e
mostrandole che stava bene – Qualcuno l’ha colpita alla spalla e ora là stesa,
senza sensi. – Louisa seguì lo sguardo di Jason e vide Miriam stesa a terra con
una profonda ferita alla spalla e una rosa di sangue scuro che si allargava
piano sotto di lei – Ma chi…?
-
Scusa il ritardo Louisa. Stavo svaligiando l’armeria. – Louisa si voltò riconoscendo
la risata aspra, e un uomo castano sulla quarantina apparve dall’ombra degli
alberi seguito da altri cinque, vestiti di bianco come lui – Malcom! – sorrise all’uomo
che stava facendo dondolare un fucile nero con gli intarsi d’argento e mirino
telescopico davanti a naso – Niente male questo gioiellino, vero? Spara
proiettili contenenti acqua del fiume Giordano fino a trecento metri di
distanza. – Jason emise un suono che a Louisa parve un grugnito e resistette
alla tentazione di ridere – Chi è questo? Uno appartenente al solito clan di
pazzi ‘salviamo il mondo’?
Louisa
gli riservò un’occhiataccia – È un Custode, tra l’altro un tiratore scelto.
Senza di lui saresti morto a quest’ora.
-
Io non ne sarei così sicuro se fossi in te. – le disse all’orecchio – Non ho
mai scoperto tutte le mie carte. – Louisa si aggrappò alla sua spalla per
alzarsi e si rivolse a Malcom raggiante – Che ci fai qui? Voglio dire, ti
ringrazio per averci salvato, ma come ci hai trovato?
Malcom
estrasse da una tasca laterale dei pantaloni bianchi un piccolo oggetto nero
con uno schermo appena illuminato in quel buio – Ho usato il rilevatore, anche
se conoscendo te, non ero sicuro che funzionasse. Che hai fatto un minuto prima
che sparassi? Il rilevatore era incandescente.
Louisa
passò rapidamente da un piede all’altro, cercando di evitare una risposta che
le avrebbe dato una lavata di capo. Prima che lui sparasse, lei si stava
gettando su Jason.
-
Eravamo sotto tiro, – disse il ragazzo per lei – Saremmo morti entrambi senza
quell’ottimo colpo. – Malcom annuì soddisfatto e fece scorrere lo sguardo sulle
due ragazze svenute prima del suo intervento – Devo dire che avete fatto
proprio un buon lavoro. Voi. – indicò un paio di uomini che lo avevano seguito
– Controllate quelle tre donne. Vedete se sono marchiate. – Malcom puntò il
fucile a terra, mentre gli uomini si affrettarono ad obbedire agli ordini –
Perché sei scappata? – domandò senza preamboli - Se James non ci avesse
avvertito che sei uscita al tramonto non credo che ti avremmo trovato in tempo.
– le orecchie di Louisa divennero molto calde mentre, per la seconda volta, lei
cercò una risposta che potesse soddisfare il Custode – Colpa mia. – disse
Jason, facendola sobbalzare – Non sapevo che non si potesse uscire dopo il
tramonto e Louisa preoccupata è venuta a cercarmi, mentre tornavamo indietro
abbiamo sentito quelle donne e abbiamo cercato di nasconderci tra gli alberi. –
Louisa rimase a bocca aperta per la rapidità con cui lui si era preso la colpa
e la scusa che aveva usato e fissò Malcom cercando di non lasciar trapelare
alcun sentimento che potesse insospettirlo – Capisco. – rispose lui gelido –
Immagino che tu sia quello di cui tutti parlano. Il Guardiano di Louisa. Le tue
azioni hanno seriamente messo…
-
Signore! – chiamò uno degli uomini di Malcom tornando indietro, allarmato –
Deve vedere una cosa. Due delle donne hanno i marchi, ma la terza.. – senza
aspettare che finisse la frase Malcom si
diresse da Miriam e osservò attentamente l’interno del braccio destro – Nessun
marchio? – ripeté sconcertato – Questa donna ha agito di sua volontà per tutto
il tempo? – il disgusto e l’odio gli fecero torcere la bocca in un sorriso
orribile e Louisa deglutì, capendo che cosa stesse dicendo il Custode. Miriam
era davvero pericolosa.
–
Che sta dicendo Louisa? – la voce di Jason la riscosse e lei lo tirò
leggermente in disparte, lontano dalle orecchie di Malcom. Non sapeva darsi una
spiegazione, ma non voleva che Malcom sapesse quanto Jason fosse impreparato –
In genere chi lavora per i Grigori non lo fa per propria volontà. I Grigori gli
imprimono un marchio sul braccio destro, un po’ come il tuo, ma rispetto a te,
loro diventano dei burattini senza una vera e propria volontà. Agiscono in base
ai desideri dei loro padroni e farebbero qualsiasi cosa per soddisfarli. Noi Sigilli
possiamo purificarli togliendo i marchi e farli tornare liberi, ma Miriam a
quanto pare non è un burattino, ha sempre agito di propria iniziativa. Il che
la rende più pericolosa, perché crede fermamente in ciò che fa.
-
Louisa. – Malcom le fece cenno di avvicinarsi con la mano e le mostrò Miriam
profondamente incosciente – Le altre due le porteremo con noi, così che James e
Dimitri le possano liberare, ma che vuoi fare con lei? – Louisa guardò prima
lui e poi Miriam senza capire – Sei tu il Sigillo di Dio, – spiegò Malcom
paziente – È giusto che sia tu a decidere della sua sorte. Se ce lo ordinerai
la giustizieremo. – il tono pacato di Malcom le fece correre un brivido lungo
la spina dorsale e Louisa osservò il bel volto di Miriam – Se la lasciamo qui,
- disse pensando ad alta voce – La troverà Ismael e avrà un destino
peggiore della morte. – chiuse gli
occhi, cercando di capire cosa dovesse fare e sentì su di sé lo sguardo
indagatore di Jason – La portiamo con noi. – decise infine – Io non sono Dio, non sta a me o ai Sigilli giudicare
le persone. La rinchiuderemo da qualche parte in maniera che non faccia del male,
ma nessuno deve prendere la sua vita. – Malcom annuì e fece un gesto secco a un
paio di uomini e uno di loro se la caricò in spalla – Questo è parlare da
Sigilli, Louisa. Fra poco sarà l’alba, tu e il tuo Guardiano dovreste venire
con noi, così sareste al sicuro da eventuali Grigori. – Louisa si scambiò un’occhiata con Jason che
annuì una volta prima di affiancansi a lei in silenzio.
–
Ti fidi di loro? – le sussurrò una volta che Malcom andò avanti con alcuni
uomoni a controllare la situazione. Louisa annuì felice di sentirsi veramente
al sicuro circondata dai Custodi – Beh, io no. – concluse Jason fissando le
spalle di Malcom – Non mi piacciono per niente.
-
Ecco metti la mano sullo scanner gel interno, così la stanza diventa tua e
posso sbloccarti gli accessi anche per altri posti. – Louisa gli prese la mano
e la mise delicatamente sullo scanner. Jason la assecondò aprendo bene le dita,
e soffocò una smorfia disgustata quando sentì la mano toccare il gel freddo e
viscido – Ancora non capisco perché tutto questo tram-tram. Non potete usare delle
porte normali? – ritrasse la mano non appena si accese il led verde e Louisa si
rivolse incuriosita allo schermo, mentre iniziarono ad apparire i primi dati su
Jason – Non usiamo porte normale per proteggerci. – rispose Louisa con un vago
sorriso in volto – Queste porte sono corazzate e se qualcuno rompesse gli
scanner gel, si attiverebbe il sistema
di sicurezza. Nessuno che non sia inserito nei nostri database può aprire le porte, e ancora meno, possono accedere alle
stanze dei Sigilli. – nonostante la nottata fosse stata piena di emozioni per
entrambi, ora Louisa era innaturalmente calma e allegra nel suo ambiente come
se si fosse scordata cosa avesse visto poche ore prima. Stava per chiedere cosa
fosse successo per renderla così allegra, ma si distrasse quando sentì un
leggero bip insistente provenire
dallo schermo – Perché fa così? Con Will non aveva fatto questo suono. – Louisa
toccò lo schermo un paio di volte, e le si disegnò un ruga in mezzo alla
fronte, mentre con gli occhi scorreva lo schermo – Che dice Louisa? Che sono il
ragazzo giusto per te? Per questo è suonato l’allarme rosso? – le appianò la
ruga con il pollice, domandandosi distrattamente come facesse a cambiare così
radicalmente umore in pochi secondi – No. – rispose lei, digitando velocemente la
tastiera virtuale e facendo comparire la foto che Jason aveva sulla patente con
sotto scritto in verde lampeggiante ‘approvato’ – Voleva la conferma del tuo
inserimento nei nostri database e mi ha avvertito che ci sono delle cose che devo
approfondire. Tipo le tue multe per eccesso di velocità o per atti osceni il
luogo pubblico. O per il fatto che sei stato arrestato. – lo fissò accigliata e
Jason strinse in pugni, mordendosi l’interno delle guance. Quel maledettissimo
Istituto iniziava veramente a stancarlo, ora frugavano anche troppo in
profondità nella sua vita privata – E ti ha detto perché sono stato arrestato?
– la voce era più fredda e dura di quanto non volesse, ma non sopportava l’idea
che Louisa potesse giudicarlo, non,
senza sapere tutti i fatti – No. Mi ha solo fatto notare che hai passato un paio di notti in galera e che sei
uscito su cauzione. – la voce di Louisa diventava ad ogni parola sempre più
bassa, fino a diventare un mormorio - Pensavo che potessi dirmelo tu. – senza
ascoltarla Jason la prese per entrambe le spalle e la spinse contro la porta,
togliendole ogni via di fuga – Ascoltami bene, perché te lo dirò una volta sola.
La mia vita, la mia intera vita non sono cose che riguardano voi, ma per amor
di convivenza ti spiegherò solo questo: mi hanno arrestato perché ho pestato a
sangue tre tipi che avevano assalito una come te appena fuori dall’università.
– Louisa lo guardò, con gli occhi grigi spalancati, visibilmente ferita – Una
come me, come? Cosa intendi dire con ‘una come me’? – Jason la lasciò andate di
colpo, capendo dove stava andando a parare Louisa e la sua rabbia sparì così
come era arrivata – Non quello che pensi tu. – fece un mezzo passo indietro per
lasciarle più spazio – Penso che tu sia una stupidotta, irritante e ingenua,
così come lo era lei. – Louisa divenne rossa fino alla fronte e a Jason scappò
un sorriso, quando vide che ci aveva preso sui pensieri della ragazza
–
Quindi non è per il… – chiese lei titubante, tormentandosi le unghie delle mani
– Lo sai no? Per quello che intendeva Miriam.
-
No. – disse spostandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio – Penso che tu
sia stata davvero coraggiosa e dire quelle cose guardandole dritte in faccia e
senza vergognartene. – le diete un leggero bacio sulla fronte, godendosi quel
contatto con la pelle calda e liscia della ragazza – Ma la smetti? – Louisa gli
diede una spinta che lo fece sbilanciare per qualche secondo, prima che lui
scoppiasse di nuovo a ridere – Smettere di fare che cosa? – la stuzzicò – Di
baciarti?
Louisa
annuì vigorosamente, guardandolo male – Ti ho già detto che non voglio. – Jason
incrociò le braccia la petto e la osservò per qualche secondo, memorizzando le
piccole rughe che si erano formate sul suo volto accigliato e lo sguardo di
sfida della ragazza. Lo divertiva troppo vedere come Louisa potesse passare in
pochi secondi dalla tranquillità estrema ad essere un torrente di emozioni
turbinanti. Metterla in un angolo, stuzzicarla e scoprire le sue espressioni stava
diventando il suo passatempo preferito – Peccato, - rispose, mentre un sorriso
gli si allargò spontaneamente – Che il tuo ‘non voglio’, non si accordi con i
miei, di desideri. E io raramente rispetto le opinioni altrui.
-
Maniaco. – Louisa lo guardò con un’espressione, che Jason aveva capito,
riservava soltanto a lui. Un misto tra vergogna, disprezzo e rabbia, e il suo
ego andò a segnare un altro punto nella sua personalissima gara contro la
ragazza.
-
Allora dimmi, - disse appoggiando l’avambraccio contro la porta e prendendo
Louisa sotto il mento - Visto che sono un maniaco e sono pericoloso, che ci fai
nella mia stanza? Non dovresti avvicinarti a me, o sbaglio? – Louisa bofonchiò
qualcosa che Jason non riuscì a capire e lui girò la testa mettendo una mano
sull’orecchio – Non ho capito. Ripeti: perché sei in camera mia? – disse
prendendola in giro.
-
Perché Isaiah vuole che tu sia sempre a mia disposizione. Questa stanza è
diversa dalle altre: ci sono due camere da letto con i rispettivi bagni, una
tua e l’altra mia, e in mezzo c’è questo spazio comune. Quando hai detto
convivenza non avevi tutti i torti. Siamo davvero conviventi.
-
E te la senti di convivere con un maniaco? – lei cambiò colore diverse volte
passando dal bianco al rosso porpora e lui, andò a sedersi su una delle
poltrone del salottino all’ingresso e decise di renderle la vita il più
problematica possibile.
-
Basta che ti non ti avvicini alla mia camera e… – rimase a bocca aperta con la
frase a metà, quando lui si sfilò la maglia dalla testa – C-che stai facendo? –arretrò
fino a sbattere di nuovo contro la porta e per poco a Jason non scappò un’altra
risata. Quella ragazza non sapeva per niente relazionarsi con un ragazzo – Mi
sto spogliando. Tu cosa pensi che stia facendo? La maglietta era tutta sporca e
sudata, e visto che è anche la mia stanza, non vedo cosa ci sia di male. –
Louisa aprì e richiuse la bocca diverse volte, mentre lui gettava la maglietta
per terra e si rialzò contraendo il più possibile gli addominali – Abituati, a
casa vado sempre in giro mezzo nudo. E poi, - disse vedendo la sua espressione,
mentre gli guardava il torace – Non sono io quello che sta sbavando sui miei
muscoli. – Louisa batté un piede per terra, e strinse le mani lungo i fianchi –
Io non sto affatto sbavando sui tuoi muscoli! L’unica cosa che mi interessa di
te è l’anello che ti porti al collo, per il resto anche se giri completamente
nudo, l’unica cosa che puoi ottenere da me è il disgusto più totale! –
Jason
si prese l’anello tra le dita e la guardò di traverso – Quindi ti interessa
solo il mio anello. Vuoi provare a strapparmelo di mano?
Louisa
fissò l’anello con avidità per qualche istante per poi, guardare da un’altra
parte – No.
-
No? – spalancò gli occhi per la sorpresa – Louisa così mi deludi. Non vuoi
neanche provare? Un’azzuffata piccola, piccola per vedere chi è il più forte? –
lei strinse le mani sui pantaloni e contrasse la mascella e Jason, cercò di
dominare il divertimento crescente – No. – disse infine Louisa – Non voglio
prendere il tuo anello. – Jason lasciò ricadere l’anello sul petto e si sedette
a scrutare Louisa che fissava insistentemente la porta che dava sulla camera a
destra. Aveva insistito tanto per trovarlo e ora non capiva come avesse potuto
cambiare improvvisamente idea – Perché? – domandò lui con voce roca. Louisa lo
stava stupendo sempre di più ad ogni minuto che passava e si agitò lievemente
sulla poltrona. I sentimenti che aveva provato sull’albero tornarono a farsi
sentire più vividi di prima e desiderò andare da lei ed abbracciarla – Perché
non vuoi? – chiese di nuovo quando non gli arrivò risposta.
-
Perché, – disse Louisa alzando gli occhi lucidi su di lui - Non è giusto che ce l’abbia io o i Custodi.
Prima era furiosa perché mi hai fatto fare la figura della stupida. Sapevi di
avere l’anello eppure mi hai fatto girare come una pazza lo stesso, ma mi hai difeso
davanti a Miriam e mi hai coperto con Malcom prendendoti tutta la colpa, quindi
non sei così cattivo ed egoista come pensavo. Se vuoi tenerti stretto quell’anello
vuol dire che c’è un motivo più che valido, ma ricordati che appartiene al
Sigillo del Quinto Cielo, e quando apparirà sarà suo. Per ora vedi di non
perderlo e di tenerlo nascosto. Da parte mia, io non dirò nulla ai Custodi. –
Jason attraversò la stanza velocemente e si ritrovò accanto a Louisa per
asciugarle con il pollice una lacrima sfuggente – Non hai idea di quanto sia importante
per me, Louisa. Grazie.
-
Vedi di non occupare il mio spazio intimo e di metterti una maglietta, allora.
– incrociò le braccia al petto e gli guardò un’altra volta il torace.
–
Veramente pensavo di farmi una doccia e poi una sonora dormita. E ti consiglio
di fare lo stesso. – non era sicuro che Louisa apprezzasse quel genere di
preoccupazione visto come fraintendeva sempre i più piccoli complimenti, ma ora
sembrava piuttosto tranquilla, anche se cambiava umore ogni dieci secondi – Andrò
a dormire anche io, inizio a essere molto stanca.
Jason
le accarezzò i capelli castani e decise di testare i limiti poteva raggiungere
- Vuoi spogliarti qui? Del resto ormai siamo viviamo sotto lo stesso tetto, non
vedo cosa ci sia di male. Oppure, se preferisci, posso farlo io. – prese l’orlo
della felpa che le aveva prestato e iniziò a sollevarla – Smettila! – Louisa
gli afferrò il polso bloccandogli la mano e guardandolo fisso negli occhi –
Smettila di comportarti così! Smettila di toccarmi ogni secondo e per l’amor del Cielo! Mettiti qualcosa
addosso, non puoi andare in giro con i soli pantaloni. – Jason si grattò il
collo per nascondere il disagio; sull’albero, anche se aveva usato toni
rabbiosi, Louisa si era ritratta quando lui aveva tentato di baciarla, ora
stava dritta davanti a lui e gli aveva bloccato la mano, sfidandolo apertamente
con lo sguardo. Jason la lasciò andare e sorrise dentro di sé, quando Louisa
aveva sussurrato ‘più forte. Più coraggiosa’, non stava affatto scherzando;
aveva visto la sua evoluzione nel giro di poche ore – Vado a farmi una doccia.
Mi prendo la stanza di destra. Ovviamente se tu volessi farla con me non ci
sarebbero problemi, anzi mi sentirei più sicuro. Almeno non rischieresti ucciderti
scivolando sulla saponetta.
Uno
stivale lo colpì in mezzo alla schiena – Non sono così imbranata! – lui si
voltò a guardare Louisa che stava in equilibrio su un piede solo e si chinò a
raccogliere lo stivale ai suoi piedi – Questo non è molto signorile, – disse
esaminandolo attentamente – Comunque lo prendo io. Magari un giorno arriverà
anche l’altro.
-
Arriva subito! – Louisa si sfilò anche l’altro stivale e glielo lanciò contro,
ma Jason lo intercettò a mezz’aria e sollevò la coppia di calzature come un
trofeo, mentre arretrava verso camera sua – Un ricordo di questa prima giornata
insieme! Ottimo! – si infilò rapidamente
in camera e si chiuse la porta alle spalle.
–
Dammi immediatamente i miei stivali! – Jason ridacchiò, lanciando le scarpe ai
piedi del letto che stava di fronte a lui, Louisa fece tremare la porta quando
ci picchiò contro – Non ci penso proprio! Trovatene un altro paio! – rispose,
appoggiandosi con la schiena contro l’ingresso e godendosi l’attacco di rabbia
della ragazza.
-
Posso bruciarti la felpa! E anche la maglia che hai dimenticato qui!
-
Fa pure! Una vecchia felpa contro un paio di stivali in pelle, chissà chi ci
guadagna!
Louisa
batté più insistentemente contro la porta - Non puoi rimanere chiuso lì dentro
per sempre Jason Fen! Prima o poi dovrai pur mangiare! E quel punto io mi
riprenderò gli stivali! – stette per rispondere quando sentì bussare ad una
porta che non era la sua – Arrivo! – la voce di Louisa cambiò immediatamente
tono, diventando gentile e pacata e abbandonò il suo assalto.
-
Signorina Louisa? – una voce sconosciuta lo fece scattare sull’attenti e
appoggiò l’orecchio sulla porta per sentire meglio – Sono Manuel, mi manda
Isaiah. Vuole che lei partecipi ad una sessione di allenamento straordinaria.
-
Ora? – il tono teso e triste di Louisa lo fece agitare e Jason socchiuse la
porta e per osservare la ragazza e il Custode. Era giovane, forse aveva l’età
di Jason e si grattava nervosamente il gomito, mentre parlava con Louisa che
era rigida e pallida e a Jason si strinse il cuore guardando il suo volto –
Subito, signorina. Mi hanno detto di dirle che ha il tempo di cambiarsi, e che
la devo assolutamente accompagnare fino al centro. – Louisa incrociò le mani
dietro la schiena e si spellò a sangue le pellicine intorno alle unghie –
Volevo postare le mie cose oggi. – insistette lei.
Manuel
scosse la testa – Mi dispiace, signorina. La prego di non insistere, Isaiah è
stato categorico. Potrà spostare le sue cose più tardi o lo farà qualche
Custode per lei. Ora la prego di andarsi a cambiare. – Louisa annuì tristemente
e Jason non riuscì più a sopportare quello sguardo triste e disperato e
spalancò la porta della sua stanza – Louisa hai per caso lo shampoo? Nella
doccia non ce n’è neanche un po’. – scoccò un’occhiata rapida a Manuel che gli
rispose raddrizzando le spalle e guardandolo dall’alto in basso.
–
È nella mia vecchia stanza, se vuoi mentre mi vado a cambiare te lo prendo. –
rispose lei guardando da un’altra parte.
-
Ci sono problemi? – il disgusto che provava per Manuel era talmente tanto forte
che si chiese come mai lui facesse un passo indietro in sua presenza. Stava per
prendere il braccio di Louisa e tirarla indietro, lontana dal Custode, ma si
bloccò quando lei scosse la testa con un sorriso triste – Va tutto bene, Jason.
È solo una sessione di allenamento. Non ci metterò molto, tu fatti la doccia a
dormi pure nel frattempo. Hai fatto tanto oggi, sarai stremato. – la risposta
gentile, ma ferma di Louisa lo insospettì ancora di più e lanciò un’occhiata di
fuoco a Manuel – Vuoi che ti accompagni? Magari posso insegnarti qualche mossa
di autodifesa…
-
Solo al Sigillo Louisa e ai Custodi che la allenano è permesso entrare! Tutti
gli altri devono stare fuori! – la voce di Manuel era così altezzosa e piena di
disprezzo che Jason dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo per non
tirargli un pugno sul naso – Louisa? – Jason alzò un sopracciglio quando lei si
mosse il labbro.
–
Va bene così, Jason. Questo allenamento è per il mio bene. – guardò ferocemente
Manuel che teneva ancora gli occhi fissi su Jason – Fammi strada! – disse
perentoria - Devo prima passare alla mia vecchia stanza a prendere vestiti e
scarpe di ricambio. – uscì dalla porta, seguendo Manuel e se la richiuse alle
spalle senza degnare di un saluto Jason.
Rimase
qualche secondo a fissare la porta, cercando di decifrare le ultime espressioni
di Louisa, dalla sua tristezza, allo sguardo fiero che aveva tirato fuori
infine. Più rimaneva lì, meno gli piacevano i Custodi, ed era sicuro che Louisa
non gli avesse detto tutto su quella sessione di allenamento.
Senza
farsi la doccia, andò a cercare Will con i Jeans ancora sporchi di polvere e
macchie d’erba della notte passata. Fece due volte il giro del chiostro bianco,
cercando di ricordare quale stanza avesse mostrato Louisa a Will.
–
Maledizione! Perché questo posto deve essere tutto così maledettamente
identico! – si scompigliò i capelli per l’esasperazione e una porta si aprì
poco davanti a lui e apparve Will, con addosso un paio di boxer bianchi e i segni
del cuscino sul volto, di chi si è appena alzato – Mi pareva di averti sentito. – stiracchiò il braccio sinistro, mentre con il
destro soffocava uno sbadiglio – C-che ci fai in giro a quest’ora?
-
Cercavo te. – disse semplicemente avvicinandosi a Will e sorrise, se Louisa lo
avesse visto in quel momento le sarebbe venuto un colpo, o si sarebbe messa a
correre in cerchio canticchiando come una pazza. Era indeciso in quale delle
due la vedeva meglio – Mi fai entrare Will? Ti devo parlare. – l’amico si
scostò dall’uscio e gli fece cenno di accomodarsi sulla sedia davanti alla
scrivania, mentre lui si sedette sul bordo del letto – Come mai sei qui? Ti sei
stufato di stuzzicare Louisa? Hai la più pallida idea di che ore siano? Stavo
dormendo, ieri sono stato sveglio fin tardi a sistemare le mie cose e ad ascoltare
la ramanzina di Sophie, quando ho chiamato i miei per dirgli che non tornavamo
per un po’. Tra l’altro mia sorella mi ha detto di dirti, cito testuali parole,
‘la tua moto è veramente figa! Non pensavo di poterla tirare così tanto. P.S.
aspettati una nuova multa. Will, dagli tanti baci da parte mia, Soph’. Io i
baci non te li do Jason, ma se Sophie ti chiama dille che l’ho fatto, o
potrebbe castrarmi. – Jason alzò gli occhi al cielo, Will sapeva essere una
macchinetta appena sveglio e Sophie non si smentiva mai. Chissà quanto gli
sarebbe arrivato da pagare questa volta, e soprattutto, chissà quando avrebbe
avuto occasione di pagarla – Se parlerò con Sophie, le darò una strigliata tale
da farle venire i capelli bianchi. Le ho detto mille volte di non toccare la
mia moto. Può distruggermi i libri, può colorarmi i capelli di rosa mentre
dormo e vestirmi con una bandiera della pace, ma per la miseria boia! La mia
moto, assolutamente non la può toccare!
-
Sei di pessimo umore. Svegliato dal lato sbagliato del letto?
-
Non sono proprio andato a dormire. Ieri
sera sono andato a farmi un giro in città, e alla fine mi sono ritrovato a
difendere Louisa da un gruppetto di donne superprovocanti e arrapate.
-
Spero che tu non le abbia respinte troppo rudemente, mi dispiacerebbe molto se
il tuo pessimo carattere mi precludesse ogni possibilità di avere una vita
sociale.
-
Fidati, con loro avresti avuto una vita sociale molto approfondita. E dubito fortemente che poi saresti stato in
grado di tornare a casa sulle tue gambe. – Will gli sorrise e Jason si sentì rincuorato dalla
presenza dell’amico in quel posto ostile, gli raccontò tutto, partendo dal
momento in cui lui e Louisa avevano incontrato James, fino a quando si
ritrovarono sull’albero e gli descrisse gli effetti che gli avevano provocato il
profumo di Ismael – Quindi non l’hai toccata? – l’ho interruppe Will,
visibilmente stupito. Jason scosse la testa – Non sai quanto mi è costato
rimanere immobile con lei addosso, sentivo il sangue in fiamme e i muscoli
farmi male, ma se mi fossi mosso anche solo di un millimetro l’avrei presa su
quell’albero. - la vergogna gli fece sentire il gusto amaro della bile in bocca
e distolse lo sguardo – ho dovuto usare ogni singola briciola di autocontrollo
che possedevo per non farle del male.
-
Ma ti sei trattenuto, no? Quindi perché stai così? – la domanda di Will gli
lasciò la bocca secca e la lingua incollata al palato
–
Hai uno strano senso dell’onore Jason. –
disse Will ridendo di cuore - Ti senti
in colpa perché l’hai desiderata? Voglio dire, è bellissima, dolce e
coraggiosa, a me piace molto il suo carattere. – Will si grattò la barba sfatta
e guardò verso la finestra, perso nei
suoi pensieri. Come lui, Will era rimasto impressionato dalla testardaggine di
Louisa e dalla sua forza di volontà.
-
È vergine. – Jason sputò quella parola come se fosse una parolaccia e sorrise
dentro di sé quando Will cambiò espressione, spalancando gli occhi – Questo
cambia tutto, vero? – disse l’amico guardandolo negli occhi – Non ci proveresti
comunque, neanche se ne andasse della tua sanità mentale. – Jason scosse la testa
ed evitò accuratamente di guardarlo – Non dopo quella volta, Will. Ho promesso.
-
Allora, - disse Will con la testa rivolta verso il soffitto – Posso provarci
io? Mi piace.
-
William! – Jason saltò in piedi e fissò l’amico, con i muscoli del volto tesi e
contratti.
Will
scoppiò a ridere – Stavo scherzando, Jas, rilassati. – Jason si risedette sulla
sedia e sciolse la tensione che si era formata sui muscoli. Si fidava di Will
più di chiunque al mondo, e se lui gli diceva che scherzava, Jason non ne
avrebbe mai dubitato. Gli accennò un sorriso - Stai iniziando a perdere la
testa un po’ troppo facilmente. Se non vuoi che sia come l’ultima volta, ti
consiglio caldamente di fare attenzione. Perché stavolta, oltre a soffrire tu,
sicuramente soffrirà anche lei. Louisa non è una di quelle, se le spezzi il cuore, non si riprenderà mai. – a Jason
girò leggermente la testa e seppellì la nausea improvvisa sotto un ghigno – Ho
già detto che non ci proverò, mi pare abbastanza non credi? Louisa non
apprezzerà mai un sadico, bastardo arrogante. Cercherò di rincarare la dose e ti tenerla alla larga, e poi, tu puoi distrarla con i tuoi metodi perfetti da
gentiluomo scozzese. - pensò allo
sguardo triste di Louisa e gli mancò un
battito, quando il viso di un’altra ragazza con la stessa, identica,
espressione si sovrappose al suo. Scosse la testa per scacciare l’immagine, era
andato da Will per cercare un alleato fidato, non per parlare di inesistenti
problemi di cuore. Louisa lo detestava e lo respingeva costantemente e tanto
bastava – Ho bisogno del tuo aiuto, Will. – lui si raddrizzò immediatamente sul
letto, teso e attento e con gli occhi grigi improvvisamente duri e freddi come
l’acciaio – Dimmi tutto.
-
Non ti pare strano questo posto? Da quando sono qui, non ho altro che delle
pessime sensazioni. I Custodi, soprattutto. Prima ne è venuto uno a prendere
Louisa. L’ha praticamente costretta a seguirlo dicendo che doveva allenarsi, ma
lei è completamente fuori forma. Non riesce neanche a salire su un ramo senza
che le venga il fiatone.
-
Non dovresti paragonarti ai comuni mortali, Jas. Non tutti sanno salire
agilmente sugli alberi come te, o hanno il tuo addestramento.
–
Non capisci. – insistette lui - Louisa non sa correre. L’ho toccata Will, ha
pochissimi muscoli sulle braccia e sulle gambe. – Will si avvicinò un po’ più e
lui, sempre più attento – Cosa vuoi fare, Jason?
-
Voglio tenere occhi e orecchie bene aperte, e vorrei che lo facessi anche tu.
Più tardi chiederò a Louisa cosa le hanno fatto fare, e se la risposta non sarà
soddisfacente, userò i miei metodi per tirarle fuori la verità. – Will gli
sorrise freddamente, passandosi una mano fra i capelli biondi – Preferisci
farti odiare stavolta?
Jason
si alzò e mise la mano sullo scanner gel, aprendo la porta della stanza di Will
– Più sicuro l’odio che l’amore, no? – disse tristemente, infilandosi le mani
in tasca – Ci vediamo dopo. Vado a dormire qualche ora.
Louisa
si appoggiò stancamente alla porta della
piccola cabina che usava come spogliatoio e prese un paio di pillole che le
aveva dato Isaiah. Dovevano aiutarla a controllare la nausea che le veniva dopo
gli allenamenti, ma l’unico risultato che aveva ottenuto fin ora era di farla
piegare in due per i crampi allo stomaco. Almeno
non vomito, pensò asciugandosi il sudore dalla fronte e ritrovandosi i
capelli incollati alla mano per quanto erano umidi e appiccicaticci. Devo lavarmi prima di tornare da Jason, se
vedesse il gel sui capelli mi riempirebbe di domande. Il suo sorriso condiscendente gli apparve in
mente e lei si sedette stancamente sulle panchine in alluminio, totalmente
prosciugata. Avrebbe volentieri chiuso gli occhi lì qualche ora, almeno lui non
avrebbe visto come dormiva, e soprattutto non l’avrebbe sentita, ma i Custodi
stavano per chiudere il centro per oggi e lei, non poteva andare in giro con
quel camice bianco da laboratorio. Si tolse il camice, sciogliendo i lacci
rigidi annodati dietro il collo e alla schiena, e rimase solo con la biancheria
e a guardarsi allo specchio. Aveva il volto terreo e l’incavo del braccio sinistro
era coperto dal cotone e dallo scotch di carta. Se lo strappò via, facendo una
piccola smorfia quando vide la goccia di sangue secco spiccare sul giallo del
disinfettante. Quante volte era stata punta, stavolta? Tre? O forse quattro? Non
le aveva contate, ma l’unica che le avevano medicata era la primo.
Si
pizzicò le gote, cercando di farsele diventare rosee. Se Jason mi vedesse in queste condizioni il suo ego farebbe i salti
mortali e rotolerebbe per terra dal ridere. Sono davvero patetica.
Soffocò
uno sbadiglio, aveva bisogno di dormire seriamente, quella sessione di
allenamento, le aveva cerchiato gli occhi di scuro in maniera preoccupante e la
nausea faceva ancora da padrona, rendendola instabile sulle gambe. Si infilò
velocemente pantaloni, pensando alle sue possibili scappatoie. Tornare da Jason
era fuori discussione, Will ancora meno, era uno studente di medicina e avrebbe
capito tutto alla prima occhiata. James e Dimitri non le avrebbero fatto
domande, ma l’avrebbero guardata insistentemente finché lei non avrebbe
capitolato.
Sospirò,
infilandosi la maglia viola, l’unico posto dove poteva andare era uno e uno
soltanto. Lì poteva dormire in tutta tranquillità e nessuno l’avrebbe
disturbata.
Una
volta che fu pronta uno dei Custodì la accompagnò fino al chiostro dove viveva
– Si riposi signorina Louisa. – disse non appena lei fu scesa da kart – Ha
l’aria molto stanca. – Louisa gli fece un piccolo sorriso, cercando di tranquillizzarlo
– Non si preoccupi, ora mi faccio una doccia e vado direttamente a dormire. –
il Custode annuì soddisfatto e fece
retromarcia con la macchina elettrica, mentre Louisa gli faceva un cenno di
saluto. Come sparì alla vista il sorriso della ragazza scomparve e la mano
ricadde inerte lungo il corpo. Avrebbe fatto una doccia, e avrebbe dormito, ma
non dove pensavano i Custodi.
Camminò
per il giardino del chiostro, sperando che nessuno la notasse e si avvicinò
svelta ad una delle stanza nell’angolo più lontano e solitario. Si guardò
intorno furtiva, mentre poggiava la mano sullo scanner gel, pregando che
nessuno la vedesse entrare lì dentro. Se James l’avesse saputo sarebbe andato
in escandescenza e i Custodi avrebbero sicuramente cambiato i codici di accesso,
pur di tenerla lontana. Si richiuse la porta alle spalle e ci mise il fermo; non si sarebbe
fermata molto, ma era meglio non essere disturbate.
La
stanza era tenuta in penombra come quella di Dimitri e Louisa osservò il volto
della ragazza quindicenne, che respirava fievolmente, mentre dormiva
profondamente – Ciao Anna. – disse sedendosi sul bordo del letto e scostandole
una ciocca di lunghi capelli color mogano – Non vengo a trovarti da un po’, mi
dispiace. Ho molte cose da raccontarti. – si stese accanto a lei e chiuse gli
occhi, pregando che il sonno la prendesse il più in fretta possibile.
Louisa
batté le palpebre, infastidita dalla lama di luce che filtrava attraverso le
tapparelle – Ciao. – la voce della ragazza la fece sedere di scatto sul letto e
scostò il lenzuolo con cui era coperta – Anna! Come stai? – la ragazza alzò le
spalle, facendo danzare i capelli davanti agli occhi color cioccolato – Non c’è
male. Sono sempre qui, le cose non cambiano molto, ma dimmi di te. Cosa è
successo? Ho sentito un tuo grido dell’anima non molto tempo fa, è arrivato fin
qui. - giocherellò con l’anello d’oro bianco che portava al dito, e Louisa vide
i riflessi rossi del rubino danzare sul muro – Nulla di che Anna. Ho incontrato
un ragazzo.
A
quelle parole la sua amica si accigliò – Louisa…
-
Prima che tu possa dirmi qualsiasi cosa: lo so, Anna, ma non è come pensi.
Sospetto che sia un Sigillo, l’emanazione di Raphael anche se assopito. E porta
con sé l’anello del Quinto Cielo. – raccontò velocemente cosa le era successo
durante il viaggio in Scozia, senza omettere alcun particolare e arrossì
leggermente, quando Anna scoppiò a ridere, per alcune battute di Jason che lei
aveva ripetuto, imitando i suoi modi arroganti – Mi sta simpatico! Voglio
conoscerlo! Sono sicura che mi farà morire dal ridere. – batté le mani
entusiasta.
Louisa
sospirò, forse Anna non si rendeva conto molto bene della situazione in cui si
trovava – Jason è – si morse il labbro, cercando di riassumerlo in una parola,
ma non trovò alcun paragone nel suo vocabolario – Arrogante, pieno di sé, pensa
di poter far ballare tutti al suo gioco, ed è egoista. Voglio avere a che fare
con lui il minimo indispensabile.
Anna
si sedette sui un paio di cuscini rossi ricamati in argento che stavano sul
pavimento, e incrociò le gambe – Allora è per lui che la tua anima ha gridato?
Stava per farti del male? – chiese agitandosi leggermente sul posto. Louisa
scosse la testa – No. – disse guardandosi le mani e cercando di dominarne il
tremore - Malcom ha detto che il rilevatore è diventato incandescente, quando,
– sentì le guance emanare calore – Quando stavo cercando di lanciarmi tra lui e
una pistola puntata al suo petto.
-
Ah! – esclamò la ragazza – Allora è tutto chiaro. Immagino che dal Sigillo
delle Virtù non ci si potesse aspettare altro. Louisa, vedi di non farti
prendere troppo da lui. Raphael è un ottimo guaritore, ma è parecchio
distaccato e altero rispetto agli altri Arcangeli. Può darsi che il tuo amico abbia alcuni tratti della sua
personalità.
Louisa
alzò la testa di scatto alla parola guarigione, ricordandosi che doveva dire ad
Anna una cosa che aveva notato mentre si cambiava – Io sono sicura che Jason
sia Raphael! – prima non aveva avuto tempo per ragionarci su, doveva
assolutamente andare agli allenamenti e quindi in quel momento, aveva
accantonato il pensiero, ma ora, nel calore e nella tranquillità della stanza
di Anna poteva parlarne – Stando a quello che mi hanno detto; in Scozia mi ero
fatta male. Una profonda ferita alla gamba, ma prima, in camera mia ho provato
a togliere la fasciatura perché non sentivo più dolore da molte ore. Anna, non
ho più nulla. Neanche la cicatrice: la pelle è perfettamente intatta. – Anna si
avvicinò a lei e le sfiorò la gamba con tocco indagatore – Hai passato molto
tempo con lui? Ha imposto le mani o ti ha toccato? Ti ha dato qualche medicina?
-
Mi ha preso in braccio. – rispose Louisa prontamente – E stavo bene sulle sue
spalle. Mi sentivo tranquilla e rilassata, come se non avessi peso e il dolore
non esistesse. – Anna si morse il labbro inferiore e tornò a giocherellare con
il suo anello – Non è un comportamento da Raphael? – domandò Louisa incuriosita
dalla sua inquietudine
–
No, cioè si. Sei sicura che ti abbia toccato solo lui? – Louisa annuì
vigorosamente, ormai convinta che Jason fosse uno di loro. Tutto portava a lui,
ma Anna era una persona difficile da convincere – Se è un Sigillo te lo
porterò. Così puoi star cerca che l’Arcangelo Anafiel potrà riconoscerlo…
-
No! – esclamazione di Anna la fece sobbalzare sul letto – Non portarlo! Non
ancora. – si lasciò cadere accanto a lei sul letto e strinse le mani di Louisa
nelle sue - Ci sono cose che si stanno muovendo Louisa, è pericoloso! Se è
Raphael è meglio che stia nascosto ancora un po’. Così come te. Cerca di non
lasciar andar in crisi la tua anima. È ancora troppo presto per mostrarti, più
Gabriel rimane assopita più sarai al sicuro.
-
Ma non dovrei combattere affianco di James e Dimitri, e anche con te?
-
Ti prego Louisa. Il fatto che si sia mostrato Belial è una cosa molto
importante. Loro non intervengono
mai. Non tra Sigilli e Grigori. Le cose stanno cambiando. Dovete cercare gli
altri e portarli al sicuro. – le parole ansiose e gli occhi spalancati di Anna
la misero in agitazione e Louisa ritrasse le mani – Che dovrei fare? Anna, tu sei il
Sigillo del Settimo Cielo, uno dei più vicini a Dio, che dovrei fare? – Anna le
diede un bacio sulla guancia, calmandola con i suoi modi sereni e ottimisti – Segui
il tuo cuore e non ti preoccupare, – disse dolcemente – Raphael sceglierà qual
è il momento migliore per apparire, non ha mai deluso nessuno. E Gabriel,
fidati di Gabriel, Louisa. Lei sa per che cosa combatti. Risponderà al tuo
cuore.
Dio,
di chi è la voce, che
sento
insistentemente nel mio
cuore?
NAD:
all’inizio doveva essere un capitolo di transizione, poi è diventato il solito
chilometro di parole. Mi dispiace! Ma sti due a volte prendono il sopravvento! ..dovevo
solo presentare un po’ la vita giornaliera di Louisa e le persone a cui lei
tiene *ciao Anna*. PS Anna è un abbreviativo, il vero nome è Annaliese, ma vi
spiegherò meglio in futuro. Comunque nulla è come sembra. Ci sono un mucchio di
segreti.
* Fissa Jason* io non ho ancora capito che ti è capitato!
Grazie
per tutti quelli che mi hanno sostenuto fin qui *Inchina*
Khyhan
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Capitolo 6 *** VI. Tranquillitas Innocens ***
VI - Tranquillitas Innocentes
Tranquillitas
Innocens
“La calma della
lingua
è un albero di
vita,
ma la distorsione
di essa
significa
abbattimento
dello spirito.”
Pr
15:4
Jason
si svegliò di soprassalto, con lo stomaco che brontolava amaramente. Afferrò a
tentoni il telefonino per guardare l’ora e batté le palpebre per scacciare il
bruciore, quando la luce dello schermo lo abbagliò per alcuni secondi.
Fissò
incredulo l’orologio digitale che segnava le 3:37 del pomeriggio – Will! – urlò,
scalciando via le coperte – Will, perché diamine non mi hai svegliato prima? – stava per inveire
ancora contro Will, quando si ricordò che non era più in Scozia, ma
all’Istituto in una camera che condivideva con Louisa.
Cercò
a tastoni l’interruttore della luce sopra la testiera del letto e guardò male
la stanza illuminata.
Non
una cosa lì dentro era di suo gusto. Il materasso era troppo duro, e i mobili,
in legno chiaro con le maniglie in argento satinato, troppo moderni e lineari.
L’unica cosa che sopportava era la piccola libreria vuota accanto alla
scrivania incastrata sotto la finestra, che dava su giardino posteriore al
chiostro, e il comodino in cui aveva nascosto l’anello di suo padre.
Disgustato
dall’arredamento, andò recuperare il
borsone, che quella mattinata aveva malamente lanciato nell’ingresso, mentre ascoltava
le incessanti chiacchiere di Louisa sull’Istituto e su Malcom.
Con
la mano sulla maniglia lanciò un’occhiata allo specchio incastonato nella
porta. I capelli neri ormai gli ricoprivano gli occhi, e la sottile cicatrice
sul petto nudo spiccò nitida controluce, mentre lui si voltò a esaminare le
ferite sulla schiena. Sorrise soddisfatto quando scoprì che non si vedevano
quasi più, se non fosse per qualche piccolo segno rosso situato appena sopra
alla linea dei boxer neri, dove erano arrivate le schegge peggiori.
-
Louisa! – chiamò a gran voce – Che tu ci sia o non ci sia, io sto uscendo in mutande!
– spalancò la porta e si guardò intorno, cercando la figura minuta della
ragazza – Andiamo, Louisa vieni fuori! Non mi dai alcuna soddisfazione. –
attraversò velocemente il salottino e spalancò la porta che dava alla camera di
Louisa, solo per trovarla vuota.
–
Ma che fine ha fatto? - sfiorò al letto della ragazza, speculare al suo, trovandolo
freddo e intatto - Non è tornata? – tornò nella stanza principale e frugò
velocemente nel suo borsone, mettendosi il primo paio di pantaloni che gli
capitò a tiro e uscì alla ricerca di Louisa.
Avvistò
Louisa che leggeva seduta accanto a dei cespugli di rose e la osservò per
qualche secondo appoggiandosi contro una colonna del portico.
Le
labbra di lei si muovevano animatamente seguendo ritmo del racconto e i capelli
le ricadevano in disordine sulle guance rosee.
Dalla
posizione in cui si trovava lei non poteva notarlo, ma lui vedeva chiaramente
ogni suo gesto. Qualsiasi cosa stesse leggendo la ragazza, la riempiva di vita
come non aveva mai visto prima. Louisa si alzò in piedi di scatto, e fece un
finto affondo con libro ancora in mano – Traditori!
– gridò. Jason sobbalzò e si ritirò un po’ di più dietro la colonna. Sogghignò
quando capì che Louisa non si era affatto accorta di lui, ma stava ancora
leggendo persa totalmente nel racconto. Allungò il collo per osservarla meglio
e Louisa fece una mezza piroetta e si risedette goffamente accanto alle rose,
accarezzandone un bocciolo – Tu, Tremal-naik? – sussurrò la ragazza continuando
a leggere.
Jason
scoppiò a ridere non riuscendo più a trattenersi, aveva riconosciuto il nome del
personaggo e uscì dall’ombra con le mani infilate nelle tasche della tuta bianca
– Che stai facendo, Louisa? – domandò avvicinandosi.
Louisa
sobbalzò, una volta accortasi della presenza del ragazzo accanto a lei –
Leggevo alle piante. – disse con voce amorevole accarezzando un paio di foglie
– Ho letto da qualche parte che parlare alle piante le aiuta crescere
rigogliose. Sai, si dice che abbiano sentimenti. – Jason le strappò il libro
dalle mani e guardò la copertina rilegata verde brillante – Leggere ‘i Misteri
della Giungla Nera’ aiuta le piante a crescere? Posso consigliarti un ottimo
psicanalista? In venti, trent’anni diventeresti quasi normale. – senza degnarlo
di una risposta Louisa si allungò per riprendersi il libro, ma Jason lo tenne
in alto fuori dalla sua portata, divertendosi per l’espressione arrabbiata
della ragazza – Ridammi il libro!
-
Fammici pensare. – rispose Jason grattandosi la mascella, mentre Louisa si
allungava sulle punte, cercando di prendergli il braccio - Uhmm. No. Ma se
rispondi alle mie domande, potrei fare un’opera di carità.
Louisa
puntò i piedi a terra, con i pugni lungo i fianchi – Jason. Dammi. Il. Libro.
Ora.
-
È un ordine? – chiese mellifluo il ragazzo.
Louisa
scosse la testa – No. – saltò e arrivò a sfiorare la mano di Jason che
allontanò di qualche passo prima di mettersi a sfogliare le pagine – Come mai
leggi questa roba? Ti credevo tipa da Dickens o da Brönte.
-
Non mi piacciono, preferisco Salgari o Verne. Adesso che ho risposto, dammi il
libro. – tornò all’attacco, e Jason la evitò scartando di lato, nascondendosi
il libro dietro alla schiena – Prendilo Louisa, non ci vuole nulla. – la
schernì. Louisa lo guardò male e allungò le braccia intorno al torace di Jason.
Il
corpo della ragazza era caldo per il tempo trascorso sotto il sole, e il dolce
profumo delle mandorle che emanava gli diede alla testa e si bloccò sul posto,
inspirando a pieni polmoni quell’odore, mentre Louisa strinse le mani attorno
alle sue, cercando di fargli allentare la presa sul volume – Sai che mi stai
abbracciando, vero Louisa? – sfoderò il suo miglior sorriso a trentadue denti e
Louisa fece un salto indietro, mettendo di nuovo una certa distanza – È colpa
tua. Ci tengo a quel libro. E io ho risposto alla tua domanda. –
Lui
ridacchiò, sventolandole il volume davanti agli occhi – Non era la domanda che
volevo farti, e ora che so che ci tieni, le domande salgono a due. Primo: che
tipo di allenamento hai fatto? Secondo: perché non mi hai detto che la tua
gamba è perfettamente guarita? – Louisa lo fissò con la bocca spalancata,
visibilmente allibita – La mia Gamba? Come fai a sapere che sta bene?
Jason
alzò gli occhi al cielo, come si poteva essere così ottusi? - Non vale rispondere con un’altra domanda,
ma se proprio ci tieni. Non ero io, quello che poco fa saltava come un elefante
imbizzarrito sotto una magnolia, tra le rose in boccio.
-
Non saltellavo come un elefante imbizzarrito. E la mia gamba sono affari miei,
non vedo perché tu debba saperlo. – si scambiarono una lunga occhiata e Jason
strinse più forte il libro con le pagine ingiallite tra le mani, poteva quasi sentire l’odore di
mandorle mischiato a quello della carta e inchiostro – D’accordo Louisa. Sono
affari tuoi. Questo lo rivedrai prima o poi, dipende da quanto sarai gentile in
futuro. – le diede la schiena e si incamminò verso camera sua.
Poteva
quasi sentire lo sguardo furioso di Louisa bruciargli la nuca, e sorrise. È fin troppo facile farmi odiare da lei, pensò.
-
Hai detto che se avessi risposto me lo avresti restituito!
Jason
si fermò e la guardò da sopra la spalla – Ho detto che avrei fatto un’opera di
carità. La sto facendo. Alle rose. Eviterò che tu legga ancora Salgari alle
piante.
-
Hai deciso di alzarti per rompere le scatole e distruggere il delicato
equilibrio interiore del mondo o solo il
mio?
-
No, mi sono alzato perché ho fame. Quindi prima che divori ‘I misteri della
Giungla Nera’ che ne pensi di farmi cenare?
Louisa
incrociò le braccia e si sedette a terra – Vediamo chi è più testardo Jason. Io
non ti porto in cucina finché non mi ridarai il libro. – lui sorrise dentro di
sé, quella battaglia cominciava a diventare interessante e Louisa aveva deciso
di prenderlo per fame. Se lei voleva la guerra, Jason non si sarebbe certo tirato indietro. Posò il libro a terra e
in quattro passi le fu accanto, sovrastandola completamente – Sai, Louisa avrò
anche fame, ma so anche come farmela dimenticare. – si fece più vicino,
chinandosi su di lei, e le accarezzò il mento, risalendo la curva della
mascella.
Louisa
incrociò braccia e gambe e non si mosse di un millimetro, mentre lo guardava
torva – Non pensarci nemmeno, Jason. Toccami ancora un po’ e ti farò parecchio
male.
-
Uh-uhm. D’accordo. Provaci. – giocherellò con una ciocca di capelli,
arrotolandosela intorno alle dita – Vediamo quanto puoi farmi male. – afferrò
il polso di Louisa, prima che lei riuscisse a portare a termine lo schiaffo.
Sorrise senza perdere il contatto con gli occhi, spalancati dalla rabbia, di
Louisa, mentre lei si divincolava nella sua stretta – Così non va Louisa. Devi
cercare di colpirmi molto più velocemente. Raramente le persone riescono a
prendermi a schiaffi. Direi che fino adesso c’è riuscita una persona sola, e
non era una ragazza, e io non ero agguerrito come adesso.
-
Lasciami!
-
Portami in cucina e io ti lascio andare. – rispose Jason spostando il corpo per
evitare un calcio di Louisa.
-
Dammi il libro e io ti porto in cucina.
-
Non ci schioderemo mai da qui, lo sai? – la spinse sotto di sé e le inchiodò
entrambe le braccia, mettendosi a cavalcioni su di lei – Allora Louisa, che
vogliamo fare? Ti arrendi?
Louisa
si divincolò sotto di lui, spostando velocemente le gambe - Mai! – Jason
spalancò gli occhi e fissò per un secondo buono il piede che spingeva contro il
suo stomaco.
-
Niente male. – commentò lasciandola andare – Bene, vorrà dire che tornerò in
camera mia. – si alzò e osservò il viso arrossato e il petto di Louisa che si
alzava e si abbassava velocemente – A leggere.
– sottolineò volutamente le ultime parole e lo sguardo di Louisa corse al punto
in cui lui aveva appoggiato il libro – Non credere di essere più veloce di me.
La
ragazza abbassò gli occhi e incurvò le spalle, strappando distrattamente
qualche filo d’erba – Ti porto in cucina. – disse infine.
– Tieni. – disse lanciandole in grembo il libro e distogliendo lo sguardo.
L’aveva avuta vinta facilmente, anche se per un breve istante era rimasto
sorpreso dalla caparbietà di Louisa.
-
Sei un.. – Louisa si morse il labbro e accarezzò amorevolmente l’angolo
superiore della copertina del libro – Imbecille.
Jason
la guardò di traverso, incrociando le braccia al petto – Non riesci proprio a
dire le parolacce, vero? Hanno un forte effetto liberatorio. Ripeti con me:
Jason, sei uno stronzo. Ti permetto anche la variante coglione, se preferisci.
– Louisa arrossì leggermente e afferrò più saldamente il libro, mentre si
alzava – Io non dico le parolacce. Imbecille per uno come te, va più che bene.
E mettiti una maglietta, non puoi sempre andare in giro vestito così. – Jason
scoppiò a ridere, quella ragazza era una pudica di prima categoria, e il piano
nudità era il suo fondamentale punto debole. Finché giocava quella carta,
Louisa l’avrebbe detestato alla grande.
-
Jason, – Louisa lo richiamò, mentre lui stava andando a recuperare qualcosa da
mettersi addosso – Hai un tatuaggio dietro la schiena? – lui alzò le spalle e
si chiese cosa centrasse con il mettersi una maglietta – È una delle tante cose
che ho fatto. Come bere, fumare, farmi di coca e crack, andare a puttane. –
Louisa sgranò gli occhi e fece un mezzo passo indietro, portandosi le mani alla
bocca – S-stai scherzando, vero?
-
Chi può dirlo? Il tatuaggio è una cosa che mi sono concesso. L’unica di cui
avevo veramente bisogno.
Louisa
si avvicinò e gli guardò la schiena incuriosita, per un attimo Jason ebbe la
bizzarra idea di contrare i muscoli e di mettersi in mostra - In che lingua è
scritto? Sembra giapponese.
-
È scritto in cinese. – corresse lui pazientemente - Sono il primo e l’ultimo
ordine di mio padre. Il primo l’ho fatto a diciassette anni, quando ho vinto i campionati
regionali di Kung Fu. Il secondo l’ho fatto tre
mesi dopo la morte di mio padre. – Louisa passò un dito sulla spina
dorsale e lui represse un brivido. Il tocco della ragazza era innocente e
curioso, ma lui non poté fare a meno di desiderare che non smettesse – Cosa
vuol dire, Jason? – il ragazzo soppesò la risposta, passando nervosamente da un
piede all’altro. Gli unici, a parte lui, che ne conoscevano il significato
erano Will e Sophie che gli erano stati vicini dopo il funerale.
Louisa
avrebbe riso di lui? Se ci avesse provato, decise, l’avrebbe sbattuta per terra
– Il primo vuol dire ‘Alzati, combatti’, Yang Fen me lo ripeteva sempre quando
mi allenava da bambino.
-
E il secondo?
Si
voltò a fronteggiarla, cercando il contatto di visivo, ma lei fissò
ostinatamente il terreno tra di loro - ‘Vivi.’ – attese le risate di scherno di
Louisa, ma inaspettatamente lei gli accarezzò la cicatrice che gli aveva inciso
sul petto – È una cosa molto dolce. – disse prima di scappare via.
Rimase
immobile con la bocca secca e la gola che gli bruciava, Louisa non era come lei. Sicuramente lei sarebbe scoppiata a ridere nonostante l’aria da santarellina
che si portava appresso. Invece, Louisa era stata molto dolce, e Jason avrebbe
messo la mano sul fuoco sul fatto di aver appena sentito Louisa soffocare un
singhiozzo.
Louisa
si chiuse la porta della sua vecchia stanza alle spalle.
Aveva
un incredibile bisogno di riacquistare i suoi spazi e le cose in cui credeva,
mettendo distanza tra lei e la confessione che le aveva fatto Jason. Guardò lo
scaffale davanti al letto ricolmo di file e file di libri messi in ordine per
autore e ascoltò il suono del suo cuore, finché non rallentò in zona di
sicurezza. Non ne capiva il perché, ma le parole e l’affetto figliare del
ragazzo l’avevano sconvolta nel profondo. Aveva bisogno di dimenticare quelle
parole. Di distrarsi e recuperare la padronanza di sé prima di crollare
definitivamente. Alzò lo sguardo; i libri erano lì, pronti ad aprirsi per lei,
trascinandola in un mondo tutto suo fatto di giungle inesplorate e isole piene
di tesori, doveva solo allungare la mano e concentrarsi su quello, e avrebbe
dimenticato tutte le cose che la opprimevano.
Fuori
il cielo era blu e terso, le sue amate rose erano in boccio, i libri erano in
ordine, James stava curando le due sventurate che erano finite in mano ai
Grigori, Dimitri si sarebbe rialzato presto, e Jason era il solito arrogante.
Tutto
era perfettamente nella norma e sotto controllo. Niente poteva cambiarlo. Quello
che era successo nelle ore precedenti poteva essere analizzato e sviscerato.
La
morte di quell’uomo alla luce del giorno erano sono pensieri confusi e lontani,
come degli incubi che ogni tanto tornava a tormentarla.
Se
teneva la testa occupata, il ricordo della notte precedente poteva essere controlla,
in questo modo non sarebbe finita in pezzi.
Jason.
Jason
era un altro paio di maniche. Sembrava che facesse di tutto per non lasciarla
in pace. Quando lei pensava di poter abbassare la guardia, Jason non faceva
altro che assalirla e massacrarla. Come prima.
Louisa
sapeva che lui avrebbe tranquillamente potuto evitarla. Poteva far finta di non
averla vista, eppure era andato a punzecchiarla lo stesso.
No.
Quello che le aveva confessato non avrebbe cambiato la sua opinione sul
ragazzo.
La
rendeva solo più debole e facile da distruggere.
Più
aperta verso i sentimenti che lei cercava di opprimere.
Le
parole di Jason avevano rotto l’argine che lei aveva tenuto a bada a fatica
tutto il giorno.
Respirò
profondamente, cercando di scacciare gli incubi che la stavano assalendo, man
mano che le lacrime le scendevano bollenti sul viso.
La stanza di Dimitri
asettica e che sapeva di disinfettante e malattia.
James che non sapeva mai
dirle quando tempo gli rimaneva.
James che tornava spesso a
tarda notte con gli occhi iniettati di sangue, pallido e con lo sguardo perso,
sfiancato nel corpo e nello spirito.
Isaiah che continuava a
sottoporla a quegli stressanti allenamenti per aprirla al suo potere.
I Custodi che la
guardavano con paura, legandola puntualmente su quel tavolo per evitare che si
facesse del male.
Sua madre che non le
scriveva mai e non rispondeva mai alle sue mail.
Quell’uomo nel vicolo,
senza testa.
Le sue mani coperte di
sangue, che ancora si sentiva addosso. Caldo e vischioso, le era entrato
profondamente sotto la pelle mostrandole quanto lei era inutile.
La
presenza di Jason nella sua vita amplificava terribilmente tutti quei ricordi.
Non
poteva abbassare la guardia con lui. I suoi gesti gentili, le sue parole
mormorate, i suoi scoppi di ilarità; la facevano sentire terribilmente vuota e
sola.
Prima
di Jason, lei teneva a bada la paura. Teneva a bada gli incubi, impedendo che
l’assalissero anche di giorno.
Con
lui vicino li dimenticava. Esistevano solo lui e i suoi modi di fare.
Senza
lui accanto si rendeva conto di quanto la vitalità del ragazzo le scavasse un
solco dentro.
Jason
distruggeva in maniera sistematica ogni sua difesa.
Era
egoista e vendicativo, anche i suoi modi gentili nascondevano un secondo fine,
e se Louisa, non avesse preso presto delle precauzioni l’avrebbe mandata in
frantumi.
Si
strinse le braccia intorno alle ginocchia, cercando di farsi il più piccola
possibile in quella stanza, che non sentiva più sua.
Era
come lei: i muri bianchi, le lenzuola tese e tirate, i libri in ordine. Non una
foto o un ricordo dei suoi genitori.
Tutto
quello che possedeva era dell’Istituto.
Lei
era dell’Istituto.
L’istituto
era parte di lei.
-
Aiutami. Non lasciami da sola. Dio, ti supplico, – singhiozzò – Tirami fuori da
qui. Dammi la forza di alzarmi.
Un
colpo alla porta rimbombò sordo nella sua stanza, facendola sussultare –
Louisa! Qui c’è gente che muore di fame! – Jason iniziò a bussare ferocemente,
chiamandola ogni tre secondi – Louisa! Andiamo! Ho fame! È da ieri notte al bar
che non tocco cibo! Consumo un sacco di calorie! Prima che svenga e che tu mi
abbia sulla coscienza, come se tu non avessi già fatto abbastanza danni nella
mia vita, ti consiglio di aprire la porta o potrei provare a buttarla giù! –
Louisa fissò ammutolita la porta che Jason stava tempestando di pugni facendola
tremare – U-un attimo. – disse con voce rotta. Deglutì un paio di volte,
cercando di togliere il fastidioso bruciore che
aveva alla gola – Dammi un attimo, per favore. - Si asciugò gli occhi e
si guardò allo specchio, trovando una sé stessa, con le spalle piegante e lo
sguardo perso.
-
Louisa! – la voce di Jason le trapanò il cervello, e con un moto di stizza scoccò
un’occhiata malevola alla porta – Ti ho detto un attimo!
Ignorando
Jason che continuava a inveire contro Louisa e la sua lentezza, andò in bagno a
sciacquarsi il viso, fino a levare ogni traccia del suo pianto.
Tornata
in camera, si prese tutto il tempo che le serviva per rasserenarsi e raccolse
il libro che prima aveva messo da parte.
Lo
sfogliò attentamente per vedere se le pagine si fossero sgualcite e Jason se
meritasse una rapida dipartita dall’universo, ma vi trovò solo un rametto di
lavanda infilato tra le pagine ingiallite, proprio nel punto che stava leggendo
prima che Jason le strappasse il libro dalle mani.
Lo
annusò dolcemente, perdendosi nell’odore aromatico e fresco dei piccoli fiori
viola, per poi rimetterlo tra le pagine, nel punto in cui l’aveva trovato.
Come
c’era finito lì dentro?
Chiuse
delicatamente il libro e lo rimise al suo posto sullo scaffale, quel rametto
non era finito lì per caso, e non lo
aveva messo lei come segnalibro. L’unica valida alternativa rimaneva Jason, ma
lui non poteva essere così sensibile da averlo fatto.
Uscì
dalla stanza e trovò Jason appoggiato contro il muro accanto alla porta – Era
ora! Finito di pomiciare con il libro? – le labbra del ragazzo di piegarono in un sorriso di scherno e la
rabbia tornò a colpire Louisa a ondate violente.
Jason
non si era affatto messo una maglietta, anzi la guardava tutto sorridente con
il muscoli del torace perfettamente scolpiti, in bella mostra e la tuta che gli
ricadeva bassa sulle anche – Ancora non ti sei messo una maglietta! – esclamò
lei voltando lo sguardo verso il portico deserto.
Non
era possibile che Jason continuasse su quella strada, lei non riusciva più a
gestirlo.
-
Ho troppa fame per fare qualcosa di articolato come mettermi una maglietta. Sai
ci vuole coordinazione, presa salda e via dicendo. Tutte cose che non ho con il
calo di zuccheri in corso.
Louisa
sbuffò, Jason poteva rimanere sulla sua posizione tutto il giorno e tutta la
notte, sapeva che lui non avrebbe affatto ceduto.
Per
l’ennesima volta aveva dimostrato di non pensare affatto ai sentimenti degli
altri, ma di mettersi in mostra il più possibile; e poi lei, aveva promesso di portarlo
in cucina se le avesse restituito il libro – Seguimi. – disse infine,
facendogli strada – Ti porto in cucina.
-
Finalmente! – Jason si mise al suo fianco, talmente tanto vicino che le loro
mani si sfioravano, e Louisa si allontanò si mezzo passo, cercando di
riappropriarsi del suo spazio. Jason la seguì, tornando nella stessa, identica,
inopportuna posizione di prima.
Esasperata,
Louisa accelerò il passo, ma Jason adeguò il suo – Se continui a muoverti verso
destra di ritroverai a strisciare lungo muro. Non è un comportamento normale. –Jason
si grattò distrattamente la mascella, fingendo di non capire il comportamento
di Louisa.
-
Sei tu che mi stai facendo impazzire.
-
Non credevo ci volesse così poco. A quando la dichiarazione d’amore? Potresti
scrivere in cielo ‘Jason ti amo’. Sarebbe originale.
-
Potrei scrivere ‘Jason buttati da un ponte’ o ‘Jason è un arrogante pallone
gonfiato’. – così non andava bene, Jason stava tornando a dettare legge sul suo
umore.
Si
chiuse in un silenzio ostile, mentre camminavano sotto il portico, diretti
verso un basso edificio, appena dietro
ad uno dei piccoli giardini che punteggiava l’Istituto.
-
Hai trovato il rametto di lavanda? – la domanda che Jason mormorò rompendo il
silenzio teso, la bloccò sul posto, lasciandola con il piede a mezz’aria.
–
Lo hai infilato tu nel libro? – chiese con un filo di voce.
-
Chi credevi che fosse stato? – la schernì - La fata turchina?
Louisa
fissò Jason, senza vederlo realmente. Non poteva essere stato così gentile,
andava contro tutte le leggi della ragionevolezza. Jason era egoista. Punto,
non c’erano altre discussioni. Lo aveva dimostrato più e più volte in quelle
poche ore che si conoscevano.
–
Chiudi la bocca Louisa. O ti si è disarticolata la mascella? Sarebbe una buona cosa, almeno staresti zitta. - le
parole di Jason le fecero scattare il cervello come una molla. Non importava
quando gentile potesse essere in certi momenti. Arroganza e superbia battevano
gentilezza cinquecento punti a tre.
–
Stai zitto tu! – si ripromise di buttare il rametto alla prima occasione.
Probabilmente le avrebbe pure lasciato anche il segno nelle pagine – Non ti avevo
chiesto nulla. Potevi tranquillamente evitare una cosa del genere, ho già i
miei segnalibri. – non poteva credere che qualche minuto prima avesse
considerato la lavanda nel libro un gesto bello e gentile – La prossima volta
sei pregato di non disturbarmi mentre leggo.
-
Non mi sarei mai perso l’immagine di te, che leggevi di Tremal-naik alle rose
per nulla al mondo. E poi perché proprio Salgari? – Louisa si chiuse di nuovo
nel suo silenzio, ben decisa a non rispondere più alle domande di Jason e
riprese a camminare più spedita, sperando che in cucina ci fosse qualcuno che
potesse coinvolgere il ragazzo in una conversazione e potesse lasciarla sola nei
suoi pensieri, ma Jason la afferrò per un braccio, costringendola a voltarsi –
Io dico che dovresti rispondermi. Perché Salgari?
-
Perché no? – ribatté - Non leggo solo Salgari, ma anche Verne, Stevenson,
Smith, Carroll, London, Swift. Salgari è uno dei tanti che mi piacciono. –
Jason la inchiodò con gli occhi azzurri, in un sguardo che le trapassarono
l’anima – Sono tutti autori che scrivono prevalentemente di viaggi. – disse
lui, guardando pensosamente oltre la ragazza – Ti piacciono le storie di
avventure?
Louisa
aggiunse un altro strato al suo muro mentale, non voleva che Jason scavasse
oltre – Non sono affari tuoi!
-
Perché leggi alle rose romanzi di avventure? – insistette lui, stringendole un
po’ di più il polso.
Louisa
gli soffiò come avrebbe fatto un gatto. Ora cosa stava giudicando di lei, la
sua sanità mentale? – Perché mi piace. Le rose sono sanissime e rigogliose ed è
mia tradizione leggere almeno un’ora giorno in giardino. – alzò il mento
sfidandolo a mettersi a ridere.
-
Che personaggio ti piace di più di Salgari? – proseguì lui, imperterrito.
La
domanda la spiazzò, e Louisa strattonò il braccio nella speranza che lui la
lasciasse andare, ma rinunciò quando sentì la pelle tirare fino a farle male –
La smetti con l’interrogatorio?
–
No. – disse passandosi le dita tra i capelli con la mano libera, togliendoseli
dagli occhi - Sai come si dice, ‘Occhio per occhio. Dente per dente. Segreto
per segreto’. Ti ho detto una cosa molto importante per me, ora tu mi rivelerai
qualcosa di molto importante per te. Legge dello scambio equivalente. – Louisa
tirò un po’ più forte il braccio nel tentativo di liberarsi.
Non
andava affatto bene, Jason si stava divertendo a fare il prepotente con lei, ed
era sicura che non gli importasse nulla dei suoi gusti – Perché vuoi saperlo? –
chiese cercando di aprirgli la mano per liberarsi. Non avrebbe mai dovuto
accettare di accompagnarlo in cucina, le cose stavano tornando a degenerare
pericolosamente.
Jason
rise, un risata profonda, solida e sincera, che scosse il braccio di Louisa che
lui teneva saldamente – Mi fai sempre domande, Louisa. Smettila e rispondi. Che
personaggio ti piace di Salgari?
-
Kammamuri! – disse d’istinto, cercando di mettere fine al quel bombardamento.
-
E a che età l’hai letto la prima volta? – la domanda la lasciò a bocca aperta.
Come faceva lui a sapere che non era la prima volta che leggeva ‘i Misteri
della Giungla Nera’?
Smise
di lottare e lo guardò attentamente. Jason era rilassato, gli unici muscoli in
tensione erano quelli del braccio che la tenevano stretta, e lo sguardo non era
né di autocompiacimento né superiore. La guardava incuriosito e lei lasciò
sbriciolare un poco il muro che teneva lontano il ragazzo – L’ho letto la prima
volta a nove anni. – sussurrò – Me l’aveva regalato un Custode. – a quelle
parole Jason fece prima una smorfia disgustata per poi ridacchiare – Io l’ho
letto a dieci, ma prima mi ero concentrato sull’Isola del Tesoro. – la lasciò
andare e Louisa vide lo stampo rosso delle dita del ragazzo sul polso. Si
massaggiò istintivamente, sperando che non le rimanesse il livido – Hai letto
Stevenson?
-
Ho letto decine di romanzi di avventure e fantasy, anche moderni. E horror,
molti horror. – Louisa represse un brivido, se c’era un genere che non digeriva
era l’horror. Le faceva paura e si teneva alla larga il più possibile, evitava
anche di guardare le copertine su internet se poteva – Tu leggeresti gli horror
alle piante?
Jason
rise, rovesciando la testa all’indietro – Io non leggo alle piante. A meno che
non voglia farmi mettere una camicia di forza o non mi sia fatto di qualcosa di
veramente forte.
-
Ma se lo facessi, - insistette lei, cercando di capire i suoi gusti letterali –
Cosa gli leggeresti?
Jason
si infilò le mani nelle tasche della tuta e la guardò il cielo – Non è proprio
un libro, – mormorò soprapensiero - Ma penso che sia più utile di Stevenson o
Salgari.
-
Cos’è?
-
C55H72O5N4Mg. – lo fissò allibita
per qualche secondo, cercando di decifrare numeri e lettere.
–
Che lingua è? – chiese quando dal cervello non ebbe trovato risposta.
Jason
alzò le spalle – Chimica. Per l’esattezza è la formula della ‘clorofilla a’, ma
se fossi in vena di una conferenza inizierei con: idrogeno, elio, litio,
berillio, boro, carbonio, azoto, ossigeno, fluoro, neon.. – a Louisa si accese
una lampadina in testa a quella lista di dati – Ma è la tavola periodica degli
elementi!
Jason
annuì, dondolandosi sui talloni – Potrei proseguire tutto il giorno, di certo
sarebbe più utile di Salgari.
Louisa
sbatté un piede a terra e raccolse tutta la dignità rimastale – Se sei tanto
bravo, la cucina trovatela da solo! – gli diete le spalle e fece per tornarsene
da dove era venuta, quando Jason le si parò davanti tagliandole la strada –
Jason, togliti. – squadrò dall’alto in basso il ragazzo, che la ricambiava con
un sorriso superiore e l’aria di chi si stava divertendo un mondo.
-
Hai promesso di portarmi in cucina. – disse lui allargando le braccia per
bloccarla.
Louisa
si morse il labbro inferiore, trattenendo una rispostaccia. Aveva promesso; e
lei avrebbe sempre mantenuto una promessa - Io non ti sopporto. Mettitelo
chiaro in testa. Ti accompagno solo perché ho detto che l’avrei fatto.
Jason
alzò le spalle - Il sentimento è reciproco, dolcezza. Quindi non vedo come
possa interessarmi la tua opinione.
Louisa
alzò il mento, pronta a ribattere, quando vide due figure che conosceva
arrivare dal chiostro – James! Dim! – corse da loro, dimenticandosi del litigio
in corso con Jason, felice di vedere Dimitri di nuovo in piedi, anche se
camminava lentamente.
–
Dim! – gli buttò le braccia al collo, e il ragazzo fece un mezzo passo
indietro, cedendo sotto il suo peso – Lou, piano. – disse lui dolcemente – Sono
ancora un po’ malconcio.
-
E avresti dovuto rimanere a letto ancora un giorno o due. – ringhiò piano
James, togliendo Louisa dalle braccia di Dimitri – Tanto per essere sicuri che
non stessi di nuovo male. - Louisa lo guardò storto. Lei sapeva bene che
Dimitri ci metteva sempre qualche giorno a rimettersi in piedi dopo un attacco
doloroso, ma non capiva perché James fosse sempre così iperprotettivo. Secondo
lei se Dim stava bene poteva uscire dalla sua stanza.
–
Piantala, James. – protestò Dimitri – Non ce la facevo più a stare in quel
letto. Mi hanno tolto gli aghi e staccato dal monitor ieri notte dicendo che
era tutto a posto, tanto valeva alzarsi e andare a farmi un giro. Sei d’accordo
con me, vero Louisa? – fece un largo sorriso alla ragazza che annuì
vigorosamente, imbarazzata nel sentire su di sé l’occhiata di fuoco di James –
Vedi James? Due voti a uno per me. Andiamo a mangiare Louisa, ho voglia di una
macedonia. – il ragazzo le prese la mano, e lei rabbrividì sentendogliela
gelata. In tanti anni che conosceva Dimitri non era mai riuscita ad abituarsi a
quel contatto ghiacciato – Dim, come mai hai avuto una crisi? – i suoi occhi
incrociarono quelli marrone scuro dell’amico, e vide che nonostante tutto
l’ittero non accennava ad andarsene – Era da tanto che non ne avevi una.
-
Perché è un imbecille. – interruppe James, affiancandosi a loro corrucciato –
Perché continua ad allenarsi come un ossesso, nonostante gli sia stato
prescritto il riposo e attività fisica a bassa intensità. Poi mi viene a
chiedere perché si sente uno straccio ed è pallido e se per caso andasse fatto
uno striscio di controllo. – Louisa lanciò una rapida occhiata prima a James e
poi a Dimitri, spaventata da quello che avrebbe potuto sapere – E-e com’era lo
striscio?
James
sbuffò sonoramente, mettendosi le mani nelle tasche dei jeans neri – Quasi
tutti i globuli rossi erano mutati, ma il signorino no, ha deciso di strafare
lo stesso. Il risultato: quattro giorni a letto e tre sacche di sangue, come se
non bastassero i problemi che..
-
James, basta! – la tono di Dimitri era perentorio, di chi non tollerava altre discussioni
sulla sua salute – Ne abbiamo già parlato centinaia di volte, – strinse più
forte la mano a Louisa e lanciò un’occhiata penetrante al ragazzo moro – A me
va bene così. Ho decido molti anni fa cosa volevo fare della mia vita. – guardò
avanti a sé e Louisa seguì il suo sguardo, vedendo che Jason la aspettava
appoggiato contro il muro a braccia incrociate – E poi abbiamo compagnia.
Quando
il trio di ragazzi fu abbastanza vicino, Jason si staccò dal muro e fece un
sorriso sprezzante a James, che si irrigidì immediatamente – Mi stavo chiedendo
perché ci mettessi tanto, Louisa. – le
tese la mano – Allora? Andiamo?
Louisa
annuì, ma si tenne ben salda a Dimitri accanto a lei e Jason fece ricadere la
sua lungo il fianco – Vanno anche loro in cucina. Pensavo che potesse essere
l’occasione buona per fare conoscenza. – abbassò gli occhi quando tutti e tre
la fissarono attentamente.
–
Io non ci vado a cena con lui. – disse James piano – Non accetterò mai che lui
sia il tuo Guardiano, e per quanto ti riguarda, dobbiamo ancora discutere della
tua fuga in Scozia e di quella di ieri notte. Cosa ti è saltato in mente di metterti in pericolo in quel modo?
-
James, - disse Dimitri – non ossessionarla. Louisa avrà avuto i suoi buoni motivi per andare in Scozia, no?
-
E chiamarci dall’aeroporto cinque secondi prima che saltasse sull’aereo, senza
dirci una destinazione precisa del suo viaggio? Hai idea di quanto sia grande
la Scozia? Ha detto a Isaiah solo: “vado in Scozia” come se fosse sufficiente. Se
sapevamo la destinazione avremmo potuto..
-
Avreste mandato qualcuno a riprendermi, James. – sentiva gli angoli degli occhi
bruciare. James la trattava come una bambina che avesse fatto una marachella e
che andasse punita, mostrando a Jason quanta poca libertà lei avesse. Improvvisamente
lasciò la mano di Dimitri e le nascose entrambe dietro la schiena, iniziando a
tormentarsi le unghie.
-
Saresti sta al sicuro, Louisa. Non avresti avuto problemi con uno dei Sette
Traditori con noi a proteggerti. E non saresti tornata con lui. – lanciò uno sguardo di odio puro a Jason, che per tutta
risposta alzò le spalle noncurante.
–
Sai, - risposte Jason con sorriso gelido - Per essere un tappo sei
terribilmente irritante. Ti ho permesso di darmi un pugno, ma non credere che
te la faccia passare liscia. E se non ci fossi stato io, Louisa non sarebbe
proprio più tornata. Dovresti ringraziarmi.
Dalla
gola di James arrivò un ringhio – A tizi come te io non dirò mai ‘grazie’.
Preferisco la morte che piegarmi.
Dimitri
sospirò, mentre i due ragazzi si guardavano in cagnesco – Mi state facendo
passare l’appetito. – disse Dimitri – Andiamo! Vi comportate come due bambini. Cerchiamo
di andare d’accordo, siamo nella stessa squadra.
Jason
passò lo sguardo su Dimitri, come se lo avesse notato solo in quel momento – A
me non interessa quello che avete da dire voi. Io devo solo tenere lei in vita.
– disse indicando Louisa con il mento - Non
faccio squadra con voi.
Dimitri
alzò le spalle – D’accordo. Da quello che mi aveva detto James, avevo più o
meno capito che razza di tipo fossi, ma volevo fare un tentativo per andare
d’accordo. James andiamo a cena, Lou, vieni con noi?
Louisa
scosse la testa – Devo mostrare a lui dove di trova la cucina, ci vediamo là. –
Dimitri annuì una volta e si allontanò con James al fianco, lasciando di nuovo
Louisa sola con Jason.
-
Non potresti essere un po’ più gentile? – scattò verso il ragazzo, quando gli
altri Sigilli furono abbastanza lontani -
Dimitri non ti aveva fatto nulla.
-
No.
-
Cosa?
-
Mi hai sentito. Non posso essere gentile. Non con loro.
Louisa
lo fissò allibita alcuni secondi – Perché?
-
Questi sono cazzi miei. – rispose lui glaciale.
-
Bene. – rispose altrettanto fredda – Continua pure a comportarti così! Non
capisco proprio come Will riesca a sopportarti.
-
Potrei dire la stessa cosa dei tuoi amici. Non riesco a capire come tu possa
sopportarli, visto che ti trattano come una bambina che non è capace neanche di
camminare senza aiuto.
Louisa
strinse i pugni – Questo non è vero.
-
Invece si. E lo sai anche tu. James aveva l’aria di uno che ti avrebbe preso a
sculaccioni. – proseguì lui. Louisa non riusciva più a sopportare quelle parole
crudeli e quel suo tono freddo e supponente - Smettila!
-
No, non la smetto. È la verità. James comanda la tua vita a bacchetta, così
come questo posto opprimente. Potrà essere anche tutto bianco, candito e puro,
ma è la purezza che mi aspetterei da un obitorio. Totalmente asettico,
totalmente morto, altrimenti perché non gli avresti dato la destinazione precisa?
Dentro di te sai che ho ragione.
Louisa
sentì lacrime di rabbia scorrergli lungo le guance e le scacciò con un gesto
secco – Perché me lo ha chiesto mia madre! – urlò, strappandosi di bocca quella
confessione - Mi ha mandato lei una mail dai laboratori di ricerca di un altro
Istituto. Mi aveva scritto dicendo di andare in Scozia a cercare Yang Fen. Aveva
detto che in questo modo avrei scoperto molte verità, ma ho solo scoperto che..
– si bloccò non riscendo a dire la parola ‘morto’ davanti a Jason, anche se dal
viso pallido del ragazzo, Louisa capì che lui aveva intuito che cosa stesse per
dire.
-
Lo hai fatto per tua madre? – riuscì a mala pena a sentire la sua voce per
quanto era bassa, e lei annuì.
–
Era la prima volta che mi chiedeva di fare qualcosa. I Custodi mi impedivano di
uscire, per questo sono scappata, ma mi sono sentita in colpa e li ho chiamati
all’aeroporto, dicendo che sarei andata in Scozia. – voleva dirgli tutto.
Voleva dirgli come era stata felice quando sua madre le aveva chiesto di andare
in missione. Voleva dirgli di come si era immaginata lo sguardo di rispetto di
James, mentre lei portava indietro importati notizie sui Sigilli e sui Grigori,
ma le parole non le uscirono mai sulla gola.
Odiava
Jason. Odiava quello che le stava facendo provare. Non avrebbe mai voluto
incontrarlo.
–
Perché tua madre ti ha chiesto di fare una cosa del genere? – domandò lui dopo
un minuto interminabile di silenzio, in cui lei aveva solo sentito cuore
martellarle il petto.
-
Non lo so. Quando le ho chiesto perché non mi
ha più risposto alla mail.
-
Chiamarla costava fatica? – il tono canzonario di Jason la fece sprofondare
nella disperazione, per lui era tutto facile, divertente e intuitivo. Non
capiva cosa poteva provare lei.
–
Non ho il suo numero. – mormorò - Mai avuto. So dove lavora, ma non mi è permesso
vederla o parlarci. Mi manda una mail ogni tanto per farmi gli auguri di buon
compleanno e per dirmi di obbedire ai Custodi. – sentì un’altra lacrima
sfuggire al suo controllo e questa volta fu Jason a scacciarla,
asciugandogliela con l’indice.
–
Andiamo a cena, Louisa. – disse dolcemente.
Sapeva
che Jason stava provando a cambiare discorso, ma lei non riuscì a raccogliere
la scappatoia che le offriva - E tutto quello che riesci a dirmi? Che pensi
solo al tuo stomaco?
Lui
scosse la testa e la guardò tristemente – Penso che stia vivendo in una gabbia.
E che devi trovare presto una via d’uscita.
Jason
guardava gli occhi grigi e spalancati di Louisa, non lo avrebbe mai ammesso, ma
le parole della ragazza gli avevano chiuso lo stomaco. Quale madre non vorrebbe
vedere sua figlia se ne avesse avuto la possibilità?
Fen
gli aveva detto che lui era stato raccolto dalle le braccia di sua madre
morente, tra i rottami di un incidente d’auto.
Era
sicuro che se non ci fosse stato l’incidente i suoi genitori sarebbero stati
con lui, lo avrebbero cresciuto. Lo avrebbero amato.
Tutto
ciò che percepiva da Louisa invece, era un’immensa tristezza e solitudine,
mascherata sotto una buona dose di sfacciataggine e finta tranquillità.
I
suoi sentimenti in quel momento erano un mare in tempesta. Voleva sapere di più
su Louisa, voleva capire perché non cercasse sua madre, e voleva capire,
perché, circondata da tutte quelle persone, lei non si fidasse di nessuno.
L’aveva
sentita prima quando le aveva ridato il libro. L’aveva sentita singhiozzare in
un attacco di panico, e pregare di non essere più sola.
Rispondimi,
pensò, ribatti. Dimmi che non è vero. Non restare lì impalata a fissare il vuoto. Dov’è
finita la ragazza che ha tenuto testa a Miriam?
- Louisa. – sussurrò – Dì qualcosa. – per
la prima volta si chiese se con il suo modo diretto non avesse esagerato.
- Non ho nulla da dire. – mormorò lei
atona.
- Non credo.
- Sei così bravo che pensi di potermi
leggere nei pensieri? – sibilò – Cosa vuoi sentirti dire? Che hai ragione? Beh,
hai ragione! Il tuo ego è soddisfatto, ora? – scappò nella direzione da cui
erano arrivati, ma Jason le tagliò la strada fulmineo, aspettandosi un simile
comportamento dalla ragazza.
- Non stavolta Louisa. Non ti lascerò
scappare di nuovo. – se voleva piangere, avrebbe dovuto farlo davanti a lui. E
avrebbe dovuto rivelargli tutto o l’avrebbe torturata fino a sapere la verità.
- Lasciami passare, Jason, per favore. – il
tono di supplica di Louisa non lo impietosì, anzi lo rese ancora più risoluto a
non lasciarla andare via.
- No. – sussurrò.
Louisa provò ad aggirarlo, ma lui le si
parò davanti, impendendole di passare – Se vuoi che mi sposti, dovrai ordinarmelo
stavolta. – i loro occhi si incrociarono, e per un lungo istante Jason credette
veramente che Louisa gli avrebbe dato l’ordine di spostarsi.
Infine lei sospirò e si asciugò gli occhi –
Non ti farò del male. – disse con voce
rotta dal pianto – Non userò la coercizione, te l’ho promesso. – le spalle di
Louisa sobbalzarono, mentre lei cercava di reprimere i singhiozzi – Ma ti
prego, lasciami andare! - l’urlo di Louisa era talmente tanto carico di dolore
che Jason fece istintivamente un passo indietro. Non aveva mai sentito un tono
simile. Disperato. Straziante. E immensamente solo.
Non sopportava più quella fase di stallo. Lei
vedeva solo la fuga e le lacrime come possibile soluzione davanti a lei.
Secondo lui, Louisa non aveva mai affrontato i problemi, ma solo accantonati e ammucchiati.
Chiuse gli occhi, iniziando a contare
lentamente fino a dieci per calmare la rabbia crescente e si fermò a quattro,
non riuscendo più a trattenersi
- Non posso farlo, Louisa. Per quanto mi
piacerebbe fregarmene allegramente, non posso farlo. Ho sempre preso i problemi
di petto. E ora, le tue lacrime per me sono un problema.
- Cosa? – ribatté lei aspra - Dubito che tu
possa criticarmi! Non sai nulla di me! Tu hai Will che ti capisce.. –
- E tu hai una madre! – la interruppe, con
la rabbia che scorreva a fiumi, rompendo gli argini del suo autocontrollo.
Sentiva la vena battere sulla tempia e per lui, non mai stato un buon segno –
Hai un madre! Cosa che io non vedrò mai! Ti basterebbe comporre dieci
fottutissimi numeri per poterci parlare! Ti basterebbe andare ai laboratori per
poterla vedere, ma sei così codarda che preferisci stare qui, a crogiolarti
nella tua paura, piuttosto che andarla ad affrontare e chiederle perché non ti
cerca! Io sono cresciuto con la consapevolezza che io e mio padre non eravamo
neanche lontanamente parenti! Non saprò mai da chi ho preso il colore degli
occhi o dei capelli, o cosa avrebbero voluto i miei genitori da me. Sono morti!
E non ci sarà mai nulla! Nulla! Che mi permetterà di cambiare questa cosa! Io
ho Will! È come dire che tu hai James o Dimitri! Non è la stessa cosa! Il
motivo per cui non ti ho mostrato prima l’anello era proprio questo! Mi avresti
strappato le poche cose mi restavano dell’unico genitore che ho mai avuto! Sei
talmente tanto egoista che non vedi oltre al tuo naso! Tutto ti è dovuto perché
sei un Sigillo? Non era il contrario? Cosa mi hai detto in Scozia? Che devi
proteggere migliaia di vite? Io vedo solo una ragazzina viziata che non fa
altro che piangersi addosso! James, per quanto possa starmi sui coglioni è
diecimila volte meglio di te! – ansimò violentemente, con i polsi che gli
tremavano per l’adrenalina.
Louisa aprì e chiuse la bocca un paio di
volte, pallida e visibilmente sotto shock - Mi dispiace. – disse guardando il selciato
– Non volevo ferirti.
Jason incrociò le braccia, inspirando
profondamente l’odore degli alberi, cercando di ritrovare la calma – Io non
sono affatto ferito. Sono terribilmente incazzato nero. – disse abbassando i
toni - Dovresti tirare fuori i coglioni e dire quello che pensi. Dovresti
smettere di piangerti addosso, e prendere la vita come viene senza farti troppe
paranoie. Avresti dovuto dire chiaramente al tuo amico Sigillo, che saresti
andata in Scozia, non scappare alla chetichella. Avresti dovuto affrontarlo e
dire che non sei una bambina, che.. – Jason fu interrotto dal suono insistente
di un cercapersone che arrivava dalla cintura di Louisa. – Quel coso non si può
zittire mentre urlo in santa pace? – disse interrompendo il filo del discorso,
guardando male il cercapersone che Louisa stava controllando.
- È il centro di controllo, a quanto pare
hanno chiamato di Sigilli. – riagganciò il cercapersone alla cintura e lo
guardò con gli occhi grigi spalancati.
– Beh, - chiese lui – Non vai?
- In genere è James che va. Lui è il primo
dei Sigilli. Se c’è un problema, in genere, è lui a prendere in mano la
situazione e..
- E tu rimani a guardare. – disse lui
freddo – Vuoi farlo per tutta la vita? Mettere la testa sotto la sabbia e
apparire quando tutto è finito? Sei o non sei un Sigillo?
Il rossore si diffuse sulle guance di
Louisa – Io non ho alcun potere. – mormorò – Dovrei. James, Dim e anche Anna li
hanno. Io sono stata riconosciuta appena nata. L’anello del Machonon mi ha reclamato, ma da allora
non sono mai riuscita a fare nulla, è come se Gabriel non ci fosse. – Jason
sentì una fitta di pietà lacerargli il cuore. Louisa si sentiva un fallimento, e
lui, negli ultimi minuti non aveva di certo migliorato le cose, vomitandole
addosso tutto quello che provava.
- Andare a sentire cosa succede non ti
costa nulla.
- Non potrei comunque far nulla. Hai visto
Belial. Hai visto quanto è forte. I Grigori sono come lui, ma a differenza sua
ci vogliono uccidere tutti quanti.
Jason le tirò su il viso, prendendola da
sotto il mento – Guardami. – disse dolcemente - Hai preso a calci Belial,
mentre tentava di soffocarmi. Hai minacciato di buttarmi giù da un albero. Hai
dichiarato davanti a Miriam che eri vergine, guardandola dritta negli occhi, e
hai tentato di gettarti tra me e una pistola. Non è vero che non puoi far
nulla. Mi fai andare via di testa. Ogni volta che penso di averti inquadrato fai
qualcosa per cui devo rivalutarti da capo. Devi scegliere cosa vuoi mostrarmi
di te. La patetica ragazzina che stava piagnucolando poco fa, o la ragazza
coraggiosa di ieri notte? Perché io combatterò volentieri per quella ragazza
coraggiosa, sarò il suo Guardiano, farò quanto posso per tenerla al sicuro.
Anche se non riesce a mettere due passi uno dietro l’altro senza inciampare. Io
la tirerò sempre su.
Lei gli tolse la mano dal visto, con gli
occhi ancora lucidi per le lacrime di poco prima – Jason è pericoloso.
- Posso affrontarlo. Fa decidere me se ne
vale la pena. – le tese la mano, speranzoso – Ora sta a te decidere cosa vuoi
fare.
Louisa chiuse gli occhi, e Jason la vide
contrarre la mascella e dentro di sé contò lentamente i secondi, pur di non
sentire i battiti impazziti di entrambi i loro cuori. Louisa li riaprì con una nuova
luce nello sguardo – Non voglio che tu ti faccia del male, Jason. – lui aprì la
bocca per dirle che allora non aveva proprio capito nulla, ma lei lo fermò con
un gesto secco della mano – Fammi finire. Non voglio che tu ti faccia del male,
- gli prese la mano ancora tesa, intrecciando le dita con le sue – Quindi non
ti esporre più di quanto non è necessario.
Jason annuì, risoluto – Ho ancora fame,
però. – le labbra gli si incurvarono in un sorriso di scuse e Louisa gli scappò
una risata – Nel centro ci saranno sicuramente dei panini, lavorano notte e
giorno. Puoi procurarti qualcosa da mangiare lì, ma dobbiamo sbrigarci, o si
mangeranno le cose migliori.
- Bello! – il commento gli uscì prima che
potesse fermarlo – Un Istituto dove lavorano centinaia di persone, e mi
forniscono quattro panini in croce, che mi devo litigare con il personale. –
seguì Louisa che si stava dirigendo verso uno dei kart parcheggiati in un
angolo fuori dietro al chiostro - La recessione colpisce ovunque?
Louisa gli fece un ghigno – Ma smettila!
Non ho detto che non ti lasceranno nulla, solo che si prendono i panini
migliori. – Louisa si sedette sul kart e gli fece cenno di mettersi dalla parte
del guidatore – Sbrigati.
- Mi lasci guidare?
- Scommetto che mi avresti fatto spostare.
– si tormentò una ciocca di capelli, e Jason notò che lo faceva ogni volta che
era nervosa o preoccupata.
- E avresti vinto la scommessa. – disse
premendo il pulsante di accensione del kart – Dove andiamo ‘Signorina Van Der
Meer’?
Louisa sbuffò sonoramente – La vedi quella
grande palla laggiù? – le indicò un punto verso destra, e tra gli alberi Jason
vide una grossa cupola in acciaio bianco e vetro che rifletteva la luce del
sole – Dobbiamo andare lì. – proseguì Louisa.
Jason guidò il kart seguendo le indicazioni
di Louisa e sbatté un paio di volte le palpebre quando vide la struttura
apparire davanti a lui.
L’edificio era basso e lungo, rigorosamente
bianco, come tutti gli altri nell’Istituto, e dietro, c’era costruita una grossa
sfera di vetro trasparente piena di piante – Che cos’è quello? – disse
imprimendosi a fuoco l’immagine nel cervello e decidendo che alla prima
occasione lo avrebbe esplorato.
- Una biosfera. – rispose Louisa – Dentro
c’è un delicato ecosistema, fatto di piante e animali. L’Istituto l’ha fatto
costruire per trovare un posto dove poterci rilassare e stare a contatto con la
natura.
- So cos’è una biosfera, grazie. Studio biologia
all’università. Volevo sapere: che ve ne fate di una biosfera quando avete
tutti quei giardini?
- Andiamo lì quando abbiamo bisogno di stare
un po’ soli con noi stessi. Solo i Sigilli e pochi altri entrano. È il nostro
Sancta Sanctorum.
Jason non seppe cosa rispondere e guardò la
sfera, mentre Louisa lo strattonava verso l’ingresso all’edificio, voleva
entrarci a tutti i costi. L’idea di poter studiare una biosfera di quelle
dimensioni lo mandava in estasi.
Quando abbassò gli occhi, Louisa stava già
mettendo mano sullo scanner gel, per aprire la porta.
La prima cosa che lo colpì, fu il freddo
dell’aria condizionata, poi l’inconfondibile profumo di panini caldi e pizza e il
vociare di decine di persone. Il suo stomaco gorgogliò rumorosamente, attirando
su di sé e Louisa, lo sguardo di buona parte dei presenti, che fino a quel
momento guardavano gli schermi che occupavano quasi totalmente un muro.
- Louisa cosa ci fai qui? – la voce di
James, lo distrasse per un secondo dall’intendo di raggiungere il tavolo
centrale e di servirsi.
- Voglio sapere che succede! Perché mi è
suonato il cercapersone? – sempre con un orecchio teso verso la conversazione,
che tutti stavano fissando, Jason
strisciò rasente muro verso il buffet. Se quell’idiota di James voleva fare a
pugni, avrebbe dovuto aspettare almeno un panino.
- Louisa, non è un bello spettacolo. I
satelliti ci hanno mostrato delle anomalie a Breda. Non c’è nulla di cui
preoccuparsi. Posso occuparmene io. E poi perché vieni con quello là? Mi è
sembrato di capire che non gli importasse nulla di noi.
Jason si bloccò sul posto a pochi passi dal
tavolo che aveva puntato e si girò verso James, facendogli uno smagliante
sorriso – Hey stronzetto. Io ho un nome, ma forse è troppo complesso perché tu
possa capirlo. – Sentì qualcuno ridacchiare, ma la maggior parte delle persone
inspirò bruscamente.
James percorse la distanza che li separava
in cinque passi, e lo guardò in cagnesco, a pochi centimetri di distanza dal suo
naso – Allora ricordamelo, così che io possa mettere il tuo nome sulla mia
lista quando ti porterò allo Sheol.
Una mano si frappose fra loro, e porse un panino
a Jason – Tieni, Jas. Verdure e prosciutto crudo. Il tuo preferito. – guardò
Will dall’alto in basso, che gli rispose facendogli un largo sorriso, prima di
addentare un altro panino che teneva in mano – Che ci fai tu qui?
- Ero in cucina, quando sono entrati James
e Dimitri; è squillato il cercapersone e io mi sono imbucato. – passò
deliberatamente tra Jason e James e raggiunse Louisa, che pallida, fissava
tutta la sala ancora sull’ingresso.
- Louisa, come stai? Come va la gamba?
Jason sbuffò. Will non si smentiva: come
riusciva a convincere lui le persone a fare le cose, non ci riusciva nessun’altro.
Avrebbe convinto una tribù di tuareg a comprare dei forni a legna se ne avesse
avuto l’occasione.
- Signor James? – chiese un uomo seduto
davanti a un monitor – Deve vedere questo, e anche il Signor Dimitri e la
Signorina Louisa.
- Louisa adesso torna nelle sue stanze, -
ringhiò James rivolto all’uomo - Non ha bisogno di vedere nulla.
Louisa si avvicinò minacciosa a James e
Jason, facendosi spazio tra i ricercatori vestiti di bianco e squadrò James –
Io non mi muovo, James. Qualsiasi cosa sia, voglio saperla.
La fissò visibilmente furioso per un lungo
istante, per poi guardare nuovamente Jason – Immagino che centri tu dietro
questa storia. Louisa è..
- James! – la voce preoccupata di Dimitri
fece voltare la testa a tutti nella sala – È importante! Devi vedere subito.
Sono Nephilim. E sono tanti. – dando un’ultima occhiata sprezzante a Jason,
James si affiancò a Dimitri studiando lo schermo.
- Non possono averne già così tanti. E poi, questi sono
quasi perfetti. Come hanno fatto? – scambiandosi un’occhiata veloce con Louisa
e Will, Jason si avvicinò allo schermo, fissando la foto di sei ragazzi, molto
alti, più della media, che ghignavano malvagiamente in direzione della strada –
Questa è una delle immagini del satelliti, James. – proseguì Dimitri – Ce ne
sono altre cinque, per un totale di trenta Nephilim nei dintorni di Breda.
James impallidì di colpo, così come Louisa,
che si strinse istintivamente contro Jason – Trenta Nephilim? – mugugnò lei –
Sono tantissimi.
- Louisa, – sussurrò Jason, cercando di
capire perché quell’immagine la preoccupasse tanto, lui vedeva solo dei ragazzi
– Io non ci capisco nulla. – James probabilmente lo sentì, perché alzò gli
occhi su di lui, ghignando ferocemente – Gli ignoranti non sono ben graditi qui
dentro, e nemmeno i mezzi dottori. Voi due andate fuori, tra poco Louisa vi
raggiungerà.
Jason ringhiò, piazzandosi fra Will e James
– Will non lo chiami ‘mezzo dottore’, e noi non ci muoviamo da qui. Non prendo
ordini da te, ma da Louisa.
- Che prende ordini da me. – ribatté James
- Che non prende ordini da nessuno! – urlò
Jason, sentendosi scoppiare di nuovo di rabbia. Avrebbe dovuto prendere a pugni
James quando ne aveva avuto l’occasione.
- Hey! – Dimitri alzò la testa castana e li
fissò tutti, uno per uno – Abbiamo dei Nephilm a piede libero. Non mi importa
chi prende ordini da chi. Ci sono delle priorità. E ora la priorità maggiore è
la città di Breda e le persone che ci vivono.
- Bene. – disse James sprezzante, tornando
agli schermi – Passami tutte le immagini sui monitor. – digitando velocemente
sulla tastiere il ricercatore fece apparire l’immagine di altri ragazzi, tutti
incredibilmente alti. Jason passò in rassegna le foto e gli si chiuse lo
stomaco per la seconda volta, quando vide tre di loro che avevano accerchiato
una ragazza. Per fortuna di Louisa, era un fermo immagine, ma lui poteva ben
immaginare cosa fosse successo dopo, e strinse i pugni.
- Malcom! – urlò James, dopo aver
consultato una cartina di Breda – Voglio venti dei tuoi uomini migliori.
Costruite un perimetro di un chilometro intorno ai Nephilm, dobbiamo spingerli
verso un posto dove possiamo sconfiggerli senza problemi. Affrontarli tra
i palazzi è impossibile, potrebbero
scappare. – studiò la cartina per qualche altro minuto, punteggiandosi la
mascella con l’indice – Spingiamoli verso questo parco. – disse indicando un
punto verde quasi al centro cittadino.
- James! – irruppe Louisa – È un parco.
Sarà pieno di famiglie e anziani. – la voce preoccupata di Louisa, fece fremere
Jason. Si vedeva che a lei la decisione di James non andava bene, e lui, avrebbe
combattuto se James si fosse impuntato.
James si scambiò un’occhiata con Dimitri,
che annuì – Chiamo la polizia locale e faccio sgombrare l’area.
- Contenta Louisa? – il sorriso superiore e
soddisfatto del ragazzo, scatenò in Jason la voglia di piantarlo profondamente
per terra. Non aveva mai conosciuto nessuno che gli stava così tanto fastidio.
Con la coda dell’occhio vide qualcosa di
rosso, balenare in un angolo di una immagine e si girò a guardare il monitor –
Riesci a zoomare su questa foto? – disse picchiettando il monito – Proprio qui.
Nell’angolo. – l’uomo guardò prima lui, poi James, che alzò le spalle, come a
chiedere cosa potesse farci lui – Cosa speri di trovare? La donna con cui ti
sei divertito qualche sera fa? Il primo amore? – Jason contrasse la mascella,
cercando di ignorare le provocazioni di James, lui non sapeva niente della sua
vita passata. Le sue erano solo parole velenose.
- Cercavo queste. – disse indicando la foto
di sei ragazze vestite di rosso, che osservavano orgogliose i Nephilm – Tre di
loro le ho viste l’altra sera, accompagnavano Miriam. Erano al tavolo con lei.
Louisa, se possibile divenne ancora un più
pallida, e Jason poté quasi sentire il suo cervello elaborare quelle
informazioni – Che siano le madri? – chiese infine, tremando da capo a piedi.
- Se così fosse, - disse James, con voce
dure – Saremmo costretti a sistemarle definitivamente. Prega che non siano
corrotte fino a quel punto. – abbassò gli occhi sulle tastiere.
- Cosa vorranno, James? – proseguì Louisa –
Perché sono così tanti, nello stesso posto?
- Perché hanno deciso di dichiararci guerra.
- per la prima volta, Jason, vide in James il volto di un ragazzo preoccupato,
con le spalle curve e delle rughe sul volto. Come se sostenesse un gran peso
per tutto il tempo - Devo andare a sistemarli. Non c’è altra scelta.
- Vengo con te. – disse Dimitri, mettendo
giù il telefono.
- Non se ne parla proprio! Ti sei appena
alzato da un letto! Sei ancora convalescente. Resti qui, con Louisa. È la mia ultima
parola.
Dimitri allargò le gambe e infilò i pollici
nelle tasche dei jeans – Io vengo con te. Ci sono trenta Nephilim lì fuori, e
tu sei un Sigillo solo. Per quanto tu sia bravo, non ce la farai mai. Mi sono
allenato duramente, quanto e come te, conosco i miei limiti. Non sarà un
doloretto a tenermi lontano da Breda, e di certo non sarai tu.
James roteò gli occhi – Fai sempre di testa
tua. – per la prima volta da quando l’aveva conosciuto, James sorrise –
Guardami le spalle Dim, ne avrò bisogno.
- James, vengo anche io. – la voce
squillante di Louisa fece sobbalzare tutti nel centro e il ragazzo di voltò a
guardarla tristemente - No. Non fa per te. Non sai combattere, non posso anche
pensare a tenerti al sicuro.
Jason tirò a sé Louisa prendendola per la
vita, pronto a sfidare il ragazzo – La terrò io al sicuro. Farò in modo che non
le succeda nulla.
James si morse il labbro e distolse lo
sguardo – No lo stesso. Non mi servono novellini. Andiamo Dim. Malcom voglio i
tuoi uomini pronti tra un quarto d’ora ai furgoni. Dobbiamo muoverci in fretta.
Jason si rivolse Louisa, che guardava con
il labbro tremante le figure di James e Dimitri che si allontanavano discutendo
animatamente – Che vuoi fare? Obbedire all’ennesimo ordine?
- Jason, – sussurrò la ragazza – Come te la
cavi con le fughe da zone recitante e messe sotto sorveglianza?
Jason sorrise per la decisione di non
arrendersi a quel ‘no’ secco e avvicinò le labbra suo orecchio – Direi che sono
la mia specialità.
- Bene, perché James non mi lascerà indietro
stavolta.
Dio,
è il
momento di asciugare le lacrime,
e prendere
in mano la spada.
NDA: Questo capitolo è stato uno straparto gemellare.
E come avete visto è il più lungo che abbia mai scritto. Le cose iniziano a muoversi,
anche se qui ho esplorato la psiche di Louisa e il suo rapporto con la maggior parte
(Jason) dei personaggi. Anche la psiche di Jason l’ho analizzata un po’, anche se
lui è un po’ più facile.
Conclusioni su Louisa? Come mi ha detto la mia
psico-beta reader *nuovo temine scientifico* Louisa è tormentata. Tormentata da
tutto, dalla sua vita, dal suo passato, dalla sua stessa matta *pazza è il termine
corretto*
Quante decine di persone devo ringraziare? Un
sacco
Annalisa, Beatrice, Elisa, Elis, Sara, Talia,
Rossella, per il supporto, (e il sopporto) e le continue frustrate per farmi scrivere.
Ci si vede al prossimo capitolo, che al 99%
si chiamerà Nephilm..
PS: la
citazione è azzeccata, come vedere le parole possono trasformarsi in un tormento
se dette nel modo sbagliato, il titolo..ahhahhah è più giusto dire “calma apparente”
che “calma innocente”, però è vero, Louisa è pura è innocente!
Khyhan
|
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Capitolo 7 *** VII. Vulnera ***
VII - Vulnera
Vulnera
“Fedeli son le
ferite di chi ama;
frequenti i baci di
chi odia.”
Pr
27:6
Louisa
guardò le figure di James e Dimitri, che davano gli ordini ai Custodi,
incitandoli più e più volte a caricare le armi sui SUV in fretta.
Accanto
a lei, Jason sbuffò impazientito – Quanto ci mettono? – chiese, sventolando il
suo quarto panino ormai, divorato a metà, davanti agli occhi di Will – Ho fatto
in tempo a mangiare e a vestirmi.
-
Hanno tutte le armi da caricare, - spiegò pazientemente Louisa appoggiando il mento
sulla mano - E James sta dando le ultime direttive a Malcom. Tra poco
partiranno.
-
Jas, - iniziò Will appoggiandosi contro il muro a braccia incrociate – Sei
sicuro di quello che vuoi fare? Voglio dire, tecnicamente le auto dell’Istituto
non sono tue. Non puoi prenderle come ti pare e piace.
Louisa
strisciò i piedi per terra, sentendo lo stomaco chiudersi in una morsa. Il piano
che aveva presentato Jason a Will non lo aveva inventato il ragazzo, ma lei; e
ora, guardando il viso duro e risoluto di James mentre dava ordini ai Custodi,
iniziava a pentirsene.
-
Primo, - disse Jason, strappando un grosso pezzo di panino, per poi buttarlo
giù quasi senza masticare – Tecnicamente
le auto sono dell’Istituto e con me viene Louisa, che rappresenta l’Istituto, quindi
ho il suo permesso. Secondo: io non prenderò in prestito delle auto.
Louisa
si voltò a guardarlo, battendo le palpebre stupefatta – E come pensi di
seguirli, scusa?
A
Jason si allargò un sorriso e indicò le moto parcheggiare dietro ai SUV, sul
fondo del garage – Con quelle. Dammi una di quelle e potrò seguire la strada
tracciata dal volo di una rondine.
-
Ma che romantico. – commentò sarcastico Will – Da quando sei così poetico?
-
Da quando ho la possibilità di cavalcare una Ducati Multistrada 1200. La cosa
mi rende poetico.
-
Io non ci salgo in moto con te. – disse decisa Louisa ricordando la sua ultima
corsa con Jason – Prendiamo un’auto.
-
Impossibile. – ribatté lui - Io non le so guidare.
Louisa
aprì e chiuse la bocca una paio di volte, fissandolo apertamente con gli occhi
sgranati – Che cosa? – sibilò infine – Ma i kart li sai usare.
-
Io so guidare, genio. – disse Jason finendosi il panino – Ma vengo dalla
Scozia. Lì guidiamo a destra.
-
Hai detto che avevi la patente internazionale.
Jason
alzò le spalle – Ti facevo il verso, scema. Prenderemo una moto, e dubito che
tu possa proferire altra parola, perché, - disse ghignando – O guido io, o tu
resti qui.
-
Tu! - esclamò Louisa alzando la voce – Sei un egoista! Non puoi costringermi
a..- Jason la zittì posandole due dita sulle labbra, guardandola sorridente –
Si, che posso. Perché tu hai chiesto aiuto a me, quindi si seguono le mie
regole. E se alzi la voce, James ti sentirà e addio piano d’evasione.
-
Egoista. – ribatté lei a denti stretti – Dovresti imparare a essere...-
-
Hey! Toglile le mani di dosso! – l’urlo di James la fece sobbalzare, e si
strappò di dosso la mano di Jason che ancora premeva sulle sue labbra.
-
James! Mi hai fatto venire un colpo. – guardò negli occhi il primo dei Sigilli
e un fiotto di vergogna le fece ribollire l’acido nello stomaco, già chiuso, e si
voltò da un’altra parte, evitando il contatto visivo.
-
Scusa. – mormorò James – Non volevo spaventarti, ma non riesco a sopportare il
fatto che quello là flirti con te.
-
Io non flirto con lei. – disse Jason, mettendosi le mani dietro la testa – Caso
mai quello sei tu.
James
strinse i pugni lungo i fianchi e serrò la mascella – Louisa, - disse infine in
tono molto basso e rigido – Posso parlarti un attimo?
Louisa
annuì, continuando a evitare il contatto con gli occhi di James. Sapeva che se
li avesse guardati avrebbe confessato tutto quello che aveva in mente di fare,
e a James, molto probabilmente, sarebbe venuto un infarto.
Si
avvicinò lentamente al ragazzo, che si irrigidì guardando oltre la sua testa – Voglio parlare con Louisa da solo. - Louisa si voltò e vide Jason a
pochi passi dietro di lei, con i pollici infilati nelle tasche dei jeans, che
li guardava con un mezzo sorriso sornione stampato in volto – Come preferisci.
Vegliavo solo sulla castità di Louisa. Sai, sveltine pre-missione, addii,
promesse da marinaio, cuori infranti. – Louisa avvampò alle immagini, che le
parole di Jason le suscitarono nella mente, e vide con la coda dell’occhio
James rigirarsi l’anello tra le dita.
Gli
mise una mano sul braccio e scosse piano la testa – Lascia perdere, - sussurrò
– È fatto così. La cattiveria gli viene naturale.
James
si mise la mano in tasca e alzò il mento – Non mi importa quello che dici di
me. Puoi dirmi tutto quello che ti pare, ma non accetto che tu offenda Louisa
in questo modo. Chiedile scusa. Ora.
-
James, – disse Louisa ancora rossa – Lascia stare. È arrabbiato e non gli piace
stare qui. – James la fissò un paio di secondi e lei sperò che lui non commentasse
il suo imbarazzo.
Quello
che pensava James era abbastanza chiaro, lei se lo era ripetuto decine di
volte: se Jason era all’Istituto, era sola ed esclusiva colpa di Louisa.
-
Va bene. – disse infine lui rilassando le spalle – Ma solo perché sei tu a chiederlo.
Ma se mai dovesse ripetere una cosa
simile, lo costringerò a chiedere scusa in ginocchio. Ora vieni. Ti devo
parlare.
Louisa
lo seguì vicino ad un’aiuola alberata, allontanandosi dagli altri e chiedendosi
se per caso James avesse sentito i discorsi tra lei, Jason e Will. Dopotutto i
Sigilli avevano i sensi acuiti rispetto
ai normali essere umani, ma Jason aveva detto che in mezzo a tutto quel rumore
non riusciva a sentire James e Dimitri quando parlavano sottovoce.
-
Sono preoccupato, - disse senza preamboli James, riscuotendola dai suoi
pensieri – I Nephilim sono davvero tanti, stavolta.
-
Potrei venire con voi. – Louisa cercò di convincerlo di nuovo, se lui avesse
ceduto, lei non avrebbe dovuto mentire e scappare. Di nuovo.
-
No! – scosse la testa e si passò una mano fra i capelli – Non sai combattere,
non sai proteggerti, e anche se quel
ragazzo ha tenuto testa a Belial, io voglio saperti qui. Al sicuro.
-
James, - iniziò lei, ma lui scosse la testa, interrompendo ogni sua protesta.
-
Non capisci, Louisa. Io non avrei voluto neanche Dimitri per questa missione.
Lo porto con me perché ci sono costretto, perché non potrei affrontarli tutti
da solo. – Louisa abbassò gli occhi, ora sarebbe stato il momento ideale per
dirgli quello che provava; per ricordargli chi era lei e che cosa
rappresentava, ma le parole gli si bloccarono in gola quando incrociò gli occhi
azzurri del Sigillo.
–
Cercate di non correre troppi pericoli. – disse infine con gli occhi che le
bruciarono.
– Non posso prometterlo, ma Louisa, noi
torneremo sicuramente, mi capisci, vero? Non possiamo permetterci di morire,
per il bene del mondo, torneremo sicuramente, quindi resta qui, al sicuro. - le
orecchie le si fecero molto calde, quando il cuore le balzò in petto. Lo sa, pensò, lo sa e sta cercando di convincermi a non farlo.
- James, senti io voglio… -
- Fammi finire, Louisa. – la interruppe lui
– Sono preoccupato, tutti questi Nephilim sembrano un invito a farci uscire allo
scoperto e non ho idea di quello che
troveremo lì, nonostante il centro li tenga costantemente monitorizzati con un
satellite posizionato sopra Breda. Voglio che tu rimanga costantemente accanto
a Jason. – James strinse i denti e fece una smorfia, come se fosse disgustato
dalle sue stesse parole e lei sobbalzò sentendo quelle parole – Vuoi che
rimanga sempre accanto a Jason? – ripeté incredula.
- Io e Dimitri usciamo e con noi vengono
anche i nostri tiratori migliori. Non sono
stupido, Lou. Se fossi un Grigorio approfitterei di questo momento per
attaccare e cercare di spezzare le parole nella lingua del Cielo poste ai
confini. Per quanto io detesti quel ragazzo devo ammettere che è la tua miglior
difesa.
- Allora potrei venire con te, no? Così
puoi tenermi sott’occhio costantemente. – a quelle parole James rise
tristemente.
- Mi stai chiedendo di portarti come ed
esporti a un pericolo certo, piuttosto che lasciarti qui ed esporti a un
possibile pericolo? – lei annuì risoluta e lui le sorrise – Quel ragazzo ti sta
cambiando, Louisa, – le accarezzò una guancia, e Louisa sentì il freddo
contatto dell’anello del ragazzo – Spero solo che non ti cambi in peggio. – il
suo di un clacson li fece girare entrambi e Dimitri fece cenno di partire con
la mano – Devo andare. – disse James con un sospiro stanco – Non fare mosse
stupide e suicide, Louisa. O non potrò più fidarmi di te.
Con la schiena curva e i piedi strascicati,
James tornò ai SUV e lei, non poté fare a meno di pensare che sembrasse molto
più vecchio dei suoi ventiquattro anni.
Quando i sette SUV passarono davanti
Louisa, Jason si avvicinò di nuovo alla
ragazza – Allora? Andiamo? – chiese con le mani in tasca – Will
distrarrà le guardie al cancello, mentre noi requisiamo una moto e i caschi. Un
lavoro facile, indolore e preciso.
Louisa si voltò nella sua direzione, Jason
era sfocato e la gola le doleva – Non so più se è la cosa giusta da fare.
– Sei pallida. – disse passando il dorso
della mano sulla sua guancia – E ghiacciata. Che ti ha detto il tuo amico?
Louisa ripeté il discorso di James con un
nodo allo stomaco – Credo che lui sapesse cosa vogliamo fare. Non voglio tradire la sua fiducia. Non so più
cosa fare. James pensa che sia molto pericoloso e io… -
Jason alzò una mano interrompendola - Appunto.
È pericoloso. Per te, per me, per James, Dimitri e tutti gli altri. Sapevi fin
da prima che è pericoloso andare, ma sono convinto che tu voglia ancora
seguirlo, hai solo paura di deluderlo. – le scostò una ciocca di capelli - Potrai
deluderlo, potrà arrabbiarsi, ma non smetterà di volerti bene e se lo facesse
non sarebbe un vero amico. Se Will fosse in pericolo, correrei da lui anche se
si trovasse nel centro esatto dell’inferno, poco mi importerebbe se lui fosse
contrario o se mi urlasse contro le migliori parolacce mai inventate.
Louisa chiuse gli occhi. James sapeva
urlare parecchio quando si arrabbiava, e aveva passato anni a proteggerla e a
prendersi cura di lei in tutti i modi possibili. Fin da quando erano bambini,
James aveva preso tutte le decisioni e si era caricato di tutti i problemi e
responsabilità.
L’immagine di James con le spalle curve gli
balenò davanti gli occhi e lei inspirò
bruscamente. Per anni non si era mai fermata a riflette su quanto James
soffrisse e quanto gli pesasse dare la caccia ai Nephilim per lasciare lei e
Dimitri tranquilli. Alzò lo sguardo sul ragazzo, ancora in attesa davanti a lei
– Jason, hai mai fatto del male a qualcuno? – chiese infine.
- Si.
- Ferito?
- Dipende, a volte ho ferito con le parole,
a volte con i gesti. Molto spesso, ho ferito gli amici. Will, ad esempio, una
volta abbiamo litigato talmente tanto, che abbiamo rischiato di non parlarci
più e solo perché io sono stato un cretino e non ho voluto credergli. Fa molto
più male di quello che si possa credere ferire gli amici.
- Hai mai fatto del male fisicamente a
qualcuno? Molto male intendo.
A Jason si piegarono le labbra in un
sorriso triste – Sono stato in galera, ricordi? I tipi che ho pestato alla fine
avevano delle costole rotte e delle lesioni interne. Non è stato divertente.
L’euforia del momento passa dopo un po’, e rivedi la scena a rallentatore,
nella tua testa torturando costantemente. Mi sono sempre chiesto se avessi
potuto agire diversamente, ma in quel momento non ci ho pensato. Pensavo a
difendermi e a difendere la ragazza, perché se non lo avessi fatto la
situazione sarebbe solo peggiorata, per me e per lei. Proteggere gli altri
significa anche questo, Louisa, convivere con i propri sensi di colpa e con le
proprie decisioni. – Louisa guardò oltre Jason, e la mente corse di nuovo a
James e a Dimitri, quante volte avevano fatto ciò che stavano per fare di
nuovo, eppure non si erano tirati indietro neanche questa volta? Più di quante
lei potesse contarle.
I suoi occhi si focalizzarono sulle moto e
per l’ennesima volta un brivido la percorse quando ricordò il giro con Jason – Correrai
anche questa volta se prendiamo la moto, vero?
- Ovvio che sì, se vuoi arrivare in tempo.
Louisa sospirò – Sia chiaro, - disse ormai
decisa – Andiamo ad aiutare James e Dimitri. È l’unico motivo per cui
sopporterò il tuo folle modo di guidare. Non farci l’abitudine. – Jason scoppiò
a ridere e fece un cenno a Will, che si avviò verso i cancelli – Quindi
possiamo dare via al grande piano di fuga?
- Sì. – a quella risposta, Jason la spinse
senza tanti complimenti verso il fondo della rimessa e guardò da vicino tutte
le moto, accarezzandone dolcemente un paio con gli occhi, che gli brillavano di
felicità.
- Alcune di queste sono il sogno di una
vita, - disse infine sorridendole apertamente – E tu le hai qui a completa disposizione
e non osi neanche salirci sopra. Tra l’altro, lo sai che sei pallida? Dovresti
prendere più sole.
Louisa batté un piede a terra, con le mani
sui fianchi – Io prendo abbastanza sole! È solo che, – deglutì, guardando i
mezzi a due ruote – Mi spaventa la velocità. – gli scoccò un’occhiataccia – E
tu di certo non hai contribuito a farmi passare questa paura. – Jason
sghignazzò e prese da uno scaffale un casco nero, rigirandolo tra le mani –
Questo ha l’interfono integrato e vedo pure il simbolo del bluetooth. Il
sottovisiera e la mentoniera ribaltabile. Deve essere costato una fortuna. –
lanciò un’occhiata rapida a Louisa e poi tornò ad osservare il casco – Dovrebbe
essere della tua misura, è abbastanza piccolo.
Louisa si tirò su i capelli, come Jason le
aveva mostrato in Scozia – Mi sembra di soffocare con quel coso addosso. -
Jason le infilò il casco sulla testa e alzò la parte anteriore del casco – Puoi
tenere sollevata la mentoniera un po’. Ora, stai ferma che ti allacciò il
sottogola. – disse gentilmente, allacciandole i gancetti del casco
– Non hai bisogno delle chiavi per far
partire la moto? – mormorò lei, infine.
Jason si batté il palmo sulla fronte, come se ci avesse pensato solo in
quel momento – Giusto! A casa ho le mie sempre in tasca, non mi ricordavo che
dovevo ancora procurami le chiavi! Aspetta qui, vado a cercarle. – caracollò
via, lasciando Louisa con il casco sulla testa, che si guardava la schiena del
ragazzo con stupore crescente. Come aveva fatto a non pensarci da solo?
Si appoggiò con la schiena contro lo
scaffale a braccia incrociate – Questo coso sulla testa pesa, Jason. – disse
piano.
Jason tornò indietro dopo un paio di minuti
fischiettando, mentre faceva roteare le chiavi intorno all’indice.
- Perché stai fischiettando? Guarda che non
è divertente. Stiamo facendo una cosa potenzialmente illegale.
- Appunto! Silver and gold will be stolen away, Stolen
away, stolen away, Silver and gold will be stolen away, My fair Lady.–
canticchiò allegramente sorpassandola e andando a scegliersi un casco.
- Ma che?
‘London Bridge is Falling Down’?
Jason la ignorò e provò un paio di caschi
prima di sceglierne uno – Questo modello è identico al tuo, possiamo usare
l’interfono durante il viaggio. Ovviamente, se urli come una quaglia isterica,
canterò tutte le filastrocche che mi vengono in mente. – si avvicinò a lei le
abbassò la mentoniera e le premette un pulsante sul lato del casco – Aspetta
che collego gli interfono. – lavorò per qualche altro secondo sul suo casco e
poi se lo infilò – Mi senti? – la voce di Jason al suo orecchio le fece voltare
di scatto la testa, facendole perdere l’equilibrio – Piano. – rise Jason al suo
orecchio, afferrandola per il gomito – O metterai alla prova la qualità del
casco sbattendo contro il pavimento.
- È che non mi aspettavo di sentirti così
vicino. Cioè, sei direttamente nel mio orecchio.
Jason le picchiettò la calotta del casco
con l’indice e ridacchiò – Facciamo una prova, per vedere se mi senti bene? Ho tante noci di cocco splendide,
deedl-ee-dee-dee tutte, tutte in file per tre. Grandi, grosse, anche pi-
- Basta!
- Okay, direi che l’interfono funziona alla
grande. Facciamo partire l’amore della mia vita. – si mise a cavalcioni sulla
moto e tolse il cavalletto, invitando Louisa a salire dietro di lui – La
piccola ha voglia di fare un giro.
- Io non sono ‘la piccola’ – disse Louisa
salendo dietro di lui
- Mi riferivo alla moto, genio delle fughe.
Lei è ‘la piccola’, tu sei la scema rompiscatole, tanto per essere gentili –
prese la chiave e la avvicinò alla moto.
- Che stai facendo? Inserisci quella
maledetta chiave. – disse Louisa stizzita per l’offesa.
- Questo amore del papà ha la chiave
elettronica, l’avvicini al cruscotto e la moto si accende. – Louisa si strinse
a Jason in attesa di sentire la vibrazione della moto sotto di sé.
– Ma
cosa? Si può sapere perché non parte? La chiave è difettosa? – l’urlo di Jason
le spaccò un timpano.
– Smettila di urlami nelle orecchie!
Jason si bloccò di colpo e si sfilò il
casco, studiandone l’interno attentamente – Un casco con il sistema di
sicurezza elettronico! – emise un fischio di ammirazione - Questo stronzo non
mi farà partire la moto finché non me lo sarò messo perfettamente. – con uno
sbuffo si infilò di nuovo il casco e se lo allacciò sotto la gola, prima di
riprovare a riaccendere la moto. La risata soddisfatta di Jason si propagò nel
casco di Louisa e lei, si strinse convulsamente contro di lui, sperando che i
tremiti che sentiva fossero causati dalle vibrazioni del motore.
– Reggiti forte, ragazzina. –la voce di
Jason nel cascole arrivò limpida, come se si trovasse accanto a lei – Will ci
sta aspettando e abbiamo perso anche troppo tempo. – con un aumento dei giri la
moto scattò avanti e Louisa, strinse tanto forte le mani, da sentire i muscoli di
Jason sotto la maglietta – Mi fai il solletico. Non devi stringermi così forte.
– Louisa allentò di un poco la presa e Jason rilassò i muscoli – Sai, - disse
sfrecciando per le strade dell’Istituto – Questa moto è particolare. Ha la
possibilità di cambiare assetto delle sospensioni, potenza del motore e cambio
in base alle esigenze, basta premere un pulsante.
- E perché lo dici a me? – rispose lei con
sufficienza – Io non salirò mai più su una cosa del genere. Oggi è
un’emergenza. – sentì un brivido correrle lungo la schiena quando Jason scoppiò
a ridere.
- Perché Louisa, stiamo per provare la
modalità sport.
- Che cos.. – la voce le morì in gola
quando sentì l’accelerazione improvvisa della moto e si costrinse a stringere i
denti per non mettersi a urlare – Ti prego, - disse cercando di non far
trapelare quanto fosse impaurita – Ti prego, rallenta. – artigliò i fianchi di
Jason più forte che mai, e chiuse gli occhi per non vedere le macchie di colori
sfocati che erano diventate le aiuole – Ci ammazzeremo, Jason! Rallenta!
- Impossibile. – replicò il ragazzo – Tra
poco il sole sarà tramontato, e se chiudono il cancello non possiamo più
uscire. O mi sto sbagliando?
- No. – mormorò lei – Ma ti prego, poi
rallenta! – esclamò senza riaprire gli occhi.
Jason ridacchiò – Se prometti di smettere
di cercare di strapparmi l’intestino con le unghie rallento, ma non ora. Vedo i
cancelli. – se possibile, la moto accelerò ancora e per un attimo Louisa ebbe
l’impressione di venir sbalzata via dalla sella – Resisti ancora un poco. –
disse Jason.
Louisa socchiuse un occhio e vide Will
salutarli quando passarono davanti a lui e alle guardie, che urlarono allarmate
– Ci possono sparare addosso? – chiese Jason, passando talmente tanto vicino ad
una delle auto, e Louisa vide arrivare lo scontro imminente – Non credo. –
disse riprendendo fiato rendendosi conto di quanto Jason fosse bravo al volante
– Stiamo uscendo dall’Istituto, ma è molto probabile che Will passi un brutto
quarto d’ora e che poi avvisino James.
- Non mi preoccuperei per Will. – rispose
imboccando la strada che avevano fatto neanche ventiquattro ore prima, tornando
dalla città – Non gli avrei chiesto di tenere distratte le guardie se non ne
fosse stato capace. Will è una di quelle persone che in situazioni del genere
se la cavano sempre. Ha un forte ascendente su tutti.
- Da come ne parli, sembra quasi che abbia
avuto effetto anche su di te. In fondo alla strada gira a destra, prendi
l’autostrada che porta verso il Belgio.
- Sì, - rispose Jason curvando e prendendo
la direzione dell’autostrada per Breda – Se non ci fosse stato Will
probabilmente sarebbe stato tutto diverso. È stato lui ad aprirmi gli occhi
sulla verità.
- Che verità? – chiese Louisa, alzando la
testa per guardare la sua schiena.
- Che le donne sono delle false
approfittatrici. – rispose dopo un minuto di silenzio.
- Will? Ma se è sempre stato gentile e
cortese!
- Gentile e cortese con te, che ferita e in
terra straniera. Will può sembrare un sempliciotto sempre sorridente, ma quando
si arrabbia è molto più pericoloso di me. E io non sono di certo un gattino
indifeso.
Louisa non seppe cosa rispondere. In
Scozia, Will era sempre stato disponibile con lei, solo in un momento l’aveva
visto diverso, con gli occhi grigi improvvisamente freddi e duri come l’acciaio,
ma quello sguardo era durato talmente tanto poco, che Louisa, si era convinta
di esserselo immaginato – Perché Will pensa che le donne siano delle false
approfittatrici?
- Non lo pensa. Will vede sempre del buono
in tutti. Per questo studia medicina; crede che ognuno possa avere una seconda
possibilità, – sospirò e Louisa sentì la voce di Jason farsi pesante, come se
gli costasse molta fatica parlare - Ma la donna di cui stiamo parlando di
possibilità ne ha avute ben tre.
- Non devi dirmelo se non vuoi.
- Will, - proseguì come se non l’avesse
sentita – Ha capito cosa non andava in lei e ha fatto in modo di rovinarla.
- Le ha fatto del male? – Louisa deglutì,
non riusciva ad associare l’immagine che aveva di Will con uno che potesse
mettere le mani addosso ad una donna, per quanto arrabbiato che fosse.
- Per carità no! – il tono secco di Jason
le spaccò un timpano – Will non farebbe mai una cosa simile. Ha fatto in modo
di sbugiardala davanti a tutta la scuola. In pratica le ha rovinato la vita sociale.
E tutto per me.
- Te? – Louisa fissò di nuovo la sua
schiena incredula – Da quando tu hai bisogno di essere difeso?
Jason rise senza gioia – Io non ho bisogno
di essere difeso. Non fisicamente, almeno. Will mi ha solo aperto gli occhi. E
con me anche al resto della scuola, ma avevo diciassette anni. Ed ero un
coglione di prima categoria.
- Guarda che sei ancora un cretino di prima
categoria.
- Io ho detto coglione, veramente.
- Cretino.
- È più forte di te, vero? – la moto
rallentò e Louisa allungò la testa per vedere l’ingresso dell’autostrada
davanti a loro - Quanto veloce andavi? – chiese ispirando bruscamente.
- Non te ne eri accorta? Abbiamo toccato
anche i duecento, ma eri così placidamente persa nel tuo mondo, e nei fatti miei,
che non te ne sei resa conto. Quanto dista Breda da qui? – chiese ripartendo.
- Non lo so.
- Non lo sai?
- Non sono mica uno stradario! So che Breda
è vicino al confine con il Belgio, a grandi linee credo che siano meno di
centocinquanta chilometri.
Jason sbuffò nel casco e prese la strada
per Amersfoot, seguendo le indicazioni per il confine – Meglio questo di
niente. Centocinquanta chilometri, - ripeté pensosamente e sorpassò una lunga
fila di camion e di auto, mettendosi in corsia di sorpasso – Se mi lasci fare a
modo mio posso essere lì in cinquanta minuti.
- E il metodo tuo sarebbe? – un sospettò le
salì subdolo, chiudendole la gola, quando Jason scartò a destra, evitando di un
soffio l’auto che avevano davanti, per poi sorpassarla a destra.
- Quello che hai appena visto.
- È da suicidio. E io voglio vivere. –
chiuse gli occhi, quando Jason passò sulla corsia all’estrema destra
sorpassando due camion – E siamo su un’autostrada! Ci sono delle regole! Ci
sono i controlli con gli autovelox!
Jason accelerò, passando in mezzo a due
auto – Primo: la moto non è intestata a me, se arrivano delle multe, non
arriveranno di certo a me. Secondo: non c’è guadagno senza rischio. E poi tu
mi.. – il suono dei clacson la assordarono per diversi secondi, facendole
perdere il resto della frase di Jason.
- Che hai detto? – chiese stringendosi
contro la sua schiena, quando la moto accelerò ancora.
- Che mi devi spiegare un sacco di cose.
Perché quando sono apparsi i Nephilim vi siete messi a correre, come se fossero
stati sputati fuori dall’inferno?
Louisa si morse il labbro e il sottogola divenne
improvvisamente stretto. Quel casco non le permetteva di respirare bene e di
scappare dalla voce di Jason perennemente accanto al suo orecchio – Non esiste
l’inferno. – disse infine – Non ci sono prove sull’esistenza di un luogo
sotterraneo fatto di fiamme e tortura. È un’invenzione dell’uomo, nella Bibbia
viene nominato lo Sheol che è il
luogo dove vanno i morti, ovvero sotto terra, e la Gehenna, che era una specie di discarica dove gli Ebrei gettavano i
rifiuti e coloro che commettevano talmente tanti misfatti da essere giudicati
indegni.
- Niente fiamme eterne? Niente torture
indicibili? Niente gironi dell’inferno?
- No.
- Posso comportarmi come voglio e non
essere punito dal Cielo?
- Ovviamente
no. – disse acida Louisa – Gli uomini saranno posti a Giudizio un giorno,
se tu leggessi la Bibbia, saprest..-
- È una noia mortale. – tagliò corto lui –
L’idea di un luogo fatto di fiamme mi divertiva di più.
- Vuoi rimanere nell’ignoranza, Jason? –
strizzò gli occhi quando Jason prese una curva in piena accelerazione.
- Non è che mi piaccia rimanere
nell’ignoranza. È che considero la religione una noia mortale. Sai: vestirsi
bene la domenica, la messa, il catechismo e blablabla. Non è mai stato il mio
forte. Facevo altre cose.
- Tipo? – non è che volesse sapere
veramente cosa facesse Jason, anche perché aveva più o meno capito con che
razza di ragazzo avesse a che fare, ma la conversazione la aiutava a distrarla
da quella guida spericolata e folle.
- Tipo: a dieci anni, mi sedevo sulle
panche in fondo e sgattaiolavo via e andavo a giocare nei dintorni del cimitero
con Sophie, la sorella minore di Will.
- E Will? – chiese Louisa immaginandosi
Jason da piccolo, mentre scavava le tombe, sporcandosi da capo a piedi di fango
e saltando fuori da dietro le lapidi per spaventare gli altri bambini.
Il ragazzo ridacchiò nel suo casco – Will
era il classico bambino tranquillo, che se ne stava tra i primi banchi a
cantare insieme ai genitori, con i capelli tirati indietro e il vestito della
domenica.
Louisa ci mise qualche secondo a registrare
le parole di Jason – Come fate a essere amici? Siete agli antipodi.
- Io l’ho scelto. – mormorò Jason – Quando
avevo sette anni. Eravamo caduti da un albero e anziché mettersi a frignare e
correre da sua madre mi era rimasto vicino, a sostenermi e incoraggiarmi visto
che nella caduta mi ero rotto un braccio. Da quel momento in poi siamo sempre
rimasti insieme. Qualsiasi cosa, qualsiasi tempesta, l’abbiamo superata insieme.
- Will ha la pazienza di un santo. – disse
Louisa con un piccolo sospiro – Ti è sempre rimasto accanto?
- Circa, - rispose Jason – Non è che gli
andasse sempre bene tutto. Io saltavo le lezioni, e per inciso anche le messe a
cui mio padre mi costringeva ad andare, per andarmi a divertire. Will, riusciva
a stanarmi la maggior parte delle volte e a costringermi a comportarmi bene.
- Ti stanava? – chiese Louisa, cercando di
trattenere le risate.
- Aveva un sesto senso quando mi veniva a
cercare. Mi trovava sempre e non ero, quasi mai, completamente vestito.
Louisa ringraziò la presenza del casco
perché avvampò talmente tanto da sentirsi il viso bollente e si chiuse in un
silenzio imbarazzato.
- Che c’è? – chiese Jason con un nota di
irritazione nella voce – Perché non rispondi più?
- Non so cosa dire. – disse con un filo di
voce, cercando di ignorare la maglia di Jason che si muoveva davanti a lei,
mostrandole una parte della schiena del ragazzo e la cintura dei suoi
pantaloni.
- Io invece credo che tu abbia voglia di
provare, ma hai troppa paura per dirlo. Tranquilla, queste cose le capisco, non
c’è bisogno di chiederlo esplicitamente. – lo scherno nella voce di Jason le
scacciò via l’imbarazzo e strinse le mani attorno al suo torace, facendo bene
attenzione a piantargli le unghie nei fianchi – Che cosa vorrei provare?
Sentiamo! – ringhiò.
- Ad avere me, non propriamente vestito,
sopra di te. – la voce era malevola e arrogante, e Louisa dovette reprimere
l’impulso di colpirlo. Dopotutto, correvano a velocità folle, ed era Jason ad
avere la guida – Basta che me lo chiedi con le dovute maniere e che mi prepari
una cassa di birra di prima qualità, quando sarò sufficientemente ubriaco,
potrò anche farci un pensierino. Ovviamente, - proseguì lui con lo stesso tono
superiore – Se mai accadrà, sarò io a dettare i ritmi. E non ti permetterò di
toccarmi come stai facendo ora.
Le lacrime scivolarono lungo gli zigomi di
Louisa e vennero assorbite immediatamente dal rivestimento del casco.
La rabbia, l’umiliazione e le immagini, che
si affollarono nella mente a quelle parole, le scatenarono un violento moto di
nausea. Aveva voglia di mollare Jason, di farlo accostare alla prima stazione
di servizio e di tornarsene all’Istituto, ma il fatto che Jason le avesse dato
della codarda non le era ancora andato giù. Inghiottì quel nuovo, crudele,
boccone e si strinse a lui, decisa a non raccogliere la sua provocazione.
- Non vorresti provare? Non c’è nulla di
male nell’ammettere la verità. – lo sentì ridere crudelmente e soffocò un
singhiozzo, ben sapendo che con l’interfono acceso lui avrebbe sentito.
- Cosa c’è, ragazzina? - insistette lui –
Io so a cosa hai pensato su
quell’albero. Conosco l’effetto che ti faccio. E probabilmente, ti farei solo
un favore. Un gentile atto di carità da parte mia.
- Io ti odio. – ringraziò il Cielo per la
voce ferma nonostante le lacrime e la gola irritata.
Jason rise sprezzante nel suo orecchio – Ci
hai messo veramente poco. In genere, le ragazze mi odiano dopo che le ho
mollate. Sicura che il tuo non sia desiderio? Scommetto cento sterline, che
anche se ora ti senti umiliata, l’idea che io ti voglia ti attrae.
- Stai
zitto!
- La verità fa male, Louisa. – disse
sornione.
Louisa si morse il labbro inferiore ed
evitò di rispondere di nuovo. Era vero che Jason l’aveva umiliata, ma mai, mai
avrebbe tradito i suoi sentimenti verso Chi li meritava veramente. Aveva fatto
della sua fede un tempio in cui rifugiarsi e Jason, era solo una tentazione con
cui il Male aveva deciso di metterla alla prova. Se avesse fallito, non sarebbe
più stata un Sigillo e i Grigori avrebbero vinto.
L’amore
non si rallegra dell’ingiustizia, ma si rallegra della verità. Copre ogni cosa,
crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa. L’amore non viene mai a
meno. Ripeté quelle frasi nella sua mente, ancora e ancora,
come un mantra, cercando ogni volta di trovarne nuove sfumature. Pian piano le
mani allentarono la presa su Jason e le lacrime smisero di scendere. Lei non odiava
Jason, era molto ferita e arrabbiata, ma non provava odio. Il respiro divenne
più calmo e profondo, con quella consapevolezza e accennò un sorriso. Esistevano
molte forme di amore nel mondo, e saper perdonare era una di quelle.
La moto rallentò di nuovo, e Louisa vide i
cartelli con le indicazioni per Breda scritti in due lingue – Siamo già
arrivati? – disse alzando la testa e rendendosi conto che ormai, il sole era
tramontato e le luci arrivavano dai lampioni posti ai lati della strada.
- Sei tornata a parlarmi di nuovo? – disse
lui, prendo l’uscita che gli indicava il centro della città - Sarà mezzora che
non mi rivolgi la parola. Onestamente, iniziavo a pensare che tu avessi perso
l’uso della lingua.
Louisa digrignò i denti, forse non lo
odiava, ma di certo la rabbia per quelle parole sporche non era ancora svanita
– Parlavo da sola. E sarà sicuramente una discussione migliore di quelle che ho
con te.
- Sai che i pazzi parlano da soli? – lui
rise e salì sulla tangenziale che li avrebbe portati in centro città.
- E anche i geni. – ribatté lei tagliante –
E chi non ha interlocutori migliori di se stessi.
Jason le fischiò sommessamente nel casco -
Sei arrabbiata? Per quello che ho detto prima?
- Se non fossimo in moto e se non fosse
un’emergenza, ti avrei tirato già il casco. – rispose Louisa gelida. Voltò la
testa per vedere le luci delle case e dei condomini sfilare alla sua destra,
nascoste dall’oscurità fitta degli alberi, oltre il guard-rail.
Ad un semaforo, Jason prese la via più
rapida per il centro, e Louisa ammutolì quando passarono nel mezzo di un parco,
sul terrapieno che divideva in due un lago – È bellissimo! – esclamò guardando
costantemente la testa a destra e a sinistra, cercando di cogliere il più
possibile della città.
Ad una rotonda, Jason fece il giro completo
un paio di volte – Hai idea di dove andare genio delle fughe?
- No. – rispose lei arrossendo. Non aveva
pensato a cosa fare una volta arrivati a Breda, per lei era già un miracolo
essere lì, senza essersi fatta ammazzare un paio di volte.
- Il parco che ha mostrato James, - proseguì
lui – Sai come possiamo arrivarci?
- No, genio. – disse lei irritata dal fatto
di non potergli dare una risposta affermativa – Ma se ho un disegno o una mappa
della città ti posso dire esattamente qual è.
- È
già qualcosa. Allora, andiamo verso il centro e procuriamoci questa mappa. –
Jason riprese la strada e proseguì in direzione del centro storico.
Louisa vide il tetto della cattedrale
spuntare tra gli edifici, quando sentì
qualcosa alla base della testa e si voltò a sinistra, seguendo quel neonato
istinto. E li vide. Fu solo un attimino, ma ne era sicura. Tre Nephilim
camminavano spavaldi sul marciapiede in direzione della chiesa – Jason,
fermati! – urlò nel casco, prima ancora che lei potesse rendersi conto di
quello che stava dicendo.
- Cosa?
- Ferma
la moto!
Senza fare altre domande, Jason accostò al
marciapiede e Louisa saltò giù prima che fosse spenta – Louisa! – l’urlo di
Jason le rimbombò nel casco, e lei si fermò un istante per slacciare quella
cosa fastidiosa che le impediva di respirare bene.
Sta
succedendo qualcosa! Lo so! Pensò, con forza. Ci sono troppi Nephilim in un posto solo!
Tornò dove aveva avvistato i Nephilim un
minuto prima, ma non li vide più. Accanto a lei, la porta di un locale si aprì
con uno scampanellio e le risate allegre e l’odore di cibo e bevande stordirono
la sua mente già confusa, facendola dondolare sul posto.
Una mano calda e salda la afferrò sopra il
gomito e la costrinse a voltarsi con uno strattone brusco – Non. Osare. Mai.
Più. Allontanarti. Da. Me. – gli occhi azzurri di Jason erano furiosi e
glaciali, mentre riflettevano le luci dei locali e dei lampioni.
- Jason! – disse con il cuore in gola – Io
li ho visto, erano tre! Con il loro visi d’angelo e i sorrisi crudeli. – cercò
di spiegarsi, rievocando nella mente, l’immagine che aveva visto per neanche
due secondi - Non me li sono sognata, lo giuro.
Jason la afferrò per le spalle e la scosse
lievemente – Chi hai visto?
- I Nephilim! Li ho visti, loro… – non
terminò la frase perché un grido straziante le rimbombò nelle orecchie e cadde
in ginocchio stringendosi il cuore con una mano.
- Louisa? – chiese Jason allarmato. Le coprì
la bocca con una mano e Louisa sgranò gli occhi sotto shock. Probabilmente
anche lei aveva gridato a causa dell’intensa sofferenza cha la lacerava dentro –
Che ti è preso? – l’anello divenne improvvisamente più pensante intorno al
collo, ricordandole la sua presenza e calore e Louisa alzò lo sguardo sul
ragazzo – Non possiamo aspettare, James. – disse ansante - Un’anima ha gridato.
In una maniera osì dolorosa. – chiuse gli occhi e cercò di identificare la
provenienza del grido che solo i Sigilli potevano sentire. - E solo una cosa
può far gridare un’anima così: un atroce torto! – si appoggiò a Jason per
costringere le gambe, ancora tremanti, a rialzarsi e come aveva fatto per
trovare il ragazzo nel pub, si affidò completamente all’istinto. Iniziò a
correre con Jason alle calcagna per poi gettarsi in un vicolo poco distante al
locale.
E li vide. Uno di loro teneva ferma una
ragazza contro il muro strappandole i vestiti, mentre gli altri due la
guardavano famelici, leccandosi le labbra.
– Lasciatela
stare! – senza pensarci due volte, Louisa, tirò ciò che stringeva
convulsamente in mano: il casco che si era tolta poco prima, che colpi sulla
spalla uno dei Nephilim, per poi ricadere a terra con un tonfo sordo.
I tre si voltarono a guardarla con un
sorriso sprezzante disegnato sui bellissimi volti, ma Louisa poté vederli per
quello che erano veramente.
Alti più di un metro e novanta, avevano le
unghie lunghe e affilate come artigli e gli occhi rossi. Accessi di una
crudeltà senza pari.
- Ti pentirai di questo, ragazzina. – disse
il Nephilim che aveva colpito alzando il braccio artigliato.
Fu l’ultima cosa che vide, prima che Jason
la avvolgesse tra le sua braccia, oscurandole il campo visivo.
James si rigirò al dito medio il pensante
anello d’oro bianco con l’ossidiana incastonata al centro. Stava seduto sullo
schienale della panchina al centro del parco, con Dimitri che camminava avanti
e indietro, con il volto visibilmente teso – Dovresti risparmiare le forze, –
disse infine rivolto all’amico – I Custodi li stanno spingendo nella nostra
direzione. Tra poco saranno qui.
- Malcom? – chiese Dimitri, alzando lo
sguardo su di lui.
- È nascosto tra gli alberi, con sei dei
suoi migliori uomini, e i loro fucili puntati verso questa radura. – incurvò le
labbra in sorriso amaro e tornò a giocherellare con l’anello. Stare fermo non
gli piaceva e l’attesa lo stava uccidendo, ma ancora peggio: l’idea di ciò che
stava per fare lo torturava fino a fargli venire mal di testa.
- Perché sei nervoso? – chiese Dimitri
sedendosi accanto a lui.
- Trentadue Nephilim mi rendono nervoso. Si
chiama istinto di autoconservazione.
- Sai che non è quello che ti sta rendendo
più insopportabile e silenzioso del solito. – Dimitri si mise tirare lievemente
le foglie di un rododendro accanto alla panchina – Questa pianta ha bisogno di
un po’ d’acqua. Ha sete. – disse semplicemente.
James roteò gli occhi, Dimitri aveva la pessima
abitudine di passare da un discorso all’altro con una facilità micidiale –
Sentiamo, - disse lui tornando al discorso principale – Cosa mi rende più
insopportabile del solito?
- È piccolina, minuta, occhi grigi, capelli
castani, lingua tagliente e in questo ultimo periodo è sempre accompagna da un
tipo che tu bolliresti vivo se ne avessi l’occasione.
- Bingo. – disse con un ringhio mostrando i
denti al parco – Lo bollirei vivo se ne avessi l’occasione. E gli strapperei
quel ghigno strafottente dalla faccia.
- Non puoi tarparle le ali. – disse Dimitri
tristemente – Louisa è come noi. Prima o poi doveva accadere.
James lo fulminò, aveva passato tutta la
sua vita a tenere Louisa, Dimitri e Anna lontani dalle lotte e dalla morte e
ora tutto il suo lavoro stava andando in frantumi e Dimitri gli stava dicendo
che doveva accadere? – Louisa, -
disse cercando di mantenere la calma, ma il tremito alla mano era un pessimo
avvertimento sul suo stato d’animo – È uscita di nuovo dall’Istituto. Su una
moto. Con Jason. – si strappò di bocca quelle parole. Quando lo avevano
chiamato per informarlo di quello che era successo per poco non si era messo ad
urlare. Aveva pregato Louisa di non fare nulla di azzardato. L’aveva scongiurata di restare al sicuro. Ma come
quando era bambina, lei non gli aveva dato ascolto e se si fosse fatta male,
lui non se lo sarebbe mai perdonato.
La risata di Dimitri lo strappò via dai
suoi pensieri – Louisa è sempre stata così. Lo sai. Sotto quei modi
accondiscendenti e remissivi c’è un fuoco pronto ad esplodere. Io lo so, tu lo
sai; e sai che Jason sta animando quel fuoco.
- Louisa, - si bloccò e masticò le parole
che avrebbe voluto dire realmente – Dovrebbe stare lontana da lui. Si farà
male.
- Come quando era piccola e le hai proibito
di salire sugli alberi? – chiese maliziosamente Dimitri – Hai visto come ti
ascoltava. Più le dirai di no, più lei farà di testa sua.
Jason strinse i pugni al ricordo. Louisa
aveva nove anni e non ne voleva sapere di obbedire alle regole. Faceva tutto
ciò che le veniva in mente, mettendosi spudoratamente in pericolo, ma quando
cadde dall’albero e sbatté la testa divenne improvvisamente più calma e
tranquilla, e James tirò un sospirò di sollievo. Fino a quando non la vide
tornare con Jason.
– Quando cadde da quell’albero sbatté la
testa, passò tre giorni in coma. Nonostante fossi lì, nonostante avessi provato
a prenderla. Ha sbattuto la testa e per poco non è morta.
- Ti sei fracassato entrambe le ginocchia
per ammortizzare la caduta sua e del ramo.
- E non è servito a niente. – ringhiò
James.
- Sai, - disse Dimitri pensosamente - Io
penso che Louisa da quel giorno sia cambiata per un motivo specifico.
- Paura di morire?
- Paura che tu ti faccia del male di nuovo
per proteggerla. Louisa non è in grado di ferire gli altri. Il fatto che tu ti
sia fatto male, l’ha scossa nel profondo. E ha gettato la sua vera anima alle
ortiche. Jason, tira fuori quella parte di lei, che ha seppellito per anni.
James si chiuse in un ferreo silenzio.
L’aveva capito anche senza bisogno che Dimitri glielo facesse notare. Con Jason
accanto, Louisa era più viva che mai, pronta a ribattere, a lottare. A vivere e
a soffrire e lui, non riusciva a sopportarlo.
Sapeva che Louisa stava male. L’aveva
sentita piangere la solitudine, ma aveva sempre, di gran lunga, preferito
ferirla in quella maniera piuttosto che doverla seppellire e reciderne l’anima
dal corpo per poi condurla nello Sheol.
Le possibilità erano due: Louisa viva, che camminava sola e vuota per
l’Istituto, o Louisa, che aveva visto crescere come una sorella, morta e lui,
che avrebbe dovuto calare la falce su di lei.
Un’intensa sensazione di fastidio alla base
della testa si impossessò di lui e si alzò in piedi con un gesto fluido, con
Dimitri accanto, entrambi pronti.
- Li senti? – chiese. Dimitri annuì e si
infilò al dito l’anello d’oro con un occhio di tigre incastonato al centro –
Non ti esporre più di quanto non sia necessario Dim. Ti sei appena alzato dal
letto. – gli ricordò. E lo ricordò anche a se stesso. Anche se non lo dava a
vedere Dimitri era ancora debole, e lui l’avrebbe protetto a qualsiasi costo.
Qualsiasi. Sempre. Quella era la sua muta
promessa fatta al Cielo.
Proteggere le persone che gli erano care,
affinché non gli venissero strappate via di nuovo.
I Nephilim iniziarono a comparire davanti a
loro, e James sorrise dentro di sé. I Custodi avevano battuto la città
facendosi vedere e invitandoli a seguirli verso ciò che loro desideravano di
più: il sangue dei Sigilli. I Custodi li avevano tirati e spinti silenziosamente,
stringendo le maglie della rete attorno ai Nephilim fino a farli arrivare a
quel parco.
Quando si accorsero della presenza dei due
ragazzi, alcuni si leccarono le labbra e li fissarono, con i loro occhi rossi
accesi come tizzoni ardenti. Senza scomporsi, James si rigirò l’anello,
pensando intensamente ad Uriel, l’arcangelo dello Sheol e lo pregò di prestargli il suo potere.
L’anello al suo dito divenne più pensante e
James sentì il suo calore corporeo defluire, mentre l’oggetto rimaneva gelido
intorno al suo dito, e tra le mani di James comparve una lunga falce nera.
Era fredda e oscura nelle sue mani, come la
prima volta che l’aveva imbracciata, e alzò lo sguardo sui Nephilim davanti a
sé. I loro occhi crudeli e smaliziati erano tutti concentrati sull’arma e
alcuni di loro gli ringhiarono contro come degli animali.
- Avete perso la lingua Nephilim? – sibilò
James – Non importa. Vi ricaccerò da dove siete stati sputati fuori. E vi
ridurrò in polvere e cenere.
I Nephilim li attaccarono e una violenta
scossa di terremoto spaccò la terra sotto di loro, imprigionandone alcuni
talmente tanto velocemente che molti di loro non se ne accorsero neanche.
James avrebbe voluto gridare a Dimitri di
non sprecare energie per abomini come Nephilim, ma un paio di artigli
scattarono vicino alla sua testa, riportandolo al problema più pressante. Calò
la falce senza preoccuparsi delle conseguenze e sentì di nuovo il calore
corporeo venirgli strappato via, per aver reciso una vita.
– Maledetti bastardi! – si abbassò per
evitare un nuovo attaccò e colpì all’addome il Nephilim con l’estremità della
falce, per poi finirlo con fendente.
Uno sparò si propagò nell’aria e un dei
mostri che aveva dietro di sé cadde a terra con il foro nelle tempie. James
sorrise, pensando agli occhi di falco che vegliavano su di loro e fece mulinare
di nuovo la falce, facendo saltare un paio di teste che caddero a piedi suoi e
di Dimitri – Vuoi trasformare questo posto in un mattatoio? – chiese Dimitri,
affondando l’alabarda nel petto di un nemico.
- Tu non sei da meno. – si misero spalle
contro spalle, difendendosi a vicenda, mentre i Nephilim li circondarono – Non
mi piace che tu sia qui. Non mi piace che Louisa possa essere qui. – disse
infine, facendo mulinare la falce e tenendoli a bada.
Altri spari risuonarono nell’aria e per un
secondo James si distrasse, rimediando un lungo taglio sul braccio. Mordendosi
la lingua per non imprecare, finì il mostro che si stava contorcendo dal dolore
a causa del sangue del ragazzo sugli artigli – Il mio sangue è veleno per
quelli come voi. – disse ai pochi Nephilim rimasti – Io sono la morte in ogni
sua forma.
Alzò il mento in segno di sfida e si lanciò
di nuovo alla carica, falciandone uno con un violento fendente. Gli ultimi
quattro rimasti si voltarono per fuggire, ma fecero pochi passi, quando quattro
precisi proiettili li colpirono in pieno.
James si guardò intorno affranto quando il
silenzio tornò a regnare sul parco – Non parlavano e non erano molto forti. –
disse rivolgendosi a Dimitri ancora dietro di lui – Sembravano quasi perfetti
fisicamente, ma non hanno i poteri dei veri Nephilim.
- Allora perché ce li hanno mandati contro?
James ne rivoltò uno con un calcio,
osservandone da vicino le fattezze. Era molto alto, con gli zigomi ben delineati,
incorniciati da lunghi capelli mori. Poteva passare tranquillamente per un
essere umano se non avesse avuto quegli artigli e gli occhi rossi che gli umani
non vedevano – Per testare le nostre reazioni probabilmente. O per sfidarci e
controllare le nostre forze. L’unica cosa che so è che erano terribilmente
deboli. Mi aspettavo uno scontro più duro e lungo. – James alzò la testa,
rivolto agli alberi – Controllateli tutti! Contateli! Poi bruciate i loro
cadaveri e ripulite il sangue! Che di questi abomini non ne rimanga neppure il
ricordo! – urlò gli ordini rivolto agli uomini nascosti tra gli alberi, e tornò
a sedersi sulla panchina, perso nelle sue preoccupazioni.
Dimitri si sedette accanto a lui e gli
diete un’occhiata veloce al braccio – Dovresti farti controllare quella ferita.
È davvero brutta. – James non ci badò e chiuse gli occhi. La sensazione di gelo
che aveva dentro non accennava ad andarsene. Digrignò i denti per la
frustrazione, odiava quell’effetto collaterale dei suoi poteri, lo lasciava completamente
svuotato alla mercé di sensazioni che faceva di tutto per dimenticare. Come il
tocco gelido della morte che aveva sempre con sé appena sotto la pelle,
ricordandogli costantemente chi fosse e chi fosse Uriel.
- James? – chiamò piano Dimitri – Stai
bene?
Lui annuì senza aprire gli occhi e si
rilassò contro la panchina – Dovrei chiederlo io a te. Sei stanco? Hai bisogno
di riposare? – il ragazzo ridacchiò accanto a lui – Non sono una bambino. Sto
bene. – gli sfiorò il braccio e James lo spostò bruscamente, evitando così che
Dimitri sentisse quanto gelo c’era dentro di lui.
- So come funzionano i tuoi poteri. – disse
serio Dimitri afferrandolo – Non c’è bisogno che me lo nascondi. So cosa ti
provocano. Li senti, non è vero?
- Io li sento sempre. – rispose guardando
il terreno – Sono costantemente nella mia testa, anche adesso. Potrei dirti
esattamente quante persone stanno per morire nel raggio di chilometri. – alzò
lo sguardo, per vedere la carneficina che aveva fatto e la nausea lo contorse
dal profondo. Faceva estremamente fatica a respingere il richiamo della gente
morente ed alleviare le loro pene, ma non poteva non guardare ciò che lui aveva
fatto.
- Avrei preferito che gli angeli fossero
stati un po’ più generosi con te e ti avessero privato di una sensazione del
genere. – proseguì Dimitri – Non trovo giusto che senti costantemente la gente
che muore.
James scosse la testa, continuando a
osservare i Custodi che contavano i corpi dei Nephilim e li imbustavano pronti
a portarli via e a farli sparire – Io preferisco che sia toccato a me. Preferisco
che sia accaduto a me, piuttosto che a te o a Louisa.
- James…
- No. – lo interruppe - Non dico che mi
piaccia, e farei a cambio in qualsiasi momento, ma so che devo. Perché solo
camminando accanto alla morte, mi rendo conto quanto voi siate importanti per
me. Mi rendo conto perché combatto. E so che voglio farlo. È l’unico motivo per
cui lo accetto. Proteggere voi è l’unica cosa che mi ha permesso di non
impazzire. – alzò gli occhi quando Malcom si avvicinò a loro con lo sguardo
torvo – Ne abbiamo contati ventinove.
- Cosa? – scattò Dimitri – Siete sicuri?
Malcom si rivolse a lui e alzò il mento –
Li ho fatti contare tre volte. Sono ventinove.
James emise un basso ringhio di gola e
strinse i pugni – Ne mancano tre.
- Sì. Probabilmente così furbi da non
essere caduti in trappola.
Dimitri si alzò in piedi e iniziò a
camminare avanti e indietro – Bisogna far fare un controllo incrociato tra
Custodi e satelliti. Battere a tappeto la città. Trovarli prima che facciano
altri danni. – James annuì e stette per dare gli ordini quando si irrigidì sul
posto, percependo un’ondata improvvisa di potere – Prendi il rilevatore! –
ordinò a Malcom, cercando di capire da dove arrivasse ciò che percepiva – Dim?
Dimitri annuì e si mise al suo fianco, ad
occhi chiusi. James serrò la mascella, ben sapendo che Dimitri stava usando il
suo potere sulla terra, per sondare le vibrazioni del terreno – Mai sentito
così tanto potere in una volta sola. – decretò infine.
- Malcom? – domandò James, con il cuore a
mille e la preoccupazione crescente.
- Il rilevatore è incandescente. Chiunque
sia ne ha perso il controllo.
- No. – disse Dimitri aprendo gli occhi –
Sa perfettamente come usarlo. Le vibrazioni che sento non arrivano da chi non
sa usare il proprio potere. Anzi i suoi colpi sono leggeri e precisi.
- Puoi trovare chi è la fonte? – James
aveva un pessimo presentimento. Louisa era in quella città e all’appello
mancavano tre Nephilim, ma lei non era mai stata in grado di convogliare tanto
potere, anzi, non ne aveva mai avuto – Dimitri? – vide diverse gocce di sudore
scorrere sul viso del suo amico, per poi scomparire oltre il collo della
maglia, mentre il ragazzo stringeva i denti sussultando per i tremori – Dim! –
lo afferrò prima che potesse cadere in avanti, pallido e affaticato e lo fece
stendere al suolo – Ti sei stancato troppo.
- No. - Dimitri scosse la testa – Non è
stanchezza. Mi ha respinto un’ondata di potere allo stato puro contrapposto al
mio.
- Cosa?
Dimitri ebbe un violento colpo di tosse, e
James lo aiutò a mettersi seduto per farlo respirare meglio – Devi andare ad
aiutarla. – disse tra un colpo di tosse e un altro – L’onda di potere che
arriva è quella dell’acqua. Louisa è completamente posseduta da Gabriel. –
James scattò in piedi e lanciò un’occhiata perentoria a Malcom – Lo affido a
te. Fallo riposare.
- Signore?
- Vado da Louisa.
- James? – sussurrò Dimitri, cercando di
soffocare la tosse.
- Solo una cosa può costringere un angelo a
intervenire direttamente. E una volta messa in salvo Louisa, ucciderò Jason con
le mie mani.
NAD: un altro parto completo, a causa della
stanchezza che mi trascino dietro da Agosto..tecnicamente ci sarebbe stato un terzo
POV, quello di Jason, ma è scivolato al capitolo successivo a causa della lunghezza estrema di questo!
Ringrazio come al solito tutti quelli che mi
seguono, qui e su FB! Adoro realizzare extra..
Khyhan.
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Capitolo 8 *** VIII. Nephilim ***
VIII - Nephilim
Nephilim
“I Nephilim
mostrarono di essere sulla Terra
in quei giorni, e
anche dopo,
quando i figli di
Dio continuarono
ad avere relazione
con le figlie degli uomini
ed esse partorirono
loro dei figli.”
Ge
6:4
Quando
Louisa saltò giù dalla moto, non ancora del tutto ferma, dentro di sé Jason
maledisse quella testa dura che cambiava umore ogni cinque minuti.
Con
tutta probabilità, Louisa lo stava facendo diventare matto. Ogni suo gesto,
ogni sua parola, lo stavano portando sull’orlo della follia e di questo passo
l’avrebbero dovuto far ricoverare. Seriamente.
Jason
seguì la figura snella della ragazza tra la folla, desiderando sapere perché
Louisa continuasse ad agire di testa sua.
Seguire
le regole che Jason aveva implicitamente detto, non era difficile: doveva stare
tranquilla al suo fianco senza avere colpi di testa e il resto sarebbe venuto
da se.
Senza
perderla di vista si passò una mano tra i capelli, sentendo la frustrazione crescere.
La sua vita dipendeva da lei, e lei, non si curava minimamente di rimanere dove
lui potesse proteggerla: al suo fianco, possibilmente senza fare il minimo
rumore. Accelerò il passo quando Louisa si mise a correre e si ripromise di
procurarsi al più presto un paio di manette con un metro di catena.
Quando
la raggiunse, la afferrò per un braccio costringendola a voltarsi – Non. – cominciò,
fulminandola con lo sguardo – Osare. Mai. Più. Allontanarti. Da. Me. – scandì
ogni parola, mettendoci tutta la rabbia e la preoccupazione che stava provando.
-
Jason! – Louisa sobbalzò sul posto quando lo riconobbe – Io li ho visti, erano
tre! Con i loro visi d’angelo e i sorrisi crudeli. – il sopracciglio di Jason
si alzò interrogativo, mentre lui tentava di seguire il discorso della ragazza
– Non me li sono sognata, lo giuro. – proseguì lei tra un respiro corto e
l’altro.
Il
viso pallido di Louisa era contratto dalla preoccupazione e dalla paura. Mentre
lei cercava di trovare le parole adatte, un vago senso di allarme lo colpì alla
testa mettendolo sull’attenti. La afferrò per le spalle e la scosse con più
violenza di quanto non volesse – Chi hai visto?
-
I Nephilim! – esclamò con gli occhi lucidi - Li ho visti, loro… - Louisa si
accasciò al suolo stringendosi convulsamente la maglia con una mano; e Jason si
inginocchiò al suo fianco quando la ragazza prese a urlare – Louisa? – chiese
stringendola a sé, cercando di farla calmare – Che ti è preso?
-
Non possiamo aspettare James. – sussurrò riprendendo fiato – Un’anima ha gridato.
In una maniera così dolorosa. – Jason aprì la bocca per chiederle cosa
intendesse dire, ma la richiuse seccamente sotto lo sguardo perso e angosciato
della ragazza – Solo una cosa può far gridare un’anima così: un torto atroce!
Senza
aspettare una sua risposta, Louisa si rialzò e riprese a correre e Jason la
seguì in silenzio, sicuro che quello non fosse il momento adatto per farle
domande.
Era
per quello che erano venuti, Louisa doveva dimostrare a sé stessa, e a James,
di aver la grinta e il coraggio necessario per affrontare qualunque situazione
senza demoralizzarsi.
Quando
lui voltò all’imboccatura di una strada laterale, quasi si scontrò con Louisa,
che paralizzata, osservava tre ragazzi chiudere in un angolo una donna. Si
preparò a intervenire quando Louisa lo precedette – Lasciatela stare!
Louisa
lanciò il casco che teneva ancora in mano andando a colpire sulla spalla uno
dei tre uomini.
Jason
non l’avrebbe definito un lancio perfetto, ma lei riuscì lo stesso a spostare l’attenzione
del terzetto su di se.
Il
ragazzo si voltò lentamente facendole un largo ghigno sprezzante e il
campanello d’allarme di Jason rimbombò cupo nel suo cervello – Ti pentirai di
questo, ragazzina. – il corpo di Jason reagì per lui. La strinse a sé e saltò
di lato, evitando l’attacco dell’uomo, così veloce, che solo il sesto senso e
il fisico allenato di Jason, erano riusciti ad evitare che quel colpo si
abbattesse sulla testa della ragazza – Devo ammettere, - commentò con un
piccolo sorriso, stringendo ancora Louisa tra le braccia – Che quando ti cacci
nei guai lo fai in grande. – si mise tra lei e i Nephilim, che ora lo
scrutavano attentamente, seguendo ogni suo movimento – Sta indietro, non
intralciarmi. – disse senza voltarsi. Sentì alcuni rumori alle sue spalle e
sperò che lei si fosse messa al riparo. Non gli piacevano per niente gli
sguardi che quei tre le lanciavano. Erano famelici e ferini, mentre si
leccavano le labbra.
–
Un Sigillo. – disse quello che teneva ferma la ragazza, che singhiozzava e
pregava chiedendo aiuto. Il Nephilim si voltò verso di lei e la baciò
delicatamente sul collo – Mi dispiace tesoro, - sussurrò piano, rigirandosi una
ciocca di capelli della donna tra le dita – Non possiamo più divertirci insieme.
-
No! – le voci di Jason e Louisa risuonarono
all’unisono, quando il Nephilim affondò la mano nel petto della ragazza, che cadde
a terra senza emettere un suono, con gli occhi sbarrati ricolmi di dolore e
increduli.
A
Jason si torse lo stomaco per quella crudeltà gratuita, e per un attimo un velo
rosso calò sui suoi occhi accecando la sua parte razionale. Avrebbe spezzato
ogni singolo osso di quel Nephilim, che ora, si stava tranquillamente leccando
via il sangue della ragazza dalla mano – Fratelli, - disse tenendo gli occhi
fissi su Louisa – Uccidete il ragazzo, poi potremo giocare con il Sigillo.
-
Louisa, - sussurrò Jason arretrando verso di lei per nasconderla alla loro
vista – Se ti dico scappa, tu corri via e non voltarti, chiaro? – non sentì la
risposta di Louisa, perché i due Nephilim lo attaccarono contemporaneamente.
Il
suo corpo allenato si mosse di nuovo per lui, si abbassò per evitare un colpo
al viso e contrattaccò mirando allo sterno con colpo a mano aperta che avrebbe
dovuto sfondargli l’osso. Il Nephilim scoppiò a ridere rimanendo immobile, e colpì Jason alla schiena, spedendolo in
ginocchio.
Lui
rotolò via, cercando di disimpegnarsi e strinse i denti per il dolore quando un
calcio alle costole lo gettò a terra senza fiato.
–
Jason! – Louisa gli si parò davanti facendogli da scudo con il suo corpo.
-
Louisa, - sussurrò, sputando sangue. Non si aspettava dei colpi così violenti e
veloci. Li aveva completamente sottovalutati. Nonostante il suo allenamento non
era alla loro altezza – Va via.
I
Nephilim scoppiarono a ridere in faccia a Louisa – Non è ancora ora di morire
per te, piccolo Sigillo.
Jason
si rialzò lentamente sulle braccia tremanti, quando un Nephilim la afferrò per
il collo. Con un urlo l’uomo la lasciò andare guardandosi la mano fumante e poi
Louisa con odio – Piccola troia! Tu e il tuo anello. – Jason scattò e si gettò
su di lei. Rotolarono abbracciati diverse volte finché Jason non sbatté la schiena contro dei bancali
in un angolo – Va via. – sibilò, prima di rialzarsi. Le gambe erano insicure e
faceva fatica a mettere a fuoco, mentre la testa gli girava – Devi andare via.
– ripeté scuotendo la testa, cercando di liberarsi del fastidioso fischio alle
orecchie.
-
Jason, - singhiozzò Louisa – Sei ferito. La schiena. La tua schiena. – non prestò alle attenzione alle parole della
ragazza, perché i tre Nephilim tornarono alla carica, e lui, era troppo
impegnato a difendersi per poter pensare alle sue ferite.
In
tanti anni, non si era mai trovato ad affrontare una prova simile, persino
Belial gli sembrava una passeggiata a confronto. I Nephilim non gli lasciavano
il tempo di contrattaccare, mettendolo sempre più all’angolo, costringendolo a chiudersi
in una difesa serrata – Jason! – Louisa colpì alla testa uno dei Nephilim con una
tavola di legno.
–
Mi stai stancando, ragazzina. – ringhiò il Nephilim senza scomporsi. Le sferrò
un violento pugno all’addome, che spedì Louisa tre metri indietro.
-
Louisa! – quel momento di distrazione gli costò caro. Due Nephilim lo misero in
ginocchio, afferrandolo per le braccia e con un ginocchio premuto contro le
ferite alla schiena. Si morse la lingua per non urlare di dolore e
frustrazione, fissando impotente Louisa, immobile a terra – Fratello, - disse
il Nephilim che lo teneva immobilizzato – Che ne pensi se gli strappassi le
braccia? – la tensione sui suoi muscoli e sulle spalle crebbe fino allo spasmo,
mentre il Nephilim gliele tirava lentamente, godendo di ogni singola smorfia
sul volto di Jason.
-
Fermi. – una voce femminile, fredda e altezzosa arrivò dall’imboccatura del
vicolo. La ragazza bionda si avvicinò lentamente con un freddo sorriso stampato
sul volto bellissimo. Il suono dei suoi tacchi sul selciato fu l’unico suono
per diversi secondi – Non uccidetelo ancora. – disse accarezzandogli la
mascella con un dito gelido - Jacob, prendi la ragazza, da bravo. Portamela
qui, fa si che il ragazzo la veda bene.
-
C-chi sei? – sussurrò Jason. I muscoli gli tremarono violentemente quando la
tensione calò, mentre le ferite e crampi lo costrinsero a mordersi la lingua
pur di non urlare.
-
Non lo sai? – domandò lei, disegnandogli il contorno delle labbra con l’indice
– Io sono Tamiel. E questi, sono i miei tre figli. E questa, - disse tocca il
volto di Louisa svenuta, mentre il Nephilim chiamato Jacob la appoggiava ai
suoi piedi – È una piccola Sigillo. Svegliati, Sigillo. – trillò all’orecchio
di Louisa - Fammi sentire le urla e guardare i tuoi occhi addolorati, mentre
torturo il tuo amico. Implorami di risparmiargli la vita.
-
Lasciala stare! Non osare toccarla! – il sorriso di Tamiel si allargò fino ai
canini, mentre lo guardava divincolarsi nella presa dei Nephilim.
-
Questa sì, che è una cosa interessante. – disse passandosi la lingua sulle
labbra - Sei innamorato di lei. – gli occhi le guizzarono malevoli da Louisa a
Jason – Lo sai, - Tamiel era così vicina che gli sfiorò con le labbra l’orecchio
– Che non la puoi avere? Te l’hanno spiegato, vero? La sua vita è dedicata a
Dio. Tutto, dal suo corpo alla sua mente, appartiene a Dio. E questo ti
torturerà fino alla morte. Guardala, - disse prendendogli la mascella – È
bella, vero? – scoppiò a ridere e si chinò su Louisa estraendo un coltello
dallo stivale di pelle nera – Potrei sbucciare il suo viso come una mela. Che
ne pensi ragazzo? Non sarebbe più così carina dopo. Come la guarderebbe Dio? Come
la guarderesti tu? La desidereresti ancora? Non guardarmi così, ragazzo. Vedo
nei tuoi occhi che la vuoi.
Jason
tirò un violento strattone al Nephilim che lo teneva fermo, rischiando di
slogarsi la spalla – No, no, ragazzo non ci siamo. Quando ti faccio una
domanda, devi rispondermi. – disse passando il piatto della lama sul volto di
Louisa – Penso che una dose di sano dolore ti aiuterà a capire meglio la
situazione. Jacob, piccolo mio, colpiscilo, ma non lasciarli segni su quel bel
faccino. Sarebbe uno spreco. – Jacob gli mostrò i denti, e senza farselo
ripetere due volte, gli diede due calci allo stomaco, mozzandogli il fiato e si accasciò
ansimante contro il terreno – Mi piacciono gli uomini come te, – disse Tamiel
prendendogli il volto tra le mani – Che non emettono un suono nonostante tutto.
Sai, i miei figli, sono tre dei Nephilim migliori, proprio perché i loro padri
erano forti. – lo baciò e Jason scartò all’indietro quando Tamiel gli morse il
labbro inferiore, spaccandoglielo – Hai il fuoco negli occhi. – disse
ripulendogli il labbro dal sangue con un dito – Mi daresti dei Nephilim
potenti, forse come quelli di un tempo. Quando gli uomini, non erano quei vili,
codardi di adesso. – sferrò un calcio a Louisa, e il battito di Jason accelerò
e la rabbia lo sferzò violentemente – Non toccarla! – si divincolò fino a
liberarsi un braccio, che corse subito al collo di Tamiel. Ma prima di poterla
toccare fu sbattuto a terra con una mano che gli premeva la testa contro il
selciato – I miei figli mi sono molto devoti, non proverei a sfidarli se fossi
in te. – disse Tamiel con un sorriso, accarezzando le spalle di Jacob – Ho
selezionato accuratamente i loro padri per rendere i miei figli più forti degli
altri Nephilim. E invece di farli scendere in battaglia come hanno ordinato i
miei fratelli, ho chiesto loro di battere le strade per trovare ragazzi forti e
coraggiosi da portarmi, – afferrò Jason per i capelli e gli tirò su la testa, mettendosi
all’altezza dei suoi occhi – Ma non mi sarei mai aspettata di trovare te.
Innamorato di un Sigillo e in grado di fare qualsiasi cosa per lei. Sai, -
proseguì lasciandolo andare e tornando da Louisa - Gli uomini innamorati mi
hanno sempre dato i risultati migliori. Mi piace strapparli alle loro donne e
farli cadere ai miei piedi folli d’amore per me e pronti a soddisfare ogni mio
desiderio. Del resto sono io la migliore, più di quelle donne sciatte, più
di Ismael, migliore perfino di Shamyanza.
-
Tu sei pazza! – sputò Jason tra i denti, facendo fatica a respirare con le mani
dei Nephilim che gli comprimevano il torace – Pazza e gelosa. Ed io non mi
concederò mai a te. Hai capito? La mia vita, la mia esistenza, appartengono a
Louisa. – si bloccò di colpo quando vide la furia cieca negli occhi neri di
Tamiel. I suoi sentimenti per Louisa avrebbero dovuto rimanere segreti,
relegati in un angolo del suo cuore. Lui stesso si rifiutava di riconoscerli e
approfondirli e faceva di tutto per allontanare la ragazza.
-
Quindi, - disse Tamiel, strinse il pugnale convulsamente, guardando Louisa con
odio – Preferisci la piccola Sigillo. – fece un profondo respiro, mentre
tremava da capo a piedi - Molto bene. Figli miei, - ordinò ai Nephilim che lo
tenevano fermo – Tiratelo su. Fategli vedere bene, come intendo spezzare la sua
amata ragazzina. – Jason si ritrovò in piedi, con una mano serrata attorno alla gola,
che gli permetteva appena di respirare, e un’altra che gli teneva entrambe le braccia
inchiodate contro la schiena – Non toccarla. – ringhiò Jason, quando Tamiel
sfiorò Louisa con un dito.
–
Non sai dirmi altro? – chiese malevola Tamiel – Non toccarla? Non la ucciderò
se è quello che temi. – si chinò su di lei scostandole delicatamente i capelli
dal visto - Quanti secoli sono passati, eh, Gabriel? – disse dolcemente,
disegnandole la linea della gola con la punta della lama - Quanti millenni, da quando
tu e i tuoi fratelli Arcangeli mi relegaste sotto terra? Ricordo perfettamente
il tuo sguardo freddo e distante, privo di qualsiasi compassione quando mi
gettasti in quell’inferno oscuro. E ora, che la tua protetta è tra le mie mani
ancora non ti decidi a intervenire per salvarla. – inaspettatamente, si recise
una vena del polso e lasciò che il sangue le scorresse fino alle dita – Sai che
la farò soffrire come tu hai fatto con me, vero Gabriel?
-
Smettila! – Jason soffocò, quando il Nephilim gli strinse di più la gola.
-
Mi avete lasciato marcire sotto terra per millenni, - continuò ignorando Jason,
con gli occhi scuri colmi di rabbia e follia – Mi avete costretto a guardare
queste immonde creature, che Dio tanto ama, a godere della luce del sole e a
bearsi dei frutti di questo pianeta. – Tamiel afferrò il volto di Louisa e le
aprì la bocca, facendole bere diverse gocce del suo sangue – Dove sei ora,
Gabriel? – cantilenò con un sorriso beato - Dove sei, eh Signora delle Acque,
mentre la ragazza a cui hai donato una piccola parte del tuo immenso potere si
prepara a sprofondare nell’abisso che ho creato per lei? – Louisa iniziò a
tremare violentemente, e Tamiel le poggiò un ginocchio sul torace per tenerla
ferma, mettendole il braccio tra le labbra per costringerla a bere. – Su, bevi
bambina, il peggio deve ancora arrivare. Presto, tutto quello che possiedi lo offrirai
a me. E ti prometto che lo ridurrò in cenere davanti ai tuoi occhi prima di
prendermi la tua vita. – soddisfatta Tamiel, si alzò – Lasciate respirare il ragazzo.
– la presa sul collo di Jason si affievolì, e prese dei rapidi respiri,
costringendo l’aria a tornare a circolargli nei polmoni - Non lo voglio morto. Deve
prima imparare. – si avvicinò lentamente a Jason, facendogli le fusa e
appoggiando la testa sul suo petto – Un giorno, mio caro, sarai mio. Te lo
prometto. Lei stessa ti costringerà a venire da me in cerca di conforto. – gli
diede un rapido bacio e si voltò a guardare Louisa scossa dalle convulsioni –
Ci vediamo presto. – li salutò senza voltarsi – Voi tre, ragazzi miei, vedete
di non uccidete i miei giocattoli, mentre vi divertite.
Come
Tamiel girò l’angolo, il silenzio che era calato sui Nephilim si spezzò e
iniziarono a litigare – Dovremmo portarli subito da nostra madre.
-
Hai visto il corpo del Sigillo? Potremmo divertirci con lei, prima di
portargliela. Non ci ha detto di lasciarla intatta.
-
Silenzio! – urlò Jacob – Tenete fermo
il ragazzo, mentre mi occupo di lei.
-
Ma nostra madre…
-
Se non lo saprà, - rispose il Nephilim dandogli le spalle – Non soffrirà. Strapperò
il cuore al Sigillo come ho fatto con la ragazza, laggiù. Non se ne accorgerà nemmeno.
È caritatevole da parte mia, no?
-
E il ragazzo?
Jacob
scoppiò a ridere – Gli daremo un minuto di vantaggio prima di dargli la caccia.
– Jacob sovrastò Louisa ancora incosciente, e con il respiro corto.
Jason
si divincolò di nuovo, cercando di liberarsi, ma con un calcio i Nephilim lo
costrinsero in ginocchio.
Sotto
il suo sguardo impotente, il Nephilim caricò il pugno mirando al cuore di
Louisa.
-
Non osare toccarmi Nephilim. – ad una velocità che Jason non aveva mai visto
prima, Louisa gli intercettò il braccio, e con un movimento fluido, si rimise
in piedi.
Gli
occhi grigi della ragazza erano freddi e distanti, e il volto impassibile, non
mostrava alcuna traccia di paura o di pietà, mentre squadrava i Nephilim nel
vicolo – La vostra esistenza immonda è un’offesa per la vista di Dio e per la
Creazione. – il suo suono secco di un braccio rotto si propagò nell’aria,
seguito dall’urlo di dolore del Nephilim.
La
bocca di Jason si seccò, quando vide la mano di Louisa stritolare il braccio apparentemente
senza sforzo e senza scomporsi minimamente – E per rispetto verso il Padre, vi
cancellerò dalla faccia della Terra. – tenendo fermo il Nephilim con un solo
braccio si strappò l’anello dal collo e lo strinse nel palmo, finché non le
apparve in mano una lunga lancia trasparente, che affondò nel cuore del
Nephilim uccidendolo all’istante.
-
Ferma, Sigillo. – disse il Nephilim che teneva immobilizzato Jason – O uccido
il ragazzo. – sottolineò la minaccia puntando le dita contro la carotide, e
Jason, sentì un rivolo di sangue scorrergli lungo collo.
Alzò
lo sguardo su Louisa, che fissava immobile il terzetto, silenziosa e altera. Era
bellissima e potente con la lancia in mano, ma chiunque lei fosse non era
Louisa, e per distruggere i Nephilim non
avrebbe esitato a sacrificarlo. Glielo
leggeva nella profondità di quegli occhi grigi.
-
Non scendo a patti con i Nephilim. – disse appoggiando la lancia per terra –
Esseri come voi vanno cancellati.
Jason
chiuse gli occhi, preparandosi a morire quando le mani che lo tenevano
immobilizzato si irrigidirono, per poi lasciarlo andare, e i due Nephilim
caddero a terra con due punte ghiacciate che gli uscivano dalla schiena. Esattamente
in mezzo al torace.
-
Hai? – sussurrò Jason, guardandosi intorno – Cosa? Come? Louisa? – le domande
gli si affollarono in mente, mentre la ragazza si avvicinò a lui. Avrebbe
voluto ritrarsi, ma qualcosa dentro di lui lo fermò, costringendolo ad
aspettare guardingo.
-
Non sono Louisa. – disse chinandosi su di lui e accarezzandogli il collo. Il
tocco dolce, ma fermo di quella mano rallentò il suo battito impazzito e un
lieve tepore si diffuse dentro di lui – Le ferite dei Nephilim sono dure a
guarire, ma per queste, posso aiutarti io.
-
Chi sei? – non riconobbe la sua voce mentre fondo della gola gli bruciò,
sentendo il gusto metallico del sangue.
-
Gabriel, Arcangelo del Machonon.
Ascoltami bene Jason Fen, perché posso rimanere in questo corpo ancora per
pochi secondi. Louisa ha bisogno di te, molto più di quello che credi. Ciò che
le ha fatto Tamiel è crudele oltre immaginazione. Ed io non posso più
intervenire per aiutarla. La sua anima non sopravvivrebbe a un’altra
possessione da parte mia. Quando ho suggerito a Louisa le parole da usare nella
lingua del Cielo, tra voi due si è creato un legame molto profondo. Un legame
che va oltre a quello della vita e della morte. Se vuoi sinceramente
proteggerla dovrai diventare più forte e
per farlo, dovrai accettare completamente ciò che ti unisce a lei.
-
Hai, - disse Jason cercando di reprimere la rabbia. Urlare contro un angelo non
gli sembrava una buona idea – Suggerito tu quelle parole? L’hai legata tu a me?
-
Conosco il cuore di Louisa. Lo conosco meglio di chiunque altro. Se non avesse
avuto nobili intenzioni e non fosse stata assolutamente sicura di volerti
salvare tu saresti morto.
Jason
aprì e chiuse la bocca un paio di volte, mentre il dolore che aveva alla gola e
alla schiena si affievolì – Un’ultima cosa, non sempre ciò in cui si crede è ciò
che è giusto. – con quell’ultima frase enigmatica Louisa si accasciò tra le sue
braccia.
-
Che vuoi dire? Aspetta! Che intendi dire con questo? – scosse Louisa un paio di
volte – Hei! Stronzo di un angelo! Dammi una risposta!
-
Piantala! – la voce di James lo costrinse ad alzare la testa e il ragazzo entrò
spedito nel vicolo, guardandosi intorno – Che è successo? Chi ha ucciso questi
Nephilim? – si chinò su Louisa, il cui respiro era veloce e spezzato.
-
Louisa. – rispose Jason – O meglio…
-
Louisa ha la febbre alta. – disse James stringendola tra le braccia,
sottraendola a Jason – Dimmi una cosa, Louisa era diversa, vero? Si comportava
e si muoveva in maniera diversa. – James raccolse l’anello di Louisa vicino al
ginocchio di Jason e se lo mise in tasca.
Jason annuì e la furia negli occhi di James si
accese quando lo afferrò per la felpa – Maledetto bastardo! – ringhiò a un
palmo dal suo naso - Tu non hai idea del danno che hai fatto! La possessione di
essere spirituale è a rischio e pericolo del corpo ospite. Louisa sta lottando
con tutte le sue forze per sopravvivere. E ti posso garantire, che se muore,
Guardiano o non Guardiano io ti riduco in pezzi. – afferrò il telefono e
premette il numero della chiamata rapida. – Sono James. Ho trovato Louisa. Sono
in un vicolo laterale della strada principale, a mezzo chilometro prima della
chiesa. Sì, sbrigatevi Louisa ha la febbre. – cullò piano Louisa, ancora
svenuta tra le sue braccia, senza degnare di un’occhiata Jason, che fissava il
volto esangue della ragazza e il suo petto che si alzava e abbassava
velocemente – Andrà tutto bene, Lou. – disse James piano – Puoi farcela. So che
puoi farcela. Sei forte.
-
Basta. – disse Jason, risentito di quel comportamento e di quelle accuse –
Louisa non è una bambola, smettila di trattarla come se lo fosse.
-
Tu, - ringhiò James in risposta – Sei l’ultimo che ha diritto di parola. Non
sai come vivevamo prima del tuo arrivo. Non sai come viveva lei, ne sai quello
che prova…
-
Ho visto come la tratti! – interruppe Jason con i polsi che gli tremavano – La
tieni sotto un campana di vetro senza darle la possibilità di mettersi alla
prova!
-
Lo faccio per il suo bene! Per una volta che non c’eravamo a proteggerla ha
rischiato di morire. Perché solo quello può indurre un Arcangelo a intervenire,
la certezza della morte del suo protetto! Se non fosse stato per te…
-
James, basta. – Dimitri gli mise la mano sulla spalla – Louisa sta male, e se
litigate non l’aiuterete di certo. Dobbiamo portarla all’Istituto e farla
curare.
-
No, - sussurrò James alzandosi in piedi – La portiamo all’Istituto di Brecht. È
il più vicino.
-
Ma è solo un Istituto di ricerca! – protestò Dimitri
-
Ha un’infermeria! Ed è a trenta chilometri da qui. Questo mi basta. – James si
avviò verso la macchina in attesa con Louisa tra in braccio e la infilò in
macchina – Occupati tu di lui, - rivolse un’occhiata velenosa a Jason – Fanne
quello che vuoi, basta che me lo tieni lontano.
Seduto
sul sedile posteriore del SUV, Jason fissava attentamente la strada e l’auto
davanti a lui, stretto tra Dimitri e un Custode.
Le
parole di Tamiel gli rimbombarono nelle orecchie come una condanna a morte.
Innamorato.
Da
anni, cercava di evitare in tutti i modi di provare di nuovo sentimenti del
genere. L’amore per una ragazza lo aveva reso ridicolo davanti a tutta la
scuola; l’aveva fatto litigare con il suo migliore amico, e soprattutto, aveva
passato la maggior parte di quei giorni a odiarsi per ciò che le aveva fatto.
Dopo
quella storia, aveva fatto in modo di non far durare una relazione più di tre
mesi e sempre, mettendo le cose in chiaro fin da subito: lui non voleva una
ragazza.
In
tre giorni Louisa gli aveva ribaltato il mondo. Lei non cercava nulla del
genere in lui, anzi non lo voleva proprio; e ora, quello strano legame che
aveva con la ragazza lo stava stritolando, impedendogli di pensare liberamente.
Perché, mentre i Nephilim lo minacciavano, mentre Tamiel gongolava davanti a
lui, l’unica cosa a cui pensava era di far uscire illesa Louisa da quel casino.
Se
c’era qualcosa di peggio dell’essere il Guardiano di Louisa, era di essere impotente
davanti a quegli occhi grigi, che scavano ogni minuto di più dentro di lui.
Strinse
gli occhi mettendo a fuoco la testa di James sul SUV davanti a suo e per
l’ennesima volta, il senso di colpa lo assalì come una frustrata sulle spalle.
Louisa stava male e lui non poteva fare nulla per aiutarla.
-
Smettila di piangerti addosso. – disse Dimitri accanto a lui, sprofondando nel
sedile con le cuffie alle orecchie – Non risolverai nulla, se continui a
puntare verso la macchina davanti a noi come un cane da caccia.
Il
ringhio sordo di Jason fu l’unico avvertimento che diede a Dimitri e serrò le
barricate intorno a lui, impendendo anche al ricordo di Louisa pallida e
incosciente di assalirlo.
-
Dico solo, - proseguì Dimitri giocherellando con il lettore mp3 – Che devi
darti una calmata e pensare. Louisa fra poco sarà visitata da alcuni dei
migliori medici che abbiamo a disposizione, ma tu, hai bisogno di qualcosa di
più. Hai bisogno di parlare.
-
Parlare di cosa? – scattò Jason nella sua direzione – Di quanto sia divertente
stare qui a rischiare di farmi ammazzare?
-
Inizio a pensare che tu lo faccia apposta a non volere nessuno accanto a te. –
Dimitri lo inchiodò con lo sguardo – Comunque io non sono James. So prendermi
le mie responsabilità, ed è anche colpa mia se Louisa sta così e tu sei legato
a lei.
Jason
sussultò sul sedile - Cosa?
-
Non perdere la calma, non ti si addice. – Dimitri gli sorrise e tornò a
concentrarsi sul suo lettore – Rispetto a te, io non ho fatto nulla per
aiutarla. Ho lasciato che James e i custodi gestissero la sua vita senza
intervenire. – mormorò Dimitri così piano che Jason non fu del tutto sicuro di
aver sentito bene – Louisa è una persona pura e gentile, sacrificherebbe se
stessa per salvare qualcun altro. – l’immagine di Louisa mentre si metteva fra
lui e i Nephilim gli si lampeggiò davanti agli occhi e annuì piano – Questo è
il motivo per cui l’abbiamo messa sotto una campana di vetro come hai detto tu.
Non è in grado di uccidere neanche un insetto senza mettersi a piangere per i
sensi di colpa. Non sarebbe in grado di farlo con i Nephilim. Non sarebbe in
grado di sacrificare qualcuno per un bene superiore…
-
Louisa ha ucciso. – lo interruppe Jason, guardando di nuovo davanti a se – I
Nephilim. In quel vicolo.
-
Può averlo fatto la sua mano, – spiegò Dimitri - Ma non la sua anima. Forse è
il caso che ti spieghi cosa è successo esattamente oggi. Tanto per sapere da
che punto partire: sai cosa sono i Nephilim? I Sigilli e i Grigori?
Jason
scosse la testa, e il sorriso di Dimitri si allargò un po’ – Mai fatto
catechismo, vero?
-
Preferivo saltare la parte del “pentitevi o sarete condannati” e passare
direttamente all’ “andate e riproducetevi”.
Dimitri
gli lanciò una lunga occhiata penetrante, per poi scoppiare a ridere – Okay, lo
ammetto. Inizio a capire perché Louisa ci tiene a te e perché stai sulle
scatole a James. Non hai peli sulla lingua.
Jason
gli fece un ghigno – Strano, perché in genere è l’effetto che faccio alla
gente. Stare sulle scatole a tutti.
-
Stai sempre a proteggerti. – Dimitri tamburellò le dita sul ginocchio, seguendo
il ritmo della musica – E non permetti a nessuno di avvicinarsi a te. Senza
offesa, ma sei più simile a James di quello che pensi.
Jason
sbuffò – Questo sì, che è un’offesa. Perché
non la smetti e fai il perfetto maestrino, spiegandomi cosa è successo a
Louisa?
-
Louisa, beh, è stata posseduta da un angelo. – disse Dimitri con un sorriso.
-
Tutto molto più chiaro, prof. Fin là c’ero arrivato pure io.
Dimitri
scosse la testa – Non capisci, i Sigilli, in genere, non si fanno possedere
dagli angeli. Noi siamo emanazioni angeliche. Il nostro potere, i nostri sensi
più sviluppati, perfino le nostre armi, derivano da un briciolo di potere che
gli angeli ci hanno concesso. Noi non siamo gli angeli in questione, conserviamo
la nostra identità, i nostri pensieri e sentimenti e una volta sistemati i
Grigori torneremo a essere normali essere umani.
-
E la possessione dei Sigilli in che modo avviene?
-
Partiamo da più lontano vuoi? I Grigori: loro sono l’esempio più lampante di
possessione angelica. Sono creature spirituali che prendono possesso del corpo
di una persona, schiacciando totalmente l’anima del corpo ospitante e
prendendone il posto.
-
Perché esistono creature simili?
–
Vedi, millenni fa i Grigori appartenevano agli angeli del Primo Cielo. - disse
con un sospiro - Dovevano vegliare sugli uomini, eseguire gli ordini degli
angeli dei Cieli superiori e aiutarci a respingere le tentazioni del male. Sono
stati creati per questo: Grigori, vuol dire appunto Custodi.
Jason
tossì violentemente, e le ferite non ancora chiuse gli mandarono una fitta
dolorosa – Custodi? – la testa gli corse all’uomo accanto a lui e ai due sui
sedili davanti – Stai scherzando spero.
-
Intendo Angeli Custodi. Anche se devo ammettere che ci sei andato vicino, i
Custodi dell’Istituto prendono il nome dagli angeli del Primo Cielo, ma sono
normali esseri umani. Questo te lo posso garantire. Torniamo ai veri Angeli
Custodi? Non tutti seguirono gli ordini di Dio. Alcuni scesero sulla Terra,
invidiosi degli uomini e irati per la benevolenza con cui il Creatore li
guardava. Accecati dall’ira e dalla lussuria, presero possesso degli esseri
umani ed ebbero avere relazioni con loro. Da queste unioni, nacquero i
Nephilim.
-
Quindi i Nephilim sono, - iniziò Jason seguendo il ragionamento di Dimitri – I
figli dei Grigori ed esseri umani?
Dimitri
annuì – Sono mostri dedicati alla distruzione e alla violenza, che incarnano
tutti i sentimenti negativi dei loro genitori angelici. Quando la Terra fu
completamente inquinata dalla loro presenza, Dio mandò il diluvio a
distruggerli; ma i Grigori abbandonarono i loro corpi mortali, ridotti ormai a
dei gusci vuoti senz’anima, e tornarono a essere creature spirituali. Per la
loro presunzione e per i loro peccati, Dio li punì ordinando agli Arcangeli di
legarli nelle profondità della Terra in attesa di giudizio.
-
E questa cosa sta scritta?
-
Nella Bibbia, capitolo della Genesi, il diluvio universale. – rispose rapido
Dimitri.
-
Fantastico – commentò acido Jason – Fidiamoci della Bibbia come se fosse oro
colato. Non ho nient’altro da fare.
-
Dopo quello che hai visto oggi non ci credi?
-
No. –Jason lo guardò di traverso – Ci possono essere mille motivi. Ad esempio
Louisa può soffrire di disturbo della personalità multipla, oppure ho sbattuto
la testa, sono in coma e mi sto sognando tutto.
-
I tuoi sentimenti per Louisa e per noi sono un sogno?
-
I miei sentimenti sono affari miei e ho una fantasia notturna molto fervida.
Posso sognarmi tutto questo casino. Ho sognato di peggio.
-
Bene, visto che ti stai sognando tutto, spiegami perché Louisa è stata
posseduta. – commentò Dimitri sarcastico – E non risparmiarti sui particolari.
-
Beh, - iniziò Jason, cercando di mettere insieme un’idea rapidamente – Non sei
tu il mio subconscio? Perché non lo spieghi tu a me, in modo che l’eroe della
situazione possa capirci qualcosa?
-
Primo: non è un sogno e il tuo sarcasmo fa pena. – rispose Dimitri – Sono
cresciuto con James e fidati, sa essere molto
acido se s’impegna. Secondo: Gabriel è intervenuto per difendere Louisa perché
non c’era altro modo per salvarla. Se non l’avesse fatto, Louisa sarebbe morta
e non ci sarebbe più il Sigillo del Machonon.
Però, come James ti ha detto, tra una scornata e l’altra, la possessione è a
rischio e pericolo del corpo ospite. L’anima di un essere umano si ribella a
questa possessione, per questo Gabriel è rimasta non più di un paio di minuti.
Se avesse proseguito, avrebbe schiacciato l’anima di Louisa, uccidendola.
Questo è quello che fanno i Grigori ed è quello che fanno gli Angeli Caduti
come Belial, si scelgono un corpo e ne distruggono l’anima, in modo che rimanga
solo un involucro che possono occupare e muovere a piacimento.
-
Senza anima il corpo continua a vivere?
-
Ovvio, - proseguì Dimitri guardando fuori dal finestrino – Se il cuore e la
mente continuano a lavorare un corpo può vivere anche senza anima, ma
rimarrebbe vuoto. I sentimenti, i ricordi, le nostre relazioni con gli altri,
questo forma un’anima. Ed è ciò che ci fa diventare Sigilli. Le nostre anime,
quando subiamo un torto, emettono un grido che gli angeli sentono. Questo grido
lo possono sentire anche i Sigilli e dentro di loro desiderano aiutare chi
soffre. Quando succede la prima volta uno degli Arcangeli interviene donandoci
una parte del suo potere, affinché possiamo riparare al torto. Gli Anelli
rispondono alla chiamata dei Sigilli e al potere degli angeli.
-
Per cui Louisa ha visto qualcosa di spaventoso?
Dimitri
scosse la testa di nuovo – Non lo so, Louisa è nata Sigillo. Appena nata
l’anello del Machonon ha risposto a
lei e poi non è più stata in grado di usare alcun potere. Per quel che mi riguarda,
posso dirti che in Grecia ho visto una rivolta studentesca finita nel sangue. –
Jason batté le palpebre a quelle parole e gli si torse lo stomaco al pensiero –
Avevo sette anni quando è successo. – proseguì Dimitri guardando fuori dal
finestrino, appoggiando la testa contro il vetro perso nei ricordi - Mia madre mi ha
trovato nascosto in un angolo della strada che gridavo fino a farmi sanguinare
la gola. Non ho potuto fare nulla per aiutarli. Le loro grida, me le sogno
ancora di notte.
-
Perché subite tutto questo?
-
Abbiamo deciso volontariamente di intervenire. È il nostro desiderio di
riparare ai torti, che ha fatto si che noi fossimo Sigilli. Ci prendiamo sulle
nostre spalle le sofferenze altrui per poter aiutare gli altri. Difendiamo questo
mondo dai Grigorio; almeno fino al Giudizio, quando saranno fermati definitivamente.
-
Gli angeli non possono intervenire e farla finita?
-
No. Sono creature spirituali. Possono agire solo su piano spirituale. I Grigori
hanno corpi umani, ma gli angeli non possono averli senza distruggere una vita
e non possono scacciarli senza creare una catastrofe come il Diluvio. Una volta
che noi li avremo fatti uscire da quei
corpi, gli angeli se ne potranno occupare. E questa è la nostra missione: distruggere
i Nephilim e costringere i Grigori ad abbandonare i corpi degli essere umani.
Jason
fu distratto dal cartello che gli indicava l’ingresso in Belgio e la mente gli
corse a Louisa, chiedendosi cosa le avrebbero fatto una volta arrivati
all’Istituto. Cosa sarebbe successo dopo?
Le
parole di Tamiel gli risuonarono nella mente di nuovo. Innamorato. Scosse la
testa per allontanare la voce squillante di quella donna crudele.
Qualcos’altro
però, lo fece scattare sul posto come una molla, sbloccandogli il cervello –
Hai detto che i Grigori sono stati imprigionati dopo il Diluvio. – disse,
ricordandosi che anche Tamiel aveva parlato di una prigione – Perché sono
liberi?
-
Questa è una bella domanda. – riposte Dimitri battendosi un dito sulle labbra –
Non lo sappiamo.
-
Che cosa! – scattò Jason
Lui
alzò le spalle, per nulla impressionato dello sguardo furioso di Jason – Dico
la verità. Non lo sappiamo. Dovrebbero essere imprigionati, eppure ci sono i
Nephilim e sappiamo che i Grigori sono liberi. Ismael, che tu e Louisa avete
incontrato, fu una delle prime a cadere.
Jason
chiuse gli occhi per qualche secondo, digerendo le notizie che gli avevano
appena dato – Che sai dirmi di Tamiel?
La
fronte di Dimitri si corrugò per qualche secondo, prima che lui si voltasse
verso Jason – A quel che ne so, Tamiel fu il secondo Grigorio a peccare, subito
dopo Shamyaza. È uno dei più potenti, geloso del mondo che Dio ci ha donato e
invidioso della nostra libertà.
-
Il secondo? Non è una donna?
Dimitri
lo guardò di traverso – Un angelo non ha sesso. Lo acquista in base al corpo
che possiede. Ci rivolgiamo a Gabriel come ad una donna perché Louisa è la sua
emanazione, ma no, non hanno un sesso preciso.
Jason
scosse la testa, si rifiutava categoricamente di crederci. Non era mai stato un
credente, andava a messa la domenica solo perché suo padre ce lo trascinava e
aveva completamente smesso dopo il suo funerale. E dopo l’inspiegabile morte di
suo padre, qualsiasi curiosità verso Dio morì con lui.
-
Siamo arrivati. – la voce pacata di Dimitri lo riscosse e alzò la testa per
vedere delle alte mura, telecamere e torrette di osservazione con uomini armati
fino ai denti a fare la guardia – Una caserma? – ringhiò piano Jason,
sentendosi in trappola.
-
Precauzioni. – spiegò Dimitri – Questo Istituto non è protetto come l’altro,
con le parole nella lingua del Cielo scritte sulle mura. Devono contare sui
loro occhi e orecchie per evitare attacchi.
Jason
si guardò intorno guardingo, mentre le guardie all’ingresso controllavano con
lo scanner gel le impronte del guidatore e quelle di Dimitri – Garantisco io
per lui. – disse Dimitri, indicandolo con il pollice – Non credo che i suoi
dati siano ancora stati inseriti, ma è dei nostri. – le guardie fissarono Jason
scettiche, ma si spostarono per far passare la macchina.
-
Sono tutti così tetri qui? – chiese Jason, allungando la testa per guardare
i bassi edifici grigi e le finestre a
specchio che riflettevano la luce bianca dei lampioni.
-
Oggi sono di buon’umore. E sicuramente James li ha avvertiti del nostro arrivo.
– il SUV davanti al loro parcheggiò e rapidamente, una squadra di quattro
persone prese in consegna Louisa, caricandola su una barella, e sparì dietro le
porte a vetri dell’edificio davanti a loro.
Jason
saltò giù dall’auto appena dopo Dimitri e raggiunse James – Louisa? – chiese
senza preamboli, mentre il ragazzo premeva la mano sullo scanner.
-
Non sono affari tuoi.
Jason
lo spinse contro il muro, premendogli l’avambraccio contro la trachea – Ma che
problemi hai?
-
Vuoi davvero saperlo? – James alzò il mento, senza scomporsi alla minaccia di Jason – Tu sei il mio problema. Vieni a
chiedermi di lei, quando sei solo preoccupato per te, ben sapendo che se lei
muore, tu muori. Sai che ti dico? Senza di te Louisa non avrebbe la febbre a
quaranta, non starebbe lottando con tutta se stessa per tenere la sua anima ancorata
al suo corpo. Senza di te, lei non sarebbe stata così impulsiva. – il tono
tranquillo con cui parlò fece arretrare Jason di un passo e James ne approfittò
per scrollarselo di dosso – Ora, - proseguì James gelido – Se vuoi scusarmi,
vado a informarmi sulla salute di Louisa. Tu approfittane per sparire da
davanti ai miei occhi. – senza attendere risposta, James varcò le porte richiudendosele
alle spalle senza degnarlo di una seconda occhiata.
-
Hai veramente fatto arrabbiare James. – disse Dimitri alle sue spalle – In
genere lui urla parecchio, quando parla così è perché si sta trattenendo dal
commettere un omicidio.
-
Fammi entrare. – disse quando lo scanner gli impedì l’accesso – So che puoi
farlo. Fammi entrare.
-
Che farai poi? Sfidare James non è una buona idea. Fidati.
Jason
tirò un pugno al muro – Non mi importa! – urlò ignorando il dolore alla mano –
Lei sta male. Voglio sapere come sta.
Dimitri
sostenne il suo sguardo per qualche secondo, infine sospirò – Vengo con te.
Magari riesco a evitare di farti ammazzare.
Dimitri
appoggiò la mano sullo scanner e un paio di secondi dopo la luce divenne verde,
aprendo le porte. Lo condusse silenziosamente per i corridoi grigi e austeri.
-
Conosci bene questo posto? – chiese Jason quando lui gli indicò gli ascensori.
-
Abbastanza. – rispose laconico – Io e James siamo venuti qui abbastanza spesso.
Al terzo piano di questo edificio c’è l’infermeria dove hanno portato Louisa. –
spiegò premendo il pulsante
-
Louisa qui c’è mai stata?
-
No. E non avrebbe mai dovuto venire qui.
-
Perché?
Dimitri
passò da un piede all’altro, controllando i numeri dei piani sullo schermò – Vuoi
darmi una risposta! – Dimitri saltò di fianco, quando lui gli urlò nelle
orecchie.
-
Louisa non può venire qui. – rispose infine Dimitri quando si aprirono le porte
dell’ascensore – Qui ci lavora sua madre. E le è proibito vederla. E prima che
tu lo chieda; non lo so il perché, i documenti che la riguardano sono riservati
e a noi è impedito l’accesso.
Dimitri
gli fece cenno di seguirlo e il forte odore di disinfettante e malattia saturarono
le sue narici – Come fate a sopportare questo odore?
Dimitri
si mise le mani in tasca e svoltò, senza far alcun rumore sul linoleum azzurro
spento – Ci sono abituato. – disse tristemente – Vivo in una stanza che ha
sempre questo odore. Ogni giorno della mia vita. Quando non lo sento mi sembra
quasi che manchi qualcosa. – Jason si bloccò di colpo e fissò la schiena di
Dimitri con il cuore che batteva violentemente contro le costole – Sbrigati. –
lo chiamò – Louisa è qui. – disse indicando il vetro – Ma non puoi entrare. È una
rianimazione.
Jason
percorse rapidamente il corridoio e guardò il vetro che lo separava da Louisa –
Che le stanno facendo? - Dieci persone con camici blu scuro e i guanti
circondavano Louisa. Della ragazza vedeva solo i capelli castani e le punte dei
piedi.
-
La stanno sistemando. Le mettono il monitor e un accesso venoso per le
emergenze. Vedi? Hanno finito. – le dieci persone si staccarono quasi
contemporaneamente e due di loro si misero in un angolo a parlare, mentre gli
altri se ne andarono nella stanza adiacente, sparendo alla sua vista.
Jason
riconobbe nel più basso, James che parlava indicando le infusioni e il monitor –
Perché lui è dentro?
-
Perché – disse Dimitri massaggiandosi le orecchie – Lui conosce tutto di
Louisa, dal libretto delle vaccinazioni al suo gruppo sanguigno. In oltre ha
una laurea specialistica in infermieristica dell’emergenza.
-
Ha fatto l’università?
-
Circa. – rispose Dimitri alzando le spalle – Ha ottenuto il permesso di
studiare dentro l’Istituto con dei medici e infermieri specializzati seguendo i
corsi ministeriali. L’ha fatto per aiutarci. Nel caso ci facessimo male sul
campo di battaglia. James, - chiamò premendo il pulsante dell’interfono – Come
sta Louisa? – James alzò lo sguardo, e lo stupore divenne furia quando si
focalizzò su Jason.
Con
lentezza esasperante James si avvicinò alla porta e si tolse i guanti e il
camice.
-
Perché è qui? – chiese chiudendosi la porta alle spalle – Ho detto che non lo
voglio qui.
Jason
serrò la mascella, pronto a dargli una rispostaccia o a prenderlo a pugni, ma
Dimitri lo precedette – Ce l’ho invitato io, James. È veramente preoccupato per
Louisa. Come sta? – James aprì e chiuse le mani svariate volte, squadrando
Jason malamente – Ha la febbre a 40.8°, - rispose cauto - Le hanno infuso un
antipiretico e la stanno idratando. Sono anche corsi a prendere il ghiaccio.
Dovremmo tenerle sotto controllo le urine con il catetere e portare il prelievo
per fare l’emocultura. Probabilmente le faranno una Tac e una risonanza
magnetica, - si passo una mano tra i capelli, scompigliandoseli e Jason gli
vide occhi iniettati di sangue per la stanchezza – Ma dubito che trovino
qualcosa. Non è normale una febbre così alta.
-
Che possiamo fare? – chiese Dimitri
-
Aspettare. Monitorarla. Pregare.
Il
crepitio dell’interfono interruppe il pesante silenzio – James, - disse una
voce lievemente allarmata – Vieni dentro. L’antipiretico non fa effetto.
-
Merda! – James si voltò di scatto ed entrò lasciando Dimitri e Jason a fissare il vetro, mentre lui si
rimetteva camice e guanti. Jason assistette impotente mentre James e uno degli
infermieri controllavano le flebo e aggiungevano altre borse per il ghiaccio –
Devo andare da lei. – fece per afferrare la maniglia quando Dimitri lo fermò –
Per fare cosa? Saresti solo d’intralcio. Sono tutti medici e infermieri
specializzati. Sanno quello che fanno. – la mano di Dimitri tremò leggermente
sul suo polso – Non sei l’unico che vorrebbe essere lì dentro. Ma ne io, ne te
possiamo essere d’aiuto. – Jason sbatté la testa contro lo stipite della porta
e chiuse gli occhi.
-
So chi può aiutarla. – disse deciso aprendo gli occhi – Se c’è qualcuno a cui
affiderei la mia stessa vita quello è lui.
Jason
ripercorse corridoio da cui era arrivato. Will avrebbe sistemato la situazione,
ne era sicuro. Ogni volta che c’erano problemi, lui li risolveva tutti con
calma e padronanza della situazione.
-
Dove vai? – gli urlò dietro Dimitri.
-
A cercare un telefono! Con i cazzotti che ho preso oggi, non credo che il mio
si sia salvato.
-
Puoi usare il mio. – disse Dimitri – Se credi che possa aiutare Louisa, ti
presto il mio telefono. – Jason tornò indietro a rapidi passi, strappando dalle
mani di Dimitri il telefono che gli porgeva e scrisse rapidamente il numero di
Will. Mentre aspettava che il telefono prendesse la linea, spostò il peso da un
piede all’altro – Andiamo non puoi essere a letto! È appena l’una del mattino!
Will maledizione, rispondi! – urlò nel microfono.
-
Non è che mi ispiri a rispondere se mi spacchi i timpani. – disse la voce
assonnata di Will dall’altra parte del telefono – Sai che in genere a quest’ora
la gente dorme?
-
Will, ho bisogno di te. – strinse convulsamente il cellulare nella mano,
sapendo quanto gli costasse dire quelle parole – Louisa sta male e tu sei
l’unico di cui mi fidi.
Sentì
il cigolio del letto in sottofondo –
Sono tutto orecchi.
Jason
ricapitolò velocemente la situazione, interrotto da qualche domanda rapida e
precisa di Will – Ho capito. – disse infine - C’è solo un problema. L’Istituto
di notte è sigillato e non posso muovermi prima dell’alba.
Per
poco Jason non scagliò il telefono dalla frustrazione – Che devo fare? - urlò
-
Nulla. – rispose Will – Appena sorgerà il sole arriverò subito, ma per ora,
puoi solo aspettare.
Jason
sentì il terreno franargli sotto i piedi, in tanti anni Will non lo aveva mai
tradito, mai, nemmeno una volta – Will, - gli si seccò la gola e si appoggiò
contro il muro per non cadere. L’ultima volta che era stato così male, era per lei, ma in quel caso Will era accanto a
lui con la bottiglia di whiskey invecchiato di suo padre in mano – Devo fare
qualcosa.
Dall’altra
parte del telefono calò il silenzio per qualche secondo – Se ci riesci, sta
vicino a Louisa. Arrivo appena mi è possibile, intanto fatti dare tutte le
notizie che riesci e mandami aggiornamenti continui.
-
Si. Hai bisogno anche…
-
Jason. – alzò la testa sentendo la voce di Dimitri – James vuole parlati.
-
Ci sentiamo dopo, Will. Devo andare. Ciao. – si voltò glaciale verso Dimitri,
ricomponendo la maschera di freddezza che gli era scivolata via nelle ultime
ore – Cosa vuole?
-
Louisa sta delirando. – a quelle parole Jason perse un battito – E ti sta chiamando.
Continua a ripetere il tuo nome. James vuole farti entrare nella stanza.
Per
un attimo, Jason ebbe la tentazione di tuffarsi dentro la stanza a sostenere
Louisa, poi irrigidì le spalle e la mascella ricomponendo i pezzi alla deriva
del suo cuore. Doveva stare lontano da lei a tutti i costi, soprattutto ora.
soprattutto dopo le parole di Gabriel sul loro legame – Mi sembrava che lui
avesse tutto sotto controllo. – disse gelido - Non ho alcuna intenzione di
scattare al suo comando non appena chiama. Ne per lui, ne per Louisa. Vado a
bermi un caffè, sempre se lo trovo in questo postaccio.
-
Mezz'ora fa stavi per sfondare la porta! – urlò Dimitri.
-
Mezz'ora fa pensavo che Louisa stesse per morire. Se è in grado di parlare,
allora non sta così male. Non ha bisogno che vada a tenerle la mano. – si
sarebbe preso a calci per quelle parole - Visto che non morirà non capisco
perché devo andare lì dentro, in una stanza che puzza di disinfettante.
-
Pensavi solo a te stesso? Dimmi la verità. – Dimitri lo prese per la felpa e lo
spinse contro il muro, guardandolo dritto negli occhi.
-
Esattamente. – qualcosa morì dentro lui, nello stesso identico momento in cui
pronunciò quella parola – Volevo solo controllare che quelli lì facessero di
tutto per salvarla. È l’unico motivo per cui ho buttato Will giù dal letto, o
non avrei fatto neanche quello. – un pugno lo colpì alla mascella, seguito da
altri quattro in rapida successione. Intercettò il quinto con la mano aperta e
si voltò a guardare Dimitri, sentendo il gusto del sangue in bocca – Ho preso abbastanza
pugni per voi Sigilli oggi. Se ti sei sfogato direi che ora è il mio turno. –
gli girò rapidamente il braccio, portandoglielo dietro la schiena e lo mise a
terra colpendolo dietro le ginocchia – Sei fortunato. – gli sussurrò Jason con
un piccolo sorriso – Io non infierisco sui deboli. – lo lasciò andare e si
allontanò a grandi passi con le mani in tasca.
-
Vattene! – gli urlò Dimitri – Vattene dove vuoi! Va a morire da qualche parte e
sta lontano da noi! Ho completamente sbagliato a fidarmi di te! – Jason si
voltò a guardarlo da sopra la spalla. Dimitri era ancora in ginocchio che lo
fissava con odio – Si, - confermò – Hai completamente sbagliato a fidarti.
Perché di voi non me ne frega un cazzo.
Scese
rapidamente le scale fino a ritrovarsi al piano terra e riprese a respirare
solo quando si fu allontanato abbastanza da quel piano pieno di odore di
disinfettante.
Quando
fu sicuro di essere completamente solo, iniziò a prendere a pugni il muro,
cinque, sei volte, senza fermarsi finché non si ritrovò le nocche scorticate a
sangue – Mi dispiace. – disse mettendosi le mani tra i capelli – Louisa, mi
dispiace, te lo giuro. Ma non posso starti vicino se non ho la possibilità di
aiutarti. – vagò per i corridoi del piano terra silenziosamente, affidandosi
solo alla luce delle strisce poste al livello dei piedi e di quella della luna
che filtrava dalle finestre.
Entrò
trascinando i piedi in una piccola saletta, con delle poltroncine rivestite di
tessuto scuro in un angolo, il divano in tinta nell’altro e un distributore
d’acqua dietro la porta. Lo stomaco gli si torse al primo sorso d’acqua fredda,
ma si costrinse a finire il bicchiere, prima di gettarlo nel cestino, pensando
a Louisa che in quel momento non aveva nemmeno quella consolazione.
Steso
sul divano con un braccio sotto la testa e gli occhi spalancati a fissare il
soffitto, tese le orecchie ascoltando il ticchettio dell’orologio che,
lentamente, scandiva i secondi che lo separavano dall’alba e dall’arrivo di
Will.
Solo
allora si sarebbe concesso di sperare e avrebbe avuto il coraggio di tornare di
sopra.
Si
odiò per quel pensiero codardo. Lui che aveva spronato Louisa a dare il meglio
di se, scappava alla prima difficoltà. Fuggendo dai suoi sentimenti e dai suoi
problemi.
-
Ciao. – quella voce giovane in quel silenzio tetro lo fece sobbalzare e si
voltò a fissare la ragazzina seduta comodamente sulla poltrona a gambe
incrociate. Era sicuro che cinque secondi prima non ci fosse.
-
Chi sei? – chiese Jason sgarbato tornando a prestare attenzione al soffitto.
-
Sono Annaliese Hawkeye, Sigillo del Settimo Cielo e custode del Mondo dei
Sogni. – Jason si drizzò immediatamente a sedere, guardando malevolo la bambina
che aveva davanti – E sono qui per te, Jason Fen. Chiamami Anna. Io e te
dobbiamo fare due chiacchere. – si rigirò l’anello d’oro bianco tra le dita,
mandando bagliori sulle pareti, mentre le si allargò il sorriso sul volto.
Salvala,
non ti ho mai chiesto
nulla in vita mia.
Ora, salvata, ti prego.
NAD:
una volta trovato il tempo di scrive questo capitolo è stato anche abbastanza
veloce… peccato per l’edit che me l’ha fatto praticamente riscrivere! C’erano
frasi che non rendevano l’idea, sentimenti confusi che non riuscivo a
decifrare… Nella mia mente Jason è un casino indescrivibile.
Come
al solito devo ringraziare tutti quelli che mi sostengono ogni volta, che mi
spronano a scrivere e che mi aiutano a tradurre certi sentimenti in frasi che
spero vi facciano battere il cuore (un ringraziamento speciale ad Anna e a Elis
in questo caso è d’obbligo) soprattutto ad Anna che mi ha fatto notare tutto gli
errori!
Quindi
grazie, senza di voi Jason e Louisa si starebbero ancora accapigliando.
Khyhan
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Capitolo 9 *** IX. Somnia ***
IX - Somnia
Somnia
Fa che io ricordi,
mettiamoci in
giudizio insieme,
narrami il tuo
racconto
affinché sia nel
giusto.
Isa
43:26
Jason
squadrò Annaliese in silenzio per un minuto buono. Non dimostrava più di dieci
anni e i capelli color mogano le ricadevano disordinatamente sul viso
coprendole gli occhi.
Aveva
addosso il più bizzarro assortimento di vestiti che Jason avesse mai visto:
come se si fosse vestita al buio o non conoscesse l’abbinamento dei colori.
Sciarpa rosso fuoco con dei pendagli dorati, maglietta giallo limone, gonna
jeans lunga fino al ginocchio con delle stampe a fiori rosa e calze di due
colori differenti: una gialla e l’altra rossa.
Se
Jason avesse incrociato una ragazza simile per strada le avrebbe consegnato un
biglietto di sola andata per il reparto psichiatrico più vicino.
–
Hai finito di studiarmi? – chiese Anna spostandosi i capelli dal viso.
Gli
sorrise e i peli sul collo di Jason si drizzarono in allerta; Anna si era
presentata come Sigillo e la cosa non prometteva nulla di buono. – Torna a
giocare con le bambole, ragazzina. – ringhiò alzandosi – Non ho alcuna voglia
di parlare con una come te. – fece per uscire dalla stanza, ma la porta gli
sbatté in faccia.
–
Per una come me, – ripeté lei sottovoce – Intendi un Sigillo? O una ragazzina
con i vestiti bizzarri?
Jason
si voltò lentamente e le fece un piccolo sorriso. – Bene, bene. Leggi i
pensieri altrui?
Anna
fece una smorfia disgustata – Per carità no! I pensieri sono razionali. Io
leggo i sentimenti, le emozioni, i sogni e i desideri più profondi nascosti nei
cuori delle persone. Mi hai giudicata bizzarra e il tuo Sogno ha subito una
piccola variazione. Io ho solo letto tra le righe.
Jason
si guardò intorno: il salotto era identico a prima, se non fosse stato per la
lancetta dei secondi dell’orologio, che ora era immobile, non avrebbe notato
nulla di diverso. – Siamo in un sogno? Voi Sigilli giocate anche con i sogni?
–
Io entro nei sogni della gente. Solo io, il Sigillo del Settimo Cielo. Non
sarei scivolata nei tuoi sogni se non fosse stata un’emergenza e se non avessi
avuto bisogno di te.
Jason
strinse i pugni. I Sigilli non facevano altro che approfittarsi di lui,
invadendogli, non solo la vita, ora anche la mente. – Se è un mio sogno sai già
la risposta, ma voglio dirtelo con gentilezza: vaffanculo stronza!
Anna
scoppiò a ridergli in faccia. – Sempre di pessimo umore. Ma non proverei a fare
il gradasso con me, Jason. – schioccò le dita e la stanza andò in frantumi.
Al
suo posto apparve un fiume e Jason fece un salto, quando si ritrovò con le
caviglie e le scarpe in ammollo. – Ma sei veramente una gran stronza, te
l’hanno mai detto? Di tutti i posti che ci sono, proprio in mezzo a un fiume
dovevi farmi finire?
Anna
rise, sguazzando in mezzo all’acqua e divertendosi a saltare da una roccia
all’altra, mentre Jason usciva lanciando le scarpe sgrondanti sulla riva. – Che
c’è di male? – chiese lei maliziosamente, con gli occhi brillanti di felicità –
È un sogno, non ti sei realmente bagnato.
Jason
le rispose con un grugnito e si sedette a braccia incrociate fissando la
cascata a pochi metri di distanza da loro. – Dove siamo? – domandò ad alta voce
per sovrastare il frastuono.
–
Dimmelo tu. – rispose lei tendendo una mano per permettere ad una farfalla
gialla di posarcisi sopra – Questo è il tuo sogno. Io posso solo modificare
alcune cose, ma il ricordo da cui l’ho pescato è tuo. – lasciò andare
l’insetto, che volò fino a posarsi sul ginocchio di Jason. Lui lo osservò
attonito, mordendosi la lingua, per non rispondere male. – Esiste veramente? –
chiese Anna sedendosi accanto a lui. – La farfalla. Esiste veramente?
Jason
annuì, confuso. – L’ho vista una volta. – Alzò la testa e guardò prima la
cascata, poi la farfalla e infine Anna – Siamo a Reinchenbach. Queste sono le
cascate di Reinchenbach uno dei luoghi…
–
… più belli che tu abbia mai visto. – concluse Anna per lui. – Ci sei venuto
perché avevi letto Sherlock Holmes e volevi vederle.
Jason
represse l’istinto di prenderla a calci e inspirò profondamente – Smettila!
–
Di fare cosa?
–
Di leggere la mia mente, i miei ricordi. Qualsiasi cosa tu stia leggendo. Sono
cazzi miei.
Anna
alzò le spalle. – L’ho scelto perché le tue emozioni associate a questo posto
sono molto forti. E tu Jason, ora, hai bisogno di una scossa bella forte.
–
Piantala di giocare con la mia testa! E riportami in quell’edificio che puzza
di disinfettante!
–
E se ti dicessi che posso aiutarti far chiarezza con i tuoi sentimenti?
Jason
si irrigidì sul posto e le lanciò un’occhiata velenosa. – Che intendi dire? Cosa sai?
–
I tuoi sentimenti stanno lottando contro la tua parte razionale.
–
Qualsiasi psicologo con un minino di cervello potrebbe dirmi altrettanto e
farsi pagare profumatamente. Bella deduzione, Watson. O sei una psicologa
mancata o sei una psicologa fallita. In ogni caso, se non ti spieghi entro
cinque secondi, farai il volo della cascata. Uno. – disse alzando l’indice.
–
I tuoi sentimenti…
–
Due.
Anna
si morse il labbro. – Tre.
–
Insomma sai che provi delle emozioni molto profonde, ma il cervello li
percepisce come estranee.
–
Quattro.
–
Sto parlando dei tuoi sentimenti per Louisa!
Jason
si bloccò con il braccio a metà. – Cosa sai di Louisa?
–
So che sta morendo. – disse lei in un sussurro. – E che ha bisogno di te. Non
vuole il mio aiuto, o quello di James e Dimitri. Vuole il tuo.
Jason
irrigidì la mascella e sotterrò qualsiasi emozione per la ragazza sotto uno
spesso strato di rabbia. – È la vostra guerra. Non la mia, non sono venuto io a
cercarvi. Mi avete costretto a diventare uno dei vostri.
Jason
si alzò e andò a vedere la cascata dallo sperone roccioso e un piccolo sorriso
gli si disegnò in volto. Per lui, era il simbolo della sua ribellione
adolescenziale. Suo padre gli aveva proibito quel viaggio nonostante lui
volesse vedere Reinchenbach con tutta l’anima. Giunto in cima alla cascata
aveva scattato un’unica foto e gliel’aveva mandata, solo per dimostrargli fin
dove poteva arrivare la sua testardaggine e poi si era stampato in mente quel
paesaggio, affidandolo alla memoria.
–
Tuo padre non voleva che venissi qui.
Non
era una domanda. – Gli chiesi di vedere le cascate, ma lui era sempre stato
contrario a qualsiasi tipo di viaggio, diceva che era troppo vecchio. Figurati,
troppo vecchio per prendere un aereo, ma correva dieci chilometri ogni mattina
e mi batteva ad ogni allenamento. – Si morse l’angolo del labbro inferiore al
ricordo. Il viaggio a Reinchenbach l’aveva fatto litigare furiosamente con suo
padre; non si erano parlati per più di un mese, e quando si allenavano insieme,
Fen si era limitato a correggerlo usando le mani o un bastone da combattimento.
–
Ora sai perché non viaggiava. – disse Anna alle sue spalle.
–
Si nascondeva. – disse deciso Jason, guardando l’acqua scorrere sotto di lui –
Si nascondeva da voi, non dai Grigori. – Seppe di avere ragione nel momento
stesso in cui pronunciò la frase ad alta voce. La mente gli diceva che i
Grigori lo avrebbero ucciso, e con lui, tutti quelli che stavano con Fen se lo
avessero trovato, ma il suo cuore gli sussurrava che i Custodi erano il vero
problema.
Sospirò
tristemente, suo padre non gli aveva mai detto nulla di tutta questa storia.
Ogni volta che Jason gli aveva chiesto dell’anello o delle armi che possedeva,
suo padre si irrigidiva, spiegandogli che una volta apparteneva ad una setta di
poveri pazzi che pensavano di salvare il mondo, e lui era fuggito molto prima
di adottarlo.
Jason
non si era mai aspettato di poter venir coinvolto in tutto questo, né di
incontrare Louisa.
Ce
l’aveva con Fen per non avergli detto la verità, ce l’aveva con lui per averlo messo
in quella situazione disastrosa e ce l’aveva con lui perché gli mancava
terribilmente e perché aveva bisogno dei suoi consigli.
–
Pensi ancora a tuo padre.
Strinse
i pugni, le affermazioni di Annaliese gli davano i nervi, era come se la
bambina conoscesse ogni suo intimo pensiero. – Penso al giorno in cui è morto.
Se
lo ricordava come se fosse successo ieri. Il padre di Will che accoglieva le
persone del villaggio sulla soglia di casa sua, Will, Sophie e la loro madre
che lo circondavano, mettendogli rassicuranti mani sulle spalle, mentre lui
ascoltava le parole carine e gentili di gente di cui non gli importava un
accidenti, domandandosi dove avesse trovato la forza di vestirsi quella mattina.
Il
giorno dopo il funerale aveva sigillato la casa, attivando tutte le trappole
che suo padre gli aveva mostrato ed era andato a vivere da Will, tornandoci
solo il giorno del suo compleanno.
La
cascata di Reinchenbach andò in frantumi scintillanti sotto i suoi occhi e
Jason si ritrovò catapultato in un altro ricordo.
–
Dove siamo?
–
Il Mondo dei Sogni è particolare. – gli rispose Anna con un sorriso – Qui
regnano i sentimenti, i ricordi e desideri. Se pensavi a qualcosa di
particolarmente importante per te è probabile che tu ci sia finito dentro.
Spegni la tua parte razionale e lasciati guidare. Cosa ricordavi?
–
Mio padre. – rispose Jason riconoscendo il salotto di casa sua. – Alla sera del
suo funerale. Will mi aveva proposto di dormire da lui, ma non me la sentivo. –
si avvicinò al divano e vide la copia di se stesso, con l’abito da cerimonia,
rigirarsi fra le dita l’anello di suo padre ignorando volutamente il telefono
che squillava incessantemente. – Ho passato tutta la notte su quel divano a
domandarmi cosa dovessi fare.
Fece
il giro del salotto, nel corso degli anni Jason aveva cambiato di pochissimo
l’arredamento. Aveva solo sostituito il tavolino da caffè, perché quello di suo
padre si era rotto al suo ventesimo compleanno e aveva aggiunto alcuni libri
sullo scaffale accanto al camino.
–
Jason, smettila. Mi farai venire mal di testa. – Anna si massaggiò le tempie e
lo guardò tristemente.
–
Devo smettere di fare che cosa?
–
I tuoi ricordi più recenti si stanno sovrapponendo con quelli più vecchi.
Guarda. – gli indicò il centro della stanza. Il tavolino non era più quello
originale, ma era diventato quello che aveva comprato successivamente. –
Cambiamenti così repentini mi fanno venire mal di testa. – gli fece un piccolo
sorriso – In genere sono io quella che guida i sogni della gente, non lascio ad
altri il controllo. È pericoloso.
–
Pericoloso nel senso che ti eviti l’emicrania?
–
Nel senso che i sogni sono pericolosi. Conoscere i sogni significa conoscere se
stessi, le nostre verità più oscure. E la verità fa male.
Jason
guardò il suo alterego sul divano e si chiese distrattamente come avesse potuto
essere così idiota da passare la notte a compiangere il suo padre bugiardo. –
Perché sono qui a fissare un me stesso coglione che si gira tra le dita un
anello che mi ha portato solo guai?
–
Ti ha portato Louisa.
–
Appunto guai. Con la G maiuscola.
Anna
si dondolò sui talloni con le mani dietro la schiena – È davvero questo quello
che provi?
Jason
accorciò le distanze tra di loro in due passi. – Ma saranno anche cazzi miei
quello che provo? – tirò un pugno alla vetrinetta accanto a lui, che si ruppe
sotto i suoi occhi. – Fantastico. – sbuffò, ma prima che potesse chinarsi a
raccogliere i vetri la vetrina si ricompose, tornando perfettamente integra.
–
Non puoi realmente rompere qualcosa qui. – spiegò Anna – Sono i tuoi ricordi,
fanno parte di te e ti completano. Distruggerli significa distruggere la tua
anima.
–
Mi consola sapere che non ho distrutto la vetrinetta preferita di mio padre. –
studiò con cura il mobile, cercando delle incrinature e lo sguardo gli cadde
sulla sciabola contenuta al suo interno. Sbiancò portandosi una mano al petto.
–
La scritta sulla sciabola. – Anna si avvicinò alla vetrina e studiò il suo
contenuto per qualche istante. – Di che ti sorprendi? – chiese voltandosi verso
di lui – È scritto nella lingua del Cielo: “il salario che il peccato paga è la
morte.” – tradusse lei – Sapevi che Fen era un Custode. Incisioni del genere
sono normali per loro.
–
Non me ne ero mai accorto prima. – Jason si sedette sul bordo del divano, sentendosi
le gambe cedere per lo shock, fin ora, non si era mai reso, realmente conto, di
quanto suo padre fosse coinvolto. – Sono passato davanti a quella sciabola per
anni e non ho mai notato l’incisione. – fissò il pavimento, senza realmente
guardarlo. Il peso delle bugie del padre lo colpirono come un macigno; aveva
sempre avuto la prova delle sue menzogne sotto gli occhi e non gli aveva mai
dato peso, attribuendo l’incisione a un gioco di luce.
–
La cosa ti sorprende? – chiese Anna dura – Fen era un Custode, lo è stato fino
al giorno della sua morte, nonostante quello che ti ha raccontato. Poteva anche
aver lasciato l’Istituto, ma una parte del suo cuore è sempre rimasta là. La
sua storia, la sua paranoia, i suoi timori, quelli ti hanno cresciuto ed
allenato. – lo scrutò, cercando di comunicargli qualcosa, ma Jason scosse la
testa rifiutandosi di ascoltarla.
–
Cosa vuoi da me?
–
La domanda giusta è: cosa posso fare io per aiutare te?
–
Mio padre vi odiava. – disse guardando la vetrinetta – Mi ha sempre detto di
diffidare di voi, mi ha raccomandato di starvi alla larga.
Anna
piegò la testa di lato e lo trapassò con lo sguardo. – Non aveva tutti i torti.
Devi diffidare di alcuni Custodi.
–
Cosa?
–
È ancora troppo presto per parlartene, ma ora il tempo stringe. Louisa ha
bisogno di te. E ogni minuto che passa è un minuto di meno che resta a lei.
Il
ricordo di Louisa sul lettino della terapia intensiva gli rovesciò lo stomaco e
per la terza volta il ricordo andò in frantumi, ricomponendosi poi
nell’infermeria che aveva visto.
Louisa
era lì, circondata da medici, infermieri e da James che si occupavano di lei,
impedendogli di nuovo la vista della ragazza.
–
Louisa. – Il pensiero di perderla gli fece rizzare i peli sulla braccia e
indietreggiò fino a trovarsi spalle al muro. I sentimenti che provava gli
diedero la nausea. Sapeva che erano parte di lui, ma tutte le volte che cercava
di capirli si sentiva male, come se il suo corpo si ribellasse e gli intimasse
di starne alla larga.
–
Cosa diamine mi sta succedendo? – ansimò e Anna gli tese la mano.
–
È ciò per cui sono venuta a cercarti. Chiudi gli occhi, non respingere ciò che
senti e dimmi: cosa provi per Louisa?
Jason
obbedì e chiuse gli occhi, iniziando a fare gli esercizi di respirazione
profonda, fino a rallentare i battiti del cuore. Quei sentimenti era là;
riusciva a sentirli. Se li cercava di comprenderli gli facevano male, ma se si
concentrava sul battito cardiaco riusciva a sentire che lo sfioravano
timidamente e capì cosa volevano dirgli. – Non voglio che muoia. Non voglio che
sia ferita. Voglio vederla felice, al sicuro. – deglutì sentendo le ultime
parole salirgli automaticamente alle labbra. – Voglio essere io a proteggerla.
– spalancò gli occhi e afferrò la mano ancora tesa di Anna.
Il
ricordo turbinò intorno a loro, come se si trovassero nel centro di un uragano.
Il
suo unico punto fermo era Anna, che gli sorrideva rassicurante – Lascia che
scorrano. Non respingerli. – gli disse.
– Ciao Jason, io sono
Annaliese Hawkeye, Sigillo del Settimo Cielo.
Jason guardò la bambina
davanti a se e sbuffò. – Chi è che saresti?
Lei gli sorrise. – Sono
qui perché sono stata attirata da quello. – gli indicò l’anello che Jason aveva
in mano. – Avevo percepito dei sentimenti diversi legati a quell’anello, volevo
sapere cos’era successo.
Jason se lo rigirò tra le
dita, prima di guardarla con sospetto. – Mio padre è morto.
La bambina annuì, come se
già sospettasse quella risposta. – Quindi ora sei tu a custodirlo. Andremo
d’accordo, Jason, cercherò di non essere troppo invadente e di rispettare i
tuoi segreti.
Anna,
lui conosceva Anna dal giorno del funerale di suo padre, quando aveva preso in
mano l’anello per la prima volta. Jason si divincolò nella presa della bambina,
ma non la lasciò andare quando un secondo ricordò lo travolse.
– Non possiamo incontrarci
in modi normali? – chiese Jason, guardando distrattamente la bambina
sull’altalena. – È leggermente maleducato il tuo modo di parlarmi.
– Come sta la biondina di
ieri sera? – Anna si dondolò, con lo sguardo il cielo.
– Ora mi spii, Anna? –
Jason rise. Più volte aveva fatto quella domanda, ma Anna si era sempre
limitata ad alzare le spalle.
– Ti sei addormentato
tardi e il tuo ultimo ricordo era per quella biondina. È carina. Ci vuoi uscire
insieme?
Jason le diede un’occhiata di traverso
– Questo non lo chiami spiare, vero?
Lei gli sorrise e un paio di fossette
gli si disegnarono sulle guance. – Allora? Ci vuoi stare insieme?
Jason scosse la testa, perfino
per i suoi standard quella ragazza l’aveva disgustato: aveva saltato a piè pari
la fase del bere qualcosa insieme e lo aveva invitato nei bagni del locale. –
Non diciamo cazzate. Mi conosci, da quanto? Sei nei miei sogni praticamente
sempre. Non hai nessun altro da scocciare?
– Tu sei interessante. Ci
sono tanti posti carini nei tuoi ricordi, sembri un tour operator. Viaggi
sicuri e interessanti con le memorie di Jason. – Anna saltò quando l’altalena
raggiunse il massimo della sua escursione e Jason la acchiappò al volo per poi
scompigliarle i capelli, mettendoci più forza possibile. – Piccola peste,
ricordami di metterlo come motto la prossima volta che frughi i miei ricordi.
Ti farò pagare ogni singolo filo d’erba che estrarrai dalla mia mente.
Anna si liberò della sua
presa e saltellò via, sistemandosi i capelli – Non essere cattivo. Tu hai visto
un sacco di posti, dovresti condividerli! Invece, ti chiedo gentilmente: vuoi
vedere i ricordi di un'altra persona?
– Spero che tu non voglia
farmi vedere i ricordi di Will e di come era carino mentre faceva il bagnetto.
– si mise scherzosamente una mano sul cuore – Potrei non reggere a una
rivelazione simile.
– Veramente, – disse lei
dondolandosi sui talloni – Volevo mostrarti i ricordi di una ragazza.
Jason batté le palpebre –
E perché dovrebbe fregarmene qualcosa?
Anna gli sorrise e
schioccò le dita – Vedrai.
Jason
cadde in ginocchio sentendo un dolore insopportabile alle tempie e si morse la
lingua, costringendosi a non urlare.
Anna gli venne incontro a
passi lenti – Sei pronto? – chiese tendendogli la mano.
Jason rimase sdraiato sul
prato, ignorando la bambina. – Tanto farai di testa tua, come al tuo solito.
Perché mi fai vedere i ricordi di quella ragazza?
– Louisa.
– D’accordo. Louisa.
Perché mi fai vedere i ricordi di Louisa?
Anna si sedette accanto a lui
e guardò l’orizzonte in silenzio. – Louisa, – disse infine, strappando qualche
filo d’erba – Cosa hai capito di lei fin ora?
– Che è molto sola. E
questo la fa soffrire anche se non vuole darlo a vedere. A quei tipi, quelli
dell’Istituto, sorride sempre, ma come loro girano gli occhi lei cambia. Quella
sua espressione triste, vorrei sapere quanta gente l’ha vista.
Anna strappò più
velocemente l’erba. – Hei! – la rimproverò Jason – Non rovinarmi il sogno!
– Vuoi provare a vedere
qualcosa di diverso? Di Louisa, intendo?
– Tipo?
– Ora sta dormendo.
Possiamo scivolare nel suo sogno, ma questa volta sarà diverso. Mi capisci,
Jason? Louisa lo sta avendo ora. È in questo Mondo. Potremmo essere visti,
potremmo modificare il suo sogno.
Jason fissò per un minuto
buono il cielo, fin ora aveva visto solo ricordi di Louisa. Eventi del suo
passato, e lui, ci camminava dentro come se fosse un fantasma, senza poter
toccare, né modificare nulla. – Fammi vedere questo sogno.
Anna schioccò le dita e il
prato si dissolse.
Il Mondo si ricompose
intorno a loro e Jason si ritrovò sull’orlo di un baratro, con Louisa
esattamente nel mezzo, che fissava il vuoto davanti a sé.
Stringeva al petto una
bambola di porcellana e parlava ininterrottamente. – Emily, io sono forte,
vero? Non ho bisogno di nessuno. Ci sei tu che mi ascolti sempre. Ce la posso
fare anche da sola. Io sono forte, giusto Emily? – Louisa abbassò lo sguardo
sul baratro sotto di lei – Allora perché vorrei sparire?
Come Jason sentì quelle
parole si lanciò in avanti, giusto in tempo per afferrare il polso Louisa prima
che precipitasse di sotto. – No. – disse tenendola stretta.
Louisa alzò lo sguardo su
di lui. – Hai detto no?
– Non devi pensare di
sparire, chiaro? È da codardi. Se hai dei problemi li devi affrontare.
– Che ne sai tu dei miei
problemi? – urlò lei divincolandosi nella sua presa.
– Tutti hanno problemi. Non
sarà comportandoti come una stupida che li sistemerai. Ora molla quella bambola
aggrappati a me con tutte e due le braccia.
– Emily è l’unica che mi
ascolta. Non posso lasciarla cadere. È mia amica!
– È una bambola! Vuoi
qualcuno che ti ascolti? Io ti ascolterò. Ti troverò e ascolterò tutte le
stupidaggini di fatine ed eroi che mi vorrai raccontare, te lo prometto. Ti
ascolterò ogni giorno: da sana, da ubriaca, con il sole o con la neve. Ti
ascolterò! Ora molla quella stupida bambola e aggrappati a me! – sentiva Louisa
scivolargli via dalla mano, anche se non fosse morta, non le avrebbe permesso
di cadere. – Allora? Ti vuoi muovere!
– Tu, – disse Louisa afferrando
la mano libera che lui tendeva. – Sei terribilmente irritante.
Jason la tirò su e ricadde
all’indietro, con Louisa su di sé – Sono irritante, eh? Non sai quanto.
Il
cuore di Jason prese a battergli all’impazzata, mentre tutti quei momenti
dimenticati, lo assalivano uno dietro l’altro senza dargli tregua. Rivide
decine e decine di ricordi di Louisa, da quando era piccola e irrequieta fin
quando non crebbe, diventato schiva e introversa.
Louisa nuotava nella pozza
d’acqua al centro della biosfera dell’Istituto, riemergendo di tanto in tanto
per prendere fiato.
Jason la osservava seduto
su uno scoglio, al centro del piccolo laghetto, immerso nell’ennesimo sogno della
ragazza. Lei amava nuotare, aveva visto decine di ricordi di Louisa dove lei
nuotava, ed era l’unico momento in cui la vedeva realmente serena.
Ogni volta che Louisa sorrideva
e si spostava i capelli bagnati dal viso, Jason prometteva a se stesso che
l’avrebbe fatta ridere più spesso.
I
ricordi rallentarono e Jason riprese a respirare, anche se sentiva ancora il
cuore battere all’impazzata.
– Jason, – la voce di Anna
era bassa e concisa e lei si guardava costantemente intorno. – Per un po’ non
ci possiamo vedere, né ti posso permettere di saltare nei ricordi di Louisa.
Jason si raddrizzò, fissandola
attentamente – Perché?
Lei scosse la testa e si
guardò le spalle – C’è qualcosa nel Mondo dei Sogni che mi preoccupa. Una
presenza che non dovrebbe esserci.
– E i Cherubini? – chiese
Jason, ricordando quello che Anna gli aveva insegnato – Non dovrebbero
proteggere il Mondo dei Sogni?
Anna annuì tornando a
concentrarsi su di lui. – Si, ma è sfuggente, come un’ombra. La percepiamo, ma
quando arriviamo è già saltato nel sogno successivo. Sono preoccupata per Louisa,
dovrò sigillare i suoi sogni da possibili attacchi e questo preclude anche le
tue visite. Dovrò rendere i suoi sogni impenetrabili per chiunque.
Jason annuì, capendo dove stava
andando a parare Anna. – C’è un’altra cosa, – proseguì Anna, diventando più
pallida. – Tu sai quasi tutto di noi. Soprattutto, sai quasi tutto su Louisa,
sei…
– Potrei farmi sfuggire
qualcosa, vero? O qualcuno potrebbe saltare nei miei sogni.
– Si. – concluse lei inspirando
bruscamente. – Mi dispiace.
– Cosa vuoi fare? – il
comportamento di Anna lo inquietava, in genere era sempre allegra e amava scherzare,
ma ora passava da un piede all’altro e si voltava di scatto come se cercasse di
sorprendere qualcuno.
– Vorrei cancellare dalla
tua memoria tutti i ricordi che hai di noi. Ogni cosa. Tutto quello che hai
imparato in questi tre anni.
– Louisa. – il pensiero
gli corse subito alla ragazza e il mondo attorno a loro andò in frantumi per
poi riformarsi.
Erano finiti uno dei suoi
ricordi preferiti, Louisa che si prendeva cura delle piante in giardino e
piantava una nuova fila di Iris azzurri.
– Questo è ciò che voglio
evitare, Jason. – disse Anna massaggiandosi le tempie.
Jason si guardò intorno un’ultima
volta e poi sospirò, lasciando che il ricordo scivolasse via. – Cosa succederà?
– Non ricorderai più nulla
e non sarai più conscio dell’essere nel Mondo dei Sogni quando ti addormenterai.
Forse ricorderai dei frammenti, ma nient’ altro. – Anna gli fece un sorriso
rassicurante. – Ma non ti preoccupare, ho in mente di farti incontrare Louisa di
persona molto presto, penso nel giro di un paio di mesi. Farò in modo che sua
madre casualmente trovi l’anello di Fen e mandi una mail a Louisa.
– E che ne sarà di me?
Quando la incontrerò, che succederà?
– Non saprai chi è Louisa,
se è questo che vuoi sapere. I tuoi ricordi del Mondo dei Sogni saranno sepolti
in profondità, dove nessuno potrà toccarli. Rimarrà ciò che provi per lei,
perché neanche io posso cancellare i sentimenti, ma non li riconoscerai, perché
alla tua mente mancherà un collegamento fondamentale.
Jason chiuse gli occhi. In
quei tre anni aveva imparato a conoscere Louisa ed Anna talmente bene che erano
diventate parte di lui; l’idea di perderle lo faceva soffrire. – Riavrò queste
memorie? – domandò riaprendo gli occhi.
– Se fermiamo l’intruso in
poco tempo, sì, te le restituirò. Altrimenti tornerò da te solo se ci sarà
un’emergenza e avrai bisogno di far chiarezza con i tuoi sentimenti.
Jason annuì e prese la sua
decisione. Per quando l’idea di non poter vedere Louisa lo facesse star male,
l’idea che qualcuno potesse approfittarsi di lui per ferirla era mille volte
peggio. – Fallo. – disse tendendo la mano. – Prenditi tutto quello che so.
Tutto, non lasciarmi nulla e Anna? Hai detto che presto mi farai conoscere
Louisa di persona? Vedi di non farmi aspettare troppo. Sono sempre stato un
tipo impaziente.
Jason
lasciò la mano di Anna e si accasciò sul pavimento, ansimava e i brividi lo
scuotevano violentemente. Sembravano passate delle ore da quando Anna era
tornata da lui, eppure era sicuro che non fosse passato più di un minuto da
quando aveva preso la sua mano.
–
Anna? – chiamò tra un respiro corto e l’altro.
–
Finalmente ti ricordi di me. – disse lei, inginocchiandosi davanti a lui – Mi
mancava la tua acidità notturna.
–
Quanto? Quanto tempo?
–
Sei mesi. La nostra ultima chiacchierata è stata sei mesi fa.
–
Maledetta stronza! Mi avevi detto un paio di mesi.
Anna
gli scostò i capelli dalla fronte – La madre di Louisa è una gran testa dura.
Convincerla è stata difficile.
Sentendo
il nome di Louisa, Jason afferrò il divano e si rimise lentamente in piedi –
Louisa, devo andare da lei.
–
Ti aspetta, Jason. Salvala, come quella volta nel suo sogno.
Jason
piegò il sogno al suo volere, e lui e Anna si ritrovarono fuori di casa,
accanto ad una Ducati già accesa e pronta a partire. – Vedo che ti ricordi come
si fa. – commentò Anna, girando attorno alla moto – Questo mi fa risparmiare
molto tempo.
Jason
passò una mano sulla sella e ci salì sopra agilmente – E io ci guadagno una Ducati. Niente male, eh? Cosa devo fare per trovare
Louisa? Hai detto che tu non riesci a raggiungerla.
Anna
scosse la testa. – Credo che ti basti pensarla in qualche posto dove lei si
senta felice per trovarla. Lo farei io, ma quando provo ad avvicinarmi mi
respinge. Mi sbatte, letteralmente, fuori dai suoi sogni.
–
Non posso darle torto. Lo farei anche io molte volte. Louisa sa di essere nel
Mondo dei Sogni?
–
No. Non sa cosa sta facendo.
–
La riporterò indietro, dovessi tirarle quattro schiaffi e trascinarla per un
orecchio. – con un ultimo sorriso fece scattare avanti la moto.
Gli
faceva sempre un certo effetto girare per il livello più profondo del Mondo dei
Sogni; era completamente speculare al quello reale, se non fosse stato per il
fatto, che solo i Cherubini e chi sapeva di star sognando, potevano girarci
dentro liberamente. Per tutti gli altri, i sogni non erano altro che proiezioni
irrazionali dei propri desideri e sentimenti, ed erano collegati tutti su quel
livello del piano onirico tramite l’anima.
Per
saltare nei sogni di un’altra persona, Jason non doveva far altro che
concentrarsi sull’anima di chi stava cercando.
Pensò
a cosa sapeva di Louisa, e fece rotta verso la copia onirica dell’Istituto e di
fiondarsi dentro la biosfera, dove c’era il laghetto. Inchiodò in mezzo alla
strada e si fermò a meno di un centimetro dal vecchietto in pigiama di flanella,
cappellino da notte e orsacchiotto sotto braccio. – André? – domandò l’uomo.
Lui
scosse la testa, non sapendo se scoppiare a ridere per il pigiama o urlare
perché gli stava facendo perdere tempo, ma prima che potesse aprire bocca,
l’uomo scomparve.
Jason
proseguì sulla sua strada dimenticandosi dell’uomo, ogni tanto capitava che
alcune persone più sensibili potessero diventare consci di quel mondo per qualche
secondo, ma in genere, i Cherubini li guidavano di nuovo verso i loro sogni e
cancellavano il ricordo di ciò che avevano visto.
Riprese
la sua corsa, Louisa amava l’acqua e sicuramente il miglior posto dove cercarla
sarebbe stata la biosfera, ma l’Istituto era anche il posto di cui aveva paura
e dove si sentiva isolata.
Il
Mondo dei Sogni andò in frantumi attorno a lui e si ricompose quando saltò
dentro un ricordo.
Quelli
che correvano sulla moto accanto alla sua erano lui e Louisa, mentre
attraversavano uno dei parchi di Breda. Quella volta aveva sentito chiaramente
Louisa esclamare ‘bellissimo’ nel suo casco.
Jason
inchiodò di nuovo, lasciando che il ricordo scivolasse via. Quello non era un
ricordo allegro: aveva ferito profondamente Louisa, lo sapeva, ma era convinto
che lei avesse avuto le prime, vere, scariche di adrenalina solo da quando lo
conosceva.
Per
lui quel parco non significava nulla, ma per Louisa poteva essere il simbolo
della sua ribellione, esattamente com’era Reinchenbach per lui.
Senza
perdere altro tempo, piegò di nuovo il Mondo dei Sogni ai suoi desideri e si
ritrovò sul ponte che aveva attraversato con Louisa per entrare a Breda.
Scese
verso il parco e si guardò intorno velocemente, cercando la figura esile della
ragazza. Stava per rinunciare quando vide una figura sulla riva di uno dei
laghetti, mezza nascosta dai salici piangenti.
La
bambina castana stava seduta sull’erba con una bambola di porcellana in grembo.
– Gonna be a pie from heaven above/ Gonna
be filled with strawberry love/ Baby don’t you cry, – pettinava lentamente
i boccoli della bambola, mentre cantava. – Gonna
make a pie/ And hold you forever in the middle of my heart./ Baby here’s the
sun/ Baby here’s the sky/ Baby I’m your light and/ I’m your shelter. –
riconobbe la ninna nanna che la piccola stava cantando; la madre di Will la
cantava sempre a Sophie prima di dormire.
–
Baby you are mine. I could freeze the
time. – intervenne Jason avvicinandosi lentamente alla bambina, che
sobbalzò e si girò verso di lui.
A
Jason si seccò la gola quando vide gli occhi gli occhi grigi, ma si riprese velocemente.
– Ciao, Louisa.
–
Chi sei? – chiese lei, guardando intensamente. Sembrava che non avesse più di
sei anni, con la gonna bianca a balze e la maglia con i ricami in sangallo in
tinta.
–
Un amico. – rispose Jason, facendo un altro passo avanti – Sono qui per
portarti a casa.
–
Uhm, no. – rispose lei tornando a giocare con la bambola – Emily dice che sei
troppo grande per essere mio amico.
Jason
si guardò intorno, ma non vide nessun altro nel parco. – Chi è Emily?
Lei
tornò a pettinare di capelli della bambola. – È mia amica. Mi dice sempre cosa
è giusto o non è giusto fare. – Jason guardò il fagotto che teneva in braccio
Louisa e gli si gelò il sangue nelle vene. Aveva già visto quella bambola, era
la stessa che aveva Louisa quando l’aveva afferrata nei suoi sogni. – Emily
dice che sei cattivo. – proseguì la piccola Louisa – Dice che una volta mi hai
convinto a lasciarla cadere in un abisso. È vero?
–
Sì, e onestamente, lo rifarei. Sai che è inquietante questa cosa della bambola?
La
piccola Louisa tornò a guardarlo. – Emily dice che sei pericoloso. È vero?
Jason
ghignò. – Questa Emily mi conosce un po’ troppo bene.
Louisa
avvicinò la testa di Emily all’orecchio e sgranò gli occhi, guardando Jason. –
Emily dice che mi riporterai da quegli uomini cattivi e che io devo ucciderti.
Louisa
arretrò fino a ritrovarsi con l’acqua alle ginocchia. – Io non voglio tornare
dagli uomini cattivi. Dicono che sono debole, che devo essere più come Jim. Io
non voglio! – il lago dietro di lei esplose e solo grazie all’istinto di
sopravvivenza, Jason evitò che una lama di ghiaccio lo trapassasse e rotolò
via. – Non potremmo parlarne, Louisa?
–
Io sono forte! – il lago dietro di lei esplose di nuovo e Jason si ritrovò a
saltare e a schivare, evitando gli attacchi acquatici della Louisa–bambina – Io
non ho bisogno di loro! Mi odiano! Mi dicono sempre che sono debole! – un
tentacolo d’acqua lo afferrò alla caviglia e lo sollevò per poi sbatterlo a
terra, mozzandogli il fiato.
–
Il primo che dice di nuovo che Louisa è debole, lo investo con un furgone. – si
rialzò e si lanciò dietro il tronco del salice prima che una nuova raffica di
punte di ghiaccio gli mozzassero la testa.
Era
talmente in profondità nel Mondo dei Sogni, che se fosse morto lì, sarebbe
morto anche nel mondo reale.
–
Louisa? – chiamò, ancora nascosto dietro il tronco. – Non potremmo parlarne
davanti a una tazza di tè con orsacchiotti e Barbie? Invitiamo anche Emily. –
un terza raffica investì l’albero dietro al quale si era rifugiato. – A quanto
pare no.
–
Io li odio! – proseguì Louisa. – Io li odio tutti! Io sto bene da sola! Ho solo
bisogno di Emily! – Jason sentì un scrosciare violento e si sporse a guardare.
Louisa aveva alzato un’onda alta più di tre metri. E aveva ancora quella
maledetta bambola in braccio. – Ti giuro ragazzina, che se mi bagno, ti
acchiapperò e ti prenderò a sculaccioni. – si lanciò in avanti, proprio nel
momento in cui l’onda avanzava verso la riva, travolgendolo.
Colpì
un tronco con la schiena e strinse in denti, aggrappandosi ad esso per non
venir trascinato via. Quando Louisa aveva detto che voleva ucciderlo non stava
affatto scherzando.
Quando
l’onda passò, cadde a terra, tossì, sputò l’acqua del lago che aveva nei
polmoni e alzò lo sguardo su Louisa. Dietro di lei si stava formando un nuovo
tentacolo d’acqua e Jason si rimise con le gambe tremanti. – Basta così,
Louisa. Vuoi uccidermi? Fallo. – il tentacolo sfrecciò verso la sua testa e si
fermò a pochi centimetri dalla sua fronte, congelandosi.
–
Perché non ti sposti? – chiese la bambina.
Jason
alzò un sopraciglio. – Dovrei?
Il
petto di Louisa sobbalzò. – Io non voglio! – scoppiò in singhiozzi tenendosi le
mani sulle tempie e il tentacolo si dissolse. Jason si avvicinò lentamente,
pronto a scattare ad un nuovo attacco.
–
Perché ti sei fermata? – chiese Jason prendendo la testa di Louisa tra le mani.
–
Io, – tirò su con naso – Io non ci riesco. Non voglio ferire qualcuno. James si
è fatto male l’altro giorno per colpa mia. Io non voglio che la gente di faccia
male, ma loro mi dicono sempre che sono debole.
–
No. – disse Jason accovacciandosi davanti a lei e prendendole il volto tra le
mani – Ci vuole molta più forza nel sapersi fermare.
La
Louisa–bambina tremò violentemente. – Mi riporterai indietro?
–
No, se non vuoi. – Jason la prese per mano e la condusse sulla riva,
all’asciutto. – Non ti porterò dove non vuoi andare.
Crollò
sull’erba, stravolto e bagnato e Louisa
si sedette accanto a lui – Mi vuoi prendere a sculaccioni? – Jason rovesciò la
testa all’indietro e scoppiò a ridere.
–
Non lo farò, – disse scostandole i capelli dal viso – Ma avrei preferito non
bagnarmi.
–
Mi vuoi bene?
Jason
la guardò stupefatto per la domanda a bruciapelo. – Si.
–
Emily dice che non devo fidarmi di te. Dice che mi tradirai.
–
Posso dire una cosa ad Emily? – Louisa annuì e gli porse la bambola.
–
Emily, – disse Jason sentendosi un completo deficiente a parlare con una
bambola – Dì ancora qualcosa del genere e ti riduco in briciole.
Louisa
rise e posò la bambola accanto a lei – Emily dice che è offesa e che non ti
vuole più parlare.
–
Ma che liberazione. – guardò Louisa che si era messa a intrecciare margherite
un paio di metri più in là, canticchiando sottovoce.
Come
mai era bambina e aveva tutto quel potere?
–
Louisa, quanti anni hai?
La
bambina si raddrizzò, battendosi le labbra con l’indice. – Uhm. Non lo so.
Qualcosa
non gli tornava, sembrava Louisa in tutto e per tutto, ma non riusciva a capire
lo scoppiò d’ira che aveva avuto prima. ‘Li odio tutti.’ era qualcosa che
Louisa avrebbe mai detto, così come chiedergli se lui le volesse bene.
L’occhio
gli cadde sulla bambola a qualche metro da lui. Aveva i lunghi boccoli castani,
gli occhi grigi e l’espressione terribilmente triste, esattamente come…
Rotolò
via, affidandosi al suo sesto senso. La Louisa–bambina aveva affondato un coltello esattamente nel
punto in cui prima si trovava Jason. – Potevi uccidermi prima se volevi farlo.
– disse prendendo la bambola in mano.
La
bambina gli fece un sorriso gelido. – L’avrei fatto se lei non fosse
intervenuta.
–
Con lei, – disse Jason tirando su la manica del vestito della bambola fino a
scoprire quello che stava cercando, – Intendi Louisa, vero? – le mostrò il
braccio di ceramica della bambola. – Louisa è l’unica ad avere questo Marchio
sul braccio. Ora dimmi Emily, cosa vuoi?
–
Voglio un corpo mio. Mi ha promesso che me lo avrebbe dato. Voglio che sia mio!
Voglio che tutto sia mio! Voglio che tu sia mio! Lei è una stupida! È debole!
Mi ha abbandonato e mi ha dimenticato! Mi ha lasciato cadere nell’abisso
fidandosi di te! Lui mi ha raccolto! Mi ha protetto! E dovevo solo aspettare
l’occasione buona per colpire Louisa! Quando fosse stata sola e debole.
Jason
capì appena cosa stava dicendo Emily, ma collegò alcune informazioni. – Quando
Louisa è stata attaccata e il sangue di Tamiel le è entrato in circolo è
entrata nel Mondo dei Sogni.
–
Si! – lo guardo della bambina si illuminò di gioia selvaggia – Era debole e
senza l’emanazione di Anafiel che le girava intorno. Lui mi ha detto che potevo
prendermi il corpo di Louisa se ci fossi riuscita. Avrei avuto i suoi poteri e
tutto il resto.
–
Ma senza Louisa tra le mani tu non hai alcun potere.
Emily
si girò verso il lago e poi ringhiò verso Jason. – Dammi la bambola.
Le
labbra del ragazzo di curvarono in un sorriso – Io non prendo ordini. Chiedilo
per favore.
–
Dammi la bambola, per favore.
–
No. Non mi va. – Jason iniziò a girare attorno alla bambina lentamente, mentre
lei lo seguiva senza togliere gli occhi di dosso dalla bambola-Louisa – Vedi
Emily, poche ore fa ho recuperato tutte le conoscenze che avevo su Louisa e sul
Mondo dei Sogni. Per quanto tu possa aver reso Louisa una bambola di
porcellana, lei ha sempre tirato i fili. Io non sarei qui, se lei non avesse
voluto. Questo posto l’ha scelto Louisa, ti ha fermato quando potevi uccidermi
e i poteri che hai usato erano i suoi. – afferrò la bambina per la gola e
strinse forte, sentendo dei lievi scricchiolii provenire dal suo collo. – Il
gioco è finito. – il collo di Emily si ridusse il polvere tra le sue mani e con
lui il resto del suo corpo. – Ti ho detto che ti avrei ridotto in briciole.
Il
peso della bambola di porcellana divenne improvvisamente più pesante e Jason la
posò a terra.
Louisa
tornò della sua età e grandezza naturali – Jason. – chiamò, aprendo gli occhi.
Il
ragazzo annuì e si inginocchiò accanto a lei. – Bentornata. Stavolta mi hai
fatto davvero penare. – prima che lei potesse dire qualsiasi cosa, la baciò. Sentiva
le sue labbra morbide premute contro le sue e Louisa si aggrappò alla sua
maglietta zuppa tirandosi su. Credeva che nonostante fosse un sogno, Louisa lo
avrebbe respinto, invece si strinse a lui in maniera disperata, affondandogli
le unghie nella schiena. – Louisa. – mormorò sciogliendo il contatto – Cosa?
–
L’hai detto tu: ti troverò e ti ascolterò, aggrappati a me. Sono parole tue.
Jason
sospirò e scosse la testa – È un peccato che da sveglia non avrai questi
ricordi, – guardò oltre Louisa, verso Anna che gli veniva silenziosamente
incontro – Vero, Anna? – lei annuì e lui accarezzò le guance calde e rosee
della ragazza che aveva ancora tra le braccia. – Torniamo indietro, vuoi? È ora
di uscire da questo sogno.
Jason
si svegliò di soprassalto, ritrovandosi nel salottino dove si era addormentato,
con Will che lo osservava attentamente – Buongiorno. – disse allegro l’amico.
–
Louisa? – gracchiò con il mal di testa e la nausea crescente. Doveva
acchiappare Anna e prenderla a calci per non avergli ricordato che stava male
ogni volta che tornava dal Mondo dei Sogni. Era un piccolo particolare che Anna
tendeva a dimenticare di dirgli.
–
Louisa sta bene. – disse Will sedendosi accanto a lui – La febbre le è scesa e
gli esami del sangue sono in ordine. È un po’ anemica, ma nulla di irreparabile.
Ora sta facendo la risonanza magnetica.
Jason
si mise a sedere e la testa gli girò violentemente. – Vorrei vederla.
–
Di certo non mentre è nella risonanza.
–
La tirerò fuori se necessario. Ho bisogno di vederla.
Will
gli mise una mano sulla spalla e lo trattenne. – Sai cosa penso quando devo
scegliere tra la medicina e qualsiasi altra cosa. Ti legherò se necessario,
prima le lasci finire la risonanza.
–
È sveglia?
Will
scosse la testa. – No, ma tutte le sue funzioni vitali sono normali. Le hanno
tolto il catetere e le flebo. Terrà il monitor per altre ventiquattro ore per
sicurezza, ma per il resto, sta bene. Se vuoi, puoi venire con me in sala
monitor è accanto alla risonanza, come finisce l’esame puoi vederla.
Jason
non se lo fece ripetere due volte e si mise in piedi, aspettando che Will gli
facesse strada.
Come
aprì la porta della sala monitor, Jason si trovò davanti James e Dimitri che
guardavano lo schermo dove stava apparendo la risonanza di Louisa.
–
Ciao. – disse Will entrando – La risonanza ha mostrato qualcosa?
James
scosse la testa e si irrigidì, notando Jason – Lui.
–
Io. – disse Jason entrando e guardò, oltre il vetro, i piedi di Louisa che
sporgevano dal tunnel della risonanza. – Non starà male se si sveglierà lì
dentro? – chiese rivolto a Will.
–
Non far finta che ti importi di lei. – ringhiò James alle sue spalle – Quando
ti ho chiesto di entrare, ha buttato a terra Dimitri e te ne sei andato.
Ah, già,
pensò, c’è anche quella cosa da sistemare.
– Hai un bel pugno. – disse Jason guardando Dimitri – E devo dire che incassi
bene. – la temperatura della stanza divenne improvvisamente glaciale e Jason ne
uscì, prima che James potesse esplodere.
Will
rise. – Non farci caso, Dimitri. È il suo modo di chiedere scusa. – con un
sorriso si appoggiò contro il muro, di fronte alla porta che dava alla
risonanza, pronto ad andare a recuperare Louisa una volta che avesse finito
l’esame.
–
Non mi importa cosa dice Will. – disse James uscendo a grandi passi dalla
stanza e mettendosi davanti a lui a gambe larghe. – Per me, sei solo un testa
di cazzo piena di se.
Jason
incrociò le braccia. – Mi hanno detto di peggio. – disse annoiato – Louisa,
senza dirmi una sola parolaccia, mi ha detto di peggio.
Saltò
di lato, evitando di un soffio la falce nera che calò su di lui. – Poi sarei
io, vero? Quello che provoca.
–
Tu. Sei entrato nelle nostre vite. Hai rivoluzionato quella di Louisa! E non mi
importa se è stata lei ad architettare la fuga dall’Istituto. Tu sarai sempre
il responsabile per me. Se si è ferita è colpa tua!
Jason
schivò un altro fendete di lato e sentì
qualcosa di nuovo dentro lui e un nome gli salì alle labbra – Gabriel? –
l’anello gli Louisa gli apparve al dito e si tramutò in una spada.
Entrambi
i ragazzi guardarono la lama trasparente e affilata come il ghiaccio in mano a
Jason. – Tu non dovresti esserne capace! – esclamò James – Louisa è il Sigillo
del Machonon, lei sola può usare
quell’anello.
Dovrai diventare più forte
e per farlo, dovrai accettare completamente ciò che ti unisce a lei, le
parole di Gabriel gli risuonarono in mente e sorrise. – Gabriel non è d’accordo
su questo punto. – puntò la lama contro la gola di James – Apri bene le
orecchie perché lo dirò una volta sola: è vero che ho rivoluzionato la vita di
Louisa, ma non ho ancora finito. La rivolterò come un calzino se devo. Quella
che ha avuto fin’ora non è vita. –
sputò l’ultima parola, sempre con la spada puntata al pomo d’Adamo di James – D’ora
in poi, Louisa farà quel che vorrà, quando lo vorrà. Se vuole dare la caccia ai
Nephilim la accontenterò. Se vuole andare al parco a dar da mangiare ai
piccioni, ce la porterò. Sarò la sua spada e il suo scudo e camminerò sopra
chiunque si metta in mezzo. E tu, che per anni sei stato a guardare mentre era
infelice, dovrei staccarti la testa di netto.
–
Tu, – ringhiò James guardando la lama. – Non sai niente. Niente.
–
Ho visto come ha vissuto fin’ora tramite i suoi ricordi. Me li ha mostrato Anna
nel Mondo dei Sogni.
–
Anna?
–
Annaliese Hawkeye. Il Sigillo del Settimo Cielo.
–
Impossibile. – sputò James tra i denti, spostando la spada con la falce. –
Annaliese è in coma da cinque anni.
La
spada sfuggì dalle mani di Jason e cadde rumorosamente a terra. – Ha avuto un
incidente in Israele quando aveva dieci anni. E non si è mai svegliata. –
concluse James voltandogli le spalle.
La
vista di Jason si sfocò per alcuni secondi guardando la schiena di James. Anna
era in coma. Il che gli spiegava molte cose.
Come
il fatto che la bambina non avesse mai cambiato aspetto nel corso degli anni.
O
che la trovasse ad aspettarlo a qualsiasi ora lui andasse a dormire.
Anna
era prigioniera del Mondo dei Sogni da cinque anni.
Dio,
sotto di me c’è un
baratro,
in cui spesso mi auguro di
cadere.
NAD:
cosa dire di questo capitolo? Avevo iniziato con un’idea che doveva essere
semplice, facile e lineare..avete presente?
Cerchi
il cattivo, sconfiggi il cattivo, tutti felici e contenti. Non mi aspettavo
tutti questi colpi di scena e indizi che
piano piano dovrò rivelare nel prossimi capitoli. No no *scuote la testa*
quello che più mi ha lasciato interdetta. *e l’ha scritto lei!* è stata
Emily…quella malefica bambola la vorrei fare a pezzi.
Comunque
faccio i miei soliti ringraziamenti e tutte e dico tutte quelle persone che mi
*coffStakeranocoff* e mi pungolano per scrivere. Senza di loro non avrei
nessuno con cui sclerare… e tanto tanto amore per la mia Elis, che legge in
anteprima i capitoli e tanto tanto amore per Talia che spero che le aggiustino
presto FB (aggiustalo che tra poco ricomincia Conan e ho bisogno di te per le
puntate di Kaito e gli scleri su Michael) e tanto tanto amore per Liz (in
questo periodo amore per tutti) e per Bea che sclerano sempre (e sottolineo
sempre) nel bene e nel male e mi fanno notate gli errori.
E
tanto tanto amore per Vale, che ha iniziato la storia da poco, ma è cotta di
Jason.
E
tanto tanto amore (è una cretina si?) a tutti coloro che leggono, anche senza
dirmi nulla, Jason è nato proprio grazie a questo amore. (sembra una lettera di
addio).
Ci
vediamo nel prossimo capitolo.
Khyhan
(e
il tanto tanto amore).
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Capitolo 10 *** X. Solae Animae ***
X. Solae Animae
Solae
Animae
“Così la mia anima
preferisce soffocare,
la morte piuttosto
che questi dolori!”
Gb
7:15
Louisa
si rigirò nel letto, stringendosi le ruvide lenzuola addosso.
–
Fai piano, Lou. – qualcuno le mise dolcemente una mano sulla fronte. – Se ti agiti troppo, rischi ti schiacciati il
tubo dell’infusione.
A
quelle parole, spalancò gli occhi. La luce la ferì, lasciandola abbagliata e
lacrimante per qualche secondo finché non si abituò. James stava seduto su una
sedia accanto al suo letto, con gli occhi arrossati e cerchiati di ombre nere.
–
James. – mormorò. Aveva la gola irritata e le labbra secche e doloranti, come
se non le usasse da diverso tempo.
–
Ben svegliata. – sussurrò lui con un sorriso. – Hai dormito due giorni interi.
Louisa
si guardò intorno sorpresa. La stanza era bianca e asettica, come quelle a cui
era abituata fin da bambina, ma totalmente sconosciuta.
–
Dove siamo? – chiese, guardando la porta aperta alla ricerca di un indizio che
le rivelasse qualcosa sul luogo.
–
Parla piano. – disse James, indicando la poltrona in fondo alla stanza.
Dimitri
dormiva beatamente sulla poltrona nera, con una coperta marrone rimboccata fino
alle spalle. – È rimasto alzato fino a tardi a vegliarti e alla fine è crollato. Non ha dormito per trentadue ore
per starti vicino.
Louisa
tornò a guardare James. Batteva le palpebre incessantemente e aveva dei tremori
alle mani. – Tu da quanto non dormi? – chiese. Come James si accorse dello
sguardo penetrante della ragazza, nascose le mani dietro la schiena.
–
Non è così importante. Volevo assicurarmi che tutto fosse fatto per il meglio.
–
James…
–
Sul serio, Louisa. Non preoccuparti, ora che ti sei svegliata, sono più
tranquillo. Tra poco andrò a dormire.
–
Da quanto non dormi? – insistette lei.
–
Dalla battaglia contro i Nephilim a Breda. – rispose James passandosi una mano
sugli occhi. – Circa sessantadue ore fa.
Louisa
inspirò bruscamente. – Non dormi da più di due giorni. – sibilò. Si mordicchiò
il labbro inferiore fino a spaccarselo, sentendo in bocca il gusto del sangue. –
Cretino.
–
Come scusa?
Louisa
lo fulminò. – Mi hai sentito! Come puoi non dormire per due giorni? Sei un
cretino!
–
Ma se ero preoccupato per te! Pensavi davvero che potessi dormire con te tra la
vita e la morte?
Dimitri
bofonchiò qualcosa, rigirandosi sulla poltrona e Louisa soffocò la rispostaccia
che voleva dare a James.
–
Perché devo sempre sentire qualcuno urlarmi nelle orecchie? – chiese Dimitri mettendosi
a sedere.
–
Scusa. – Louisa arrossì e tormentò il lenzuolo bianco. – Non volevo svegliarti.
–
Si, – aggiunse James rilassandosi sulla sedia. – Scusa.
Sentì
lo sguardo di Dimitri su di sé e azzardò a dargli una rapida occhiata. Il
ragazzo guardava male tutti e due, con le braccia incrociate sopra la coperta e
i capelli castani arruffati. – Perché stavate litigando?
–
Non stavamo litigando. – spiegò James – Stavo spiegando a Louisa perché non sono un cretino per essermi
preoccupato per lei e per esserle rimasto vicino.
Dimitri
guardò prima uno e poi l’altra, per poi scoppiare a ridere. – Ma tu sei un
cretino! Ma ti prendi cura di noi. Io non ricordo di aver preso una coperta
ieri notte.
James
sbuffò. – Ti saresti congelato se non fossi andato a prenderti quella coperta,
ma perché non ti prendi un po’ più cura della tua salute?
Dimitri
alzò gli occhi al cielo, per poi prendere la coperta e iniziare a ripiegarla. –
Io mi curo. A modo mio. Smettila di trattarci come se avessimo cinque anni e tu
dovessi inseguirci con il pacchetto di fazzoletti per tutti i continenti.
–
Io non vi inseguo per i continenti.
Dimitri
si lasciò cadere sul letto di Louisa e le accarezzò un ginocchio
distrattamente. – Non dovresti dire a Louisa quella cosa?
Louisa
si rivolse a James, che ringhiò, stringendo i pugni sui braccioli. – Quale cosa?
– chiese lei.
–
Quella cosa su cui io non sono assolutamente d’accordo e a cui non voglio
pensare?
Dimitri
annuì. – Diglielo o lo faccio io.
James
sbuffò più rumorosamente di prima. – D’accordo. D’accordo. – chiuse gli occhi e
Louisa arrivò a contare ottantasei dei suoi battiti prima che James si
decidesse a riaprirli. – Io e Dimitri, soprattutto io, abbiamo deciso di dare
un’altra occasione a Jason. – a Louisa quasi si slogò la mascella per la
sorpresa e guardò il ragazzo che stava seduto rigido sulla sedia, come se fosse
su un cuscino di spine. – Dio, non posso credere di averlo detto. – proseguì
lui a denti stretti. – Sta di fatto che ha rischiato la vita per proteggerti e a
quanto pare Gabriel è dalla sua parte, dato che può usare il tuo anello.
Louisa
guardò Dimitri, che stava ancora seduto sul bordo del suo letto senza proferire
parola.
–
Può usare il mio anello? – cercò il gioiello che teneva intorno al collo e si
sentì rasserenata sentendolo appeso alla catenina. L’anello la identificava
come Sigillo del Machonon e lei era
l’unica al mondo a poterlo usare. Il fatto che Jason avesse quella capacità le
dava fastidio. L’anello era qualcosa di intimo che lei e il Cielo condividevano.
Rabbrividì,
non sapendo come interpretare quella novità, se avesse dovuto dare un termine
al sentimento che provava, avrebbe detto che si sentiva violata.
Un
paio di dita le schioccarono davanti agli occhi. – Ci sei? – chiese Dimitri –
Sei pallida.
Lei
annuì, ma James le prese il polso. – I battiti sono normali anche se fievoli.
Forse hai la pressione bassa. Vuoi riposare?
Si
voltò meccanicamente verso di lui. – Dov’è Jason?
–
Dovrebbe essere giù a prendere un caffè con Will. – rispose Dimitri quando
James si irrigidì di nuovo. – Ti è stato vicino ieri sera, ma doveva andare a
prendere la moto che aveva lasciato a Breda e sono usciti. È rientrato qualche
ora fa, ha controllato che tutto andasse bene, e poi è sceso.
Louisa
annuì una volta, ancora confusa per la rivelazione sull’anello. – Vorrei
vederlo. – aveva le orecchie che le fischiavano e la testa le girava. Jason
poteva usare tutti i suoi poteri? Voleva chiederglielo.
James
le coprì una mano con la sua, richiamando l’attenzione – Louisa?
–
James, per favore. Devo parlarci. – sussurrò.
–
Perché adesso? – chiese lui – Non puoi aspettare ancora qualche ora? Non vuoi
mangiare qualcosa prima?
Louisa
scosse la testa provocandosi un violento giramento. – No. Vorrei solo vederlo.
–
Dovresti riposare ancora un po’. Rimetterti in forze.
–
Ho dormito anche troppo. Jim, per favore.
Il
sorriso di James si tirò leggermente, per poi rilassarsi in un sospiro stanco.
– Odio quando mi chiami così. Non so mai se preoccuparmi o esserne felice.
Quando combinavi qualcosa, da bambina, mi chiamavi sempre Jim.
Dimitri
scoppiò a ridere e ricadde sul letto, sopra le gambe di Louisa. – Me lo
ricordo. – disse lui con le lacrime agli occhi. – L’ultima volta che ti ha chiamato
così aveva lavato tutti i tuoi appunti perché ci aveva versato sopra il caffè
che ti aveva portato. Se non sbaglio c’era anche la lettera di…
James
urlò qualcosa in una lingua che Louisa non riuscì a capire e Dimitri tornò
serio improvvisamente, rispondendo nella stessa lingua.
–
Che lettera? Cosa mi state nascondendo? – gli occhi di James si velarono per un
istante e distolse lo sguardo, rifiutandosi di rispondere. – Non è importante,
Louisa. Una cosa vecchia e superata. – si alzò e si diresse alla porta. Aveva
le spalle curve e tremava più che mai.
–
James?
–
Vado a chiamarti Jason e a provvedere perché ti portino qualcosa da mangiare.
Come
James sparì oltre la porta, Dimitri si accomodò sulla sedia, guardandola
dolcemente. – Hai bisogno di qualcosa mentre aspetti Jason?
Louisa
annuì. – Vorrei sapere che lettera ho rovinato. Non me lo ricordo.
Dimitri
si passò una mano tra i capelli, arruffandoli più che mai. – Non ti preoccupare
per la lettera. Rispetto agli appunti, non l’hai distrutta, è ancora tutta
macchiata di caffè e con l’inchiostro sbavato, ma è al sicuro in un cassetto
della stanza di James.
–
Perché non lo posso sapere?
Il
sorriso di Dimitri si spense. – Mi torturerai finché non lo saprai, vero? Non
puoi semplicemente far finta di non aver sentito?
Louisa
lo guardò storto e lui sospirò. – Come non detto. Ti dico una cosa, poi
deciderai se vuoi che continui o no. Non riguarda me o te, è una cosa di James,
solo sua. Riguarda la parte più intima dei suoi sentimenti. Fartelo raccontare
da qualcun altro non è giusto nei suoi confronti e insistere perché lui te lo
dica lo farà solo soffrire.
Louisa
deglutì, la gola era secca e le guance arrossate. Insistere per sapere avrebbe
fatto del male a James? Cosa c’era di sbagliato nel conoscere la verità?
–
Dimitri senti, io…
–
Dim. – la voce di James la raggelò e guardò la porta. James era sull’ingresso
con un vassoio in mano e la guardava tristemente.
–
James, – sussurrò, sicura che lui l’avrebbe sentita comunque. – Mi dispiace per
prima, non avrei dovuto chiedere. Se non lo vuoi dire non importa.
Lui
annuì e spostò le due infusioni che aveva sulla tavoletta del comodino accanto
a letto, per poi poggiarci sopra il vassoio. – Penso che lo dovresti sapere invece.
– disse lui dandole la schiena e aprendo le confezioni. – Almeno capiresti
perché non sopporto Jason. – allungò verso di lei la tavoletta del comodino,
con sopra il vassoio della colazione. C’era: una tazza di tè caldo e aromatico,
fette biscottate e una bottiglia d’acqua. – Bevi piano, a piccoli sorsi. – le
consigliò James aprendole la bottiglia. – Non hai nulla nello stomaco da più di
due giorni. – Louisa obbedì, portandosi la bottiglia alle labbra. Come deglutì il
primo sorso, l’acqua le invase lo stomaco, provocandole un forte crampo e un
attacco di tosse convulsa. – Piano, – disse James togliendole la bottiglia
dalle mani e spostandole i capelli dal viso. – Piano. – la cullò, aspettando
che la tosse e i tremiti le passassero prima di restituirle la bottiglia.
–
James, senti, la cosa della lettera…
Lui
la interruppe con un gesto della mano. – Ci ho pensato. Ci penso da un bel po’,
da molto prima che arrivasse Jason nella tua vita. Ci sono delle cose che non
ti ho mai detto. E speravo di non dovertele dire mai. – si voltò verso Dimitri
e sussurrò qualcosa in quella lingua che lei non conosceva. Lui annuì una volta
e le diede un rapido bacio sulla fronte. – Sono felice di vedere che stai bene.
Louisa
si voltò a guardare James, che fissava con occhi spenti la porta da cui era
appena sparito Dimitri. – Che gli hai detto?
–
Gli ho chiesto di andare via. Lui sa già tutto, ma non voglio che ascolti di
nuovo, soprattutto una certa parte.
–
E perché non potevo sentire quello che gli hai detto?
Alzò
le spalle. – Ormai mi sono abituato a parlare in greco con lui. Mi ha detto che
gli fa piacere sentire la sua lingua madre, – sorrise debolmente – Anche se per
impararlo ho passato le pene dell’inferno. – si voltò di nuovo verso di Louisa.
– Io racconto, tu, però, prova a mangiare qualcosa. – Louisa guardò il suo tè,
sentendo lo stomaco fare le capriole.
Aveva
fame, ma il violento attacco di tosse l’aveva messa sull’attenti. – Ti ricordi
qualche anno fa? – iniziò James, quando lei bevve il primo sorso di tè. – Quando
avevo appena compiuto diciannove anni e iniziavo a fare infermieristica? C’è
stato un periodo in cui non davo molta retta né a te né a Dimitri.
–
Me lo ricordo – rispose lei caustica. – Mi cacciavi fuori dalla tua stanza
senza troppe cerimonie e mi lasciavi molto sola.
–
Lo so. E mi dispiace. Ma quando iniziai a studiare con i Custodi, conobbi la figlia
di uno dei ricercatori, aveva qualche anno più di me, ed era bellissima e
intelligente. Mi affiancarono lei quando iniziai a studiare i farmaci. Mi
aiutava come poteva, stava sveglia fino a tardi per insegnarmi la
farmacocinetica, mostrandomi anche vari esperimenti che lei e suo padre facevano
per aiutare Dimitri.
Stavamo
sempre vicini e si instaurò un tale rapporto di complicità che non doveva più
dirmi come muovermi nel laboratorio, potevo anticipare quello di cui aveva
bisogno solo guardandola.
Fu
in una di quelle sere, mentre eravamo soli nei laboratori, che capii di
essermene innamorato. Eravamo stanchi e le molecole che stava studiando avevano
appena dato dei risultati eccezionali. Un po’ per l’euforia, un po’, non lo so,
– alzò gli occhi dal lenzuolo, rosso come Louisa non l’aveva mai visto. – Sta
di fatto che ci baciammo. Anche se ero scosso, e sapevo che non dovevo, ne
volevo ancora. Non riuscivo a fare a meno di stare con lei e di volerla, e lei,
stranamente, mi ricambiava prendendomi per quello che ero e senza pretendere
nulla.
–
James hai…? – lui scosse violentemente la testa, interrompendo la sua domanda
sul nascere.
–
Nulla del genere. Mi accontentavo di averla vicina, anche se il desiderio mi
lacerava l’anima e il solo sfiorarla mi faceva soffrire. Fu proprio in quel
periodo che mi allontanai da voi. Non volevo che lo sapeste e mi vergognavo di
essere così… – si interruppe, deglutendo vistosamente. – Così debole. Ero
talmente tanto coinvolto che mi stavo dimenticando di te e Dimitri. Mi dicevo
che i Custodi si prendevano cura di voi e che se Dimitri si fosse sentito male,
ovviamente sarei corso da lui, ma per una volta, volevo essere egoista e
godermi il contatto con la donna che amavo. – la guardò, con gli occhi rossi e
lucidi. – Lo ammetto. Per lei avrei lasciato bruciare il mondo, avrei voltato
le spalle a Dio e agli uomini e non mi sarei voltato indietro due volte.
Louisa
posò la tazza sul vassoio con lo stomaco completamente chiuso. Ricordava James
in quel periodo, non la voleva intorno, ma comunque era sorridente e abbastanza
tranquillo, finché non vi fu un’esplosione nel laboratorio e lui cambiò
radicalmente.
James
era seduto in silenzio sul suo letto; sembrava vuoto, vulnerabile,
completamente indifeso e spezzato a metà.
Istintivamente,
gli accarezzò una guancia, ritraendo la mano quando la sentì umida. – James.
Lui
si voltò dall’altra parte, dandole le spalle. – Poi ci fu quell’esplosione,
quella ai laboratori di ricerca. Dodici dei nostri migliori ricercatori furono
coinvolti nell’incidente, ma non mi importava nulla di loro. Mi importava di
lei. Grazie al mio potere sullo Sheol
la sentivo. Era ancora viva, anche se, se ne stava andando. Senza perdere tempo,
la andai a cercare nel laboratorio distrutto. Me lo ricordo come se fosse ieri:
l’odore di carta bruciata e le reazioni chimiche non mi permettevano di
respirare e il calore mi bruciava la pelle. – si grattò il braccio, dove Louisa
sapeva, aveva la cicatrice di un’ustione di cui non le aveva mai spiegato
l’origine e ora capiva il perché. – I piccoli scoppi e gli incendi che i
Custodi stavano domando, mi terrorizzavano, ma più che per me, ero spaventato
per lei.
La
trovai schiacciata sotto uno dei tavoli. E ci misi un minuto a capire che non
potevo fare assolutamente nulla per aiutarla. La colonna vertebrale era
spezzata e gli acidi le erano caduti addosso, aprendo piaghe che nessuno
avrebbe mai potuto curare. – la voce gli si incrinò e Louisa lo vide sussultare.
– Eppure mai, come in quel momento mi era sembrata tanto bella. Mi parlò
dolcemente, dicendomi tutto quello che non mi aveva mai rivelato in quei mesi.
Sussurrandomi tutti quei sentimenti che avevamo paura ad esprimere ad alta
voce.
Morì
con il mio nome sulle labbra, pregandomi di fare qualcosa che non potevo.
Voleva che la conducessi io nello Sheol,
che fossi io a recidere la sua anima e nessun altro. Sentii un gran freddo
quando uno degli angeli del Sesto Cielo venne a prenderla. L’ultima cosa che mi
aveva chiesto non ero riuscita a farla. Avevo permesso a qualcun altro di
recidere la sua anima e giurai, che mai, mai più, avrei permesso che accadesse
di nuovo. Non avrei più permesso agli angeli di toccare le persone a cui volevo
bene, se fosse accaduto loro qualcosa, quel gesto l’avrei fatto io e non li
avrei lasciati da soli nel momento della morte.
Quella
stessa notte andai da Dimitri, gli raccontai tutto e gli promisi che se non
avessimo trovato una cura, se fosse arrivato quel momento, avrei reciso io la sua anima e nessuno l’avrebbe
toccato. Né Dio, né gli angeli, né i Grigori. Nessuno.
Louisa
non si era nemmeno resa conto di aver iniziato a piangere finché una lacrima
non le cadde sulla mano, ma anche se ci avesse provato, non sarebbe riuscita a
smettere. Non aveva mai sospettato nulla.
Chiusa
nel piccolo giardino che James e i Custodi avevano costruito per lei, non si
era resa conto della gran sofferenza che provavano le persone che amava.
–
Sai perché ti ho detto tutto questo? – chiese James asciugandole gli occhi con
un dito.
Scosse
la testa, soffocando un singhiozzo. – Per metterti in guardia. Amare è
bellissimo e terribile. Non c’è nulla che riesca a farti sentire completo come
la persona che ami, ma quando la perdi non c’è più nulla. Non c’è più colore,
non ci sono né suoni né calore. Ti trascini avanti cercando una risposta che
sai non arriverà mai.
Questo
è il motivo per cui non sopporto Jason; è una di quelle persone che ti
strappano il cuore dal petto anche se non vuoi. E nel momento in cui te lo
spezzerà, non ti rimarrà altro che dolore. – le mise una mano sotto il mento,
costringendola a guardarlo. – Ora è meglio se provi a finire di mangiare e ti
riposi un po’, io andrò a dormire un paio d’ore. E se domani te la senti,
torniamo a casa. – alzò gli occhi verso la porta. – Prima ho fatto davvero chiamare
Jason. Tra poco sarà qui, se vuoi vederlo.
Louisa
chiuse gli occhi, assorbendo la mole di informazioni che James le aveva dato. Erano
passati sei anni, eppure per James quella era ancora una ferita sanguinante.
Si
chiese cosa avrebbe fatto lei al posto del ragazzo. Cosa avrebbe sacrificato
per la persona che amava?
Quella
domanda le rimase sospesa nel cervello, senza trovare risposta. Per James e
Dimitri avrebbe dato tutto quello che poteva, ma non avrebbe mai voltato le
spalle alla sua missione per salvarli. Loro stessi glielo avrebbero impedito,
lo sapeva.
Il
materasso si abbassò di nuovo e lei riaprì gli occhi, lasciando andare quei
pensieri dolorosi.
–
Ciao. – Jason era seduto al suo fianco, guardando ipnotizzato il lento
gocciolio della flebo collegata al suo braccio. – Will mi ha detto che è una
flebo idratante. – disse picchiettando il deflussore con l’indice. Louisa
annuì, guardando il punto di inserzione dell’ago, coperto dal cerotto
trasparente. Lo sentiva quando piegava il braccio e le dava fastidio l’idea che
l’avessero punta. Di nuovo.
–
Non hai nulla da dirmi? – chiese Jason, prendendole il vassoio della colazione
e dando un’occhiata sprezzante al suo tè, ormai tiepido.
–
Puoi usare i miei poteri.
Sul
viso di Jason si disegnò un sorriso. – Mi chiedo perché voi Sigilli non
facciate mai domande. È così difficile dire: “Jason, è vero che sai usare i
miei poteri?”
–
Li sai usare o no? – strinse le braccia intorno al corpo, sentendo la propria
voce assumere una sfumatura stridula e spezzata.
Jason
le prese il polso e le rimise dritto il braccio. – Blocchi la flebo. – spiegò
gentilmente in risposta al suo sguardo interrogativo. – E per rispondere alla
tua domanda, pare di sì. Almeno posso usare l’anello come arma. A quanto pare,
il controllo sull’acqua rimane una tua prerogativa.
Sbuffò.
– Come se ce l’avessi.
I
tratti di Jason si addolcirono leggermente. – Hai l’aria esausta. Dovresti
riposare un po’.
–
Smettete di dirmi tutti che devo riposare. Ho dormito per due giorni.
Lui
prese in mano la tazza che conteneva la colazione di Louisa e l’annusò,
scostandola di colpo, disgustato. – Cosa sarebbe?
–
Un tè. Mai visto?
Rise.
– Io so cos’è un tè, ma questa è acqua colorata che ha solo visto passare la
bustina. Dovresti assaggiare quello che fa la madre di Will, è eccezionale,
puoi sentire ogni sfumatura di sapore. Quando nevica, in casa loro c’è sempre
il bollitore sulla stufa e una teiera pronta. Spesso senti l’odore di arancia,
cannella e rum per i corridoi. – la voce nostalgica di Jason le diffuse un
piacevole calore il tutto in corpo, rasserenandola con le sole parole. – Anche
Will è parecchio bravo, in effetti, ma non come sua madre. Il giorno di Natale
mi infilavo sempre a casa loro a ingozzarmi di biscotti e a bere il tè. Da
bambino stavo lì fino a tarda sera a giocare con Will e Sophie e mi
addormentavo davanti al camino o nel letto di Will. – soffocò una risata. –
Anche se era un problema dormire con Will, visto i calci che mi tirava nel
sonno.
Louisa
si rilassò sui cuscini, annuendo sonnolenta. Jason parlava lentamente,
lasciandole vivide immagini di cose buone e dolci in mente. Era fin troppo
facile dimenticare le lacrime, con lui che sorrideva in quel modo. – Vuoi molto
bene a Will. Ti si disegna sempre una
strana espressione quando parli di lui.
–
Perché Will non mi ha mai dato motivo di dubitare di lui.
–
E tu? – chiese Louisa. – Gli hai mai dato motivo di dubitare di te?
Jason
si fece più vicino, chinandosi su lei, strofinando il naso contro la sua
guancia. – Gliene ho dati fin troppi. – sussurrò.
Quello
contatto le fece dimenticare il torpore e lo allontanò con una piccola spinta,
rimettendosi seduta. – Non lo fare. – le parole tristi di James le ritornarono
in mente, mettendola in allarme.
Jason
alzò un sopraciglio. – Non fare cosa?
–
Quello che stavi facendo. – rispose lei. Come aveva potuto lasciarsi andare in
quel modo? Jason non era mai stato dolce con lei. E se lo faceva doveva esserci
un secondo fine.
Lui
alzò gli occhi al cielo. – Louisa, non stavo facendo niente di male. – strinse
le mani sul lenzuolo fino a far sbiancare le nocche. – Comunque volevo dirti
che forse dovresti imparare l’autodifesa. Almeno qualcosa di fondamentale. Non
posso sempre tenere un occhio su di te e uno sui nemici. Mi farai ammazzare.
Incrociò
le braccia. – Cosa vorresti dire?
–
Che sei una palla al piede. – si alzò con le mani in tasca, lanciandole uno
sguardo di fuoco.
–
E chi dovrebbe insegnarmi? – aveva avuto ragione a voler allontanare Jason.
Pochi secondi prima era dolce e gentile e ora era tornato ad essere freddo e
irascibile. Non sapeva che strategia avesse in mente, ma non gli avrebbe
permesso di farla star male.
Lui
arrivò deliberatamente alla porta prima di guardarla da sopra la spalla. – Ti
insegnerò io ovviamente.
Erano
passati quattro giorni da quando Jason aveva parlato con Louisa nell’infermeria
dell’Istituto di Brecht. Da allora aveva limitato le parole al minimo
dell’educazione.
Non
che avessero avuto l’occasione per parlare di più. Negli ultimi quattro giorni
aveva passato le giornate a indagare su Annaliese e su dove fosse nell’Istituto
e aveva anche fatto qualche domanda sulla madre di Louisa, ricevendo in
risposta il nulla.
Parlare
con i Custodi era come rivolgersi ad un muro di gomma. Un muro fin troppo
maleducato perfino per i suoi gusti.
Ora
era primo pomeriggio e sfogava la frustrazione nel giardino del chiostro,
mentre aspettava che Louisa tornasse dai suoi misteriosi allenamenti.
–
Stai cercando di farti venire una congestione? – Will era seduto su una
panchina e sfogliava rapidamente un libro di anatomia, a tal punto, che Jason
si chiese se lo stesse veramente studiando o stesse solo ammirando le immagini.
–
Nessuna congestione. – era sudato dalla testa ai piedi e il vento freddo gli si
insinuava sotto il kimono e la canottiera, facendolo rabbrividire. – Sto
cercando di schiarirmi le idee.
Will
chiuse il libro con un tonfo sordo e tirò fuori la PSP dalla tasca. – Non ti
riesce molto bene, o sbaglio? Stai facendo Tai Chi come se avessi i piedi di
piombo. Non ricordo che Fen ti avesse insegnato così.
Jason
gli lanciò un’occhiataccia, da quando Will era un esperto di arti marziali? –
Sono così terribile? – chiese fermandosi. L’amico lo squadrò dall’alto in
basso, dicendogli chiaramente con lo sguardo: “lo sto notando io.”
Con
un scrollata di spalle, abbandonò l’allenamento a metà. Il Tai Chi, avrebbe
dovuto aiutarlo a liberare la mente, concentrandosi su un solo obbiettivo, ma
aveva accumulato talmente tanta energia negativa da rendere inutili anche gli
esercizi di rilassamento.
Aveva
bisogno di fare a botte con qualcuno. Ecco qual’era la verità. Voleva
acchiappare un paio di Custodi e cozzare le loro teste finché non gli avessero
detto tutto quello che voleva sapere. A cominciare dagli allenamenti di Louisa.
Sospirò, suo padre avrebbe condannato un pensiero così poco filosofico. L’omicidio
non faceva parte dello stile del kung fu, era un effetto collaterale. Un po’
come la nausea quando prendevi troppe medicine.
–
Hai parlato con Louisa? – la voce di Will lo fece sobbalzare. – Almeno per la
faccenda di Anna. Lei potrebbe dirti qualcosa di più.
Jason
passò da un piede all’altro, Will non aveva nemmeno alzato la testa dal
videogioco eppure gli leggeva dentro come se fosse un libro aperto. – Non
parliamo molto. Quando torna è talmente tanto esausta da mangiare qualcosa e
poi infilarsi in camera sua.
Will
alzò gli occhi su di lui, e a giudicare dai sui occhi sgranati, doveva aver
mandato a morire il personaggio del gioco per la sorpresa. – Da quando una
porta chiusa ti ferma?
Jason
ghignò. – Da quando non ho la più pallida idea di cosa fare. Vorrei prendere
Louisa e scuoterla, ma dubito che servirebbe a qualcosa. E Anna, – si passò una
mano tra i capelli, sentendo l’attaccatura umida per il sudore. – Ogni volta
che mi addormento cerco un modo per parlarle, ma non ci riesco. È come se fosse
sparita nel nulla. Oppure ci parlo, ma quando mi sveglio non ricordo niente.
Will
tornò alla PSP, ricaricando lo schema dall’inizio. – Chiedere a James costa
fatica?
–
Non chiederò nulla a James, nemmeno un’aspirina. Neanche se fossi in punto di
morte. – l’amico annuì, muovendo le dita talmente tanto velocemente sul
tastierino da risultare quasi sfuocate. – Quindi resterai qui, girando come un
leone in gabbia, senza sfogare la frustrazione. Quando esplodi, chiamami.
Voglio vedere la scena.
Jason
si lasciò cadere pesantemente sulla panchina. – A quanto pare, i miei modi di
sfogarmi sono contrari alla morale dell’Istituto.
–
O contrari alla morale di una piccoletta castana?
–
Lei non c’entra. È questo posto che mi fa incazzare. – mostrò i denti al suolo.
Will sapeva sempre dove andare a colpire, mostrandogli le verità che lui si
rifiutava di vedere. Il fatto che gli dicesse le cose senza riserve lo rendeva
la miglior persona con cui sfogarsi, e anche quella da cui farsi prendere a
calci quando serviva.
Gli
diceva le cose come stavano senza indorare la pillola.
–
Vallo a raccontare a qualcuno che non ti conosce. – disse tranquillamente Will.
– Sei uno stronzo Jason, ma raramente ti ho visto in condizioni del genere. Ti
sei perfino messo il kimono e non la solita tuta e maglietta, come se volessi
mostrare a tutti cosa sai fare. Cosa vuoi ottenere?
Jason
si irrigidì. Il suo modo di combattere non lo sbandierava ai quattro venti e, a
parte per qualche gara, raramente metteva il kimono. – Vorrei che si fidasse di
me.
–
Da quando vi siete conosciuti non le hai dato molte possibilità di potersi
fidare di te.
–
Salvarle la vita non è sufficiente?
Will
scosse la testa continuando a giocare. – Non quando la tua è legata alla sua.
La
risposta di Jason gli morì sulle labbra quando vide uno dei piccoli kart
elettrici fermarsi nel chiostro per far scendere Louisa.
Si
immobilizzò quando la mano della ragazza ricadere inerte lungo il fianco dopo
aver salutato il Custode.
Silenziosamente,
si avvicinò, cercando di cogliere l’espressione che aveva Louisa in volto. Si
copriva con un mano l’avambraccio sinistro e aveva lo sguardo perso nel vuoto.
– Ciao. – disse prendendola alle spalle e facendola sobbalzare.
–
Jason! – Louisa si voltò, con una mano che si massaggiava il petto. – Che stai
facendo? E cos’hai addosso? – guardò incuriosita il suo kimono, tastando
leggermente la rigida stoffa di cotone.
–
Si chiama kimono. Serve a praticare quell’arte che tu ti rifiuti ostinatamente
di imparare. – le scostò il braccio, afferrandole il polso per tirarla a sé, ma
si fermò quando vide una fitta di dolore attraversale il viso. – Che ti sei
fatta?
–
Niente. – risposte lei senza guardarlo negli occhi. – Una botta. Mi verrà fuori
un livido e poi tutto tornerà normale.
Jason
non le credette nemmeno per un secondo e la immobilizzò con pochi, rapidi gesti
contro una colonna, per poi tirarle su la manica fino al gomito.
L’avambraccio
di Louisa era arrossato, gonfio e molto caldo e come lui lo sfiorava, la
ragazza si mordeva il labbro inferiore. – Will! – chiamò a gran voce, facendosi
sentire in tutto il chiostro. – Potresti venire un attimo?
–
Non ce n’è bisogno! – sibilò Louisa, dibattendosi nella sua presa. – È solo una
botta.
–
E da quando, le botte hanno un punto più rosso e gonfio rispetto al resto? Non
prendermi per il culo Louisa, conosco gli ematomi e i lividi. E questo non è né
l’uno, né l’altro.
Come
Will fu al suo fianco, si spostò di un paio di centimetri per permettergli di
esaminare il braccio, con Louisa che ogni tanto lo strattonava leggermente
cercando di ritrarsi.
Will
studiò il braccio della ragazza per un paio di minuti, palpando leggermente la
pelle tesa e risalendo lentamente la linea azzurra e dura della vena, per poi
tornare a quel piccolo puntino rosso e gonfio che Jason aveva individuato. –
Will, smetti per favore. Mi fai male. – la voce di Louisa era incrinata e Jason
non seppe dire se per il dolore o per la rabbia per essere stata messa
all’angolo così facilmente.
–
Sai come devi prendertene cura? – chiese Will guardando la ragazza. Gli occhi
grigi dell’amico erano scuri e tempestosi, come se lui stesse trattenendo una
gran rabbia.
Louisa
annuì. – Mi hanno dato una pomata da metterci sopra e mi hanno consigliato di fare
degli impacchi freddi.
–
Pomata? – ripeté Will a denti stretti. Non c’era alcun dubbio, Will stava
trattenendo la rabbia. Analizzava il braccio di Louisa con fredda
determinazione, una volta finita la diagnosi si sarebbe scagliato contro chi le
aveva provocato un braccio del genere.
–
Antiinfiammatoria. Non ricordo il nome, ne ho un tubetto in camera.
Gli
occhi di Will divennero freddi come l’acciaio e per un istante, Jason sentì l’istinto
di mettersi tra Louisa e il giovane. – Ti è già capitato altre volte?
La
ragazza annuì di nuovo e quando strattonò il braccio, Will la lasciò andare con
un sospiro. – Meglio se vai subito a medicarti, allora. – Jason guardò prima
lui e poi Louisa, per poi tornare su Will, che gli fece cenno di lasciarla
andare.
Con
un passo indietro consentì a Louisa di scivolare via, rimanendo solo con Will.
–
A che gioco stai giocando? – chiese quando Louisa non fu più a portata di
orecchio. – Quella non era una botta e tu lo sai.
Lo
sguardo di Will lo congelò sul posto. Lo aveva visto solo un’altra volta in
condizioni simili. La mascella era serrata, la carotide batteva nitida tra
muscoli del collo contratti e negli occhi aveva una luce omicida, fredda e
lontana. – No, infatti. – spiegò a denti stretti. – Quella era una flebite.
Un’infiammazione della vena. E tre cose possono provocare una flebite:
l’attrito continuo di un ago contro la parete delle vene, farmaci molto
irritanti e tossine batteriche. O tutte e tre insieme.
–
Cosa vuoi fare, Will? – chiese Jason, quando l’amico si diresse a grandi passi
verso l’ingresso del chiostro.
–
Voglio scoprire cosa le hanno dato. Ora basta giocare ai bravi bambini che
aspettano e sperano. Da domani tu alleni Louisa. E se lei non ci sta, imponiti.
Io vado a dimostrare cosa vuol dire farmi incazzare.
Louisa
uscì dal bagno con già il pigiama azzurro addosso. Si guardò il braccio allo
specchio, messo sopra il comò, prima di medicarsi: era quasi il doppio
dell’altro, come aveva potuto pensare di nasconderlo anche solo per pochi
giorni?
Prese
dal primo cassetto la pomata e le bende che le avevano dato due mesi prima.
Era
quasi finita e presto avrebbe dovuto chiederne un’altra a Isaiah. Per buona
norma controllò anche le altre medicine che i Custodi le avevano detto di
prendere: gli antinausea erano meno della metà e i sonniferi, giacevano sul
fondo. Sperava di dimenticarsi dell’esistenza di quelle medicine; quando aveva
raccontato dei suoi incubi a Isaiah, lui si era limitato a passarle delle
pillole, raccomandandole di prenderle prima di dormire.
Lei
lo aveva ascoltato diligentemente per più di un mese, sperando che gli incubi
passassero, invece erano solo peggiorati, mentre lei, faceva solo più fatica a
risvegliarsi e rimaneva intontita durante il giorno, non riuscendo a mettere un
passo dietro l’altro, con il mondo che girava costantemente.
Alla
fine aveva smesso di assumere sonniferi, rimanendo sveglia fino a tarda notte,
troppo spaventata da quello che vedeva per prendere sonno e troppo nauseata
dagli effetti collaterali dei medicinali per prenderli.
–
Hai bisogno di una mano? – la voce di Jason la fece sobbalzare e chiuse
seccamente il cassetto prima che lui potesse vedere le medicine.
–
Per fare cosa? – chiese premendo il tubetto sul braccio leso. Le faceva male
anche solo sfiorarlo e di muovere le dita per svitare il tappo, non se ne
parlava.
Jason
si avvicinò, togliendole di mano il medicinale senza tanti complimenti. –
Faccio io. – spremette l’antiinfiammatorio sulla pelle arrossata e Louisa
sospirò, sentendo la pomata rinfrescarla.
Jason
gliela spalmò in silenzio con delicati gesti circolari e la avvolse nelle bende
che Louisa aveva lasciato sopra il comò. – Dobbiamo parlare. – disse Jason una
volta finita la medicazione. – Seriamente.
Lo
guardò, muovendo leggermente le dita. Il braccio le faceva già meno male e gli
sorrise, rassicurata. – Te la cavi bene con le fasciature.
–
Sono uno che impara in fretta. Il padre di Will mi aveva insegnato a farle
quando avevo dodici anni. – la costrinse a sedere sul letto con entrambe le
mani sulle spalle.
Non
le piaceva come si stava comportando Jason. Dopo Breda era un po’ cambiato,
meno sarcastico e incline a farle battute pesanti, ma la pressava costantemente
e sentiva il suo sguardo addosso ogni volta che si muoveva. Si chiese di nuovo,
se per caso lui non si sentisse in colpa per quello che le aveva detto in moto.
Lei
non l’aveva del tutto perdonato, quelle insinuazioni e il suo tono, l’avevano
ferita profondamente e lo evitava quanto poteva, non volendo più parlarne.
Era
fiera di quello che era, ma ciò che aveva provato sull’albero l’aveva
scombussolata, aprendola verso degli istinti che si augurava di non provare
più. E Jason, con la sua vicinanza, non l’aiutava per niente.
–
Louisa, – Jason le parlò sottovoce, scostandole i capelli dal collo e si
sedette accanto a lei. – Dovresti allenarti con me. Posso insegnarti delle
tecniche di autodifesa, come sbilanciare l’avversario, come usare la loro forza
a tuo vantaggio, posso insegnarti ad essere più veloce e forte. – Louisa sentì
un brivido scorrerle lungo la schiena. La voce di Jason era dolce, lenta e le
solleticava l’orecchio.
–
Jason, smettila.
–
No.
–
No?
–
Non smetterò finché non mi dirai di sì, non è difficile. Sono due lettere, una
sillaba. Allenati con me. – le sistemò i capelli dietro l’orecchio e si
avvicinò fino a sfiorarla con le labbra. – Dì di sì.
Louisa
si scostò, guardandolo male. Non capiva a cosa stesse mirando, ma non gli
avrebbe permesso di giocare con lei. – Non ti dirò di sì. Non dirò di sì ad un imbecille
come te.
Gli
angoli della bocca di Jason si storsero e si fece più vicino, mentre lei si
ritirava verso i cuscini, mettendo spazio tra loro. – Imbecille, dici? Era una
bella offesa ai tempi dell’asilo.
–
Sei…sei…
Lui
si avvicinò di nuovo, accorciando gli spazi, finché non si sfiorarono di nuovo.
– Cosa sono?
–
Egocentrico.
–
Ego–cosa? Sul serio Louisa, non sai fare di meglio? – la scorreva pigramente
con lo sguardo, come un predatore a caccia.
–
Smettila.
–
Dimmi di sì e io la smetto. Te lo giuro.
Louisa
scosse violentemente la testa. – Non ti dirò di sì! Non finché ti diverti a
giocare con me!
Lo
vide cambiare espressione lentamente: il sorrise si spense, sostituito dallo
shock e poi dalla rabbia. La afferrò per i polsi e la spinse contro il
materasso, inchiodandola con il suo corpo. – Credi davvero che sia un gioco?
Pensi che ti stia trattando come un giocattolo? – i suoi occhi azzurri la
trapassarono con lo sguardo. – Non hai idea di cosa voglia dire: essere
trattati come un giocattolo. – prima che lei potesse rispondere qualsiasi cosa,
calò su lei.
Leggendo,
Louisa aveva immaginato i baci in mille modi diversi, ma mai così. Jason era
furioso, e la sua rabbia si trasmetteva alle terminazioni nervose delle labbra.
Ogni possibile protesta, soffocò sul nascere, sul fondo della gola, quando lui
prese completamente possesso della sua bocca con la lingua.
Mai,
in tutta la sua vita, era stata così consapevole del suo corpo premuto contro
quello del ragazzo. Le dita di Jason si intrecciarono tra le sue, stringendola
saldamente, e lui modificò il peso del corpo smettendo di schiacciarle
l’addome, ma la pressione della bocca non accennò a diminuire.
Sembrava
quasi che volesse strapparle ogni singolo respiro che potesse aver mai avuto.
Era crudele, rude. E lei non si era mai sentita tanto viva. Incontrò la lingua
di Jason con la propria nel momento stesso cui smise di pensare, rispondendo a
quel contatto con tutti i sentimenti contrastanti che provava per lui.
Voleva
dimostrargli che anche lei poteva fargli male come lui gliene stava facendo. Voleva
farlo sentire vivo come si sentiva lei.
Una
mano del ragazzo si mosse, accarezzandole il braccio sano per poi scendere,
fino a fermarsi sul fianco. Le scostò piano la maglia del pigiama, passando un
dito intorno alla pelle esposta all’ombelico, per poi spostarsi lentamente alla
schiena, attirandola a sé e mettendo entrambi in ginocchio sul materasso. Louisa
lo lasciò fare, affidandosi alla sua esperienza e chiuse la mano libera sui
suoi capelli fini e serici, impedendogli di lasciarla andare.
Jason
le percorse la colonna vertebrale con due dita, dall’attaccatura dei capelli
fino all’orlo dei pantaloni del pigiama, scatenandole un’ondata di brividi che
si diffuse in tutto il corpo. Con un gemito soddisfatto, Jason insinuò la mano oltre
la vita dei pantaloni di Louisa afferrandole saldamente i fianchi, attirandola
più vicino.
Sentendo
la mano di Jason sul fianco esposto, si irrigidì, scacciandolo malamente,
tornando in se stessa.
–
Hey. – disse Jason ancora sulle sue labbra. – Ehm, cosa stavamo dicendo?
Lo
colpì con un forte schiaffo, facendogli voltare la testa e stampandogli il
segno di cinque dita in viso.
–
Che ti è preso? – chiese lui con gli occhi sgranati, massaggiandosi la guancia.
Velocemente Louisa saltò giù dal letto, con la schiena contro il comò. – Sei la
più grande testa di cazzo di questo mondo! – afferrò il primo oggetto che le
capitò in mano e glielo tirò.
Jason
lo evitò, piegando leggermente la testa di lato, ma i suoi occhi non si
schiodarono la lei. – Allora le sai dire le parolacce. Se sapevo che per
sentirle dovevo baciarti, l’avrei fatto prima.
–
Sei un coglione! Un bastardo! Un lurido, schifoso…
–
Louisa. – la ammonì Jason, incrociando le braccia al petto. – Non tentare
troppo la sorte. Capisco che ora il tuo, ehm, vocabolario si sia ampliato e che
tu voglia provare nuove parole, ma ti consiglio di fermarti, o ti bacerò di
nuovo solo per farti stare zitta.
–
Tu. – iniziò lei, facendo attenzione a scandire bene le parole. – Non. Mi.
Bacerai. Mai. Più. – provava qualcosa che andava oltre la rabbia. Voleva
saltargli addosso e picchiare ogni singolo centimetro a cui avrebbe potuto
arrivare.
Voleva
fargli incredibilmente male. Era consapevole di tremare, da capo a piedi per la
furia, e si costrinse a rimanere immobile, anche se il suo unico desiderio era
ridurre Jason ad un ammasso sanguinante.
Lui
le lanciò un’occhiata strafottente e si guardò le unghie. – Sai che le cose si
fanno in due, vero? E l’ultima volta che ho controllato la tua lingua stava
nella mia bocca. E non mi sembrava che ti dispiacesse. – quel suo gelido
controllo, la fece scattare. Come si permetteva di starsene così rilassato,
quando lei voleva solo rompergli qualche osso?
Saltò
sul letto e fece per tirargli un pugno, che lui intercettò con una mano e le
rigirò il braccio, inchiodandoglielo dietro la schiena. La afferrò per il
collo, tirandola verso di lui. – Se tu prendessi lezioni da me, ora sapresti
come uscire da questa incresciosa situazione. – le sue labbra si mossero a
pochi millimetri dal suo orecchio. Louisa gli artigliò la mano, graffiandolo
più ferocemente che poteva. Vedeva rosso e non pensava ad altro che a picchiarlo
per quello che era appena successo tra loro due.
Le
lacrime le scorsero sul viso, mentre scalciava e si dibatteva, cercando di
scrollarsi Jason di dosso. – Ti odio! E se potessi, ti strapperei il braccio! E
la lingua! – scavò più profondamente nella mano di Jason, che la lasciò andare,
spingendola malamente sul letto.
Louisa
si rialzò e gli ringhiò contro quando lui saltò giù dal letto, guardandosi
sconcertato la mano sanguinante. – Che ti prende? – senza rispondergli Louisa
lo attaccò di nuovo. Non le importava dove colpire, voleva vedere ancora il
sangue di Jason scorrere. Lui la sbatté a terra, con un colpo a mano aperta e agganciandole
una caviglia con il piede, le fece lo sgambetto. – Posso sapere cos’hai? –
chiese di nuovo lui, tenendola ferma con un ginocchio sul petto. Lei cercò di
spingerlo via, mentre gli ringhiava e digrignava i denti.
–
Senti, – disse Jason con un sospiro stanco. – Sembri la bambina dell’Esorcista.
Perché non mi dici perché sei così incazzata? Almeno so perché mi stai
ringhiando addosso come un animale ferito.
–
Ti ammazzo.
–
Questo mi pareva che lo avessimo appurato, ma il fatto che te lo lasci fare,
beh, è un altro discorso.
Jason
la lasciò andare e Louisa si scagliò di nuovo contro di lui. La spinse contro
il muro, schiacciandola con il suo corpo, impedendole di nuovo di muoversi. –
Vuoi ferirmi? Provaci, ma non ti lascio andare. Cosa ti ha fatto arrabbiare tanto,
Louisa? Il fatto che ti abbia baciata? O il fatto che ti sia piaciuto? Perché
non puoi mentirmi, so che ti è piaciuto.
Ogni
parola di Jason la faceva arrabbiare sempre di più. Voleva vederlo morire, e
voleva essere lei a farlo. Districò un braccio dalla sua presa e lo afferrò
alla gola stingendo forte, ribaltò la situazione e lo spinse contro la porta.
Jason
la lasciò fare, sollevando il mento per mettere a nudo il collo.
Strinse
ancora di più, mentre Jason la teneva stretta a lui con una mano chiusa sul suo
polso e l’altra sulla schiena. Si fissarono in silenzio per alcuni secondi, con
lui che batteva lentamente gli occhi e respirava a bocca aperta e Louisa che
sentiva il suo pomo d’Adamo che si alzava e si abbassava contro la mano. Se avesse
stretto ancora, poteva ucciderlo. E una volta morto…
Scosse
la testa, liberandosi da quel pensiero ossessivo. Lo lasciò andare e cercò di
liberarsi della sua presa, spaventata. – Lasciami! – Jason obbedì e Louisa
arretrò, mettendo diversi metri tra di loro. Si fissava la mano e tremava
talmente tanto da battere i denti. Cosa diamine stava facendo? Era arrivata
quasi al punto di ucciderlo. E lei aveva desiderato ucciderlo. Per cosa? Non lo
sapeva. Il bacio? Era furiosa per quello, ma non fino al punto da voler
uccidere una persona.
Cadde
in avanti quando la stanza ondeggiò violentemente. Il braccio sinistro, dove
aveva il Marchio, era in fiamme.
Ansimava
e le bruciavano i polmoni, mentre la guancia era premuta contro il pavimento e
un leggero velo di sudore la ricoprì velocemente, congelandola.
Era
svuotata. Talmente tanto esausta che solo l’idea di muoversi le faceva venire
la nausea. Era meglio rimanere là, stesa sul pavimento a riposare, piuttosto che
arrischiarsi a strisciare fino al letto.
Qualcuno
la voltò e le passò una mano sotto le spalle e sotto le ginocchia, tirandola
su. Era inerte, completamente alla mercé della persona che l’aveva presa in braccio.
–
Mi fai sempre preoccupare. – la voce le arrivò distante, come se provenisse dal
fondo di un corridoio e lei socchiuse gli occhi. Jason l’aveva stesa sul letto
e le stava rimboccando il lenzuolo. – Sono stanchissima.
–
Lo immagino. Cercare di uccidermi è qualcosa che fa consumare molte energie, ma
credo che anche la tua Ira ci abbia messo del suo. – le accarezzò il braccio. E
Louisa si voltò verso di lui, cercando di capire a cosa si stesse riferendo.
Una piccola parte del Marchio era stata sostituita da una cicatrice più fine e
discreta, come quella che Jason aveva sul petto. Ricordò qualcosa che le aveva
detto Isaiah. Qualcosa che aveva a che fare con i peccati capitali e delle
prove, ma come cercava di mettere a fuoco il pensiero, quello sfuggiva.
–
Dormi, Louisa. – chiuse gli occhi, con Jason che ancora la accarezzava
dolcemente e sentì le sue labbra posarsi sull’incavo del collo. L’ultima cosa
che sentì furono le braccia del ragazzo che
l’avvolsero dolcemente e il petto che le faceva da cuscino.
Will
sfogliava lentamente le pagine della cartella clinica di Annaliese seduto sulla
panchina del chiostro, a godersi le ultime giornate di sole di settembre. L’aveva
ottenuta senza troppi problemi da un Custode chiamato Malcom, e questa cosa lo
stupiva non poco. Gli era bastato semplicemente chiedere, Malcom lo aveva
squadrato qualche secondo, gli aveva fatto un paio di domande e poi gli aveva
allungato quei dati con un piccolo sorriso.
Nella
cartella c’era tutto quello che sapevano della ragazza, dalla sua storia
personale alla sua anamnesi. Era nata a Philadelphia e il padre era un
ufficiale dell’esercito di istanza in Medio Oriente. Cinque anni prima in
Israele, esplose un’auto lungo la strada, uccidendo nove persone, tra cui anche
il padre di Anna, e la ragazza finì in coma.
In
allegato alla cartella, c’era anche il rapporto scritto da Malcom che era
andato a recuperare la ragazza ad Ashdod. Conteneva tutte le informazioni che
l’uomo che riuscito a recuperare
sull’auto esplosa e sulle persone coinvolte.
Confrontò
i dati clinici di allora con quelli dell’altro ieri inseriti nella cartella. Aveva
avuto qualche linea febbrile tre giorni prima, ma per il resto Annaliese stava
bene.
A
parte il fatto che era in coma e che non si era ancora svegliata.
Will
girò pagina, prendendo dalla cartellina trasparente i tracciati degli
elettrocardiogrammi per poi esaminarli uno a uno. Sospirò, non trovando alcun
nesso logico.
Dal
rapporto di Malcom, Anna non era stata direttamente coinvolta nell’esplosione,
si trovava in una gelateria dall’altra parte della strada e secondo dei
testimoni, quando si era corsa tra i feriti e i cadaveri, nella confusione
successiva all’esplosione, era semplicemente caduta a terra incosciente.
Prese
di nuovo in mano il primo referto, quello compilato nel pronto soccorso di
Ashdod e controllò meticolosamente i risultati dei primi accertamenti. Niente.
Non c’era nulla fuori posto: un parametro del sangue che fosse alterato, una
TAC che evidenziasse traumi o emorragie. Sembrava quasi che il cervello di
Anna avesse chiuso i battenti
improvvisamente e si fosse rifiutato di riaprirli.
–
Una persona non finisce in coma per nulla! – lanciò la cartella clinica
sull’erba, con l’amaro in bocca.
Si
pentì immediatamente per quello scoppio di rabbia, ma la patologia di Anna era
un puzzle senza via d’uscita, e per la prima volta, le sue conoscenze e i suoi
libri di medicina non gli vennero in aiuto.
– Will? – la voce calda e musicale di
Louisa gli fecero alzare lo sguardo. – Ci sono problemi? – Louisa si fermò a
raccogliere la cartella clinica di Anna e quando lesse il nome
sull’intestazione le sue labbra formarono una piccola e dolcissima ‘o’.
Will si alzò alla svelta e le tolse la
cartella dalle mani con un piccolo sorriso: credeva fermamente nella privacy
dei pazienti e non era del tutto sicuro che Louisa conoscesse la storia di
Anna.
– Scusa, – disse spolverando la costa della
cartella con una mano. – La frustrazione.
Louisa corrugò la fronte, ma non cercò di
riprenderla. – Perché hai dei documenti di Anna?
– Studio. – alzò le spalle e tornò a
sedersi sulla panchina. – Più o meno. James mi ha detto di Anna e volevo
saperne di più. – le fece cenno di sedersi accanto a lui e Louisa obbedì
prontamente, mettendosi comoda.
– Solo curiosità?
– Volevo vedere se era stato fatto tutto il
possibile, ma non c’è nulla di anormale nelle sue terapie. Sono perfette.
Louisa scosse la testa. – I medici
dell’Istituto sono alcuni dei migliori. Non capisco.
– Ogni tanto ho dei deliri di onnipotenza. Credo
di poter fare tutto. – gli spuntò un sorriso allo sguardo sorpreso di Louisa. –
Scherzi a parte, volevo veramente sapere di Anna. Una quindicenne in coma da
cinque anni, – scosse la testa, la situazione era terribile. – Non ci sono
parole per descrivere un orrore simile.
Louisa annuì e fissò le aiuole davanti
loro. – Quando è arrivata qui, pensavo che si sarebbe svegliata presto, che i
medici avrebbero fatto qualcosa. Ogni giorni decine e decine di persone
entravano e uscivano dalla sua stanza, portando documenti, medicinali, idee.
Poi pian piano i medici sono sempre più calati e ora ci vanno solo gli
infermieri per darle le terapie e cambiarle posizione.
Will si irrigidì sentendo quelle parole,
sembrava quasi che si fossero arresi alle possibilità di un risveglio. –
Louisa? – chiamò, dominando la rabbia. – Posso vederla?
– Non lo so. Penso di sì. Dovresti chiedere
a James. Si occupa principalmente lui di Anna.
Will tornò a pensare alla ragazzina. I dati
continuavano a balzargli in mente e li collegò più e più volte tra loro, ma gli
mancava sempre qualcosa. Il motivo.
Anna era caduta in coma dopo l’esplosione, non aveva sbattuto la testa e dalla
TAC immediata e da quella a ventiquattro ore non c’erano segni di danni cerebrali.
Passò una mano sugli occhi, cercando di
focalizzare la situazione e ricominciò da zero, dimenticandosi di tutto il
resto.
Si sentì scuotere il braccio. Louisa lo
chiamava insistentemente e lui non se n’era neanche accorto. – Scusa. Quando
penso intensamente a qualcosa mi isolo. Cosa hai detto?
– Ti ho chiesto: come fai a sopportare
Jason?
Il cipiglio di Louisa lo fece scoppiare a
ridere e per un po’ mise da parte il caso di Anna, sentendo che la ragazza
aveva bisogno di parlare. – Jason non è cattivo.
– Parla per te. – incrociò le braccia al
petto. – Lui ti tratta abbastanza bene.
– Dicevo: Jason non è cattivo. Il suo modo
di fare è così. È diretto fino all’esasperazione e, a volte, è anche un po’
invadente, ma farebbe di tutto per le persone a cui vuole bene. – poggiò il
mento sulla mano, non sicuro di essere stato abbastanza chiaro. – Cosa ha fatto
per farti arrabbiare? Lo posso sapere?
Louisa avvampò talmente tanto che lui sentì
il calore provenire a ondate dal suo viso. – Lui, – cominciò lei torcendosi le
mani in grembo. – Lui si è comportato come un vero idiota. Ecco.
– Idiota. – ripeté Will. – Nel senso che ti
ha offeso e trattato male?
Louisa annuì. – Mi ha baciato.
Lo disse con una tale aria disgustata e
arrabbiata, che Will dovette trattenersi per non ridere e prenderla un po’ in
giro. – E la cosa non ti è andata giù, vero?
– Ovvio che no! – Louisa saltò in piedi,
iniziando a camminare avanti e indietro a lunghi passi. – Ma come si è
permesso? Lui sapeva che non doveva farlo! Voglio dire è stato irrispettoso!
Maleducato! – Will la lasciò sfogare senza interromperla, più di qualche volta
aveva assistito a sfoghi del genere da parte di Sophie e sapeva che aprire
bocca era pericoloso. – Non avrebbe dovuto entrare in camera mia tanto per
cominciare! Avrebbe dovuto chiedere permesso! Bussare! – si fermò di colpo e si
sfiorò le labbra. – Era il mio primo bacio. – sussurrò.
A quelle parole si alzò e la circondò in un
abbraccio. Voleva trasmetterle che lui le era vicino e che poteva confidarsi,
ma non le avrebbe permesso di giudicare Jason senza conoscerlo come lo
conosceva lui.
Jason gli aveva raccontato tutto di Louisa
e sapeva che non le avrebbe mai fatto una cosa del genere senza un motivo
valido. E di motivi gliene veniva in mente solo uno.
– Shhh. Calmati. – le accarezzò piano i
capelli. – Come avrai notato, Jason ha un pessimo carattere. Lui non fa
amicizia con le persone. Le sceglie, si impone, a volte in maniera parecchio
brusca, ma fidati quando ti dico che Jason è la miglior persona che io abbia
mai incontrato. Il suo modo di voler bene agli altri è totale. Non le tradirà
mai e farà di tutto per renderle felici. Non conosce mezze misure. E questo è il suo pregio e
difetto più grande, perché non ha riserve; quando viene ferito, poi distrugge
tutti i sentimenti che prova, facendo del male anche agli altri se necessario.
– Cosa stai cercando di dirmi? – lei si
scostò per guardarlo dritto negli occhi.
– Di non giudicarlo come un stronzo perché
ti ha baciato. Ci sono cose che non sai di lui, cose che non ama raccontare.
Jason è venuto in tuo soccorso molte volte, non ti ha mai lasciato indietro e
ha detto chiaramente a James di smetterla di cercare di proteggerti dal mondo
intero. Ti vuole bene in qualche modo, ma non lo te lo dirà mai. Quel bacio, so
che può averti fatto infuriare, lo sarei stato anche io, ma si è fatto molto
più male lui di te. Dovreste cercare di chiarirvi. Quando ti ha baciato?
– Ieri. Credo. – Louisa scosse la testa. –
Non lo so. Ero così arrabbiata. Sono sicura di avergli dato almeno uno schiaffo,
poi non ricordo bene cosa sia successo. Mi sono svegliata un’ora fa nel mio
letto.
– E non vi siete più parlati da, ehm, il
fattaccio?
– Non c’era. Quando sono uscita a cercarlo
ho incontrato te che lanciavi le carte. Se lo vedi lo mandi da me? – si mosse a
disagio tra le sua braccia. – Ho il vago ricordo di averlo preso per il collo.
– Will la squadrò incuriosito. Cos’era successo tra quei due?
Quella mattina non aveva parlato con Jason.
L’amico l‘aveva appena salutato mormorando qualcosa che assomigliava a ‘un
allenamento impellente’.
Non aveva aggiunto altro ed era scomparso
dietro l’angolo prima che lui potesse ribattere qualcosa. – Ora non ti
preoccupare per lui. Quando vorrà parlare salterà fuori. – si voltò bruscamente
sentendo il suono del clacson del kart elettrico e Louisa tremò violentemente
tra le sue braccia. – Ora dovrei andare. Gli allenamenti. – disse lei
ritraendosi. Will la lasciò scivolare via, anche se era tentato di fermarla. –
Se vedi Jason… – iniziò lei, ma poi scosse la testa. – Glielo dico io stasera.
– Louisa. – la chiamò Will. – Un’ultima
cosa. – Non erano affari suoi, ma doveva sapere cosa stesse provando l’amico.
– Dimmi.
– Il bacio. So che era il tuo primo bacio,
ma puoi dirmi com’era? Era affrettato, superficiale, veloce?
Le guance di Louisa si colorarono di nuovo
e abbassò gli occhi. – No. Era profondo e, – si torturò un’unghia per qualche
secondo. – Arrabbiato, direi.
Non richiamò la ragazza quando lei si voltò
e corse verso il kart.
Si sentiva come se avesse ricevuto una
botta in testa. – Cosa stai combinando, Jason?
Erano le due del mattino e Jason non
riusciva a prendere sonno. Stava seduto sul letto, con le spalle contro la testiera,
continuando a leggere nonostante il mal di testa.
Guardò istintivamente la finestra quando
sentì un tuono più vicino dei precedenti. Quel temporale improvviso lo aveva
costretto a scendere dalla torre dell’orologio su cui era salito quella mattina
per allenarsi e pensare in solitudine.
Non avrebbe dovuto baciare Louisa, ma
quelle labbra che lo sfidavano ogni volta che lei parlava, lo tentavano
costantemente. E quando Louisa aveva insinuato che lui stesse giocando, non ci
aveva visto più. Voleva dimostrarle che lui non stava affatto giocando, che
Louisa era importante e che la voleva. Chiuse gli occhi, ricordando il sapore
delle sue labbra. Era probabile che Louisa non si rendesse neanche conto
dell’effetto che gli aveva fatto, soprattutto quando aveva risposto e si era
lasciata andare.
Scacciò il pensiero e tornò a leggere,
cercando di concentrare ogni cellula della sua materia grigia sul libro di Ken
Follett che aveva tra le mani.
Rilesse la stessa riga per cinque volte
consecutive e alla fine rinunciò, lasciandolo cadere sul letto, esasperato.
Come poteva Louisa distrarlo perfino da un buon libro, lo sapeva solo lei.
Qualche ora prima, la ragazza era entrata
in camera sua e gli aveva detto che accettava la sua offerta di allenarla, se
era ancora valida.
Da allora, a intervalli regolari, non aveva
fatto altro che mettersi a progettare lezioni e recuperare tutte le nozioni di
base, che per lui ormai erano istintive, e pensare a come trasmettergliele.
Sentendo un rumore si volse verso la porta
e notò una luce provenire dalla fessura sotto di essa. Incuriosito, mise gli
occhiali da riposo sul comodino e andò a controllare.
Louisa stava seduta sul divano con le
ginocchia contro il petto e guardava intensamente la televisione.
– Cosa ci fai sveglia? Domani mattina
dobbiamo alzarci presto.
Gli occhi grigi di Louisa erano enormi e
sgranati quando si posarono su di lui. – Non riesco a dormire. Il temporale. –
si strinse un po’ di più le ginocchia contro il petto e tornò a dedicarsi al
programma.
Jason si sedette accanto a lei, resistendo alla
voglia toccarla. – Hai paura dei temporali?
Louisa annuì senza distogliere lo sguardo
dal documentario. – Non mi piacciono i rumori troppo forti e improvvisi.
La guardò per qualche secondo. A quel che
ricordava dal Mondo dei Sogni, Louisa adorava i temporali, si metteva sempre
fuori o si sedeva sulla finestra ad osservarli.
Jason batté le mani tra di loro e Louisa lo
fissò stupefatta. – Cosa fai?
– Era un rumore forte e improvviso, no?
– E allora?
– Non sei sobbalzata. Quindi, perché sei
sveglia?
– I tuoni sono più forti. Quelli mi fanno
paura.
– Louisa. – Jason alzò gli occhi al cielo,
chiedendosi perché lei non volesse dirgli la verità. – Ti crederei più
facilmente se mi avessi detto che ti sei alzata apposta per vedere il
documentario sui pesci.
– A me piacciono i pesci. Sono belli.
Jason assecondò quel repentino cambio di
discorso, accantonando per il momento il motivo per cui Louisa era sveglia. –
Anche a me piacciono i pesci. Soprattutto arrosto con il limone. E mi piacciono
molto anche in frittura. – la smorfia disgustata di Louisa lo fece sorridere. –
Cosa c’è?
– Io detesto mangiare pesce. Non ne
sopporto neanche l’odore. Sono belli così, vivi e colorati. – appoggiò il mento
sulle ginocchia e Jason vide le luci del televisore danzare sul suo viso. Voleva
baciarla di nuovo, ma le sfiorò solo la guancia con una mano, ritraendola
quando si accorse che Louisa era gelata.
Senza fare commenti, andò in camera a
recuperare una coperta leggera che le avvolse intorno. – Non ne avevo bisogno.
– disse lei stringendosela addosso.
– Certo, come no. E l’ipotermia è un
grazioso stato naturale di salute che tutti dovrebbero sperimentare una volta
nella vita. Sei ghiacciata. – ascoltò distrattamente la televisione, dove il
narratore spiegava il mutualismo delle anemoni e dei pesci pagliaccio. – E poi
questa cosa l’ho già studiata. Mi annoio a sentire cose che ho già studiato! –
afferrò il telecomando accanto a Louisa e iniziò a cambiare i canali
rapidamente.
– Che fai? – Louisa si allungò per
recuperare il telecomando, ma Jason lo passò nell’altra mano, tenendolo in
alto, fuori dalla sua portata. – Si chiama zapping. E avviene quando il
programma scelto è una palla mortale e si cerca qualcosa di meglio. – premette
un pulsante a caso. – Tipo questo. Resident Evil. – ghignò, pregustandosi il
film. Aveva cambiato giusto in tempo per vedere una delle scene più belle,
quando Alice viene attaccata dai dobermann-zombie e con la coda dell’occhio
notò Louisa coprirsi il volto con le mani. – È una crudeltà verso gli animali!
– esclamò lei.
– È un cane zombie. Hai presente? Grande,
grosso, cattivo e morto che zampetta in giro? Ti aspettavi che le portasse la
palla?
– Non mi piacciono gli horror. – si voltò a
guardare da un’altra parte con le mani sulle orecchie. – Mi fanno paura.
– Resident Evil non è così horror. Ci sono
film peggiori. Quelli sì, che tengono svegli la notte.
Louisa scosse la testa. – Basta! Non lo
voglio sapere. A me non piacciono. Punto.
Jason incrociò le braccia al petto. – A te
non piacciono un sacco di cose. Gli horror, il pesce, i ragazzi senza
maglietta. C’è qualcosa che ti va bene?
Louisa si batté il dito sul mento, con
l’accenno di un sorriso. – Il riso, i libri, i quadri e i fiori. Come vedi, ci
sono un sacco di cose che mi piacciono.
– Il riso? Quello che si mangia?
– Sì. – Louisa annuì vigorosamente. – C’è
un piatto italiano che mi piace tanto, usano il riso, il brodo e lo zafferano. Ecco,
quello è il mio piatto preferito, altro che il pesce.
– Il risotto. – concluse lui con un sorriso. – Ti piace il
risotto allo zafferano.
– Si.
Jason si alzò e le offrì la mano. –
Andiamo.
– Dove?
– A preparare qualcosa da mangiare.
Resident Evil l’ho già visto due volte e non mi piace stare fermo a guardare
documentari sui pesci. Andiamo in cucina.
Louisa guardò fuori dalla finestra e
boccheggiò alcuni secondi. – Ma fuori piove.
– Ma và? – commentò sarcastico.
– Ci bagneremo.
– Hai qualcosa di meno scontato da dirmi?
Louisa, – la chiamò dolcemente chinandosi all’altezza del suo viso. – Non c’è
nulla di male nell’uscire con un po’ di pioggia. Ci bagneremo? Okay, poi ci
asciugheremo e ci cambieremo, ma la cosa più importante è imparare ad
affrontare le proprie paure. Cos’è un temporale? Solo tanta acqua, luce e
rumore. Niente che ci possa ferire. – Louisa gli prese la mano e infilò le
ciabatte.
Lui andò ad aprire la porta e guardarono il
chiostro con circospezione. Emise un fischio di ammirazione per il muro d’acqua
che si trovarono davanti. – Però, è veramente tanta pioggia.
– Vuoi veramente andare in cucina con
questo tempo? – chiese lei.
– Io pensavo di correre verso la cucina per
bagnarci il meno possibile, ma credo che dovremo nuotare. – afferrò Louisa per
il polso e camminò a passo veloce sotto il portico, riparando la ragazza dalle
raffiche di vento e acqua, inzuppandosi la schiena. – Non è stata una delle mie
idee migliori. Lo ammetto. – alla fine del portico la prese in braccio senza
tante cerimonie è iniziò a correre verso la cucina, ignorando le proteste di
Louisa. Si fermò solo quando arrivò sotto la tettoia e mise giù la ragazza che
lo guardava furiosa e indignata, con i capelli gocciolanti e il pigiama bagnato,
che le aderiva al corpo. Sembrava un gattino affogato e scontroso e l’avrebbe
stretta, se lui non fosse stato nella stessa, identica situazione. – Entriamo?
– chiese con un sorriso imbarazzato.
– Come ti è saltato in mente? – Louisa si
strizzò i capelli, per poi stringersi le braccia al petto, mettendo in risalto
il seno e Jason aprì la porta per poi farle cenno di entrare.
Una volta dentro, aprì rapidamente le
valvole di tutti i radiatori e accese il forno per far scaldare l’ambiente. La
cucina riservata ai Sigilli era piccola, con il tavolo di legno laccato e i
piani di lavoro in marmo e acciaio inossidabile. Lì, dei cuochi scelti si
staccavano ogni giorno dalla mensa centrale per andare a cucinare qualcosa ai
Sigilli, a lui e a Will.
Comunque, per ogni evenienza, il
frigorifero era pieno e la dispensa ben fornita. Senza dire una parola, si
tolse la maglietta e i pantaloni della tuta e li appoggiò sul termoconvettore,
rimanendo solo con i boxer addosso.
– Jason Fen! Perché ti sei spogliato? – la
voce arrabbiata di Louisa gli trapanò il timpano.
– Mi asciugo! E dovresti farlo anche tu!
Levati quelle cose bagnate di dosso!
– Io non mi spoglio davanti a te!
– Guarda che non mi scandalizzo se rimani
in biancheria!
Louisa
abbassò gli occhi e strinse i pugni. – Io non ho nulla sotto il pigiama.
Rimase a bocca aperta. – Ah. Questo non
l’avevo previsto.
– Avevi previsto di farmi spogliare? –
Louisa afferrò un mestolo e glielo lanciò contro.
Si abbassò per schivarlo. – Ma ti diverti a
tirarmi contro gli oggetti? – alzò la voce anche lui, arrabbiato per il
comportamento della ragazza. – E poi è naturale che io voglia vedere una bella
ragazza in biancheria! – gli si seccò la gola quando si rese conto di cosa
aveva appena detto.
Calò un silenzio imbarazzato e Jason si
precipitò a tirare fuori una pentola, il riso e le spezie dalla dispensa e il
brodo dal frigorifero.
Afferrò una cipolla e la passò a Louisa
insieme a un coltello. – Taglia la cipolla, per favore. Io intanto sgrasso il
brodo.
Louisa annuì in silenzio e gli diede le
spalle e dopo un po’ la sentì tirare su col naso, mentre il coltello si
abbatteva in maniera aritmica sul tagliere. Non fece commenti e Jason si diede
da fare con il brodo, togliendogli lo strato superficiale di grasso e
mettendone metà a bollire.
– Hai finito con la cipolla?
– Quasi. – sentendo la sua voce rotta, si
voltò a guardarla.
La ragazza aveva gli occhi rossi e
continuava a strofinarseli, mentre della cipolla non ne era stata affettata
neanche la metà. – Cosa stai facendo?
– Affetto la cipolla, non vedi? Solo che mi
danno fastidio gli occhi.
Jason rise, smorzando leggermente il gelo
tra i due. – Veramente, mi sembra che tu stia mutilando la cipolla. – si mise
alle sue spalle e le coprì le mani con le sue. – Ti faccio vedere. Tieni le
mani morbide.
– Non mi fido.
– Non ti faccio nulla. Promesso. Ti insegno
a tagliare. Afferra le verdure così. – le posizionò le mani, in modo che
afferrassero saldamente il bulbo con le dita e il palmo. – Le dita ti
indicheranno dove tagliare, più vicino saranno a dove cade il coltello, più
sottile sarà la fetta. Con il coltello basta che fai movimenti piccoli, veloci
e ritmici. È tutto un lavoro di polso.
– Come mai sai cucinare? – chiese Louisa
lasciandosi guidare da Jason.
– Quando sei solo in casa con un altro uomo
impari a fare molte cose. Cucinare è una di queste. E poi mi rilassa.
– Dove hai imparato le ricette?
Jason alzò le spalle. – Su quello strumento
di perdizione che si chiama Google. – Louisa si voltò a guardarlo con le
sopracciglia alzate. – Contrariamente a quanto pensi, non vivo di siti porno.
Non ne ho bisogno. E puoi trovare molte cose utili su internet: canzoni, i
Muse, ricette, immagini, ti puoi sedere comodamente a osservare dei cretini che
si scannano sui social network sgranocchiando allegramente pop corn.
– So cos’è internet. – rispose lei
stizzita. – Volevo solo sapere dove avessi imparato. Tutto qui.
Finito di tagliare la cipolla, Jason prese
il tagliere e fece scaldare l’olio prima di buttarci dentro le fettine per
farle imbiondire. – Non so cucinare solo i risotti, ma anche le focacce, i
dolci…
– Non mi piacciono i dolci. – interruppe
Louisa.
– Mi sa che fai prima a dirmi cosa ti piace.
Lasciando che la cipolla si soffriggesse,
andò al termoconvettore a controllare quanto si fossero asciugati i vestiti.
Erano ancora umidi, ma non gocciolavano più.
– Tieni. – disse passandoli a Louisa. – Ti
andranno grandi, ma sono sicuramente meglio di quelli che hai addosso.
– E tu? – chiese lei prendendoli in mano.
– Posso restare così un altro po’. Non ho
freddo. Tu invece stai tremando. – Louisa si rigirò la maglietta di Jason tra
le mani. – Non ti guardo se è questo che pensi. – la precedette lui. – Io mi
giro, tu ti giri. Nessuno vede nulla. – si voltò a mescolare il soffritto,
mentre Louisa si spogliava e si rivestiva in fretta. Voleva guardarla, anche
solo un attimo, per vedere se il ricordo di lei sotto la doccia combaciava con
la sua reale figura, ma aveva promesso. E lui avrebbe sempre mantenuto una
promessa.
– Fatto. Grazie. – Jason si voltò. Aveva
solo la maglietta addosso, che le cadeva fino a metà coscia, e gli porgeva i
pantaloni. – La maglietta mi va più che bene. E sono a disagio nel saperti così
poco vestito. – si voltò a guardare il muro imbarazzata. – Mettiti i pantaloni,
per favore. – Jason obbedì, infilandosi velocemente i pantaloni per poi mettere
a tostare il riso con il soffritto.
– Sei strana. Potevi stare completamente
coperta e invece mi offri la visione di un bel paio di gambe.
– Io mi siedo e tu non mi guardi.
Jason sghignazzò e innaffiò il riso con il
vino. – Sono impegnato a cucinare. Non ti guardo. – era veramente impegnato a
cucinare e a togliersi dalla mente il bacio che si erano scambiati ventiquattro
ore prima.
– Jason, – la voce di Louisa era bassa,
appena un sussurro e lui annuì facendole cenno che la stava ascoltando. –
Perché mi hai baciato? – gli cadde il mestolo dalle mani, dimenticandosi del
risotto.
– Perché no?
– Perché non dovevi.
– Torniamo al punto di partenza. Non dovevo
o tu non volevi? Perché la seconda l’hai smentita per bene. – Jason fece il
giro del piano di lavoro lentamente, afferrandola per il gomito e mettendola in
piedi. – Devi capire una cosa di me: io
sarò gentile e cercherò di rispettarti finché potrò, ma mettiti in testa che io
non sono il principe azzurro delle favole. Ti ho baciato perché volevo. Perché
mi avevi fatto infuriare, perché volevo zittirti e perché ci sono cose che si
possono trasmettere solo toccandosi a vicenda. Le parole non bastano. Dirmi che
per me era tutto un gioco. – strinse i denti al ricordo. – Non hai idea di cosa
tu abbia detto. Se volessi giocare con te, non mi sarei fermato e non ti avrei
permesso di schiaffeggiarmi.
– Lo rifarai di nuovo?
– Io non sono un Sigillo, Louisa. Non sto
dalla parte degli angeli. Non ho alcun voto da rispettare e sono
fondamentalmente egoista. Quindi, sì, ti bacerò di nuovo se vorrò. E tu, mio
piccolo scricciolo bagnato, non potrai fare nulla per fermarmi o per fermare la
te stessa che si è lasciata andare. – le scoccò un bacio sulla fronte e tornò a
cucinare, bagnando il riso abbondantemente con il brodo.
– Ieri, – proseguì lei. – Ho cercato di,
ehm, lo sai, no? Di ucciderti.
Jason canticchiò sottovoce, ignorandola
volutamente.
– Rispondimi! – insistette lei.
Versò lo zafferano nel risotto in
preparazione, prima di voltarsi. – Io ti rispondo, se tu dici una cosa a me. E
rispondi sinceramente. Hai veramente paura dei temporali?
– Sì.
Le tornò vicino, mettendo pochi centimetri
tra di loro. – Stai mentendo. Non mi guardi mai negli occhi quando sei
imbarazzata o quando mi menti.
– Che ne sai che non mi imbarazza parlarne?
– Perché sei molto carina quando sei
imbarazzata, invece mi fai incazzare quando mi menti. E ora mi sto incazzando.
– Louisa deglutì vistosamente e Jason le guardò le labbra sentendo il suo
respiro sul collo. – Dimmi la verità.
– Ho degli incubi. – disse infine Louisa. –
E quando li ho poi non riesco a riaddormentarmi. A volte sto sveglia proprio
per paura che arrivino, ma poi crollo per la stanchezza e li trovo lì, ad
aspettarmi.
Jason prese una sedia e si sedette davanti
a lei. – Dimmi tutto. Cosa hai sognato?
– Sono diversi, ma negli ultimi giorni è
sempre lo stesso. – inspirò profondamente e tremò vicino a lui. – Sono in un
enorme spazio buio e sento in lontananza un orologio ticchettare e diverse voci
ridere. Quando chiedo chi c’è, sento una voce nell’ombra che mi dice: ‘sarà
tutto mio.’ So che è stupido, ma quando mi sveglio mi sento male e non riesco
più a dormire.
– Dice veramente ‘sarà tutto mio’? – Louisa
annuì e il cuore di Jason perse un paio di battiti. Gli venne in mente una sola
persona che ripeteva costantemente ‘mio’.
Tamiel.
Dio,
il
mio obbiettivo è lo stesso tuo,
quindi,
permettimi di farla mia,
prima
di spezzarmi l’anima.
NaD: sono esaurita, vorrei mettere ogni
singolo nome da ringraziare. Veramente, dire grazie e lanciare cuori a tutti,
ma oggi ho riletto tre volte (tre volte!) la storia di James e sto finita.
Quindi, farò un grazie generale a tutti.
<3
Khyhan
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Capitolo 11 *** XI. Sancta Sanctorum ***
XII - Sancta Sanctorum
Sancta
Sanctorum
“E porrò in mezzo a loro
il mio santuario a tempo indefinito.”
Ez 37:26
I muscoli delle
gambe di Louisa esplosero in un urlo silenzioso, quando Jason si appoggiò con
le ginocchia sulla schiena, per aiutarla negli allungamenti. – Io non ce la
faccio più!
– Mi dispiace.
–disse Jason allentando la pressione sul suo corpo. – Ma ancora non riesci a
mantenere la posizione da sola e non riesci a toccarti le punte dei piedi con i
palmi delle mani.
Louisa si voltò,
lanciandogli un’occhiata di fuoco. – Io odio lo stretching!
– Se vuoi non
farlo, prego. – rispose con fare canzonatorio incrociando
le braccia. – Ma non ti lamentare se domani avrai i crampi ai muscoli.
Louisa abbassò lo
sguardo sulla tuta azzurra che il ragazzo le aveva procurato quattro settimane
prima, quando aveva iniziato ad allenarla. Dopo tutto quel tempo, non le aveva
mostrato alcuna mossa di arti marziali, solo intensivi esercizi muscolari e
corsa. Tanta corsa. Per non parlare dell’odiato stretching. – Perché devo fare
tutti questi esercizi? Non dovevi insegnarmi l’autodifesa?
– Insegnarti
l’autodifesa senza prima aver fatto un po’ di muscoli? Il primo Grigorio che
incontri si mette a ridere. – si tolse la maglietta nera e irrigidì gli
addominali. – Forza, prova a tirarmi un pugno.
Louisa seguì con
gli occhi la linea dei muscoli del petto e dell’addome, distogliendo lo sguardo
all’elastico della tuta. – Non posso. – si sentì sprofondare per la vergogna. –
Potrei farti male. E io non voglio ferire nessuno.
– Disse quella che
colpì in testa un Nephilim con un bastone. –
commentò lui sarcastico.
Batté una mano a
terra, stizzita e rossa in volto. – Era una situazione d’emergenza!
La risata di Jason
la costrinse ad alzare la testa. Il ragazzo era piegato in due dal ridere e gli
occhi azzurri gli brillavano. – Fammi capire bene, sei capace di tirare una
bastonata in testa, ma non sei capace di darmi un pugno?
– Eri in pericolo,
ti avevano circondato e non sapevo cosa fare. – si morse il lato interno della
guancia. – Avevo paura per te. – ammise.
Jason smise
immediatamente di ridere e la spinse contro la parete della palestra. – Quindi
attaccherai solo se qualcun’altro è in pericolo? Tu non ti difenderai? – le
mani di Jason erano appoggiate al muro, ai lati della sua testa, lasciando pochi
centimetri tra di loro. Sentiva il calore e l’odore del suo corpo, misto a
quello del sapone alle erbe che lui le aveva rubato. – Rispondimi, Louisa. –
disse lui, cercando la sua attenzione. – Non userai quello che ti insegnerò per
attaccare gli altri?
Scosse la testa,
appiattendosi contro il muro e irrigidendo i muscoli. – No. – sussurrò. –
Voglio solo difendere gli altri. E ora spostati, per favore. Mi dà fastidio
averti sempre addosso.
Jason le baciò un
angolo della bocca, prima di staccarsi da lei. – Domani mattina insieme al Tai
Chi, inizio a spiegarti come cadere. Sono esercizi che ti insegneranno a non
farti troppo male se vieni buttata a terra e a rialzarti velocemente.
Soprattutto, dovrai imparare a fare le capriole.
– Capriole?
– Il modo più veloce
per togliersi dai piedi se le cose si mettono male. – rispose un’altra voce
proveniente dall’ingresso della palestra. – Credevo che il figlio di Fen te le
avesse già insegnate. – Louisa guardò oltre Jason e sorrise quando riconobbe
Malcom con indosso la tuta grigia. – Non ti ho
permesso di usare la palestra per provarci con Louisa, figlio di Fen.
Jason strinse i
pugni e si voltò a fronteggiarlo. – Ho un nome!
– I nomi sono
potenti. – rispose lui, saggiando l’equilibrio di una spada. – Tuo padre non te l’ha mai detto? Ha perso colpi il vecchio Fen.
– Non parlare di
lui in questo modo. E non era vecchio, aveva appena trentanove anni quando è
spirato.
Il sorriso
sarcastico di Malcom si allargò e prese in mano un’altra spada. – Ragazzino,
conoscevo Fen da ancora prima che tu nascessi. – gli lanciò la spada, che Jason
prese al volo. – Sono curioso di vedere cosa ti ha insegnato. Louisa, scendi
dalla pedana, potresti farti male. Mettiti in guardia, se riuscirai a battermi,
ti giuro che ti chiamerò per nome. Fino ad allora, per me, sarai un cucciolo
che inciampa nelle proprie zampe nella foga di correre.
Louisa guardò Jason
che annuì una volta, corrugando la fronte per la concentrazione.
– Un incontro
pulito, ragazzino. Il primo che si arrende o che viene disarmato, perde.
Louisa si sedette
vicino all’ingresso, mentre i due uomini si salutavano con un inchino.
In meno di trenta
secondi, perse il conto delle stoccate e delle parate che si sferrarono.
Combattevano talmente tanto vicini, che faceva fatica a seguirli.
Silenziosamente,
iniziò a pregare che Jason non si facesse troppo male, quando Malcom ancorò il
piede del ragazzo, facendogli perdere l’equilibrio.
Jason rotolò
all’indietro, mettendo spazio tra lui e il suo aggressore, che sorrise. – Sei
bravo a cadere.
– Hai detto un
incontro pulito.
– Non ho mai detto
che non si potessero usare le arti marziali.
Louisa trattenne il
fiato, quando Jason deviò un fendente laterale con la spada. Con la mano libera
gli sferrò un pugno al centro del torace, che Malcom parò senza problemi. –
Niente male. – facendo leva sul braccio di Jason, il Custode gli diede una
ginocchiata allo stomaco.
– Jason! – Louisa
fece per correre da lui quando la fermò con un gesto secco della mano.
– Ferma! – era
pallido e ansante, ma le parole erano ferme e risolute. – Non ho ancora perso.
Louisa si risedette
e cominciò a torturarsi le unghie per la frustrazione, quando Jason e Malcom
iniziarono a girare in cerchio studiandosi a vicenda.
Perfino lei capiva
che Jason era stanco per la lunga giornata e che non avrebbe resistito molto
agli attacchi serrati di Malcom.
Si scambiarono
un’altra serie di stoccate, stuzzicandosi a vicenda, ma senza attaccare mai
veramente.
Il Custode portò
tutto il peso in avanti, mirando al collo di Jason, che anziché ritrarsi, gli
andò incontro. Le due lame scivolarono l’una sull’altra fino all’elsa e con un
gioco di polso, Jason lo disarmò. Il torace del ragazzo si alzava e si
abbassava velocemente, mentre gli puntava la lama alla gola. – Un colpo
d’arresto. – commentò Malcom senza smettere di sorridere. – Yang ti ha
insegnato bene. Ho perso, Jason, puoi anche mettere giù la spada.
– Mi avresti
staccato la testa se non ti avessi preso in controtempo.
– Poche persone
sanno eseguire un colpo d’arresto come quello. Yang era una di quelle pochi. E
tu, – guardò per un attimo Louisa, per poi tornare a Jason. – Sei il suo degno
erede.
– Lo conoscevi
bene? – chiese lui tornando da Louisa.
– Eravamo amici. Ci
allenavamo insieme. Tuo padre sapeva adattare le arti marziali alla scherma
occidentale. Era un Custode perfetto, prima che…
– Prima che si
stufasse di voi e tagliasse la corda? – interruppe lui, incrociando le braccia.
– Prima che
decidesse di seguire un altro destino. – raccolse le armi e le rimise nella
rastrelliera. – Puoi usare la palestra per allenare Louisa ogni volta che vuoi.
Ora me ne vado.
Come Malcom si
chiuse la porta della palestra alle spalle, Jason si sedette sul bordo della pedana,
guardando Louisa stancamente. – Prima ti eri preoccupata per me.
– Ripulire questo
posto dal sangue sarebbe stata una faticaccia. – accennò un sorriso e si
sedette accanto a lui. – Vuoi andare a farti una doccia? Puzzi un po’ di
sudore. – disse infine.
– Certo che tu non
sai proprio trattenerti dal dire verità scomode. – le passò una mano intorno
alla vita e la strinse a sé.
– E tu non sai
trattenerti dal toccarmi continuamente e dal toglierti la maglietta.
Jason si stese
sulla pedana e scoppiò a ridere. – Mi piace. Impazzisci e ti divincoli. E poi,
ora ho caldo, la maglietta mi ucciderebbe.
– Anche una
congestione, ti ucciderebbe.
– Non portare
sfiga. Ne abbiamo già troppa. – disse lui con gli occhi al cielo. Si rialzò con
un colpo di reni. – Sai cosa mi piacerebbe fare ora? Visitare la biosfera.
Louisa ammutolì.
Sapeva che Jason studiava biologia, ma fargli visitare la biosfera? Quella era
stata costruita per lei e per i Sigilli. Solo Isaiah poteva entrarci oltre a
loro e nessun altro. – Io non so se... – mormorò.
– Perché no? –
insistette lui abbassandosi all’altezza dei suoi occhi. – È una biosfera.
– Perché a nessuno, eccetto a noi Sigilli, è permesso mettervi piede. È il nostro posto. Ci riposiamo e possiamo pensare
un po’ a noi.
– E tu pensi che io possa turbare la pace
della biosfera?
Louisa gli scoccò
un’occhiataccia. – Tu turbi la pace di chiunque.
Jason rise di
nuovo. – Ammesso e non concesso. Farmela visitare sarebbe una cosa tanto
brutta?
Louisa ci rifletté
qualche secondo. La biosfera era un luogo di pace e serenità. Lei lì si sentiva
al sicuro. – Non brutta. – disse lei infine. – Solo strana. – incrociò lo
sguardo pieno di aspettative di Jason e capitolò. – D’accordo. Però non fare
danni. È un posto importante.
– È una biosfera.
Lei scosse la testa
e gli lanciò la maglietta e la felpa. Jason non avrebbe capito finché non
l’avrebbe visto con i suoi occhi. – Non è solo quello. È il nostro Sancta
Sanctorum. Nell’Istituto non c’è posto più importante.
La cupola della
biosfera, che lui vedeva costantemente, era solo una piccola parte del
complicato ed equilibrato ecosistema che avevano costruito nell’Istituto.
Prima di entrare,
Jason era stato tartassato dall’incessante fiume di parole di Louisa, che gli
raccomandava costantemente di comportarsi bene.
Come se lui non lo
facesse. – Metti la mano sull’altro scanner gel. – disse Louisa, già con la
mano su uno degli scanner. – Devo inserirti come mio ospite. – per un attimo
non capì cosa gli stesse dicendo la ragazza, attirato com’era dalla mole
dell’edificio in vetro e acciaio, poi notò il piccolo schermo dove lampeggiava
il suo nome e accanto un punto di domanda.
– Perché solo come
ospite?
– Perché per ora
sei un ospite. Te l’ho già detto: è un posto importante, ci entriamo solo noi
Sigilli e Isaiah. E a parte noi, solo i veterinari entrano e solo su
autorizzazione. Un computer controlla la temperatura e l’umidità della
biosfera. È tutto automatico.
Jason sorrise
vedendo il volto scuro della ragazza. Continuava a ripetere quella cosa dei Sigilli
da quasi un quarto d’ora e non ne capiva il senso. – È un ecosistema, Louisa.
Non è Fort Knox. A che serve tutta questa sicurezza?
Louisa lo ignorò
volutamente, digitando le autorizzazioni sulla tastiera, finché il led sullo
scanner di Jason divenne verde.
– Abbiamo i nostri
motivi. – rispose lei spingendo la porta e facendogli cenno di entrare. In
fondo al piccolo corridoio si apriva un’altra porta, ma non fu quello a
lasciarlo a bocca aperta. Anche la zona filtro era in vetro e acciaio,
permettendogli di vedere meglio l’interno della struttura.
Gli tremarono le
mani per l’emozione, quando una scimmia saltò sulla cupola del tunnel e corse
velocemente verso il ramo più vicino con un frutto tra le zampe, per poi
sparire tra il fogliame. – Quella era una scimmia leonina! Sono in via di
estinzione.
Louisa guardò le
foglie tra cui era scomparso l’animale. – Ne abbiamo una decina. Almeno così
c’è scritto nel database della biosfera. – Louisa
gli strinse le dita e aprì la seconda porta.
L’aria caldo-umida gli
invase i polmoni, rendendogli, per un attimo, difficile la respirazione e la
maglietta sotto la felpa gli si appiccicò addosso. In meno di tre passi si
tolse di nuovo la maglia, rimanendo a torso nudo.
Louisa gli diede
un’occhiata di traverso, ma non disse una parola, togliendosi anche lei la
felpa e rimanendo con la canottiera bianca. – Almeno non sei immune al clima
tropicale. – commentò lui asciugandole la fronte. – Facciamo una passeggiata?
Tra le piante basse
si stendevano dei piccoli viali percorribili, e
Jason imboccò il primo a caso, trascinandosi dietro Louisa. – Che animali e
piante ci sono qui dentro?
– Non lo so. Ce ne
sono centinaia, non le conosco tutte. Il computer che regola la biosfera ha un
catalogo completo, viene aggiornato ad ogni nuovo evento.
– Tipo?
– Tipo: nascite o
morti di animali. Eventuali malattie. Viene scritto tutto.
Jason annuì. In
quel momento voleva avere dieci paia di occhi in più per poter vedere e
catturare tutto nella memoria.
Un colibrì dalle
piume verdi brillanti si fermò in volo davanti a lui, studiandolo per qualche
secondo. – È un… – Louisa gli pestò il piede, azzittendolo.
– Smettila. –
sibilò lei tendendo la mano. – Cosa ti importa di cos’è? È bellissimo. – il
colibrì si posò senza paura sulle dita della ragazza, inclinando la testa per
studiare meglio Jason.
– Non dovrebbero
fare una cosa del genere. – disse lui, guardando lo strano comportamento
dell’animale. – Va contro le leggi della biologia.
– Perché mai? –
chiese Louisa lasciando che l’animale volasse verso un fiore di ibisco. – Sanno
che io non gli farei del male. Sono un Sigillo, proteggo anche loro.
– Sei umana. –
rispose incredulo Jason. – È una questione di odori.
– Ho promesso a
questi animali che non gli avrei fatto del male e loro mi hanno accettato.
Scosse la testa. –
Non puoi promettere e basta. È contro natura.
– Non quando
prometti nella Lingua del Cielo. La lingua con cui tutto è stato creato. Non
puoi mentire e tutti ti
comprendono. È la Lingua Universale. È quella che ci ha uniti.
– Sai, mi riempie
il cuore di gioia, – commentò lui stringendo i pugni al ricordo. – Sapere che
non si possa mentire in quella lingua. – era più freddo di quanto non volesse.
Era in un posto che adorava fin da quando ci aveva messo piede, ma il ricordo
di ciò che gli aveva fatto Louisa lo faceva fremere di rabbia.
– Non avrebbe
funzionato se le nostre anime non si fossero capite in quella lingua.
– La mia anima non
era consenziente. In quel momento era impegnata a salvarci la pelle.
Louisa batté le
palpebre un paio di secondi, fermandosi di botto. – Ma come fai ad essere
arrabbiato qui dentro?
Lui alzò le spalle
e si voltò a studiare una felce. – Posso arrabbiarmi qui, in camera tua, al
biliardo. Non è che qui ci siano i cartelli ‘vietato arrabbiarsi’.
– In teoria non
dovresti. Voglio dire questa biosfera è… – chiuse la bocca e si voltò a
guardare da qualche altra parte, rossa fino al collo.
Stava per chiederle
cosa fosse la biosfera, quando un Boa le si avvicinò. Allungò un braccio per
tirarla indietro e proteggerla, quando Louisa si mise ad accarezzare sulla
testa il serpente, che con gli occhi socchiusi
si godeva le coccole. – Ma stiamo scherzando? Il colibrì che ti si appoggia
sulla mano lo posso accettare, per qualche strano scherzo della natura lo
potrei anche capire, ma il Boa Constrictor che
si comporta come un gattino, no! – l’animale risalì le gambe e il torso della
ragazza, guardando Jason da sopra una spalla di Louisa.
Si fissarono per
qualche secondo, lui e il Boa, prima che quest’ultimo gli mostrasse la lingua
biforcuta. – Ma che? – sapeva di avere la bocca aperta, ma non poteva fare
nessun’altra espressione. Quel serpente lo stava apertamente sfottendo e si
prendeva le carezze di Louisa.
– È dolcissimo,
vero? – disse Louisa grattandogli sotto il muso. – È anche molto intelligente.
È un gran
approfittatore, pensò Jason, guardando come il Boa si stringeva
attorno alle forme di Louisa senza farle del male. – Inizio a capire perché
nella Genesi si parla di serpenti come dei tentatori del peccato. Staccati da
lei! – per tutta risposta il Boa lo guardò male. Sempre che un serpente potesse
guardarlo male.
– Meglio se vai. –
sussurrò Louisa all’animale. – Vorrei portarlo al laghetto e temo che possa
andare in escandescenze.
Il Boa scese
lentamente dal corpo di Louisa e mostrò un’ultima volta la lingua a Jason prima
di sparire tra le felci e le orchidee tigrate.
Si affiancò a
Louisa, che salutò con una mano un ibis scarlatto che li guardava appollaiato
su un banano. – Dove vuoi andare? – chiese Jason, tornando calmo e guardandosi
intorno.
– Al laghetto
centrale, quello con la cascata. C’è una cosa che voglio mostrarti. – Jason si
distrasse, seguendo un colibrì che portava del muschio nel becco. – Vieni con
me. – la afferrò per la mano e iniziò a seguire il colibrì, usando i suoi sensi
sviluppati per non perderlo.
– Che stai facendo?
– urlò Louisa quando lui se la caricò sulle spalle.
– Parla piano. –
abbandonò il sentiero, per infilarsi in quella giungla sottovetro
all’inseguimento dell’uccellino. Se aveva ragione, presto avrebbe visto qualcosa
di stupefacente. Guardava appena dove metteva i piedi, con Louisa che si
lamentava, facendo attenzione a non inciampare e a non schiacciare qualche
animale.
Il colibrì che
stava inseguendo si infilò tra i rami di un albero e Jason lo perse di vista
una volta per tutte. – Un albero della gomma. – disse lui, accarezzandone il
tronco. – Ti ricordi la scalata sull’albero, Louisa?
– Che vuoi fare?
– Ora facciamo una
scalata a livello pro. Reggiti forte. – anziché salire sull’albero della gomma,
Jason scalò l’albero accanto, un ficus alto quasi cinque metri. Trovò facile
accesso, grazie alle radici aeree che gli permettevano di salire velocemente e
fece sedere Louisa su un tronco accanto a sé. – Si può sapere perché l’hai
fatto? – le tappò la bocca e le mostrò l’albero della gomma.
– Guarda bene. –
sussurrò. – Vedi il colibrì in volo stazionario? Lì, vicino a quelle foglie?
Sta costruendo un nido. – Louisa smise di protestare e le guance le divennero
rosse per l’eccitazione.
Si sporse in
avanti, seguendo l’indicazione del suo dito. – Cosa usa?
– Muschi, licheni,
peli di animale e piume. Poi legherà tutto con delle ragnatele per renderlo più
sicuro, e lo fisserà con del nettare ai rami e alle foglie. Sarà un nido bello
morbido. – Jason fu distratto da un lampo di colore che vide con la coda
dell’occhio. – Guarda là. – disse prendendo il mento di Louisa per farla
voltare. – Il maschio. – Era un uccellino non più grande della mano di Louisa,
di un rosso sgargiante.
– Cosa sta facendo?
– Danze acrobatiche
per attirare altre femmine con cui accoppiarsi. Si fa vedere figo.
Louisa chiuse la
bocca e corrucciò la fronte. – Ma siete tutti uguali! – la attirò a sé,
affondando il viso tra i capelli umidi e profumati della ragazza. – Benvenuta
nel mondo della biologia. Ah, non è vero, comunque. Alcuni primati sono
monogami. Anche i cigni lo sono. Una volta perso il partner,
si lasciano morire.
Louisa lasciò
dondolare le gambe nel vuoto. – È una cosa triste. Bella, ma triste. – commentò
pensierosa.
Le scostò i capelli
dal collo. – Alcune specie, quando vengono ferite dal proprio partner passano
anni prima di rifarsi una vita. Prima, tendono a distruggere tutto quello che
provano, non lasciando avvicinare nessuno.
Louisa si morse il
labbro inferiore e per un attimo, Jason provò l’impulso di farlo lui stesso. –
Questo è ancora più triste. Voglio dire, come si può vivere così?
Jason le accarezzò
la testa per distrarsi dalle sue labbra. – Non si può infatti. – fece un
sorriso triste, non sicuro che Louisa avesse capito di chi stesse parlando.
Tornò a guardare il colibrì che faceva il nido. – Presto avremo dei piccoli
uccellini che svolazzeranno allegramente. Ora, scendiamo da qui.
Jason aiutò Louisa
a scendere e quando lei tornò con i piedi per terra, si voltò a guardare gli
uccellini. – Magari, – cominciò rossa in volto. – Potremmo tornare quando
nasceranno i piccoli.
– Se vuoi. – il
tono era piatto, quasi annoiato, ma era felice che Louisa gli avesse chiesto di
ripetere l’esperienza. – Hai parlato di un laghetto. Cosa c’è lì?
– È il centro della
biosfera. È un lago con una cascatella. Mi piace andarci a nuotare quando non
ho nulla da fare. – a Jason tornarono in mente i sogni che gli aveva mostrato
Annaliese. Non aveva mai visto ridere tanto Louisa, come quando si tuffava lì
dentro.
Camminarono
affiancati in silenzio per qualche minuto, nonostante la fitta giungla
tropicale, sembrava che Louisa sapesse esattamente dove stesse andando. Si
morse la lingua quando qualcosa gli saltò sulla testa, per poi accoccolarsi
sulla spalla di Louisa. – Ciao, piccolina. – la ragazza accarezzò il folto pelo
dorato di un cucciolo di scimmia leonina e Jason sbuffò. – Noè sarebbe
invidioso di tutto il tuo successo.
– Non credo. –
accettò il mango che l’animaletto le stava offrendo e se lo rigirò tra le mani.
– Noè era come noi. Almeno credo. Sono passati troppi secoli per saperlo con
certezza.
– O magari, –
rispose lui, incrociando le braccia al petto. – Sono solo favole.
Louisa e la scimmia
lo guardarono sconcertati. – Ma sei ancora scettico?
– Sono sempre
scettico finché non sbatto il naso contro delle prove inconfutabili.
– Le prove, dici. –
Louisa alzò lo sguardo verso le chiome degli alberi e per qualche secondo
sembrò assente. – Se sono quelle che vuoi, te le posso mostrare.
Il laghetto era esattamente
come lo ricordava Jason nei suoi sogni. Una pozza d’acqua dove al centro
spuntavano delle rocce e una cascata alta un paio di metri.
Una strana calma
calò su di lui e il profumo dei fiori e dell’acqua divenne più intenso, gli
uccelli cantavano più forte e le piante erano più verdi e rigogliose. Aveva la
strana voglia di mettersi a ridere e a sdraiarsi sull’erba ad ascoltare la voce
morbida di Louisa mentre leggeva. – Che posto è questo? – i rami degli alberi
si incurvavano verso il laghetto, formando un tetto di foglie che lasciava passare
solo un raggio di luce che colpiva il centro del lago.
– Te l’ho detto, la
biosfera è il Sancta Sanctorum.
Non capì subito
cosa volesse dire, poi ricordò le infinite e noiose prediche del prete a messa
e gli si seccò la gola. – Il Sancta Sanctorum. – ripeté senza voce. – Nella
Bibbia non era quel posto nel tempio che… – Louisa annuì alla sua domanda
inconclusa. – Mi stai dicendo, – proseguì lentamente, guardando l’acqua. – Che
tenete l’Arca dell’Alleanza sul fondo del laghetto dei pesci?
– Non proprio sul
fondo del lago. È più sotto, protetta in modo tale che nessuno a parte i
Sigilli possa arrivarci.
– Sai quanta gente
la cerca?
– Sai che questa
gente potrebbe anche chiedere per favore? – gli occhi di Louisa erano
spalancati, mentre si fissavano. Non c’era malizia o rabbia nel suo sguardo,
solo la richiesta di crederle e di avere
fede.
Inspirò
profondamente, notando quanto pura fosse l’aria in quel punto. – Si può entrare
nel lago? Non è pericoloso?
– Io ci vado sempre
a nuotare.
– Quanto è
profondo?
Louisa lo trafisse
con lo sguardo, con un piccolo sorriso. – Non tanto, credo una decina di metri
nel punto più profondo, perché?
– Una decina di
metri. – ripeté lui sentendo i palmi delle mani sudati. Non lo avrebbe mai
ammesso davanti a lei, ma l’idea di tuffarsi iniziava a non allettarlo più come
prima.
Louisa si tolse le
scarpe e arrotolò il fondo della tuta fino alle ginocchia, sedendosi sul bordo
del lago con le gambe ammollo. – Cosa c’è?
Voleva risponderle
una stupidaggine quando gli si seccò la bocca. – È Will quello che stava nella
squadra di nuoto, io sto a galla. Circa. A galla come un sasso, a dir la
verità. Non so nuotare. – si morse la
lingua per non farsi sfuggire altro e guardò male il lago. Non l’aveva mai
detto ad alta voce, ed ora non era riuscito a trattenersi. Sospettava che
l’influsso dell’Arca non si estendesse solo all’ecosistema della biosfera o al
comportamento degli animali. – Si può mentire davanti all’Arca?
– Si può fare una
domanda meno cretina? – rispose lei creando piccole onde con le gambe. – Posso
insegnarti a nuotare se questo ti preoccupa.
– Will ci ha
rinunciato anni fa. – rispose lui sedendosi contro la schiena di Louisa. – Non
so quanto tu possa avere pazienza.
– Will non è il
Sigillo dell’Acqua.
– Non sai usare i
tuoi poteri.
– Certo che anche
tu con le verità scomode…
Jason scoppiò a
ridere e si stese sull’erba, godendosi il calore del sole che filtrava tra le
foglie. – Io non mi risparmio in verità scomode. – stava per tirare Louisa a sé
e stamparle un bacio quando qualcosa lo colpì su una spalla.
Guardò sconcertato
la banana accanto a lui e poi le scimmie appollaiate sugli alberi. – Mi hanno
lanciato una banana? – lo colpirono di nuovo, stavolta in testa e lui mostrò i
denti, in un basso ringhio. – Ma che hanno?
– A che pensavi? –
chiese lei guardando i frutti per terra.
– Che volevo
baciarti. – si lasciò sfuggire quell’altra verità e si spostò dal lago,
cercando di sfuggire al suo influsso prima di andare incontro a una catastrofe
sociale.
Louisa rise. Una
risata pura, semplice che gli arrivava dritta al cuore, facendoglielo battere
forte contro lo sterno. – Immagino che tu, qui, sia costretto a dire la verità.
Un angolo delle
labbra di Jason si piegò verso l’alto,
rendendosi conto di una cosa. – Qui nessuno può mentire.
– No, infatti.
Dobbiamo sempre dire la verità.
– Cosa hai provato
quando ci siamo baciati? – chiese a bruciapelo.
Louisa divenne
rossa fino alla base del collo e guardò l’erba. – Jason, non chiedermi una cosa
del genere.
– Perché no? È una
semplice domanda. – il corpo e il nervosismo di Louisa gli stavano rivelando
molte più cose di quanto le parole avrebbero potuto fare, ma voleva
sentirglielo dire. – Se ti ha dato tanto fastidio, puoi dirmelo.
Lei deglutì
vistosamente, guardando prima il lago, poi lui. – I–io, – scosse la testa. –
Non mi ha dato fastidio. All’inizio sì, ma poi… – sembrava che Louisa si stesse
tirando fuori le parole con le tenaglie. – Mi è piaciuto. Ma non dovevi
prenderti una libertà simile!
Jason si fece più
vicino, prendendole il volto tra le mani. Gli animali avrebbero anche potuto
tartassarlo con tutta la frutta che avrebbero potuto trovare, ma non si sarebbe
fermato. – Chiarisci il concetto piaciuto, Louisa. Vai nello specifico.
Lei deviò il suo
sguardo, guardando da un’altra parte. – I tuoi capelli. – disse infine. – Mi
piaceva stringerli, erano morbidi. E anche quando hai… – se possibile divenne
ancora più rossa e lui sentì il calore del volto sul suo. – Quando il bacio è
diventato più profondo, non volevo che smettessi.
Le baciò la fronte,
per poi scendere fino alla punta del naso e sugli occhi, asciugandole due
piccole lacrime ribelli. – Vorresti che lo rifacessi?
Lei aprì la bocca
per rispondere, quando il cercapersone la interruppe. Controllò velocemente chi
fosse, e lui si allontanò di scatto. – Ci chiamano. – disse lei rimettendoselo
in tasca. – Dobbiamo andare al centro.
Lui chiuse gli
occhi, deciso a non insistere sulla domanda di prima. – Dio, – commentò,
incrociando le braccia la petto. – Sembra di stare nella squadra dei Power
Rangers. Andare al centro di comando, Rangers. Uscite a salvare il mondo,
Rangers. No, non importa quale momento magico voi steste vivendo,
Rangers. Sì, abbiamo un tempismo perfetto! – strinse i pugni e si volse verso
il lago. Fammi indovinare, pensò, ci sei Tu dietro tutto questo?
L’acqua del lago si
increspò ad un timido vento e Jason lo interpretò, come con il serpente, per
una presa per il culo. – Grazie. – sibilò a denti stretti.
Louisa si sistemò i
capelli dietro le orecchie. – Cosa hai detto?
– Grazie! Ho detto:
grazie! A Chiunque ti abbia interrotto e che ora si sta sbellicando dalle
risate! – le indicò le increspature del lago, che lei guardò senza capire.
– È partito il
sistema di ricambio dell’aria. – disse lei. – Ecco perché c’è vento.
– D’accordo,
mettiamola così. Andiamo! – ordinò seccamente. Senza guardare se Louisa lo
stesse seguendo, tornò all’ingresso della biosfera, ignorando volutamente le
bellezze che si trovavano lì dentro.
Avrebbe riportato
presto la ragazza al lago, e l’avrebbe baciata in modo tale che non avrebbe più
potuto sentirsi un Sigillo per il resto della sua vita.
Quando raggiunsero
il centro di controllo, Jason fumava ancora di rabbia. Si mise in un angolo, in
silenzio, a guardare i ricercatori che si scambiavano pacche sulle spalle e
divoravano panini alla velocità della luce.
– Cosa c’è? –
chiese Will, scivolando su una sedia accanto a lui.
– Ma tu riesci a
imbucarti sempre e ovunque?
– Come mai così
acido?
– Lei, – e non ebbe bisogno di specificare chi fosse lei. – Mi
sta facendo diventare matto. Perché qui dentro sono tutti così allegri? –
domandò cambiando discorso.
– Non lo sai? –
chiese Will, mangiando un panino al formaggio. – Uno degli anelli ha risposto
ad uno dei Sigilli. È stato per poco, ma lo hanno localizzato. È in Italia, a
Roma precisamente. – non sapeva se la notizia gli facesse piacere o no.
Dell’anello e del Sigillo non gliene importava nulla. – Quindi, adesso? Mandano
una Task Force di Custodi in tute colorate e sgargianti a recuperarlo?
Will scosse la
testa. – Vanno Dimitri e James. E anche Louisa ha chiesto di andare.
Jason chiuse gli
occhi e appoggiò la testa contro il muro. – La testa di James non è ancora
esplosa per la rabbia? Quello mi renderebbe di buon umore.
– Veramente, –
rispose Will. – James ha accettato. – Jason spalancò gli occhi e il sorriso di
Will si allargò. – Complimenti, Jason. Hai vinto un viaggio in prima classe
fino a Roma.
NDA: un bel regalo
di fine anno. Ho deciso, dopo lo scorso capitolo di accorciare i capitoli.
(meglio per tutti, eh?). E visto il successo, apro ufficialmente il TeamBoa. Le
iscrizioni sono di là *indica*.
Volevo, inoltre,
ringrazia la mia Liz, che sopporta le mie castronerie e gli emboli che le
faccio venire con stoica pazienza. *abbraccia Liz e regala Boa*
Ringrazio anche
tutti quelli che mi leggono. *inchina*
Ci vediamo al
capitolo 12, il cui capitolo dovrebbe essere “Vampe di Fuoco”.
Buon anno nuovo!
Khyhan.
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Capitolo 12 *** XII. Rosa rubra ***
XII. Rosa Rubra
Rosa Rubra
Sul mio letto durante le notti
ho cercato
colui che la
mia anima ha amato.
Ca
3:1
Louisa si svegliò
di soprassalto da un altro incubo e le dita le corsero automaticamente alla
lampada sul comodino. La luce cancellò le ultime tracce del sogno,
permettendole di calmarsi e di ricominciare a respirare normalmente.
Seguendo un vecchio
consiglio di Isaiah, prese dal comodino il quaderno e una penna e iniziò ad
annotare tutto quello che aveva sognato.
Descrisse
accuratamente la sensazione di gelo che le avevano lasciato le incubatrici, la
voce distaccata e la forza straordinaria dell’uomo biondo che infestava i suoi
sogni e l’angosciante sensazione di impotenza che l’aveva afferrata mentre
affogava. Scrisse tutto, senza omettere nulla, e poi lo confrontò con i suoi
sogni precedenti.
L’uomo dei suoi
sogni era una costante. Le mostrava scenari terrificanti di distruzione e
violenza, oppure Dimitri morente tra le sue braccia e in tutti, lei non poteva
fare niente.
Alla fine Louisa,
si era convinta che quell’uomo fosse la rappresentazione del suo senso di colpa
per non aver alcun potere. Se li avesse avuti, avrebbe potuto aiutare gli altri
a salvare il mondo e Dimitri si sarebbe affaticato di meno.
Si strinse addosso
la vestaglia e scivolò fuori dal letto matrimoniale. La camera d’albergo, anche
se modesta aveva tutto il necessario per il suo soggiorno a Roma.
Andò in bagno, a
spruzzarsi il viso con dell’acqua fredda quando qualcuno bussò alla porta. –
Louisa? – la voce morbida di Jason la fece sobbalzare. Come aveva fatto a
sentirla? Aveva urlato di nuovo? – Louisa stai bene? Apri prima che scardini la
porta.
Louisa spalancò la
porta con uno strattone. – Cosa vuoi? – chiese brusca. Non aveva voglia di
parlare con Jason né di sopportare la sua ironia o rispondere alle sue domande.
Lui la prese per la
vita e la spostò di peso, facendosi largo in camera sua. – Hai avuto un incubo.
– disse senza preamboli. – Cos’era questa volta?
– Nessuno ti ha
dato il permesso di entrare. – gli indicò la porta ancora aperta. – Fuori!
– Non ho bisogno tuo
permesso. Come tutti i grandi eroi, arrivo al momento giusto. E nessun eroe
chiede il permesso. – si sedette sulla poltrona e accese la lampada da lettura
in ottone, guardando beatamente il soffitto. – Inizia a parlare, Louisa o mi
annoierò. E tu non mi vuoi vedere annoiato.
– Perché,
altrimenti? – lo sfidò. Voleva che se ne andasse e la lasciasse sola, aveva già
rivissuto il suo sogno per scriverlo sul quaderno e non voleva farlo di nuovo
con Jason. Nelle ultime settimane il ragazzo non faceva altro che bombardarla
di domande sui suoi incubi.
Lui lanciò
un’occhiata pigra al letto sfatto e poi alla vestaglia verde di Louisa. – Se
inizierò ad annoiarmi, controlleremo insieme la comodità del tuo materasso.
– Vattene!
Jason si alzò dalla
poltrona e la spinse contro la porta del bagno, impedendole ogni via di fuga. –Mandami
via.
– Potrei ordinarti
di andartene.
– Vorrei che ci
provassi.
Erano così vicini
che i loro nasi si potevano sfiorare mentre si guardavano in cagnesco. – Perché
non puoi semplicemente lasciarmi sola?
– Perché non tiri
fuori le palle e me lo ordini? Se lo farai, ti giuro che me ne andrò.
–Saresti costretto
a farlo. – ringhiò Louisa. – Non ci sarebbe gusto.
– Puoi sempre
provare a liberarti con i mezzi tradizionali. Ti ho insegnato le basi, Louisa,
dovresti riuscire ad allontanarmi.
– Sei più alto e
grosso di me. – protestò lei.
– Vorresti
affrontare nemici della tua altezza? – le fece un ghigno. – Dovresti cercare
dentro un asilo, allora.
Offesa, Louisa gli
montò sul collo del piede e lo spinse via con tutte le sue forze.
– Sei
insopportabile! – si riprese il suo spazio, allontanando Jason e si sedette sul
letto a braccia incrociate.
– E tu, – disse
Jason ridendo. – Mi hai appena fatto perdere l’equilibrio. Dovresti esserne
orgogliosa.
Louisa lo guardò a
bocca aperta. Era vero, per qualche secondo Jason aveva perso l’equilibrio e
lei si era liberata.
Lo fulminò un’altra
volta, ancora scossa per aver avuto Jason così vicino. Ormai ci stava facendo
l’abitudine, ma c’erano momenti, quando lei si sentiva più fragile, che averlo
vicino le faceva battere forte il cuore e non riusciva a sostenere il suo
sguardo.
Jason si avvicinò e
le scostò una ciocca di capelli dal volto. – Dimmi cosa hai sognato, Louisa. –
sussurrò, prima di baciarle la fronte. – Non voglio prenderti in giro, la madre
di Will diceva sempre che raccontando un brutto sogno ad alta voce dopo non sarebbe
più tornato.
Magari
fosse così,
pensò lei amaramente. – Non so veramente cosa dire. – sospirò, stanca. Non
sapeva nemmeno che ore fossero, ma probabilmente era notte fonda e Jason si era
svegliato per lei. Appoggiò la testa sulla sua spalla e lui la circondò con un
braccio. – Ogni notte, ho paura di addormentarmi. Ho paura dei sogni che farò e
di mettermi a urlare nel sonno. Ci sono momenti, in cui non so se mi sveglierò
mai da sogni del genere. Poi mi ritrovo seduta sul letto, senza fiato e con
l’impressione che sia tutto vero, che quello che ho visto non sia solo un sogno…
– Jason intrecciò le dita tra le sue e ricaddero insieme sul materasso. – Che
stai facendo? – chiese lei imbarazzata, divincolandosi.
Lui non si oppose,
stringendola un po’ più forte. – Non voglio farti nulla. Voglio stare così. Con
te. Coccolarti un po’. È così brutto starmi vicino?
– Non dovresti
prenderti certe libertà.
Jason ghignò e si
rimise in piedi con un colpo di reni. – D’accordo. Me ne vado di là.
Buonanotte.
– Buonanotte? –
chiese lei mettendosi seduta a bordo letto. – Tutto qui? Buonanotte?
– Cosa dovrei
dirti? ‘Dormi bene, tesoro mio’? Se vuoi te lo dico, previo pagamento di
cinquanta sterline.
Louisa gli tirò un
cuscino, colpendolo sulla spalla. – Sei sempre il solito.
– Anche tu. – disse
lui chinandosi a raccogliere il cuscino. – Mi tiri sempre contro qualcosa. La
prima volta fu il mio shampoo.
– Mi stavi
guardando mentre ero sotto la doccia.
Lui alzò le spalle.
– Tu non avevi chiuso a chiave. E poi mi hai tirato: qualche libro, un
soprammobile, un mestolo, devo proseguire? La lista è lunga.
Louisa sbuffò e
prese al volo il cuscino che Jason le lanciò. – Te li sei meritati tutti.
– Forse. Ora vado
di là. Chiamami se hai bisogno di qualcosa. O chiama il servizio in camera, se
hai fame.
– Jason? – si voltò
a guardarla con un sopracciglio alzato. – Vorresti, – sentì le guance
infiammarsi per l’imbarazzo. – Vorresti tenermi compagnia un altro po’? Magari
leggendo qualcosa ad alta voce?
– Cosa vorresti che
ti leggessi?
Louisa scosse la
testa. – Non lo so. Scegli tu, qualcosa di bello.
Jason sorrise e si
sedette a bordo letto. – Levati la vestaglia e infilati sotto le coperte, io
inizio a raccontare.
– Non prendi il
libro? – chiese lei dandogli le spalle, togliendosi la vestaglia, rimanendo
solo con il pigiama.
– Non ne ho
bisogno. Quello che voglio recitare sono alcune delle poesie più belle mai
scritte. Dove i sentimenti, diventano parole, le parole immagini, le immagini,
sogni. – il ragazzo sistemò i cuscini da un lato del letto e si sedette contro
la testiera. – Robert Burns è il mio poeta preferito, il modo in cui racconta
le cose è unico. L’unico problema è che le poesie sono in inglese arcaico.
Quindi dovrai lasciar andare l’immaginazione. – ridacchiò e Louisa lo fissò
quando si stese accanto a lei a gambe incrociate, ma non disse nulla,
affascinata da ciò che lui voleva raccontarle. – Chiudi gli occhi, Louisa, –
disse accarezzandole una guancia. – E lascia che parole diventino immagini
nella tua testa. – Louisa obbedì e si tirò le coperte fino al mento, aspettando
che Jason iniziasse a parlare.
Il ragazzo non la
fece attendere e la sua voce morbida si fece strada nella sua testa,
trasformando le poesie in vivide immagini della Scozia.
Vide le montagne
innevate, poteva sentire l’aria fresca sulla pelle e i conigli bianchi che
lasciavano le impronte sulla neve. Sentiva i ruscelli scorrere e scrosciare
sulle rocce, unendosi tra loro a formare i grandi fiumi.
Sotto i suoi piedi,
la terra tremò, quando un cervo le passò accanto, sfrecciando tra gli alberi,
inseguito da alcuni cavalieri armati.
Camminò tra le
colline e i declivi in primavera, le foreste e i boschi mentre si tingevano di
tutti i toni del rosso e del marrone, in autunno. Poteva sentire il canto degli
uccelli in estate, mentre le rose tardive riempivano l’aria del loro profumo
unendosi a quello dei fiori d’acqua.
E attraverso tutte
quelle immagini, poteva sentire Jason che le parlava della sua terra, che
raccontava del suo amore per la vita, e del coraggio dei suoi antenati.
L’orgoglio che gli
gonfiava il cuore quando parlava della Scozia, le fece venire i brividi e si
strinse istintivamente a lui, pregando silenziosamente che non si
interrompesse.
Se lei avesse letto
quelle poesie in un libro, non avrebbe provato le stesse emozioni. Erano i
sentimenti di Jason che arrivavano a lei tramite le poesie. Era quello che
provava lui a trasformare le parole in immagini vivide nella testa, come se le
stesse vivendo sulla sua pelle.
Non si ritrasse
quando una mano di Jason si posò sulla sua schiena, al contrario appoggiò la
testa sul suo petto. Sentiva il suo cuore battere, lento e costante, ma allo
stesso tempo forte e vigoroso. – Non smettere. – mormorò assonnata.
Jason sussultò, ma
non si fermò, accarezzandole dolcemente la testa. – Non lo farò, ma tu dormi. –
Louisa annuì, tornando a perdersi nella voce melodiosa di Jason.
Erano quasi le
quattro del mattino, quando Jason aprì gli occhi, sentendo qualcuno bussare
piano alla porta.
Louisa dormiva
rannicchiata accanto a lui, con i capelli castani che le ricadevano in
disordine sul viso.
Aveva continuato a
recitare le poesie a bassa voce, in modo che solo Louisa potesse sentirle,
lasciando per ultima la sua preferita: “A red, red rose”. L’aveva sussurrata
alla ragazza, quando lei si era già addormentata da diverso tempo, in modo che
non potesse sentirne le parole, ma ci aveva messo tutta la forza dei sentimenti
complessi che provava per lei, con la speranza che le arrivassero dritti al
cuore.
I rumori alla porta
aumentarono di intensità , e Jason scivolò fuori dal letto facendo attenzione a
non svegliare la ragazza
Aprì la porta e si
trovò davanti James, pallido, con i capelli arruffati e completamente vestito,
che lo fissava a bocca aperta. – Credevo, – disse gelido, guardando da un’altra
parte. – Credevo che fosse la camera di Louisa, devo aver sbagliato. Torna a
dormire.
Jason fece un
sorriso sarcastico e gli fece cenno di entrare, ben sapendo che fra qualche
secondo James si sarebbe incazzato. – Ma questa è
la camera di Louisa.
James lo squadrò
dall’alto in basso per poi guardare il letto. – Cosa ci fai qui? – parlò a
denti stretti, aprendo e chiudendo le mani.
– Ci dormo. –disse
lui mentre il sorriso sul suo volto andava allargandosi, consapevole del fatto
che il ragazzo non si sarebbe trattenuto ancora per molto. – Mi ha invitato
lei. – fece un cenno con la testa verso la ragazza. – Puoi chiederglielo, se
vuoi.
James alzò il
mento, in segno di sfida. – Lo farò non ti preoccupare.
– Prego,
accomodati. Ma ho dovuto recitare a memoria ben ventidue poesie prima che
prendesse sonno di nuovo. Se la svegli, – disse con calma mettendosi le mani in
tasca. – Io ti ucciderò e getterò il tuo cadavere nel Tevere. – il sorriso
sulle labbra rimase immutato, ma James non si sarebbe azzardato a svegliare
Louisa, o gli avrebbe reso il pugno che gli aveva dato tempo prima.
James lo afferrò
per il collo del pigiama e lo tirò a sé. – Ringrazia il cielo che ho cose più
importanti a cui pensare.
– Figurati! – si
liberò della presa di James, afferrandogli due dita e minacciandolo di
spezzargliele, se non lo avesse lasciato. – Cosa sei venuto a fare qui, James?
Sei venuto a controllare che Louisa si stesse comportando come vuoi tu?
– Sono venuto per avvertirla
che domani non mi avrebbe trovato. – sussurrò James, quando Louisa si girò nel
letto. – Non le avrei detto il motivo, ma visto che dorme, lo dico a te. E ti
chiedo di non riferirglielo. Dimitri è stato male e ho fatto venire
un’ambulanza. Starò via qualche ora e appena saprò qualcosa di più la chiamerò.
– Dim che cosa? – Louisa si mise a sedere sul letto, guardando
prima lui e poi James.
Jason alzò gli
occhi al cielo per l’esasperazione. Voleva evitare proprio cose del genere.
– James, cosa è
successo a Dimitri? – Louisa scalciò via le coperte e in un lampo, fu fra lui e
James, guardando quest’ultimo con apprensione.
– Nulla di grave.
– È in ospedale?
Dimmi cosa è successo. Deve fare una trasfusione? Gli sono tornati i dolori? Ti
prego, dimmi che non è così. Gli hanno dato la morfina? – lo afferrò per la
giacca e lo scosse. – Gli hanno dato la morfina? James, dì qualcosa!
Lui si limitò a
scuotere la testa. – Tornerà presto. Ora vado da lui e ti faccio sapere appena
posso. – lanciò un’occhiata a Jason, che annuì capendo cosa volesse il ragazzo.
Afferrò Louisa per
la vita e la tirò via di peso, rifiutandosi di lasciarla andare nonostante lei
scalciasse e urlasse. – Lasciami! James! Cosa è successo a Dim? Dimmelo!
Lasciami! Jason, lasciami! – gli affondò le unghie nelle mani, ma lui la
strinse a sé, ignorando il dolore.
– Non posso,
Louisa. James ti farà sapere, ma tu devi rimanere qui.
– No! – scalciò
ancora, con James che li fissava sempre più pallido. – Jason! Ti ordino di
lasciami andare!
Un feroce dolore
gli artigliò il cuore e gli impedì di respirare. Cadde a terra, dimenticandosi
tutto il resto al di fuori di ciò che provava. Doveva lasciar andare Louisa,
solo così sarebbe stato meglio. Anziché obbedire al suo ordine, la strinse
ancora più forte, avvolgendola in un abbraccio. – Non posso. – ansimò. – O
farai qualcosa di stupido.
– James! – urlò
lei. – Cosa è successo a Dimtri?
Gli si annebbiò la
vista per il dolore. Era come se le sue vene si fossero svuotate e il contenuto
fosse stato sostituito da aghi. Ogni respiro gli costava fatica e ogni battito
cardiaco era un dolore che si irradiava alle braccia e allo stomaco.
– Dimitri, – disse
infine James. – Ha iniziato a respirare male. Ha un problema ai polmoni. Forse
un edema, o un embolo. Non volevo farti preoccupare, ti avrei detto tutto non
appena lui sarebbe stato meglio. – disse prima di chiudersi la porta alle
spalle.
Louisa si accasciò
contro di lui e iniziò a piangere. – Lasciami, Jason – singhiozzò. – Non vado
da nessuna parte, ma se non mi lasci, la coercizione continuerà a farti
soffrire.
Jason sciolse
l’abbraccio e il dolore scomparve immediatamente, tornando a vedere e a
respirare bene. Afferrò Louisa pochi istanti prima che cadesse a terra e la
strinse di nuovo a sé, cercando di esserle di conforto.
Louisa tremava
contro di lui, senza riuscire a fermarsi. – Lo sogno sempre. – disse contro la
sua maglietta. Aveva la voce rotta dal pianto. – Sogno sempre Dimitri morente e
io che non posso fare nulla per aiutarlo.
– Louisa…
Scosse la testa,
interrompendolo. – Ogni volta che penso alla sua malattia mi si stringe il
cuore. Posso solo pregare per lui.
– Puoi fare
qualcosa per lui. Puoi non torturarti con pensieri del genere. Puoi sorridergli
e stargli vicino.
Louisa lo guardò
negli occhi, tirando rumorosamente su con il naso. – Posso uscire a cercare il
Sigillo. – disse risoluta.
– Cosa?
Lei si alzò in
piedi, asciugandosi le lacrime con il dorso della mano. – Se esco a cercare il
Sigillo, non dovrà farlo Dimitri e avrà più tempo per riposare.
Jason le strinse il
gomito. – Non ci pensare. Sono le quattro del mattino, dove pensi di andare?
– Fuori.
Jason rise senza
allegria. – Certo come no. Per quanto apprezzi le prese di posizione, nemmeno
io sono così folle da uscire alle quattro del mattino. Vuoi andare a cercare il
Sigillo? Ottimo! Ci andremo insieme, ma alle mie regole.
– Ma…
– Niente ma, James
e Dimitri passeranno tutto il giorno in ospedale solo per gli accertamenti.
Abbiamo una giornata intera che possiamo sfruttare. Quindi ti dirò cosa faremo:
ora, ti sdraierai a letto, almeno per un altro paio d’ore, poi ti farai una
doccia, ti vestirai e infine faremo colazione in albergo. Dopo di che andremo a
cercare il Sigillo
– Ma…
Jason incrociò le
braccia al petto. – Queste sono le mie condizioni, Louisa. Prendere o lasciare.
E se lasci, ti legherò alla testiera del letto e sarai costretta a rimanere lì
tutto il giorno.
Lo sguardo della
ragazza scivolò dal pavimento al letto sfatto. – Non riuscirei a dormire. Ho
bisogno di fare qualcosa e non di stare qui ad aspettare.
Jason si alzò e la
spinse verso il letto. – Almeno provaci. Ti terrò compagnia e poi usciremo.
Troverai solo perditempo e ubriachi in giro a quest’ora, gente con cui non
vorresti avere a che fare.
Louisa sospirò e si
infilò di nuovo sotto le coperte, dandogli la schiena. – Perché vuoi sempre
avere ragione?
– Perché sono
egocentrico, megalomane, arrogante, superbo e tiranno. E perché ho ragione a
prescindere. Ed inoltre sono bellissimo. E questo non guasta mai. – sorrise e
si sedette a bordo letto, ben sapendo che Louisa non avrebbe gradito un’altra
sua intrusione. Adocchiò la poltrona in un angolo e decise di passarci il resto
della notte, convinto che se avesse lasciato sola Louisa lei sarebbe sgattaiolata
via alla prima occasione.
– Jason, cosa stai
facendo? – sussurrò Louisa, quando lui spostò la poltrona per mettersi comodo.
– Secondo te?
Avvicino le due poltrone, così posso allungare le gambe.
Louisa si mise a
sedere sul letto.
Si fissarono nella
penombra per qualche secondo, in un silenzio carico di tensione e di domande
inespresse.
– Senti, – cominciò
Louisa spostandosi dal centro del letto. – Perché non ti sdrai accanto a me?
Non fraintendere, è solo che quelle poltrone non sono così comode come
sembrano. – scosse la testa, non sicuro di aver capito bene le parole della
ragazza. Louisa lo stava invitando nel suo letto?
La buttò sul
ridere, con il cuore in gola. – E tu chi sei? Che ne hai fatto di Louisa?
– Ma che domande
fai?
Le prese il volto
tra le mani, appoggiando la fronte contro la sua. – E non hai neanche la
febbre. Che sia una qualche malattia ancora sconosciuta? Magari fin ora è stata
silente e sei così sconvolta che straparli.
Louisa gonfiò le
guance tra le sue mani, prima di sbuffare sonoramente. – Guarda posso sempre
cambiare idea. Volevo solo essere gentile ed evitarti un mal di schiena. – si
voltò dall’altra parte, tirandosi la coperta fin sulla testa. – Antipatico.
Jason tentennò
qualche altro secondo, poi si stese accanto a lei, facendo attenzione a non
sfiorarla, nonostante lo desiderasse con tutto sé stesso.
Il respiro di
Louisa era lento e costante eppure qualcosa gli diceva che non stesse dormendo,
ma era immersa nei suoi pensieri. – Se la caverà. Dimitri è forte e James è con
lui.
– Ho paura. – Jason
si fece un po’ più vicino, costatando che aveva visto giusto. Nonostante Louisa
stesse controllando il respiro, tremava da capo a piedi. La strinse di nuovo a
sé, fregandosene di quello che lei avrebbe potuto pensare e affondò il viso tra
i suoi capelli.
– Lo so. – mormorò
accarezzandole una mano. – So cosa vuol dire, aspettare l’alba con il terrore.
Avere paura che le notizie che arriveranno ci spezzeranno definitivamente, ma
credimi, l’attesa e l’incertezza sono le parti peggiori.
– Hai già vissuto
tutto questo?
Jason sorrise,
nell’oscurità. – Non proprio. Ho vissuto un momento di incertezza e paura.
Louisa si
rannicchiò tra le sue braccia, cercando conforto. – Ti va di raccontarmela?? Non
riuscirei comunque a chiudere occhio.
– Dopo la morte di
mio padre non riuscivo a stare a casa mia. Tutto di quella casa mi opprimeva.
Stare da Will mi faceva stare peggio; tutti si prendevano cura di me,
guardandomi costantemente come se fossi un malato terminale. E così mi sentivo,
in effetti. Non avevo alcuna speranza. La persona che mi aveva amato e
cresciuto se n’era andata, lasciandomi solo. Ero furioso. Con me, con lui, con
la famiglia di Will. Una sera presi la vecchia auto di mio padre e me andai. Passai
giornate intere a guidare senza parlare con nessuno, fermandomi solo per
dormire e mangiare. – le accarezzava piano il braccio, mentre tirava fuori quei
ricordi dolorosi. – Scappai come un codardo dalla mia vita, incapace di
accettare quello che stava succedendo. Non rispondevo alle telefonate di Will e
Sophie e quando non avevo voglia di passare del tempo tra la gente, mi chiudevo
in auto per nottate intere maledicendo mio padre.
– È orribile.
– Pensi che me ne
importasse qualcosa? Passai i primi mesi girando su e giù per la Scozia e
l’Inghilterra, usando una parte dei soldi che avevo in eredità, poi, quando mi
bastò più, abbandonai l’auto e me ne andai in Francia. Fu in una di quelle
sere, che Sophie mi mandò un messaggio; ero abbastanza ubriaco, ma non dimenticherò
il suo contenuto neanche tra un milione di anni. Mi scrisse che Will si era
fatto male e che stava sanguinando. Niente altro. Terrorizzato, saltai,
letteralmente, sul primo volo per Edimburgo e corsi a casa. L’unico pensiero che
mi frullava in testa era che avevo abbandonato le persone a cui tenevo di più.
Per tutto il viaggio di ritorno, provai una gran paura, soprattutto, rimorso
per quello che non avevo mai detto a Will.
– Ma Will ora sta
bene.
– Oh sì, – precisò
Jason. – Ma quella volta mi ha fatto perdere dieci anni di vita, e lui e sua
sorella l’hanno pagata cara. Quando spalancai la porta di casa loro, trovai
Will sul divano che leggeva e Sophie stesa sul tappeto che giocava con il cane.
Lei mi fissò e scoppiò a ridere, dicendo che ci avevo messo un sacco di tempo a
tornare.
– Ma Will? Non si
era fatto male? Ti avevano preso in giro?
– No, Will si era
fatto realmente male. Si era fatto un taglio su un dito, mentre sbucciava le
patate. Taglio che gli costò cinque punti e un bernoccolo.
– Un bernoccolo?
Jason rise contro
il collo di Louisa. – Glielo feci io quando cozzai le loro teste una contro
l’altra, per la paura che mi fecero prendere. Ma quella volta capii chi era
realmente importante per me. Capii che per loro avrei attraversato un oceano a
nuoto. Ma la paura che avevo provato nel non sapere, quella non potrei mai
dimenticarmela. Loro sono la mia famiglia, come Dimitri e James sono la tua, e
come io ho fiducia in Will e Sophie, tu devi averne in loro. Dimitri è forte,
molto più di quello che pensi ed io, – la strinse un po’ più forte avvicinando
le labbra al suo orecchio. – Sono un vero idiota a dirti che devi credere in
James, visto quanto mi sta sulle palle.
– James non è
cattivo.
– No, – rispose
Jason allontanandosi da lei, prima di esagerare. – È solo diversamente
accondiscendente.
Louisa ridacchiò
contro la sua spalla e Jason posò la testa sulla mano, tirandosi su per vederla
meglio nonostante il buio. – Stai ridendo.
– Sì. È che l’idea
di James come lo descrivi mi fa ridere.
– Sei più bella
quando ridi, lo sai? – si morse la lingua quando Louisa ammutolì e si scostò di
qualche centimetro da lui. – Rilassati, era solo un complimento.
– Faccio fatica a
rilassarmi con te vicino. Non fai altro che provocarmi. – Louisa parlava
tranquillamente e Jason capì che nonostante fosse a disagio, non si era
arrabbiata.
– Se tu non
accettassi le mie provocazioni, io smetterei, ma fai delle facce così buffe che
non riesco a trattenermi.
Louisa gemette. –
Non puoi tornare a essere gentile come prima? Quando recitavi le poesie?
– Ti sono piaciute?
– chiese interessato. Non a tutti piaceva Robert Burns, usava come metafore
piante e animali per descrivere i sentimenti umani.
Louisa annuì contro
il suo braccio. – Erano belle, ma mi piacevano soprattutto per come le dicevi
tu, con quel tuo accento scozzese e la r strana. E poi si capiva che ami molto
la tua terra.
Jason le punzecchiò
il fianco con un dito. – La mia r strana? Hai mai sentito la tua? Hai la r
moscia e un accento pessimo, quasi peggio di quello di James, non riesco a
credere che sia inglese.
Louisa si voltò
verso di lui. – James non è inglese, è americano. Viene dal Texas.
– Ora capisco
perché lo detesto. Beh, ce lo vedo bene James a cavallo che spinge mandrie di
bestiame a destra e sinistra e va in giro con il cappello da cowboy e la
bandana al collo.
Louisa scoppiò a
ridere sonoramente. – Tu non dirglielo, ma ogni tanto ce lo vedo anche io. –
Jason resistette alla tentazione di strapparle un bacio e si accontentò di
accarezzarle i capelli, inspirando forte il profumo del suo sapone. – Jason, –
il tono di Louisa lo fermò e si chiese se di nuovo avesse osato troppo. –
Prima, quando mi sono addormentata di nuovo ho fatto dei bei sogni.
Jason si rilassò e
riprese a coccolarla. – Arcobaleni e unicorni?
– Circa. C’erano
colline verdi, animali e fiori. Mi chiedevo: se avessi di nuovo un altro
incubo…
– La mia porta è
sempre aperta, Louisa. – disse interrompendola prima che lei potesse dire
qualcosa di cui poi si sarebbe pentita. – Se avrai altri incubi, puoi venire da
me. Burns è stato parecchio prolifico in vita, posso leggerti un sacco di
poesie se vuoi.
Louisa sospirò
soddisfatta. – Grazie.
Jason stava per
aggiungere qualcosa, quando il cellulare della ragazza squillò. Senza attendere
il permesso, se lo mise all’orecchio. – Pronto? Qui è il telefono di Louisa. Se
non è importante, sappiate che è un’ora pessima e che ci stavamo quasi
divertendo.
– Spero per te che
fosse una partita a Scarabeo e che tu non l’abbia toccata. – ringhiò James nel
microfono. – O troverò un metodo particolarmente fantasioso per ucciderti via
telefono. Passami Louisa, devo parlarle.
Gli occhi di Jason
corsero alla ragazza, che nel frattempo aveva acceso la lampada del comodino. –
È James. – disse sentendo il cuore contro lo sterno per la preoccupazione.
Mentre Louisa avvicinava la testa alla sua per sentire insieme la telefonata,
pregò che il ragazzo avesse buone notizie.
– James? – chiese
Louisa, titubante. – Ci sono novità?
–Sì. Hanno
sottoposto Dimitri ad alcuni esami e ha un edema polmonare. Gli hanno già
somministrato dei farmaci e dato l’ossigeno. Ora sta riposando, però dovremo
stare qualche giorno in ospedale, almeno finché non si sarà riassorbito l’edema.
– Jason tornò a respirare e mise un braccio intorno alle spalle di Louisa,
visibilmente sollevata. – È una bella notizia, Louisa. – proseguì James. – I
farmaci stanno già iniziando a fare effetto e respira meglio. Domani
pomeriggio, dopo che saranno passati i medici, potrete venire a trovarlo.
Una lacrima corse
lungo la guancia della ragazza. – Grazie, James. Grazie.
– Un’altra cosa poi
ti lascio tornare a riposare. – precisò James. – Dì a Jason che faremo i conti
dopo. Ha dormito con te, non gliela faccio passare liscia. – Jason le strappò
il telefono di mano, lasciando che la ragazza si prendesse qualche minuto per tranquillizzarsi
e si concentrò su James. – Perché non me le dici in faccia, anziché mandare
Louisa come ambasciatore? Non le ho fatto nulla, abbiamo solo parlato.
– Non mi interessa.
Ti stai approfittando di lei e la distrai. – lasciò che James continuasse con
la sua ramanzina e smise di ascoltarlo quando vide con la coda dell’occhio
Louisa che si avvicinava alla finestra come una sonnambula e scostava le tende
per guardare fuori.
– Jason, – sussurrò
lei, tornando a guardarlo. – Dobbiamo uscire. – aveva gli occhi sgranati e si
torceva le mani. – Jason, è importante. Lo sento. Riesco a sentire il Sigillo e
non è distante da qui.
Chiuse il telefono
in faccia a James e guardò fuori anche lui. – Sicura? Sono le cinque e mezzo
del mattino.
– Lo sento.
Lui annuì,
credendole ciecamente. – Vado a vestirmi, tu fa lo stesso, ci vediamo fra dieci
minuti.
Corse in camera
sua, lanciando la chiave elettronica sul tavolino e iniziò a vestirsi al buio,
scegliendo i vestiti a casaccio dalla borsa. Saltellò fino alla porta,
infilandosi una scarpa, quando Louisa bussò, vestita di tutto punto con il
cappotto in mano. – Sei pronto?
Senza farselo
ripetere due volte, afferrò la giacca di pelle e se la mise sulle spalle. –
Andiamo.
Nella Roma di prima
mattina giravano già dei pendolari assonnati che si recavano chi a scuola, chi
a lavoro reggendosi in piedi a stento. In mezzo alle auto strombazzanti e ai
tram, Jason seguiva Louisa che camminava a passo svelto verso il centro
cittadino. – Sicura di sapere dove andare? – chiese prendendole la mano per non
perderla in mezzo alla folla che aumentava di minuto in minuto.
– Sì. – disse
svoltando in una via laterale di scatto. – Da questa parte.
– Non potrebbe
essere Dimitri oppure James?
Louisa iniziava ad
avere il fiatone per la passeggiata all’aria fredda del mattino, ma non
rallentò – No. Sono sicura che fosse qualcun altro. Qualcuno che non conosco.
Camminava sicura
per le strade di Roma, seguendo un istinto che solo lei poteva sentire. Jason la
fermò quando riconobbe la struttura in fondo alla strada. – Louisa, quello è il
Colosseo. Pensi di trovare il Sigillo, qui?
– Lo sento vicino.
– strattonò la manica del cappotto, liberandosi di Jason e proseguì, senza
controllare che lui la seguisse ancora.
– Louisa? – si
fermò, quando la vide chinarsi per controllare il terreno vicino ad un muro di
mattoni rossi.
– Guarda. – disse
indicandogli la base del muro annerito e la cenere a terra. – Sembra che
qualcuno abbia dato fuoco al muro.
Jason seguì la
linea nera, costatando che proseguiva lungo tutto il muro, fino all’angolo.
Sobbalzò, quando un gatto gli sfrecciò tra le gambe per andare a strusciarsi su
Louisa, facendo le fusa.
– Ma come sei
carino. – disse Louisa grattandogli la testa. – Vorrei che tu mi potessi dire
cosa è successo qui. Sento tanta energia e sento il Sigillo. Non è che per caso
lo conosci, eh?
Jason alzò gli
occhi al cielo e fulminò il gatto che lo fissava. In genere amava gli animali,
ma quelli che lo guardano mentre si facevano coccolare da Louisa, gli
scatenavano un’ondata di gelosia. Un po’ come il Boa della biosfera. Quel gatto
aveva lo stesso, identico sguardo di sfida e tracotanza. – Sciò! Louisa,
potrebbe avere le pulci o le zecche, smetti di accarezzarlo.
– Ma no, ma no. –
rispose lei, facendo al gatto lunghe carezze dal muso alla coda. – Mi
piacerebbe avere un gatto.
– Te ne prenderò
uno, – disse lanciando un’occhiata assassina all’animale che sonnecchiava sulle
ginocchia di Louisa. – Che ne pensi di tornare al Sigillo?
– Oh sì, – lei
annuì, ma non accennò ad alzarsi. – Giusto, il Sigillo.
Una voce squillante
che parlava in italiano fece sobbalzare Louisa, che si voltò a guardare la
ragazza che correva verso di loro. I lunghi ricci rossicci, danzavano sulla
sciarpa gialla e azzurra e da sotto il cappotto a tre quarti rosso, spuntavano
un paio di calze verdi. A tracolla portava una borsa ricoperta di spille colorate.
Quando fu
abbastanza vicina, Jason vide che aveva il naso sporco di nero e una matita che
usava come fermaglio per capelli. Parlò per un po’ in italiano e Louisa rispose
nella stessa lingua.
– Un po’. – disse
infine la ragazza in inglese, prima di voltarsi verso Jason. – Ma dico! Quella
è pelle? Una giacca di pelle? – Jason annuì, notando che aveva delle spille
anche sulla sciarpa. Aveva l’aria di una matta. – E ti sorprendi se il gatto
non ti vuole toccare? Ma dico! La tua amica invece l’ha rassicurato subito! –
si voltò verso Louisa, prendendo in braccio il gatto e tastando il cappotto di
Louisa. – Quello che indossi è cotone, vero? I vestiti di origine animale
inquinano i Chakra. Per questo piaci ai gatti! Non come il tuo amico! Scommetto
che beve anche il caffè! Ma dico! Abiti di pelle e caffè, e poi ti domandi
perché stai antipatico agli animali! Ora devo andare a scuola! Ciao! – lasciò
cadere il gatto su una mezza colonna e si allontanò saltellando.
– Che matta. –
commentò Jason quando lei non fu più a portata di orecchio.
– Seguiamola! –
disse Louisa alzandosi e iniziando a seguirla.
– Che cosa?
Lei si voltò, senza
smettere di camminare. – È lei, Jason! È il Sigillo!
Jason gemette,
infilandosi le mani nelle tasche dei jeans e saltando insieme a Louisa
sull’autobus affollato, all’inseguimento della ragazza.
Lanciò un’ultima
occhiata alla matta, mentre lei si grattava il naso con un carboncino e tirava
fuori un pezzo di carta, mettendosi a disegnare a più non posso.
Sbuffò. Sarebbe
stata una giornata molto lunga.
NdA: strano a
dirsi, mi sono ricordata che dovevo aggiornare. Scherzi a parte, avevo questo
capitolo pronto da un po’, ma è stato solo dopo aver finito il 13 che ho deciso
di mettere fuori questo. Forse perché dovevo ben decidere come si svolgerà l’avventura
di Roma… Ringrazio Alberto, per la traduzione lampo del titolo!
Il titolo riprende
la poesia di Burns, “A red, red rose” che vi posto qui la traduzione:
Il mio Amore è come una rosa rossa,
rossa
che è da poco sbocciata in giugno:
il mio Amore è come una melodia
dolcemente e armoniosamente suonata.
Sì bella tu sei, mia leggiadra
fanciulla
che pazzamente innamorato io sono;
e sempre io ti amerò mia cara
finché non s'asciugheranno tutti i
mari;
finché non s'asciugheranno tutti i
mari, mia cara,
e non si fonderanno le rocce al sole:
e sempre io ti amerò, mia cara,
finché scorrerà la sabbia della vita.
Addio, mio unico Amore!
Addio per un poco!
Io ritornerò mio Amore,
anche se a dieci mila miglia.
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