I Pilastri dell'Apocalisse

di khyhan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. Adventus ***
Capitolo 2: *** II. Occursi ***
Capitolo 3: *** III. Promissionen ***
Capitolo 4: *** IV. Culpa ***
Capitolo 5: *** V. Animus ***
Capitolo 6: *** VI. Tranquillitas Innocens ***
Capitolo 7: *** VII. Vulnera ***
Capitolo 8: *** VIII. Nephilim ***
Capitolo 9: *** IX. Somnia ***
Capitolo 10: *** X. Solae Animae ***
Capitolo 11: *** XI. Sancta Sanctorum ***
Capitolo 12: *** XII. Rosa rubra ***



Capitolo 1
*** I. Adventus ***


0. Adventus

Adventus

 

“E infatti, quando eravamo con voi,

vi dicevamo in anticipo che eravamo destinati

 a soffrire tribolazione,

come è anche accaduto e come voi sapete”

1 Ts 3:4

 

Dalla cima della collina Louisa poté vedere tutta la valle in cui la brughiera scozzese faceva da padrona. Un immenso mare di verde sbiadito e giallo smorto tra cui spuntavano, di tanto in tanto, delle rocce grigie e coperte di muschio.

L’aria fredda e il cielo plumbeo erano saturi di umidità, e lei, si strinse nel cappotto lungo fino alle ginocchia e tirò su il cappuccio, cercando di mettere al riparo le orecchie e i capelli castani da quell’aria uggiosa.

Le sembrava che la natura le fosse ostile, che le dicesse con tutte le sue forze di andarsene da lì e di lasciarli in pace, che una straniera nelle brughiere scozzesi non era la benvenuta.

Sospirò, leggermente stanca per il lungo viaggio, e mise a fuoco la vallata  fino ad individuare la casa, che le avevano indicato al villaggio a una decina di chilometri da quella valle dimenticata.

Scese dalla collina a passi lenti e pesanti; e con una certa dose di difficoltà. Nonostante gli stivali da cavallerizza i suoi piedi venivano risucchiati dalle chiazze fangose o scivolavano sul l’erba bagnata, provocandole disagio e chiazze verdi sui pantaloni quando scivolava.

La casa che cercava era in fondo alla valle, nascosta dietro una delle colline.

Era su tre piani, in pietra grigio scuro alla base e massicce tavolate di legno scuro agli ultimi due. Diverse finestre punteggiavano tutti i muri; e la ragazza si chiese, senza capacitarsene, come faceva un uomo come Yang Fen a sopportare di vivere così, in mezzo al nulla.

Quella assomigliava più alla casa di Heidi che a quella di un Sigillo braccato dai Grigori.

Cercò il campanello, ma non trovò nulla, nemmeno la cassetta per le lettere che indicasse il nome del proprietario.

Ragionando freddamente si rese conto che quella casa probabilmente non aveva la corrente elettrica e decise di bussare al pesante maniglione decorato che c’era sulla porta in legno.

Attese diversi secondi prima di bussare ancora, poi divenne irrequieta. Sua madre gli aveva detto di cercare Yang Fen e ora non riusciva più ad aspettare, voleva sapere la verità e voleva saperla subito. Bussò ancora, prendendo addirittura la porta a calci dalla frustrazione – C’è nessuno? – urlò. La sua voce divenne un eco che si propagò lungo la valle, facendo saettare alcuni conigli su per la collina alla ricerca di un riparo.

La ragazza fece il giro della casa, cercando di intravedere tra le finestre uno spazzo di vita; magari, si disse Fen sospettava che lei potesse essere un Grigorio.

Trovò la porta sul retro era sbarrata come quella davanti, ma lei non si perse d’animo e provò a bussare ancora.

- Non troverai nessuno. – la voce sconosciuta alle sue spalle la fece trasalire. Si girò piano e a qualche metro di distanza c’era un tipo con il cappuccio della felpa calato sugli occhi che gli nascondeva quasi del tutto il viso – Qui non ci vive più nessuno da molto tempo. – proseguì lui. Lei riuscì a vedergli solo le labbra, che si muovevano scandendo le parole in inglese.

Dalla voce capì che era un uomo, ma lei non riuscì a identificarne l’età. Lasciò perdere l’analisi del giovane e tornò sul suo obbiettivo. Trovare Yang Fen.

 – Sto cercando Yang Fen. – rispose, dando le spalle alla casa – Dove posso trovarlo? Viveva qui? È ancora in queste zone? –

Lui rise, facendo balenare i denti bianchi e regolari, ma non c’era gioia in quella risata – Certo, viveva qui molto tempo fa. Poi è scomparso. – scrollò le spalle e alzò lo sguardo sui piani superiori della casa.

Lei finalmente gli vide gli occhi. Erano azzurri intensi, scuri e profondi. Le sembrava di guardare l’oceano – Io devo trovare Yang Fen. – ripeté con ansia crescente – Ha una cosa che mi serve. – tornò a concentrarsi sulla porta, che rimaneva irrimediabilmente chiusa.

Per lei, la porta sbarrata di quella casa carica di promesse, era il gioco ironico di qualche macchinazione superiore e malvagia e le venne da piangere. Ora che aveva una traccia, se pur misera, quella era sparita, represse un singhiozzo isterico e tirò un pugno alla porta.

Il dolore si propagò dalla mano fino al braccio per poi esploderle nel cervello, si mise istintivamente in bocca una delle nocche succhiandole leggermente – Non sei di qui, vero? – chiese lui, ora appena dietro di lei – Qui nessuno prenderebbe a pugni una porta in legno massiccio; a meno che non voglia farsi parecchio male. Dà qui, fammi vedere.  - le prese la mano e la studiò con occhio clinico, con ancora con il cappuccio calato sulla fronte – Non te la sei rotta. Sei fortunata, io mi ci sono lussato una spalla su questa porta una volta. –

Lei rimase di stucco a quell’affermazione – Hai provato a buttare giù la porta? – domandò.

Lui alzò le spalle – Sono il custode di questa casa. Yang Fen mi ha detto di prendermene cura, solo che una volta ho dimenticato le chiavi dentro e ho dovuto ehm.. spaccare una finestra per entrare a prenderle. –

Entrare da una finestra.

Quell’idea si fece prepotentemente strada nella sua mente e decise di rischiare, se quella casa non aveva corrente elettrica, probabilmente non aveva allarme. Si chinò a raccogliere un sasso, soppesandolo con la mano – Hei! Che pensi di fare? – lui le bloccò la mano, togliendole il sasso e buttandolo di nuovo a terra.

- Io devo entrare! Devo! – protestò, strattonando la mano per liberarsi – Devo assicurarmi che non ci sia nessuno! –

Il ragazzo sospirò, mettendosi una mano in tasca – Immagino che se io ora me ne andassi, tu proseguiresti con i tuoi piani e sfonderesti la finestra. – la tratteneva senza sforzo apparente, rimanendo quasi immobile mentre lei si divincolava cercando di liberarsi.

- Ovvio che si! Io devo entrare!

Lui scosse la testa, stranamente divertito – Ti ho detto che sono il custode, ho le chiavi di casa. Ti faccio entrare, ma ad una condizione.. –

- Che condizione?

- ..Se mi fai parlare senza interrompermi. Sai, tra parentesi, che è molto maleducato interrompere le persone? – piegò la testa di lato, studiandola – Io ti faccio entrare, ma tu metti i piedi dove li metto io, non vai in giro per gli affari tuoi e soprattutto, non tocchi nulla. – era serio e il suo tono non ammetteva repliche.

- Bene, – disse lei mentre lui la lasciava andare – Mi sta bene. Io sono Louisa, tra parentesi. -  

Il ragazzo estrasse le chiavi dalla tasca dei pantaloni – Non te l’ho chiesto. La cosa non mi interessa.

- Chi è ora il maleducato? – rispose.

Il ragazzo ridacchiò infilando la chiave giusta nella toppa e facendo scattare la serratura.

A Louisa quella serratura parve strana. Non la toppa in se, ma il rumore profondo che produsse, quasi di ingranaggi che si muovessero e cigolassero. Lei sgranò gli occhi e fissò la porta leggermente confusa, forse, pensò, era tutto frutto della sua fantasia e degli echi della valle.

Il ragazzo entrò per primo e la Louisa lo seguì mettendo i piedi dove li metteva lui. L’interno della casa era scura e dagli arredi pesanti e i loro passi erano attutiti dallo spesso strato di polvere che si era posata sulla moquette bordeaux.

Anche l’interno le ricordava la casa di Heidi: tendine bianche con pizzo alle finestre, la scala di legno lucido che si arrampicava al piano di sopra, quadri e quadretti ricoprivano il muro. Le sembrava più la casa di una vecchina tutto the e merletti, che di un pericoloso Sigillo pieno di segreti e scheletri nell’armadio.

- Di qua. – disse lui, conducendola prima in cucina, poi nel salotto.

Tutto, dalle pentole di rame ossidato appese al muro, alla poltrona piazzata davanti alla libreria parlavo di abbandono e incuria.

Il quella casa non ci viveva nessuno da anni.

- Ti basta? – chiese il ragazzo – Qui dentro non ci entra nessuno da un sacco di tempo. Meglio se andiamo.  

- Voglio vedere di sopra. – disse lei risoluta – Devo assolutamente vedere tutto. – si sentiva morire dentro, ma aveva ancora un briciolo di speranza e si portò una mano al collo. Sotto i vestiti sentiva l’anello appeso alla catenina e si percepì il conforto provenire da quel peso leggero.

- Come vuoi, ma continua a mettere i piedi dove lo metto io. – la condusse al piano di sopra, ma per lei non c’era nulla di interessante.

La camera da letto, come il resto della casa, aveva uno stile antiquato, con le testiera del letto in ottone battuto e il copriletto bianco ricoperto di merletti.

Louisa continuava a non riuscire a far combaciare l’immagine che aveva di Yang Fen con quella della persona che poteva vivere lì.

Continuarono a fare il giro, finché non arrivarono in quella che senza dubbio era una palestra di arti marziali. Il pavimento era ricoperto di tatami, e inchiodate ai muri facevano bella mostra diverse armi orientali. Al centro della stanza troneggiava un oggetto di legno circolare con diversi protuberanze. Louisa lo valutò per un paio di secondi, era alto quando un uomo e le protuberanze erano all’altezza della testa e dei piedi – Che cos’è? – chiese prima senza riuscire a trattenere la curiosità.

Il ragazzo seguì la direzione del suo sguardo e sorrise riconoscendo l’oggetto – È un wooden dummy. Un uomo di legno. Lo si una per gli allenamenti di Kung Fu.

Louisa ne fu immediatamente attratta e incuriosita. Attraversò la stanza velocemente, senza riflettere.

- Ferma!  

Lei toccò il wooden dummy prima che lui potesse fermarla, e il legno ruotò su se stesso ben oleato. Si sentì sordo toc della guida che arrivava a fine corsa seguito da uno snap sinistro.

- Merda! Così non va! – lui la afferrò stringendola le braccia, e la sollevò di peso lanciandosi fuori dalla finestra.

Mentre precipitavano verso terra dal secondo piano vennero sbalzati in avanti da una violenta esplosione e Louisa si ritrovò a rotolare sull’erba bagnata con lui che ancora le teneva stretta. La ragazza percepì più dolore di quanto ne avesse mai provato in vita sua e sbatté violentemente la testa contro un sasso, mentre una miriade di luci le esplodevano davanti agli occhi; annebbiando tutto il resto.

Rimase cosciente per pura fortuna.

- Ti avevo detto di non toccare nulla. – percepì un peso estraneo sopra di lei e aprì gli occhi. Il ragazzo, era una macchia sfocata ai suoi occhi, ancora confusi, ma Louisa capì che gli era scivolato via il cappuccio e ora lei poteva vederlo chiaramente. Se solo il mondo avesse smesso di girare per un secondo. Vide i due punti luminosi che erano i suoi occhi, incorniciati da qualcosa di nero.

- Che è successo? – chiese senza riconoscere la propria voce e con la testa che le pulsava sordamente da un punto non precisato.

 - Quella casa è piena di trappole, solo chi ci viveva sa  esattamente come muoversi e disattivarle. Tu, stupida, ne hai fatta scattare una bella grossa. – non accennava a scansarsi da lei, mentre respirava cercando l’aria a bocca aperta. Il suo fiato arrivò al naso di Louisa, e lei si accorse che sapeva di miele e limoni.

La ragazza girò la testa, attirata da un bagliore e da un calore che fino a quel momento, nella confusione, non aveva notato. L’intera casa era in fiamme, consumata violentemente dalle fondamenta fino al tetto – No! – urlò, cercando di alzarsi – No! Io devo sapere! – provò a tirarsi su, ma le testa le girò violentemente e sentì parecchio dolore al torace, mentre lui la ributtava a terra.

- Sta giù, stupida ragazzina! – il ragazzo osservò anche lui quella scena, poi, come se rispondesse a un illuminazione improvvisa, si calò di nuovo il cappuccio sugli occhi e si stese completamente sopra di lei, coprendole il viso con la stoffa scura e spessa – Che fai? – chiese soffocata dal tessuto e dall’odore di lui che respirava a pieni polmoni. Sentiva i suoi capelli solleticargli il viso e provò a scacciarlo, ma come prima, il ragazzo la tratteneva senza sforzo.

Una esplosione ancora più violenta la bloccò sul posto, sentì i vetri andare il frantumi e il ruggito delle fiamme diventare più forte.

Il ragazzo si irrigidì sopra di lei ed inspirò bruscamente. Louisa stava per chiedergli cosa non andasse, poi sentì un dolore lancinante alla gamba diventare sempre più profondo. Le scavava l’arto fino ad arrivare alle ossa, di nuovo, le luci le danzarono davanti agli occhi prima che lei perdesse definitivamente i sensi.

 

Louisa sentiva delle voci arrivare alle sue orecchie e pensò, per un secondo, di essere ancora a casa e che il suo fosse stato solo un sogno.

- La casa è saltata completamente? – chiese una voce sconosciuta, mentre Louisa riemergeva dalle nere profondità in cui era caduta e riprendeva conoscenza con il suo corpo.

- Bruciata fino alle fondamenta. Non c’è rimasto nulla, solo qualche trave annerita e qualche masso. – l’altra voce che parlò la riconobbe, anche se a fatica. Era quella dello strano ragazzo che era entrato con lei in casa di Fen.

- Nulla? – domandò la prima voce.

- Nulla – confermò il secondo – È saltato anche il serbatoio del gasolio, facendo un gran bel botto, ma scommetto che Fen lo sapeva e ora è da qualche parte che si sbellica dalle risate..

- È sempre stato strano..

- È sempre stato matto vorrai dire, ha riempito la casa di trappole meccaniche e a pressione. Era un po’ paranoico. – la ragazza li sentì ridere e poi lei ricompose nella sua mente gli eventi che erano accaduti.

L’uomo di legno, la trappola attivata, il ragazzo che l’afferrava e si lanciava con lei fuori dalla finestra, l’esplosione. Tutto sembrava un intricato puzzle nella sua testa, il cui unico pezzo centrare era composto dagli occhi di quel ragazzo.

- Come starà lei? – chiese il ragazzo che conosceva con tono freddo e distaccato.

- Jason ti preoccupi un po’ troppo. A parte qualche ammaccatura e quella bruciatura sulla gamba, non si è fatta troppo male. Tu, invece sei preso decisamente peggio. Le hai fatto scudo con il tuo corpo.  

Al ragazzo chiamato Jason scappò un gemito di dolore e qualche imprecazione – Fai più piano, Will.  

Louisa sentì l’altro tizio ridacchiare – Io faccio piano, ma hai delle schegge di legno e di vetro piantate nella schiena e nelle natiche.

Anche Jason scoppiò a ridere – Scommetto che ti crea qualche problema dovermi estrarre quelle dalle natiche.  

- Se vuoi chiamo mia sorella Sophie. – disse Will con voce falsamente dolce e accomodante.

- Ti prego, risparmiami. Sophie è molto meno delicata di te, potrebbe fare seriamente dei danni ad un malato sofferente come me. – Louisa sentì qualcosa che assomigliava ad un schiaffetto sordo seguito da un “ahi”.

- È mia sorella, trattala bene. – ribeccò Will

- E vuoi lasciarle l’onore di vedere le mie natiche? Sei uno strano fratello..

- No, voglio lasciarle l’onore di torturarti. Ma cambiamo discorso, la ragazza. Sai cosa voleva?

- Cercava Fen. – disse ispirando rumorosamente.

- Fen? E cosa voleva da lui? – domandò Will facendosi improvvisamente attento.

- Se lo sapessi, lei ora non sarebbe qui, – disse Jason con un tono scuro nella voce – Ma possiamo chiederglielo direttamente. Puoi anche aprire gli occhi Louisa, non sai fingere di dormire. –

 

Louisa aprì bruscamente gli occhi, e sperò, che il rossore che sentiva sul viso, fosse dato dal calore della stanza e non dall’imbarazzo per aver origliato la conversazione. Il ragazzo moro, di cui ora sapeva il nome era steso a pancia in giù, a meno di un metro da lei, su un tavolino di metallo e a parte i calzini, era praticamente nudo.

Louisa spostò rapidamente lo sguardo da un'altra parte concentrandosi sui mobiletti bassi della stanza. Erano uniformi, di un giallo spento illuminati dalla luce fredda del neon. Individuò un lavandino in un angolo e parecchi flaconi di colore diverso messi un po’ dappertutto. E su tutto aleggiava l’odore di disinfettante.

Il viso dell’altro ragazzo riempì il suo campo visivo. Era biondo con gli occhi grigi scuro e i capelli leggermente arruffati – Come stai? – chiese con voce preoccupata – Senti dolore da qualche parte?

Louisa provò a scuotere la testa, ma le venne un capogiro ed emise un gemito infastidito – Hai preso una bella botta, – continuò lui – È normale che tu sia stordita. –

- Sto bene, grazie. - disse lei, cercando di non dargli troppa confidenza – Mi gira la testa tutto qui. – Will annuì e le prese il polso, controllando il battito cardiaco, Louisa pregò che non si accorgesse di quanto fosse veloce.

- Will! Qui c’è uno malato seriamente! Ho ancora diverse schegge in corpo! – la voce squillante di Jason fece scoppiare la piccola bolla in cui, per alcuni secondi, si erano ritrovati isolati Louisa e Will.

Il ragazzo biondo tornò allegramente da Jason  – Ti comporti come un bambino, – disse con un sorriso caldo – Lei è nostra ospite.  

- Tua ospite. – lo corresse Jason – La mia casa è bruciata poche ore fa. – chiuse gli occhi e appoggiò il mento sulle braccia muscolose, lasciando che Will gli estraesse le ultime schegge dal corpo, mormorando tra i denti qualcosa a ogni scheggia estratta.

Louisa impiegò qualche secondo per mettere insieme le ultime parole che aveva sentito, cercandoci un senso logico – La tua casa? Non era quella di Yang Fen? Sei suo figlio? –

Jason aprì di nuovo gli occhi puntandoli su di lei come dei fanali – Ti sembro cinese? –

- No.

- Allora non sono suo figlio. – disse tagliando corto.

-  Smettila di essere così cattivo, Jason. – disse Will che continuava a lavorare con un sorriso tranquillo – È confusa, le hai fatto fare un volo dalla finestra del secondo piano. Jason è il figlio adottivo di Fen. – spiegò Will – Ecco perché ha le chiavi di casa.

- E perché sa muoversi lì dentro. – aggiunse Louisa meditabonda, ricordando come Jason le avesse detto di mettere i piedi dove li metteva lui.

- Casa che tu hai fatto saltare come un petardo. – sottolineò Jason vagamente irritato.

Louisa inspirò bruscamente – Mi dispiace, – disse tutto d’un fiato – Ma io devo trovare Fen, lui ha una cosa che mi serve. – si mosse avanti indietro sul posto, con ansia crescente.

- Puoi anche rilassati e smettere di comportarti da invasata. – disse Jason tornando a chiudere gli occhi – Tutto quello che possedeva Fen è bruciato con la casa. –

Louisa gli scoccò un’occhiataccia – E lui dov’è? Hai detto che sei il custode della casa, ma in realtà sei suo figlio adottivo. Mi hai mentito. Quindi, dov’è Fen? – era profondamente irritata da quel ragazzo, ma non ne capiva il motivo, forse era il suo modo di fare saccente che la urtava.

- Non ti ho mentito. Io ne sono il custode, perché la casa è mia come figlio adottivo, ma Fen è realmente andato. –

- Andato dove?

Jason alzò gli occhi al cielo, con uno sguardo eloquente e lei seguì la direzione dei suoi occhi verso il soffitto, poi sbiancò – Morto? –

Jason sorrise triste – Poi sono io quello con una delicatezza da elefante, vero Will? – disse rivolgendosi all’amico - Si, signorina è morto tre anni fa. – Jason allungò la mano verso il collo di Louisa e le tirò fuori dal colletto della camicia la catenina d’oro a cui era appeso un anello dello stesso metallo con una gemma azzurro chiaro incastonato al centro – E scommetto che sei qui per il gemello di questo. – Louisa gli allontanò la mano di scatto e si nascose la l’anello sotto la camicetta azzurra – Non sono affari tuoi! ma se sai dov’è l’anello..

- Sei coinvolta in quella setta di vecchi pazzi? – chiese Jason a brucia pelo

- Ti sembro vecchia?

- Mi sembri pazza. – concluse lui

Will mise via la pinza, le garze, ago e filo e prese il rotolo di cotone germanico – Fatto! Estratte tutte, mettiti seduto così ti faccio la fasciatura. – disse soddisfatto.

- Grazie – Jason si mise a sedere di scatto, facendo arrossire Louisa fino al collo, che si voltò a fissare ostinatamente il muro – Sei nudo! – urlò scandalizzata alla parete.

Will rise, mentre Jason le metteva una mano sulla spalla richiamandola – Guarda che siamo in Scozia. Andiamo in giro in Kilt.

- Cosa centra il Kilt con l’essere nudi? – domandò Louisa con la fronte corrucciata, rifiutando di voltarsi finché Will non le disse che Jason si era completamente rivestito.

Non sapeva perché, ma si fidava più di Will e delle sue parole rassicuranti, piuttosto che di Jason che le aveva salvato la vita.

Louisa tornò ostinatamente all’argomento che le premeva – Sai  dov’è l’anello di Fen? – chiese a Jason ancora una volta.

- Sei noiosa, lo sai? “Devo trovare Fen”, “devo entrare in quella casa”, “devo avere il suo anello”. Fatti una vita per favore.  

- Ma..

- In qualsiasi cosa in cui tu sia coinvolta, Fen non ne voleva fare parte e io nemmeno; quindi puoi anche andartene. – disse Jason tagliando corto il discorso.

Senza attendere una risposta scese dal tavolo e uscì dalla stanza, zoppicando leggermente.

 

 

“Dio,

non avrei mai creduto che il nostro incontro

potesse cambiare radicalmente le sorti della Guerra”

 

 

 

 

NAD: premettendo che le mie note d’autore non sono mai serie, mi accingo a dare un po’ di spiegazioni. Allora: la frase d’apertura è tratta dalla Bibbia e possiamo dire che è una specie di “profezia” (anche se non era così in Tessalonicesi) su quello che accadrà ai protagonisti. Poi, più avanti troverete dei nomi conosciuti, sia per i Sigilli, che per di Decaduti che per i Grigori, sono tutti presi dalla Bibbia e da Wikipedia, a parte forse Ismael che ho preso da un libro.

Le ultime frasi che troverete in fondo ad ogni capitolo sono una specie di preghiera che fanno i protagonisti.

Poi vorrei subito ringraziare Madamoiselle Nina che ha deciso di tradurmi i titoli in latino e Thalia_Socia_Grace e Valerie Carstairs per essersi innamorate di Jason e Will al primo colpo e di leggere, insieme a Nina, tutti i miei appunti incasinati.

Per quanto riguarda la velocità di aggiornamento è un bel mistero, primo perché ho altre due long da gestire, secondo perché gli esami e il tirocinio in ospedale mi porteranno via un bel po’ di tempo ed energie, ma dovrebbe essere ogni 2-3 settimane.

Grazie a chiunque legga.

Khyhan

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Capitolo 2
*** II. Occursi ***


Occursi

Occursi

 

Perciò, io ti farò come ho detto, o Israele;

 e poiché io farò questo contro di te,

 preparati, o Israele, a incontrare il tuo Dio!

 Poiché, eccolo Colui che forma i monti e crea il vento,

 e fa conoscere all’uomo qual è il suo pensiero;

 Colui che muta l’aurora in tenebre,

 e cammina sugli alti luoghi della terra;

 il suo nome è Geova,

 l’Iddio degli eserciti.

Amos 4:12-13

 

Will scosse tristemente la testa vedendo la figura di Jason che si sbatteva la porta alle spalle – Devi perdonarlo. Jason sa essere un gran cafone quando vuole, ma non è cattivo. – cercò di farle sorriso, ma Louisa notò solo una smorfia triste.

Lei, invece, aveva l’adrenalina che vorticava velocemente nelle arterie, dandole un forte senso di irrequietezza. Se la gamba non le avesse fatto troppo male, avrebbe inseguito Jason per tirargli un calcio sugli stinchi, sfogandosi e urlando fino a non avere più fiato nel polmoni – Sarà come dici, ma mi sembra un gran maleducato comunque. – il tono era acido, come se avesse mangiato un limone intero.

Se non fosse stata talmente tanto arrabbiata, avrebbe potuto cercare  di capire il punto di vista di Jason e la tristezza di Will. Se una perfetta sconosciuta fosse apparsa dal nulla, avesse innescato una trappola mortale e poi avesse insistito per trovare l’anello del proprio padre defunto, anche lei avrebbe reagito come Jason.

Pensando all’anello la rabbia che provava per le parole ironiche di Jason, lasciò il posto a un profondo senso di disperazione.  Yang Fen era morto e forse ciò che cercava era perduto per sempre; scacciò dalla mente quel pensiero, Louisa non poteva permettersi di perdere la speranza, non con tutte quelle vite in ballo. Doveva continuare a cercare, almeno finché ne aveva le forze – Senti, – disse a Will, cercando di controllare il tono della propria voce e sperò che non risultasse acida come prima – Dovrei tornare alla casa di Fen.. –

Sul volto del ragazzo si dipinse un sorriso dolce, e Louisa sentì le guance farsi calde, notando la piccola scheggiatura sull’incisivo di Will, che lo  rendeva meno perfetto, ma ai suoi occhi più carino – Non sei una che molla al primo no, eh? – estrasse una piccola torcia dalla tasca della camicia e gliela puntò agli occhi, accecandola per un paio di secondi – Riflessi pupillari normali. – poi, inaspettatamente, le diete un pizzicotto alla base del collo.

- ahi! – strillò Louisa più per sorpresa, che per vero dolore e scansò istintivamente il busto – Ma che fai? –

- Riflessi nocicettori in ordine, – disse scrutandola sottecchi finendo di esaminarla, il suo sorriso si allargo e Louisa divenne sempre più torva sotto quello sguardo – Quindi devo dedurre che sei solo masochista. –

Louisa sbuffò e incrociò le braccia al petto, sottraendosi agli occhi grigi di Will – Oggi mi sono beccata della pazza e della masochista, bell’affare.. –

Will ridacchiò, prendendo la mano della ragazza e premendo leggermente sul polso con due dita – Scusa per la masochista. Mi è scappato, ma dovevo controllare che tu non avessi una commozione cerebrale. Jason mi ha detto che hai preso una bella botta in testa. –

- Sei un medico? – domandò rilassandosi leggermente sul lettino, capendo finalmente il perché del pizzicotto a tradimento – No, – rispose scuotendo la  testa  - Solo uno studente, ma mio padre è il medico del villaggio e mi ha insegnato un po’ di cosette. Posso? – prese uno strumento che teneva vicino al lettino e glielo mostrò aprendo la custodia.

Louisa riconobbe un fonendoscopio; lo aveva visto usare spesso durante le visite mediche all’Istituto, ma non si era mai lasciata visitare da uno sconosciuto.

Nonostante Will non le sembrasse un tipo pericoloso ebbe improvvisamente paura di lui - Che devi fare? – chiese sulla difensiva, spostandosi di un paio di centimetri verso il muro, ignorando le proteste della gamba ferita.

- Nulla di che. Controllare la pressione, poi cuore e polmoni. Voglio escludere qualsiasi possibile problema. –

- E non potevi farlo mentre ero senza sensi? – ogni minuto che passava Louisa sentiva il sospetto crescere nei confronti di Will. Tanta gentilezza non era normale in una persona che non l’aveva mai vista prima.

- L’ho fatto, non appena Jason ti ha portata qui, ferita e coperta di sangue, ma voglio fare un controllo per sicurezza. A dir la verità avrebbe dovuto visitarti mio padre, ma era fuori per un emergenza. Ho dovuto fare qualcosa io e spero che non ti dispiaccia. Ti vedo visibilmente tesa. –

Louisa arrossì leggermente – No! Cioè si, in genere i dottori sono tutti.. –

- Cinquantenni canuti, pieni di rughe con lo sguardo di chi ne ha viste troppe e la puzza sotto il naso? – chiese ironicamente Will, mettendosi il fonendoscopio attorno al collo.

- All’incirca; ma non fraintendere, non che mi dispiaccia che tu mi abbia aiutata. Voglio dire: tu non sei ne canuto, ne cinquantenne, sei..- fece una pausa con la bocca improvvisamente secca - Sei giovane e gentile.. – il calore si diffuse dalle guance al collo, mentre desiderava sprofondare nel pavimento per la piega che stava prendendo il discorso.

- Ma non ti fidi di me. – concluse Will prendendo l’apparecchio per la pressione e tirandole su la manica fino alla spalla. Louisa aprì la bocca per replicare e cercare di spiegarsi, ma il ragazzo la fermò portandosi un dito alle labbra – Aspetta. – sillabò, mentre gonfiava il bracciale attorno al braccio.

Dopo un paio di secondi Louisa sentì il braccio formicolare, per poi percepire le potenti pulsazioni del suo sangue che portavano l’ossigeno e i nutrimenti in tutti i distretti del suo corpo quando il ragazzo inizio a sgonfiare lentamente il palloncino del bracciale- Hai la pressione un po’ altina, – decretò Will – Ma credo di averti messo a disagio io. – strappò il velcro del bracciale e glielo tolse, risistemandole gentilmente la camicia -  Vuoi una tazza di tè e facciamo quattro chiacchere? –

Louisa soppesò l’offerta per alcuni secondi guardando gli occhi grigi e sinceri del ragazzo – Va bene – disse cercando di mettersi seduta sul lettino. I muscoli della gamba ferita si tesero improvvisamente e uno spasmo di dolore la attraverso violentemente, facendole perdere la presa, già  precaria, che aveva sui gomiti. Will la afferrò dietro la schiena e la spinse indietro sul lettino, controllandole di nuovo il polso – Sei diventata terribilmente pallida. Vuoi un antidolorifico? – il battito del cuore di Louisa impazzì, era vicinissima al viso di Will che la guardava con crescente preoccupazione.

Lo spinse via, chiudendo gli occhi e cercando di calmare il proprio cuore. Aveva passato anni a sopprimere quel tipo di istinti, si era addestrata apposta per non farsi distrarre e non sarebbe stato un medico, o meglio uno studente medico di campagna a farle cambiare idea  – Sei molto gentile grazie, ma preferirei di no. Se sto ferma riesco a ignorare il dolore, ma ora come ora, vorrei veramente la tazza di tè che mi avevi proposto poco fa.. – si bloccò, quando Will si morse il labbro.

- Vedi, per farti il tè dovrei andare in cucina, ma non posso lasciarti da sola. Non ora che ti sei sentita male. –

- È stato solo un momento. È passato, non c’è bisogno che ti preoccupi così tanto; e poi, non per essere scortese, ma non so nulla di te, per quello che conosco dietro questa tua gentilezza potrebbe nascondersi un maniaco o peggio. - la mente di Louisa volò irrimediabilmente ai suoi mortali nemici, i Grigori, ma si calmò pensando che se Will fosse stato uno di loro, la avrebbe  uccisa non appena avesse visto l’anello al collo.

Will inclinò leggermente la testa di lato e Louisa si sentì trafiggere il petto da quegli occhi grigi – Immagino, – disse il ragazzo freddamente – Di non essermi guadagnato la tua fiducia accogliendoti in casa mia, curandoti e tenendoti al caldo, quando la logica mi diceva che tu avevi appena messo in pericolo il mio migliore amico. Amico, che per inciso, mi ha implorato di salvarti. –

Louisa non riuscì a sostenere oltre lo sguardo glaciale di Will, sapeva di essere stata meschina e scortese nel dire che Will poteva essere un maniaco o insinuando che fosse un Grigorio.

Nessuno l’aveva costretto a curarla, e nessuno l’aveva costretto ad essere gentile con lei – Mi dispiace, – disse. La voce le uscì in un sussurro roco e la gola era secca e in fiamme – So di essere stata cattiva, non volevo dire quelle cose. Mi sono scappate, – una mano calda di Will si infilò sotto il suo mento e la costrinse a guardarlo di nuovo. I suoi occhi erano più gentili e il sorriso era tornato sul suo volto – Non volevo le tue scuse. Immagino che per insistere così tanto per trovare l’anello di Fen, tu abbia un motivo importate, ma se tratti tutti con sufficienza e freddezza non arriverai mai da nessuna parte. – la lasciò andare e la testa di Louisa si mosse meccanicamente verso il muro contro cui era appoggiato il lettino. Lo vedeva appannato e liquido per le lacrime che iniziavano a sfuggirle.

Will era riuscito a farla sentire in colpa e Louisa sapeva da molto tempo che a volte feriva le persone usando le parole sbagliate; lo faceva in maniera del tutto inconsapevole, e dovevano farglielo notare per capire dove e come sbagliava; e ora, tramite i gesti e le parole di Will, si rendeva conto di averlo ferito – Will, senti, – represse un singhiozzo isterico e cercò di dominare la voce, incredibilmente acuta – Non volevo offenderti, tu sei stato incredibilmente gentile a prenderti cura di me, e lo è stato anche Jason a salvarmi la vita, ma, – fece una pausa per asciugarsi il naso - Devo veramente cercare l’anello di Fen, o almeno avere qualche prova del fatto che non sia qui. È troppo importante per me. È importante per tutti. – la mano di Will coprì la sua, costringendola ad allentare la presa spasmodica che aveva sulla camicia – Guardami. – le disse dolcemente – Per favore, guardami. – Louisa si passò il dorso della mano sugli occhi, cercando di fermare le lacrime che non smettevano di scendere. Ancora con gli occhi le bruciavano si voltò a studiare il volto sereno di Will e ritrasse istintivamente la mano sotto quello sguardo. Sentiva qualcosa all’imboccatura dello stomaco, forse era quello che le altre ragazze definivano “farfalle”, ma lei l’avrebbe definita come una sensazione di profonda conoscenza e malinconia.  Come se rivedesse qualcuno dopo tanto tempo, ma non riusciva a ricordarne i tratti e a collegare i momenti in cui si erano conosciuti – Louisa, è così importante trovare quell’anello? – chiese asciugandole una guancia – Così tanto da non poter aspettare di guarire? –

Louisa gli prese la mano e la posò delicatamente sul lettino, il sangue si accumulò sotto la pelle dove lui l’aveva sfiorata – Si, non posso aspettare. Anche se dovessi strisciare, devo andare a cercare informazioni. –

Will proruppe in uno sbuffo e gli spuntò un mezzo sorriso agli angoli della bocca – Non ci posso fare nulla allora. Ho qualcosa che dovrebbe aiutarti ad aumentare la soglia del dolore, ma ti stordirà un po’. Se vuoi provare, posso farti un’iniezione, ma non so quando durerà l’effetto terapeutico –

Il battito del cuore di Louisa perse un colpo per la sorpresa. Quel ragazzo stava facendo i salti mortali e si stava esponendo a un gran rischio per aiutarla – Sei sicuro di essere solo uno studente? Voglio dire: non hai una laurea, non farai danni? –

- Certo che posso fare danni, sono un essere umano. Come dice il proverbio: errare è umano..-

- Ma perdonare è divino – concluse Louisa con un sorriso, ricordando il proverbio che sentiva spesso all’Istituto.

- Stavo per dire: ma perseverare è diabolico, veramente. – il sorriso di Will si allargò di un paio di molari, rendendo Louisa irrequieta. Quel sorriso era importante, lo sapeva e doveva ricordarselo - Louisa, io voglio davvero aiutarti e per farlo devo metterti in piedi. Non sono che al terzo anno di medicina, ma credimi se ti dico che so quello che faccio. A volte mio padre dice che ho un dono; voglio crederci e lo voglio usare ora, per aiutare te, se tu vuoi fidarti di me. -

Louisa mosse leggermente la gamba ferita e avvertì una forte fitta di dolore e la testa prese girarle, mentre la vista si appannava e il volto di Will scompariva per diversi secondi, sostituito da diverse luci che le si accesero davanti agli occhi. Le orecchie le fischiavano, escludendo la domanda di Will e sentì il contenuto dello stomaco risalirle il petto, incendiandolo con il suo retrogusto acido.

La mano di Will si posò su una guancia, mentre lei recuperava rapidamente l’uso della vista e dell’udito – Che è successo Louisa? Sei pallida e sudorante, ti sei sentita male ancora? –

Louisa non rispose, lo stomaco era ancora contratto e rischiava di vomitare addosso a Will se avesse osato aprire bocca in quel momento – Vuoi provare a fidarti di me? E vedere se il medicinale fa effetto? – Louisa tentò di annuire, ma la nausea le provocò un'altra ondata di vertigini e ricadde stancamente sui cuscini. Si passò una mano sulla fronte, bagnata di sudore, per quel piccolo sforzo che aveva appena fatto.

Da sola, senza l’aiuto di Will, non sarebbe mai riuscita a raggiungere la casa di Fen e non avrebbe potuto mandare avanti la sua ricerca – Will, – disse con voce incerta e strascicata – Mi daresti quel farmaco? E anche dell’acqua? – vide Will annuire, passandole un lembo del lenzuolo sulla quale era stesa sulla fronte – Mi allontano qualche secondo, non cadere nel frattempo. – Will le dava spalle aprendo e chiudendo i cassetti dei mobili e Louisa fu presa da un fiotto di rabbia improvvisa.

Non era colpa sua se stava così male, o meglio era colpa sua che non aveva dato retta a Jason, ma se quel ragazzo l’avesse avvertita delle trappole, lei non sarebbe finita in quel lettino, in un ambulatorio nelle Highlands con la gamba talmente malconcia da non poterla muovere.

Quando Will riapparve accanto a lei, con un bicchiere d’acqua in mano e una siringa nell’altra, la mente di Louisa aveva deciso che la colpa di quella situazione era tutta da attribuire a Jason e al suo modo di fare irritante e strafottente.

- Ti do una mano a tirarti su? – Louisa scosse lentamente la testa e provò a puntarsi sui gomiti, cercando di non muovere la gamba. Quel piccolo gesto le bastò a mozzarle il fiato e sarebbe ricaduta all’indietro se Will non l’avesse sostenuta, mettendole prontamente una mano dietro la schiena – Non è normale che tu stia così male. – il ragazzo si morse il labbro, visibilmente preoccupato e aiutò Louisa a tornare stesa – Speravo che riuscissi a stare seduta qualche secondo senza aiuto, ma è meglio se tiro su la testiera. – le dirò su lo schienale, permettendole di stare semistesa e di non pesare troppo sulla gamba malconcia – Va meglio così? – domandò passandole il bicchiere d’acqua, che Louisa bevve avidamente con bocca secca e la lingua in fiamme – Grazie – disse con un sospiro soddisfatto, – Va molto meglio. Grazie. – guardò la siringa che Will teneva in mano – Che ci devi fare con quella? – il sangue le defluì dal viso. L’ago era incredibilmente acuminato e l’idea che potesse bucarle la pelle le faceva rizzare i peli lungo le braccia. Ritrasse il braccio, mentre Will le posava una mano sulla spalla – Louisa, guardami. Non ti faccio nulla se non vuoi, puoi ancora decidere di non farlo e riposarti qui finché non ti sentirai meglio. –

- Quel farmaco aumenta sul serio la soglia del dolore? Riuscirò a muovermi? – chiese, tenendo sempre sott’occhio la siringa.

- Non dico che correrai la maratona, avrai comunque bisogno d’aiuto per camminare. La tua era una ferita abbastanza profonda..-

- Fammela! – lo interruppe lei – Io detesto gli aghi, quindi fammela, prima che cambi idea. – chiuse gli occhi, cercando di cancellare dalla mente l’idea che quel ragazzo appena conosciuto stesse per pungerla.

Odiava gli aghi più di ogni altra cosa al mondo, era più forte di lei, come ne vedeva uno iniziava a sudare freddo e desiderava fuggire il più in fretta possibile.

- Come ti chiami? – chiese Will ad un tratto. Louisa spalancò gli occhi – Come, come mi chiamo? Louisa, no? – Will ridacchiò, mentre si infilava i guanti e metteva del disinfettante scuro su una garza.

Will le tirò su una manica della camicia, appena sotto la spalle – So che ti chiami Louisa, quello che intendo dire è che non ci siamo presentati. Io sono William Caimbeul, prima che mi muori di paura, volevo almeno fare una presentazione decente. –

Louisa sentì il fresco del disinfettante sulla pelle – Credevo che a voi scozzesi non importasse nulla delle presentazioni. – rispose non riuscendo a distogliere lo sguardo dal proprio braccio e da William, che la teneva dolcemente con la mano inguantata, tendendole delicatamente la pelle.

Con la mano libera Will la prese sotto il mento e la costrinse a guardarlo, distraendola dalla tensione che saliva dentro di lei e che le irrigidiva i muscoli – Chi ti ha detto questo? –

- Non me lo ha detto, me lo ha fatto capire. – gli occhi corsero a fissare con astio la porta dell’ambulatorio chiusa.

- ah, Jason! – disse capendo a chi si riferiva Louisa -  Non è una cima in fatto di educazione, soprattutto con gli estranei. Quando eravamo piccoli e ancora non ci conoscevamo mi ha tirato una mela in testa. Peccato che fosse una mela del nostro frutteto. – Louisa tornò a guardarlo con un mezzo sorriso. Non riusciva a immaginarsi qualcuno tirare una mela addosso a un ragazzo così gentile e premuroso – E tu che hai fatto? – chiese incuriosita.

- Gli ho rotto un braccio – disse Will sorridendo al ricordo – Non l’ho fatto apposta, è scivolato ed è caduto dall’albero su cui si era arrampicato quando l’ho inseguito. Fatto! – disse soddisfatto.

Louisa sentì premere il braccio e vide che Will le teneva la garza contro la pelle – Che hai fatto? – chiese, domandandosi se per caso lui le avesse già fatto l’iniezione senza che lei sentisse nulla.

- Ti ho punto, che domande! Comunque non mi hai risposto, mi dici il tuo nome e ci presentiamo in maniera decente? – prese una piccola scatola gialla e rossa vivo e ci buttò dentro ago, siringa e guanti, mentre aspettava che Louisa si decidesse a rispondere.

Louisa sospirò, Will la spiazzava terribilmente. Raramente vedeva ragazzi che non fossero membri dell’Istituto, e le era stato esplicitamente proibito parlarci se non per chiedere indicazioni stradali – Louisa Van Der Meer. – disse infine – William, grazie per avermi aiutata e tutto il resto. –

Come il farmaco iniziò a fare effetto, Louisa si sentì un po’ stanca e sudata, ma muovendo la gamba, non le arrivavano più fitte lancinanti, ma solo un sensazione sorda e pulsante che non riusciva a identificare correttamente – Come hai fatto? – chiese ruotando leggermente il piede per saggiare la sua nuova resistenza. Will le fu accanto e ne osservò incuriosito i movimenti – Non ne ho la più pallida idea. Era un bolo intramuscolo; il rilascio e l’assorbimento  dovevano essere ritardati, così avevi più tempo per muoverti. – si spostò ai piedi del lettino e osservò la gamba con aria clinica – Fermami se ti faccio male. – spinse il piede di Louisa, poi ruotò il collo del piede, cercando di far lavorare tutti i muscoli della gamba. La ragazza sentì poco più di un fastidio, come se le prudesse qualcosa sotto la pelle, all’altezza della ferita – Prova a far forza Louisa, spingi. –

- Spingere cosa? –

- La gamba, fai forza, spingi contro le mie mani, ma se senti dolore fermati all’istante. – Louisa obbedì e iniziò a spingere con forza la gamba, ma non sentì dolore, anzi, si sentiva sempre meglio e provò a spingere più forte, costringendo Will a contrastarla seriamente.

Louisa smise di spingere improvvisamente e le guance si infiammarono, rendendosi conto che stava ammirando le curve dei bicipiti di Will messi in risalto dallo sforzo fisico.

Ritrasse il piede di scattò e fissò il muro, sperava ardentemente che Will non avesse notato il suo disagio, ma da quel che aveva capito di Will, aveva diversi dubbi – Ti sei fatta male? – chiese il ragazzo.

- No, – disse senza guardarlo – Anzi, sto molto bene, non sento più nulla alla gamba, come se non mi fossi mai fatta niente. –

Will le rivolse uno sguardo dubbioso, mordicchiandosi il labbro inferiore prima di porgerle la mano – Ti va di provare a scendere e fare qualche passo? -  Louisa annuì vistosamente e accettò la mano che le Will le tendeva. Saltò, quasi letteralmente, giù dal lettino; come mise i piedi per terra constatò, con sorpresa, che la gamba non le faceva male, aveva solo un insistente prurito dove era stata ferita, ma per il resto si sentiva riposata e piena di energie; se glielo avessero proposto, avrebbe scalato l’Everest.

Accompagnata da Will, che la teneva saldamente per la mano e sotto il gomito, fece avanti e indietro diverse volte dalla porta al lettino, strappando a Will un sorriso soddisfatto e un sguardo di pura ammirazione – Devo dire che ti muovi come un cacciabombardiere. Con la ferita che avevi avresti dovuto fare mesi di riabilitazione. Sei forse un miracolo della scienza medica? – chiese prendendo il sfigmomanometro e il fonendoscopio in mano – Ti misuro di nuovo la pressione. Prima di uscire da qui voglio che sia tutto in ordine. –

- O forse, – disse Louisa, porgendo il braccio – Ho avuto un ottimo medico. –

Will le fece cenno di tacere, mentre sgonfiava per la seconda volta il bracciale nel giro di mezzora – Hai una pressione ottimale nonostante tu abbia perso parecchio sangue. Vorrei dare un’occhiata alla ferita e vedere se la fasciatura regge. – si mosse verso di lei, ma Louisa si scostò malamente, guardandolo torva,   proteggendosi contemporaneamente la gamba con la mano – Nonn ce n’è bisogno. Credimi. Se sentissi che qualcosa non va te lo direi, okay? – il suo istinto le urlava a gran voce di non scoprire la gamba, e nel corso degli anni, l’istinto le aveva salvato più di una volta la vita.

Will le sorrise rassicurante, mentre alzava le mani arrendevole – Va bene. Non ti controllo la gamba per il momento, ma se vedo anche un solo cenno di cedimento sul tuo volto, una singola goccia di sudore o segni di pallore, ti controllerò dalla testa i piedi e non accetterò un no in risposta. Sono un medico; e se devo passare sopra le persone con un carro armato per salvarle, lo faccio. –

- Ma.. –

- Ma è una congiunzione avversativa che va a contrastare quello che ho appena detto. Quindi, o fai quello che ti dico, o ti faccio una fiala di morfina e ti stendo finché non mi ascolterai. Puoi scegliere. – si guardarono negli occhi per alcuni secondi e Louisa constatò che Will non scherzava: le avrebbe sul  serio dato la morfina se lei non gli avesse dato retta. Abbassò gli occhi, confusa per aver perso quello scontro di volontà – Credevo che si potessero rifiutare le cure mediche. – disse con un filo di voce.

Will la sentì – Non nei casi di emergenza. – disse mettendole entrambe le mani sulle spalle – Ora muoviamoci, o tra un po’ farà buio e non vedremo più nulla. – Will si diresse alla porta e aprendola fece cenno di precederla in corridoio, mentre lui spegneva le luci.

Louisa aspettò che Will si richiudesse la porta alle spalle, prima di guardarsi intorno. Sul corridoio, avvolto dalla semioscurità, si affacciavano diverse porte il legno scuro, e la carta da parati verde con disegni color panna, e il silenzio totale, le davano  la sensazione di soffocamento e di malattia mortale.

Un brivido scosse Louisa dalla testa ai piedi – Non devi avere paura, – disse Will indirizzandola verso la fine del corridoio dove si intravedevano le scale – È una casa vecchia e piena di scricchiolii, ma non c’è nulla di cui aver paura. –

Louisa accarezzò la colonnina della balaustra, ammirandone gli intagli a forma di fiori e tralicci – Tutte le vostre case sono così? –

- Da quel che ho capito, hai visto la casa di Jason, – disse Will con un sospiro iniziando a scendere le scale due a due – Sono stili parecchio simili, ma devo dire che Miss Marple sarebbe orgogliosa di quella di Jas. –

- Miss Marple? – ripeté Louisa seguendo Will e domandandosi chi mai potesse essere quella donna.

- Mai letto Agatha Christie? – alla domanda di Will, Louisa scosse lentamente la testa, bloccandosi a metà delle scale.

- Scriveva romanzi gialli. Miss Marple è una dei suoi protagonisti – spiegò Will, voltandosi a guardarla da un paio di gradini più in basso – Quando torniamo, se vuoi sapere qualcosa di più su di lei, ti presto uno dei miei libri. –

Louisa riprese a seguirlo, domandandosi come facesse Will a fidarsi così tanto di lei da dirle che le avrebbe anche prestato uno dei suoi libri. Lei, non avrebbe mai potuto dare i suoi a qualcuno, non li avrebbe prestati nemmeno a quelli che considerava dei fratelli, figurarsi a un ragazzo che conosceva da poche ore.

Will le posò gentilmente una mano sulla spalla – Louisa, mi stai ascoltando? – domandò Will, richiamandola alla realtà.

- Cosa scusa? Stavo pensando a delle cose. –

- Ti ho chiesto: vuoi che ti presti una delle mie giacche? Sono un po’ grandi per te, ma la tua si è tutta rovinata e macchiata di fango ed erba. – Louisa si fissò le scarpe e il pavimento sentendosi di nuovo bollente in faccia.

Ormai era certa che Will fosse così gentile di natura, anche se prima, quando l’aveva minacciata di usare la morfina, aveva uno sguardo che lei non avrebbe mai osato sfidare. Se fossero stati nemici, Louisa avrebbe tremato sotto quegli occhi grigi - Sei gentile, ma preferirei rifiutare. Voglio dire, posso stare anche senza giacca. Stamattina c’era solo un po’ di vento e cielo coperto. –

- Peccato che abbia piovuto fino a un’ora fa e la temperatura si sia abbassata. Insisto, Louisa. – le porse una giacca marrone, invitandola ad infilarsela e Louisa capitolò con un mezzo sorriso. Le parole e le premure che Will le riservava, iniziavano a mettere in difficoltà le sue capacità di porre dei rifiuti razionali.

Si abbottonò la giacca fino al collo e guardandosi allo specchio, Louisa si sentì un palombaro.

A William sarebbe sicuramente finita a metà coscia, mentre a lei arrivava oltre il ginocchio, coprendo totalmente i pantaloni bruciacchiati e strappati. Le maniche le coprivano interamente le mani, e il tessuto le pesava terribilmente sulle spalle facendola incurvare.

Sentì qualcuno scoppiare a ridere non distante da lei e Will

- Un sacco di patate sarebbe sicuramente più a suo agio di te! – allo specchio vide Will alzare gli occhi al cielo e girarsi verso la porta alle loro spalle.

- Jason! Essere un po’ gentile, mai? – voltandosi lentamente, impacciata dalla giacca di Will, Louisa vide due brillanti occhi azzurri fissarla da sopra il divano.

- Mi hai fissata per tutto il tempo? – domandò portandosi le braccia al petto e guardandolo, con quello che sperava fosse uno sguardo furioso.

Il sorriso di Jason si allargò, scavando due fossette ai lati delle labbra – Io sono  gentile Will, è la nostra ospite che mette a dura prova quel lato del mio naturale ed esuberante carattere. Quando guardo i suoi occhioni grigi spalancati nel vuoto, il mio desiderio principale è quello di strapazzarla per bene. Comunque esci? E ti porti via l’uccello del malaugurio? – domandò spostando lentamente lo sguardo da Louisa a Will.

L’ondata di rabbia che aveva travolto Louisa, quando lui era uscito sbattendo la porta, la riavvolse come un mantello ed entrò nella stanza a passo di marcia con le mani chiuse a pugno lungo i fianchi – Come scusa? – chiese cercando di mantenere un tono di voce calmo e distaccato.

Jason continuò tranquillamente a guardare oltre Louisa, nella direzione di Will, che ancora non aveva emesso un suono – Dovresti tenere a bada i tuoi animaletti, Will. Alcuni sono troppo estroversi e potrebbero dare fastidio. –

- Senti un po’ bellimbusto, ma come ti permetti di parlarmi così? E poi chi sarebbe l’uccello del malaugurio? –

Jason si grattò distrattamente il collo – Sai quando a casa mia ti ho detto di non toccare nulla e tu, ovviamente hai dovuto fare di testa tua, credevo solo che fossi solo un po’ tarda, ma ora mi ricredo: tu soffri di stupidità mentale congenita e scusa la franchezza, porti anche un tantinello sfiga. –

- Sfiga? – domandò Louisa sbattendo gli occhi e facendo un mezzo passo indietro.

- Sfiga: avversità, sfortuna, scalogna, disgrazia, fatalità, iella. Chiamala come ti pare. Ogni parola ti rappresenta perfettamente. – scartò la testa all’indietro evitando lo schiaffo che Louisa provò a dargli, non resistendo più all’impulso di far sparire quel ghigno – Ma visto che sono una persona gentile ti farò un rapido riassunto della situazione e ti farò partecipe delle mie conclusioni: primo: hai fatto suonare l'allarme messo ai confini di casa mia e mi hai svegliato da un bellissimo sogno fatto di stupende donne formose, arcobaleni e unicorni; e sono di pessimo umore quando mi svegliano. Secondo: mentre mi vestivo in fretta e furia per vedere chi era il cretino che cercava di forzare una casa visibilmente vuota, ho sbattuto l'alluce contro la cassettiera facendomi un gran male, tra parentesi, lo aggiungo alle spese mediche che mi rimborserai. Terzo: non ho più una casa, l'hai fatta saltare e mi sono riempito di schegge di metallo e legno la schiena. Ora, correggimi  se sbaglio, ma converrai con me che porti sfortuna. Comunque è appena mattina, farai tranquillamente in tempo a far esplodere una bomba nucleare e farti rapire. -

Louisa inspirò bruscamente, pronta a fare una tale tirata a Jason che, se tutto andava come lei voleva, gli sarebbero venuti i capelli bianchi, quando la mano di Will la trattenne per una spalla – Lascia perdere, – le disse gentilmente – Jason è uno che non si batte a parole. E poi non ne vale la pena. –

- Potrei stenderlo come un tappetino per il bagno. –

Jason incrociò le braccia al petto, guardandola divertito – Anche a me piacerebbe stenderti tesoro, ma visto quanto sei piatta non ci sarebbe gusto. – Louisa sentì la presa sulla sua spalla farsi più pressante, mentre desiderava acchiappare Jason e ridurlo alla dimensione di una molecola. Con quel ragazzo il detto: “porgi l’altra guancia”, veniva messo a dura prova anche se al suo posto ci fosse stato un angelo.

- Andiamo. – la incalzò Will all’orecchio – Faremo tardi. – Louisa inspirò profondamente, cercando di calmarsi e di ritrovare la lucidità.

- Va bene, Will! Spero almeno di riuscire a trovare l’anello. –

Mentre si girava Jason la afferrò per un polso, stringendo fino a strapparle un gemito – Sei ancora a caccia dell’anello di Fen? Hai deciso di fare altri danni, oltre al farmi saltare per aria la casa? – Louisa tornò a fissarlo torva, mentre strattonò il braccio cercando di liberarsi dalla sua presa che non cedeva di un millimetro – Non smetterai mai di torturarmi con il fatto che la tua casa è esplosa, vero? – domandò dando al ragazzo un forte pizzicotto sul dorso della mano, cercando di liberarsi di lui.

Jason sorrise mellifluo – Non in questa vita. Magari tra sette od ottocento reincarnazioni, se ci incontreremo ancora, ti perdonerò. -

- Grazie, ma non mi serve il tuo perdono, mi basta che ti mordi la lingua o che conti fino a cento prima di parlare –

Il ragazzo alzò un sopracciglio, sembrava visibilmente incuriosito da Louisa, quasi guardasse al microscopio una specie rara e sconosciuta – Sai quante offese potrei inventare contando fino a cento? Mi dai un bel vantaggio. Comunque ne possiamo discutere per strada.  Togliti quella giacca, cammini come un papero idrofobo. –

- Come cammino scusa? –

- Sei sorda oltre che stupida? – domandò Jason – Ho detto togliti quella giacca, è troppo grande per te. Te ne presto una delle mie, dovrebbe andarti meglio. – Jason passò oltre Louisa e Will e si diresse all’ingresso, prendendo un cappotto scuro per se e una giacca di pelle, rivestita di lana marrone e la porse a Louisa – Questa dovrebbe andarti meglio, almeno finché starai zitta non farò la figura di uno che va in giro con una deficiente. –

- Smettila di offendermi! E poi chi ti ha detto che tu vieni con noi? – seguita da Will, Louisa raggiunse Jason, ma rifiutò la giacca nera che lui le porgeva per stringersi in quella di Will.

- Io non vengo con voi. Io vengo con te. Voglio che Will rimanga casa. – guardò il suo amico per lunghi istanti, scambiandosi occhiate eloquenti, che a Louisa sembravano valere discorsi interi.

- Ce la farai lo stesso? – chiese Will a un tratto.

- Se mi dà retta, sarò di ritorno per l’ora di cena. –

Will fece un passo indietro e guardò Louisa, che stava cercando di capire che cosa si fossero detti con gli occhi – Ok – disse il ragazzo – Ma prenditi cura di lei. È ancora sotto osservazione. –

Louisa si rivolse a Will, affondando le mani nel cappotto – Perché non puoi venire tu? Jason è.. – si fermò cercando una parola che potesse descriverlo perfettamente, ma non gli venne in mente nulla.

- Una distrazione dannatamente sexy e affascinante? Lo so piccola, ma sentirmelo dire non fa mai male, aiuta a mantenermi modesto, quindi ti prego, prosegui. – interruppe lui guardandosi le unghie perfettamente curate.

- ..così! – aggiunse Louisa indicandolo – Vuoi veramente mandarmi con lui? – Louisa iniziava a sentire il cuore accelerare al pensiero di passare il pomeriggio con Jason. Ogni parola che quel ragazzo pronunciava era, o una stilettata al suo ego, o uno stimolo per suo centro della rabbia.

Jason scoppiò a ridere, mentre Will le faceva un sorriso rassicurante – Mi fido di Jason. Con lui sei al sicuro, più di quanto tu non possa esserlo con me. –

- A meno che non la rapiscano gli alieni. In quel caso lascerei perdere. – Louisa si voltò di scatto per fissare torva Jason, che le fece un sorriso malizioso a trentadue denti – Tranquilla. Non lascio le fanciulle in difficoltà e dal quel che ho potuto tastare quando ti ho preso in braccio, sei decisamente una fanciulla, anche se piatta come un tavolino Ikea –

Louisa non sapeva più come rispondergli e si accontentò di diventare rossa fino al collo – Mi hai palpato quando ero svenuta? – non riconobbe la propria voce, mentre la gola le bruciò per la rabbia repressa.

- Ogni singolo centimetro. Esaminata tutta, – lanciò un occhiata eloquente al petto, per poi far scorrere lo sguardo sul resto del corpo – Sai, dovevo controllare che tu non avessi ferire interne. – Louisa sentì i due ragazzi scoppiare a ridere, mentre sapeva, di essere diventata ancora più rossa di prima.

- Jas, smettila di prenderla in giro! – disse Will guardandola in faccia con gli occhi che gli brillavano per le risate – Non vedi che la fai sentire a disagio? Tranquilla, Jason è un gentiluomo, non toccherebbe mai una donna senza aver avuto prima il permesso, ma gli piace prenderle in giro e far credere a tutte che sia un amante fantastico. –

- Io sono un amante fantastico. – aggiunse lui – Ora, per favore, levati la giacca di Will. Quella che tengo in mano da un’ora come un attaccapanni, ti terrà più al caldo. – sentendo il tono gentile di Jason, Louisa capitolò e prese tra le mani la giacca nera che le porgeva. Era morbida e liscia al tatto, anche se un po’ consumata e opaca – Hai detto che sei un amante fantastico, – aggiunse lei, sbottonandosi la giacca di Will per poi allungarla verso il proprietario – Chi lo dice? –

Jason alzò un sopracciglio, visibilmente incuriosito dalla domanda, per poi farle un altro sorriso di scherno – Vuoi provare? Perché di sopra c’è camera mia e..-

- Non hai capito, – disse lei interrompendolo – lo dici tu, o lo dicono le donne con cui sei stato? –

- Vuoi le referenze piccola? Te le posso far avere nel giro di un’ora. –

- Sono così poche? – chiese Louisa con un attacco di perfidia, mentre il sorriso le si apriva – Allora non sei così bravo come dici. Forse, vorrei parlarci con queste donne, solo per farmi quattro risate nei momenti di noia. -

Il sorriso di Jason si smorzò di un paio di molari, mentre una vene sul collo si gonfiò visibilmente – Okay, ammetto di essermelo meritato, ma tesoro, – si avvicinò fino a trovarsi a pochi centimetri da lei, sovrastandola totalmente – non provocarmi, non sono Will e non sono per niente gentile come lui. Io accetto sempre le sfide. – Louisa sentì il calore propagarsi a ondate dal corpo di Jason, nonostante tra di loro ci fossero diversi strati di vestiti a proteggerli. Fece un passo indietro, bisognosa di mettere distanza fra lei e quel ragazzo arrogante e sfacciato – Io non mi chiamo né piccola, né tesoro. Per te sono  signorina Van Der Meer. – si girò verso Will, che osservava silenzioso e rilassato lo scambio di battute – Se fa piacere Will puoi continuare a chiamarmi Louisa – proseguì, sentendo la rabbia svanire guardando il viso gentile del ragazzo, certa che a Jason avrebbe dato fastidio il tono pacato e confidenziale che usava con Will – Davvero non vuoi venire con noi? Mi salveresti da una noia mortale. – fece un ultimo tentativo per avere vicina una delle poche persone realmente gentili che lei avesse  mai conosciuto, ma si rattristò quando vide Will scuotere la testa – È meglio se vai solo tu con Jason, anche se penso che vi scannerete a parole a vicenda, lui ti proteggerà: è un esperto di arti marziali e mi fido del tuo buonsenso.. –

- Come della sua fortuna? Perché avrebbe bisogno di un buon esorcismo in quel caso. – interruppe Jason aprendo la porta di ingresso.

- Ha avuto fortuna. – ribeccò il biondo -  Ha incontrato te al momento del bisogno – Will le tirò su la zip della giacca che Jason le aveva prestato – Spero che troverai quello che cerchi –

Louisa gli prese la mano, cercando le parole giuste per ringraziarlo – Lo spero anche io. Grazie per le cure e per l’iniezione di prima, sto davvero bene ora. Comunque non so quanto sia stata fortunata a incontrare Jason, riesce a farmi arrabbiare costantemente –

Jason si voltò, mentre rigirava tra le dita un paio di chiavi – Sono un toccasana per la gente con la pressione bassa. E piccola, quando ti ho preso in braccio, credimi se ti dico che avevi la pressione ai minimi storici. L’ho fatto per te, ma potrai ringraziarmi insieme al conto della mia parcella da medico –

Louisa boccheggiò per un paio di secondo – Sta scherzando vero? Lui non può essere un medico, quale università malate gli ha dato una laurea in medicina? – Will le mise le mani sulle spalle, rassicurandola con il suo  gesto - No, non lo è, ma è un gran sbruffone. Non farla morire di paura con la tua guida. – disse all’amico.

- Non ti preoccupare Will, – disse Louisa, prima che Jason potesse infilare una parola - Mi stringerò bene addosso la cintura di sicurezza. – varcò l’ingresso, stringendosi nella giacca del ragazzo, profumava di felci, salsedine e di ragazzo. Le girò lievemente la testa investita da quell’odore penetrante e aromatico.

- Guarda che non andiamo via in auto, – disse Jason aprendo un armadietto accanto la porta e tirando fuori un paio di caschi scuri – Prendiamo la mia moto. Sempre che tu non preferisca camminare due ore. –

Louisa aprì la bocca, pronta dire che preferiva di gran lunga camminare piuttosto che affidare la sua vita a un megalomane moro in moto, ma le parole che poco prima Will le aveva detto la fecero desistere.

E poi Jason era ancora vivo, tanto folle non doveva essere.

Prese il casco più piccolo che Jason le offrì, cercando di capire come metterlo a prima vista dato che non era mai salita su una moto in vita sua. Studiò i movimenti del ragazzo, che faceva sembrare tutto facile e intuitivo.

Con la visiera scura abbassata, Jason si rivolse verso di lei. – Che c’è? Non sai mettere il casco? – Louisa si morse la lingua per non dargli una risposta tagliente e scosse lentamente la testa – Non sono mai salita in moto, nemmeno su un motorino. –

Anziché scoppiare a ridere, come si sarebbe aspettata che facesse Jason, lui le prese gentilmente il casco dalle mani – Dai qua, se te lo metti male può diventare pericoloso e inutile. Meglio che faccia io. – le raccolse i capelli castani, indicandole come tenerli fermi, mentre lui tirava le alette del casco, facendoglielo scivolare dolcemente sul viso – Ti da fastidio? Lo senti scomodo? – la voce di Jason arrivava attutita dal casco, come se si trovasse improvvisamente sott’acqua.

Scosse la testa, cercando di recuperare il senso offuscato, e il peso del casco la rintronò, facendole perdere l’equilibrio.

Jason la afferrò prontamente per il polso prima che potesse cadere e la tirò a di sé – Non fare movimenti bruschi, o ti girerà la testa. Ora, alza il mento che ti assicuro il casco. – un brivido scorse sulla schiena di Louisa, quando le mani bollenti di Jason le alzarono il mento e armeggiarono velocemente con le cinghiette – Se ti devi togliere il casco di corsa premi qui. – le mise un dito su un bottone appena accanto all’allacciatura – È l’apertura rapida. –

Jason la tenne stretta a sé mentre attraversavano il cortile; con il casco sulla testa, Louisa faceva fatica a infilare correttamente un piede dietro e l’altro e se non ci fosse stato il ragazzo a guidarla sarebbe caduta dieci volte in dieci metri.

Il ragazzo sfilò via il telo che copriva il mezzo, rivelando una moto color verde brillante e nero satinato. Louisa alzò la visiera del casco.

Ora che la vedeva da vicino preferiva di gran lunga andare a piedi, piuttosto che affidarsi alla guida del ragazzo.

Per quel che ne capiva, la moto rifletteva esattamente il carattere di Jason: esibizionista, tagliente e sfrontata.

Jason si mise a cavalcioni sul mezzo e incrociò le braccia, aspettando che lei si decidesse a salire – Che ti prende? hai paura di scompigliarti i capelli? – la voce di scherno di Jason le arrivava attutita dal casco, ma le rimbalzò nel cervello come un elastico – Fatti in là! – ancora prima di rendersene seriamente conto si stava già stringendo intorno alla vita di Jason – Non competere con me bellimbusto in moto. Anche io so accettare le sfide! – sentì Jason ridere forte, mentre le abbassava la visiera – Tieni forte  ragazzina, ho tutta l’intenzione di mettere a dura prova i tuoi nervi –

 

Mentre la moto iniziò a rallentare, Louisa sentì l’impulso di dare di stomaco e abbracciare la terra ricoperta di erba delle colline circostanti.

Quei dieci minuti in moto con Jason le erano costati vent’anni di vita, dei probabili danni irreversibili alle corde vocali per il troppo urlare, e il giuramento di non salire mai più in moto con un arrogante menefreghista come Jason. Prima che la moto fosse completamente ferma saltò giù, attutendo l’impatto con il terreno con le ginocchia e strappandosi il casco dal volto – Tu! Sei un pericolo pubblico! Si può sapere a quanto andavi? –

Jason si prese tutto il tempo di sfilarsi il casco con calma e guardarla con quel largo sorriso strafottente, che gli delineava le fossette e faceva saltare tutti i nervi di Louisa. Se la ragazza non fosse stata tanto felice di risentire la terra sotto i piedi gli avrebbe tirato un calcio sugli stinchi – L’ultima volta che hai gridato, e tra parentesi devi aver superato la barriera del suono, eravamo a 184 chilometri orari, ma potevo spingerla a dare di più, - si passò la mano fra i capelli mori, scompigliandoli più di quanto non avesse fatto il casco – Ma ci sono andato con il piede leggero, visto che era la tua prima volta. –

- Piede leggero? Quello lo chiami piede leggero? – gli lanciò il casco e si voltò incrociando le braccia al petto. Il cuore le batteva violentemente contro la gabbia toracica e i polsi le tremavano a tal punto che non riusciva a tenere le mani ferme.

Jason si avvicinò di soppiatto a la afferrò per la vita, stringendola contro di lui, facendole sentire tutti i muscoli tesi e l’eccitazione del ragazzo – Mi piace correre. Mi piace sentire il vento addosso, mi piace sentire l’adrenalina scorrermi nelle vene e il cuore accelerare per ogni curva fatta da Dio. Che senso ha vivere se non faccio le cose che mi danno piacere? –

Louisa di districò da quella presa e mise qualche passo tra lei e Jason – A volte bisogna vivere per il bene degli altri. Cosa penserebbe Will se ti ammazzassi in un incidente? –

- Che sono morto facendo quello che amavo. Io voglio bene a Will, è il mio migliore amico e sono disposto a tutto per proteggerlo. E ora, non voglio che tu lo coinvolga in quello che stai facendo. – il sorriso scomparve dal volto di Jason e gli occhi del ragazzo si incupirono fino ad assumere una tonalità più scura, che a Louisa ricordava tanto una tempesta in via di formazione.

- Che ne sai tu di quello che sto facendo? – strinse i pugni lungo i fianchi e si morse l’interno della guancia fino a sentire il gusto del sangue.

Teoricamente gli umani non dovevano sapere quello che si trovava appena oltre la superficie del mondo. E non dovevano venire a conoscenza del fatto che il loro tempo era agli sgoccioli, se Fen aveva detto a Jason tutta la verità, anche il ragazzo e tutte le persone che lui conosceva erano in pericolo.

- Mio padre, – disse Jason interrompendo il filo dei suoi pensieri – Mi ha detto che una volta apparteneva a una setta di poveri pazzi che credevano che il mondo stesse per finire per opera di demoni, e che loro dovevano assolutamente fermarli riunendo sette sigilli per poter salvare le colonne che sostenevano il nostro mondo. Per come la vedo io, sono una marea di fandonie inventate da dei ciarlatani, per spillare soldi e vivere come avvoltoi sulle spalle altrui. E tu ragazzina, con i tuoi occhioni grigi bisognosi di aiuto, con le tue maniere falsamente gentili; per come la vedo io sei venuta qui per cercare di convincere mio padre a rimanerne invischiato di nuovo e forse anche Will se ci riesci, ma non pensare di poter ingannare me. – si guardò intorno, facendo una smorfia alla vista della casa distrutta infondo alla vallata – Ti ho portato qui, come volevi, ora trova quello per cui sei venuta e non disturbarci mai più. Will non ha bisogno di una fanatica come te nella sua vita, e non ti permetterò di rovinargliela come i tuoi padroni hanno fatto con mio padre.- 

Louisa deglutì, il nodo alla gola le dava fastidio e non sapeva se arrabbiarsi per le parole che Jason aveva usato per i Custodi o mettersi a piangere per una tale prova di fedeltà  - Non voglio rovinare la vita a nessuno, Jason. Voglio solo l’anello di Fen. – seguì la linea dello sguardo del ragazzo, fino a fermarsi sulla casa.

Le fondamenta di pietra e sassi erano annerite dall’incendio e le mura sventrate dall’esplosione, erano in frantumi e sparse per un raggio di una decina di metri intorno alla casa. Il legno che sorreggeva i controsoffitti e il contro tetto era crollato su se stesso, completamente carbonizzato, ne rimaneva solo lo scheletro annerito.

Louisa si toccò una guancia asciugandosi una lacrima sfuggita al suo rigido controllo, non aveva mani assistito a una devastazione simile in vita sua – Mi dispiace – sussurrò. Non le vennero in mente altre parole da dire a quel ragazzo che si era dimostrato scontroso e arrogante. Eppure alla vista di quella casa distrutta Louisa si sentì vicina a Jason.

Con i suoi modi di fare impulsivi lo aveva privato, non solo delle sue proprietà materiali, ma anche dei ricordi di una vita intera e del l’unico legame rimasto  con il padre adottivo – Mi dispiace veramente, Jason. – parlava talmente tanto piano che non era sicura di aver detto veramente qualcosa – Cercherò di rimediare in qualche maniera, anche se gli oggetti che c’erano dentro sono andati per sempre. –

- Non mi importa di quello che è bruciato, non entravo in quella casa dal giorno del funerale, se volevo qualcosa lo avrei già portato via. Quello che mi ha lasciato veramente Fen è qualcosa che non si più toccare con mano. Comunque non puoi ancora avvicinarti a quelle rovine. Vedi il riverbero? Alcune braci devono essere ancora accese. Quella casa è una fornace in questo momento. –

Louisa annuì, troppo sconvolta per dire qualcosa. Aveva portato lei tutta quella distruzione in un solo momento, aveva trattato male Jason nonostante lui le avesse salvato la vita e se stava rendendo conto solo ora – Jason, per quello che hai detto prima, – fece un gran respiro, cercando di calmare il cuore impazzito. L’istinto le gridava di mettere più strada possibile tra lei e quella casa, ma per una volta lo zittì, decisa a dire qualcosa di più a quel ragazzo – Quello che tu sai di Fen o del mondo da cui provengo non è del tutto corretto. Nessuno chiede soldi a nessuno, e per me e mia madre l’Istituto da cui arrivo è stata l’unica cosa che ho mai conosciuto. Ci hanno accolto a braccia aperte quando nessuno ci voleva..-

- Mon credo che mi interessi. – disse Jason freddo – La storia della tua vita non è affar mio, anche perché ora te ne andrai. – Louisa incrociò il suo sguardo rimanendo raggelata dalla durezza del viso di Jason – Ti ho portato qui solo per farti vedere il casino che hai combinato e per allontanarti da Will, quello che farai appena me ne andrò sono affari tuoi. –

Louisa represse l’impulso di rispondergli male, mentre un allarme nella sua testa esplose con tanta violenza da appannarle la vista per un secondo – Dobbiamo andare via. – disse cercando di recuperare l’equilibrio, mentre il gusto dell’acido dello stomaco le riempiva la gola e la bocca – Immediatamente. – la presa di Jason si fece ferrea sul suo braccio, mentre la scrutava attentamente in viso – Ti senti male? Ho promesso a William che non ti saresti sentita male. –

- No. – le parole le uscivano soffocate, mentre il senso di oppressione al cervello schiacciavano tutti i suoi pensieri razionali. L’unica parola che si formava nella sua mente di continuo era: “corri!”.

La mano di Louisa corse alla camicia, cercando l’anello che teneva nascosto sotto i vestiti, se il suo istinto aveva ragione Jason era seriamente in pericolo.

Strinse la mano intorno al cerchietto d’oro quando una voce calda e sensuale le vece strizzare i peli sulla nuca – Ma che bel quadretto! –

Louisa si voltò lentamente nella direzione da cui arrivava la voce.

A una decina di metri di distanza, appollaiato su una Jeep completamente scoperta, un ragazzo bello come un angelo li osservava un sorriso famelico stampato sulle labbra - Mi dispiace interrompere una scena così dolce e romantica, ma prima che finiate per rotolarvi sull’erba in un grandiosa scopata d’addio, io requisirei la Sigillo. - mentre parlava il sorriso non arrivò mai a illuminare gli occhi azzurri e Louisa sentì il violento impulso di mettere dei chilometri tra lei e lo sconosciuto.

Stringendo l’anello nel palmo della mano, Louisa sentì il coraggio affluire dentro di lei, sgombrando la mente dai pensieri confusi e irrazionali – Chi sei? – cercò di mantenere calmo il tono della voce e di non far trapelare quanto fosse impaurita.

Il ragazzo scese dalla Jeep, avvicinandosi alla coppia con passi deliberatamente lenti e felini. Se Louisa avesse dovuto associarlo a qualcosa, avrebbe detto che le ricordava una tigre a caccia – Mia piccola, piccola, innocente Sigillo,– il sorriso si allargò fino ai canini e Louisa fece un passo indietro, soggiogata dal misterioso fascino velenoso che emanava quell’uomo – Non sono qui per farti del male, i miei uomini mi avevano riferito che la casa di Fen è diventata un bel falò, come se si festeggiasse l’Up-Helly-aa e sono venuto a controllare. E cosa trovo? Una Sigillo che ci prova spudoratamente con un ragazzo, come una puttana qualunque. Non credo che questa notizia faccia molto piacere a Dio, non credi? -

Sentì le mani di Jason stringerle le spalle, e si appoggiò al suo petto con la schiena,  tutti i muscoli del ragazzo era tesi e pronti a uno scatto: anche lui percepiva quanto fosse pericoloso quel tizio.

- Tu, - Louisa richiuse la bocca, incapace di staccarsi da quegli occhi ipnotizzatori – Non hai alcun diritto di giudicare! Chi sei tu per sputare sentenze? –

Lo sconosciuto spalancò gli occhi azzurri, per poi rovesciare la testa bionda e riccia all’indietro e scoppiare a ridere fragorosamente – Avevo sentito dire che i Sigilli studiavano sui Libri Sacri, che addirittura ne custodivano alcuni, ma a quanto pare Belfagor e Abbadon si sbagliavano, voi non sapete nulla di noi! Quello che ho di fronte è una ragazzina impaurita che trema sotto lo sguardo di Belial, uno dei Sette Grandi Diavoli. –

Louisa sentì un ringhio sorgerle prepotentemente dalla gola al nome di Belial e un moto di rabbia sconosciuta le invase la mente – Sei uno dei Sette Traditori del Cielo! Hai tradito Gabriel e il Creatore! –

Belial si rimirò le unghie, allontanando della sporcizia invisibile con un gesto secco delle dita – Diciamo che io e  Dio abbiamo una differenza di opinioni per quel che riguarda la gestione di quegli animaletti striscianti che voi chiamate uomini e per quel che Gabriel, la faccia che ha fatto quando le ho piantato un pugnale nello stomaco, valeva bene il mio tradimento. Il suo modo di fare mi ha  sempre dato sui nervi, – lo sguardo di Belial attraversò Louisa, andando a posarsi su Jason, che era rimasto immobile al suo posto con i muscoli tesi – Ma queste sono cose che un essere umano non dovrebbe sentire. Dimmi Sigillo, pensi che Dio interverrà a salvare un misero umano da un diavolo? Pensi che aprirà il cielo e smuoverà le schiere celesti per lui? – indicò il ragazzo con il mento, e Louisa strinse convulsamente la collana sentendo la pietra e le incisioni del metallo, affondarle nel palmo.

Il peso delle mani di Jason scomparve dalle spalle di Louisa – Non sono un bambino, e ho smesso di credere nel Diavolo e in Dio, quando ho smesso di credere in Babbo Natale. Non so che legame di follia ossessiva - compulsiva ti lega a questa fanatica, ma ho promesso al mio migliore amico che non le verrà fatto del male. E io mantengo sempre le mie promesse. – si mise davanti a Louisa, prendendo una posizione che, Louisa aveva visto usare solo da alcuni Custodi all’Istituto. Il peso del corpo di Jason gravava sulla gamba posteriore, pronta all’attacco, mentre le mani e l’altra gamba erano pronte a difendere qualsiasi tipo di attacco.

- Bene, bene, - Belial allargò le braccia – Fatti sotto ragazzino. Fen era un discreto combattente, sono curioso di vedere cosa hai appreso da lui. –

Louisa vide un’arteria sulla tempia di Jason pulsare pericolosamente, mentre negli occhi si accese una luce omicida.

Attaccò Belial senza attendere oltre e provò a tirargli un calcio allo sterno che non andò mai a segno perché il diavolo lo bloccò sul nascere puntandogli il piede sul ginocchio – Troppo facile così. –

Jason riprovò a attaccarlo mirando al collo con un colpo di taglio della mano, ma Belial, si limitò a schivarlo spostandosi di lato – Non sei all’altezza di tuo padre, i tuoi colpi sono imprecisi e deboli. –

Il ritmo di attacco di Jason accelerò alternando calci di lato, a pugni mirati in tutti i punti vitali di un uomo. Se davanti a se avesse avuto una persona normale, Louisa era sicura, Jason avrebbe vinto in pochi secondi.

Il sudore iniziò a colare lungo la fronte di Jason, mentre Belial evitò l’ennesimo calcio mirato a fargli perdere l’equilibrio, semplicemente saltando – Come spero che tu abbia capito bambino, io ti sono nettamente superiore. Potrei continuare così una settimana e non avrei una goccia di sudore sulla fronte. – si abbassò per schivare il calcio di Jason, e poi scartò di lato, evitando un pugno che se fosse arrivato a segno, gli avrebbe sfondato il petto – Mentre tu sgrondi, letteralmente. – afferrò il polso di Jason con una mano e lo tenne saldamente senza sforzo apparente, facendogli un gran sorriso di scherno – Chiudiamola qui ti va? Hai fatto quello che potevi e ti sei sfogato, sono sicuro che la Sigillo ti aprirà la via per lo Sheol. Preparati, o Israele a incontrare il tuo Dio! – con quella citazione biblica, tirò a se Jason, che ormai aveva il fiatone e gli sferrò un violento pugno all’imboccatura dello stomaco, per poi dargli un calcio rotante  in viso spedendolo a tre metri di distanza.

Louisa urlò e corse da Jason, sicura che ormai non ci fosse nulla da fare per il ragazzo.

Il viso di Jason era una maschera di sangue e il respiro era rantolante e superficiale – Jason. – gli ripulì il sangue che gli usciva dalle labbra e dal naso spaccato, mentre il viso di Jason si appannava a causa delle lacrime che non riusciva più a fermare – Mi dispiace tanto. –

- Saluta il tuo eroe e andiamo Sigillo, non ho tutto il giorno e ti voglio tenere sotto controllo con un collarino fatto a posta per te. – la voce di Belial le si inceppò nel cervello e un nuovo moto di rabbia sconosciuta prese possesso del suo corpo, facendola tremare da capo a piedi.

Guidata da una forza completamente nuova, Louisa si strappò la catenina dal collo e la tenne ferma all’altezza del cuore Jason - simeni kahowtam ‘al libbeka – non riconosceva le parole, ma le fluivano in testa come un vecchio ricordo dimenticato e che ora riaffiorava limpido.

- non provarci ragazzina –

- kahowtam ‘al zeroweka, ki azzah kammawet ‘ ahabah – mise una mano sul petto di Jason, comprendo l’anello che la identificava come Sigillo, mentre il calore delle fiamme che suggellavano la Promessa le esplodevano lungo il braccio.

 

 

Dio,

qual è il prezzo  che devo

pagare per salvare una vita?

 

 

 

Nad: non ho le forze per scrivere delle note decenti. Mi scuso per il ritardo, ma il tirocinio mi ha prosciugata terribilmente. Ringrazio comunque tutti quello che l’hanno letta e anche chi mi ha lasciato una recensione..spero che il capitolo sia all’altezza delle aspettative, nonostante sia ancora l’introduzione.

Khyhan.

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Capitolo 3
*** III. Promissionen ***


3. Promissionen

 

Promissionem

“ Ponimi come Sigillo sul tuo cuore,

Ponimi come Sigillo sul tuo braccio;

perché l’amore è forte come la morte”

Ca 8:6

 

Louisa si accasciò sul petto di Jason, il braccio sinistro le pulsava sordamente e ogni volontà di alzarsi e combattere era totalmente prosciugata dalla paura e dalla disperazione per la salute di Jason.

- Un bello spettacolino davvero. Erano secoli che non si vedeva un umano parlare la lingua del Cielo, ma mia piccola Sigillo, ora è tempo di andare. I miei amici saranno curiosi di conoscerti. Ovviamente, non giocherai  con loro, sei troppo importante per dare piacere a un branco di uomini arrapati. – la presa si Belial si strinse sulla sua spalla e la rimise bruscamente in piedi, mentre il demone biondo si chinava a raccogliere l’anello della ragazza – Non dimentichiamoci questo, non mi va di portarmi dietro un Sigillo a metà. - come sfiorò il gioiello, ritrasse bruscamente la mano – Ah! – mostrò i denti all’anello, con il bel volto stravolto da una smorfia di dolore – Oro benedetto. Se esiste una cosa che mi fa vomitare è proprio l’oro benedetto con cui vi proteggete voi Sigilli. – fece un sorriso a Louisa, che senza dire una parola, continuava a fissare completamente svuotata, il petto di Jason che si alzava e si abbassava in maniera sempre più flebile.

La mano di Belial salì dal collo fino alla testa. Louisa si morse la lingua trattenendo un gemito di dolore, quando Belial le strattonò i capelli fino a metterle a nudo il collo – Perché Dio ha scelto una ragazzina così carina per essere un Sigillo? È una crudeltà costringermi a non toccarti fino a farti urlare di piacere, ma questo non farà danni. Almeno non permanenti. – il morso di Belial le strappò un grido di dolore, e sentì la pelle morbida del collo venir risucchiata tra le labbra del ragazzo, mentre le mani di lui risalivano sotto la giacca e la camicia, fermandosi sul reggiseno – In genere preferisco quelle con le tette grosse, ma per un volta faccio volentieri uno strappo alla regola. – nonostante fosse scossa per la sorte di Jason, Louisa ebbe il violento impulso di vomitare per ciò che Belial le stava facendo, e scattò all’indietro tornando improvvisamente in sé – Non toccarmi. – Belial la strinse più forte, incidendole le unghie nella pelle della delicata del seno – Non così in fretta. Ci sono altre cose che possiamo fare senza che tu ci rimetta la verginità. Sai com’è alla fine, no? Una questione di forma. – il sangue accelerò i battiti e le gambe di Louisa iniziarono a tremare violentemente e tutti i suoi sensi diventarono improvvisamente più acuti stimolati dal una nuova ondata di terrore – Lasciami! – spinse via Belial, ma nonostante Louisa fosse un Sigillo e avesse il sostegno del Cielo, non postò minimamente il corpo del demone, che scoppiò a riderle in faccia – Sei un Sigillo deboluccio, vero? I tuoi predecessori non erano come te, avevano la forza per combattere quelli come me, ma questo rende tutto incredibilmente più divertente. Dimmi, Sigillo, dov’è la tua emanazione angelica? – Louisa lo spinse via ancora più forte, e gli graffiò il viso, sperando di allontanarlo, mentre le lacrime le pungevano i margini degli occhi – Aiuto! – l’eco delle voce di Louisa rimbalzò da una vallata all’altra, perdendosi nella brughiera scozzese e la ragazza si sentì improvvisamente sola e abbandonata.

- Nessuno aiuta una straniera – disse dolcemente Belial a un soffio dal suo viso scostandole una ciocca di capelli – E anche se lo  facessero,  non c’è nessuno a poterlo fare. Sei mia. – la strinse ancora più forte, strappandole un grido acuto e il sapore metallico del sangue le invase fondo della gola – Aiuto. – sussurrò chiudendo gli occhi, troppo spaventata per continuare a guardare il demone. I tremori la scossero violentemente, mentre sentiva la risata di Belial scuotergli il torace, mentre le risaliva il collo, mordendola violentemente. Terrore e disperazione le si accavallarono in mente, impedendole di formulare pensieri coerenti, non poteva farcela da sola, ma l’unica persona che era con lei a  parte Belial era..

- Jason! – il nome del ragazzo le esplose in gola, mentre il braccio sinistro si mosse autonomamente a cercarlo. La mano di Belial, si staccò improvvisamente dal suo petto, per poi tapparle la bocca – Jason è morto. Capito? Il tuo eroe è morto. Nonostante il marchio che gli hai posto nella lingua del Cielo, è.. –

- Io non ripeterei morto una terza volta. A quanto pare sono ancora qui. – la voce di Jason, fece accelerare i battiti del cuore di Louisa, più di quanto non avesse fatto fin ora Belial.

Il terrore scomparve improvvisamente quando vide Jason in piedi, coperto da una maschera di sangue secco. Fissava Belial con il mento proteso in avanti, le braccia incrociate al petto, e uno sguardo di furia repressa – Normalmente, non interverrei in una situazione del genere, ti lascerei fare, ma tu mi hai veramente fatto incazzare. E poi, se le facessi qualcosa, Will se la prenderebbe con me, quindi, – si mise in posizione da combattimento, ripulendosi una goccia di sudore con il  braccio – non te la prendere se ti prendo a calci in culo. -

Belial strinse malamente un braccio di Louisa, la tirò davanti a se accarezzandole il collo con il dorso della mano dove l’aveva morsa pochi istanti prima – Aspetta qui. – le sussurrò – Lo uccido di nuovo e torno. – Louisa rabbrividì sentendo il tono glaciale nella voce e la paura tornò a farsi sentire più intensa di prima, non temeva più per sé, ma per Jason, che stava dritto e saldo, più forte e più di sicuro rispetto prima, mentre i muscoli gli si gonfiavano per la tensione. Ciò che aveva detto nella lingua del Cielo, pochi minuti, iniziava ad acquisire significato ed ebbe bisogno di accertarsi che quello che aveva davanti era veramente Jason in carne ed ossa. Corse da Jason, ignorando totalmente i ringhi minacciosi di Belial; il braccio sinistro le  faceva male quando toccò il volto coperto di sangue del ragazzo e ne sentì il calore sotto la pelle – Sei vivo. – disse con le lacrime agli occhi -  Sei vivo e stai bene.

Jason batté un paio di volte le palpebre visibilmente stupido da quel contatto inaspettato – Dimmi un po’, per caso, sei una di quelle che interrompono i ragazzi quando giocano con Xbox? 

Le guance di Louisa diventarono improvvisamente bollenti e tutta la paura che aveva provato per il ragazzo scomparve, sostituita dal desiderio di prenderlo a schiaffi – Sei vivo e sei tu a quanto pare. Il Marchio poteva renderti un po’ più simpatico.

Le labbra di Jason si piegarono in un sorriso sarcastico – Non ho la più pallida idea di quello che hai detto, ma n-..- Louisa si ritrovò avvolta dalle braccia di Jason e sentì il terreno mancarle sotto i piedi, mentre Belial urlava una sonora imprecazione che la fece sussultare.

Quando Jason la liberò dal suo abbraccio, Louisa fissò il demone stupefatta a cinque metri di distanza da loro. Aveva un tirato un pugno nel terreno dove si trovavano pochi istanti prima Jason e Louisa e ora guardava con fare omicida il ragazzo, sul suo volto non c’era più il divertimento e lo scherno che aveva durante il loro primo scontro.

- Come ho fatto? – Jason si guardava le mani, pallido e stravolto in volto. E Louisa gliele prese tra le sue e gliele strinse, cercando di rassicuralo – È la Promessa, Jason. Hai le capacità di un Sigillo ora. Sei più forte, più veloce. Anche i tuoi sensi sono più sviluppati così come il tuo istinto.

- Bene – disse con uno sbuffo e si caricò Louisa in spalla senza tante cerimonie – Almeno ora capisco perché il mio istinto mi sta dicendo di dirti che sei una stronza.

Il mondo le si rovesciò Louisa ebbe la chiara visione della schiena e del sedere di Jason a pochi millimetri da lei – Ma come ti permetti! Brutto maniaco! Lasciami!

Senza darle retta, Jason saltò di fianco, mettendo altri metri tra loro e il nuovo attacco di Belial - Scusa, eh? Ma sto cercando di salvarci la pelle.

Ogni volta che evitava all’ultimo secondo gli attacchi di Belial, Louisa sentiva il torace di Jason scosso da un profonda risata e resistette alla tentazione di tirargli un calcio – Prendi almeno le cose sul serio! – gli urlò terrorizzata nel vedersi il terreno venirle incontro un’altra volta.  Il ragazzo strinse più forte il braccio intorno alle gambe di Louisa e scartò di lato. – così? – domandò lui. Nonostante il mondo intorno a lei non smettesse di girare, Louisa sentì sulle gambe lo spostamento d’aria causato dal violento colpo di Belial.

La nausea cominciò farsi strada prepotentemente dentro di lei e pregò silenziosamente che Jason la smettesse di saltare, scartare, e di  sballottarla da una parte all’altra – Non così! Jason, ho la nausea. Ti prego, potrei vomitare.

- Vedi di resistere e di non vomitare sulla mia giacca, sono un tantinello impegnato ora. – Louisa deglutì, reprimendo il conato che le era salito, e chiuse gli occhi per non vedere più il terreno allontanarsi e avvicinarsi pericolosamente. La testa continuava a girarle, aveva bisogno di scendere dalla spalla di Jason e lui aveva bisogno di potere contrattaccare se voleva avere una possibilità.

- Jason! Ti ordino di mettermi giù! – sentì il bocca il gusto del sangue e dell’erba, quando cadde violentemente a terra. Il braccio sinistro le pulsava più che mai. Alzando lo sguardo da terra si accorse che Jason era per sdraiato per terra e si teneva il petto con il volto contratto di dolore.

Ansimante, Belial si avvicinò ai due ragazzi e fece una smorfia soddisfatta quando afferrò Jason per il collo e lo sollevò senza sforzo apparente – Immagino che avrai capito perché ho tradito il Cielo. Le parole pronunciate nella sua lingua sono vincolanti, non puoi scappare, non puoi disubbidire. E gli angeli hanno la pessima abitudine di comandare a bacchetta – strinse più forte la presa sul collo di Jason che emise un gemito soffocato, diventando rosso in volto.

- Lascialo andare! – Louisa sferrò un calcio a Belial, che lui evitò con uno sbuffo divertito e con una spinta la spedi a cinque metri di distanza – Stai buona lì! A te penso dopo.

Mentre la testa le esplodeva per il dolore, Louisa sentì un urlo e il pensiero corse a Jason. Gli occhi le si appannarono di lacrime quando ricadde il silenzio nella vallata e una figura le si avvicinò – Stai bene? – Jason si accucciò accanto a lei e la mise a sedere, tastandole piano la testa – Potresti avere una commozione cerebrale.

- Sei vivo – le parole le uscirono in un rantolio e Jason le fece un gran sorriso.

- Inizio a pensare che tutta questa preoccupazione nei miei confronti sia quasi genuina.

- Belial?

- Gli ho tirato un bel calcio e ora è piegato in due dal dolore. Non credevo che anche i demoni potessero star male con un calcio nelle palle. – Louisa guardò verso la vallata. Belial era steso sul terreno raggomitolato su se stesso e imprecava sonoramente contro Jason, maledicendo Dio e i Sigilli.

- Gli hai tirato qualcosa di veramente forte. – disse guardandolo con un sorriso.

- Non mi piace chi fa del male alle donne, e meno che mai, non mi piace chi cerca di privare il mondo di tanta beltà.

- Grazie. - Louisa arrossì leggermente e distolse lo guardo, non sapeva come interpretare quello stranissimo complimento, non dopo le battute pungenti di Jason.

- Guarda che parlavo di me. Non mi sognerei mai di dire a te  che sei bella. – Louisa sbuffò sonoramente, sostenendosi la testa con la mano – Mi pareva strano. – ma si raddrizzò immediatamente quando Belial si rialzò con uno colpo di reni. Jason scattò in piedi, pronto a combattere quando lo squillo di un telefono risuonò nella valle. Stupita Louisa, vide Belial rispondere con noncuranza al telefono – Che vuoi? – disse senza preamboli – Ho da fare! – Belial fulminò con lo sguardo Jason, mentre ascoltava la voce dall’altra parte del telefono – Stai scherzando? Non puoi chiedere una cosa del genere! – iniziò a sputacchiare, mentre il viso gli divenne rosso e le mani gli si strinsero a pugno.

Spense il telefono e li  rimise malamente in tasca – A quanto pare ragazzino, non posso ucciderti. – senza dire un’altra parola, tornò alla Jeep abbandonata sul ciglio della strada e partì sgommando, sparendo alla vista di Louisa dopo la prima curva. Fissò la strada, non riusciva a credere che Belial avesse rinunciato così facilmente a uccidere Jason e ad avere lei.

- Bene. – disse Jason, dopo qualche minuto di silenzio – Ora me ne vado anche io. Addio, e non bussare mai più alla nostra porta.

- Non puoi. – disse Louisa, riscuotendosi da un improvviso torpore. – Non puoi andartene.

Jason la tirò bruscamente in piedi – Onestamente. Ho rischiato di morire tre volte oggi. Più di quante mi siano capitate in tutta la mia vita. E non è un record che ho intenzione di sfidare. Addio. – Jason fece un paio di metri, prima di cadere malamente a terra, tenendosi il petto.

Senza pensare, Louisa corse da lui e gli toccò dolcemente il viso, fissandolo negli occhi azzurro scuro – È quello che cercavo di dirti, Jason. – disse arrossendo leggermente – Non puoi allontanarti da me con l’intenzione di andartene. La Promessa con che ho pronunciato ti lega a me. Io ti ho dato tutte le mie capacità di Sigillo: la mia forza, la mia velocità, i miei sensi sviluppati, in cambio, tu devi rimanere accanto me. Non puoi disobbedire ai  miei ordini diretti e non puoi allontanarti da me senza un mio preciso ordine.

Jason impallidì – Mi stai prendendo per il culo, vero? Ti tutte le cose che potevi fare al mondo, dovevi proprio legarmi a te? Mi hai detto tutto o mi stai riservando qualche altra sorpresa per i momenti migliori? – Louisa tremò leggermente sotto lo sguardo furioso di Jason – Stando a quello che ho letto sulle cronache passate, vedi, ecco – prese un gran respiro – stando  a quello che ho letto su questo tipo di patto, se il Sigillo muore, anche il suo Guardiano muore – disse tutto di un fiato con il cuore che le martellava lo sterno.

- E il Guardiano sarei io?

- Si.

- Vaffanculo!

- Hei!

- Liberami da questa maledizione. Ora!

Louisa scosse lentamente la testa – Io non posso farlo. Cioè, io non lo so fare. La lingua del Cielo è venuta in mio soccorso perché era l’unico modo per salvare le nostre vita, ma io non so disfare un legame simile. – Jason la afferrò per le braccia, incombendo pericolosamente su di lei, si divincolò, ma Jason la teneva saldamente, impendendole di muoversi – Io non lo so fare, ma conosco qualcuno che potrebbe farlo, – si affrettò a spiegare – Da dove arrivo io ci sono i Custodi, studiano la lingua del Cielo e gli antichi scritti da una vita e potrebbero sapere come liberarti. Te lo giuro Jason, non volevo arrivare a tanto, ma non avevo altro modo per salvarti la vita – Jason la lasciò andare bruscamente e senza dire una parola si diresse alla moto – Sali. – disse inforcando la moto e guardandola storto – E non osare urlare a causa della velocità. Se provi a darmi l’ordine di rallentare, ti giuro, ci ammazzeremo entrambi. – Louisa prese timidamente il casco che Jason le porgeva senza guardala in faccia – Perché? –

- Non hai sperimentato sulla tua pelle il prendere ordini in questo modo, vero? È come se decine di aghi ti si piantassero nel cuore e l’unico modo per alleviare il dolore è obbedire. – Louisa deglutì e sentì il sangue defluirle dal viso – Non lo sapevi? – Jason le fece un sorriso sarcastico – Ma sai che novità! –

Louisa salì sulla moto e si infilò senza come capitava il casco – Mi dispiace, – sussurrò – Ti prometto che farò di tutto per liberarti. – disse stringendosi al torace di Jason.

 

Quando rallentò per far entrare la moto nel cortile della casa di Will, Jason stringeva ancora convulsamente i manubri fino a far sbiancare le nocche e fissava torvo la strada davanti a se. Il corpo minuto di Louisa premeva contro il suo e normalmente, avrebbe apprezzato la sensazione che gli dava il corpo di una ragazza come Louisa stretto addosso. Ora, invece, l’avrebbe volentieri abbandonata su una strada deserta, dandole una cartina, una bottiglia d’acqua e dicendole di farsela a piedi. Peccato che non potesse abbandonarla. Non se non voleva farsi male. Mentre spegneva la moto, Will apparve silenziosamente accanto a lui e gli frugò il volto con lo sguardo – Ti sei azzuffato con un branco di oche starnazzanti anche stavolta? – chiese con un mezzo sorriso.

- Magari. Niente oche. Solo un coglione biondo. E la tua amica che ha deciso di uccidermi nella maniera più originale possibile. - 

Gli occhi di Will si spalancarono per la sorpresa – Che è successo? –

Jason individuò la figura di  Louisa che stava da sola in un angolo, cercando il più possibile di non farsi notare e la fulminò – Fattelo raccontare da lei. Io vado a lavarmi. O devo farti da Boy Scout costantemente e devi infilarti sotto la doccia con me? Riesci ad arrivare alla porta di casa di Will senza inciampare e ucciderti?

Louisa alzò lo sguardo e gli lanciò un occhiata glaciale – Ovviamente, ma se ci tieni alla vita, forse dovresti portami in braccio. Così fai il tuo dovere di Boy Scout fino in fondo. – Jason sorrise dentro di sé alla risposta pronta della ragazza. Almeno a parole riusciva ad essere tagliente e non noiosa, se doveva convivere con lei almeno aveva l’opportunità di divertirsi.

- Sono un Boy Scout, baby. Non un marito. Passa la soglia di casa da sola. Io vado a lavarmi. – si voltò senza ascoltare la risposta di Louisa e salì rapidamente le scale, cercando in tutti i modi a non pensare al futuro che lo aspettava. Louisa aveva detto che da dove veniva c’era qualcuno che era in grado di liberarlo e farlo doveva per forza seguire Louisa. Ciò significava essere costretto a entrare ancora più profondamente in quella storia, e soprattutto, coinvolgere le persone a cui voleva bene. Arrivato al pianerottolo una porta gli si spalancò davanti al naso e per poco non glielo tranciò via – Jason! – la sorella di Will, Sophie, lo guardò dall’alto in basso con un largo sorriso – Stavo uscendo per andare a una festa! Vieni con  me? Dobbiamo andare ad Edimburgo. – Jason le fece un mezzo sorriso, osservando la maglietta a quadri neri e azzurri, la minigonna in tinta e le calze spesse di due colori differenti – Sei diventata daltonica, Sophie? Una di quelle calze è gialla e l’altra è rosa. – Sophie incrociò le braccia al petto – Parla quello che ha addosso un nuovo modello di pittura facciale. La brughiera ti ha improvvisamente attraversato la strada? – Jason la  prese per la vita e le stampò un bacio in fronte, seppellendo una risata tra i suoi capelli – Non è così brutto baciare la brughiera se sai come fare Sophie; cambiando discorso come sta Fred? – chiese sperando di aver azzeccato il nome del suo attuale ragazzo.

Sophie batté un paio di volte le palpebre – Fred? Fred, l’ho mandato a quel paese un paio di giorni fa. –

- Perché? – le scostò dolcemente una ciocca di capelli rossi. Lo sorprendeva sempre vedere quanto poco assomigliasse al fratello maggiore.

- Era un’idiota. E non sapeva aspettare, quando ha allungato le mani, l’ho preso a schiaffi e me ne sono andata. – Jason ridacchiò sotto i baffi, la sorella del suo migliore amico non c’era mai andata piano con ragazzi e più di qualche volta Jason ne era stato  attratto - Non troverai mai marito se continui a prendere a schiaffi tutti quelli che ci provano. –

- Non voglio un marito. Voglio andare in India e fare la pediatra. I maschi non sono che dei meri accessori. Ci possono essere come no. E se mi vogliono, devono essere disposti a seguirmi. – Jason alzò le mani, arrendendosi alla caparbietà di Sophie. Sapeva che coltivava il sogni di essere pediatra fin da bambina e per diventarlo avrebbe sacrificato tutto, anche la sua famiglia. Era contento di vedere che lo stava realizzando e che pian piano si stava facendo strada nel mondo universitario. Aveva temuto che durante il suo primo anno all’università Sophie potesse cambiare radicalmente diventando seria e taciturna. Aveva un carattere più estroverso di William e spesso e volentieri era lei a difenderlo quando Jason gli faceva i dispetti. Più di qualche volta Sophie gli aveva dato un paio di pugni e dei morsi ben assestati e sapeva che poteva difendersi tranquillamente da ogni pericolo.

Le scompigliò energicamente i capelli – Tuo fratello è giù con una mia amica, e io devo andare a lavarmi. Ci vediamo dopo Sophie così ci salutiamo! – lasciò Sophie basita sulla porta e si allontanò di corsa verso il bagno, sperando che la ragazza ci mettesse qualche secondo a registrare quello che lui aveva detto.

Come chiuse la porta del bagno alle spalle, sentì l’assalto di Sophie far tremare la porta e i vetri della stanza – Jason Fen! Cosa vuoi dire che ci salutiamo? E che vuol dire che mio fratello è con una tua amica? Intendi che è una delle tue amiche? – Jason abbandonò stancamente la felpa e i jeans nel cesto della biancheria, e si tolse la fasciatura che Will gli aveva fatto, notando con soddisfazione le piccole linee rosse delle ferite ormai rimarginate. Come al solito Will aveva fatto un ottimo lavoro, e sperò che anche Sophie, carattere estroverso a parte, avesse ereditato il dono del fratello maggiore – Soph, abbasseresti la voce gentilmente? I miei timpani ti sarebbero enormemente grati. –

- Tu apri la porta e io parlo più piano.

- Soph, sono in boxer!

- Figurati se un paio di boxer mi creano problemi! Ti ho visto nudo Jason Fen, non dimenticarlo!

Jason sentì le guance farsi calde e scoppiò a ridere per l’imbarazzo – Avevo dieci anni e avevo dimenticato il costume da bagno!

Sentì la testa di Sophie battere contro la porta – Mi fai entrare? Perché ci dobbiamo salutare Jason? Dove devi andare? – chiese tristemente

Jason capitolò a quel tono e le aprì la porta, scostandosi per farla entrare – Entra e smetti di starnazzare.

- Le oche starnazzano Jason, e a volte anche tu. – rispose lei, entrando a passo di marcia in bagno e sedendosi sul bordo della vasca – Ora mi dici tutto, e non omettere nulla. Se mi menti, ti giuro, che ti pianto una sonda rettale dove nemmeno ti immagini. – Jason sorrise e si sedette sul pavimento freddo a gambe incrociate e iniziò a riordinare i pensieri, partendo dal suono dell’allarme a casa sua, procedendo via, via, verso lo scontro con Belial e il legame che si era creato con Louisa. Ad alta voce non lo avrebbe mai ammesso, ma quando Louisa era intervenuta, lui sapeva di star morendo e aveva sentito le sue ossa rinsaldarsi e gli organi ammaccati tornare al loro posto.

Quando terminò il suo  racconto, alzò lo sguardo su Sophie, che lo fissava con le mani strette sul bordo della vasca; tramavano leggermente ed erano sbiancate per la pressione – Prima che corra di sotto ad ammazzare questa Louisa, dimmi una cosa:  perché cazzo non le hai dato subito l’anello che porti al collo e ti sei liberato di lei? 

Jason si ritrasse sotto il suo sguardo, come Will, Sophie aveva la pessima capacità di farlo sentire perennemente in colpa e a  disagio – Perché è la cosa più preziosa che mi ha lasciato mio padre e perché mi ha detto di proteggerlo  ad ogni costo. –

Sophie sbuffò, appoggiando il mento sulla mano – E magari ora sai anche il perché. Comunque ora sei più forte e più veloce, no? Non vorresti restare così?

- E prendere costantemente ordini da quella? Ma fammi il favore!

Sophie sorrise, mettendo in mostra un paio di canini, che il quel momento sembrava incredibilmente aguzzi – A me non dispiacerebbe, dare costantemente ordini a un uomo. Magari con un frustino in mano. Fa figo.

Jason scoppiò a ridere e rovesciò la testa all’indietro, sbattendo contro la colonna del lavandino – È il motivo per cui non ti permetto di mettermi le mani addosso, Sophie, non lo farei nemmeno in punto di morte. Tremo all’idea di cosa potresti farmi! – esclamò, massaggiandosi la testa – Ora esci dal bagno, devo lavarmi. E Sophie? Non andare di sotto come un tornado a rivoltare Louisa come un calzino. – Sophie gli lanciò la sua occhiata più innocente, che Jason sapeva, non prometteva nulla di buono – Chi io? Non sia mai. Piuttosto come una tempesta perfetta. – disse dondolandosi con noncuranza su un piede. Jason incrociò le braccia al petto, e la fissò torvo, non voleva che Sophie parlasse con Louisa, non ancora, almeno. Dio solo sapeva cosa gli avrebbe ordinano Louisa altrimenti – Non sto scherzando Sophie. È una cosa tra me e lei. Non metterti in mezzo o mi incazzo di brutto. - 

La ragazza gli stampò un bacio sulla guancia – Non le ucciderò, promesso. Posso staccarle un braccio?

- Sophie – la ammonì dolcemente.

- Va bene, niente di violento. Allora vado alla festa e ci vediamo tra qualche giorno, e spero, senza di lei.

Come Sophie uscì dal bagno, Jason finì di spogliarsi, posò l’anello che portava in genere al collo, sul bordo del lavandino e sprofondò sotto il getto della doccia. Tutto, il suo modo arrogante e saccente che Louisa esternava continuamente che alternava a momenti di lacrime a profusione, gli faceva pompare forte il cuore e gli faceva venire voglia di maltrattarla fino a farla piangere di più. Louisa era la classica ragazzina viziata che non accettava dei no come risposta e che pretendeva tutto e subito. Pensò distrattamente l’anello che aveva lasciato sul lavandino; assomigliava molto a quello che portava Louisa per forma e dimensioni, solo che al posto di un pietra azzurre, la sue era trasparente e l’incisione all’interno riportava la scritta Shechaqim. Quando suo padre era morto, e Jason, aveva ereditato l’anello con la promessa di non separarsene mai, aveva digitato la parola su Google, solo per poi richiudere immediatamente la pagina dopo aver letto due righe di cazzate. Lo Shechaqim non esisteva, e Google era il modo più veloce per trovare la miglior spazzatura  di internet. Chiuse il getto della doccia e appoggiò la fronte contro le mattonelle beige del bagno, sperando che il freddo lo aiutasse a schiarirsi le idee. Ansimava, con gli capelli scuri gli finivano negli occhi, mentre l’acqua ancora calda gli correva lungo in corpo e strinse i pugni esasperato dalla situazione. Louisa gli aveva strappato tutto quello che gli apparteneva. Gli aveva tolto la casa e tutto ciò che era suo, e se avesse saputo dell’anello gli avrebbe tolto anche quell’ultimo frammento che lo collegava alla vita con suo padre, e ora doveva partire con lei, attaccato a una flebile speranza. Si staccò contro voglia dalla frescura delle mattonelle e allungò il braccio cercando l’asciugamano, quando lo sguardo gli cadde sullo specchio e rimase di stucco, con ancora il braccio a mezz’aria. Quando si era spogliato non l’aveva notata, ma ora, controluce, vedeva una sottile cicatrice avvolgersi a spirale all’altezza del suo cuore. Si avvicinò  allo specchio, e spalancò la bocca.

 

שִׂימֵ֨נִי כַֽחֹותָ֜ם עַל־לִבֶּ֗ךָ כַּֽחֹותָם֙ עַל־זְרֹועֶ֔ךָ כִּֽי־עַזָּ֤ה כַמָּ֙וֶת֙ אַהֲבָ֔ה

 

 La cicatrice era un’unica interminabile sfilza di simboli in una lingua sconosciuta. Le palme gli fecero male e si accorse di aver stretto talmente tanto i pugni da essersi conficcato le unghie nelle mani fino a formare quattro, piccoli segni a forma di mezzaluna.

Corse di sotto senza preoccuparsi di quello che aveva addosso, saltando i gradini due a due, fino a precipitarsi nel salotto dove Louisa e Will parlavo tranquillamente davanti a una tazza di tè – Che cazzo mi hai fatto stronza? – Louisa si voltò verso di lui, per poi scattare verso il muro, violentemente rossa in volto.

- Jason – disse Will con voce calmo e deciso, si alzò e si mise davanti all’amico – Ti rendi conto che sei nudo, vero? Immagino che qualcosa sia, possa aspettare almeno un paio di pantaloni.

Jason lo spostò malamente con il braccio, per una volta non gli interessava se feriva il suo amico. Will ha sempre avuto un effetto calmante su di lui, ma ora non voleva la sua gentilezza, voleva urlare e cacciare Louisa dalla sua vita – Rispondimi! Che cazzo ho addosso? – per la prima volta in vita sua, Jason provò il violento impulso di colpire una donna. Aveva le mani che gli tremavano e solo la presenza di Will accanto a lui, pronto a placcarlo, gli impediva di saltare il divano e prendere a schiaffi Louisa. Per arrivare a lei, prima avrebbe dovuto passare su Will.

- Sono le parole della Promessa. Sono incise su di te come su di me. Fanno in modo che non sia solo la lingua del Cielo a tenerci uniti, ma qualcosa di più profondo. – sospirò tristemente,  continuando a guardare il muro e si tirò su la manica della camicia, fino a scoprire interamente il braccio.

Jason ammutolì, improvvisamente con la bocca secca. Sentiva il bisogno di sedersi e bere un bicchiere d’acqua e magari prendere un paio di tranquillanti. Il braccio di Louisa presentava la stessa, identica cicatrice, le stesse identiche parole, ma mentre quelle di Jason erano tracciate con un tocco leggero e minuto, quelle di Louisa erano spesse e in rilievo, in oltre erano nere, come se la pelle in quel punto fosse stata carbonizzata – Sapevo di infrangere un mucchio di regole quando ho pronunciato quelle parole. – disse con le  lacrime agli occhi – Tu sei ci sei stato trascinato in questo patto. Legare la propria vita a quella di un altro è un atto terribile, severamente punito in Cielo. La cicatrice diventerà come la tua solo se riuscirò ad espiare la mia colpa. Per ora, non fa altro che ricordarmi di come io non sia riuscita a proteggere un umano e abbia dovuto legarti a me per tenerti in vita.

- Che succede se non riesci a espiare le tue colpe? – chiese Jason coprendosi con il cuscino che Will gli offriva di soppiatto.

Louisa gli fece un piccolo sorriso tra le lacrime – È abbastanza semplice. Io muoio, tu muori e fallirò come Sigillo di Dio. Di Sette Sigilli, rimarranno in sei, insufficienti per fermare i Grigori.

Jason si avvicinò a lei, improvvisamente più calmo e aperto verso la tristezza di Louisa, in quel momento sembrava realmente fragile e molto vulnerabile – E ben sapendo che rischiavi di condannare il mondo, hai deciso di salvarmi? Perché? – domandò mettendole  una mano sulla spalla.

Louisa si asciugò gli occhi con il dorso della mano – È il mio compito. Se non riesco a salvare un essere umano, come posso salvarne migliaia?

Jason si voltò, non riuscendo a sostenere oltre il contatto con gli occhi rossi di pianto di Louisa – Aspetta qui. Torno tra un quarto d’ora al massimo con il borsone da viaggio.

- Magari vestito. – si lasciò sfuggire Louisa.

- Completamente vestito. – confermò Jason, che uscì dal salotto talmente di corsa che inciampò su una delle gambe del tavolino messo accanto alla porta della stanza.

 

Jason era seduto sul letto della stanza che i genitori di Will  gli avevano dato dopo che lui era andato a vivere con loro, alla morte di suo padre, rigirando l’anello che aveva ripescato dal bagno. La maggior parte dei suoi oggetti personali erano bruciati con la casa di Fen, e tutto quello che gli rimaneva era lì dentro: poche fotografie ammucchiate dietro i libri di chimica sulla mensola sopra la scrivania e dei vestiti gettati alla rinfusa nell’armadio. Non ci aveva mai messo troppo impegno per arredarla perché quella stanza non l’aveva mai sentita realmente sua, la sua vera camera era andata poche ore fa, e per quanti sforzi facesse, Louisa non poteva capire la perdita che lui aveva subito. I sentimenti che provava per lei in quel momento erano terribilmente contrastanti, da un lato la odiava come non aveva mai odiato nessun altro al mondo, dall’altro, gli faceva male il pensiero della cicatrice nera e degli occhi gonfi e rossi di lacrime che aveva visto sulla ragazza. Allungò una mano sotto il letto per tirare fuori il borsone da viaggio, e si chiese cosa lo avrebbe aspettato una volta partito con Louisa. Con il borsone aperto accanto a se, incrociò le gambe e si batté la testa con il palmo della mano, lui non aveva la minima idea di dove dovessero andare. Per quello che ne sapeva poteva fare caldo, come freddo, potevano stare in mezzo alla savana come ad una palude. Sorrise, pensando a Louisa in mezzo a una palude a combattere alligatori e zanzare, forse avrebbe dovuto salvarla da un alligatore, ma poteva tranquillamente farla divorare dalle zanzare.

- Posso? – la voce di Will lo riscosse dalle sue fantasie.

- Entra. – si  alzò velocemente dal letto e iniziò a buttare nel borsone tutti i vestiti che gli capitavano sotto mano senza nemmeno guardarli, mentre sentiva lo sguardo di Will addosso – Louisa sta bene? – domandò senza voltarsi e concentrandosi su un paio di jeans blu che non volevano saperne di entrare.

- Sai, Jason, a volte dovresti andare da uno psicologo. Prima corri giù completamente nudo e fai il diavolo a quattro e ora mi chiedi se sta bene. Dovresti fare pace con il cervello ogni tanto.

- Io sono in pace con il mio cervello, è solo che detesto veder piangere le femmine. E ora scusa, ma sono impegnato a ricreare la teoria del Big Bang con i miei vestiti – Intensificò gli sforzi per cercar di far entrare tutto nel borsone, ed evitò accuratamente di incrociare lo sguardo di Will, Jason sapeva che in quel momento il suo amico, stava per fargli la lavata di capo più fantasiosa del mondo, e non aveva la minima voglia di ascoltarlo.

- Forse potresti mettere qualche paio di pantaloni tuoi nella mia borsa, almeno così non avranno l’aspetto di sardine in scatola. 

Jason scosse la testa – Non credo di fermarmi molto e più di una sacca mi sarebbe di impiccio, ma grazie per l’offerta. – con la coda dell’occhio Jason vide la borsa di Will cadere sul materasso e la soppesò con lo sguardo. Affondava troppo nel materasso per i suoi gusti. Si morse il labbro e contò lentamente fino a dieci – Perché quella borsa è così pesante? – domandò cercando di mantenere la calma il più possibile. Sapeva la risposta, ma non poteva credere che Will potesse essere tanto imbecille da averlo fatto.

- Vengo con te. – rispose semplicemente Will. Jason chiuse gli occhi cercando di calmarsi, se proseguivano di questo passo anche il gatto si sarebbe infilato in camera sua con la borsa piena di scatolette pronto a partire.

- Will, – iniziò Jason, non aveva la più pallida idea di come parlargli senza offenderlo – Apprezzo quello che vuoi fare, ma è meglio che parta da solo, non ho idea di quello che mi aspetta e non voglio che tu venga con me, potrebbe essere pericoloso. Non l’hai visto, Belial era forte, molto forte e anche molto veloce. Mi ha messo ko con un calcio.

Will sorrise e scosse la testa – Per questo avrai bisogno di uno che conosca la medicina e che soprattutto ti conosca, Jason. Siamo amici da quando rubavi nel mio frutteto, abbiamo dormito insieme in terrazzo promettendoci di aspettare l’alba e abbiamo scorrazzato con il bob avanti e indietro per il villaggio. Ho ventidue anni, e non sono più quel bambino gracile a cui hai tirato una mela in testa. Smetti di prendere le decisioni per me. Ho già parlato con Louisa, anche se non era d’accordo  ha acconsentito a farmi venire con voi. La mia non era un proposta Jason, io ti stavo solo informando della mia decisione. E poi, l’Olanda non è così distante.

A quella tirata Jason si sedette sul letto e scoppiò a ridere sonoramente – Mi stai dicendo che la sede dove stanno i Sigilli è in Olanda? La patria del sesso libero e delle droghe leggere? Sembra quasi un contro senso. – tenendosi la pancia cadde a terra sulle ginocchia continuando a ridere fino alle lacrime.

- Devo imbottirti di morfina per tenerti buono? – domandò Will, sedendosi sul pavimento e guardandolo storto. Jason si asciugò un occhio e cercò di controllarsi, anche se gli faceva male il torace per il ridere – Assolutamente no! Voglio vedere la faccia che farà Louisa quando gli dirò che andrò a farmi un giro nel quartiere a luci rosse.

- Ho detto Olanda, non Amsterdam. O pensi che tutti inizi e finisca con quella città? – Jason gli lanciò un occhiata e sorrise, Will sapeva perfettamente che lui non sarebbe mai andato nel quartiere a luci rosse, ma l’idea di scandalizzare Louisa lo attirava troppo – Io lo so, ma Louisa? Voglio dire, mi da l’impressione di non sapere nulla del mondo, farle prendere qualche colpo ogni tanto la aiuterà a tenere i piedi ben saldi a terra.

- Lo fai per il suo bene o per il tuo divertimento? – Jason si alzò agilmente da terra, il pavimento iniziava a essere troppo duro per i suoi gusti e il borsone ancora non aveva imparato a chiudersi da solo – Io faccio sempre le  cose per il mio divertimento. E finché non sarò libero, dimostrerò a Louisa che ha legato a sé la persona sbagliata.

Will scosse la testa, con aria di chi stava per scoppiare a ridere e si  alzò – Vado a dire a Louisa che siamo quasi pronti e che deve uscire dalla doccia. Ci vediamo di sotto. –

Jason si ritrovò a boccheggiare un paio di volte, cercando l’aria che non gli arrivava nei polmoni – Hai dato il permesso a Louisa di farsi la doccia nel tuo bagno? – disse tutto d’un fiato.

Will annuì e lo guardò visibilmente confuso – Le ho spiegato come lavarsi senza bagnare la fasciatura, ci metterà poco, che c’è di male? –

- Sai che la mia vita è legata alla sua, vero?

- Si, ma è solo una doccia, mica un rave.

- Con la fortuna che si ritrova quella, sarà già tanto se non  scivolerà sulla saponetta e non finirà ammazzata sbattendo la testa. – Jason corse fuori dalla sua stanza e si fiondò davanti la porta del bagno, tempestandola di pugni – Hei cretina! Esci immediatamente da lì! Ci sono troppi pericoli! – lo scrosciò dell’acqua si interruppe bruscamente - Ma anche sotto l’acqua non mi lasci in pace? – la voce di Louisa gli arrivò carica di rabbia – Io devo lavarmi e Will è stato così gentile da spiegare come non rovinare la fasciatura, quindi non ci sono pericoli. E ora sparisci, così posso finire. – il getto della doccia riprese e, passando da un piede all’altro, Jason afferrò la maniglia del bagno e aprì bruscamente la porta. Si aspettava di trovarla chiusa a chiave, ma quella cedette al primo assalto e si ritrovo a fissare Louisa, che in mezzo alla nebbiolina si stava sciacquando i capelli. I secondi si dilatarono, mentre lo sguardo di Louisa passava dallo stupefatto alla rabbia cieca. Un brivido percosse la schiena di Jason e avvertì un imminente pericolo, mentre il flacone dello shampoo lo colpiva sulla spalla – Non hai una buona mira. La mia faccia è più su – non aveva voglia di provocarla, ma era l’unico modo per evitare un silenzio imbarazzante. Schivò il balsamo spostando la testa di lato all’ultimo secondo, la mira di Louisa era improvvisamente migliorata e se non si fosse spostato l’avrebbe preso in pieno – Esci immediatamente maniaco, egocentrico! Esci! Esci! Esci! Io ti ordino di uscire! – Jason cadde a terra, mentre la sensazione di avere degli aghi piantati nel cuore, gli fece inarcare la schiena per il dolore. Si rimise in piedi aggrappandosi al lavandino, e un passo dopo l’altro si ritrovò a guadagnare l’uscita dal bagno, chiudendosi la porta alle spalle. Si sedette in corridoio, con la schiena contro la porta a riprendere fiato, mentre sentiva Louisa borbottare qualcosa sui ragazzi maniaci e maleducati. Quella maledizione doveva finire al più presto, non poteva passare il resto della sua vita a prendere ordini da Louisa.

- Louisa – chiamò lui appoggiando la testa alla porta – Lo facevo per il tuo bene, il bagno è pieno di pericoli. Le morti per incidenti domestici sono altissime in bagno.

Il getto si interruppe di nuovo e con i suoi nuovi sensi più acuti, Jason sentì i passi della ragazza sul tappetino davanti alla doccia – E cosa dovrebbe attaccarmi di grazia? Il balsamo o lo shampoo? – l’acidità nella voce era palese, e Jason ebbe di nuovo voglia di entrare e sfidarla faccia a faccia – Cambiando discorso, nessuno ti ha insegnato a chiudere a chiave le porte? Così evitavo di vederti nuda, ora avrò gli incubi per un mese. Mi devi mesi di sedute con un buono psicologo, aggiungo anche queste alle spese che mi devi rimborsare. – non riusciva a capire perché, ma era istigato a continuare a stuzzicarla per vedere fin dove riuscivano ad arrivare le sue rispostacce.

- Così siamo pari. – la risposta pronta di Louisa gli fece allargare il sorriso, erano davvero pari ora, ma, a parte l’ordine a cui era stato costretto ad obbedire, lui si era divertito molto di più, nel vedere la ragazza nuda. Louisa aveva un bel corpo snello, anche se aveva le gambe un po’ corte rispetto ai suoi gusti e un seno minuto.

- Vado a chiudere il borsone. Muoviti a vestirti, prima mi libero di me, prima mi sentirò al sicuro. – senza aspettare la risposta di Louisa, Jason tornò in camera sua, Will non c’era, ma aveva lasciato la sua borsa aperta accanto a quella di Jason. Il ragazzo sorrise, Will riusciva a imporsi in modo del tutto eccentrici e silenziosi, ed era questo quello che apprezzava di lui, Jason non si sentiva mai costretto a fare le cose in sua presenza, Will gli metteva davanti le opportunità, stava a Jason accettarle o meno. Mentre spostava i jeans e qualche felpa spiegazzata, Jason si sentì rincuorato, non lo avrebbe mai ammesso, ma era contento che Will lo stesse accompagnando.

 

Quando Louisa arrivò all’Istituto in cui era cresciuta, era pomeriggio inoltrato, e, come aveva previsto, Jason si era dimostrato il compagno di viaggio più irritante ed estenuante che avesse mai avuto, e solo la presenza di Will le aveva impedito di prenderlo a calci durante il viaggio in aereo e poi nell’auto dell’Istituto.

La guardia al cancello dell’Istituto le fece passare la mano sullo scanner gel e scattò sull’attenti quando scoprì lo status di Louisa – I signori sono con lei signorina Van Der Meer? – Louisa annuì, e lanciò un’occhiata in tralice a Jason che aveva iniziato a sghignazzare sentendola chiamare “signorina Van Der Meer”.

- Si – disse. Cercò di dominare la voce e di mantenere una parvenza di controllo, ma casa sua era dietro a quell’enorme cancello bianco e spesso, e la possibilità di non vedere mai più Jason iniziava a diventare reale. L’unico neo era Will, in quelle poche ore in cui l’aveva conosciuto aveva iniziato ad apprezzare la sua generosità e disponibilità, ma le regole erano chiare: i Sigilli potevano frequentare solo i Sigilli e i Custodi, e William non era né l’uno né l’altro.

Mentre attraversava il cancello, sentì Jason trattenere bruscamente il fiato e sorrise dentro di sé. Finalmente il ragazzo avrebbe dovuto mostrare un po’ di rispetto per l’istituzione dei Sigilli di Dio – Ma è un convento! – l’esclamazione di Jason la fece sobbalzare ed evitò accuratamente di rispondergli male – l’Istituto dei Sigilli non è un  convento, per quanto possa averne l’aspetto a causa del chiostro di epoca romanica. Noi siamo dissociati dalle istituzioni religiose cattoliche in quanto predicano bene, ma fanno l’esatto contrario di quello che dicono. Per cui tieni a bada la lingua mentre sei qui Jason Fen, non tutti i  Sigilli si limiteranno a cacciarti fuori con un flacone di shampoo. – prese un profondo respiro, doveva assolutamente calmarsi prima del suo incontro con i Custodi, e doveva assolutamente spiegargli perché un miscredente come Jason aveva messo piede lì dentro.

Senza voltarsi per sapere se Will e Jason la seguivano si diresse al piccolo kart elettrico, che i guardiani al cancello le avevano messo a disposizione.

- Hei! Cos’è quel giocattolo? E le Maserati da milioni di sterline? La Papa mobile? Il carro armato? –

Louisa si voltò di scatto, Jason stava mettendo a dura prova la sua pace interiore ogni minuto che passava con lui aumentava la voglia di strozzarlo – Primo: qui non usiamo mezzi a benzina, ma sono elettrici in rispetto dell’ambiente. Secondo: ti ho già spiegato che ci dissociamo dai cattolici, quindi niente Papa mobile. Terzo: abbiamo un incontro tra mezzora con i Custodi per liberaci di questo Patto. Quarto: sali e non fiatare per i prossimi trenta minuti.

Jason la guardò dall’alto in basso sorridendo – L’aria di casa ti fa male lo sai? E poi sai guidare questi cosi? Chi te l’ha data la patente? Paperino?

Louisa guardò il cielo esasperata. Quale terribile peccato aveva commesso per incontrare un ragazzo come Jason Fen? – Ho la patente come tutti i comuni mortali, presa in maniera regolare e valida per tutta l’Europa, ora sali per favore.

Jason la sorpassò e si sedette al posto di guida, facendo cenno a Louisa di sedersi accanto a lui – Non te la prendere a male, ma preferisco guidare io, tu fammi da navigatore qui dentro. – Louisa incrociò le braccia e guardò male Jason – Sai guidare quel kart? – domandò infuriata.

- Ho la patente come tutti i comuni mortali, presa in maniera regolare e valida per tutta l’Europa, ora sali per favore. – Louisa batté le palpebre un paio di volte – Mi stai facendo il verso! Ma che razza di essere infantile sei? – Will le mise una mano sulla spalla – Lascialo perdere, Jason ama kart simili, gli piace giocarci, e fidati, non lo schiodi da quel volante, anche se dovessi ordinarglielo, lui si ammanetterebbe al posto di guida pur di non lasciarlo. – si ritrovò a chiudere gli occhi, Will era gentile, ma fermo e sapeva che aveva ragione, Jason non gliela avrebbe data vinta facilmente. Si sedette a braccia incrociate sul sedile accanto a quello di Jason ed evitò accuratamente di guardarlo - Vai subito a sinistra, e segui la strada, ti ritroverai a una piccola rotonda, non puoi sbagliarti, gira a destra e prosegui fino al palazzo bianco e moderno, ci aspettano lì.

- Agli ordini, signorina Van Der Meer. – rispose mellifluo Jason accendendo la macchina e dirigendosi dove Louisa gli aveva indicato.

Mentre si recavano all’appuntamento, Louisa si chiuse in un cupo silenzio, non sapeva che cosa raccontare ai Custodi, era la prima  volta che metteva piede fuori dall’Istituto da sola e aveva corso un grosso rischio, ricevendo in cambio niente altro che guai. I Custodi non l’avrebbero presa bene, proprio per nulla, e Louisa era sicura, non le avrebbero più permesso di uscire, e probabilmente avrebbe dovuto continuare a guardare gli altri andare alla ricerca dei Sigilli mancanti.

Alzò lo sguardo sull’edificio basso e bianco immacolato che si trovava davanti, lì c’era la sede dell’istituzione dei Custodi, leggermente separata dalle altre aree dell’Istituto e dal chiostro dove vivevano i Sigilli – Will, secondo me dovresti aspettare fuori. Credo che prima vogliano sentire me e parlare con Jason riguardo questa Promessa. E Jason, ti supplico, tieni la lingua a freno, i Custodi sono molto severi, più di quello che credi. –

- Sono vecchi con la barba bianca vestiti alla moda di Gandalf? No, perché io odio fare Frodo, al massimo mi concedo come Aragorn. – Jason saltò giù agilmente dal kart  e tese la mano a Louisa che la fissò per dieci secondi buoni – Cosa sono un Aragorn e un Gandalf? –

- Non hai mai letto il Signore degli Anelli? – vide Jason dondolare sul posto un paio di volte visibilmente stordito – Come si può non aver letto il Signore degli Anelli? – Jason si infilò le mani nelle tasche dei jeans – Prima che me ne vada devo rimediare. Non puoi non aver letto il Signore degli Anelli, va contro le leggi dell’universo.

Louisa scese dal kart e lo guardò storto – L’hai scritto tu? – Jason la fissò allibito – Per la miseria! No!

- Allora lo leggerò volentieri. – guidò Jason aldilà delle porte scorrevoli bianche e avanzò lungo il corridoio fino alla porta in fondo. – Te lo ripeto ancora, tieni a bada la lingua. – sussurrò prima di appoggiare la mano sullo scanner gel e aprire la porta.

Louisa entrò nella grande stanza semicircolare, interamente bianca e asettica. Sei Custodi erano seduti dietro una grande scrivania rialzata e guardavano in basso verso Louisa. – Louisa, ci aspettavamo il tuo rientro da un momento all’altro. Quello che porti con te è uno dei Sette Sigilli? – domandò uno di quelli centrali e Louisa lo riconobbe Isaiah, uno dei Custodi più anziani. Sentì le gambe tramare, doveva dire subito la verità raccontare quello che aveva fatto e pregarli di liberare Jason – No, signori. Jason, il ragazzo accanto a me, è il figlio adottivo di Yang Fen, ma quando sono arrivata, mi ha detto che Fen era morto da diversi anni e il suo anello è andato perduto con la sua morte. Purtroppo durante la mia visita è avvenuto un imprevisto e sono stata attaccata da uno dei Traditori del Cielo e se non fosse intervenuto Jason probabilmente non avrei fatto ritorno. – alle parole di Louisa i Custodi si agitarono sul posto, e alcuni avvicinarono le teste per parlare tra di loro a bassa voce. Isaiah alzò la mano e il silenzio tornò a calare in sala – Dimmi Louisa, come ha potuto questo ragazzo aiutarti essendo lui un mortale e notevolmente inferiore ai Sigilli e ai Caduti? – Louisa deglutì con la bocca improvvisamente secca – Il Decaduto stava per ucciderlo, in effetti all’inizio Jason non riusciva neanche a sfiorarlo e stava per morire, ma io ho pronunciato delle parole nella lingua del Cielo e lui e stato meglio e.. – ammutolì quando vide Isaih e gli altri Custodi guardarla intensamente – Che parole hai pronunciato esattamente Louisa? – Louisa prese un gran respiro, cercando di farsi coraggio - Ponimi come Sigillo sul tuo cuore, ponimi come Sigillo sul tuo braccio; perché l’amore è forte come la morte. – disse solennemente. Alcuni Custodi più giovani  saltarono in piedi rovesciando le sedie – Non puoi  aver fatto una cosa del genere, la Promessa del Guardiano è pericolosa per entrambe le parti! Louisa cos-

Isaiah lo azzittì con un gesto brusco della mano – Dimmi Louisa, questo ragazzo era veramente in percolo di vita? Non c’erano altre soluzioni se non pronunciare quelle parole? –

Louisa scosse lentamente la testa – No, signore. Se non lo avessi fatto Jason sarebbe morto. L’ho portato qui per chiedervi se esiste un modo per liberarlo. – Isaiah e gli altri Custodi si consultarono talmente tanto a voci basse che Louisa non riusciva a sentire quello che dicevano. Dopo alcuni minuti Isaiah si raddrizzò – Esiste Louisa, ma visto che non hai ancora sviluppato a pieno le tue capacità preferiremmo che sia questo ragazzo a proteggerti fino a quel giorno. – Louisa si irrigidì, quando Jason scattò in avanti – Che cosa? Che razza di uomini di Dio siete se negate la libertà alle persone? – i Custodi lo guardarono altezzosi – Noi ragazzo custodiamo i Sigilli fino a quando non ci sarà bisogno di loro, li proteggiamo, li istruiamo ai loro compiti e facciamo in modo che siamo preparati ad affrontare i Grigori e per farlo usiamo ogni mezzo. La tua vita vale forse quella di altre migliaia di persone? Finché sarai legato a Louisa sapremo che farai di tutto per proteggerla perché ne andrebbe anche della tua vita, quando lei sarà al sicuro ti libereremo. Questa è la nostra promessa solenne. – le mani di Jason tremarono e Louisa gliele afferrò saldamente – Qualsiasi cosa a cui tu stia pensando, non farla, ti supplico Jason, tu non li conosci – Jason si scostò bruscamente – Trova una soluzione. Non ho alcuna intenzione di stare qui. – ringhiò a un soffio dal suo orecchio.

- Jason, figlio di Fen, – disse Isaiah – Per ora puoi andare. Louisa ti raggiungerà tra qualche minuto. Dobbiamo parlare con lei da soli. – Jason allargò le gambe, visibilmente pronto a sfidarli, ma Louisa gli prese un braccio – Jason ti prego, fa quello che dicono. Non voglio ordinartelo, quindi per favore, aspettami fuori. – inaspettatamente Louisa sentì i muscoli tesi di Jason rilassarsi leggermente e guardarla dall’alto – Ti aspetto fuori. Fa presto.

Come Jason si chiuse la porta alle spalle, Louisa tornò a guardare i Custodi – Che cosa avete da dirmi che non poteva sapere Jason? – domandò raddrizzando le spalle. Conosceva i Custodi e sapeva che nascondevano parecchi segreti. Isaiah la guardò, improvvisamente di dieci anni più vecchio – Hai corso un gran rischio a pronunciare quelle parole e lo corri tutt’ora. Devi sapere che esistono due modo per liberare Jason, ma non possiamo metterli in atto o lo avremmo già fatto. Il primo è il più raro, ma è il più sicuro, il tocco diretto di un Serafino a sciogliere il sigillo posto nella lingua del Cielo, ma questo metodo è impossibile. Il secondo è in assoluto il più difficile e lo dovrai fare tu stessa. Come sai legare la tua vita a quella di un altro è un grave peccato e dovrai espirare le tue colpe prima o poi, per farlo verrai sottoposta a delle prove, se ti dimostrerai inadeguata morirai e Jason con te. – Louisa deglutì e il sangue le defluì dal viso – Che prove? – chiese con filo di voce che le era rimasto.

- Più sarai vicino a Jason, più combatterai con lui, più sentirai i tuoi peccati capitali crescere dentro di te. Per riuscire a liberare Jason dovrai affrontarli tutti. Non potrai cedere Louisa. Neanche una volta, perché se lo farai morirai. Capisci quello che stiamo dicendo? Dovrai affrontare dentro di te quello che rappresentano i Grigori: l’ira, la lussuria, l’avarizia e gli altri peccati. Più starai vicino a Jason, più sentirai quei desideri crescere dentro di te e divorarti l’anima. – Louisa abbassò gli occhi e annuì, aveva capito fin dall’inizio che ci sarebbe stato un prezzo molto alto da pagare.

- C’è dell’altro – disse Isaiah richiamando la sua attenzione – Molti anni fa, Fen rapì un bambino che aveva risposto all’anello del Quinto Cielo e portò l’anello con lui. Noi pensiamo che Jason potrebbe essere quel bambino. Anche se volesse, noi non possiamo lasciarlo andate, non quando c’è la possibilità che possa essere un Sigillo, quindi ti preghiamo di tenerlo sempre vicino a te e ti non  separartene mai, nemmeno se ti chiedesse di lasciarlo andare. – Louisa si sentì mancare le forze, non poteva credere che Jason potesse essere uno di loro, ma senza anello non aveva la possibilità di controllare. – Un’ultima cosa Louisa poi ti lasciamo andare, sappiamo che hai portato  un altro ragazzo con te. Non sappiamo cosa ti lega a lui, ma dovrebbe tornare a casa. – Louisa scosse lentamente la testa, stupita del suo stesso gesto – Non posso, Will non è qui per me, ma per Jason, è stato lui a curarmi quando Jason glielo ha chiesto. Sono amici, quasi fratelli e se Will non vuole andarsene, non lo farà.

- Ti ha curata quando sei rimasta ferita? – Isaiah si grattò il mento – In quel caso, se vuole, potrebbe fare il medico qui. Abbiamo sempre bisogno di personale valido e potrebbe alloggiare vicino alle stanze dei Sigilli, in modo che possa sempre essere reperibile. Jason non mi sembra uno che sta alle regole, la presenza del suo amico potrebbe renderlo più docile. – Louisa sentì l’acido in fondo alla gola e lo stomaco si chiuse involontariamente, volevano usare Will per tenere a freno Jason e renderlo più malleabile e lei non riusciva e crederci.

- Avete altro da dirmi? – chiese in maniera più brusca di quanto volesse. Alcuni Custodi la fulminarono con lo sguardo, Isaiah scosse la testa – Puoi andare Louisa. Spiega ai due ragazzi come funzionano le serrature delle stanze nell’ala dei Sigilli e tu e Jason spostatevi in quella stanza. Quel ragazzo può essere arrogante quanto vuole, ma è pur sempre la tua miglior difesa ed è meglio che tu ce l’abbia sempre vicino. – senza aspettare che gli altri la congedassero Louisa prese la via della porta, e come sospettava Jason la stava aspettando in corridoio contro il muro con le braccia e le gambe incrociate – Allora quali segretucci vi siete scambiati tu e quel branco di vecchi rimbambiti? – Louisa sospirò, il colloquio con i Custodi l’aveva totalmente prosciugata e aveva bisogno di riposare – Nulla di che. Stavamo decidendo dove farti alloggiare, cosa farti sapere di noi e quando farti iniziare l’addestramento. In oltre devo fare una proposta a Will.

- Ma non mi dire – Jason si staccò dal muro e la guardò fisso negli occhi a pochi centimetri dal suo volto. Louisa ammutolì constatando quanto scuri potessero diventare i suoi occhi quando Jason era furioso – Se in questa storia Will si farà male ti giuro che te la farò pagare veramente cara, e non mi importa quanti Custodi dovrò calpestare per arrivare a te. Sono stato chiaro? – Louisa fece un mezzo passo indietro cercando di riconquistare il suo spazio – Non voglio nemmeno io che Will si faccia male, ma finché resta qui è al sicuro, i confini dell’Istituto sono protetti contro le intrusioni e qui Will potrebbe fare il medico – Jason la afferrò per le braccia e la scosse violentemente– Tu non lo conosci come lo conosco io, cosa ti fa credere che Will si accontenti di lavorare per un’istituzione di pazzi complessati?

- Ti prego lasciami! Mi fai male! – Jason la lasciò bruscamente e Louisa indietreggiò fino a toccare il muro, il ragazzo ansimava e si guardava le mani – Non farmi incazzare Louisa. Io non sono per niente una brava persona quando mi incazzo. – Louisa annuì e si massaggiò piano le braccia, Jason le aveva fatto veramente male, ma ciò che più la faceva soffrire era il fatto di non aver lasciato libertà di scegliere a nessuno dei due.

Reprimendo l’impulso di scoppiare a piangere, percorse il corridoio da cui era arrivata con Jason alle spalle. Aveva bisogno di mettersi al sicuro nella sua stanza e mettere delle solide mura tra lei e il resto del mondo. Quando uscì Will le fece un timido sorriso seduto sul kart – Allora come è andata? – chiese a nessuno in particolare. Jason sbuffò sonoramente – È andata che quelli non mi voglio lasciar andare e tu sei stato promosso a medico dei Sigilli. A quanto pare saremo ospiti di questo posto per un po’ – Will alzò le spalle rassegnato – Me lo ero aspettato, ed è per questo che sono venuto con te. Almeno posso impedirti di radere questo posto al suolo fino alle fondamenta, ma dimmi Louisa, medico? Non avranno esagerato? – Louisa scosse la testa, come faceva Will a essere così sereno e sorridente nel trovarsi intrappolato dentro l’Istituto, lei proprio non riusciva a capire – Vi mostro le vostre stanze, si trovano nel Chiostro riservato ai Sigilli, è un bel posto e spero che vi troviate bene. –

- Certo come no. E un Boa Constrictor è l’animaletto da compagnia che tutti dovrebbero avere – Louisa lo ignorò e gli diete le indicazioni per arrivare a Chiostro, nella parte vecchia dell’Istituto. Quando arrivarono Louisa diede lanciò un’occhiata adorante alle proprie piante al centro dell’aiuola del Chiostro, per poi guardare tutto il resto, come se si aspettasse di vedere qualcosa di diverso, ma non era cambiato nulla in pochi giorni. Il portico continuava a correre lungo il Chiostro e le stanze dei Sigilli erano chiuse con un rilevatore di impronte a scanner gel che lasciavano entrare solo chi ne aveva ricevuto il permesso. Il suo mondo iniziava e finiva in  quel Chiostro, dalla torre dell’orologio alla magnolia in mezzo all’aiuola.

Condusse i due ragazzi sotto il portico e mostro loro lo scanner gel – Funziona come la chiave in una toppa, ma non può essere clonata – disse appoggiando la propria mano sul lettore – Il gel legge le vostre impronte digitali alla perfezione e solo le persone a cui date il permesso possono entrare – la luce alla base dello scanner lampeggiò due volte e la porta scorrevole si aprì – Will, pensavo di farti stare in questa stanza.  Durante il giorno c’è un piacevole vento fresco, ma se non vuoi posso trovartene un’altra. – Will diede un’occhiata rapida alla stanza, sperava che gli piacesse, era arredata in maniera semplice, ma sperava che ci fosse tutto quello che poteva servire al ragazzo. – Spiegami come posso inserire i miei dati nello scanner gel – Louisa si accorse di aver ricominciato a respirare e lo seguì nella stanza – Ecco vedi questo pannello? – disse indicando i cristalli liquidi accanto alla porta – Appoggia la mano qui, lui farà una scansione della tua mano e farà una rapida ricerca nei database su chi sei  in base all’impronta del pollice. Ecco vedi? Qui ci sono i tuoi dati anagrafici della tua patente. Ora basta dargli l’invio e lo scanner gel ti riconoscerà ogni volta che ci appoggerai la mano sopra. Per ora, essendo appena arrivato, potrai aprire solo la porta della tua stanza perché ci sono dei livelli diversi di sicurezza, ma ti sboccherò quella della mia stanza quanto prima, e anche della biblioteca e ti tutti i posti dove vuoi andare, della palestra ad esempio, o del-

Will le mise una mano sulla spalla fermandola – Tranquilla ok? Me le farai vedere dopo queste cose, lasciamo prendere confidenza con la mia stanza. – Louisa annuì e uscì – Allora ci vediamo dopo, intanto mostro a Jason la sua. – mentre percorreva il portico fino alla sua stanza sentì una voce chiamarla. Si voltò, un ragazzo moro con gli occhi azzurro chiaro, non molto più alto di lei, camminava verso Louisa a passo spedito – Louisa! Dove sei stata? Mi sono preoccupato. I Custodi non hanno voluto dirmi nulla e.. – si fermò notando Jason dietro di lei e lo guardò male – E questo chi è? È come noi? Voglio dire è un Sigillo? – lo squadrò  alcuni secondi e Louisa scosse la testa – No James, lui è Jason, è il mio Guardiano. – disse diventando rossa e si mise a fissare il pavimenti in attesa della sfuriata di James – Tutto quello che devo dirti su questa enorme stupidaggine te la dirò dopo. Ora vieni con me, mentre non c’eri Dim si è sentito male, e ha passato un giorno intero a chiamarti nel delirio. – a quelle parole Louisa si dimenticò totalmente di Jason e James e corse attraverso il Chiostro con il cuore in tumulto, finché non sbatté violentemente la mano sullo scanner gel della porta di Dimitri. La porta si aprì troppo lentamente per i suoi gusti e si fiondò dentro che non era ancora del tutto aperta.

La penombra della stanza la lasciò interdetta alcuni secondi, mentre i suoi occhi si abituavano all’oscurità. Sentiva il respiro fievole di Dimitri e lo cercò la figura del ragazzo tra le lenzuola. Dimitri giaceva immobile, mentre il monitor che lo teneva costantemente sotto osservazione proiettava un inquietante luce verde sul muro e sui suoi capelli castani. Louisa non riusciva a sopportare la vista degli strumenti medici nella stanza del  suo amico. Ogni volta che vedeva il monitor acceso il dolore la straziava dall’interno – Dim? – chiamò titubante. Il ragazzo aprì gli occhi e Louisa vide quanto erano affossati e cerchiati di nero. – Louisa? – la voce roca di Dimitri gli graffiò il cuore come la minaccia di violenza di Belial non era riuscito a fare. In pochi secondi gli fu accanto e si inginocchiò sul pavimento accanto al letto. Un piccolo tubicino scuro era collegato si infilava nel braccio ghiacciato di Dimitri – Stai facendo la trasfusione? – chiese alzando gli occhi sulla sacca di sangue appesa a un paio di metri più in alto. Dimitri annuì piano – È la seconda oggi, poi ne avrò un’altra stanotte. – Louisa gli strinse la mano gelida e si morse il labbro, non riusciva a sopportare di vedere Dimitri in quelle condizioni – Vuoi che ti lasci riposare? –

- No, ti prego tienimi compagni finché la sacca non finisce, odio restare da solo con la sola compagnia del monitor. – Louisa annuì e Dimitri si mosse piano, lasciandole spazio nel letto e la ragazza si stese accanto a lui.

- Dove sei stata? –

- In Scozia alla ricerca di un Sigillo, purtroppo non l’ho trovato, ma sono tornata con un Guardiano. – gli raccontò la sua avventura e Dimitri le strinse più forte la mano, mentre fissava pensosamente il soffitto. – Hai un Guardiano – ripeté Dim – Non mi piace molto questa storia Lou, è pericolosa. I Guardiani.. – inarcò la schiena, mentre si mordeva il labbro e affondava le unghie nella mano di Louisa – Dim! Stai male? Vuoi che chiami aiuto? – Dimitri scosse la testa e si rilassò, mentre tremava contro il corpo di Louisa – No, è passato, ma Lou i Guardiani sono pericolosi. Non è mai finita bene tra Sigilli e Guardiani. Quello che proviamo stando con loro.. –

- So già dei peccati, Dimitri e sono disposta ad affrontarli. – Dimitri scosse la testa castana – Non mi riferivo a quello. I Guardiani stanno con noi notte e giorno è facile perdere la testa per loro. E Louisa, lo sai, l’amore ci farà uccidere. 

Dio,

in quale momento,

 ho iniziato di dubitare di me stessa?

 

 

Nad: scrivendo questo capitolo mi sto rendendo conto di quante cose devo stare attenta, ad esempio agli indizi e alle rivelazioni che vi sto lasciando..non è facile..intanto vorrei rendere grazie a quelli che mi seguono sempre e anche ai nuovi arrivati che mi incitano sempre a scrivere nonostante stia facendo i salti mortali durante il tirocinio. Probabilmente non sarei riuscita a scrivere questo capitolo in una settimana senza di loro! Grazie mille!

Khyhan

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Capitolo 4
*** IV. Culpa ***


IV. Culpa

Culpa

 

“ Se tuo fratello commette un peccato,

va e metti a nudo la sua colpa fra te e lui solo.

Se ti ascolta, hai guadagnato un fratello.”

Mt 18:15

 

Jason fissò Louisa scappare di corsa improvvisamente impallidita e gli occhi grigi spalanchi per la paura. In ventiquattro ore l’aveva vista traumatizzata e il lacrime diverse volte, ma mai, fin ora, aveva sentito il bisogno di inseguirla, stringerla tra le braccia e confortarla, come lo sentiva in quel momento, fin ora non l’aveva mai vista così fragile e indifesa. In genere lui non confortava le persone, lo lasciava fare volentieri a Will, che era un mago nel trovare le parole e i momenti giusti, lui preferiva irritarle a  morte fino a far dimenticare i loro vecchi problemi, procurandone di nuovi. Resistette a quel neonato bisogno dentro di lui e si appoggiò a una delle colonne che sostenevano il portico,  osservando il ragazzo moro con cui aveva parlato prima Louisa. Guardava la ragazza allontanarsi con aria impotente e gli tremavano le braccia mentre stringeva i pugni – Se ti crea così tanti problemi che Louisa sia corsa via perché non la insegui?

- Louisa può fare quello che vuole, non è una bambina. – per poco non gli scoppiò a ridere in faccia. Quel tipo moriva dalla voglia di seguire Louisa e non lo faceva perché lei in teoria lei non era una bambina e, sempre in teoria avrebbe potuto fare quello che voleva. Non aveva mai sentito una risposta più ridicola e insulsa. Appoggiò la testa contro la colonna e fissò torvo le volte a crociera del portico, maledicendo le proprie gambe che puntava sempre nella direzione di Louisa, ogni minuto che passava sentiva aumentare il desiderio di seguirla, stuzzicarla fino a farla arrabbiare e toglierle quell’espressione triste e spaventata dal volto. – Ma che cazzo! Non si può continuare così! Che diamine mi ha fatto quella donna?

Si ritrovò James a pochi centimetri di distanza, ne sentiva il calore e il fiato sul collo – Che hai detto di Louisa? – ringhiò aspramente.

A Jason si tirarono le labbra in un sorriso, quel ragazzo era più basso di lui di tutta la testa e lo fissava con le narici dilatate e una furia appena trattenuta – Ho chiesto, – disse scandendo bene le parole – Che cazzo mi ha fatto Louisa, perché ora ho una gran voglia di seguirla e di portarmela a letto. Sono stato chiaro, nano? – il pugno improvviso lo colpì in pieno viso e lo spedì per terra, mandandolo a tre metri di distanza da dove si trovava. Nonostante il dolore alla mascella, si sforzò di scoppiare a ridere. Ci aveva visto giusto: per quel ragazzo, Louisa era qualcosa di più di una semplice amica. Si rialzò, e si passò il dorso della mano sul labbro spaccato, ripulendosi da una goccia di sangue – Che ti prende? Sei geloso perché Louisa è la tua fidanzatina e non ci sai fare e ora io devo stare con lei? Hai paura che possa vedere quanto su possa divertire con me eh, nano? – lo provocò deliberatamente, aspettandosi una nuova risposta violenta. Non avrebbe mai potuto colpire Louisa, era talmente piccola e minuta che, se lo avesse fatto, le avrebbe fatto realmente  del male e si sarebbe sentito in colpa per settimane, se non per mesi. Questo tizio, invece, era basso e robusto e i muscoli gli spiccavano tesi e pulsanti sulla felpa; con lui poteva usare tutta la sua forza senza poi avere minimamente i sensi di colpa: per il momento era un’ottima valvola di sfogo. Si aspettò  un altro pugno, ma inaspettatamente James rimase rigido, a fissarlo con la mascella contratta e con il petto che si alzava e si abbassava velocemente – Mi dispiace, non avrei dovuto colpirti. – disse prendendo fiato - Conosco Louisa, e con uno come te non ci starebbe neanche tra un milione di anni. Neanche se fossi l’ultimo uomo rimasto sulla Terra. In oltre, le sa bene cosa ci si aspetta da un Sigillo, sa cosa si aspetta Dio da lei. – tenne gli occhi fissi sul pavimento, mentre le mani si aprivano e si chiudevano in maniera spasmodica. Jason batté un paio di volte le palpebre, mentre un pulsare sordo e ritmico contro la mascella reclamava vendetta; se lui fosse stato al posto di James, non gli sarebbe passato neanche per l’anticamera del cervello di dire “mi dispiace”, né avrebbe cercato di trattenersi dal saltare addosso al suo provocatore – Voi Sigilli siete tutti così? – domandò canzonario.  

James alzò lentamente gli occhi su di lui, visibilmente rosso in volto – Così come?

- Tutti un: “mi dispiace”, “non volevo ferirti”. Se realmente violentassi Louisa cosa faresti, eh? Accetteresti tutto passivamente? Louisa mi perdonerebbe? Siete così santi da accettare che vi facciano del male? O la vostra è pura ipocrisia e vi vendichereste? – non lo sopportava più, ad ogni parola che tirava fuori, vedeva chiaramente che James moriva dalla voglia di picchiarlo di nuovo e farlo tacere, eppure si tratteneva fino ad affondare le unghie nei palmi.

- Noi non siamo ipocriti! – urlò James con una vena che gli pulsava visibilmente sulla tempia - E prima che tu possa mettere le mani addosso a Louisa, i Custodi ti appenderebbero a testa in giù su qualche albero! – incrociò le braccia al petto fissandolo con odio e Jason alzò le spalle noncurante, troppe volte si era visto fissare il quella maniera e ormai non ci faceva più caso – Allora se vado a farmi un giro non creo disturbo, vero? Siete voi che andate tenuti costantemente sotto controllo. Come degli animaletti in gabbia. – risuonò volutamente crudele, sottolineando le ultime parole e vide la  mascella di James contrarsi in modo anomalo, come se si stesse mordendo la lingua. Sorrise per l’effetto che avevano avuto le sue parole e alzò il dito medio mostrandoglielo apertamente – Saluta Louisa da parte mia, e dille che tornerò domani mattina e di non scandalizzarsi troppo se vado a farmi un giro in città. Sono maggiorenne e vaccinato.

Per un attimo James cambiò espressione, aprì la bocca come per dire qualcosa, ma tornò presto a gonfiare il petto e a guardarlo storto – Fa come ti pare. Se poi ti fai male, non pretendere che Louisa ti curi. – Jason scoppiò a ridere all’immagine che si era formata nella sua mente: Louisa con un completino da crocerossina che lo aiutava ad assumere le medicine – Fidati, – disse ridendo ad intermittenza – Se ti dico che una cosa del genere non accadrà mai. Non con il genere di infermiera a cui penso io. – gli voltò le spalle e, senza aspettare risposta, camminò nella direzione da cui era arrivato con Louisa e Will pochi minuti prima.

Jason scoprì presto che quello che Louisa chiamava Istituto era un gran complesso formato da più edifici squadrati e completamente bianchi, e vicino alle porte di ingresso delle varie stanze, brillava il led dello scanner gel, così come aveva visto nel chiostro dove lo aveva portato Louisa: non c’erano decorazioni a parte le lampade a forma di boccia che illuminavano il porticato e i giardini ricchi di cespugli e di alberi, in contrasto con colonne lisce e i muri dipinti di bianco, dandogli l’impressione di essere in un luogo asettico e freddo. Come Louisa poteva chiamare casa quel posto, Dio solo lo sapeva. Lui, senza un tono di colore nella vita, sarebbe impazzito già da diverso tempo. Sorrise appena, Louisa era già completamente pazza era salita in moto con un perfetto sconosciuto, come lui.

Fece un lungo e tortuoso giro, cercando di raggiungere l’edificio romanico  a cui lui aveva affibbiato il nome di “chiesa”, e incrociò un paio di volte delle persone in camice che portavano delle sacche arancioni fosforescenti a tracolla o che giravano su silenziosi kart elettici  parlottando tra di loro, verso chi sa che meta. Si mise le mani nelle tasche dei jeans e proseguì alla ricerca dell’uscita. Aveva bisogno di cambiare aria, di esplorare le zone circostanti e di bere qualcosa di forte che lo aiutasse ad accettare quella nuova e indigesta situazione. Il pensiero di non poter tornare a casa lo colpì come un pugno allo stomaco e si bloccò vicino all’ennesima aiuola di fiori ed alberi che spuntavano a intermittenza fra i vari edifici. La rabbia gli fece sentire il gusto metallico del sangue in bocca e prese a calci un paio di sassolini dalla frustrazione. I Custodi lo avevano incastrato per bene, così come Louisa, non poteva lasciarla da sola per lungo tempo e doveva fare di tutto per proteggerla se voleva tornare libero.

Alzò lo sguardo e vide sopra gli alberi punteggiare il profilo di un edificio color rosso mattone e sospirò soddisfatto. Prima aveva visto che la “chiesa” era l’unico edificio che di quel colore e in quello stile, e lì davanti c’era l’uscita che lo avrebbe portato in città.

Louisa quella notte doveva concedergliela. Aveva bisogno di pensare, aveva bisogno di stare da solo, e soprattutto, aveva bisogno di divertirsi come piaceva a lui.

 

 

Quando Louisa uscì dalla stanza di Dimitri, il sole era basso sull’orizzonte e le lampade gialle del chiostro gettavano ombre scure sulle colonne e sui cespugli di rose che costeggiavano il portico; le sembrava di essere appena uscita da un film dell’orrore per essere catapultata in uno ancora peggiore. Si sentiva addosso l’odore del disinfettante e nelle orecchie le risuonava il lento gocciolio del sangue, che dalla sacca arrivava fino alla vena di Dimitri, mischiato all’odore delle rose e al crepitio secco dei rami. Come potevano due odori e due rumori che avrebbero dovuto rincuorarla e parlarle di vita, sapere inesorabilmente di morte, e farla sentire così inutile e impotente fino a soffocarla? Si accasciò lungo il muro, e si rannicchiò con la testa tra le ginocchia, ogni respiro che faceva le costava fatica, e la testa le girava mentre cercava affannosamente l’aria tra un respiro corto ed un altro.

Doveva tornare da Jason, ma era troppo tardi per mostrargli la stanza di cui avevano parlato i Custodi, per cui lei avrebbe dovuto trovargli un’altra sistemazione per la notte, probabilmente una delle camere adiacenti alla sua. Scosse la testa, tornare da Jason in quelle condizioni significava farsi bombardare da una raffica di battute pungenti e domande, e lei non  aveva né la forza, né la voglia di rispondergli. Non se si trattava di Dimitri e della sua malattia. Aveva bisogno di tempo, di conoscerlo meglio, per dirgli certe verità e Jason non era il tipo che ispirava confidenze, probabilmente non  avrebbe preso la situazione sul serio o si sarebbe solo infuriato, maledicendo i Sigilli e tutto quello che gli ruotava attorno.

Dei passi pesanti si avvicinarono, ma non alzò la testa per controllare chi fosse; poche persone entravano nell’Istituto e ancora meno nella zona riservata ai Sigilli, chiunque esso fosse lo conosceva e non aveva bisogno di spiegare per quale motivo lei era accasciata, in panico, fuori dalla stanza di Dimitri.

- Louisa? – James la chiamò dolcemente e le accarezzò la testa, sedendosi accanto a lei – Non avresti dovuto correre così da lui. Ti fa solo male vedere Dim così. – mentre parlava James le accarezzò continuamente i capelli, e Louisa si sentì rincuorata dal tocco familiare e gentile dell’amico e alzò la testa.

- Quanto tempo?  

James si morse il labbro inferiore e fissò il pavimento, stringendosi le braccia al corpo – Non lo sappiamo. Non hanno ancora trovato un donatore per il trapianto, per ora può solo continuare con le cure che gli fanno.

- Tra quanto sarà di nuovo in piedi? Quanto tempo deve rimanere in quel letto? – abbassò anche lei e fissò il pavimento fino a  mandarlo fuori fuoco. Erano sette miliardi su quel pianeta, possibile che nessuno di loro fosse compatibile per il trapianto di Dimitri?

- La trasfusione e le medicine hanno già iniziato a ripulirgli il sangue, di questo passo sarà di nuovo in piedi tra un paio di giorni, ma sai come è fatto Dimitri. Se ci avesse avvertito prima avrebbe potuto evitare quella crisi dolorosa, ma tiene sempre tutto per sé.

- Non è colpa sua. – sbottò senza riuscire a trattenersi – Dim ci vuole bene e non vuole farci preoccupare. Non puoi fargliene una colpa. – la sua mente tornò agli occhi infossati e cerchiati di scuro di Dimitri, Louisa non riuscì a capire da dove il suo amico trovasse tutta quella forza di volontà per continuare a combattere la sua malattia e allo stesso al loro fianco, come Sigillo dello Sagun, il Terzo Cielo. La missione dei Sigilli la riscosse di colpo con una ventata di nuova energia e si guardò intorno, cercando la figura di Jason nel oscurità del chiostro – James? Sai dove è andato Jason? Dovevo mostrargli la sua stanza e.. - James sbuffò sonoramente e mosse debolmente la mano, come se cercasse di scacciare un insetto – Ti riferisci a quel ragazzo irritante e maleducato con cui mi hai scaricato quando sei corsa da Dimitri? – domandò guardandola storto – È uscito.

Louisa scattò in piedi, improvvisamente allarmata. Una parte del suo cervello le stava inviando continuamente segnali di urgenza e di pericolo, facendole tramare le gambe per l’adrenalina. Jason non poteva allontanarsi da lei con l’intenzione di andarsene, ma poteva comunque sparire per diverse ore e cacciarsi in un mare di guai – Come è uscito? Uscito dove? Dal chiostro?

James scosse la testa – Prima che mi mostrasse il dito medio, ha detto che stava andando a farsi un giro in città.

- E tu lo hai lasciato andare? Non lo hai fermato? Nonostante il sole stia per calare?

- Mi stava antipatico, e gli ho detto di  fare quello che voleva. - Louisa non riuscì a credere che James potesse aver fatto una cosa del genere, non con i Grigori che li stavano cacciando.

- Louisa dove stai andando? – alle urla di James, Louisa si rese conto che stava già correndo nella direzione dell’uscita più vicina; doveva trovare Jason il più in fretta possibile e riportarlo all’Istituto prima che chiudessero il cancello. Lui non sapeva come agivano i Grigori, non ne aveva la più pallida idea, non sapeva riconoscerli e soprattutto non sapeva come si divertivano.

Senza fermarsi a dare spiegazioni, si tuffò attraverso il cancello che si stava chiudendo per la notte, e sentì le guardie allarmate che la chiamavano implorandola di tornare indietro. Per proteggere i Sigilli, i confini dell’Istituto dovevano essere bloccati di notte. Una volta chiusi i cancelli chi era dentro era dentro e chi era fuori.. doveva iniziare a pregare di poter sopravvivere fino all’alba.

Corse attraverso la strada alberata che la portava in città fino a ritrovarsi piagata in due con il fiatone e il fianco destro che le mandava fitte dolorose. Correre non era  mai stato il suo forte, nonostante James la stimolasse ad allenarsi; lei non era neanche lontanamente forte e resistente come lui, perfino Dimitri, con tutta la sua malattia aveva delle capacità fisiche maggiori delle sue. Si appoggiò ad un albero sconfitta dal bruciore ai polmoni e dalla stanchezza e cercò di riprendere fiato.

Staccarsi da lì e ricominciare a correre verso la città era difficile, i muscoli le facevano male e si contraevano in maniera spasmodica implorandola di stare ferma e di recuperare.

Spalancò gli occhi nell’oscurità mentre si rese conto che lei non sapeva nulla di Jason, anche se fosse stata in perfette condizioni fisiche per correre fino in città, lei non sapeva da dove iniziare a cercarlo; non sapeva che locali frequentava, né cosa gli piacesse fare per distrarsi.

Chiuse gli occhi e strinse tra la mani l’anello – Ti prego,  ti prego. Per una volta sola, ti prego. Aiutami. – Non sentì nulla, né avvertì alcun cambiamento nel suo corpo. L’unica cosa che le venne in mente fu una parola, appena sussurrata agli angoli della sua mente.

L’istinto.

 

Jason era seduto sullo sgabello del bar, dando le spalle al bancone, e guardò con un sorriso di scherno i clienti troppo appariscenti per quel tipo di locale. Sorseggiava la sua birra rossa, maledicendo per l’ennesima volta la situazione in cui si era ritrovato e la birra che non gli dava alcuna soddisfazione.

Aveva camminano come un ossesso per la città, scartando uno dopo l’altro i locali ultra moderni, con le loro luci al neon colorate e tavolini in alluminio e plastica, finché non aveva trovato quel pub nascosto in un vicolo laterale di una delle vie principali. Non era un tipico pub britannico, ma i vetri offuscati, le luci soffuse e basse, i tavoli in legno massiccio, e la promessa di birra fatta in casa lo avevano attirato come una calamita.

Sperava di poter respirare aria di casa, ma quel posto era un surrogato di uno dei locali a cui era abituato: i clienti erano troppo ben vestiti, i tavoli in legno scuro non avevano l’aria vissuta e opaca di chi ne aveva viste tante e la gente non cantava e scherzava in gruppo accontentandosi di stare in piccoli gruppetti ad ascoltare la band che suonava in un angolo. Sospirò, guardando il fondo del proprio bicchiere, perfino le bevande erano leggere e senza gusto; gli davano l’impressione di bere dell’acqua anziché la birra a doppia fermentazione che aveva ordinato.

Senza voltarsi, alzò il bicchiere e lo scosse verso il bancone – Un'altra! – disse alzando la voce. Una mano gli tolse prontamente il bicchiere e il barista si sporse a guardarlo – È la quinta. – disse senza preamboli. Gli angoli della bocca di Jason si piegarono in un sorriso più largo, mentre non distoglieva gli occhi da una coppia di ragazze bionde che ridacchiavano sopra un piatto di patate fritte – Ci vogliono ben più di cinque birre per crearmi qualche problema, e poi, - disse, alzando le spalle – Sono a piedi, il massimo che posso fare è addormentarmi nell’angolo di qualche strada o provarci con qualche ragazza non proprio bellissima. – rise alla propria battuta e si voltò a guardare il barista che lo fissava corrucciato – Per ora mi accontento di un’altra birra. Scura stavolta, possibilmente Guinness! – senza aspettare la risposta si voltò nuovamente la sala; le due biondine che aveva adocchiato ora stavano ridacchiando alla battuta di un ragazzo che gli si era affiancato. Jason osservò il terzetto qualche altro minuto, ma perse interesse quando le due ragazze si alzarono e seguirono il tipo verso un altro tavolo, dove li aspettavano altri cinque ragazzi.  Devo fare i miei complimenti a quelle due, pensò, paghi uno, prendi sei. Un acquisto niente male.

La serata iniziava a stancarlo, e si chiese distrattamente se girare senza meta per la città o tornare all’Istituto a parlare con Will, non fosse uno svago migliore di quello che aveva trovato fin ora. Non ne poteva più di guardare ragazzi sbavanti su minigonne e ragazze che giocavano a fare le preziose per poi cedere dopo neanche mezzora. Conosceva quel gioco, e sapeva che meno della metà di loro, il mattino dopo, si sarebbe ricordato il nome del proprio partner. Appoggiò i gomiti sul bancone e sperò che un miracolo lo strappasse alla noia mortale che quella città gli stava regalando, quando una ragazza con i capelli color miele scuro e gli occhi azzurri gli si parò davanti – Ciao, – disse attaccando bottone – Sono Miriam, sei nuovo di qui? Non ti ho mai visto. – Jason sorrise e si raddrizzò immediatamente – A dir la verità si, sono nuovo in città. – sorrise e bevve metà birra in un sorso, mentre Miriam si avvicinò di un altro passo. Jason sentì il profumo di sapone alle rose, misto a qualcosa che non aveva mai sentito prima, qualcosa che gli fece girare la testa e accelerare i battiti del cuore – Se vuoi compagnia, – proseguì Miriam facendogli un largo sorriso e mostrandogli i denti candidi e regolari – Io e le mie amiche tra poco andiamo in un posto migliore. Puoi unirti a noi se lo desideri. – fece un gesto in direzione di un tavolo dove cinque ragazze gli fecero cinque identici, candidi sorrisi e Jason le squadrò da capo a piedi con quel poco di autocontrollo che gli era rimasto. Erano tutte bellissime, con capelli che andavano dal caschetto corto nero, a morbidi boccoli biondo platino, e tutte, interamente vestite di rosso sgargiante. Jason si ritrovò a distogliere a fatica lo sguardo per tornare a concentrarsi su Miriam che teneva gli occhi puntati su di lui, talmente vicina che Jason sentiva il suo cuore battere e il calore emanato dalla sua pelle bronzea; se si fosse mosso di un centimetro avrebbe potuto toccarla – Perché siete tutte vestite di rosso? – fece fatica a riconoscere la propria voce per quanto era roca. Miriam gli mise una mano sul petto e giocherellò un po’ con la cerniera della felpa di Jason e sentì gli occhi di tutto il locale puntati addosso – Diciamo che ci piace vestirci di rosso, è il colore della passione e della sensualità, no? – un campanello d’allarme suonò nella testa di Jason e gli disse di mettere spazio tra lui e quella donna sfacciata – È anche il colore della vita, del fuoco e della distruzione. – precisò Jason, guardandola in faccia e sentendo l’eccitazione e la tensione salire, anche Miriam era bellissima, il seno della ragazza gli sfiorava il braccio e l’abito rosso attillato che indossava gli arrivava a metà coscia. Deglutì, sentendosi la bocca secca, quella ragazza era tutto ciò che un uomo desiderava, e se Jason l’avesse conosciuta meglio, era sicuro, sarebbe risultata anche simpatica. Voleva dirgli di si con tutte le sue forze, ma qualcosa lo trattenne, mettendolo in guardia.

La porta di ingresso del pub scampanellò e Miriam si raddrizzò immediatamente, ed entrambi osservarono la nuova arrivata. Se Jason aveva considerato Miriam eccitante, nulla era a confronto della donna che era appena entrata. Le gambe erano incredibilmente lunghe e affusolate, e calzavano un paio di decolté rosse fiammanti. Jason si ritrovò a trattenere bruscamente il fiato, mentre la risaliva con gli occhi: portava una minigonna inguinale nera e un top rosso che lasciava intravedere il seno abbondante bianco latte. Quando la guardò in volto, le vene gli si incendiarono di desiderio; il viso era un ovale perfetto, incorniciato da capelli rosso fuoco e gli occhi verde scuro erano accesi di malizia, mentre percorreva con lo guardo il locale che, completamente in silenzio, la fissava apertamente. Jason notò distrattamente un paio di ragazzi piegare la testa per guardare sotto l’orlo della gonna e sorrise, li avrebbe imitati volentieri, solo per scoprire il tipo di biancheria che portava una donna del genere, ma i suoi occhi erano incatenati a quelli verdi. Voleva vederla camminare, voleva sentirla parlare e sentiva il bisogno di sentire il suo odore e di toccarne la pelle, solo così sarebbe riuscito a calmarsi, lo sapeva: il suo era un bisogno prioritario.  

La donna scoccò un rapido sguardo nella sua direzione e corrucciò la fronte quando vide Miriam irrigidita accanto a lui. Jason chiuse gli occhi, ricordandosi improvvisamente di respirare, quella donna bellissima aveva il fascino di un serpente velenoso, peccato che lui amasse giocare con i serpenti. Quando riaprì gli occhi, Miriam non era più accanto a lui, ma insieme alle sue amiche e guardavano tutte insieme la donna adoranti. Senza attendere oltre, la rossa si mosse nella direzione del bar, nonostante i tacchi vertiginosi, camminava con grazia e sicurezza, guardando dritto davanti a sé, senza curarsi delle occhiate velenose delle ragazze e di quelle sbavanti dei ragazzi, fino a trovare posto sul bancone del bar a un paio di posti di distanza da dove si trovava Jason.

Scosse la testa, quando il profumo che aveva sentito addosso a Miriam tornò più forte di prima, soffocandogli l’olfatto e offuscandogli la vista. Si sentiva avvolto dalla presenza schiacciante di quella donna, mentre il suo campanello d’allarme pulsava talmente tanto forte alla base del cranio da renderlo instabile sulla sedia.

- Sei solo? – quella voce era musica, una delle più belle che avesse mai sentito, e il cuore di Jason mancò un paio di battiti per la sorpresa quando si accorse che quella donna non parlava con lui, ma con il tizio totalmente sfigato, che balbettava rosso in viso sulla sedia accanto

- S-si. Sono solo, p-perché gli  altri stasera d-dovevano lav-lavorare. – Jason per poco non scoppiò a ridere crudelmente. Poche volte nella vita capitava che una donna del genere che ti rivolgesse la parola, se poi quell’opportunità andava sprecata balbettando e massacrando la propria cravatta, le possibilità di combinarci qualcosa scendevano a meno di zero, ma sembrava che alla donna non importasse molto e gli fece un sorriso, incitandolo a proseguire – Dove lavori? Mi sembri un tipo molto intelligente, sicuramente farai un lavoro di gran importanza. In banca? O un ricercatore, magari? – parlava a bassa voce, vicinissima a quell’uomo che si era già slacciato il primo bottone della camicia e allentato la cravatta. – N-no, cioè si. Lavoro in quel gran complesso fuori città, come ricercatore, ma non posso dire nulla di più. – per un secondo Jason ebbe l’impressione che negli occhi di quella donna si fosse accesa la luce del trionfo, ma la sensazione scomparve quando il sorriso della donna si allargò fino ai molari e lui si perse di nuovo nel suo profumo  avvolgente. – Io sono Ismael. – disse la donna suadente – Ti prego, so che è tutto top secret, ma sono sicuro che un uomo importante come te può dirmi qualcosa anche di piccolo, senza farsi scappare segreti troppo importanti. Io adoro quel complesso e mi piacerebbe lavorarci. – Jason sapeva che avrebbe dovuto sentirsi allarmato da ciò che stava ascoltando, ma la testa era completamente svuotata e sperava ardentemente che quella donna non smettesse di parlare.

L’uomo scosse la testa, visibilmente nervoso – Ci sono troppe orecchie in giro. – sussurrò - Sai, questione di sicurezza, chiunque potrebbe essere una spia. – le fece l’occhiolino e a Ismael scappò una risata che a Jason fece rizzare i peli sulla nuca – Certamente, capisco. – accorciò le distanze, fino a trovarsi a pochi millimetri dalle labbra di quell’uomo – Allora che ne pensi se ci appartiamo da qualche parte e stiamo un po’ tra noi?

L’uomo annuì vistosamente e senza pensarci due volte abbandonò sul  bancone una banconota a cinquanta euro – Il resto mancia. – disse prendendo sotto braccio la donna e lasciandosi trascinare fuori. Prima di uscire Ismael scoccò un’occhiata complice a Miriam e alle sue amiche, che rimasero rigide e composte al loro posto. Un ape regina che comanda a bacchetta le sue operaie, pensò Jason una volta che Ismael si fu allontanata e i pensieri gli si schiarirono. Miriam lo aveva messo alle corde e se non si fosse distratta mentre lo circuiva a quest’ora sarebbe con quel gruppo di ragazze interamente vestite di rosso. Gli occhi volarono nella loro direzione, senza i sensi offuscati non le trovava più così belle, i volti erano troppo truccati, e i vestiti talmente tanto scollati o aderenti che non lasciavano spazio all’immaginazione, in oltre, i sorrisi che prima aveva trovato accattivanti ora erano smaliziati e crudeli, sotto sguardi rapaci che percorrevano la sala in cerca di nuove prede. Con la mente lucida e all’erta Jason decise di tornare all’Istituto e di parlare con Louisa di ciò che aveva origliato, forse quella donna voleva solo una preda facile, ma il sesto senso gli diceva che Louisa e i Sigilli erano in pericolo.

Tirò fuori il portafoglio – Hei! – urlò al barista, contando rapidamente i soldi che gli doveva – Vuoi muovere il culo? Qui c’è gente che deve correre. – l’uomo che gli aveva servito le birre gli si piantò davanti e lo afferrò per la felpa, sollevandolo di un paio di centimetri – Chi è che deve muovere il culo, ragazzino? – Jason gli afferrò le ultime dita della mano e gliele torse fin quando l’uomo lo lasciò andare sbiancando di colpo – Cerchi rogne, moccioso? – urlò l’uomo massaggiandosi le dita e Jason gli sorrise lisciandosi la felpa sgualcita – A dir la verità volevo pagare il conto, ma sei così lento e ottuso che l’inflazione sarà salita alle stelle e ciò che ho in mano non vale più nulla. – il barista lo squadrò dall’alto in basso e poi scrollò le spalle – Vattene, e non mettere più piede qui dentro.

Jason scoppiò a ridere sguaiatamente, dondolandosi sui talloni – Mi piace questo posto, ha quell’aria scura e tetra da film vecchio stile. Sai, dove ti aspetti sempre che scoppi una rissa in qualsiasi momento. Quindi, visto che non è successo nulla di interessante, tanto vale divertirsi, no? Ma forse sei così lento che non riusciresti a prendermi neanche se mi muovessi a rallentatore. – il volto del barista cambiò colore velocemente, passando dal bianco, al rosso, per poi fermarsi sul viola intenso – Andiamo fuori moccioso, non ho alcuna intenzione di rovinare qualcuna delle mie sedie spaccandotele addosso. Penso che il cemento sia più che sufficiente per un pallone gonfiato come te. – Jason fece segno di fargli strada quando la porta scampanellò di nuovo ed entrò Louisa con le guancie arrossate e con il fiatone. Lo sguardo di Jason corse rapidamente la sala fino alle ragazze vestite di rosse, che osservavano attentamente Louisa, scambiandosi gesti eloquenti. In quattro passi, percosse la percosse tutta fino a ritrovarsi accanto a Louisa con la discussione avuta pochi secondi prima con il barista relegata in un angolo della mente – Che ci fai qui, stupida? Devi andare via. Subito. – la afferrò per un braccio, mentre lanciava un ultimo sguardo a Miriam e alle sue amiche.

- Jason! Dobbiamo andare subito all’Istitu- uhmm. – senza pensarci due volte Jason gli coprì la bocca con la mano, impedendole di completare la frase che avrebbe firmato la loro condanna, non gli piaceva per nulla l’occhiata insistente che Miriam stava lanciando a Louisa e gli piaceva ancora meno il fatto che Ismael fosse sparita con quel tizio quando aveva nominato l’Istituto.

- Noi andiamo via, Louisa. Sono stato chiaro? Non mi fai domande, non chiedi spiegazioni, ti giri e torni da dove sei entrata. Chiaro? – Louisa annuì con gli occhi grigi spalancanti per la sorpresa e Jason allentò lentamente la presa sulla sua bocca. Senza fargli domande Louisa si girò e gli obbedì, lui riuscì a sentirne il cuore battere all’impazzata contro la gabbia toracica e si chiese cosa le fosse successo per agitarla in quel modo. Erano arrivati alla porta del pub quando un urlo lacerò l’aria e Louisa scattò in avanti prima che lui potesse trattenerla – Louisa! Aspetta! Maledetta stupida ragazzina! – diede un calcio furioso contro il portaombrelli e corse fuori all’inseguimento di Louisa, attraversando senza guardare la strada principale, per poi inoltrasi in un altro vicolo, più stretto e scuro rispetto a quello di prima. Quando la raggiunse, Louisa era in ginocchio che vomitava in un vaso di piante morte, mentre qualcuno nell’ombra singhiozzava istericamente tenendo una palla in mano – Louisa che ti prende? – le mise una mano sul fronte, aiutandola a tenere indietro la testa, ignorando il liquido scuro sul cemento e l’odore metallico che pervadeva l’aria. L’odore acido del vomito, mischiato a quello più persistente gli diede la nausea, ma trattenne i conati con un profondo respiro, concentrandosi su cose più importanti – Louisa! Ho bisogno che tu ti riprenda! Non posso portarti via se vomiti anche il pranzi della scorsa settimana, attireresti l’attenzione. – sentì il corpo della ragazza accasciarsi tremante contro il suo e Jason la prese tra le braccia, notando solo allora che i vestiti di Louisa erano macchiati di rosso scuro. – Che è successo? Sei ferita? – Louisa alzò lo sguardo su di lui, con gli occhi sgranati più che mai – C’è un sacco di sangue qui. Si dice sanguinare come un maiale, no? Non ci può essere tutto questo sangue in un corpo umano. Cinque litri, sono solo cinque litri! Questi sono di più. Il vicolo è pieno di sangue. – Louisa si prese la testa tra le mani, macchiandosi il viso di rosso. Jason spalancò gli occhi a quelle parole e si guardò intorno. Prima non lo aveva notato, preso com’era da Louisa, ma dietro un cassonetto della spazzatura spuntava un corpo e ne riconobbe i vestiti.

Ogni cosa andò a posto nella sua mente. I vestiti, il sangue, il vicolo, la palla che teneva la donna singhiozzante.

- Louisa! Dobbiamo andare via! – perché quella che teneva in mano la donna non era una palla, ma una testa.

La testa dell’uomo che aveva visto sparire con Ismael.

 

Sangue. L’unica cosa che riusciva a vedere Louisa era il rosso scuro del sangue.

Cinque litri. Cinque litri!

La sua mente urlava quel dato, come una scappatoia. Un dato letto su un libro di medicina doveva per forza essere veritiero. Allora perché per terra c’era tutto quel sangue? Una macchia grande, che toccava i muri in pietra che delineavano il vicolo e arrivava fin dove si trovava lei. Lambendola, toccandola, aggirandola, permeando con il suo odore dolciastro e metallico tutti i pori della pelle di Louisa fino a saturarli. Quel sangue era troppo. La macchia era troppo larga, troppo vischiosa. Troppo nera.

Cinque litri, ricordò la sua testa.

Louisa non resistette più all’impulso e si piegò in due per dare di stomaco. Sentì una mano premerle gentilmente sulla fronte e trattenerla, mentre vomitava il contenuto dello stomaco fino a svuotarlo del tutto, ma anche dopo i conati con si fermarono, continuandola a farla sussultare a intermittenza. – Che è successo? Sei ferita? – la voce di Jason le arrivava lontana e distorta, come se ascoltasse una radio sintonizzata male. Si voltò a guardarlo, ma la testa era pensate e il viso del ragazzo ondeggiava davanti ai suoi occhi e gli strinse convulsamente la maglia – C’è un sacco di sangue qui. – disse con la voce rotta tra un respiro affannoso e l’altro -   Si dice sanguinare come un maiale, no? Non ci può essere tutto questo sangue in un corpo umano. Cinque litri, sono solo cinque litri! Questi sono di più. Il vicolo è pieno di sangue. – si afferrò la testa, che pulsava talmente tanto forte che a Louisa parve che stesse per scoppiare e si appoggiò contro Jason sentendone l’odore di salsedine e felci che permeava i vestiti e la pelle del ragazzo, e iniziò a respirare profondamente contro i suoi vestiti, cercando di calmarsi.

- Louisa! Dobbiamo andare via! – il tono urgente nella voce di Jason la scrollò da capo a piedi e lei spalancò gli occhi – Riesci a camminare? – Louisa provò a rimettersi in piedi, ma come si staccò la corpo di Jason, le gambe ricominciarono a tremare e i conati la colpirono allo stomaco come un pugno, minacciandola di farla vomitare di nuovo nonostante non avesse più nulla da rimettere. Jason la prese per le spalle e l’aiutò a sorreggersi e Louisa si sentì immediatamente meglio sentendo il peso caldo delle mani del ragazzo sulle braccia. – Non credo di riuscire camminare. Non ora almeno. – Jason annuì e le diede le spalle, piegandosi sulle ginocchia – Passami le mani dietro al collo. – disse semplicemente – Ti porto io finché non ti sentirai meglio. – fece un mezzo passo indietro, ma i singhiozzi di quella povera disgraziata e l’odore del vicolo la spronarono ad affidarsi a Jason, voleva andare via immediatamente. Obbedì e sentì Jason prenderla per le gambe e tirarla su senza fatica. Seppellì la testa tra le spalle di Jason, mentre lui lasciava il vicolo, senza voltarsi indietro – Dovremmo fare qualcosa per lei. – disse Louisa dopo qualche minuto lasciandosi confortare dal passo sicuro di Jason – Per la donna del vicolo intendo. – le si strinse in cuore sapere che lei non era stata abbastanza forte da poterla consolare, ben sapendo di essere scappata come una codarda.

- Il mio compito è quello di tenere in vita te, non fare da psichiatra a lei, chiamerò i soccorsi quando tu sarai al sicuro. Quello che non capisco è perché non c’erano curiosi? Quella donna ha urlato, no? L’hanno ignorata tutti? – la voce di Jason era senza sforzo e Louisa si strinse ancora di più a lui, ammirando la forza di volontà che il ragazzo mostrava in quel momento.

- Probabilmente il suo urlo non era così forte. Ricordati che ora hai i sensi più sviluppati, l’abbiamo sentita urlare nonostante il rumore del pub e una strada trafficata in mezzo. – si sentiva sonnolenta tra le braccia di Jason, ogni dolore, fisico e mentale con lui stavano pian piano svanendo, sostituita da una normale stanchezza di una giornata incredibilmente lunga. Se quello che i Custodi sospettavano era vero, Louisa stava vivendo sulla sua pelle il potere dell’emanazione del Sigillo del Quinto Cielo.

- Perché sei corsa da lei?

Louisa batté le palpebre un paio di volte, stupida da quella domanda – Perché è nostro compito, no? Aiutare chi è più debole.

- E l’hai aiutata vomitando nelle piante morte? – chiese Jason pungente, Louisa sobbalzò leggermente quando Jason si sistemò meglio il carico sulla schiena.

- No. – disse reprimendo un singhiozzo - Io sono debole. So di esserlo, tu non saresti in questa situazione se non fosse per colpa mia.

- Già, ma se non ci fossi stata, probabilmente sarei morto. E per quanto riguarda il morto del vicolo, non pensarci troppo. Tu non puoi farci nulla e io dovevo portarti via da lì il prima possibile. – Louisa alzò la testa per fissarlo in mezzo alle  scapole – Che vuoi dire con “non pensarci troppo”? – chiese più burbera di quanto non volesse. Jason la mise giù con un sospiro triste e Louisa lo vide passare un fazzoletto sotto la fontanella accanto a loro, per poi passarglielo delicatamente sul viso. Quando lo ritrasse era roseo e Jason lo gettò senza cambiare espressione nel cestino, per poi farle cenno di montargli di nuovo sulla schiena. Louisa obbedì, stupida dalla gentilezza e dalla delicatezza del tocco del ragazzo, troppo esausta per protestare.

- Louisa quello che sto per dirti non ti piacerà. Quel  tipo se l’è andata a cercare, visto che ha sbandierato ai quattro venti che lavorava all’Istituto con una perfetta sconosciuta. I vostri addetti alla sicurezza non conoscono molto bene il concetto di top secret. – Louisa si irrigidì sulla schiena di Jason – Hai appena detto che il tipo che hanno ucciso lavorava all’Istituto?

- Si.

- Impossibile.

Jason sbuffò sonoramente – Puoi anche non credermi per quel che me ne frega, dico solo che..

- Non hai capito, Jason. – si affrettò a precisare Louisa – Nessuno che lavora all’Istituto esce dopo il calare del sole, fa parte del sistema di protezione per i Sigilli. I cancelli vendono chiusi e non vengono riaperti prima dell’alba. Non so spiegarti molto bene. In pratica con i cancelli chiusi, i confini formano un circolo, una barriera intrecciata con parole scritte nella lingua del Cielo che tengono lontano gli attacchi dei Grigori.

- E i Grigori attaccano solo di notte? Peggio che in un film di serie B. – Louisa lasciò scorrere via il commento sarcastico di Jason, respirando a fondo il profumo della sua felpa, non sapeva perché, ma iniziava ad associarci cose belle e tranquillizzanti, come quella camminata con Jason – I Grigori non attaccano solo di notte, ma noi abbiamo bisogno di dormire, e non possiamo sempre tenere tutto sigillato per paura che ci attacchino. Visto che abbiamo questa soluzione tanto vale sfruttarla. Comunque tornando a prima, nessuno che lavori all’Istituto esce di notte. E nessuno è così stupido da dire in giro che lavora nell’Istituto, quindi.. – Louisa fece mentalmente due più due e il sangue le defluì dal viso, mentre Jason contemporaneamente si bloccò sul marciapiede – Quindi il tizio che è morto voleva solo farsi bello davanti a quella donna, raccontando un sacco di balle. – concluse tristemente Jason per lei.

Louisa chiuse gli occhi, rivivendo dentro di sé il terribile momento in cui aveva trovato il corpo e tremò contro la schiena di Jason, sconvolta dalle parole crude del ragazzo – Che hai? – chiese Jason, riprendendo a camminare – Da quello che mi hai detto sapevi che razza di esseri sono i Grigori. – Louisa sentì il battito del cuore di  Jason, forte e vigoroso, rimbombare nella cassa toracica – Siamo solo degli esseri umani, Jason. – l’odore del sangue le riempì nuovamente le narici, e vide di nuovo quella macchia nera allungarsi inesorabile verso di lei – Non siamo nulla di più. Saremo anche delle emanazioni angeliche, ma non siamo freddi e distaccati. – soffocò un singhiozzo– Mi sento ancora il suo sangue addosso accusarmi di non essere stata capace di proteggerlo. – calò il silenzio a quelle parole, mentre Louisa cercava di calmarsi e di trattenere le lacrime.

- Sapevi che una guerra porta delle vittime. – disse infine Jason – Bisognava solo che qualcuno cominciasse.

- Non avevo mai visto nessuno morire. Non sapevo quanto male potesse fare, né quanto impotente potesse farmi sentire.

- Mai? – ripeté Jason con lo stupore nella voce – Neanche un lontano parente? Un amico? Avrai visto un funerale mentre passeggiavi, no?

- A parte mia madre e i Custodi, non ho mai conosciuto nessuno altro. Non ho mai messo piede fuori dall’Istituto prima di andare in Scozia. – le si formò un groppo alla gole e non riuscì a proseguire – Fammi capire bene, - disse Jason fermandosi e mettendola giù di nuovo – Non sei mai uscita dall’Istituto? – si voltò a fissarla, il suo sguardo era talmente tanto intenso che Louisa fu costretta ad abbassare gli occhi, per sfuggire ai suoi e annuì tristemente. Jason le mise una mano sotto il mento e la costrinse a guardarlo – E vuoi comunque stare lì? – i polsi le tremarono leggermente. No! Urlò a gran voce la sua testa. Non voleva passare tutta la vita all’Istituto ad aspettare che i suoi poteri si facessero vivi. Voleva uscire, voleva vedere altri posti, conoscere altre persone – È la mia casa. – si costrinse a dire – L’unico posto che abbia mai conosciuto e dove mi sento al sicuro. – Louisa si guardò intorno: riconosceva il viale alberato in cui si trovavano, collegava l’Istituto alla città e con la coda dell’occhio poteva vederne le luci. Ispirò bruscamente per la sorpresa – Quanta strada hai fatto in poco tempo, Jason? Per arrivare in città ciò messo più di tre ore.

Jason sghignazzò – Cammino veloce, e poi ti sei addormentata un paio di volte. – incrociò le braccia al petto – Te lo hanno mai detto che russi?

Louisa pestò i piedi a terra – Io non russo! Come ti permetti di dirmi.. – Jason la zittì mettendole l’indice sulle labbra – Oh, si che russi, la prossima volta ti registro. Sembrava di ascoltare un elefante in agonia. La cosa peggiore che io abbia mai sentito.

- Io non russo. – disse lei decisa, mentre Jason le dava le spalle e si inoltrava tra gli alberi – Beh, che vuoi fare? – domandò lui da sopra la spalla – È ancora notte e a quel che hai detto non possiamo tornare all’Istituto fino all’alba. Tanto vale che ti godi questo momento di libertà.

Louisa rimase sul ciglio della strada a fissare le spalle larghe di Jason – Ma è appena morta una persona. – sussurrò, talmente tanto piano che non era convita di aver dato voce al pensiero. Il ragazzo si voltò e le tese la mano nell’oscurità degli alberi – Fa parte del passato. Sei stata male, ci hai pianto su, ma non puoi far più nulla per lui. Puoi solo andare avanti e diventare più forte o crollare. Sta a te la scelta. – guardò la mano che le tendeva, era grande, con le dita lunghe e agili, senza pensare Louisa si allungò per prenderla – Che intenzioni hai? – la mano era calda e la presa forte e sicura, e Louisa arrossì lievemente rendendosi conto che non voleva lasciare una cosa che le trasmetteva tanta sicurezza. Jason scoppiò a ridere mentre la guidava verso alberi più fitti – Ti insegno a goderti un po’ la vita. – rispose lui, spingendola contro un albero e bloccandole ogni vita di fuga.

Louisa deglutì e guardò Jason, gli alberi non lasciavano passare abbastanza luce e lei non riusciva a decifrare le espressioni sul suo viso, ma non poteva credere che Jason stesse veramente insinuando di.. – No. – la protesta le uscì prima che lei potesse finire di articolare i pensieri e cercò di spingerlo via con tutte le sue forze e sentì il petto di Jason vibrare in un risata inespressa – Che cosa hai capito, stupida. Voglio solo insegnarti ad arrampicarti sugli alberi. – Louisa batté gli occhi, come le mani ancora sul petto di Jason – Oh. – si ritrasse immediatamente e ringraziò il cielo che fosse troppo buio e che Jason non potesse vedere quanto rosso fosse il suo volto – Sai che sei luminosa al buio? Sei talmente tanto rossa che emetti luce.

- È una bugia! Non è possibile che succeda una cosa del genere.

- Lo so, – il respiro del ragazzo era a un passo dal suo orecchio – Volevo solo avere la conferma del averti messo in imbarazzo.

- Sei un cretino! Non si fanno scherzi del genere. – incrociò le braccia al petto e lanciò a Jason la sua migliore espressione furiosa.

- Sei tu che hai capito male. – ribatté Jason – Io non ho fatto nulla. – Louisa si trattenne dal dargli una rispostaccia, poteva immaginarselo bene ammirarsi le unghie,  mentre la prendeva in giro – Tu parli per doppi sensi! È logico che poi una persona fraintende quando la sbatti contro un albero! – sentì il respiro di Jason sul viso e il calore provenire dal suo corpo, e Louisa desiderò ardentemente mettere più spazio tra loro due – I doppi sensi sono il pepe della vita, – le sussurrò – E tu sei troppo maliziosa. Su, coraggio, l’albero non si scala da solo, e io non ti porto su.

- Che dovrei fare? – chiese Louisa accettando di buon grado la scappatoia che Jason le stava dando.

- Vedi quel ramo alla tua destra? Quello più basso? – Louisa alzò la testa, seguendo l’indicazione che Jason le aveva dato, vedeva qualcosa di scuro tra le foglia, una macchia nera che si confondeva tra le altre – Non è  pericoloso salire sugli alberi di notte? – deglutì, quel ramo era almeno a tre metri e mezzo da terra, e Louisa dubitava fortemente di poterci arrivare.

- È pericoloso. – confermò Jason -  Ma sei con me, quindi non ti succederà nulla.

Sentì il cuore mancare un battito e le si formò quel nuovo, scomodo, nodo in fondo alla gola – È la cosa più carina che tu mi abbia detto fin ora.

– Guarda che ti tengo al sicuro perché la tua vita è legata alla mia, se finisci in coma, tanto di guadagnato, almeno non devo sopportare la tua lingua lunga. – sentì un fruscio e vide l’ombra di Jason farsi più vicina – Che stai facendo ora? – domandò Louisa, mentre il ragazzo la faceva girare, scambiandosi i posti, ora era lui a dare le spalle all’albero e Louisa poteva tranquillamente fuggire da quella situazione imbarazzante.

- Metti un piede sulle mie mani intrecciate e poi sali sulle spalle, se perdi l’equilibrio ti tengo io, ok? – obbedì alle sue indicazioni, e sentì Jason aiutarla, spingendola verso l’alto. Afferrò il tronco dell’albero con entrambe le mani, per evitare di cadere in avanti e solo allora si accorse di quanto dovesse essere imbarazzante la situazione – Non alzare la testa. – sussurrò tenendo più forte la corteccia – Se lo fai ti uccido. – la risata di Jason le risalì le gambe, facendola ondeggiare per qualche secondo – Perché? Porti i pantaloni, non si vede nulla.

- Non importa! Tu non farlo e basta!

- Sei maliziosa, – disse Jason, dalla voce si sentiva che sorrideva – Sei incredibilmente maliziosa per essere un Sigillo. Comunque, ora che sei sulle mie spalle, dovresti riuscire a raggiungere il ramo. Riesci a tirarti su? – Louisa aveva il ramo poco meno di un mezzo metro dalla sua testa – Ma se non riesco neanche a correre senza farmi venire il fiatone, pensi d’avvero che riesca a issarmi su un albero? – l’irritazione correva a fiumi nelle vene, quella situazione iniziava a diventare ridicola in una maniera alquanto preoccupante – E poi, perché devo salire su un albero? – sbottò, prendendo il ramo con entrambe le braccia e cercando di fare forza fino a ritrovarsi in punta di piedi sule spalle del ragazzo. Le mani di Jason le presero la pianta dei piedi, e la spinsero in su, e Louisa, facendo appello a quel poco di forza che aveva sulle braccia riuscì a mettersi seduta sul ramo. Chiuse gli occhi, cercando di riprendere fiato, sentiva il cuore batterle in maniera spiacevole in gola. Fece un paio di respiri profondi e aprì gli occhi, le gambe di Jason penzolavano nel vuoto davanti a lei, mentre il ragazzo era seduto comodamente su un ramo poco più alto del suo – Prima mi hai chiesto perché, vero? – domandò Jason guardando un punto davanti a sé – Perché il mondo ha un aspetto diverso quassù. Più pulito, più normale. Più bello. Cerco sempre posti alti quando devo pensare, mi aiuta a scacciare i brutti pensieri.

Louisa guardò giù, non erano molto in alto, ma essere continuamente punzecchiata da Jason le aveva fatto bene. Ora aveva la mente più libera – Jason, volevo chiederti: tu pensi? Voglio dire hai un cervello funzionante sotto quella testa dura e arrogante che ti ritrovi? – sorrise alle foglie davanti a sé, doveva togliersi qualche piccola soddisfazione e Jason gliel’aveva appena fornita su un piatto d’argento. Incredibilmente Jason scoppiò a ridere, e Louisa vide l’ombra del ragazzo accasciarsi contro il tronco principale, scosso da risate convulse – A volte, - disse tra un singhiozzo e l’altro – Capita anche a me. Ma ora proseguiamo, questa era la prima tappa e la più facile. Saliamo un altro po’. – Louisa lo guardò incredula. Salire ancora? Già era stata una faticaccia raggiungere quel ramo, come poteva lui pretendere di farla proseguire? Si voltò per dire a Jason che non se ne parlava proprio, che stava bene su quel tronco, ma lui era già sparito – Jason? – domandò all’oscurità, sentì un fruscio alla destra dietro di sé, Jason era in piedi appoggiato al tronco – Ma come fai? – domandò mettendosi una mano sul cuore – Mi hai fatto prendere un colpo. – respirò profondamente e si diete della stupida. Lei era un Sigillo. Non poteva sobbalzare a ogni suono sinistro o scricchiolio – Come faccio a fare cosa? – la voce di Jason era profonda a roca e a Louisa si seccò la bocca – A essere così veloce nello spostarmi? Mi hai detto tu che ora ho la velocità di voi Sigilli, e tu, tecnicamente dovresti essere veloce così. – Louisa strinse le mani a pugno e si appoggiò contro il tronco – Beh, non lo sono, – sbuffò, ferita – Ma a quanto pare tu sei un Sigillo nato, vai a farti bello da qualche altra parte, grazie. – avrebbe volentieri continuato a insultare Jason se lui improvvisamente non fosse atterrato sul suo ramo e non l’avesse afferrata, portandola più in alto. Quando Louisa riaprì gli occhi, Jason era di fronte a lei e le tappava la bocca con una mano, mentre le faceva segno di tacere. Spaventata si guardò intorno, erano in alto, molto in alto e non capiva perché lui l’avesse portata su quel ramo striminzito, e non era sicura  che potesse sostenere entrambi. Stava per mettersi a urlare di riportarla immediatamente a terra quando lo sentì: un pulsare sordo alla base del cranio che le aprì immediatamente tutti i sensi. Dopo qualche minuto di silenzio assoluto apparvero sotto di loro delle voci che ridevano e parlavano sguaiatamente e Louisa si irrigidì spaventata.

- Siete sicure che fosse una di loro? – domandò una voce diversi metri sotto di loro. La testa di Louisa girò violentemente e iniziò a tremare, contro l’albero, talmente tanto forte che si chiese come mai non la sentissero. Jason fece un mezzo passo verso di lei, e la inchiodò contro l’albero, rigido e con i muscoli tesi, pronto ad un eventuale scontro.

- Si signora, una mocciosa sciatta, accompagnata da un ragazzo così bello che volevamo portarvelo, mia signora. – l’altra risuonava piena di deferenza e di timore.

- Come facevate ad esserne sicure?

 – Avevamo qualche dubbio, ma poi lei è scappata fuori quando ha sentito urlare, e nessuno, a parte noi e i Sigilli, poteva sentire quel grido. – lo schiaffo suono nitido e secco nell’aria e Louisa tremò contro il petto di Jason, incapace di qualsiasi pensiero razionale. Voleva scendere, e allo stesso tempo voleva rimanere al sicuro lassù.

- Ve la siete lasciata scappare? – la prima voce era talmente tanto alterata che a Louisa parve uno stridio per le orecchie, ed ebbe il violento impulso di tapparsele per non continuare ad ascoltarla.

- M-ma mia signora Ismael! Correva nella vostra direzione! E quell’uomo ha detto che veniva dall’Istituto, pensavamo che lei volesse aiutarlo, oppure seppellirlo..– al nome di Ismael Louisa tremò più violentemente che mai, lei non era un Grigorio qualsiasi, ma uno dei primi sette ad abbandonare il Primo Cielo e il loro compito di guidare gli uomini. Sentì distrattamente Jason stringerla a lui e lei gli mise le mani sul petto, scavando con le unghie per sfogare paura e frustrazione.

- Trovatela! Trovatela prima dell’alba o giuro che vi darò ad Astarte e ad Azazel perché giochino con le vostre viscere! – Louisa sentiva la rabbia e l’odio del Grigorio arrivare a lei a ondate accompagnato da un profumo delizioso, un misto di cannella e fiori, che la facevano sentire con la testa leggera e vuota. Se non avesse vinto la paura, probabilmente sarebbe scesa a controllare da dove arrivasse. Spalancò gli occhi, quando si rese conto che stava respirando contro il petto il Jason e sentiva il suo fiato sul collo. Ogni terminazione nervosa del suo corpo era consapevole della presenza del ragazzo premuto contro di lei, e inviavano costantemente segnali al suo cervello fino a mandarlo in tilt.

Voleva sentire meglio l’odore del corpo di Jason senza quella felpa in mezzo e voleva assaggiarne il gusto, dal centro del torace fino al collo, per poi mordicchiargli il mento ruvido per la barba sfatta. E più di ogni altra cosa, voleva baciare quelle labbra che gli respiravano addosso. Gli sarebbe bastato alzare la testa per averlo.

Doveva solo tirare su la testa.

Scattò all’indietro violentemente, e se Jason non l’avesse trattenuta, sarebbe caduta dall’albero. Le mise un dito sulle labbra, intimandole di continuare a tacere e lei ebbe il violento impulso di staccarglielo a morsi, prima di alzare gli occhi su di lui. Jason era serio e fissava con talmente tanta intensità il tronco sopra la testa di Louisa che non era sicura che lei lo stesse veramente guardando.

- Sono andate via, – disse Jason sottovoce – Non le sento più. – Louisa ci mise qualche secondo a registrare quello che Jason aveva detto – Le avevi sentite arrivare? Come? – per un secondo vide i denti canditi di Jason balenare – Con le orecchie. Tu come ascolti di solito? – sbuffò per soffocare una rispostaccia, ma voleva seriamente prenderlo a schiaffi e farlo volare di sotto, e che finisse in pasto a Ismael!

- Louisa, – la voce di Jason cambiò radicalmente, facendosi scura e tesa – Ismael,  quella donna, chi cavolo è? – Louisa lo guardò sottecchi, ricordando come si era sentito qualche minuto prima tra le braccia di Jason e a quello che aveva desiderato fargli. Il potere di Ismael l’aveva influenzata talmente tanto da fargli desiderare Jason, non ci voleva di certo un genio per capire che cosa rappresentasse Ismael. Questo i Custodi potevano dirmelo, pensò amaramente, non ci avevano detto che vicino ai Grigori ne saremmo stati influenzati.

- Vuoi sapere chi è Ismael? – chiese Louisa guardando verso il basso – A quanto pare è l’incarnazione della lussuria, ma pare che tu non ne sia stato influenzato. O sei un maniaco incallito o sei asessuale e racconti un sacco di bugie. – fu volutamente acida e crudele, ma non poteva di certo perdonarsi per aver ceduto così facilmente al potere del Grigorio, né per aver avuto così tanta paura.

Sentì la risata bassa del ragazzo – Credi davvero che non abbia avuto effetto su di me? La domanda vera è: perché ha avuto effetto su di te? Sei o non sei un Sigillo? Non dovresti esserne immune?

Touché, si disse, lei doveva esserne immune, eppure si era sentita fragile e completamente alla mercé dei suoi istinti più profondi.

Raddrizzò la schiena e cercò di darsi un contegno, la paura di poteva vincere, anzi si doveva vincere. Se non voleva che un innocente morisse di nuovo doveva assolutamente smettere di avere paura anche della propria ombra, e iniziare a essere il Sigillo per cui era nata.

Chiuse gli occhi e l’immagine di quel poveraccio gli si stampò bene in mente – Più forte. Più coraggiosa. – sussurrò a sé stessa – Jason è ora di scendere. – disse e guardò giù. I suoi buoni propositi di essere più forte vennero messi a dura prova immediatamente. Come si scendeva da quell’albero senza rompersi l’osso del collo?

Sentì la mano di Jason sulla spalla – Sicura che vuoi scendere? Le pazze in rosso saranno ancora là sotto a cercarti. E poi condividiamo questo ramo così bello e intimo. Solo noi due. Non senti l’aria fresca della notte, i grilli che cantano, la luna sulle nostre teste. C’è tutto quel romanticume che a voi donne piace tanto. – la prese in giro volutamente, Louisa era sicura, e si chiese come facesse Jason a sapere che cosa si era immaginata lei prima. Sbuffò, del resto era un ragazzo, era nei intriso nei suoi geni essere un maniaco.

- Io non voglio condividere nulla di intimo con te. Chiaro? Che sia un albero o un fagiolo. – sbottò arrabbiata, continuando a studiare la situazione. Forse se metteva un piede su quel ramo, lì a sinistra poteva scendere.

- Un fagiolo? Ma che fantasie perverse hai?

- Io ho fantasie perverse? – sbatté il piede contro il tronco dell’albero, maledicendosi per il dolore all’alluce che si era provocata – Tu piuttosto! Che hai pensato quando ho detto fagiolo? – Jason fece per aprire la bocca, ma lei gliela tappò con entrambe le mani e scosse violentemente la testa – No! Non lo voglio sapere! Mi è bastata Ismael e il suo potere per stasera! – Jason si strappò le mani dalla bocca – Come vuoi, ma io voglio sapere le tue di fantasie perverse. Non sei stata immune a Ismael, giusto? Dimmi quali erano i tuoi pensieri. – la voce di Jason era bassa e suadente al suo orecchio, ma Louisa non ebbe alcuna voglia di cascarci. Quello che aveva immaginato se lo sarebbe portato dritto, dritto nella tomba – Mai. – disse incrociando le braccia e voltando la testa per non guardarlo – Mai e poi mai. – proseguì decisa.

- Dimmelo e io ti faccio scendere. – disse Jason sedendosi a cavalcioni sul ramo – Abbiamo ancora due e mezza prima dell’alba, ho tutto il tempo di tirarti fuori la verità. - Louisa si sedette a sua volta, in maniera molto più goffa e lenta di Jason, ma emise un profondo sospiro soddisfatto quando riuscì a mettersi nella sua stessa identica posizione – Allora possiamo passare il resto della nostra vita qui Jason Fen, perché io non te lo dirò mai. – lo fissò torva, mentre il sorriso di Jason fece capolino di nuovo - Vediamo chi dei due è più testardo allora. Andiamo, Louisa, non vuoi ordinarmi di farti scendere? Ordinarmi di non tornare più sul discorso? Scommetto che muori dalla voglia di darmi quell’ordine.

Louisa represse uno sbuffo, gonfiando le guance – No. Non voglio darti ordini se non è strettamente necessario. – Jason spalancò gli occhi visibilmente sorpreso – Perché?

Si grattò il collo, cercando si rispondere alla domanda, che cosa poteva dirgli? Che si sentiva terribilmente in colpa per quello che aveva fatto e non voleva dargli ordini? Votò per una mezza verità – Prima di salire in moto, in Scozia, mi hai detto che la coercizione a cui ti sottopongo ti fa male. – disse tenendo gli occhi fissi sul legno. Dio, quanto potevano diventare ancora rosse le sue guance? – E io non voglio. Non se non è necessario. – Jason le accarezzò la guancia con il dorso della mano e lei alzò lo sguardo – Dici sul serio? – Louisa annuì, non riuscendo a dire altro – La situazione è già difficile e non voglio farti stare peggio di quanto già non sia. E poi mi spieghi una cosa? Perché te ne sei andato? Che ti  è saltato in mente quando sei uscito dall’Istituto? – Jason strinse le spalle – Beh, visto che ci stiamo facendo le confidenze come due adolescenti te lo dico: il tuo amico mi aveva fatto girare le palle. Ti fissava come un fidanzato geloso e mi ha dato un pugno quando l’ho preso in giro. – Louisa scoppiò a ridere – James? Come un fidanzato geloso? – si asciugò gli occhi, lucidi per il ridere – James è come un fratello! Lo conosco da quando sono nata e poi lui è un Sigillo, sa che non possiamo.. – si bloccò prima di terminare la frase e deglutì, alcune cosa non poteva dirle, non ora almeno.

- Non potete che cosa? – chiese Jason allungando il collo per guardarla in viso – Che cosa non potete fare?

- Nulla. – si affrettò a dire Louisa – Nulla che ti interessi.

Jason scattò indietro e Louisa sentì il suo sguardo addosso – Ora ti faccio  una domanda e mi risponderai. Come hai fatto a trovarmi? – Louisa aprì la bocca per rispondere e poi la richiuse seccamente – Louisa. – la ammonì Jason.

- Non lo so. Ti stavo cercando, - disse stringendosi le braccia cercando di fermare i brividi di freddo che le erano venuti improvvisamente – Camminavo per la città con l’unico scopo di trovarti e avvertirti della pericolosità dei Grigori, quando ho intravisto l’insegna del pub nel vicolo, e ho sentito che dovevo entrare.

- Il Marchio è un GPS? – domandò Jason, ma Louisa non era molto convinta che la domanda fosse rivolta a lei – Non lo so. – rispose meccanicamente, frizionandosi più velocemente le braccia – Sapevo solo che tu eri lì.

- Non sai un sacco di cose. – la schernì Jason – Ma va bene così, sarà più divertente insegnarti. – si voltò verso di lui, giusto in tempo per vedere Jason togliersi la felpa e rimanere con la sola maglietta a maniche corte, bianca e aderente – C-che vuoi fare? - istintivamente si fece indietro, pregando dentro di lei di diventare il più piccola possibile – Mettiamola così: è un gioco. Tu rispondi alle mie domande e io non ti faccio i dispetti. Intanto mettiti questa prima che mi muori congelata e per ripicca mi togli il divertimento. – le allungò la felpa e Louisa la accettò guardinga – Che genere di dispetti? – se la infilò rapidamente, apprezzandone il peso leggero e il calore di cui era intrisa e vide Jason alzare le spalle – Quelli che mi passano per la testa, che ne so: ti rubo l’ultima fetta di dolce, ti costringo ad allenamenti forzati sotto la pioggia, ti lancio in piscina vestita, ti rubo un bacio, cose così.

- Tu. – iniziò Louisa scandendo bene le parole – Non. Mi. Bacerai. Mai. Stampatelo bene in mente. – Jason si fece immediatamente più vicino fino a lasciare pochi centimetri di distanza tra di loro – La mia proposta è questa: visto che non ho una fetta di dolce da rubarti, o mi dici che cosa ha pensato alla presenza di Ismael o io ti bacio. E fidati: se lo dico, lo faccio. – Louisa sentì il respiro caldo di Jason sul volto e non poté fare a meno di credergli, lui l’avrebbe baciata sul serio se non avesse detto qualcosa. Aprì la bocca per dirgli la prima stupidaggine che le venisse in mente quando un baluginio sul petto di Jason catturò la sua attenzione. Abbassò gli occhi. Qualcosa di rotondo e piccolo era legato a una catenella d’oro e brillava intensamente con la sua pietra trasparente come l’acqua – L’anello di Fen! - esclamò  prendendolo tra le mani – L’hai sempre avuto tu! –

- Ops. – sussurrò Jason

 

Dio,

per quale motivo

me lo hai fatto incontrare?

 

 

 

NAD: mamma che capitolo lungo e faticoso..cosa devo dirvi..ah sì! Su richiesta (ma chi me lo ha fatto fare?) esiste un gruppo su FB dedicata a questa storia dove verranno messi gli spoiler, degli extra che non appariranno nella storia e dei POV tagliati e scene tagliate dei vari personaggi. Per chi fosse interessato può tranquillamente contattarmi per MP.

Poi ringrazio tutti quelli che leggono e che mi fanno sempre sapere che ne pensano e vorrei anche ringraziare BBongini per aver segnalato la storia per le scelte.

Una grazie anche a chi la  ha messa tra i preferiti/seguiti/ricordati.

Khyhan

PS: un giorno risponderò a tutte le recensioni!

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Capitolo 5
*** V. Animus ***


5 - Animus

Animus

    

Abbiamo coraggio

 e preferiamo piuttosto

 essere assenti dal corpo

e fare la nostra casa

presso il Signore”

2Co 5:8

 

- Lo hai sempre avuto tu! – le mani le tremarono leggermente quando prese l’anello per guardarlo più da vicino. L’anello dello Shechaqim rifletté la scarsa luce che filtrava tra le foglie, brillando leggermente e a Louisa venne voglia di mi mettersi a ballare per la felicità, poi si ricordò che era appollaiata su un albero e si ricompose soddisfatta della scoperta. Alzò gli occhi sul ragazzo davanti a sé e lo  vide sorridere sornione. Di colpo si ricordò che cosa lui le avesse proposto di fare, del giro in moto, lo scontro con Belial, il fatto che l’avesse vista sotto la doccia. Tutto, per cercare l’anello che lui aveva sempre avuto al collo – Tu! Stupido pallone gonfiato! – gli puntò minacciosamente il dito contro il petto richiamando dentro di sé tutte le parole offensive che conosceva, in quel momento avrebbe voluto ridurre Jason ad una particella subatomica – Ho cercato quest’anello per mesi! Mesi! E tu lo hai sempre avuto addosso! Dovrei farti volare giù per quest’albero, farti arrampicare di nuovo e buttarti di nuovo giù!

Inaspettatamente Jason scoppiò a ridere, e le afferrò la  mano, baciandola dolcemente sulla piccola vena che spiccava nitida sul polso – Non posso credere che tu sia   davvero così arrabbiata. – Louisa strattonò il braccio all’indietro per liberarsi della sua presa – Io non sono affatto arrabbiata. – disse in tono stranamente tranquillo e prese un gran respiro, cercando di immagazzinare più aria possibile – Io sono furiosa! Stupido, arrogante pezzo di cretino! Mi hai fatto girare come una trottola per mezza Scozia, sopportando te che correvi in moto, quando l’anello l’hai sempre avuto tu! – Jason la zittì baciandole il collo. Louisa affondò le unghie nei palmi per evitare di tirargli uno schiaffo – Scommetto cinque sterile che se te lo ripropongo ci risaliresti e ti godresti un altro giro. E poi, è stato divertente vederti girare come una trottola. – non sopportò più quel sorriso straffottente perenne e provò a  veramente uno schiaffo, che Jason intercettò a mezz’aria afferrandole il polso – Non baciarmi. Non ti è permesso baciare un solo centimetro di me.

- Perché?

- Perché non puoi! Non puoi baciarmi, chiaro? – cercò di liberarsi dalla stretta di Jason, ma lui la tenne stretta, guardandola intensamente – Non posso o tu non vuoi? Perché in entrambi i casi potrei rimediare. – lei si strinse la felpa addosso con la mano ancora libera, e si ritirò verso il tronco, cercando di allontanarsi da Jason – Io non voglio. Non voglio farmi baciare da te. Chi ti credi di essere per parlarmi in questo modo? – Jason la lasciò andare improvvisamente – Io? Io sono quello che le ragazze chiamano un tipo da attacco. E per quel che riguarda il tuo ‘non voglio’, prima o poi sarai tu a venire da me.

Louisa mise a tacere il cuore tumulto con un gesto sprezzante della mano – Non accadrà mai. Mettitelo bene in testa. Mai. Fino a pochi secondi fa mi sentivo colpevole per averti legato a me e  lasciavo che ti comportassi come preferivi. Ora mi sto rendendo conto che è tutta colpa tua.

- Mia?

- Tua! Tua, okay? Se tu non ti fossi intestardito e mi avessi mostrato l’anello prima non saremmo tornati alla tua casa distrutta e non avremmo trovato Belial. Tu non avresti rischiato la pelle e io non avrei rischiato di farmi violentare. E tu! Egocentrico megalomane non saresti legato a me! Ora saremmo felicemente agli antipodi l’uno dell’altro! – il sapore metallico e il bruciore che sentiva in fondo alla gola non le impedirono di urlargli addosso tutto il risentimento che provava in quel momento.

- Louisa. – Jason guardò giù distrattamente e poi tornò a concentrarsi su di lei – I tuoi toni soavi hanno attirato compagnia. A poche centinai di metri da noi ci sono Miriam e qualche sua amica, che ne pensi di scendere e di metterle ko prima che vadano a chiamare Ismael? – il tono calmo e quasi annoiato di Jason la fece sobbalzare e Louisa guardò di sotto, sentendo per la prima volta le risate sguaiate delle donne in lontananza – Che pensi di fare? – domandò sentendosi improvvisamente spaventata. Era talmente tanto presa dalla preoccupazione che Jason potesse mettere in atto le sue proposte che si era completamente dimenticata di Ismael. lui si rimise in piedi afferrando saldamente il ramo con le mani e  fece una verticale per poi guardarla con un placido sorriso – Penso di farle cadere tutte ai miei piedi. Perché tu che vorresti fare? – le tese la mano che Louisa accettò titubante – Ripeto: che pensi di fare? – domandò quando Jason la tirò su – Per ora, scendere da qui. Tieniti stretta a me. Andiamo giù. – la prese in braccio e Louisa gli gettò le braccia al collo, quando capì cosa intendesse Jason per andare giù. Scese rapidamente l’albero, saltando da un ramo all’altro, esattamente come all’andata, e Louisa, per la seconda volta da quando conosceva Jason, fu segretamente grata di poter riappoggiare i piedi per terra – Non riesci a fare le cose in maniera normale? – chiese sentendo le foglie secche e il terreno morbido sotto i piedi – E poi, smettila di toccarmi come hai fatto prima. – Jason si guardò intorno, appoggiandosi al tronco dell’albero, perfettamente rilassato – Così come? Sentiamo.

- Da maniaco. Ti è proibito toccarmi dalle spalle in giù e dalle ginocchia in su.

- Scusa tanto. La prossima volta ti lascio spellarti le mani nel tentativo di scendere, sempre se non cadi e non ti rompi l’osso del collo prima. – alzò lo sguardo e fissò la fitta oscurità davanti a loro – E ora zitta che abbiamo compagnia. – Louisa si zittì improvvisamente e guardò anche lei gli alberi e i cespugli, sentendo avvicinarsi risate sguaiate e battute volgari. Irrigidì le spalle e si avvicinò di qualche passo a Jason quando vide tre donne vestite di rosso sbucare tra gli alberi – Ma guarda chi si rivede. Come mai da queste parti Jason? Avevi voglia di divertiti, – scoccò un rapida occhiata ai vestiti di Louisa – con lei? Mi sorprendi. Non credevo che ti piacessero ragazze del genere. Ti credevo più un tipo da avventura. – Jason mise un braccio attorno alle spalle di Louisa e la dirò a sé – Sai Miriam, non dovresti giudicare un libro dalla copertina. Non  sai cosa potresti trovarci dentro, – le fece un gran sorriso, e si staccò dall’albero raddrizzandosi in tutta la sua altezza. Louisa sentì i muscoli del ragazzo irrigidirsi improvvisamente, diventando duri e sodi, pronti allo scatto -  ma di te si capisce subito che la presentazione è la trama stessa. Louisa, invece mi riserva sempre un sacco di sorprese. È una tappa e mi irrita fino alla morte, ma ha un gran cuore e mi piace questa parte di lei. – nonostante il pericolo, Louisa non poté fare a meno di arrossire per quello che aveva appena detto Jason, mentre Miriam e le sue amiche, scoppiarono a ridere – Lo vedo, Jason. Non può nemmeno starti vicino senza che tu la faccia diventare bordeaux, ma immagino che trovarne una così pura sia difficile al giorno d’oggi. Probabilmente per trovare una ragazza con la sua esperienza dovresti andare a cercare negli asili. – la presa di Jason si allentò per un istante, per poi tornare a stringerla più forte di prima – Che vuol dire? – Louisa sentì lo sguardo del ragazzo su di sé e fissò il trio di donne vestite di rosso – Vuol dire che sono vergine. – disse ad alta voce – Vuol dire che non ho conosciuto nessuno uomo, che il mio cuore è interamente dedicato all’ amore per Dio, agli uomini giusti e al mondo in cui vivo e che amo. – il braccio di Jason scivolò via dalle sue spalle e se lo ritrovò davanti, in posizione da combattimento – Sentito la ragazza? Mi pare che vada piuttosto fiera di quello che è. Ora vi consiglio di sparire prima che vi prenda tutte e tre a calci in culo. – un braccio di Jason la spinse indietro, e lui schivò, saltando di lato, un attacco di una delle tre ragazze, per poi tirarle un violento colpo allo sterno a mano aperta, che la spedì pesantemente a terra – Maledetto bastardo! – ringhiò Miriam – Non te lo hanno mai detto che le donne non si toccano neanche con un fiore?

- Avete voluto la parità dei sessi? Ci sono anche i contro. Non faccio trattamenti privilegiati. - la ragazza, che Jason aveva colpito rimase stesa a terra con i capelli biondo platino le ricadevano in boccoli disordinati, e Louisa sentì una fitta di pietà per quel trattamento violento. Segretamente sperò che Jason non si fosse macchiato le mani con il suo sangue. Si tranquillizzò quando vide la donna, respirare profondamente rimanendo comunque immobile – Jason, - sussurrò, consapevole che lui l’avrebbe sentita – Non le uccidere, per favore. Stordiscile solamente.

Il ragazzo la guardò da sopra la spalla – Agli ordini. – vide il riflesso dei suoi denti prima che lui corresse verso l’altra amica di Miriam.

Louisa lo guardò tuffarsi a terra e spazzare con la gamba il terreno sotto i piedi della ragazza, per poi sferrargli un violento pugno all’addome una volta a terra, che la lasciò incosciente.

- Bene Miriam. – disse rialzandosi – Mi sei rimasta solo tu da sistemare. Allora, che vuoi fare? – si batté le mani sui pantaloni per togliersi la polvere, con estrema lentezza e Louisa soffocò una risata. Perfino con quell’atteggiamento calmo e noncurante Jason, riusciva a sembrare arrogante e strafottente.

Miriam lanciò un rapida occhiata alle ragazze svenute e sorrise – Ci avevo visto giusto con te, Jason. Saresti perfetto per la mia signora, un vero dominatore. Non perdi la calma e mantieni il comando, ma lei mi ha insegnato a ribaltare completamente queste situazioni. – Aprì la borsetta nera che portava a tracolla e ne estrasse una piccola pistola semiautomatica – Immagino che nemmeno tu sia immune ai proiettili. – Jason si bloccò e alzò le mani, fissando Miriam improvvisamente serio – Vuoi spararmi, Miriam cara?

La donna scoppiò a ridere sprezzante – No! Sarebbe un tale spreco, ma mi seguirete entrambi dalla mia signora. E quando lei avrà finito con te, forse mi permetterà di divertirmi. –fin ora Louisa, aveva lasciato gestire la situazione a Jason, ben sapendo che lui se la sarebbe cavata meglio senza lei intorno, ma non sopportava più quella donna e soprattutto non sopportava che si riferisse a Jason in quel modo – Lui è mio. – sibilò ancora prima di rendersene conto – È il mio Guardiano. La sua vita è indiscutibilmente legata …

- Louisa zitta!

- … alla mia. – Miriam le fece un ghigno feroce, e le puntò la pistola contro – Quindi è così. Mi chiedevo perché Jason ti stesse sempre attorno e ti fosse corso dietro come un cagnolino. Mi dispiace Jason, i piani sono cambiati. Non mi piacciono i giocattoli usati da altri. – lanciò un’occhiata rapida al ragazzo e e fece scattare la sicura della pistola. Un brivido scosse Louisa e seppe cosa stava per succedere. Gli avrebbe sparato, senza dubbio. – Jason! – si precipitò verso di lui, nel esatto momento in cui si sentì uno sparo e rivide scorrere sangue per la seconda volta in poche ore – Jason. – cadde in ginocchio coprendosi gli occhi, troppo spaventata per scoprire che cosa fosse successo al ragazzo – Louisa? – la voce di Jason le arrivò fievole alle orecchie e lei alzò la testa vedendo il ragazzo accucciato accanto a lei – Stai bene? – chiese lui – Non sei ferita?

Louisa scosse la testa, con il rumore dello sparo che le rimbombava ancora nel cervello – Tu piuttosto, dove ti ha colpito? – sentiva le ginocchia tremare e tornò a guardare il vuoto, pregando che non fosse nulla di grave – Non hanno sparato a me, ma a Miriam. – Jason la prese sotto il mento e la costrinse a guardarlo. Fletté un paio di volte le braccia, mettendo in risalto i muscoli e mostrandole che stava bene – Qualcuno l’ha colpita alla spalla e ora là stesa, senza sensi. – Louisa seguì lo sguardo di Jason e vide Miriam stesa a terra con una profonda ferita alla spalla e una rosa di sangue scuro che si allargava piano sotto di lei – Ma chi…?

- Scusa il ritardo Louisa. Stavo svaligiando l’armeria. – Louisa si voltò riconoscendo la risata aspra, e un uomo castano sulla quarantina apparve dall’ombra degli alberi seguito da altri cinque, vestiti di bianco come lui – Malcom! – sorrise all’uomo che stava facendo dondolare un fucile nero con gli intarsi d’argento e mirino telescopico davanti a naso – Niente male questo gioiellino, vero? Spara proiettili contenenti acqua del fiume Giordano fino a trecento metri di distanza. – Jason emise un suono che a Louisa parve un grugnito e resistette alla tentazione di ridere – Chi è questo? Uno appartenente al solito clan di pazzi ‘salviamo il mondo’?

Louisa gli riservò un’occhiataccia – È un Custode, tra l’altro un tiratore scelto. Senza di lui saresti morto a quest’ora.

- Io non ne sarei così sicuro se fossi in te. – le disse all’orecchio – Non ho mai scoperto tutte le mie carte. – Louisa si aggrappò alla sua spalla per alzarsi e si rivolse a Malcom raggiante – Che ci fai qui? Voglio dire, ti ringrazio per averci salvato, ma come ci hai trovato?

Malcom estrasse da una tasca laterale dei pantaloni bianchi un piccolo oggetto nero con uno schermo appena illuminato in quel buio – Ho usato il rilevatore, anche se conoscendo te, non ero sicuro che funzionasse. Che hai fatto un minuto prima che sparassi? Il rilevatore era incandescente.

Louisa passò rapidamente da un piede all’altro, cercando di evitare una risposta che le avrebbe dato una lavata di capo. Prima che lui sparasse, lei si stava gettando su Jason.

- Eravamo sotto tiro, – disse il ragazzo per lei – Saremmo morti entrambi senza quell’ottimo colpo. – Malcom annuì soddisfatto e fece scorrere lo sguardo sulle due ragazze svenute prima del suo intervento – Devo dire che avete fatto proprio un buon lavoro. Voi. – indicò un paio di uomini che lo avevano seguito – Controllate quelle tre donne. Vedete se sono marchiate. – Malcom puntò il fucile a terra, mentre gli uomini si affrettarono ad obbedire agli ordini – Perché sei scappata? – domandò senza preamboli - Se James non ci avesse avvertito che sei uscita al tramonto non credo che ti avremmo trovato in tempo. – le orecchie di Louisa divennero molto calde mentre, per la seconda volta, lei cercò una risposta che potesse soddisfare il Custode – Colpa mia. – disse Jason, facendola sobbalzare – Non sapevo che non si potesse uscire dopo il tramonto e Louisa preoccupata è venuta a cercarmi, mentre tornavamo indietro abbiamo sentito quelle donne e abbiamo cercato di nasconderci tra gli alberi. – Louisa rimase a bocca aperta per la rapidità con cui lui si era preso la colpa e la scusa che aveva usato e fissò Malcom cercando di non lasciar trapelare alcun sentimento che potesse insospettirlo – Capisco. – rispose lui gelido – Immagino che tu sia quello di cui tutti parlano. Il Guardiano di Louisa. Le tue azioni hanno seriamente messo…

- Signore! – chiamò uno degli uomini di Malcom tornando indietro, allarmato – Deve vedere una cosa. Due delle donne hanno i marchi, ma la terza.. – senza aspettare che finisse  la frase Malcom si diresse da Miriam e osservò attentamente l’interno del braccio destro – Nessun marchio? – ripeté sconcertato – Questa donna ha agito di sua volontà per tutto il tempo? – il disgusto e l’odio gli fecero torcere la bocca in un sorriso orribile e Louisa deglutì, capendo che cosa stesse dicendo il Custode. Miriam era davvero pericolosa.

– Che sta dicendo Louisa? – la voce di Jason la riscosse e lei lo tirò leggermente in disparte, lontano dalle orecchie di Malcom. Non sapeva darsi una spiegazione, ma non voleva che Malcom sapesse quanto Jason fosse impreparato – In genere chi lavora per i Grigori non lo fa per propria volontà. I Grigori gli imprimono un marchio sul braccio destro, un po’ come il tuo, ma rispetto a te, loro diventano dei burattini senza una vera e propria volontà. Agiscono in base ai desideri dei loro padroni e farebbero qualsiasi cosa per soddisfarli. Noi Sigilli possiamo purificarli togliendo i marchi e farli tornare liberi, ma Miriam a quanto pare non è un burattino, ha sempre agito di propria iniziativa. Il che la rende più pericolosa, perché crede fermamente in ciò che fa.

- Louisa. – Malcom le fece cenno di avvicinarsi con la mano e le mostrò Miriam profondamente incosciente – Le altre due le porteremo con noi, così che James e Dimitri le possano liberare, ma che vuoi fare con lei? – Louisa guardò prima lui e poi Miriam senza capire – Sei tu il Sigillo di Dio, – spiegò Malcom paziente – È giusto che sia tu a decidere della sua sorte. Se ce lo ordinerai la giustizieremo. – il tono pacato di Malcom le fece correre un brivido lungo la spina dorsale e Louisa osservò il bel volto di Miriam – Se la lasciamo qui, - disse pensando ad alta voce – La troverà Ismael e avrà un destino peggiore  della morte. – chiuse gli occhi, cercando di capire cosa dovesse fare e sentì su di sé lo sguardo indagatore di Jason – La portiamo con noi. – decise infine – Io non  sono Dio, non sta a me o ai Sigilli giudicare le persone. La rinchiuderemo da qualche parte in maniera che non faccia del male, ma nessuno deve prendere la sua vita. – Malcom annuì e fece un gesto secco a un paio di uomini e uno di loro se la caricò in spalla – Questo è parlare da Sigilli, Louisa. Fra poco sarà l’alba, tu e il tuo Guardiano dovreste venire con noi, così sareste al sicuro da eventuali Grigori.  – Louisa si scambiò un’occhiata con Jason che annuì una volta prima di affiancansi a lei in silenzio.

– Ti fidi di loro? – le sussurrò una volta che Malcom andò avanti con alcuni uomoni a controllare la situazione. Louisa annuì felice di sentirsi veramente al sicuro circondata dai Custodi – Beh, io no. – concluse Jason fissando le spalle di Malcom – Non mi piacciono per niente.

 

- Ecco metti la mano sullo scanner gel interno, così la stanza diventa tua e posso sbloccarti gli accessi anche per altri posti. – Louisa gli prese la mano e la mise delicatamente sullo scanner. Jason la assecondò aprendo bene le dita, e soffocò una smorfia disgustata quando sentì la mano toccare il gel freddo e viscido – Ancora non capisco perché tutto questo tram-tram. Non potete usare delle porte normali? – ritrasse la mano non appena si accese il led verde e Louisa si rivolse incuriosita allo schermo, mentre iniziarono ad apparire i primi dati su Jason – Non usiamo porte normale per proteggerci. – rispose Louisa con un vago sorriso in volto – Queste porte sono corazzate e se qualcuno rompesse gli scanner gel, si attiverebbe  il sistema di sicurezza. Nessuno che non sia inserito nei nostri database può aprire le porte, e ancora meno, possono accedere alle stanze dei Sigilli. – nonostante la nottata fosse stata piena di emozioni per entrambi, ora Louisa era innaturalmente calma e allegra nel suo ambiente come se si fosse scordata cosa avesse visto poche ore prima. Stava per chiedere cosa fosse successo per renderla così allegra, ma si distrasse quando sentì un leggero bip insistente provenire dallo schermo – Perché fa così? Con Will non aveva fatto questo suono. – Louisa toccò lo schermo un paio di volte, e le si disegnò un ruga in mezzo alla fronte, mentre con gli occhi scorreva lo schermo – Che dice Louisa? Che sono il ragazzo giusto per te? Per questo è suonato l’allarme rosso? – le appianò la ruga con il pollice, domandandosi distrattamente come facesse a cambiare così radicalmente umore in pochi secondi – No. – rispose lei, digitando velocemente la tastiera virtuale e facendo comparire la foto che Jason aveva sulla patente con sotto scritto in verde lampeggiante ‘approvato’ – Voleva la conferma del tuo inserimento nei nostri database e mi ha avvertito che ci sono delle cose che devo approfondire. Tipo le tue multe per eccesso di velocità o per atti osceni il luogo pubblico. O per il fatto che sei stato arrestato. – lo fissò accigliata e Jason strinse in pugni, mordendosi l’interno delle guance. Quel maledettissimo Istituto iniziava veramente a stancarlo, ora frugavano anche troppo in profondità nella sua vita privata – E ti ha detto perché sono stato arrestato? – la voce era più fredda e dura di quanto non volesse, ma non sopportava l’idea  che Louisa potesse giudicarlo, non, senza sapere tutti i fatti – No. Mi ha solo fatto notare che hai  passato un paio di notti in galera e che sei uscito su cauzione. – la voce di Louisa diventava ad ogni parola sempre più bassa, fino a diventare un mormorio - Pensavo che potessi dirmelo tu. – senza ascoltarla Jason la prese per entrambe le spalle e la spinse contro la porta, togliendole ogni via di fuga – Ascoltami bene, perché te lo dirò una volta sola. La mia vita, la mia intera vita non sono cose che riguardano voi, ma per amor di convivenza ti spiegherò solo questo: mi hanno arrestato perché ho pestato a sangue tre tipi che avevano assalito una come te appena fuori dall’università. – Louisa lo guardò, con gli occhi grigi spalancati, visibilmente ferita – Una come me, come? Cosa intendi dire con ‘una come me’? – Jason la lasciò andate di colpo, capendo dove stava andando a parare Louisa e la sua rabbia sparì così come era arrivata – Non quello che pensi tu. – fece un mezzo passo indietro per lasciarle più spazio – Penso che tu sia una stupidotta, irritante e ingenua, così come lo era lei. – Louisa divenne rossa fino alla fronte e a Jason scappò un sorriso, quando vide che ci aveva preso sui pensieri della ragazza

– Quindi non è per il… – chiese lei titubante, tormentandosi le unghie delle mani – Lo sai no? Per quello che intendeva Miriam.

- No. – disse spostandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio – Penso che tu sia stata davvero coraggiosa e dire quelle cose guardandole dritte in faccia e senza vergognartene. – le diete un leggero bacio sulla fronte, godendosi quel contatto con la pelle calda e liscia della ragazza – Ma la smetti? – Louisa gli diede una spinta che lo fece sbilanciare per qualche secondo, prima che lui scoppiasse di nuovo a ridere – Smettere di fare che cosa? – la stuzzicò – Di baciarti?

Louisa annuì vigorosamente, guardandolo male – Ti ho già detto che non voglio. – Jason incrociò le braccia la petto e la osservò per qualche secondo, memorizzando le piccole rughe che si erano formate sul suo volto accigliato e lo sguardo di sfida della ragazza. Lo divertiva troppo vedere come Louisa potesse passare in pochi secondi dalla tranquillità estrema ad essere un torrente di emozioni turbinanti. Metterla in un angolo, stuzzicarla e scoprire le sue espressioni stava diventando il suo passatempo preferito – Peccato, - rispose, mentre un sorriso gli si allargò spontaneamente – Che il tuo ‘non voglio’, non si accordi con i miei, di desideri. E io raramente rispetto le opinioni altrui.

- Maniaco. – Louisa lo guardò con un’espressione, che Jason aveva capito, riservava soltanto a lui. Un misto tra vergogna, disprezzo e rabbia, e il suo ego andò a segnare un altro punto nella sua personalissima gara contro la ragazza.

- Allora dimmi, - disse appoggiando l’avambraccio contro la porta e prendendo Louisa sotto il mento - Visto che sono un maniaco e sono pericoloso, che ci fai nella mia stanza? Non dovresti avvicinarti a me, o sbaglio? – Louisa bofonchiò qualcosa che Jason non riuscì a capire e lui girò la testa mettendo una mano sull’orecchio – Non ho capito. Ripeti: perché sei in camera mia? – disse prendendola in giro.

- Perché Isaiah vuole che tu sia sempre a mia disposizione. Questa stanza è diversa dalle altre: ci sono due camere da letto con i rispettivi bagni, una tua e l’altra mia, e in mezzo c’è questo spazio comune. Quando hai detto convivenza non avevi tutti i torti. Siamo davvero conviventi.

- E te la senti di convivere con un maniaco? – lei cambiò colore diverse volte passando dal bianco al rosso porpora e lui, andò a sedersi su una delle poltrone del salottino all’ingresso e decise di renderle la vita il più problematica possibile.

- Basta che ti non ti avvicini alla mia camera e… – rimase a bocca aperta con la frase a metà, quando lui si sfilò la maglia dalla testa – C-che stai facendo? –arretrò fino a sbattere di nuovo contro la porta e per poco a Jason non scappò un’altra risata. Quella ragazza non sapeva per niente relazionarsi con un ragazzo – Mi sto spogliando. Tu cosa pensi che stia facendo? La maglietta era tutta sporca e sudata, e visto che è anche la mia stanza, non vedo cosa ci sia di male. – Louisa aprì e richiuse la bocca diverse volte, mentre lui gettava la maglietta per terra e si rialzò contraendo il più possibile gli addominali – Abituati, a casa vado sempre in giro mezzo nudo. E poi, - disse vedendo la sua espressione, mentre gli guardava il torace – Non sono io quello che sta sbavando sui miei muscoli. – Louisa batté un piede per terra, e strinse le mani lungo i fianchi – Io non sto affatto sbavando sui tuoi muscoli! L’unica cosa che mi interessa di te è l’anello che ti porti al collo, per il resto anche se giri completamente nudo, l’unica cosa che puoi ottenere da me è il disgusto più totale! –

Jason si prese l’anello tra le dita e la guardò di traverso – Quindi ti interessa solo il mio anello. Vuoi provare a strapparmelo di mano?

Louisa fissò l’anello con avidità per qualche istante per poi, guardare da un’altra parte – No.

- No? – spalancò gli occhi per la sorpresa – Louisa così mi deludi. Non vuoi neanche provare? Un’azzuffata piccola, piccola per vedere chi è il più forte? – lei strinse le mani sui pantaloni e contrasse la mascella e Jason, cercò di dominare il divertimento crescente – No. – disse infine Louisa – Non voglio prendere il tuo anello. – Jason lasciò ricadere l’anello sul petto e si sedette a scrutare Louisa che fissava insistentemente la porta che dava sulla camera a destra. Aveva insistito tanto per trovarlo e ora non capiva come avesse potuto cambiare improvvisamente idea – Perché? – domandò lui con voce roca. Louisa lo stava stupendo sempre di più ad ogni minuto che passava e si agitò lievemente sulla poltrona. I sentimenti che aveva provato sull’albero tornarono a farsi sentire più vividi di prima e desiderò andare da lei ed abbracciarla – Perché non vuoi? – chiese di nuovo quando non gli arrivò risposta.

- Perché, – disse Louisa alzando gli occhi lucidi su di lui  - Non è giusto che ce l’abbia io o i Custodi. Prima era furiosa perché mi hai fatto fare la figura della stupida. Sapevi di avere l’anello eppure mi hai fatto girare come una pazza lo stesso, ma mi hai difeso davanti a Miriam e mi hai coperto con Malcom prendendoti tutta la colpa, quindi non sei così cattivo ed egoista come pensavo. Se vuoi tenerti stretto quell’anello vuol dire che c’è un motivo più che valido, ma ricordati che appartiene al Sigillo del Quinto Cielo, e quando apparirà sarà suo. Per ora vedi di non perderlo e di tenerlo nascosto. Da parte mia, io non dirò nulla ai Custodi. – Jason attraversò la stanza velocemente e si ritrovò accanto a Louisa per asciugarle con il pollice una lacrima sfuggente – Non hai idea di quanto sia importante per me, Louisa. Grazie.

- Vedi di non occupare il mio spazio intimo e di metterti una maglietta, allora. – incrociò le braccia al petto e gli guardò un’altra volta il torace.

– Veramente pensavo di farmi una doccia e poi una sonora dormita. E ti consiglio di fare lo stesso. – non era sicuro che Louisa apprezzasse quel genere di preoccupazione visto come fraintendeva sempre i più piccoli complimenti, ma ora sembrava piuttosto tranquilla, anche se cambiava umore ogni dieci secondi – Andrò a dormire anche io, inizio a essere molto stanca.

Jason le accarezzò i capelli castani e decise di testare i limiti poteva raggiungere - Vuoi spogliarti qui? Del resto ormai siamo viviamo sotto lo stesso tetto, non vedo cosa ci sia di male. Oppure, se preferisci, posso farlo io. – prese l’orlo della felpa che le aveva prestato e iniziò a sollevarla – Smettila! – Louisa gli afferrò il polso bloccandogli la mano e guardandolo fisso negli occhi – Smettila di comportarti così! Smettila di toccarmi ogni secondo e per l’amor del Cielo! Mettiti qualcosa addosso, non puoi andare in giro con i soli pantaloni. – Jason si grattò il collo per nascondere il disagio; sull’albero, anche se aveva usato toni rabbiosi, Louisa si era ritratta quando lui aveva tentato di baciarla, ora stava dritta davanti a lui e gli aveva bloccato la mano, sfidandolo apertamente con lo sguardo. Jason la lasciò andare e sorrise dentro di sé, quando Louisa aveva sussurrato ‘più forte. Più coraggiosa’, non stava affatto scherzando; aveva visto la sua evoluzione nel giro di poche ore – Vado a farmi una doccia. Mi prendo la stanza di destra. Ovviamente se tu volessi farla con me non ci sarebbero problemi, anzi mi sentirei più sicuro. Almeno non rischieresti ucciderti scivolando sulla saponetta.

Uno stivale lo colpì in mezzo alla schiena – Non sono così imbranata! – lui si voltò a guardare Louisa che stava in equilibrio su un piede solo e si chinò a raccogliere lo stivale ai suoi piedi – Questo non è molto signorile, – disse esaminandolo attentamente – Comunque lo prendo io. Magari un giorno arriverà anche l’altro.

- Arriva subito! – Louisa si sfilò anche l’altro stivale e glielo lanciò contro, ma Jason lo intercettò a mezz’aria e sollevò la coppia di calzature come un trofeo, mentre arretrava verso camera sua – Un ricordo di questa prima giornata insieme! Ottimo! –  si infilò rapidamente in camera e si chiuse la porta alle spalle.

– Dammi immediatamente i miei stivali! – Jason ridacchiò, lanciando le scarpe ai piedi del letto che stava di fronte a lui, Louisa fece tremare la porta quando ci picchiò contro – Non ci penso proprio! Trovatene un altro paio! – rispose, appoggiandosi con la schiena contro l’ingresso e godendosi l’attacco di rabbia della ragazza.

- Posso bruciarti la felpa! E anche la maglia che hai dimenticato qui!

- Fa pure! Una vecchia felpa contro un paio di stivali in pelle, chissà chi ci guadagna!

Louisa batté più insistentemente contro la porta - Non puoi rimanere chiuso lì dentro per sempre Jason Fen! Prima o poi dovrai pur mangiare! E quel punto io mi riprenderò gli stivali! – stette per rispondere quando sentì bussare ad una porta che non era la sua – Arrivo! – la voce di Louisa cambiò immediatamente tono, diventando gentile e pacata e abbandonò il suo assalto.

- Signorina Louisa? – una voce sconosciuta lo fece scattare sull’attenti e appoggiò l’orecchio sulla porta per sentire meglio – Sono Manuel, mi manda Isaiah. Vuole che lei partecipi ad una sessione di allenamento straordinaria.

- Ora? – il tono teso e triste di Louisa lo fece agitare e Jason socchiuse la porta e per osservare la ragazza e il Custode. Era giovane, forse aveva l’età di Jason e si grattava nervosamente il gomito, mentre parlava con Louisa che era rigida e pallida e a Jason si strinse il cuore guardando il suo volto – Subito, signorina. Mi hanno detto di dirle che ha il tempo di cambiarsi, e che la devo assolutamente accompagnare fino al centro. – Louisa incrociò le mani dietro la schiena e si spellò a sangue le pellicine intorno alle unghie – Volevo postare le mie cose oggi. – insistette lei.

Manuel scosse la testa – Mi dispiace, signorina. La prego di non insistere, Isaiah è stato categorico. Potrà spostare le sue cose più tardi o lo farà qualche Custode per lei. Ora la prego di andarsi a cambiare. – Louisa annuì tristemente e Jason non riuscì più a sopportare quello sguardo triste e disperato e spalancò la porta della sua stanza – Louisa hai per caso lo shampoo? Nella doccia non ce n’è neanche un po’. – scoccò un’occhiata rapida a Manuel che gli rispose raddrizzando le spalle e guardandolo dall’alto in basso.

– È nella mia vecchia stanza, se vuoi mentre mi vado a cambiare te lo prendo. – rispose lei guardando da un’altra parte.

- Ci sono problemi? – il disgusto che provava per Manuel era talmente tanto forte che si chiese come mai lui facesse un passo indietro in sua presenza. Stava per prendere il braccio di Louisa e tirarla indietro, lontana dal Custode, ma si bloccò quando lei scosse la testa con un sorriso triste – Va tutto bene, Jason. È solo una sessione di allenamento. Non ci metterò molto, tu fatti la doccia a dormi pure nel frattempo. Hai fatto tanto oggi, sarai stremato. – la risposta gentile, ma ferma di Louisa lo insospettì ancora di più e lanciò un’occhiata di fuoco a Manuel – Vuoi che ti accompagni? Magari posso insegnarti qualche mossa di autodifesa…

- Solo al Sigillo Louisa e ai Custodi che la allenano è permesso entrare! Tutti gli altri devono stare fuori! – la voce di Manuel era così altezzosa e piena di disprezzo che Jason dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo per non tirargli un pugno sul naso – Louisa? – Jason alzò un sopracciglio quando lei si mosse il labbro.

– Va bene così, Jason. Questo allenamento è per il mio bene. – guardò ferocemente Manuel che teneva ancora gli occhi fissi su Jason – Fammi strada! – disse perentoria - Devo prima passare alla mia vecchia stanza a prendere vestiti e scarpe di ricambio. – uscì dalla porta, seguendo Manuel e se la richiuse alle spalle senza degnare di un saluto Jason.

Rimase qualche secondo a fissare la porta, cercando di decifrare le ultime espressioni di Louisa, dalla sua tristezza, allo sguardo fiero che aveva tirato fuori infine. Più rimaneva lì, meno gli piacevano i Custodi, ed era sicuro che Louisa non gli avesse detto tutto su quella sessione di allenamento.

Senza farsi la doccia, andò a cercare Will con i Jeans ancora sporchi di polvere e macchie d’erba della notte passata. Fece due volte il giro del chiostro bianco, cercando di ricordare quale stanza avesse mostrato Louisa a Will.

– Maledizione! Perché questo posto deve essere tutto così maledettamente identico! – si scompigliò i capelli per l’esasperazione e una porta si aprì poco davanti a lui e apparve Will, con addosso un paio di boxer bianchi e i segni del cuscino sul volto, di chi si è appena alzato – Mi  pareva di averti sentito. –  stiracchiò il braccio sinistro, mentre con il destro soffocava uno sbadiglio – C-che ci fai in giro a quest’ora?

- Cercavo te. – disse semplicemente avvicinandosi a Will e sorrise, se Louisa lo avesse visto in quel momento le sarebbe venuto un colpo, o si sarebbe messa a correre in cerchio canticchiando come una pazza. Era indeciso in quale delle due la vedeva meglio – Mi fai entrare Will? Ti devo parlare. – l’amico si scostò dall’uscio e gli fece cenno di accomodarsi sulla sedia davanti alla scrivania, mentre lui si sedette sul bordo del letto – Come mai sei qui? Ti sei stufato di stuzzicare Louisa? Hai la più pallida idea di che ore siano? Stavo dormendo, ieri sono stato sveglio fin tardi a sistemare le mie cose e ad ascoltare la ramanzina di Sophie, quando ho chiamato i miei per dirgli che non tornavamo per un po’. Tra l’altro mia sorella mi ha detto di dirti, cito testuali parole, ‘la tua moto è veramente figa! Non pensavo di poterla tirare così tanto. P.S. aspettati una nuova multa. Will, dagli tanti baci da parte mia, Soph’. Io i baci non te li do Jason, ma se Sophie ti chiama dille che l’ho fatto, o potrebbe castrarmi. – Jason alzò gli occhi al cielo, Will sapeva essere una macchinetta appena sveglio e Sophie non si smentiva mai. Chissà quanto gli sarebbe arrivato da pagare questa volta, e soprattutto, chissà quando avrebbe avuto occasione di pagarla – Se parlerò con Sophie, le darò una strigliata tale da farle venire i capelli bianchi. Le ho detto mille volte di non toccare la mia moto. Può distruggermi i libri, può colorarmi i capelli di rosa mentre dormo e vestirmi con una bandiera della pace, ma per la miseria boia! La mia moto, assolutamente non la può toccare!

- Sei di pessimo umore. Svegliato dal lato sbagliato del letto?

-  Non sono proprio andato a dormire. Ieri sera sono andato a farmi un giro in città, e alla fine mi sono ritrovato a difendere Louisa da un gruppetto di donne superprovocanti e arrapate.

- Spero che tu non le abbia respinte troppo rudemente, mi dispiacerebbe molto se il tuo pessimo carattere mi precludesse ogni possibilità di avere una vita sociale.

- Fidati, con loro avresti avuto una vita sociale molto approfondita. E dubito fortemente che poi saresti stato in grado di tornare a casa sulle tue gambe. – Will gli  sorrise e Jason si sentì rincuorato dalla presenza dell’amico in quel posto ostile, gli raccontò tutto, partendo dal momento in cui lui e Louisa avevano incontrato James, fino a quando si ritrovarono sull’albero e gli descrisse gli effetti che gli avevano provocato il profumo di Ismael – Quindi non l’hai toccata? – l’ho interruppe Will, visibilmente stupito. Jason scosse la testa – Non sai quanto mi è costato rimanere immobile con lei addosso, sentivo il sangue in fiamme e i muscoli farmi male, ma se mi fossi mosso anche solo di un millimetro l’avrei presa su quell’albero. - la vergogna gli fece sentire il gusto amaro della bile in bocca e distolse lo sguardo – ho dovuto usare ogni singola briciola di autocontrollo che possedevo per non farle  del male.

- Ma ti sei trattenuto, no? Quindi perché stai così? – la domanda di Will gli lasciò la bocca secca e la lingua incollata al palato

– Hai uno  strano senso dell’onore Jason. – disse Will ridendo di cuore -  Ti senti in colpa perché l’hai desiderata? Voglio dire, è bellissima, dolce e coraggiosa, a me piace molto il suo carattere. – Will si grattò la barba sfatta e guardò verso  la finestra, perso nei suoi pensieri. Come lui, Will era rimasto impressionato dalla testardaggine di Louisa e dalla sua forza di volontà.

- È vergine. – Jason sputò quella parola come se fosse una parolaccia e sorrise dentro di sé quando Will cambiò espressione, spalancando gli occhi – Questo cambia tutto, vero? – disse l’amico guardandolo negli occhi – Non ci proveresti comunque, neanche se ne andasse della tua sanità mentale. – Jason scosse la testa ed evitò accuratamente di guardarlo – Non dopo quella volta, Will. Ho promesso.

- Allora, - disse Will con la testa rivolta verso il soffitto – Posso provarci io? Mi piace.

- William! – Jason saltò in piedi e fissò l’amico, con i muscoli del volto tesi e contratti.

Will scoppiò a ridere – Stavo scherzando, Jas, rilassati. – Jason si risedette sulla sedia e sciolse la tensione che si era formata sui muscoli. Si fidava di Will più di chiunque al mondo, e se lui gli diceva che scherzava, Jason non ne avrebbe mai dubitato. Gli accennò un sorriso - Stai iniziando a perdere la testa un po’ troppo facilmente. Se non vuoi che sia come l’ultima volta, ti consiglio caldamente di fare attenzione. Perché stavolta, oltre a soffrire tu, sicuramente soffrirà anche lei. Louisa non è una di quelle, se le spezzi il cuore, non si riprenderà mai. – a Jason girò leggermente la testa e seppellì la nausea improvvisa sotto un ghigno – Ho già detto che non ci proverò, mi pare abbastanza non credi? Louisa non apprezzerà mai un sadico, bastardo arrogante. Cercherò di rincarare la dose  e ti tenerla alla larga, e poi, tu  puoi distrarla con i tuoi metodi perfetti da gentiluomo scozzese. -  pensò allo sguardo triste di Louisa  e gli mancò un battito, quando il viso di un’altra ragazza con la stessa, identica, espressione si sovrappose al suo. Scosse la testa per scacciare l’immagine, era andato da Will per cercare un alleato fidato, non per parlare di inesistenti problemi di cuore. Louisa lo detestava e lo respingeva costantemente e tanto bastava – Ho bisogno del tuo aiuto, Will. – lui si raddrizzò immediatamente sul letto, teso e attento e con gli occhi grigi improvvisamente duri e freddi come l’acciaio – Dimmi tutto.

- Non ti pare strano questo posto? Da quando sono qui, non ho altro che delle pessime sensazioni. I Custodi, soprattutto. Prima ne è venuto uno a prendere Louisa. L’ha praticamente costretta a seguirlo dicendo che doveva allenarsi, ma lei è completamente fuori forma. Non riesce neanche a salire su un ramo senza che le venga il fiatone.

- Non dovresti paragonarti ai comuni mortali, Jas. Non tutti sanno salire agilmente sugli alberi come te, o hanno il tuo addestramento.

– Non capisci. – insistette lui - Louisa non sa correre. L’ho toccata Will, ha pochissimi muscoli sulle braccia e sulle gambe. – Will si avvicinò un po’ più e lui, sempre più attento – Cosa vuoi fare, Jason?

- Voglio tenere occhi e orecchie bene aperte, e vorrei che lo facessi anche tu. Più tardi chiederò a Louisa cosa le hanno fatto fare, e se la risposta non sarà soddisfacente, userò i miei metodi per tirarle fuori la verità. – Will gli sorrise freddamente, passandosi una mano fra i capelli biondi – Preferisci farti odiare stavolta?

Jason si alzò e mise la mano sullo scanner gel, aprendo la porta della stanza di Will – Più sicuro l’odio che l’amore, no? – disse tristemente, infilandosi le mani in tasca – Ci vediamo dopo. Vado a dormire qualche ora.

 

Louisa si appoggiò  stancamente alla porta della piccola cabina che usava come spogliatoio e prese un paio di pillole che le aveva dato Isaiah. Dovevano aiutarla a controllare la nausea che le veniva dopo gli allenamenti, ma l’unico risultato che aveva ottenuto fin ora era di farla piegare in due per i crampi allo stomaco. Almeno non vomito, pensò asciugandosi il sudore dalla fronte e ritrovandosi i capelli incollati alla mano per quanto erano umidi e appiccicaticci. Devo lavarmi prima di tornare da Jason, se vedesse il gel sui capelli mi riempirebbe di domande.  Il suo sorriso condiscendente gli apparve in mente e lei si sedette stancamente sulle panchine in alluminio, totalmente prosciugata. Avrebbe volentieri chiuso gli occhi lì qualche ora, almeno lui non avrebbe visto come dormiva, e soprattutto non l’avrebbe sentita, ma i Custodi stavano per chiudere il centro per oggi e lei, non poteva andare in giro con quel camice bianco da laboratorio. Si tolse il camice, sciogliendo i lacci rigidi annodati dietro il collo e alla schiena, e rimase solo con la biancheria e a guardarsi allo specchio. Aveva il volto terreo e l’incavo del braccio sinistro era coperto dal cotone e dallo scotch di carta. Se lo strappò via, facendo una piccola smorfia quando vide la goccia di sangue secco spiccare sul giallo del disinfettante. Quante volte era stata punta, stavolta? Tre? O forse quattro? Non le aveva contate, ma l’unica che le avevano medicata era la primo.

Si pizzicò le gote, cercando di farsele diventare rosee. Se Jason mi vedesse in queste condizioni il suo ego farebbe i salti mortali e rotolerebbe per terra dal ridere. Sono davvero patetica.

Soffocò uno sbadiglio, aveva bisogno di dormire seriamente, quella sessione di allenamento, le aveva cerchiato gli occhi di scuro in maniera preoccupante e la nausea faceva ancora da padrona, rendendola instabile sulle gambe. Si infilò velocemente pantaloni, pensando alle sue possibili scappatoie. Tornare da Jason era fuori discussione, Will ancora meno, era uno studente di medicina e avrebbe capito tutto alla prima occhiata. James e Dimitri non le avrebbero fatto domande, ma l’avrebbero guardata insistentemente finché lei non avrebbe capitolato.

Sospirò, infilandosi la maglia viola, l’unico posto dove poteva andare era uno e uno soltanto. Lì poteva dormire in tutta tranquillità e nessuno l’avrebbe disturbata.

Una volta che fu pronta uno dei Custodì la accompagnò fino al chiostro dove viveva – Si riposi signorina Louisa. – disse non appena lei fu scesa da kart – Ha l’aria molto stanca. – Louisa gli fece un piccolo sorriso, cercando di tranquillizzarlo – Non si preoccupi, ora mi faccio una doccia e vado direttamente a dormire. – il Custode annuì  soddisfatto e fece retromarcia con la macchina elettrica, mentre Louisa gli faceva un cenno di saluto. Come sparì alla vista il sorriso della ragazza scomparve e la mano ricadde inerte lungo il corpo. Avrebbe fatto una doccia, e avrebbe dormito, ma non dove pensavano i Custodi.

Camminò per il giardino del chiostro, sperando che nessuno la notasse e si avvicinò svelta ad una delle stanza nell’angolo più lontano e solitario. Si guardò intorno furtiva, mentre poggiava la mano sullo scanner gel, pregando che nessuno la vedesse entrare lì dentro. Se James l’avesse saputo sarebbe andato in escandescenza e i Custodi avrebbero sicuramente cambiato i codici di accesso, pur di tenerla lontana. Si richiuse la porta alle  spalle e ci mise il fermo; non si sarebbe fermata molto, ma era meglio non essere disturbate.

La stanza era tenuta in penombra come quella di Dimitri e Louisa osservò il volto della ragazza quindicenne, che respirava fievolmente, mentre dormiva profondamente – Ciao Anna. – disse sedendosi sul bordo del letto e scostandole una ciocca di lunghi capelli color mogano – Non vengo a trovarti da un po’, mi dispiace. Ho molte cose da raccontarti. – si stese accanto a lei e chiuse gli occhi, pregando che il sonno la prendesse il più in fretta possibile.

Louisa batté le palpebre, infastidita dalla lama di luce che filtrava attraverso le tapparelle – Ciao. – la voce della ragazza la fece sedere di scatto sul letto e scostò il lenzuolo con cui era coperta – Anna! Come stai? – la ragazza alzò le spalle, facendo danzare i capelli davanti agli occhi color cioccolato – Non c’è male. Sono sempre qui, le cose non cambiano molto, ma dimmi di te. Cosa è successo? Ho sentito un tuo grido dell’anima non molto tempo fa, è arrivato fin qui. - giocherellò con l’anello d’oro bianco che portava al dito, e Louisa vide i riflessi rossi del rubino danzare sul muro – Nulla di che Anna. Ho incontrato un ragazzo.

A quelle parole la sua amica si accigliò – Louisa…

- Prima che tu possa dirmi qualsiasi cosa: lo so, Anna, ma non è come pensi. Sospetto che sia un Sigillo, l’emanazione di Raphael anche se assopito. E porta con sé l’anello del Quinto Cielo. – raccontò velocemente cosa le era successo durante il viaggio in Scozia, senza omettere alcun particolare e arrossì leggermente, quando Anna scoppiò a ridere, per alcune battute di Jason che lei aveva ripetuto, imitando i suoi modi arroganti – Mi sta simpatico! Voglio conoscerlo! Sono sicura che mi farà morire dal ridere. – batté le mani entusiasta.

Louisa sospirò, forse Anna non si rendeva conto molto bene della situazione in cui si trovava – Jason è – si morse il labbro, cercando di riassumerlo in una parola, ma non trovò alcun paragone nel suo vocabolario – Arrogante, pieno di sé, pensa di poter far ballare tutti al suo gioco, ed è egoista. Voglio avere a che fare con lui il minimo indispensabile.

Anna si sedette sui un paio di cuscini rossi ricamati in argento che stavano sul pavimento, e incrociò le gambe – Allora è per lui che la tua anima ha gridato? Stava per farti del male? – chiese agitandosi leggermente sul posto. Louisa scosse la testa – No. – disse guardandosi le mani e cercando di dominarne il tremore - Malcom ha detto che il rilevatore è diventato incandescente, quando, – sentì le guance emanare calore – Quando stavo cercando di lanciarmi tra lui e una pistola puntata al suo petto.

- Ah! – esclamò la ragazza – Allora è tutto chiaro. Immagino che dal Sigillo delle Virtù non ci si potesse aspettare altro. Louisa, vedi di non farti prendere troppo da lui. Raphael è un ottimo guaritore, ma è parecchio distaccato e altero rispetto agli altri Arcangeli. Può darsi che  il tuo amico abbia alcuni tratti della sua personalità.

Louisa alzò la testa di scatto alla parola guarigione, ricordandosi che doveva dire ad Anna una cosa che aveva notato mentre si cambiava – Io sono sicura che Jason sia Raphael! – prima non aveva avuto tempo per ragionarci su, doveva assolutamente andare agli allenamenti e quindi in quel momento, aveva accantonato il pensiero, ma ora, nel calore e nella tranquillità della stanza di Anna poteva parlarne – Stando a quello che mi hanno detto; in Scozia mi ero fatta male. Una profonda ferita alla gamba, ma prima, in camera mia ho provato a togliere la fasciatura perché non sentivo più dolore da molte ore. Anna, non ho più nulla. Neanche la cicatrice: la pelle è perfettamente intatta. – Anna si avvicinò a lei e le sfiorò la gamba con tocco indagatore – Hai passato molto tempo con lui? Ha imposto le mani o ti ha toccato? Ti ha dato qualche medicina?

- Mi ha preso in braccio. – rispose Louisa prontamente – E stavo bene sulle sue spalle. Mi sentivo tranquilla e rilassata, come se non avessi peso e il dolore non esistesse. – Anna si morse il labbro inferiore e tornò a giocherellare con il suo anello – Non è un comportamento da Raphael? – domandò Louisa incuriosita dalla  sua inquietudine

– No, cioè si. Sei sicura che ti abbia toccato solo lui? – Louisa annuì vigorosamente, ormai convinta che Jason fosse uno di loro. Tutto portava a lui, ma Anna era una persona difficile da convincere – Se è un Sigillo te lo porterò. Così puoi star cerca che l’Arcangelo Anafiel potrà riconoscerlo…

- No! – esclamazione di Anna la fece sobbalzare sul letto – Non portarlo! Non ancora. – si lasciò cadere accanto a lei sul letto e strinse le mani di Louisa nelle sue - Ci sono cose che si stanno muovendo Louisa, è pericoloso! Se è Raphael è meglio che stia nascosto ancora un po’. Così come te. Cerca di non lasciar andar in crisi la tua anima. È ancora troppo presto per mostrarti, più Gabriel rimane assopita più sarai al sicuro.

- Ma non dovrei combattere affianco di James e Dimitri, e  anche con te?

- Ti prego Louisa. Il fatto che si sia mostrato Belial è una cosa molto importante. Loro non intervengono mai. Non tra Sigilli e Grigori. Le cose stanno cambiando. Dovete cercare gli altri e portarli al sicuro. – le parole ansiose e gli occhi spalancati di Anna la misero in agitazione e Louisa ritrasse  le mani – Che dovrei fare? Anna, tu sei il Sigillo del Settimo Cielo, uno dei più vicini a Dio, che dovrei fare? – Anna le diede un bacio sulla guancia, calmandola con i suoi modi sereni e ottimisti – Segui il tuo cuore e non ti preoccupare, – disse dolcemente – Raphael sceglierà qual è il momento migliore per apparire, non ha mai deluso nessuno. E Gabriel, fidati di Gabriel, Louisa. Lei sa per che cosa combatti. Risponderà al tuo cuore.

 

Dio,

di chi è la voce, che sento

insistentemente nel mio cuore?

 

 

 

NAD: all’inizio doveva essere un capitolo di transizione, poi è diventato il solito chilometro di parole. Mi dispiace! Ma sti due a volte prendono il sopravvento! ..dovevo solo presentare un po’ la vita giornaliera di Louisa e le persone a cui lei tiene *ciao Anna*. PS Anna è un abbreviativo, il vero nome è Annaliese, ma vi spiegherò meglio in futuro. Comunque nulla è come sembra. Ci sono un mucchio di segreti.
* Fissa Jason* io non ho ancora capito che ti è capitato!

Grazie per tutti quelli che mi hanno sostenuto fin qui *Inchina*

Khyhan

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Capitolo 6
*** VI. Tranquillitas Innocens ***


VI - Tranquillitas Innocentes

Tranquillitas Innocens

 

La calma della lingua

è un albero di vita,

ma la distorsione di essa

significa abbattimento

dello spirito.”

Pr 15:4

 

Jason si svegliò di soprassalto, con lo stomaco che brontolava amaramente. Afferrò a tentoni il telefonino per guardare l’ora e batté le palpebre per scacciare il bruciore, quando la luce dello schermo lo abbagliò per alcuni secondi.

Fissò incredulo l’orologio digitale che segnava le 3:37 del pomeriggio – Will! – urlò, scalciando via le coperte – Will, perché diamine non mi  hai svegliato prima? – stava per inveire ancora contro Will, quando si ricordò che non era più in Scozia, ma all’Istituto in una camera che condivideva con Louisa.  

Cercò a tastoni l’interruttore della luce sopra la testiera del letto e guardò male la stanza illuminata.

Non una cosa lì dentro era di suo gusto. Il materasso era troppo duro, e i mobili, in legno chiaro con le maniglie in argento satinato, troppo moderni e lineari. L’unica cosa che sopportava era la piccola libreria vuota accanto alla scrivania incastrata sotto la finestra, che dava su giardino posteriore al chiostro, e il comodino in cui aveva nascosto l’anello di suo padre.

Disgustato dall’arredamento,  andò recuperare il borsone, che quella mattinata aveva malamente lanciato nell’ingresso, mentre ascoltava le incessanti chiacchiere di Louisa sull’Istituto e su Malcom.

Con la mano sulla maniglia lanciò un’occhiata allo specchio incastonato nella porta. I capelli neri ormai gli ricoprivano gli occhi, e la sottile cicatrice sul petto nudo spiccò nitida controluce, mentre lui si voltò a esaminare le ferite sulla schiena. Sorrise soddisfatto quando scoprì che non si vedevano quasi più, se non fosse per qualche piccolo segno rosso situato appena sopra alla linea dei boxer neri, dove erano arrivate le schegge peggiori.

- Louisa! – chiamò a gran voce – Che tu ci sia o non ci sia, io sto uscendo in mutande! – spalancò la porta e si guardò intorno, cercando la figura minuta della ragazza – Andiamo, Louisa vieni fuori! Non mi dai alcuna soddisfazione. – attraversò velocemente il salottino e spalancò la porta che dava alla camera di Louisa, solo per trovarla vuota.

– Ma che fine ha fatto? - sfiorò al letto della ragazza, speculare al suo, trovandolo freddo e intatto - Non è tornata? – tornò nella stanza principale e frugò velocemente nel suo borsone, mettendosi il primo paio di pantaloni che gli capitò a tiro e uscì alla ricerca di Louisa.

Avvistò Louisa che leggeva seduta accanto a dei cespugli di rose e la osservò per qualche secondo appoggiandosi contro una colonna del portico.

Le labbra di lei si muovevano animatamente seguendo ritmo del racconto e i capelli le ricadevano in disordine sulle guance rosee.

Dalla posizione in cui si trovava lei non poteva notarlo, ma lui vedeva chiaramente ogni suo gesto. Qualsiasi cosa stesse leggendo la ragazza, la riempiva di vita come non aveva mai visto prima. Louisa si alzò in piedi di scatto, e fece un finto affondo con libro ancora in mano – Traditori! – gridò. Jason sobbalzò e si ritirò un po’ di più dietro la colonna. Sogghignò quando capì che Louisa non si era affatto accorta di lui, ma stava ancora leggendo persa totalmente nel racconto. Allungò il collo per osservarla meglio e Louisa fece una mezza piroetta e si risedette goffamente accanto alle rose, accarezzandone un bocciolo – Tu, Tremal-naik? – sussurrò la ragazza continuando a leggere.

Jason scoppiò a ridere non riuscendo più a trattenersi, aveva riconosciuto il nome del personaggo e uscì dall’ombra con le mani infilate nelle tasche della tuta bianca – Che stai facendo, Louisa? – domandò avvicinandosi.

Louisa sobbalzò, una volta accortasi della presenza del ragazzo accanto a lei – Leggevo alle piante. – disse con voce amorevole accarezzando un paio di foglie – Ho letto da qualche parte che parlare alle piante le aiuta crescere rigogliose. Sai, si dice che abbiano sentimenti. – Jason le strappò il libro dalle mani e guardò la copertina rilegata verde brillante – Leggere ‘i Misteri della Giungla Nera’ aiuta le piante a crescere? Posso consigliarti un ottimo psicanalista? In venti, trent’anni diventeresti quasi normale. – senza degnarlo di una risposta Louisa si allungò per riprendersi il libro, ma Jason lo tenne in alto fuori dalla sua portata, divertendosi per l’espressione arrabbiata della ragazza – Ridammi il libro!

- Fammici pensare. – rispose Jason grattandosi la mascella, mentre Louisa si allungava sulle punte, cercando di prendergli il braccio - Uhmm. No. Ma se rispondi alle mie domande, potrei fare un’opera di carità.

Louisa puntò i piedi a terra, con i pugni lungo i fianchi – Jason. Dammi. Il. Libro. Ora.

- È un ordine? – chiese mellifluo il ragazzo.

Louisa scosse la testa – No. – saltò e arrivò a sfiorare la mano di Jason che allontanò di qualche passo prima di mettersi a sfogliare le pagine – Come mai leggi questa roba? Ti credevo tipa da Dickens o da Brönte.

- Non mi piacciono, preferisco Salgari o Verne. Adesso che ho risposto, dammi il libro. – tornò all’attacco, e Jason la evitò scartando di lato, nascondendosi il libro dietro alla schiena – Prendilo Louisa, non ci vuole nulla. – la schernì. Louisa lo guardò male e allungò le braccia intorno al torace di Jason.

Il corpo della ragazza era caldo per il tempo trascorso sotto il sole, e il dolce profumo delle mandorle che emanava gli diede alla testa e si bloccò sul posto, inspirando a pieni polmoni quell’odore, mentre Louisa strinse le mani attorno alle sue, cercando di fargli allentare la presa sul volume – Sai che mi stai abbracciando, vero Louisa? – sfoderò il suo miglior sorriso a trentadue denti e Louisa fece un salto indietro, mettendo di nuovo una certa distanza – È colpa tua. Ci tengo a quel libro. E io ho risposto alla tua domanda. –

Lui ridacchiò, sventolandole il volume davanti agli occhi – Non era la domanda che volevo farti, e ora che so che ci tieni, le domande salgono a due. Primo: che tipo di allenamento hai fatto? Secondo: perché non mi hai detto che la tua gamba è perfettamente guarita? – Louisa lo fissò con la bocca spalancata, visibilmente allibita – La mia Gamba? Come fai a sapere che sta bene?

Jason alzò gli occhi al cielo, come si poteva essere così ottusi?  - Non vale rispondere con un’altra domanda, ma se proprio ci tieni. Non ero io, quello che poco fa saltava come un elefante imbizzarrito sotto una magnolia, tra le rose in boccio.

- Non saltellavo come un elefante imbizzarrito. E la mia gamba sono affari miei, non vedo perché tu debba saperlo. – si scambiarono una lunga occhiata e Jason strinse più forte il libro con le pagine ingiallite tra  le mani, poteva quasi sentire l’odore di mandorle mischiato a quello della carta e inchiostro – D’accordo Louisa. Sono affari tuoi. Questo lo rivedrai prima o poi, dipende da quanto sarai gentile in futuro. – le diede la schiena e si incamminò verso camera sua.

Poteva quasi sentire lo sguardo furioso di Louisa bruciargli la nuca, e sorrise. È fin troppo facile farmi odiare da lei, pensò.

- Hai detto che se avessi risposto me lo avresti restituito!

Jason si fermò e la guardò da sopra la spalla – Ho detto che avrei fatto un’opera di carità. La sto facendo. Alle rose. Eviterò che tu legga ancora Salgari alle piante.

- Hai deciso di alzarti per rompere le scatole e distruggere il delicato equilibrio  interiore del mondo o solo il mio?

- No, mi sono alzato perché ho fame. Quindi prima che divori ‘I misteri della Giungla Nera’ che ne pensi di farmi cenare?

Louisa incrociò le braccia e si sedette a terra – Vediamo chi è più testardo Jason. Io non ti porto in cucina finché non mi ridarai il libro. – lui sorrise dentro di sé, quella battaglia cominciava a diventare interessante e Louisa aveva deciso di prenderlo per fame. Se lei voleva la guerra, Jason non si sarebbe  certo tirato indietro. Posò il libro a terra e in quattro passi le fu accanto, sovrastandola completamente – Sai, Louisa avrò anche fame, ma so anche come farmela dimenticare. – si fece più vicino, chinandosi su di lei, e le accarezzò il mento, risalendo la curva della mascella.

Louisa incrociò braccia e gambe e non si mosse di un millimetro, mentre lo guardava torva – Non pensarci nemmeno, Jason. Toccami ancora un po’ e ti farò parecchio male.

- Uh-uhm. D’accordo. Provaci. – giocherellò con una ciocca di capelli, arrotolandosela intorno alle dita – Vediamo quanto puoi farmi male. – afferrò il polso di Louisa, prima che lei riuscisse a portare a termine lo schiaffo. Sorrise senza perdere il contatto con gli occhi, spalancati dalla rabbia, di Louisa, mentre lei si divincolava nella sua stretta – Così non va Louisa. Devi cercare di colpirmi molto più velocemente. Raramente le persone riescono a prendermi a schiaffi. Direi che fino adesso c’è riuscita una persona sola, e non era una ragazza, e io non ero agguerrito come adesso.

- Lasciami!

- Portami in cucina e io ti lascio andare. – rispose Jason spostando il corpo per evitare un calcio di Louisa.

- Dammi il libro e io ti porto in cucina.

- Non ci schioderemo mai da qui, lo sai? – la spinse sotto di sé e le inchiodò entrambe le braccia, mettendosi a cavalcioni su di lei – Allora Louisa, che vogliamo fare? Ti arrendi?

Louisa si divincolò sotto di lui, spostando velocemente le gambe - Mai! – Jason spalancò gli occhi e fissò per un secondo buono il piede che spingeva contro il suo stomaco.

- Niente male. – commentò lasciandola andare – Bene, vorrà dire che tornerò in camera mia. – si alzò e osservò il viso arrossato e il petto di Louisa che si alzava e si abbassava velocemente – A leggere. – sottolineò volutamente le ultime parole e lo sguardo di Louisa corse al punto in cui lui aveva appoggiato il libro – Non credere di essere più veloce di me.

La ragazza abbassò gli occhi e incurvò le spalle, strappando distrattamente qualche filo d’erba – Ti porto in cucina. – disse infine.

– Tieni. – disse lanciandole in grembo il libro e distogliendo lo sguardo. L’aveva avuta vinta facilmente, anche se per un breve istante era rimasto sorpreso dalla caparbietà di Louisa.

- Sei un.. – Louisa si morse il labbro e accarezzò amorevolmente l’angolo superiore della copertina del libro – Imbecille.

Jason la guardò di traverso, incrociando le braccia al petto – Non riesci proprio a dire le parolacce, vero? Hanno un forte effetto liberatorio. Ripeti con me: Jason, sei uno stronzo. Ti permetto anche la variante coglione, se preferisci. – Louisa arrossì leggermente e afferrò più saldamente il libro, mentre si alzava – Io non dico le parolacce. Imbecille per uno come te, va più che bene. E mettiti una maglietta, non puoi sempre andare in giro vestito così. – Jason scoppiò a ridere, quella ragazza era una pudica di prima categoria, e il piano nudità era il suo fondamentale punto debole. Finché giocava quella carta, Louisa l’avrebbe detestato alla grande.

- Jason, – Louisa lo richiamò, mentre lui stava andando a recuperare qualcosa da mettersi addosso – Hai un tatuaggio dietro la schiena? – lui alzò le spalle e si chiese cosa centrasse con il mettersi una maglietta – È una delle tante cose che ho fatto. Come bere, fumare, farmi di coca e crack, andare a puttane. – Louisa sgranò gli occhi e fece un mezzo passo indietro, portandosi le mani alla bocca – S-stai scherzando, vero?

- Chi può dirlo? Il tatuaggio è una cosa che mi sono concesso. L’unica di cui avevo veramente bisogno.

Louisa si avvicinò e gli guardò la schiena incuriosita, per un attimo Jason ebbe la bizzarra idea di contrare i muscoli e di mettersi in mostra - In che lingua è scritto? Sembra giapponese.

- È scritto in cinese. – corresse lui pazientemente - Sono il primo e l’ultimo ordine di mio padre. Il primo l’ho fatto a diciassette anni, quando ho vinto i campionati regionali di Kung Fu. Il secondo l’ho fatto tre  mesi dopo la morte di mio padre. – Louisa passò un dito sulla spina dorsale e lui represse un brivido. Il tocco della ragazza era innocente e curioso, ma lui non poté fare a meno di desiderare che non smettesse – Cosa vuol dire, Jason? – il ragazzo soppesò la risposta, passando nervosamente da un piede all’altro. Gli unici, a parte lui, che ne conoscevano il significato erano Will e Sophie che gli erano stati vicini dopo il funerale.

Louisa avrebbe riso di lui? Se ci avesse provato, decise, l’avrebbe sbattuta per terra – Il primo vuol dire ‘Alzati, combatti’, Yang Fen me lo ripeteva sempre quando mi allenava da bambino.

- E il secondo?

Si voltò a fronteggiarla, cercando il contatto di visivo, ma lei fissò ostinatamente il terreno tra di loro - ‘Vivi.’ – attese le risate di scherno di Louisa, ma inaspettatamente lei gli accarezzò la cicatrice che gli aveva inciso sul petto – È una cosa molto dolce. – disse prima di scappare via.

Rimase immobile con la bocca secca e la gola che gli bruciava, Louisa non era come lei. Sicuramente lei sarebbe scoppiata a ridere nonostante l’aria da santarellina che si portava appresso. Invece, Louisa era stata molto dolce, e Jason avrebbe messo la mano sul fuoco sul fatto di aver appena sentito Louisa soffocare un singhiozzo.

 

Louisa si chiuse la porta della sua vecchia stanza alle spalle.

Aveva un incredibile bisogno di riacquistare i suoi spazi e le cose in cui credeva, mettendo distanza tra lei e la confessione che le aveva fatto Jason. Guardò lo scaffale davanti al letto ricolmo di file e file di libri messi in ordine per autore e ascoltò il suono del suo cuore, finché non rallentò in zona di sicurezza. Non ne capiva il perché, ma le parole e l’affetto figliare del ragazzo l’avevano sconvolta nel profondo. Aveva bisogno di dimenticare quelle parole. Di distrarsi e recuperare la padronanza di sé prima di crollare definitivamente. Alzò lo sguardo; i libri erano lì, pronti ad aprirsi per lei, trascinandola in un mondo tutto suo fatto di giungle inesplorate e isole piene di tesori, doveva solo allungare la mano e concentrarsi su quello, e avrebbe dimenticato tutte le cose che la opprimevano.

Fuori il cielo era blu e terso, le sue amate rose erano in boccio, i libri erano in ordine, James stava curando le due sventurate che erano finite in mano ai Grigori, Dimitri si sarebbe rialzato presto, e Jason era il solito arrogante.  

Tutto era perfettamente nella norma e sotto controllo. Niente poteva cambiarlo. Quello che era successo nelle ore precedenti poteva essere analizzato e sviscerato.

La morte di quell’uomo alla luce del giorno erano sono pensieri confusi e lontani, come degli incubi che ogni tanto tornava a tormentarla.

Se teneva la testa occupata, il ricordo della notte precedente poteva essere controlla, in questo modo non sarebbe finita in pezzi.

Jason.

Jason era un altro paio di maniche. Sembrava che facesse di tutto per non lasciarla in pace. Quando lei pensava di poter abbassare la guardia, Jason non faceva altro che assalirla e massacrarla. Come prima.

Louisa sapeva che lui avrebbe tranquillamente potuto evitarla. Poteva far finta di non averla vista, eppure era andato a punzecchiarla lo stesso.

No. Quello che le aveva confessato non avrebbe cambiato la sua opinione sul ragazzo.

La rendeva solo più debole e facile da distruggere.

Più aperta verso i sentimenti che lei cercava di opprimere.

Le parole di Jason avevano rotto l’argine che lei aveva tenuto a bada a fatica tutto il giorno.

Respirò profondamente, cercando di scacciare gli incubi che la stavano assalendo, man mano che le lacrime le scendevano bollenti sul viso.

La stanza di Dimitri asettica e che sapeva di disinfettante e malattia.

James che non sapeva mai dirle quando tempo gli rimaneva.

James che tornava spesso a tarda notte con gli occhi iniettati di sangue, pallido e con lo sguardo perso, sfiancato nel corpo e nello spirito.

Isaiah che continuava a sottoporla a quegli stressanti allenamenti per aprirla al suo potere.

I Custodi che la guardavano con paura, legandola puntualmente su quel tavolo per evitare che si facesse del male.

Sua madre che non le scriveva mai e non rispondeva mai alle sue mail.

Quell’uomo nel vicolo, senza testa.

Le sue mani coperte di sangue, che ancora si sentiva addosso. Caldo e vischioso, le era entrato profondamente sotto la pelle mostrandole quanto lei era inutile.

La presenza di Jason nella sua vita amplificava terribilmente tutti quei ricordi.

Non poteva abbassare la guardia con lui. I suoi gesti gentili, le sue parole mormorate, i suoi scoppi di ilarità; la facevano sentire terribilmente vuota e sola.

Prima di Jason, lei teneva a bada la paura. Teneva a bada gli incubi, impedendo che l’assalissero anche di giorno.

Con lui vicino li dimenticava. Esistevano solo lui e i suoi modi di fare.

Senza lui accanto si rendeva conto di quanto la vitalità del ragazzo le scavasse un solco dentro.

Jason distruggeva in maniera sistematica ogni sua difesa.

Era egoista e vendicativo, anche i suoi modi gentili nascondevano un secondo fine, e se Louisa, non avesse preso presto delle precauzioni l’avrebbe mandata in frantumi.

Si strinse le braccia intorno alle ginocchia, cercando di farsi il più piccola possibile in quella stanza, che non sentiva più sua.

Era come lei: i muri bianchi, le lenzuola tese e tirate, i libri in ordine. Non una foto o un ricordo dei suoi genitori.  

Tutto quello che possedeva era dell’Istituto.

Lei era dell’Istituto.

L’istituto era parte di lei.

- Aiutami. Non lasciami da sola. Dio, ti supplico, – singhiozzò – Tirami fuori da qui. Dammi la forza di alzarmi.

Un colpo alla porta rimbombò sordo nella sua stanza, facendola sussultare – Louisa! Qui c’è gente che muore di fame! – Jason iniziò a bussare ferocemente, chiamandola ogni tre secondi – Louisa! Andiamo! Ho fame! È da ieri notte al bar che non tocco cibo! Consumo un sacco di calorie! Prima che svenga e che tu mi abbia sulla coscienza, come se tu non avessi già fatto abbastanza danni nella mia vita, ti consiglio di aprire la porta o potrei provare a buttarla giù! – Louisa fissò ammutolita la porta che Jason stava tempestando di pugni facendola tremare – U-un attimo. – disse con voce rotta. Deglutì un paio di volte, cercando di togliere il fastidioso bruciore che  aveva alla gola – Dammi un attimo, per favore. - Si asciugò gli occhi e si guardò allo specchio, trovando una sé stessa, con le spalle piegante e lo sguardo perso.

- Louisa! – la voce di Jason le trapanò il cervello, e con un moto di stizza scoccò un’occhiata malevola alla porta – Ti ho detto un attimo!

Ignorando Jason che continuava a inveire contro Louisa e la sua lentezza, andò in bagno a sciacquarsi il viso, fino a levare ogni traccia del suo pianto.

Tornata in camera, si prese tutto il tempo che le serviva per rasserenarsi e raccolse il libro che prima aveva messo da parte.

Lo sfogliò attentamente per vedere se le pagine si fossero sgualcite e Jason se meritasse una rapida dipartita dall’universo, ma vi trovò solo un rametto di lavanda infilato tra le pagine ingiallite, proprio nel punto che stava leggendo prima che Jason le strappasse il libro dalle mani.

Lo annusò dolcemente, perdendosi nell’odore aromatico e fresco dei piccoli fiori viola, per poi rimetterlo tra le pagine, nel punto in cui l’aveva trovato.

Come c’era finito lì dentro?

Chiuse delicatamente il libro e lo rimise al suo posto sullo scaffale, quel rametto non era finito lì per  caso, e non lo aveva messo lei come segnalibro. L’unica valida alternativa rimaneva Jason, ma lui non poteva essere così sensibile da averlo fatto.

Uscì dalla stanza e trovò Jason appoggiato contro il muro accanto alla porta – Era ora! Finito di pomiciare con il libro? – le labbra del ragazzo di  piegarono in un sorriso di scherno e la rabbia tornò a colpire Louisa a ondate violente.

Jason non si era affatto messo una maglietta, anzi la guardava tutto sorridente con il muscoli del torace perfettamente scolpiti, in bella mostra e la tuta che gli ricadeva bassa sulle anche – Ancora non ti sei messo una maglietta! – esclamò lei voltando lo sguardo verso il portico deserto.

Non era possibile che Jason continuasse su quella strada, lei non riusciva più a gestirlo.

- Ho troppa fame per fare qualcosa di articolato come mettermi una maglietta. Sai ci vuole coordinazione, presa salda e via dicendo. Tutte cose che non ho con il calo di zuccheri in corso.

Louisa sbuffò, Jason poteva rimanere sulla sua posizione tutto il giorno e tutta la notte, sapeva che lui non avrebbe affatto ceduto.

Per l’ennesima volta aveva dimostrato di non pensare affatto ai sentimenti degli altri, ma di mettersi in mostra il più possibile; e poi lei, aveva promesso di portarlo in cucina se le avesse restituito il libro – Seguimi. – disse infine, facendogli strada – Ti porto in cucina.

- Finalmente! – Jason si mise al suo fianco, talmente tanto vicino che le loro mani si sfioravano, e Louisa si allontanò si mezzo passo, cercando di riappropriarsi del suo spazio. Jason la seguì, tornando nella stessa, identica, inopportuna posizione di prima.

Esasperata, Louisa accelerò il passo, ma Jason adeguò il suo – Se continui a muoverti verso destra di ritroverai a strisciare lungo muro. Non è un comportamento normale. –Jason si grattò distrattamente la mascella, fingendo di non capire il comportamento di Louisa.

- Sei tu che mi stai facendo impazzire.

- Non credevo ci volesse così poco. A quando la dichiarazione d’amore? Potresti scrivere in cielo ‘Jason ti amo’. Sarebbe originale.

- Potrei scrivere ‘Jason buttati da un ponte’ o ‘Jason è un arrogante pallone gonfiato’. – così non andava bene, Jason stava tornando a dettare legge sul suo umore.

Si chiuse in un silenzio ostile, mentre camminavano sotto il portico, diretti verso un  basso edificio, appena dietro ad uno dei piccoli giardini che punteggiava l’Istituto.

- Hai trovato il rametto di lavanda? – la domanda che Jason mormorò rompendo il silenzio teso, la bloccò sul posto, lasciandola con il piede a mezz’aria.

– Lo hai infilato tu nel libro? – chiese con un filo di voce.

- Chi credevi che fosse stato? – la schernì - La fata turchina?

Louisa fissò Jason, senza vederlo realmente. Non poteva essere stato così gentile, andava contro tutte le leggi della ragionevolezza. Jason era egoista. Punto, non c’erano altre discussioni. Lo aveva dimostrato più e più volte in quelle poche ore che si conoscevano.

– Chiudi la bocca Louisa. O ti si è disarticolata la mascella? Sarebbe  una buona cosa, almeno staresti zitta. - le parole di Jason le fecero scattare il cervello come una molla. Non importava quando gentile potesse essere in certi momenti. Arroganza e superbia battevano gentilezza cinquecento punti a tre.

– Stai zitto tu! – si ripromise di buttare il rametto alla prima occasione. Probabilmente le avrebbe pure lasciato anche il segno nelle pagine – Non ti avevo chiesto nulla. Potevi tranquillamente evitare una cosa del genere, ho già i miei segnalibri. – non poteva credere che qualche minuto prima avesse considerato la lavanda nel libro un gesto bello e gentile – La prossima volta sei pregato di non disturbarmi mentre leggo.

- Non mi sarei mai perso l’immagine di te, che leggevi di Tremal-naik alle rose per nulla al mondo. E poi perché proprio Salgari? – Louisa si chiuse di nuovo nel suo silenzio, ben decisa a non rispondere più alle domande di Jason e riprese a camminare più spedita, sperando che in cucina ci fosse qualcuno che potesse coinvolgere il ragazzo in una conversazione e potesse lasciarla sola nei suoi pensieri, ma Jason la afferrò per un braccio, costringendola a voltarsi – Io dico che dovresti rispondermi. Perché Salgari?

- Perché no? – ribatté - Non leggo solo Salgari, ma anche Verne, Stevenson, Smith, Carroll, London, Swift. Salgari è uno dei tanti che mi piacciono. – Jason la inchiodò con gli occhi azzurri, in un sguardo che le trapassarono l’anima – Sono tutti autori che scrivono prevalentemente di viaggi. – disse lui, guardando pensosamente oltre la ragazza – Ti piacciono le storie di avventure?

Louisa aggiunse un altro strato al suo muro mentale, non voleva che Jason scavasse oltre – Non sono affari tuoi!

- Perché leggi alle rose romanzi di avventure? – insistette lui, stringendole un po’ di più il polso.

Louisa gli soffiò come avrebbe fatto un gatto. Ora cosa stava giudicando di lei, la sua sanità mentale? – Perché mi piace. Le rose sono sanissime e rigogliose ed è mia tradizione leggere almeno un’ora giorno in giardino. – alzò il mento sfidandolo a mettersi a ridere.

- Che personaggio ti piace di più di Salgari? – proseguì lui, imperterrito.

La domanda la spiazzò, e Louisa strattonò il braccio nella speranza che lui la lasciasse andare, ma rinunciò quando sentì la pelle tirare fino a farle male – La smetti con l’interrogatorio?

– No. – disse passandosi le dita tra i capelli con la mano libera, togliendoseli dagli occhi - Sai come si dice, ‘Occhio per occhio. Dente per dente. Segreto per segreto’. Ti ho detto una cosa molto importante per me, ora tu mi rivelerai qualcosa di molto importante per te. Legge dello scambio equivalente. – Louisa tirò un po’ più forte il braccio nel tentativo di liberarsi.

Non andava affatto bene, Jason si stava divertendo a fare il prepotente con lei, ed era sicura che non gli importasse nulla dei suoi gusti – Perché vuoi saperlo? – chiese cercando di aprirgli la mano per liberarsi. Non avrebbe mai dovuto accettare di accompagnarlo in cucina, le cose stavano tornando a degenerare pericolosamente.

Jason rise, un risata profonda, solida e sincera, che scosse il braccio di Louisa che lui teneva saldamente – Mi fai sempre domande, Louisa. Smettila e rispondi. Che personaggio ti piace di Salgari?

- Kammamuri! – disse d’istinto, cercando di mettere fine al quel bombardamento.

- E a che età l’hai letto la prima volta? – la domanda la lasciò a bocca aperta. Come faceva lui a sapere che non era la prima volta che leggeva ‘i Misteri della Giungla Nera’?

Smise di lottare e lo guardò attentamente. Jason era rilassato, gli unici muscoli in tensione erano quelli del braccio che la tenevano stretta, e lo sguardo non era né di autocompiacimento né superiore. La guardava incuriosito e lei lasciò sbriciolare un poco il muro che teneva lontano il ragazzo – L’ho letto la prima volta a nove anni. – sussurrò – Me l’aveva regalato un Custode. – a quelle parole Jason fece prima una smorfia disgustata per poi ridacchiare – Io l’ho letto a dieci, ma prima mi ero concentrato sull’Isola del Tesoro. – la lasciò andare e Louisa vide lo stampo rosso delle dita del ragazzo sul polso. Si massaggiò istintivamente, sperando che non le rimanesse il livido – Hai letto Stevenson?

- Ho letto decine di romanzi di avventure e fantasy, anche moderni. E horror, molti horror. – Louisa represse un brivido, se c’era un genere che non digeriva era l’horror. Le faceva paura e si teneva alla larga il più possibile, evitava anche di guardare le copertine su internet se poteva – Tu leggeresti gli horror alle piante?

Jason rise, rovesciando la testa all’indietro – Io non leggo alle piante. A meno che non voglia farmi mettere una camicia di forza o non mi sia fatto di qualcosa di veramente forte.

- Ma se lo facessi, - insistette lei, cercando di capire i suoi gusti letterali – Cosa gli leggeresti?

Jason si infilò le mani nelle tasche della tuta e la guardò il cielo – Non è proprio un libro, – mormorò soprapensiero - Ma penso che sia più utile di Stevenson o Salgari.

- Cos’è?

- C55H72O5N4Mg. – lo fissò allibita per qualche secondo, cercando di decifrare numeri e lettere.

– Che lingua è? – chiese quando dal cervello non ebbe trovato risposta.

Jason alzò le spalle – Chimica. Per l’esattezza è la formula della ‘clorofilla a’, ma se fossi in vena di una conferenza inizierei con: idrogeno, elio, litio, berillio, boro, carbonio, azoto, ossigeno, fluoro, neon.. – a Louisa si accese una lampadina in testa a quella lista di dati – Ma è la tavola periodica degli elementi!

Jason annuì, dondolandosi sui talloni – Potrei proseguire tutto il giorno, di certo sarebbe più utile di Salgari.

Louisa sbatté un piede a terra e raccolse tutta la dignità rimastale – Se sei tanto bravo, la cucina trovatela da solo! – gli diete le spalle e fece per tornarsene da dove era venuta, quando Jason le si parò davanti tagliandole la strada – Jason, togliti. – squadrò dall’alto in basso il ragazzo, che la ricambiava con un sorriso superiore e l’aria di chi si stava divertendo un mondo.

- Hai promesso di portarmi in cucina. – disse lui allargando le braccia per bloccarla.

Louisa si morse il labbro inferiore, trattenendo una rispostaccia. Aveva promesso; e lei avrebbe sempre mantenuto una promessa - Io non ti sopporto. Mettitelo chiaro in testa. Ti accompagno solo perché ho detto che l’avrei fatto.

Jason alzò le spalle - Il sentimento è reciproco, dolcezza. Quindi non vedo come possa interessarmi la tua opinione.

Louisa alzò il mento, pronta a ribattere, quando vide due figure che conosceva arrivare dal chiostro – James! Dim! – corse da loro, dimenticandosi del litigio in corso con Jason, felice di vedere Dimitri di nuovo in piedi, anche se camminava lentamente.

– Dim! – gli buttò le braccia al collo, e il ragazzo fece un mezzo passo indietro, cedendo sotto il suo peso – Lou, piano. – disse lui dolcemente – Sono ancora un po’ malconcio.

- E avresti dovuto rimanere a letto ancora un giorno o due. – ringhiò piano James, togliendo Louisa dalle braccia di Dimitri – Tanto per essere sicuri che non stessi di nuovo male. - Louisa lo guardò storto. Lei sapeva bene che Dimitri ci metteva sempre qualche giorno a rimettersi in piedi dopo un attacco doloroso, ma non capiva perché James fosse sempre così iperprotettivo. Secondo lei se Dim stava bene poteva uscire dalla sua stanza.

– Piantala, James. – protestò Dimitri – Non ce la facevo più a stare in quel letto. Mi hanno tolto gli aghi e staccato dal monitor ieri notte dicendo che era tutto a posto, tanto valeva alzarsi e andare a farmi un giro. Sei d’accordo con me, vero Louisa? – fece un largo sorriso alla ragazza che annuì vigorosamente, imbarazzata nel sentire su di sé l’occhiata di fuoco di James – Vedi James? Due voti a uno per me. Andiamo a mangiare Louisa, ho voglia di una macedonia. – il ragazzo le prese la mano, e lei rabbrividì sentendogliela gelata. In tanti anni che conosceva Dimitri non era mai riuscita ad abituarsi a quel contatto ghiacciato – Dim, come mai hai avuto una crisi? – i suoi occhi incrociarono quelli marrone scuro dell’amico, e vide che nonostante tutto l’ittero non accennava ad andarsene – Era da tanto che non ne avevi una.

- Perché è un imbecille. – interruppe James, affiancandosi a loro corrucciato – Perché continua ad allenarsi come un ossesso, nonostante gli sia stato prescritto il riposo e attività fisica a bassa intensità. Poi mi viene a chiedere perché si sente uno straccio ed è pallido e se per caso andasse fatto uno striscio di controllo. – Louisa lanciò una rapida occhiata prima a James e poi a Dimitri, spaventata da quello che avrebbe potuto sapere – E-e com’era lo striscio?

James sbuffò sonoramente, mettendosi le mani nelle tasche dei jeans neri – Quasi tutti i globuli rossi erano mutati, ma il signorino no, ha deciso di strafare lo stesso. Il risultato: quattro giorni a letto e tre sacche di sangue, come se non bastassero i problemi che..

- James, basta! – la tono di Dimitri era perentorio, di chi non tollerava altre discussioni sulla sua salute – Ne abbiamo già parlato centinaia di volte, – strinse più forte la mano a Louisa e lanciò un’occhiata penetrante al ragazzo moro – A me va bene così. Ho decido molti anni fa cosa volevo fare della mia vita. – guardò avanti a sé e Louisa seguì il suo sguardo, vedendo che Jason la aspettava appoggiato contro il muro a braccia incrociate – E poi abbiamo compagnia.

Quando il trio di ragazzi fu abbastanza vicino, Jason si staccò dal muro e fece un sorriso sprezzante a James, che si irrigidì immediatamente – Mi stavo chiedendo perché ci mettessi tanto, Louisa. – le  tese la mano – Allora? Andiamo?

Louisa annuì, ma si tenne ben salda a Dimitri accanto a lei e Jason fece ricadere la sua lungo il fianco – Vanno anche loro in cucina. Pensavo che potesse essere l’occasione buona per fare conoscenza. – abbassò gli occhi quando tutti e tre la fissarono attentamente.

– Io non ci vado a cena con lui. – disse James piano – Non accetterò mai che lui sia il tuo Guardiano, e per quanto ti riguarda, dobbiamo ancora discutere della tua fuga in Scozia e di quella di ieri notte. Cosa ti è saltato in mente di metterti in pericolo in quel modo?

- James, - disse Dimitri – non ossessionarla. Louisa avrà avuto i suoi buoni  motivi per andare in Scozia, no?

- E chiamarci dall’aeroporto cinque secondi prima che saltasse sull’aereo, senza dirci una destinazione precisa del suo viaggio? Hai idea di quanto sia grande la Scozia? Ha detto a Isaiah solo: “vado in Scozia” come se fosse sufficiente. Se sapevamo la destinazione avremmo potuto..

- Avreste mandato qualcuno a riprendermi, James. – sentiva gli angoli degli occhi bruciare. James la trattava come una bambina che avesse fatto una marachella e che andasse punita, mostrando a Jason quanta poca libertà lei avesse. Improvvisamente lasciò la mano di Dimitri e le nascose entrambe dietro la schiena, iniziando a tormentarsi le unghie.

- Saresti sta al sicuro, Louisa. Non avresti avuto problemi con uno dei Sette Traditori con noi a proteggerti. E non saresti tornata con lui. – lanciò uno sguardo di odio puro a Jason, che per tutta risposta alzò le spalle noncurante.

– Sai, - risposte Jason con sorriso gelido - Per essere un tappo sei terribilmente irritante. Ti ho permesso di darmi un pugno, ma non credere che te la faccia passare liscia. E se non ci fossi stato io, Louisa non sarebbe proprio più tornata. Dovresti ringraziarmi.

Dalla gola di James arrivò un ringhio – A tizi come te io non dirò mai ‘grazie’. Preferisco la morte che piegarmi.

Dimitri sospirò, mentre i due ragazzi si guardavano in cagnesco – Mi state facendo passare l’appetito. – disse Dimitri – Andiamo! Vi comportate come due bambini. Cerchiamo di andare d’accordo, siamo nella stessa squadra.

Jason passò lo sguardo su Dimitri, come se lo avesse notato solo in quel momento – A me non interessa quello che avete da dire voi. Io devo solo tenere lei in vita. – disse indicando Louisa con il mento -  Non faccio squadra con voi.

Dimitri alzò le spalle – D’accordo. Da quello che mi aveva detto James, avevo più o meno capito che razza di tipo fossi, ma volevo fare un tentativo per andare d’accordo. James andiamo a cena, Lou, vieni con noi?

Louisa scosse la testa – Devo mostrare a lui dove di trova la cucina, ci vediamo là. – Dimitri annuì una volta e si allontanò con James al fianco, lasciando di nuovo Louisa sola con Jason.

- Non potresti essere un po’ più gentile? – scattò verso il ragazzo, quando gli altri Sigilli furono abbastanza lontani -  Dimitri non ti aveva fatto nulla.

- No.

- Cosa? 

- Mi hai sentito. Non posso essere gentile. Non con loro.

Louisa lo fissò allibita alcuni secondi – Perché?

- Questi sono cazzi miei. – rispose lui glaciale.

- Bene. – rispose altrettanto fredda – Continua pure a comportarti così! Non capisco proprio come Will riesca a sopportarti.

- Potrei dire la stessa cosa dei tuoi amici. Non riesco a capire come tu possa sopportarli, visto che ti trattano come una bambina che non è capace neanche di camminare senza aiuto.

Louisa strinse i pugni – Questo non è vero.

- Invece si. E lo sai anche tu. James aveva l’aria di uno che ti avrebbe preso a sculaccioni. – proseguì lui. Louisa non riusciva più a sopportare quelle parole crudeli e quel suo tono freddo e supponente - Smettila!

- No, non la smetto. È la verità. James comanda la tua vita a bacchetta, così come questo posto opprimente. Potrà essere anche tutto bianco, candito e puro, ma è la purezza che mi aspetterei da un obitorio. Totalmente asettico, totalmente morto, altrimenti perché non gli avresti dato la destinazione precisa? Dentro di te sai che ho ragione.

Louisa sentì lacrime di rabbia scorrergli lungo le guance e le scacciò con un gesto secco – Perché me lo ha chiesto mia madre! – urlò, strappandosi di bocca quella confessione - Mi ha mandato lei una mail dai laboratori di ricerca di un altro Istituto. Mi aveva scritto dicendo di andare in Scozia a cercare Yang Fen. Aveva detto che in questo modo avrei scoperto molte verità, ma ho solo scoperto che.. – si bloccò non riscendo a dire la parola ‘morto’ davanti a Jason, anche se dal viso pallido del ragazzo, Louisa capì che lui aveva intuito che cosa stesse per dire.

- Lo hai fatto per tua madre? – riuscì a mala pena a sentire la sua voce per quanto era bassa, e lei annuì.

– Era la prima volta che mi chiedeva di fare qualcosa. I Custodi mi impedivano di uscire, per questo sono scappata, ma mi sono sentita in colpa e li ho chiamati all’aeroporto, dicendo che sarei andata in Scozia. – voleva dirgli tutto. Voleva dirgli come era stata felice quando sua madre le aveva chiesto di andare in missione. Voleva dirgli di come si era immaginata lo sguardo di rispetto di James, mentre lei portava indietro importati notizie sui Sigilli e sui Grigori, ma le parole non le uscirono mai sulla gola.

Odiava Jason. Odiava quello che le stava facendo provare. Non avrebbe mai voluto incontrarlo.

– Perché tua madre ti ha chiesto di fare una cosa del genere? – domandò lui dopo un minuto interminabile di silenzio, in cui lei aveva solo sentito cuore martellarle il petto.

- Non lo so. Quando le ho chiesto perché non mi  ha più risposto alla mail.

- Chiamarla costava fatica? – il tono canzonario di Jason la fece sprofondare nella disperazione, per lui era tutto facile, divertente e intuitivo. Non capiva cosa poteva provare lei.

– Non ho il suo numero. – mormorò - Mai avuto. So dove lavora, ma non mi è permesso vederla o parlarci. Mi manda una mail ogni tanto per farmi gli auguri di buon compleanno e per dirmi di obbedire ai Custodi. – sentì un’altra lacrima sfuggire al suo controllo e questa volta fu Jason a scacciarla, asciugandogliela con l’indice.

– Andiamo a cena, Louisa. – disse dolcemente.

Sapeva che Jason stava provando a cambiare discorso, ma lei non riuscì a raccogliere la scappatoia che le offriva - E tutto quello che riesci a dirmi? Che pensi solo al tuo stomaco?

Lui scosse la testa e la guardò tristemente – Penso che stia vivendo in una gabbia. E che devi trovare presto una via d’uscita.

 

Jason guardava gli occhi grigi e spalancati di Louisa, non lo avrebbe mai ammesso, ma le parole della ragazza gli avevano chiuso lo stomaco. Quale madre non vorrebbe vedere sua figlia se ne avesse avuto la possibilità?

Fen gli aveva detto che lui era stato raccolto dalle le braccia di sua madre morente, tra i rottami di un incidente d’auto.

Era sicuro che se non ci fosse stato l’incidente i suoi genitori sarebbero stati con lui, lo avrebbero cresciuto. Lo avrebbero amato.

Tutto ciò che percepiva da Louisa invece, era un’immensa tristezza e solitudine, mascherata sotto una buona dose di sfacciataggine e finta tranquillità.

I suoi sentimenti in quel momento erano un mare in tempesta. Voleva sapere di più su Louisa, voleva capire perché non cercasse sua madre, e voleva capire, perché, circondata da tutte quelle persone, lei non si fidasse di nessuno.  

L’aveva sentita prima quando le aveva ridato il libro. L’aveva sentita singhiozzare in un attacco di panico, e pregare di non essere più sola.

Rispondimi, pensò, ribatti. Dimmi che non è vero. Non restare lì impalata a fissare il vuoto. Dov’è finita la ragazza che ha tenuto testa a Miriam?

- Louisa. – sussurrò – Dì qualcosa. – per la prima volta si chiese se con il suo modo diretto non  avesse esagerato.

- Non ho nulla da dire. – mormorò lei atona.

- Non credo.

- Sei così bravo che pensi di potermi leggere nei pensieri? – sibilò – Cosa vuoi sentirti dire? Che hai ragione? Beh, hai ragione! Il tuo ego è soddisfatto, ora? – scappò nella direzione da cui erano arrivati, ma Jason le tagliò la strada fulmineo, aspettandosi un simile comportamento dalla ragazza.

- Non stavolta Louisa. Non ti lascerò scappare di nuovo. – se voleva piangere, avrebbe dovuto farlo davanti a lui. E avrebbe dovuto rivelargli tutto o l’avrebbe torturata fino a sapere la verità.

- Lasciami passare, Jason, per favore. – il tono di supplica di Louisa non lo impietosì, anzi lo rese ancora più risoluto a non lasciarla andare via.

- No. – sussurrò.

Louisa provò ad aggirarlo, ma lui le si parò davanti, impendendole di passare – Se vuoi che mi sposti, dovrai ordinarmelo stavolta. – i loro occhi si incrociarono, e per un lungo istante Jason credette veramente che Louisa gli avrebbe dato l’ordine di spostarsi.

Infine lei sospirò e si asciugò gli occhi – Non  ti farò del male. – disse con voce rotta dal pianto – Non userò la coercizione, te l’ho promesso. – le spalle di Louisa sobbalzarono, mentre lei cercava di reprimere i singhiozzi – Ma ti prego, lasciami andare! - l’urlo di Louisa era talmente tanto carico di dolore che Jason fece istintivamente un passo indietro. Non aveva mai sentito un tono simile. Disperato. Straziante. E immensamente solo.

Non sopportava più quella fase di stallo. Lei vedeva solo la fuga e le lacrime come possibile soluzione davanti a lei. Secondo lui, Louisa non aveva mai affrontato i problemi, ma solo accantonati e ammucchiati.

Chiuse gli occhi, iniziando a contare lentamente fino a dieci per calmare la rabbia crescente e si fermò a quattro, non riuscendo più a trattenersi

- Non posso farlo, Louisa. Per quanto mi piacerebbe fregarmene allegramente, non posso farlo. Ho sempre preso i problemi di petto. E ora, le tue lacrime per me sono un problema.

- Cosa? – ribatté lei aspra - Dubito che tu possa criticarmi! Non sai nulla di me! Tu hai Will che ti capisce.. –

- E tu hai una madre! – la interruppe, con la rabbia che scorreva a fiumi, rompendo gli argini del suo autocontrollo. Sentiva la vena battere sulla tempia e per lui, non mai stato un buon segno – Hai un madre! Cosa che io non vedrò mai! Ti basterebbe comporre dieci fottutissimi numeri per poterci parlare! Ti basterebbe andare ai laboratori per poterla vedere, ma sei così codarda che preferisci stare qui, a crogiolarti nella tua paura, piuttosto che andarla ad affrontare e chiederle perché non ti cerca! Io sono cresciuto con la consapevolezza che io e mio padre non eravamo neanche lontanamente parenti! Non saprò mai da chi ho preso il colore degli occhi o dei capelli, o cosa avrebbero voluto i miei genitori da me. Sono morti! E non ci sarà mai nulla! Nulla! Che mi permetterà di cambiare questa cosa! Io ho Will! È come dire che tu hai James o Dimitri! Non è la stessa cosa! Il motivo per cui non ti ho mostrato prima l’anello era proprio questo! Mi avresti strappato le poche cose mi restavano dell’unico genitore che ho mai avuto! Sei talmente tanto egoista che non vedi oltre al tuo naso! Tutto ti è dovuto perché sei un Sigillo? Non era il contrario? Cosa mi hai detto in Scozia? Che devi proteggere migliaia di vite? Io vedo solo una ragazzina viziata che non fa altro che piangersi addosso! James, per quanto possa starmi sui coglioni è diecimila volte meglio di te! – ansimò violentemente, con i polsi che gli tremavano per l’adrenalina.

Louisa aprì e chiuse la bocca un paio di volte, pallida e visibilmente sotto shock - Mi dispiace. – disse guardando il selciato – Non volevo ferirti.

Jason incrociò le braccia, inspirando profondamente l’odore degli alberi, cercando di ritrovare la calma – Io non sono affatto ferito. Sono terribilmente incazzato nero. – disse abbassando i toni - Dovresti tirare fuori i coglioni e dire quello che pensi. Dovresti smettere di piangerti addosso, e prendere la vita come viene senza farti troppe paranoie. Avresti dovuto dire chiaramente al tuo amico Sigillo, che saresti andata in Scozia, non scappare alla chetichella. Avresti dovuto affrontarlo e dire che non sei una bambina, che.. – Jason fu interrotto dal suono insistente di un cercapersone che arrivava dalla cintura di Louisa. – Quel coso non si può zittire mentre urlo in santa pace? – disse interrompendo il filo del discorso, guardando male il cercapersone che Louisa stava controllando.

- È il centro di controllo, a quanto pare hanno chiamato di Sigilli. – riagganciò il cercapersone alla cintura e lo guardò con gli occhi grigi spalancati.

– Beh, - chiese lui – Non vai?

- In genere è James che va. Lui è il primo dei Sigilli. Se c’è un problema, in genere, è lui a prendere in mano la situazione e..

- E tu rimani a guardare. – disse lui freddo – Vuoi farlo per tutta la vita? Mettere la testa sotto la sabbia e apparire quando tutto è finito? Sei o non sei un Sigillo?

Il rossore si diffuse sulle guance di Louisa – Io non ho alcun potere. – mormorò – Dovrei. James, Dim e anche Anna li hanno. Io sono stata riconosciuta appena nata. L’anello del Machonon mi ha reclamato, ma da allora non sono mai riuscita a fare nulla, è come se Gabriel non ci fosse. – Jason sentì una fitta di pietà lacerargli il cuore. Louisa si sentiva un fallimento, e lui, negli ultimi minuti non aveva di certo migliorato le cose, vomitandole addosso tutto quello che provava.

- Andare a sentire cosa succede non ti costa nulla.

- Non potrei comunque far nulla. Hai visto Belial. Hai visto quanto è forte. I Grigori sono come lui, ma a differenza sua ci vogliono uccidere tutti quanti.

Jason le tirò su il viso, prendendola da sotto il mento – Guardami. – disse dolcemente - Hai preso a calci Belial, mentre tentava di soffocarmi. Hai minacciato di buttarmi giù da un albero. Hai dichiarato davanti a Miriam che eri vergine, guardandola dritta negli occhi, e hai tentato di gettarti tra me e una pistola. Non è vero che non puoi far nulla. Mi fai andare via di testa. Ogni volta che penso di averti inquadrato fai qualcosa per cui devo rivalutarti da capo. Devi scegliere cosa vuoi mostrarmi di te. La patetica ragazzina che stava piagnucolando poco fa, o la ragazza coraggiosa di ieri notte? Perché io combatterò volentieri per quella ragazza coraggiosa, sarò il suo Guardiano, farò quanto posso per tenerla al sicuro. Anche se non riesce a mettere due passi uno dietro l’altro senza inciampare. Io la tirerò sempre su.

Lei gli tolse la mano dal visto, con gli occhi ancora lucidi per le lacrime di poco prima – Jason è pericoloso.

- Posso affrontarlo. Fa decidere me se ne vale la pena. – le tese la mano, speranzoso – Ora sta a te decidere cosa vuoi fare.

Louisa chiuse gli occhi, e Jason la vide contrarre la mascella e dentro di sé contò lentamente i secondi, pur di non sentire i battiti impazziti di entrambi i loro cuori. Louisa li riaprì con una nuova luce nello sguardo – Non voglio che tu ti faccia del male, Jason. – lui aprì la bocca per dirle che allora non aveva proprio capito nulla, ma lei lo fermò con un gesto secco della mano – Fammi finire. Non voglio che tu ti faccia del male, - gli prese la mano ancora tesa, intrecciando le dita con le sue – Quindi non ti esporre più di quanto non è necessario.

Jason annuì, risoluto – Ho ancora fame, però. – le labbra gli si incurvarono in un sorriso di scuse e Louisa gli scappò una risata – Nel centro ci saranno sicuramente dei panini, lavorano notte e giorno. Puoi procurarti qualcosa da mangiare lì, ma dobbiamo sbrigarci, o si mangeranno le cose migliori.

- Bello! – il commento gli uscì prima che potesse fermarlo – Un Istituto dove lavorano centinaia di persone, e mi forniscono quattro panini in croce, che mi devo litigare con il personale. – seguì Louisa che si stava dirigendo verso uno dei kart parcheggiati in un angolo fuori dietro al chiostro - La recessione colpisce ovunque?

Louisa gli fece un ghigno – Ma smettila! Non ho detto che non ti lasceranno nulla, solo che si prendono i panini migliori. – Louisa si sedette sul kart e gli fece cenno di mettersi dalla parte del guidatore – Sbrigati.

- Mi lasci guidare?

- Scommetto che mi avresti fatto spostare. – si tormentò una ciocca di capelli, e Jason notò che lo faceva ogni volta che era nervosa o preoccupata.

- E avresti vinto la scommessa. – disse premendo il pulsante di accensione del kart – Dove andiamo ‘Signorina Van Der Meer’?

Louisa sbuffò sonoramente – La vedi quella grande palla laggiù? – le indicò un punto verso destra, e tra gli alberi Jason vide una grossa cupola in acciaio bianco e vetro che rifletteva la luce del sole – Dobbiamo andare lì. – proseguì Louisa.

Jason guidò il kart seguendo le indicazioni di Louisa e sbatté un paio di volte le palpebre quando vide la struttura apparire davanti a lui.

L’edificio era basso e lungo, rigorosamente bianco, come tutti gli altri nell’Istituto, e dietro, c’era costruita una grossa sfera di vetro trasparente piena di piante – Che cos’è quello? – disse imprimendosi a fuoco l’immagine nel cervello e decidendo che alla prima occasione lo avrebbe esplorato.

- Una biosfera. – rispose Louisa – Dentro c’è un delicato ecosistema, fatto di piante e animali. L’Istituto l’ha fatto costruire per trovare un posto dove poterci rilassare e stare a contatto con la natura.

- So cos’è una biosfera, grazie. Studio biologia all’università. Volevo sapere: che ve ne fate di una biosfera quando avete tutti quei giardini?

- Andiamo lì quando abbiamo bisogno di stare un po’ soli con noi stessi. Solo i Sigilli e pochi altri entrano. È il nostro Sancta Sanctorum.

Jason non seppe cosa rispondere e guardò la sfera, mentre Louisa lo strattonava verso l’ingresso all’edificio, voleva entrarci a tutti i costi. L’idea di poter studiare una biosfera di quelle dimensioni lo mandava in estasi.

Quando abbassò gli occhi, Louisa stava già mettendo mano sullo scanner gel, per aprire la porta.

La prima cosa che lo colpì, fu il freddo dell’aria condizionata, poi l’inconfondibile profumo di panini caldi e pizza e il vociare di decine di persone. Il suo stomaco gorgogliò rumorosamente, attirando su di sé e Louisa, lo sguardo di buona parte dei presenti, che fino a quel momento guardavano gli schermi che occupavano quasi totalmente un muro.

- Louisa cosa ci fai qui? – la voce di James, lo distrasse per un secondo dall’intendo di raggiungere il tavolo centrale e di servirsi.

- Voglio sapere che succede! Perché mi è suonato il cercapersone? – sempre con un orecchio teso verso la conversazione, che tutti stavano  fissando, Jason strisciò rasente muro verso il buffet. Se quell’idiota di James voleva fare a pugni, avrebbe dovuto aspettare almeno un panino.

- Louisa, non è un bello spettacolo. I satelliti ci hanno mostrato delle anomalie a Breda. Non c’è nulla di cui preoccuparsi. Posso occuparmene io. E poi perché vieni con quello là? Mi è sembrato di capire che non gli importasse nulla di noi.

Jason si bloccò sul posto a pochi passi dal tavolo che aveva puntato e si girò verso James, facendogli uno smagliante sorriso – Hey stronzetto. Io ho un nome, ma forse è troppo complesso perché tu possa capirlo. – Sentì qualcuno ridacchiare, ma la maggior parte delle persone inspirò bruscamente.

James percorse la distanza che li separava in cinque passi, e lo guardò in cagnesco, a pochi centimetri di distanza dal suo naso – Allora ricordamelo, così che io possa mettere il tuo nome sulla mia lista quando ti porterò allo Sheol.

Una mano si frappose fra loro, e porse un panino a Jason – Tieni, Jas. Verdure e prosciutto crudo. Il tuo preferito. – guardò Will dall’alto in basso, che gli rispose facendogli un largo sorriso, prima di addentare un altro panino che teneva in mano – Che ci fai tu qui?

- Ero in cucina, quando sono entrati James e Dimitri; è squillato il cercapersone e io mi sono imbucato. – passò deliberatamente tra Jason e James e raggiunse Louisa, che pallida, fissava tutta la sala ancora sull’ingresso.

- Louisa, come stai? Come va la gamba?

Jason sbuffò. Will non si smentiva: come riusciva a convincere lui le persone a fare le cose, non ci riusciva nessun’altro. Avrebbe convinto una tribù di tuareg a comprare dei forni a legna se ne avesse avuto l’occasione.

- Signor James? – chiese un uomo seduto davanti a un monitor – Deve vedere questo, e anche il Signor Dimitri e la Signorina Louisa.

- Louisa adesso torna nelle sue stanze, - ringhiò James rivolto all’uomo - Non ha bisogno di vedere nulla.

Louisa si avvicinò minacciosa a James e Jason, facendosi spazio tra i ricercatori vestiti di bianco e squadrò James – Io non mi muovo, James. Qualsiasi cosa sia, voglio saperla.

La fissò visibilmente furioso per un lungo istante, per poi guardare nuovamente Jason – Immagino che centri tu dietro questa storia. Louisa è..

- James! – la voce preoccupata di Dimitri fece voltare la testa a tutti nella sala – È importante! Devi vedere subito. Sono Nephilim. E sono tanti. – dando un’ultima occhiata sprezzante a Jason, James si affiancò a Dimitri studiando lo schermo.

- Non possono averne già così tanti. E poi, questi sono quasi perfetti. Come hanno fatto? – scambiandosi un’occhiata veloce con Louisa e Will, Jason si avvicinò allo schermo, fissando la foto di sei ragazzi, molto alti, più della media, che ghignavano malvagiamente in direzione della strada – Questa è una delle immagini del satelliti, James. – proseguì Dimitri – Ce ne sono altre cinque, per un totale di trenta Nephilim nei dintorni di Breda.

James impallidì di colpo, così come Louisa, che si strinse istintivamente contro Jason – Trenta Nephilim? – mugugnò lei – Sono tantissimi.

- Louisa, – sussurrò Jason, cercando di capire perché quell’immagine la preoccupasse tanto, lui vedeva solo dei ragazzi – Io non ci capisco nulla. – James probabilmente lo sentì, perché alzò gli occhi su di lui, ghignando ferocemente – Gli ignoranti non sono ben graditi qui dentro, e nemmeno i mezzi dottori. Voi due andate fuori, tra poco Louisa vi raggiungerà.

Jason ringhiò, piazzandosi fra Will e James – Will non lo chiami ‘mezzo dottore’, e noi non ci muoviamo da qui. Non prendo ordini da te, ma da Louisa.

- Che prende ordini da me. – ribatté James

- Che non prende ordini da nessuno! – urlò Jason, sentendosi scoppiare di nuovo di rabbia. Avrebbe dovuto prendere a pugni James quando ne aveva avuto l’occasione.

- Hey! – Dimitri alzò la testa castana e li fissò tutti, uno per uno – Abbiamo dei Nephilm a piede libero. Non mi importa chi prende ordini da chi. Ci sono delle priorità. E ora la priorità maggiore è la città di Breda e le persone che ci vivono.

- Bene. – disse James sprezzante, tornando agli schermi – Passami tutte le immagini sui monitor. – digitando velocemente sulla tastiere il ricercatore fece apparire l’immagine di altri ragazzi, tutti incredibilmente alti. Jason passò in rassegna le foto e gli si chiuse lo stomaco per la seconda volta, quando vide tre di loro che avevano accerchiato una ragazza. Per fortuna di Louisa, era un fermo immagine, ma lui poteva ben immaginare cosa fosse successo dopo, e strinse i pugni.

- Malcom! – urlò James, dopo aver consultato una cartina di Breda – Voglio venti dei tuoi uomini migliori. Costruite un perimetro di un chilometro intorno ai Nephilm, dobbiamo spingerli verso un posto dove possiamo sconfiggerli senza problemi. Affrontarli tra i  palazzi è impossibile, potrebbero scappare. – studiò la cartina per qualche altro minuto, punteggiandosi la mascella con l’indice – Spingiamoli verso questo parco. – disse indicando un punto verde quasi al centro cittadino.

- James! – irruppe Louisa – È un parco. Sarà pieno di famiglie e anziani. – la voce preoccupata di Louisa, fece fremere Jason. Si vedeva che a lei la decisione di James non andava bene, e lui, avrebbe combattuto se James si fosse impuntato.

James si scambiò un’occhiata con Dimitri, che annuì – Chiamo la polizia locale e faccio sgombrare l’area.

- Contenta Louisa? – il sorriso superiore e soddisfatto del ragazzo, scatenò in Jason la voglia di piantarlo profondamente per terra. Non aveva mai conosciuto nessuno che gli stava così tanto fastidio.

Con la coda dell’occhio vide qualcosa di rosso, balenare in un angolo di una immagine e si girò a guardare il monitor – Riesci a zoomare su questa foto? – disse picchiettando il monito – Proprio qui. Nell’angolo. – l’uomo guardò prima lui, poi James, che alzò le spalle, come a chiedere cosa potesse farci lui – Cosa speri di trovare? La donna con cui ti sei divertito qualche sera fa? Il primo amore? – Jason contrasse la mascella, cercando di ignorare le provocazioni di James, lui non sapeva niente della sua vita passata. Le sue erano solo parole velenose.

- Cercavo queste. – disse indicando la foto di sei ragazze vestite di rosso, che osservavano orgogliose i Nephilm – Tre di loro le ho viste l’altra sera, accompagnavano Miriam. Erano al tavolo con lei.

Louisa, se possibile divenne ancora un più pallida, e Jason poté quasi sentire il suo cervello elaborare quelle informazioni – Che siano le madri? – chiese infine, tremando da capo a piedi.

- Se così fosse, - disse James, con voce dure – Saremmo costretti a sistemarle definitivamente. Prega che non siano corrotte fino a quel punto. – abbassò gli occhi sulle tastiere.

- Cosa vorranno, James? – proseguì Louisa – Perché sono così tanti, nello stesso posto?

- Perché hanno deciso di dichiararci guerra. - per la prima volta, Jason, vide in James il volto di un ragazzo preoccupato, con le spalle curve e delle rughe sul volto. Come se sostenesse un gran peso per tutto il tempo - Devo andare a sistemarli. Non c’è altra scelta.

- Vengo con te. – disse Dimitri, mettendo giù il telefono.

- Non se ne parla proprio! Ti sei appena alzato da un letto! Sei ancora convalescente. Resti qui, con Louisa. È la mia ultima parola.

Dimitri allargò le gambe e infilò i pollici nelle tasche dei jeans – Io vengo con te. Ci sono trenta Nephilim lì fuori, e tu sei un Sigillo solo. Per quanto tu sia bravo, non ce la farai mai. Mi sono allenato duramente, quanto e come te, conosco i miei limiti. Non sarà un doloretto a tenermi lontano da Breda, e di certo non sarai tu.

James roteò gli occhi – Fai sempre di testa tua. – per la prima volta da quando l’aveva conosciuto, James sorrise – Guardami le spalle Dim, ne avrò bisogno.

- James, vengo anche io. – la voce squillante di Louisa fece sobbalzare tutti nel centro e il ragazzo di voltò a guardarla tristemente - No. Non fa per te. Non sai combattere, non posso anche pensare a tenerti al sicuro.

Jason tirò a sé Louisa prendendola per la vita, pronto a sfidare il ragazzo – La terrò io al sicuro. Farò in modo che non le succeda nulla.

James si morse il labbro e distolse lo sguardo – No lo stesso. Non mi servono novellini. Andiamo Dim. Malcom voglio i tuoi uomini pronti tra un quarto d’ora ai furgoni. Dobbiamo muoverci in fretta.

Jason si rivolse Louisa, che guardava con il labbro tremante le figure di James e Dimitri che si allontanavano discutendo animatamente – Che vuoi fare? Obbedire all’ennesimo ordine?

- Jason, – sussurrò la ragazza – Come te la cavi con le fughe da zone recitante e messe sotto sorveglianza?

Jason sorrise per la decisione di non arrendersi a quel ‘no’ secco e avvicinò le labbra suo orecchio – Direi che sono la mia specialità.

- Bene, perché James non mi lascerà indietro stavolta.

 

Dio,

è il momento di asciugare le lacrime,

e prendere in mano la spada.

 

 

 

 

NDA: Questo capitolo è stato uno straparto gemellare. E come avete visto è il più lungo che abbia mai scritto. Le cose iniziano a muoversi, anche se qui ho esplorato la psiche di Louisa e il suo rapporto con la maggior parte (Jason) dei personaggi. Anche la psiche di Jason l’ho analizzata un po’, anche se lui è un po’ più facile.

Conclusioni su Louisa? Come mi ha detto la mia psico-beta reader *nuovo temine scientifico* Louisa è tormentata. Tormentata da tutto, dalla sua vita, dal suo passato, dalla sua stessa matta *pazza è il termine corretto*

Quante decine di persone devo ringraziare? Un sacco

Annalisa, Beatrice, Elisa, Elis, Sara, Talia, Rossella, per il supporto, (e il sopporto) e le continue frustrate per farmi scrivere.

Ci si vede al prossimo capitolo, che al 99% si chiamerà Nephilm..

PS:  la citazione è azzeccata, come vedere le parole possono trasformarsi in un tormento se dette nel modo sbagliato, il titolo..ahhahhah è più giusto dire “calma apparente” che “calma innocente”, però è vero, Louisa è pura è innocente!

Khyhan

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Capitolo 7
*** VII. Vulnera ***


VII - Vulnera

Vulnera

 

“Fedeli son le ferite di chi ama;

frequenti i baci di chi odia.”

Pr 27:6

 

Louisa guardò le figure di James e Dimitri, che davano gli ordini ai Custodi, incitandoli più e più volte a caricare le armi sui SUV in fretta.

Accanto a lei, Jason sbuffò impazientito – Quanto ci mettono? – chiese, sventolando il suo quarto panino ormai, divorato a metà, davanti agli occhi di Will – Ho fatto in tempo a mangiare e a vestirmi.

- Hanno tutte le armi da caricare, - spiegò pazientemente Louisa appoggiando il mento sulla mano - E James sta dando le ultime direttive a Malcom. Tra poco partiranno.

- Jas, - iniziò Will appoggiandosi contro il muro a braccia incrociate – Sei sicuro di quello che vuoi fare? Voglio dire, tecnicamente le auto dell’Istituto non sono tue. Non puoi prenderle come ti pare e piace.

Louisa strisciò i piedi per terra, sentendo lo stomaco chiudersi in una morsa. Il piano che aveva presentato Jason a Will non lo aveva inventato il ragazzo, ma lei; e ora, guardando il viso duro e risoluto di James mentre dava ordini ai Custodi, iniziava a pentirsene.

- Primo, - disse Jason, strappando un grosso pezzo di panino, per poi buttarlo giù quasi senza masticare – Tecnicamente le auto sono dell’Istituto e con me viene Louisa, che rappresenta l’Istituto, quindi ho il suo permesso. Secondo: io non prenderò in prestito delle auto.

Louisa si voltò a guardarlo, battendo le palpebre stupefatta – E come pensi di seguirli, scusa?

A Jason si allargò un sorriso e indicò le moto parcheggiare dietro ai SUV, sul fondo del garage – Con quelle. Dammi una di quelle e potrò seguire la strada tracciata dal volo di una rondine.

- Ma che romantico. – commentò sarcastico Will – Da quando sei così poetico?

- Da quando ho la possibilità di cavalcare una Ducati Multistrada 1200. La cosa mi rende poetico.

- Io non ci salgo in moto con te. – disse decisa Louisa ricordando la sua ultima corsa con Jason – Prendiamo un’auto.

- Impossibile. – ribatté lui - Io non le so guidare.

Louisa aprì e chiuse la bocca una paio di volte, fissandolo apertamente con gli occhi sgranati – Che cosa? – sibilò infine – Ma i kart li sai usare.

- Io so guidare, genio. – disse Jason finendosi il panino – Ma vengo dalla Scozia. Lì guidiamo a destra.

- Hai detto che avevi la patente internazionale.

Jason alzò le spalle – Ti facevo il verso, scema. Prenderemo una moto, e dubito che tu possa proferire altra parola, perché, - disse ghignando – O guido io, o tu resti qui.

- Tu! - esclamò Louisa alzando la voce – Sei un egoista! Non puoi costringermi a..- Jason la zittì posandole due dita sulle labbra, guardandola sorridente – Si, che posso. Perché tu hai chiesto aiuto a me, quindi si seguono le mie regole. E se alzi la voce, James ti sentirà e addio piano d’evasione.

- Egoista. – ribatté lei a denti stretti – Dovresti imparare a essere...-

- Hey! Toglile le mani di dosso! – l’urlo di James la fece sobbalzare, e si strappò di dosso la mano di Jason che ancora premeva sulle sue labbra.

- James! Mi hai fatto venire un colpo. – guardò negli occhi il primo dei Sigilli e un fiotto di vergogna le fece ribollire l’acido nello stomaco, già chiuso, e si voltò da un’altra parte, evitando il contatto visivo.

- Scusa. – mormorò James – Non volevo spaventarti, ma non riesco a sopportare il fatto che quello là flirti con te.

- Io non flirto con lei. – disse Jason, mettendosi le mani dietro la testa – Caso mai quello sei tu.

James strinse i pugni lungo i fianchi e serrò la mascella – Louisa, - disse infine in tono molto basso e rigido – Posso parlarti un attimo?

Louisa annuì, continuando a evitare il contatto con gli occhi di James. Sapeva che se li avesse guardati avrebbe confessato tutto quello che aveva in mente di fare, e a James, molto probabilmente, sarebbe venuto un infarto.

Si avvicinò lentamente al ragazzo, che si irrigidì guardando oltre  la sua testa – Voglio parlare con Louisa da solo. - Louisa si voltò e vide Jason a pochi passi dietro di lei, con i pollici infilati nelle tasche dei jeans, che li guardava con un mezzo sorriso sornione stampato in volto – Come preferisci. Vegliavo solo sulla castità di Louisa. Sai, sveltine pre-missione, addii, promesse da marinaio, cuori infranti. – Louisa avvampò alle immagini, che le parole di Jason le suscitarono nella mente, e vide con la coda dell’occhio James rigirarsi l’anello tra le dita.

Gli mise una mano sul braccio e scosse piano la testa – Lascia perdere, - sussurrò – È fatto così. La cattiveria gli viene naturale.

James si mise la mano in tasca e alzò il mento – Non mi importa quello che dici di me. Puoi dirmi tutto quello che ti pare, ma non accetto che tu offenda Louisa in questo modo. Chiedile scusa. Ora.

- James, – disse Louisa ancora rossa – Lascia stare. È arrabbiato e non gli piace stare qui. – James la fissò un paio di secondi e lei sperò che lui non commentasse il suo imbarazzo.

Quello che pensava James era abbastanza chiaro, lei se lo era ripetuto decine di volte: se Jason era all’Istituto, era sola ed esclusiva colpa di Louisa.

- Va bene. – disse infine lui rilassando le spalle – Ma solo perché sei tu a chiederlo. Ma se mai dovesse ripetere una cosa simile, lo costringerò a chiedere scusa in ginocchio. Ora vieni. Ti devo parlare.

Louisa lo seguì vicino ad un’aiuola alberata, allontanandosi dagli altri e chiedendosi se per caso James avesse sentito i discorsi tra lei, Jason e Will. Dopotutto i Sigilli  avevano i sensi acuiti rispetto ai normali essere umani, ma Jason aveva detto che in mezzo a tutto quel rumore non riusciva a sentire James e Dimitri quando parlavano sottovoce.

- Sono preoccupato, - disse senza preamboli James, riscuotendola dai suoi pensieri – I Nephilim sono davvero tanti, stavolta.

- Potrei venire con voi. – Louisa cercò di convincerlo di nuovo, se lui avesse ceduto, lei non avrebbe dovuto mentire e scappare. Di nuovo.

- No! – scosse la testa e si passò una mano fra i capelli – Non sai combattere, non sai proteggerti, e  anche se quel ragazzo ha tenuto testa a Belial, io voglio saperti qui. Al sicuro.

- James, - iniziò lei, ma lui scosse la testa, interrompendo ogni sua protesta.

- Non capisci, Louisa. Io non avrei voluto neanche Dimitri per questa missione. Lo porto con me perché ci sono costretto, perché non potrei affrontarli tutti da solo. – Louisa abbassò gli occhi, ora sarebbe stato il momento ideale per dirgli quello che provava; per ricordargli chi era lei e che cosa rappresentava, ma le parole gli si bloccarono in gola quando incrociò gli occhi azzurri del Sigillo.

– Cercate di non correre troppi pericoli. – disse infine con gli occhi che le bruciarono.

 – Non posso prometterlo, ma Louisa, noi torneremo sicuramente, mi capisci, vero? Non possiamo permetterci di morire, per il bene del mondo, torneremo sicuramente, quindi resta qui, al sicuro. - le orecchie le si fecero molto calde, quando il cuore le balzò in petto. Lo sa, pensò, lo sa e sta cercando di convincermi a non farlo.

- James, senti io voglio… -

- Fammi finire, Louisa. – la interruppe lui – Sono preoccupato, tutti questi Nephilim sembrano un invito a farci uscire allo scoperto e non ho  idea di quello che troveremo lì, nonostante il centro li tenga costantemente monitorizzati con un satellite posizionato sopra Breda. Voglio che tu rimanga costantemente accanto a Jason. – James strinse i denti e fece una smorfia, come se fosse disgustato dalle sue stesse parole e lei sobbalzò sentendo quelle parole – Vuoi che rimanga sempre accanto a Jason? – ripeté incredula.

- Io e Dimitri usciamo e con noi vengono anche i nostri tiratori migliori. Non sono  stupido, Lou. Se fossi un Grigorio approfitterei di questo momento per attaccare e cercare di spezzare le parole nella lingua del Cielo poste ai confini. Per quanto io detesti quel ragazzo devo ammettere che è la tua miglior difesa.

- Allora potrei venire con te, no? Così puoi tenermi sott’occhio costantemente. – a quelle parole James rise tristemente.

- Mi stai chiedendo di portarti come ed esporti a un pericolo certo, piuttosto che lasciarti qui ed esporti a un possibile pericolo? – lei annuì risoluta e lui le sorrise – Quel ragazzo ti sta cambiando, Louisa, – le accarezzò una guancia, e Louisa sentì il freddo contatto dell’anello del ragazzo – Spero solo che non ti cambi in peggio. – il suo di un clacson li fece girare entrambi e Dimitri fece cenno di partire con la mano – Devo andare. – disse James con un sospiro stanco – Non fare mosse stupide e suicide, Louisa. O non potrò più fidarmi di te.

Con la schiena curva e i piedi strascicati, James tornò ai SUV e lei, non poté fare a meno di pensare che sembrasse molto più vecchio dei suoi ventiquattro anni.

Quando i sette SUV passarono davanti Louisa, Jason si avvicinò di nuovo alla  ragazza – Allora? Andiamo? – chiese con le mani in tasca – Will distrarrà le guardie al cancello, mentre noi requisiamo una moto e i caschi. Un lavoro facile, indolore e preciso.

Louisa si voltò nella sua direzione, Jason era sfocato e la gola le doleva – Non so più se è la cosa giusta da fare.

– Sei pallida. – disse passando il dorso della mano sulla sua guancia – E ghiacciata. Che ti ha detto il tuo amico?

Louisa ripeté il discorso di James con un nodo allo stomaco – Credo che lui sapesse cosa vogliamo fare.  Non voglio tradire la sua fiducia. Non so più cosa fare. James pensa che sia molto pericoloso e io… -

Jason alzò una mano interrompendola - Appunto. È pericoloso. Per te, per me, per James, Dimitri e tutti gli altri. Sapevi fin da prima che è pericoloso andare, ma sono convinto che tu voglia ancora seguirlo, hai solo paura di deluderlo. – le scostò una ciocca di capelli - Potrai deluderlo, potrà arrabbiarsi, ma non smetterà di volerti bene e se lo facesse non sarebbe un vero amico. Se Will fosse in pericolo, correrei da lui anche se si trovasse nel centro esatto dell’inferno, poco mi importerebbe se lui fosse contrario o se mi urlasse contro le migliori parolacce mai inventate.

Louisa chiuse gli occhi. James sapeva urlare parecchio quando si arrabbiava, e aveva passato anni a proteggerla e a prendersi cura di lei in tutti i modi possibili. Fin da quando erano bambini, James aveva preso tutte le decisioni e si era caricato di tutti i problemi e responsabilità.

L’immagine di James con le spalle curve gli balenò davanti gli occhi e lei inspirò  bruscamente. Per anni non si era mai fermata a riflette su quanto James soffrisse e quanto gli pesasse dare la caccia ai Nephilim per lasciare lei e Dimitri tranquilli. Alzò lo sguardo sul ragazzo, ancora in attesa davanti a lei – Jason, hai mai fatto del male a qualcuno? – chiese infine.

- Si.

- Ferito?

- Dipende, a volte ho ferito con le parole, a volte con i gesti. Molto spesso, ho ferito gli amici. Will, ad esempio, una volta abbiamo litigato talmente tanto, che abbiamo rischiato di non parlarci più e solo perché io sono stato un cretino e non ho voluto credergli. Fa molto più male di quello che si possa credere ferire gli amici.

- Hai mai fatto del male fisicamente a qualcuno? Molto male intendo.

A Jason si piegarono le labbra in un sorriso triste – Sono stato in galera, ricordi? I tipi che ho pestato alla fine avevano delle costole rotte e delle lesioni interne. Non è stato divertente. L’euforia del momento passa dopo un po’, e rivedi la scena a rallentatore, nella tua testa torturando costantemente. Mi sono sempre chiesto se avessi potuto agire diversamente, ma in quel momento non ci ho pensato. Pensavo a difendermi e a difendere la ragazza, perché se non lo avessi fatto la situazione sarebbe solo peggiorata, per me e per lei. Proteggere gli altri significa anche questo, Louisa, convivere con i propri sensi di colpa e con le proprie decisioni. – Louisa guardò oltre Jason, e la mente corse di nuovo a James e a Dimitri, quante volte avevano fatto ciò che stavano per fare di nuovo, eppure non si erano tirati indietro neanche questa volta? Più di quante lei potesse contarle.

I suoi occhi si focalizzarono sulle moto e per l’ennesima volta un brivido la percorse quando ricordò il giro con Jason – Correrai anche questa volta se prendiamo la moto, vero?

- Ovvio che sì, se vuoi arrivare in tempo.

Louisa sospirò – Sia chiaro, - disse ormai decisa – Andiamo ad aiutare James e Dimitri. È l’unico motivo per cui sopporterò il tuo folle modo di guidare. Non farci l’abitudine. – Jason scoppiò a ridere e fece un cenno a Will, che si avviò verso i cancelli – Quindi possiamo dare via al grande piano di fuga?

- Sì. – a quella risposta, Jason la spinse senza tanti complimenti verso il fondo della rimessa e guardò da vicino tutte le moto, accarezzandone dolcemente un paio con gli occhi, che gli brillavano di felicità.

- Alcune di queste sono il sogno di una vita, - disse infine sorridendole apertamente – E tu le hai qui a completa disposizione e non osi neanche salirci sopra. Tra l’altro, lo sai che sei pallida? Dovresti prendere più sole.

Louisa batté un piede a terra, con le mani sui fianchi – Io prendo abbastanza sole! È solo che, – deglutì, guardando i mezzi a due ruote – Mi spaventa la velocità. – gli scoccò un’occhiataccia – E tu di certo non hai contribuito a farmi passare questa paura. – Jason sghignazzò e prese da uno scaffale un casco nero, rigirandolo tra le mani – Questo ha l’interfono integrato e vedo pure il simbolo del bluetooth. Il sottovisiera e la mentoniera ribaltabile. Deve essere costato una fortuna. – lanciò un’occhiata rapida a Louisa e poi tornò ad osservare il casco – Dovrebbe essere della tua misura, è abbastanza piccolo.

Louisa si tirò su i capelli, come Jason le aveva mostrato in Scozia – Mi sembra di soffocare con quel coso addosso. - Jason le infilò il casco sulla testa e alzò la parte anteriore del casco – Puoi tenere sollevata la mentoniera un po’. Ora, stai ferma che ti allacciò il sottogola. – disse gentilmente, allacciandole i gancetti del casco

– Non hai bisogno delle chiavi per far partire la moto? – mormorò lei, infine.  Jason si batté il palmo sulla fronte, come se ci avesse pensato solo in quel momento – Giusto! A casa ho le mie sempre in tasca, non mi ricordavo che dovevo ancora procurami le chiavi! Aspetta qui, vado a cercarle. – caracollò via, lasciando Louisa con il casco sulla testa, che si guardava la schiena del ragazzo con stupore crescente. Come aveva fatto a non pensarci da solo?

Si appoggiò con la schiena contro lo scaffale a braccia incrociate – Questo coso sulla testa pesa, Jason. – disse piano.

Jason tornò indietro dopo un paio di minuti fischiettando, mentre faceva roteare le chiavi intorno all’indice.

- Perché stai fischiettando? Guarda che non è divertente. Stiamo facendo una cosa potenzialmente illegale.

- Appunto! Silver and gold will be stolen away, Stolen away, stolen away, Silver and gold will be stolen away, My fair Lady.– canticchiò allegramente sorpassandola e andando a scegliersi un casco.

- Ma che? ‘London Bridge is Falling Down’?

Jason la ignorò e provò un paio di caschi prima di sceglierne uno – Questo modello è identico al tuo, possiamo usare l’interfono durante il viaggio. Ovviamente, se urli come una quaglia isterica, canterò tutte le filastrocche che mi vengono in mente. – si avvicinò a lei le abbassò la mentoniera e le premette un pulsante sul lato del casco – Aspetta che collego gli interfono. – lavorò per qualche altro secondo sul suo casco e poi se lo infilò – Mi senti? – la voce di Jason al suo orecchio le fece voltare di scatto la testa, facendole perdere l’equilibrio – Piano. – rise Jason al suo orecchio, afferrandola per il gomito – O metterai alla prova la qualità del casco sbattendo contro il pavimento.

- È che non mi aspettavo di sentirti così vicino. Cioè, sei direttamente nel mio orecchio.

Jason le picchiettò la calotta del casco con l’indice e ridacchiò – Facciamo una prova, per vedere se mi senti bene? Ho tante noci di cocco splendide, deedl-ee-dee-dee tutte, tutte in file per tre. Grandi, grosse, anche pi-

- Basta!

- Okay, direi che l’interfono funziona alla grande. Facciamo partire l’amore della mia vita. – si mise a cavalcioni sulla moto e tolse il cavalletto, invitando Louisa a salire dietro di lui – La piccola ha voglia di fare un giro.

- Io non sono ‘la piccola’ – disse Louisa salendo dietro di lui

- Mi riferivo alla moto, genio delle fughe. Lei è ‘la piccola’, tu sei la scema rompiscatole, tanto per essere gentili – prese la chiave e la avvicinò alla moto.

- Che stai facendo? Inserisci quella maledetta chiave. – disse Louisa stizzita per l’offesa.

- Questo amore del papà ha la chiave elettronica, l’avvicini al cruscotto e la moto si accende. – Louisa si strinse a Jason in attesa di sentire la vibrazione della moto sotto di sé.

 – Ma cosa? Si può sapere perché non parte? La chiave è difettosa? – l’urlo di Jason le spaccò un timpano.

– Smettila di urlami nelle orecchie!

Jason si bloccò di colpo e si sfilò il casco, studiandone l’interno attentamente – Un casco con il sistema di sicurezza elettronico! – emise un fischio di ammirazione - Questo stronzo non mi farà partire la moto finché non me lo sarò messo perfettamente. – con uno sbuffo si infilò di nuovo il casco e se lo allacciò sotto la gola, prima di riprovare a riaccendere la moto. La risata soddisfatta di Jason si propagò nel casco di Louisa e lei, si strinse convulsamente contro di lui, sperando che i tremiti che sentiva fossero causati dalle vibrazioni del motore.

– Reggiti forte, ragazzina. –la voce di Jason nel cascole arrivò limpida, come se si trovasse accanto a lei – Will ci sta aspettando e abbiamo perso anche troppo tempo. – con un aumento dei giri la moto scattò avanti e Louisa, strinse tanto forte le mani, da sentire i muscoli di Jason sotto la maglietta – Mi fai il solletico. Non devi stringermi così forte. – Louisa allentò di un poco la presa e Jason rilassò i muscoli – Sai, - disse sfrecciando per le strade dell’Istituto – Questa moto è particolare. Ha la possibilità di cambiare assetto delle sospensioni, potenza del motore e cambio in base alle esigenze, basta premere un pulsante.

- E perché lo dici a me? – rispose lei con sufficienza – Io non salirò mai più su una cosa del genere. Oggi è un’emergenza. – sentì un brivido correrle lungo la schiena quando Jason scoppiò a ridere.

- Perché Louisa, stiamo per provare la modalità sport.

- Che cos.. – la voce le morì in gola quando sentì l’accelerazione improvvisa della moto e si costrinse a stringere i denti per non mettersi a urlare – Ti prego, - disse cercando di non far trapelare quanto fosse impaurita – Ti prego, rallenta. – artigliò i fianchi di Jason più forte che mai, e chiuse gli occhi per non vedere le macchie di colori sfocati che erano diventate le aiuole – Ci ammazzeremo, Jason! Rallenta!

- Impossibile. – replicò il ragazzo – Tra poco il sole sarà tramontato, e se chiudono il cancello non possiamo più uscire. O mi sto sbagliando?

- No. – mormorò lei – Ma ti prego, poi rallenta! – esclamò senza riaprire gli occhi.

Jason ridacchiò – Se prometti di smettere di cercare di strapparmi l’intestino con le unghie rallento, ma non ora. Vedo i cancelli. – se possibile, la moto accelerò ancora e per un attimo Louisa ebbe l’impressione di venir sbalzata via dalla sella – Resisti ancora un poco. – disse Jason.

Louisa socchiuse un occhio e vide Will salutarli quando passarono davanti a lui e alle guardie, che urlarono allarmate – Ci possono sparare addosso? – chiese Jason, passando talmente tanto vicino ad una delle auto, e Louisa vide arrivare lo scontro imminente – Non credo. – disse riprendendo fiato rendendosi conto di quanto Jason fosse bravo al volante – Stiamo uscendo dall’Istituto, ma è molto probabile che Will passi un brutto quarto d’ora e che poi avvisino James.

- Non mi preoccuperei per Will. – rispose imboccando la strada che avevano fatto neanche ventiquattro ore prima, tornando dalla città – Non gli avrei chiesto di tenere distratte le guardie se non ne fosse stato capace. Will è una di quelle persone che in situazioni del genere se la cavano sempre. Ha un forte ascendente su tutti.

- Da come ne parli, sembra quasi che abbia avuto effetto anche su di te. In fondo alla strada gira a destra, prendi l’autostrada che porta verso il Belgio.

- Sì, - rispose Jason curvando e prendendo la direzione dell’autostrada per Breda – Se non ci fosse stato Will probabilmente sarebbe stato tutto diverso. È stato lui ad aprirmi gli occhi sulla verità.

- Che verità? – chiese Louisa, alzando la testa per guardare la sua schiena.

- Che le donne sono delle false approfittatrici. – rispose dopo un minuto di silenzio.

- Will? Ma se è sempre stato gentile e cortese!

- Gentile e cortese con te, che ferita e in terra straniera. Will può sembrare un sempliciotto sempre sorridente, ma quando si arrabbia è molto più pericoloso di me. E io non sono di certo un gattino indifeso.

Louisa non seppe cosa rispondere. In Scozia, Will era sempre stato disponibile con lei, solo in un momento l’aveva visto diverso, con gli occhi grigi improvvisamente freddi e duri come l’acciaio, ma quello sguardo era durato talmente tanto poco, che Louisa, si era convinta di esserselo immaginato – Perché Will pensa che le donne siano delle false approfittatrici?

- Non lo pensa. Will vede sempre del buono in tutti. Per questo studia medicina; crede che ognuno possa avere una seconda possibilità, – sospirò e Louisa sentì la voce di Jason farsi pesante, come se gli costasse molta fatica parlare - Ma la donna di cui stiamo parlando di possibilità ne ha avute ben tre.

- Non devi dirmelo se non vuoi.

- Will, - proseguì come se non l’avesse sentita – Ha capito cosa non andava in lei e ha fatto in modo di rovinarla.

- Le ha fatto del male? – Louisa deglutì, non riusciva ad associare l’immagine che aveva di Will con uno che potesse mettere le mani addosso ad una donna, per quanto arrabbiato che fosse.

- Per carità no! – il tono secco di Jason le spaccò un timpano – Will non farebbe mai una cosa simile. Ha fatto in modo di sbugiardala davanti a tutta la scuola. In pratica le ha rovinato la vita sociale. E tutto per me.

- Te? – Louisa fissò di nuovo la sua schiena incredula – Da quando tu hai bisogno di essere difeso?

Jason rise senza gioia – Io non ho bisogno di essere difeso. Non fisicamente, almeno. Will mi ha solo aperto gli occhi. E con me anche al resto della scuola, ma avevo diciassette anni. Ed ero un coglione di prima categoria.

- Guarda che sei ancora un cretino di prima categoria.

- Io ho detto coglione, veramente.

- Cretino.

- È più forte di te, vero? – la moto rallentò e Louisa allungò la testa per vedere l’ingresso dell’autostrada davanti a loro - Quanto veloce andavi? – chiese ispirando bruscamente.

- Non te ne eri accorta? Abbiamo toccato anche i duecento, ma eri così placidamente persa nel tuo mondo, e nei fatti miei, che non te ne sei resa conto. Quanto dista Breda da qui? – chiese ripartendo.

- Non lo so.

- Non lo sai?

- Non sono mica uno stradario! So che Breda è vicino al confine con il Belgio, a grandi linee credo che siano meno di centocinquanta chilometri. 

Jason sbuffò nel casco e prese la strada per Amersfoot, seguendo le indicazioni per il confine – Meglio questo di niente. Centocinquanta chilometri, - ripeté pensosamente e sorpassò una lunga fila di camion e di auto, mettendosi in corsia di sorpasso – Se mi lasci fare a modo mio posso essere lì in cinquanta minuti.

- E il metodo tuo sarebbe? – un sospettò le salì subdolo, chiudendole la gola, quando Jason scartò a destra, evitando di un soffio l’auto che avevano davanti, per poi sorpassarla a destra.

- Quello che hai appena visto.

- È da suicidio. E io voglio vivere. – chiuse gli occhi, quando Jason passò sulla corsia all’estrema destra sorpassando due camion – E siamo su un’autostrada! Ci sono delle regole! Ci sono i controlli con gli autovelox!

Jason accelerò, passando in mezzo a due auto – Primo: la moto non è intestata a me, se arrivano delle multe, non arriveranno di certo a me. Secondo: non c’è guadagno senza rischio. E poi tu mi.. – il suono dei clacson la assordarono per diversi secondi, facendole perdere il resto della frase di Jason.

- Che hai detto? – chiese stringendosi contro la sua schiena, quando la moto accelerò ancora.

- Che mi devi spiegare un sacco di cose. Perché quando sono apparsi i Nephilim vi siete messi a correre, come se fossero stati sputati fuori dall’inferno?

Louisa si morse il labbro e il sottogola divenne improvvisamente stretto. Quel casco non le permetteva di respirare bene e di scappare dalla voce di Jason perennemente accanto al suo orecchio – Non esiste l’inferno. – disse infine – Non ci sono prove sull’esistenza di un luogo sotterraneo fatto di fiamme e tortura. È un’invenzione dell’uomo, nella Bibbia viene nominato lo Sheol che è il luogo dove vanno i morti, ovvero sotto terra, e la Gehenna, che era una specie di discarica dove gli Ebrei gettavano i rifiuti e coloro che commettevano talmente tanti misfatti da essere giudicati indegni.

- Niente fiamme eterne? Niente torture indicibili? Niente gironi dell’inferno?

- No.

- Posso comportarmi come voglio e non essere punito dal Cielo?

- Ovviamente no. – disse acida Louisa – Gli uomini saranno posti a Giudizio un giorno, se tu leggessi la Bibbia, saprest..-

- È una noia mortale. – tagliò corto lui – L’idea di un luogo fatto di fiamme mi divertiva di più.

- Vuoi rimanere nell’ignoranza, Jason? – strizzò gli occhi quando Jason prese una curva in piena accelerazione.

- Non è che mi piaccia rimanere nell’ignoranza. È che considero la religione una noia mortale. Sai: vestirsi bene la domenica, la messa, il catechismo e blablabla. Non è mai stato il mio forte. Facevo altre cose.

- Tipo? – non è che volesse sapere veramente cosa facesse Jason, anche perché aveva più o meno capito con che razza di ragazzo avesse a che fare, ma la conversazione la aiutava a distrarla da quella guida spericolata e folle.

- Tipo: a dieci anni, mi sedevo sulle panche in fondo e sgattaiolavo via e andavo a giocare nei dintorni del cimitero con Sophie, la sorella minore di Will.

- E Will? – chiese Louisa immaginandosi Jason da piccolo, mentre scavava le tombe, sporcandosi da capo a piedi di fango e saltando fuori da dietro le lapidi per spaventare gli altri bambini.

Il ragazzo ridacchiò nel suo casco – Will era il classico bambino tranquillo, che se ne stava tra i primi banchi a cantare insieme ai genitori, con i capelli tirati indietro e il vestito della domenica.

Louisa ci mise qualche secondo a registrare le parole di Jason – Come fate a essere amici? Siete agli antipodi.

- Io l’ho scelto. – mormorò Jason – Quando avevo sette anni. Eravamo caduti da un albero e anziché mettersi a frignare e correre da sua madre mi era rimasto vicino, a sostenermi e incoraggiarmi visto che nella caduta mi ero rotto un braccio. Da quel momento in poi siamo sempre rimasti insieme. Qualsiasi cosa, qualsiasi tempesta, l’abbiamo superata insieme.

- Will ha la pazienza di un santo. – disse Louisa con un piccolo sospiro – Ti è sempre rimasto accanto?

- Circa, - rispose Jason – Non è che gli andasse sempre bene tutto. Io saltavo le lezioni, e per inciso anche le messe a cui mio padre mi costringeva ad andare, per andarmi a divertire. Will, riusciva a stanarmi la maggior parte delle volte e a costringermi a comportarmi bene.

- Ti stanava? – chiese Louisa, cercando di trattenere le risate.

- Aveva un sesto senso quando mi veniva a cercare. Mi trovava sempre e non ero, quasi mai, completamente vestito.

Louisa ringraziò la presenza del casco perché avvampò talmente tanto da sentirsi il viso bollente e si chiuse in un silenzio imbarazzato.

- Che c’è? – chiese Jason con un nota di irritazione nella voce – Perché non rispondi più?

- Non so cosa dire. – disse con un filo di voce, cercando di ignorare la maglia di Jason che si muoveva davanti a lei, mostrandole una parte della schiena del ragazzo e la cintura dei suoi pantaloni.

- Io invece credo che tu abbia voglia di provare, ma hai troppa paura per dirlo. Tranquilla, queste cose le capisco, non c’è bisogno di chiederlo esplicitamente. – lo scherno nella voce di Jason le scacciò via l’imbarazzo e strinse le mani attorno al suo torace, facendo bene attenzione a piantargli le unghie nei fianchi – Che cosa vorrei provare? Sentiamo! – ringhiò.

- Ad avere me, non propriamente vestito, sopra di te. – la voce era malevola e arrogante, e Louisa dovette reprimere l’impulso di colpirlo. Dopotutto, correvano a velocità folle, ed era Jason ad avere la guida – Basta che me lo chiedi con le dovute maniere e che mi prepari una cassa di birra di prima qualità, quando sarò sufficientemente ubriaco, potrò anche farci un pensierino. Ovviamente, - proseguì lui con lo stesso tono superiore – Se mai accadrà, sarò io a dettare i ritmi. E non ti permetterò di toccarmi come stai facendo ora.

Le lacrime scivolarono lungo gli zigomi di Louisa e vennero assorbite immediatamente dal rivestimento del casco.

La rabbia, l’umiliazione e le immagini, che si affollarono nella mente a quelle parole, le scatenarono un violento moto di nausea. Aveva voglia di mollare Jason, di farlo accostare alla prima stazione di servizio e di tornarsene all’Istituto, ma il fatto che Jason le avesse dato della codarda non le era ancora andato giù. Inghiottì quel nuovo, crudele, boccone e si strinse a lui, decisa a non raccogliere la sua provocazione. 

- Non vorresti provare? Non c’è nulla di male nell’ammettere la verità. – lo sentì ridere crudelmente e soffocò un singhiozzo, ben sapendo che con l’interfono acceso lui avrebbe sentito.

- Cosa c’è, ragazzina? - insistette lui – Io so a cosa hai pensato su quell’albero. Conosco l’effetto che ti faccio. E probabilmente, ti farei solo un favore. Un gentile atto di carità da parte mia.

- Io ti odio. – ringraziò il Cielo per la voce ferma nonostante le lacrime e la gola irritata.

Jason rise sprezzante nel suo orecchio – Ci hai messo veramente poco. In genere, le ragazze mi odiano dopo che le ho mollate. Sicura che il tuo non sia desiderio? Scommetto cento sterline, che anche se ora ti senti umiliata, l’idea che io ti voglia ti attrae.

- Stai zitto!

- La verità fa male, Louisa. – disse sornione.

Louisa si morse il labbro inferiore ed evitò di rispondere di nuovo. Era vero che Jason l’aveva umiliata, ma mai, mai avrebbe tradito i suoi sentimenti verso Chi li meritava veramente. Aveva fatto della sua fede un tempio in cui rifugiarsi e Jason, era solo una tentazione con cui il Male aveva deciso di metterla alla prova. Se avesse fallito, non sarebbe più stata un Sigillo e i Grigori avrebbero vinto.

L’amore non si rallegra dell’ingiustizia, ma si rallegra della verità. Copre ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa. L’amore non viene mai a meno. Ripeté quelle frasi nella sua mente, ancora e ancora, come un mantra, cercando ogni volta di trovarne nuove sfumature. Pian piano le mani allentarono la presa su Jason e le lacrime smisero di scendere. Lei non odiava Jason, era molto ferita e arrabbiata, ma non provava odio. Il respiro divenne più calmo e profondo, con quella consapevolezza e accennò un sorriso. Esistevano molte forme di amore nel mondo, e saper perdonare era una di quelle.

La moto rallentò di nuovo, e Louisa vide i cartelli con le indicazioni per Breda scritti in due lingue – Siamo già arrivati? – disse alzando la testa e rendendosi conto che ormai, il sole era tramontato e le luci arrivavano dai lampioni posti ai lati della strada.

- Sei tornata a parlarmi di nuovo? – disse lui, prendo l’uscita che gli indicava il centro della città - Sarà mezzora che non mi rivolgi la parola. Onestamente, iniziavo a pensare che tu avessi perso l’uso della lingua.

Louisa digrignò i denti, forse non lo odiava, ma di certo la rabbia per quelle parole sporche non era ancora svanita – Parlavo da sola. E sarà sicuramente una discussione migliore di quelle che ho con te.

- Sai che i pazzi parlano da soli? – lui rise e salì sulla tangenziale che li avrebbe portati in centro città.

- E anche i geni. – ribatté lei tagliante – E chi non ha interlocutori migliori di se stessi.

Jason le fischiò sommessamente nel casco - Sei arrabbiata? Per quello che ho detto prima?

- Se non fossimo in moto e se non fosse un’emergenza, ti avrei tirato già il casco. – rispose Louisa gelida. Voltò la testa per vedere le luci delle case e dei condomini sfilare alla sua destra, nascoste dall’oscurità fitta degli alberi, oltre il guard-rail.

Ad un semaforo, Jason prese la via più rapida per il centro, e Louisa ammutolì quando passarono nel mezzo di un parco, sul terrapieno che divideva in due un lago – È bellissimo! – esclamò guardando costantemente la testa a destra e a sinistra, cercando di cogliere il più possibile della città.

Ad una rotonda, Jason fece il giro completo un paio di volte – Hai idea di dove andare genio delle fughe?

- No. – rispose lei arrossendo. Non aveva pensato a cosa fare una volta arrivati a Breda, per lei era già un miracolo essere lì, senza essersi fatta ammazzare un paio di volte.

- Il parco che ha mostrato James, - proseguì lui – Sai come possiamo arrivarci?

- No, genio. – disse lei irritata dal fatto di non potergli dare una risposta affermativa – Ma se ho un disegno o una mappa della città ti posso dire esattamente qual è.

-  È già qualcosa. Allora, andiamo verso il centro e procuriamoci questa mappa. – Jason riprese la strada e proseguì in direzione del centro storico.

Louisa vide il tetto della cattedrale spuntare tra gli edifici, quando sentì qualcosa alla base della testa e si voltò a sinistra, seguendo quel neonato istinto. E li vide. Fu solo un attimino, ma ne era sicura. Tre Nephilim camminavano spavaldi sul marciapiede in direzione della chiesa – Jason, fermati! – urlò nel casco, prima ancora che lei potesse rendersi conto di quello che stava dicendo.

- Cosa?

- Ferma la moto!

Senza fare altre domande, Jason accostò al marciapiede e Louisa saltò giù prima che fosse spenta – Louisa! – l’urlo di Jason le rimbombò nel casco, e lei si fermò un istante per slacciare quella cosa fastidiosa che le impediva di respirare bene.

Sta succedendo qualcosa! Lo so! Pensò, con forza. Ci sono troppi Nephilim in un posto solo!

Tornò dove aveva avvistato i Nephilim un minuto prima, ma non li vide più. Accanto a lei, la porta di un locale si aprì con uno scampanellio e le risate allegre e l’odore di cibo e bevande stordirono la sua mente già confusa, facendola dondolare sul posto.

Una mano calda e salda la afferrò sopra il gomito e la costrinse a voltarsi con uno strattone brusco – Non. Osare. Mai. Più. Allontanarti. Da. Me. – gli occhi azzurri di Jason erano furiosi e glaciali, mentre riflettevano le luci dei locali e dei lampioni.

- Jason! – disse con il cuore in gola – Io li ho visto, erano tre! Con il loro visi d’angelo e i sorrisi crudeli. – cercò di spiegarsi, rievocando nella mente, l’immagine che aveva visto per neanche due secondi - Non me li sono sognata, lo giuro.

Jason la afferrò per le spalle e la scosse lievemente – Chi hai visto?

- I Nephilim! Li ho visti, loro… – non terminò la frase perché un grido straziante le rimbombò nelle orecchie e cadde in ginocchio stringendosi il cuore con una mano.

- Louisa? – chiese Jason allarmato. Le coprì la bocca con una mano e Louisa sgranò gli occhi sotto shock. Probabilmente anche lei aveva gridato a causa dell’intensa sofferenza cha la lacerava dentro – Che ti è preso? – l’anello divenne improvvisamente più pensante intorno al collo, ricordandole la sua presenza e calore e Louisa alzò lo sguardo sul ragazzo – Non possiamo aspettare, James. – disse ansante - Un’anima ha gridato. In una maniera osì dolorosa. – chiuse gli occhi e cercò di identificare la provenienza del grido che solo i Sigilli potevano sentire. - E solo una cosa può far gridare un’anima così: un atroce torto! – si appoggiò a Jason per costringere le gambe, ancora tremanti, a rialzarsi e come aveva fatto per trovare il ragazzo nel pub, si affidò completamente all’istinto. Iniziò a correre con Jason alle calcagna per poi gettarsi in un vicolo poco distante al locale.

E li vide. Uno di loro teneva ferma una ragazza contro il muro strappandole i vestiti, mentre gli altri due la guardavano famelici, leccandosi le labbra.

Lasciatela stare! – senza pensarci due volte, Louisa, tirò ciò che stringeva convulsamente in mano: il casco che si era tolta poco prima, che colpi sulla spalla uno dei Nephilim, per poi ricadere a terra con un tonfo sordo.

I tre si voltarono a guardarla con un sorriso sprezzante disegnato sui bellissimi volti, ma Louisa poté vederli per quello che erano veramente.

Alti più di un metro e novanta, avevano le unghie lunghe e affilate come artigli e gli occhi rossi. Accessi di una crudeltà senza pari.

- Ti pentirai di questo, ragazzina. – disse il Nephilim che aveva colpito alzando il braccio artigliato.

Fu l’ultima cosa che vide, prima che Jason la avvolgesse tra le sua braccia, oscurandole il campo visivo.

 

James si rigirò al dito medio il pensante anello d’oro bianco con l’ossidiana incastonata al centro. Stava seduto sullo schienale della panchina al centro del parco, con Dimitri che camminava avanti e indietro, con il volto visibilmente teso – Dovresti risparmiare le forze, – disse infine rivolto all’amico – I Custodi li stanno spingendo nella nostra direzione. Tra poco saranno qui.

- Malcom? – chiese Dimitri, alzando lo sguardo su di lui.

- È nascosto tra gli alberi, con sei dei suoi migliori uomini, e i loro fucili puntati verso questa radura. – incurvò le labbra in sorriso amaro e tornò a giocherellare con l’anello. Stare fermo non gli piaceva e l’attesa lo stava uccidendo, ma ancora peggio: l’idea di ciò che stava per fare lo torturava fino a fargli venire mal di testa.

- Perché sei nervoso? – chiese Dimitri sedendosi accanto a lui.

- Trentadue Nephilim mi rendono nervoso. Si chiama istinto di autoconservazione.

- Sai che non è quello che ti sta rendendo più insopportabile e silenzioso del solito. – Dimitri si mise tirare lievemente le foglie di un rododendro accanto alla panchina – Questa pianta ha bisogno di un po’ d’acqua. Ha sete. – disse semplicemente.

James roteò gli occhi, Dimitri aveva la pessima abitudine di passare da un discorso all’altro con una facilità micidiale – Sentiamo, - disse lui tornando al discorso principale – Cosa mi rende più insopportabile del solito?

- È piccolina, minuta, occhi grigi, capelli castani, lingua tagliente e in questo ultimo periodo è sempre accompagna da un tipo che tu bolliresti vivo se ne avessi l’occasione.

- Bingo. – disse con un ringhio mostrando i denti al parco – Lo bollirei vivo se ne avessi l’occasione. E gli strapperei quel ghigno strafottente dalla faccia.

- Non puoi tarparle le ali. – disse Dimitri tristemente – Louisa è come noi. Prima o poi doveva accadere.

James lo fulminò, aveva passato tutta la sua vita a tenere Louisa, Dimitri e Anna lontani dalle lotte e dalla morte e ora tutto il suo lavoro stava andando in frantumi e Dimitri gli stava dicendo che doveva accadere? – Louisa, - disse cercando di mantenere la calma, ma il tremito alla mano era un pessimo avvertimento sul suo stato d’animo – È uscita di nuovo dall’Istituto. Su una moto. Con Jason. – si strappò di bocca quelle parole. Quando lo avevano chiamato per informarlo di quello che era successo per poco non si era messo ad urlare. Aveva pregato Louisa di non fare nulla di azzardato. L’aveva scongiurata di restare al sicuro. Ma come quando era bambina, lei non gli aveva dato ascolto e se si fosse fatta male, lui non se lo sarebbe mai perdonato.

La risata di Dimitri lo strappò via dai suoi pensieri – Louisa è sempre stata così. Lo sai. Sotto quei modi accondiscendenti e remissivi c’è un fuoco pronto ad esplodere. Io lo so, tu lo sai; e sai che Jason sta animando quel fuoco.

- Louisa, - si bloccò e masticò le parole che avrebbe voluto dire realmente – Dovrebbe stare lontana da lui. Si farà male.

- Come quando era piccola e le hai proibito di salire sugli alberi? – chiese maliziosamente Dimitri – Hai visto come ti ascoltava. Più le dirai di no, più lei farà di testa sua.

Jason strinse i pugni al ricordo. Louisa aveva nove anni e non ne voleva sapere di obbedire alle regole. Faceva tutto ciò che le veniva in mente, mettendosi spudoratamente in pericolo, ma quando cadde dall’albero e sbatté la testa divenne improvvisamente più calma e tranquilla, e James tirò un sospirò di sollievo. Fino a quando non la vide tornare con Jason.

– Quando cadde da quell’albero sbatté la testa, passò tre giorni in coma. Nonostante fossi lì, nonostante avessi provato a prenderla. Ha sbattuto la testa e per poco non è morta.

- Ti sei fracassato entrambe le ginocchia per ammortizzare la caduta sua e del ramo.

- E non è servito a niente. – ringhiò James.

- Sai, - disse Dimitri pensosamente - Io penso che Louisa da quel giorno sia cambiata per un motivo specifico.

- Paura di morire?

- Paura che tu ti faccia del male di nuovo per proteggerla. Louisa non è in grado di ferire gli altri. Il fatto che tu ti sia fatto male, l’ha scossa nel profondo. E ha gettato la sua vera anima alle ortiche. Jason, tira fuori quella parte di lei, che ha seppellito per anni.

James si chiuse in un ferreo silenzio. L’aveva capito anche senza bisogno che Dimitri glielo facesse notare. Con Jason accanto, Louisa era più viva che mai, pronta a ribattere, a lottare. A vivere e a soffrire e lui, non riusciva a sopportarlo.

Sapeva che Louisa stava male. L’aveva sentita piangere la solitudine, ma aveva sempre, di gran lunga, preferito ferirla in quella maniera piuttosto che doverla seppellire e reciderne l’anima dal corpo per poi condurla nello Sheol. Le possibilità erano due: Louisa viva, che camminava sola e vuota per l’Istituto, o Louisa, che aveva visto crescere come una sorella, morta e lui, che avrebbe dovuto calare la falce su di lei.

Un’intensa sensazione di fastidio alla base della testa si impossessò di lui e si alzò in piedi con un gesto fluido, con Dimitri accanto, entrambi pronti.

- Li senti? – chiese. Dimitri annuì e si infilò al dito l’anello d’oro con un occhio di tigre incastonato al centro – Non ti esporre più di quanto non sia necessario Dim. Ti sei appena alzato dal letto. – gli ricordò. E lo ricordò anche a se stesso. Anche se non lo dava a vedere Dimitri era ancora debole, e lui l’avrebbe protetto a qualsiasi costo.

Qualsiasi. Sempre. Quella era la sua muta promessa fatta al Cielo.

Proteggere le persone che gli erano care, affinché non gli venissero strappate via di nuovo.

I Nephilim iniziarono a comparire davanti a loro, e James sorrise dentro di sé. I Custodi avevano battuto la città facendosi vedere e invitandoli a seguirli verso ciò che loro desideravano di più: il sangue dei Sigilli. I Custodi li avevano tirati e spinti silenziosamente, stringendo le maglie della rete attorno ai Nephilim fino a farli arrivare a quel parco.

Quando si accorsero della presenza dei due ragazzi, alcuni si leccarono le labbra e li fissarono, con i loro occhi rossi accesi come tizzoni ardenti. Senza scomporsi, James si rigirò l’anello, pensando intensamente ad Uriel, l’arcangelo dello Sheol e lo pregò di prestargli il suo potere.

L’anello al suo dito divenne più pensante e James sentì il suo calore corporeo defluire, mentre l’oggetto rimaneva gelido intorno al suo dito, e tra le mani di James comparve una lunga falce nera.

Era fredda e oscura nelle sue mani, come la prima volta che l’aveva imbracciata, e alzò lo sguardo sui Nephilim davanti a sé. I loro occhi crudeli e smaliziati erano tutti concentrati sull’arma e alcuni di loro gli ringhiarono contro come degli animali.

- Avete perso la lingua Nephilim? – sibilò James – Non importa. Vi ricaccerò da dove siete stati sputati fuori. E vi ridurrò in polvere e cenere.

I Nephilim li attaccarono e una violenta scossa di terremoto spaccò la terra sotto di loro, imprigionandone alcuni talmente tanto velocemente che molti di loro non se ne accorsero neanche.

James avrebbe voluto gridare a Dimitri di non sprecare energie per abomini come Nephilim, ma un paio di artigli scattarono vicino alla sua testa, riportandolo al problema più pressante. Calò la falce senza preoccuparsi delle conseguenze e sentì di nuovo il calore corporeo venirgli strappato via, per aver reciso una vita.

– Maledetti bastardi! – si abbassò per evitare un nuovo attaccò e colpì all’addome il Nephilim con l’estremità della falce, per poi finirlo con fendente.

Uno sparò si propagò nell’aria e un dei mostri che aveva dietro di sé cadde a terra con il foro nelle tempie. James sorrise, pensando agli occhi di falco che vegliavano su di loro e fece mulinare di nuovo la falce, facendo saltare un paio di teste che caddero a piedi suoi e di Dimitri – Vuoi trasformare questo posto in un mattatoio? – chiese Dimitri, affondando l’alabarda nel petto di un nemico.

- Tu non sei da meno. – si misero spalle contro spalle, difendendosi a vicenda, mentre i Nephilim li circondarono – Non mi piace che tu sia qui. Non mi piace che Louisa possa essere qui. – disse infine, facendo mulinare la falce e tenendoli a bada.

Altri spari risuonarono nell’aria e per un secondo James si distrasse, rimediando un lungo taglio sul braccio. Mordendosi la lingua per non imprecare, finì il mostro che si stava contorcendo dal dolore a causa del sangue del ragazzo sugli artigli – Il mio sangue è veleno per quelli come voi. – disse ai pochi Nephilim rimasti – Io sono la morte in ogni sua forma.  

Alzò il mento in segno di sfida e si lanciò di nuovo alla carica, falciandone uno con un violento fendente. Gli ultimi quattro rimasti si voltarono per fuggire, ma fecero pochi passi, quando quattro precisi proiettili li colpirono in pieno.

James si guardò intorno affranto quando il silenzio tornò a regnare sul parco – Non parlavano e non erano molto forti. – disse rivolgendosi a Dimitri ancora dietro di lui – Sembravano quasi perfetti fisicamente, ma non hanno i poteri dei veri Nephilim.

- Allora perché ce li hanno mandati contro?

James ne rivoltò uno con un calcio, osservandone da vicino le fattezze. Era molto alto, con gli zigomi ben delineati, incorniciati da lunghi capelli mori. Poteva passare tranquillamente per un essere umano se non avesse avuto quegli artigli e gli occhi rossi che gli umani non vedevano – Per testare le nostre reazioni probabilmente. O per sfidarci e controllare le nostre forze. L’unica cosa che so è che erano terribilmente deboli. Mi aspettavo uno scontro più duro e lungo. – James alzò la testa, rivolto agli alberi – Controllateli tutti! Contateli! Poi bruciate i loro cadaveri e ripulite il sangue! Che di questi abomini non ne rimanga neppure il ricordo! – urlò gli ordini rivolto agli uomini nascosti tra gli alberi, e tornò a sedersi sulla panchina, perso nelle sue preoccupazioni.

Dimitri si sedette accanto a lui e gli diete un’occhiata veloce al braccio – Dovresti farti controllare quella ferita. È davvero brutta. – James non ci badò e chiuse gli occhi. La sensazione di gelo che aveva dentro non accennava ad andarsene. Digrignò i denti per la frustrazione, odiava quell’effetto collaterale dei suoi poteri, lo lasciava completamente svuotato alla mercé di sensazioni che faceva di tutto per dimenticare. Come il tocco gelido della morte che aveva sempre con sé appena sotto la pelle, ricordandogli costantemente chi fosse e chi fosse Uriel.

- James? – chiamò piano Dimitri – Stai bene?

Lui annuì senza aprire gli occhi e si rilassò contro la panchina – Dovrei chiederlo io a te. Sei stanco? Hai bisogno di riposare? – il ragazzo ridacchiò accanto a lui – Non sono una bambino. Sto bene. – gli sfiorò il braccio e James lo spostò bruscamente, evitando così che Dimitri sentisse quanto gelo c’era dentro di lui.

- So come funzionano i tuoi poteri. – disse serio Dimitri afferrandolo – Non c’è bisogno che me lo nascondi. So cosa ti provocano. Li senti, non è vero?

- Io li sento sempre. – rispose guardando il terreno – Sono costantemente nella mia testa, anche adesso. Potrei dirti esattamente quante persone stanno per morire nel raggio di chilometri. – alzò lo sguardo, per vedere la carneficina che aveva fatto e la nausea lo contorse dal profondo. Faceva estremamente fatica a respingere il richiamo della gente morente ed alleviare le loro pene, ma non poteva non guardare ciò che lui aveva fatto.

- Avrei preferito che gli angeli fossero stati un po’ più generosi con te e ti avessero privato di una sensazione del genere. – proseguì Dimitri – Non trovo giusto che senti costantemente la gente che muore.

James scosse la testa, continuando a osservare i Custodi che contavano i corpi dei Nephilim e li imbustavano pronti a portarli via e a farli sparire – Io preferisco che sia toccato a me. Preferisco che sia accaduto a me, piuttosto che a te o a Louisa.

- James…

- No. – lo interruppe - Non dico che mi piaccia, e farei a cambio in qualsiasi momento, ma so che devo. Perché solo camminando accanto alla morte, mi rendo conto quanto voi siate importanti per me. Mi rendo conto perché combatto. E so che voglio farlo. È l’unico motivo per cui lo accetto. Proteggere voi è l’unica cosa che mi ha permesso di non impazzire. – alzò gli occhi quando Malcom si avvicinò a loro con lo sguardo torvo – Ne abbiamo contati ventinove.

- Cosa? – scattò Dimitri – Siete sicuri?

Malcom si rivolse a lui e alzò il mento – Li ho fatti contare tre volte. Sono ventinove.

James emise un basso ringhio di gola e strinse i pugni – Ne mancano tre.

- Sì. Probabilmente così furbi da non essere caduti in trappola.

Dimitri si alzò in piedi e iniziò a camminare avanti e indietro – Bisogna far fare un controllo incrociato tra Custodi e satelliti. Battere a tappeto la città. Trovarli prima che facciano altri danni. – James annuì e stette per dare gli ordini quando si irrigidì sul posto, percependo un’ondata improvvisa di potere – Prendi il rilevatore! – ordinò a Malcom, cercando di capire da dove arrivasse ciò che percepiva – Dim?

Dimitri annuì e si mise al suo fianco, ad occhi chiusi. James serrò la mascella, ben sapendo che Dimitri stava usando il suo potere sulla terra, per sondare le vibrazioni del terreno – Mai sentito così tanto potere in una volta sola. – decretò infine.

- Malcom? – domandò James, con il cuore a mille e la preoccupazione crescente.

- Il rilevatore è incandescente. Chiunque sia ne ha perso il controllo.

- No. – disse Dimitri aprendo gli occhi – Sa perfettamente come usarlo. Le vibrazioni che sento non arrivano da chi non sa usare il proprio potere. Anzi i suoi colpi sono leggeri e precisi.

- Puoi trovare chi è la fonte? – James aveva un pessimo presentimento. Louisa era in quella città e all’appello mancavano tre Nephilim, ma lei non era mai stata in grado di convogliare tanto potere, anzi, non ne aveva mai avuto – Dimitri? – vide diverse gocce di sudore scorrere sul viso del suo amico, per poi scomparire oltre il collo della maglia, mentre il ragazzo stringeva i denti sussultando per i tremori – Dim! – lo afferrò prima che potesse cadere in avanti, pallido e affaticato e lo fece stendere al suolo – Ti sei stancato troppo.

- No. - Dimitri scosse la testa – Non è stanchezza. Mi ha respinto un’ondata di potere allo stato puro contrapposto al mio.

- Cosa?

Dimitri ebbe un violento colpo di tosse, e James lo aiutò a mettersi seduto per farlo respirare meglio – Devi andare ad aiutarla. – disse tra un colpo di tosse e un altro – L’onda di potere che arriva è quella dell’acqua. Louisa è completamente posseduta da Gabriel. – James scattò in piedi e lanciò un’occhiata perentoria a Malcom – Lo affido a te. Fallo riposare.

- Signore?

- Vado da Louisa.

- James? – sussurrò Dimitri, cercando di soffocare la tosse. 

- Solo una cosa può costringere un angelo a intervenire direttamente. E una volta messa in salvo Louisa, ucciderò Jason con le mie mani.

 

 

NAD: un altro parto completo, a causa della stanchezza che mi trascino dietro da Agosto..tecnicamente ci sarebbe stato un terzo POV, quello di Jason, ma è scivolato al capitolo successivo a  causa della lunghezza estrema di questo!

Ringrazio come al solito tutti quelli che mi seguono, qui e su FB! Adoro realizzare extra..

Khyhan.

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Capitolo 8
*** VIII. Nephilim ***


VIII - Nephilim

Nephilim

 

I Nephilim mostrarono di essere sulla Terra

in quei giorni, e anche dopo,

quando i figli di Dio continuarono

ad avere relazione con le figlie degli uomini

ed esse partorirono loro dei figli.”

Ge 6:4

 

Quando Louisa saltò giù dalla moto, non ancora del tutto ferma, dentro di sé Jason maledisse quella testa dura che cambiava umore ogni cinque minuti.

Con tutta probabilità, Louisa lo stava facendo diventare matto. Ogni suo gesto, ogni sua parola, lo stavano portando sull’orlo della follia e di questo passo l’avrebbero dovuto far ricoverare. Seriamente.

Jason seguì la figura snella della ragazza tra la folla, desiderando sapere perché Louisa continuasse ad agire di testa sua.

Seguire le regole che Jason aveva implicitamente detto, non era difficile: doveva stare tranquilla al suo fianco senza avere colpi di testa e il resto sarebbe venuto da se.

Senza perderla di vista si passò una mano tra i capelli, sentendo la frustrazione crescere. La sua vita dipendeva da lei, e lei, non si curava minimamente di rimanere dove lui potesse proteggerla: al suo fianco, possibilmente senza fare il minimo rumore. Accelerò il passo quando Louisa si mise a correre e si ripromise di procurarsi al più presto un paio di manette con un metro di catena.

Quando la raggiunse, la afferrò per un braccio costringendola a voltarsi – Non. – cominciò, fulminandola con lo sguardo – Osare. Mai. Più. Allontanarti. Da. Me. – scandì ogni parola, mettendoci tutta la rabbia e la preoccupazione che stava provando.

- Jason! – Louisa sobbalzò sul posto quando lo riconobbe – Io li ho visti, erano tre! Con i loro visi d’angelo e i sorrisi crudeli. – il sopracciglio di Jason si alzò interrogativo, mentre lui tentava di seguire il discorso della ragazza – Non me li sono sognata, lo giuro. – proseguì lei tra un respiro corto e l’altro.

Il viso pallido di Louisa era contratto dalla preoccupazione e dalla paura. Mentre lei cercava di trovare le parole adatte, un vago senso di allarme lo colpì alla testa mettendolo sull’attenti. La afferrò per le spalle e la scosse con più violenza di quanto non volesse – Chi hai visto?

- I Nephilim! – esclamò con gli occhi lucidi - Li ho visti, loro… - Louisa si accasciò al suolo stringendosi convulsamente la maglia con una mano; e Jason si inginocchiò al suo fianco quando la ragazza prese a urlare – Louisa? – chiese stringendola a sé, cercando di farla calmare – Che ti è preso?

- Non possiamo aspettare James. – sussurrò riprendendo fiato – Un’anima ha gridato. In una maniera così dolorosa. – Jason aprì la bocca per chiederle cosa intendesse dire, ma la richiuse seccamente sotto lo sguardo perso e angosciato della ragazza – Solo una cosa può far gridare un’anima così: un torto atroce!

Senza aspettare una sua risposta, Louisa si rialzò e riprese a correre e Jason la seguì in silenzio, sicuro che quello non fosse il momento adatto per farle domande.

Era per quello che erano venuti, Louisa doveva dimostrare a sé stessa, e a James, di aver la grinta e il coraggio necessario per affrontare qualunque situazione senza demoralizzarsi.

Quando lui voltò all’imboccatura di una strada laterale, quasi si scontrò con Louisa, che paralizzata, osservava tre ragazzi chiudere in un angolo una donna. Si preparò a intervenire quando Louisa lo precedette – Lasciatela stare!

Louisa lanciò il casco che teneva ancora in mano andando a colpire sulla spalla uno dei tre uomini.

Jason non l’avrebbe definito un lancio perfetto, ma lei riuscì lo stesso a spostare l’attenzione del terzetto su di se.

Il ragazzo si voltò lentamente facendole un largo ghigno sprezzante e il campanello d’allarme di Jason rimbombò cupo nel suo cervello – Ti pentirai di questo, ragazzina. – il corpo di Jason reagì per lui. La strinse a sé e saltò di lato, evitando l’attacco dell’uomo, così veloce, che solo il sesto senso e il fisico allenato di Jason, erano riusciti ad evitare che quel colpo si abbattesse sulla testa della ragazza – Devo ammettere, - commentò con un piccolo sorriso, stringendo ancora Louisa tra le braccia – Che quando ti cacci nei guai lo fai in grande. – si mise tra lei e i Nephilim, che ora lo scrutavano attentamente, seguendo ogni suo movimento – Sta indietro, non intralciarmi. – disse senza voltarsi. Sentì alcuni rumori alle sue spalle e sperò che lei si fosse messa al riparo. Non gli piacevano per niente gli sguardi che quei tre le lanciavano. Erano famelici e ferini, mentre si leccavano le labbra.

– Un Sigillo. – disse quello che teneva ferma la ragazza, che singhiozzava e pregava chiedendo aiuto. Il Nephilim si voltò verso di lei e la baciò delicatamente sul collo – Mi dispiace tesoro, - sussurrò piano, rigirandosi una ciocca di capelli della donna tra le dita – Non possiamo più divertirci insieme.

- No! – le voci di Jason e Louisa risuonarono all’unisono, quando il Nephilim affondò la mano nel petto della ragazza, che cadde a terra senza emettere un suono, con gli occhi sbarrati ricolmi di dolore e increduli.

A Jason si torse lo stomaco per quella crudeltà gratuita, e per un attimo un velo rosso calò sui suoi occhi accecando la sua parte razionale. Avrebbe spezzato ogni singolo osso di quel Nephilim, che ora, si stava tranquillamente leccando via il sangue della ragazza dalla mano – Fratelli, - disse tenendo gli occhi fissi su Louisa – Uccidete il ragazzo, poi potremo giocare con il Sigillo.

- Louisa, - sussurrò Jason arretrando verso di lei per nasconderla alla loro vista – Se ti dico scappa, tu corri via e non voltarti, chiaro? – non sentì la risposta di Louisa, perché i due Nephilim lo attaccarono contemporaneamente.

Il suo corpo allenato si mosse di nuovo per lui, si abbassò per evitare un colpo al viso e contrattaccò mirando allo sterno con colpo a mano aperta che avrebbe dovuto sfondargli l’osso. Il Nephilim scoppiò a ridere rimanendo immobile, e  colpì Jason alla schiena, spedendolo in ginocchio.

Lui rotolò via, cercando di disimpegnarsi e strinse i denti per il dolore quando un calcio alle costole lo gettò a terra senza fiato.

– Jason! – Louisa gli si parò davanti facendogli da scudo con il suo corpo.

- Louisa, - sussurrò, sputando sangue. Non si aspettava dei colpi così violenti e veloci. Li aveva completamente sottovalutati. Nonostante il suo allenamento non era alla loro altezza – Va via.

I Nephilim scoppiarono a ridere in faccia a Louisa – Non è ancora ora di morire per te, piccolo Sigillo.

Jason si rialzò lentamente sulle braccia tremanti, quando un Nephilim la afferrò per il collo. Con un urlo l’uomo la lasciò andare guardandosi la mano fumante e poi Louisa con odio – Piccola troia! Tu e il tuo anello. – Jason scattò e si gettò su di lei. Rotolarono abbracciati diverse volte finché  Jason non sbatté la schiena contro dei bancali in un angolo – Va via. – sibilò, prima di rialzarsi. Le gambe erano insicure e faceva fatica a mettere a fuoco, mentre la testa gli girava – Devi andare via. – ripeté scuotendo la testa, cercando di liberarsi del fastidioso fischio alle orecchie.

- Jason, - singhiozzò Louisa – Sei ferito. La schiena. La tua schiena. – non  prestò alle attenzione alle parole della ragazza, perché i tre Nephilim tornarono alla carica, e lui, era troppo impegnato a difendersi per poter pensare alle sue ferite.

In tanti anni, non si era mai trovato ad affrontare una prova simile, persino Belial gli sembrava una passeggiata a confronto. I Nephilim non gli lasciavano il tempo di contrattaccare, mettendolo sempre più all’angolo, costringendolo a chiudersi in una difesa serrata – Jason! – Louisa colpì alla testa uno dei Nephilim con una tavola di legno.

– Mi stai stancando, ragazzina. – ringhiò il Nephilim senza scomporsi. Le sferrò un violento pugno all’addome, che spedì Louisa tre metri indietro.

- Louisa! – quel momento di distrazione gli costò caro. Due Nephilim lo misero in ginocchio, afferrandolo per le braccia e con un ginocchio premuto contro le ferite alla schiena. Si morse la lingua per non urlare di dolore e frustrazione, fissando impotente Louisa, immobile a terra – Fratello, - disse il Nephilim che lo teneva immobilizzato – Che ne pensi se gli strappassi le braccia? – la tensione sui suoi muscoli e sulle spalle crebbe fino allo spasmo, mentre il Nephilim gliele tirava lentamente, godendo di ogni singola smorfia sul volto di Jason.

- Fermi. – una voce femminile, fredda e altezzosa arrivò dall’imboccatura del vicolo. La ragazza bionda si avvicinò lentamente con un freddo sorriso stampato sul volto bellissimo. Il suono dei suoi tacchi sul selciato fu l’unico suono per diversi secondi – Non uccidetelo ancora. – disse accarezzandogli la mascella con un dito gelido - Jacob, prendi la ragazza, da bravo. Portamela qui, fa si che il ragazzo la veda bene.

- C-chi sei? – sussurrò Jason. I muscoli gli tremarono violentemente quando la tensione calò, mentre le ferite e crampi lo costrinsero a mordersi la lingua pur di non urlare.

- Non lo sai? – domandò lei, disegnandogli il contorno delle labbra con l’indice – Io sono Tamiel. E questi, sono i miei tre figli. E questa, - disse tocca il volto di Louisa svenuta, mentre il Nephilim chiamato Jacob la appoggiava ai suoi piedi – È una piccola Sigillo. Svegliati, Sigillo. – trillò all’orecchio di Louisa - Fammi sentire le urla e guardare i tuoi occhi addolorati, mentre torturo il tuo amico. Implorami di risparmiargli la vita.

- Lasciala stare! Non osare toccarla! – il sorriso di Tamiel si allargò fino ai canini, mentre lo guardava divincolarsi nella presa dei Nephilim.

- Questa sì, che è una cosa interessante. – disse passandosi la lingua sulle labbra - Sei innamorato di lei. – gli occhi le guizzarono malevoli da Louisa a Jason – Lo sai, - Tamiel era così vicina che gli sfiorò con le labbra l’orecchio – Che non la puoi avere? Te l’hanno spiegato, vero? La sua vita è dedicata a Dio. Tutto, dal suo corpo alla sua mente, appartiene a Dio. E questo ti torturerà fino alla morte. Guardala, - disse prendendogli la mascella – È bella, vero? – scoppiò a ridere e si chinò su Louisa estraendo un coltello dallo stivale di pelle nera – Potrei sbucciare il suo viso come una mela. Che ne pensi ragazzo? Non sarebbe più così carina dopo. Come la guarderebbe Dio? Come la guarderesti tu? La desidereresti ancora? Non guardarmi così, ragazzo. Vedo nei tuoi occhi che la vuoi.

Jason tirò un violento strattone al Nephilim che lo teneva fermo, rischiando di slogarsi la spalla – No, no, ragazzo non ci siamo. Quando ti faccio una domanda, devi rispondermi. – disse passando il piatto della lama sul volto di Louisa – Penso che una dose di sano dolore ti aiuterà a capire meglio la situazione. Jacob, piccolo mio, colpiscilo, ma non lasciarli segni su quel bel faccino. Sarebbe uno spreco. – Jacob gli mostrò i denti, e senza farselo ripetere due volte, gli diede due calci allo stomaco, mozzandogli il fiato e si accasciò ansimante contro il terreno – Mi piacciono gli uomini come te, – disse Tamiel prendendogli il volto tra le mani – Che non emettono un suono nonostante tutto. Sai, i miei figli, sono tre dei Nephilim migliori, proprio perché i loro padri erano forti. – lo baciò e Jason scartò all’indietro quando Tamiel gli morse il labbro inferiore, spaccandoglielo – Hai il fuoco negli occhi. – disse ripulendogli il labbro dal sangue con un dito – Mi daresti dei Nephilim potenti, forse come quelli di un tempo. Quando gli uomini, non erano quei vili, codardi di adesso. – sferrò un calcio a Louisa, e il battito di Jason accelerò e la rabbia lo sferzò violentemente – Non toccarla! – si divincolò fino a liberarsi un braccio, che corse subito al collo di Tamiel. Ma prima di poterla toccare fu sbattuto a terra con una mano che gli premeva la testa contro il selciato – I miei figli mi sono molto devoti, non proverei a sfidarli se fossi in te. – disse Tamiel con un sorriso, accarezzando le spalle di Jacob – Ho selezionato accuratamente i loro padri per rendere i miei figli più forti degli altri Nephilim. E invece di farli scendere in battaglia come hanno ordinato i miei fratelli, ho chiesto loro di battere le strade per trovare ragazzi forti e coraggiosi da portarmi, – afferrò Jason per i capelli e gli tirò su la testa, mettendosi all’altezza dei suoi occhi – Ma non mi sarei mai aspettata di trovare te. Innamorato di un Sigillo e in grado di fare qualsiasi cosa per lei. Sai, - proseguì lasciandolo andare e tornando da Louisa - Gli uomini innamorati mi hanno sempre dato i risultati migliori. Mi piace strapparli alle loro donne e farli cadere ai miei piedi folli d’amore per me e pronti a soddisfare ogni mio desiderio. Del resto sono io la migliore, più di quelle donne sciatte, più di Ismael, migliore perfino di Shamyanza.

- Tu sei pazza! – sputò Jason tra i denti, facendo fatica a respirare con le mani dei Nephilim che gli comprimevano il torace – Pazza e gelosa. Ed io non mi concederò mai a te. Hai capito? La mia vita, la mia esistenza, appartengono a Louisa. – si bloccò di colpo quando vide la furia cieca negli occhi neri di Tamiel. I suoi sentimenti per Louisa avrebbero dovuto rimanere segreti, relegati in un angolo del suo cuore. Lui stesso si rifiutava di riconoscerli e approfondirli e faceva di tutto per allontanare la ragazza.

- Quindi, - disse Tamiel, strinse il pugnale convulsamente, guardando Louisa con odio – Preferisci la piccola Sigillo. – fece un profondo respiro, mentre tremava da capo a piedi - Molto bene. Figli miei, - ordinò ai Nephilim che lo tenevano fermo – Tiratelo su. Fategli vedere bene, come intendo spezzare la sua amata ragazzina. – Jason si ritrovò in piedi, con una mano serrata attorno alla gola, che gli permetteva appena di respirare, e un’altra che gli teneva entrambe le braccia inchiodate contro la schiena – Non toccarla. – ringhiò Jason, quando Tamiel sfiorò Louisa con un dito.

– Non sai dirmi altro? – chiese malevola Tamiel – Non toccarla? Non la ucciderò se è quello che temi. – si chinò su di lei scostandole delicatamente i capelli dal visto - Quanti secoli sono passati, eh, Gabriel? – disse dolcemente, disegnandole la linea della gola con la punta della lama - Quanti millenni, da quando tu e i tuoi fratelli Arcangeli mi relegaste sotto terra? Ricordo perfettamente il tuo sguardo freddo e distante, privo di qualsiasi compassione quando mi gettasti in quell’inferno oscuro. E ora, che la tua protetta è tra le mie mani ancora non ti decidi a intervenire per salvarla. – inaspettatamente, si recise una vena del polso e lasciò che il sangue le scorresse fino alle dita – Sai che la farò soffrire come tu hai fatto con me, vero Gabriel?

- Smettila! – Jason soffocò, quando il Nephilim gli strinse di più la gola.

- Mi avete lasciato marcire sotto terra per millenni, - continuò ignorando Jason, con gli occhi scuri colmi di rabbia e follia – Mi avete costretto a guardare queste immonde creature, che Dio tanto ama, a godere della luce del sole e a bearsi dei frutti di questo pianeta. – Tamiel afferrò il volto di Louisa e le aprì la bocca, facendole bere diverse gocce del suo sangue – Dove sei ora, Gabriel? – cantilenò con un sorriso beato - Dove sei, eh Signora delle Acque, mentre la ragazza a cui hai donato una piccola parte del tuo immenso potere si prepara a sprofondare nell’abisso che ho creato per lei? – Louisa iniziò a tremare violentemente, e Tamiel le poggiò un ginocchio sul torace per tenerla ferma, mettendole il braccio tra le labbra per costringerla a bere. – Su, bevi bambina, il peggio deve ancora arrivare. Presto, tutto quello che possiedi lo offrirai a me. E ti prometto che lo ridurrò in cenere davanti ai tuoi occhi prima di prendermi la tua vita. – soddisfatta Tamiel, si alzò – Lasciate respirare il ragazzo. – la presa sul collo di Jason si affievolì, e prese dei rapidi respiri, costringendo l’aria a tornare a circolargli nei polmoni - Non lo voglio morto. Deve prima imparare. – si avvicinò lentamente a Jason, facendogli le fusa e appoggiando la testa sul suo petto – Un giorno, mio caro, sarai mio. Te lo prometto. Lei stessa ti costringerà a venire da me in cerca di conforto. – gli diede un rapido bacio e si voltò a guardare Louisa scossa dalle convulsioni – Ci vediamo presto. – li salutò senza voltarsi – Voi tre, ragazzi miei, vedete di non uccidete i miei giocattoli, mentre vi divertite.

Come Tamiel girò l’angolo, il silenzio che era calato sui Nephilim si spezzò e iniziarono a litigare – Dovremmo portarli subito da nostra madre.

- Hai visto il corpo del Sigillo? Potremmo divertirci con lei, prima di portargliela. Non ci ha detto di lasciarla intatta.

- Silenzio! – urlò Jacob – Tenete fermo il ragazzo, mentre mi occupo di lei.

- Ma nostra madre…

- Se non lo saprà, - rispose il Nephilim dandogli le spalle – Non soffrirà. Strapperò il cuore al Sigillo come ho fatto con la ragazza, laggiù. Non se ne accorgerà nemmeno. È caritatevole da parte mia, no?

- E il ragazzo?

Jacob scoppiò a ridere – Gli daremo un minuto di vantaggio prima di dargli la caccia. – Jacob sovrastò Louisa ancora incosciente, e con il respiro corto.

Jason si divincolò di nuovo, cercando di liberarsi, ma con un calcio i Nephilim lo costrinsero in ginocchio.

Sotto il suo sguardo impotente, il Nephilim caricò il pugno mirando al cuore di Louisa.

- Non osare toccarmi Nephilim. – ad una velocità che Jason non aveva mai visto prima, Louisa gli intercettò il braccio, e con un movimento fluido, si rimise in piedi.

Gli occhi grigi della ragazza erano freddi e distanti, e il volto impassibile, non mostrava alcuna traccia di paura o di pietà, mentre squadrava i Nephilim nel vicolo – La vostra esistenza immonda è un’offesa per la vista di Dio e per la Creazione. – il suo suono secco di un braccio rotto si propagò nell’aria, seguito dall’urlo di dolore del Nephilim.

La bocca di Jason si seccò, quando vide la mano di Louisa stritolare il braccio apparentemente senza sforzo e senza scomporsi minimamente – E per rispetto verso il Padre, vi cancellerò dalla faccia della Terra. – tenendo fermo il Nephilim con un solo braccio si strappò l’anello dal collo e lo strinse nel palmo, finché non le apparve in mano una lunga lancia trasparente, che affondò nel cuore del Nephilim uccidendolo all’istante.

- Ferma, Sigillo. – disse il Nephilim che teneva immobilizzato Jason – O uccido il ragazzo. – sottolineò la minaccia puntando le dita contro la carotide, e Jason, sentì un rivolo di sangue scorrergli lungo collo.

Alzò lo sguardo su Louisa, che fissava immobile il terzetto, silenziosa e altera. Era bellissima e potente con la lancia in mano, ma chiunque lei fosse non era Louisa, e per distruggere i  Nephilim non avrebbe esitato a  sacrificarlo. Glielo leggeva nella profondità di quegli occhi grigi. 

- Non scendo a patti con i Nephilim. – disse appoggiando la lancia per terra – Esseri come voi vanno cancellati.

Jason chiuse gli occhi, preparandosi a morire quando le mani che lo tenevano immobilizzato si irrigidirono, per poi lasciarlo andare, e i due Nephilim caddero a terra con due punte ghiacciate che gli uscivano dalla schiena. Esattamente in mezzo al torace.

- Hai? – sussurrò Jason, guardandosi intorno – Cosa? Come? Louisa? – le domande gli si affollarono in mente, mentre la ragazza si avvicinò a lui. Avrebbe voluto ritrarsi, ma qualcosa dentro di lui lo fermò, costringendolo ad aspettare guardingo.

- Non sono Louisa. – disse chinandosi su di lui e accarezzandogli il collo. Il tocco dolce, ma fermo di quella mano rallentò il suo battito impazzito e un lieve tepore si diffuse dentro di lui – Le ferite dei Nephilim sono dure a guarire, ma per queste, posso aiutarti io.

- Chi sei? – non riconobbe la sua voce mentre fondo della gola gli bruciò, sentendo il gusto metallico del sangue.

- Gabriel, Arcangelo del Machonon. Ascoltami bene Jason Fen, perché posso rimanere in questo corpo ancora per pochi secondi. Louisa ha bisogno di te, molto più di quello che credi. Ciò che le ha fatto Tamiel è crudele oltre immaginazione. Ed io non posso più intervenire per aiutarla. La sua anima non sopravvivrebbe a un’altra possessione da parte mia. Quando ho suggerito a Louisa le parole da usare nella lingua del Cielo, tra voi due si è creato un legame molto profondo. Un legame che va oltre a quello della vita e della morte. Se vuoi sinceramente proteggerla dovrai diventare più forte  e per farlo, dovrai accettare completamente ciò che ti unisce a lei.

- Hai, - disse Jason cercando di reprimere la rabbia. Urlare contro un angelo non gli sembrava una buona idea – Suggerito tu quelle parole? L’hai legata tu a me?

- Conosco il cuore di Louisa. Lo conosco meglio di chiunque altro. Se non avesse avuto nobili intenzioni e non fosse stata assolutamente sicura di volerti salvare tu saresti morto.

Jason aprì e chiuse la bocca un paio di volte, mentre il dolore che aveva alla gola e alla schiena si affievolì – Un’ultima cosa, non sempre ciò in cui si crede è ciò che è giusto. – con quell’ultima frase enigmatica Louisa si accasciò tra le sue braccia.

- Che vuoi dire? Aspetta! Che intendi dire con questo? – scosse Louisa un paio di volte – Hei! Stronzo di un angelo! Dammi una risposta!

- Piantala! – la voce di James lo costrinse ad alzare la testa e il ragazzo entrò spedito nel vicolo, guardandosi intorno – Che è successo? Chi ha ucciso questi Nephilim? – si chinò su Louisa, il cui respiro era veloce e spezzato.

- Louisa. – rispose Jason – O meglio…

- Louisa ha la febbre alta. – disse James stringendola tra le braccia, sottraendola a Jason – Dimmi una cosa, Louisa era diversa, vero? Si comportava e si muoveva in maniera diversa. – James raccolse l’anello di Louisa vicino al ginocchio di Jason e se lo mise in tasca.

 Jason annuì e la furia negli occhi di James si accese quando lo afferrò per la felpa – Maledetto bastardo! – ringhiò a un palmo dal suo naso - Tu non hai idea del danno che hai fatto! La possessione di essere spirituale è a rischio e pericolo del corpo ospite. Louisa sta lottando con tutte le sue forze per sopravvivere. E ti posso garantire, che se muore, Guardiano o non Guardiano io ti riduco in pezzi. – afferrò il telefono e premette il numero della chiamata rapida. – Sono James. Ho trovato Louisa. Sono in un vicolo laterale della strada principale, a mezzo chilometro prima della chiesa. Sì, sbrigatevi Louisa ha la febbre. – cullò piano Louisa, ancora svenuta tra le sue braccia, senza degnare di un’occhiata Jason, che fissava il volto esangue della ragazza e il suo petto che si alzava e abbassava velocemente – Andrà tutto bene, Lou. – disse James piano – Puoi farcela. So che puoi farcela. Sei forte.

- Basta. – disse Jason, risentito di quel comportamento e di quelle accuse – Louisa non è una bambola, smettila di trattarla come se lo fosse.

- Tu, - ringhiò James in risposta – Sei l’ultimo che ha diritto di parola. Non sai come vivevamo prima del tuo arrivo. Non sai come viveva lei, ne sai quello che prova…

- Ho visto come la tratti! – interruppe Jason con i polsi che gli tremavano – La tieni sotto un campana di vetro senza darle la possibilità di mettersi alla prova!

- Lo faccio per il suo bene! Per una volta che non c’eravamo a proteggerla ha rischiato di morire. Perché solo quello può indurre un Arcangelo a intervenire, la certezza della morte del suo protetto! Se non fosse stato per te…

- James, basta. – Dimitri gli mise la mano sulla spalla – Louisa sta male, e se litigate non l’aiuterete di certo. Dobbiamo portarla all’Istituto e farla curare.

- No, - sussurrò James alzandosi in piedi – La portiamo all’Istituto di Brecht. È il più vicino.

- Ma è solo un Istituto di ricerca! – protestò Dimitri

- Ha un’infermeria! Ed è a trenta chilometri da qui. Questo mi basta. – James si avviò verso la macchina in attesa con Louisa tra in braccio e la infilò in macchina – Occupati tu di lui, - rivolse un’occhiata velenosa a Jason – Fanne quello che vuoi, basta che me lo tieni lontano.

 

Seduto sul sedile posteriore del SUV, Jason fissava attentamente la strada e l’auto davanti a lui, stretto tra Dimitri e un Custode.

Le parole di Tamiel gli rimbombarono nelle orecchie come una condanna a morte. Innamorato.

Da anni, cercava di evitare in tutti i modi di provare di nuovo sentimenti del genere. L’amore per una ragazza lo aveva reso ridicolo davanti a tutta la scuola; l’aveva fatto litigare con il suo migliore amico, e soprattutto, aveva passato la maggior parte di quei giorni a odiarsi per ciò che le aveva fatto.

Dopo quella storia, aveva fatto in modo di non far durare una relazione più di tre mesi e sempre, mettendo le cose in chiaro fin da subito: lui non voleva una ragazza.

In tre giorni Louisa gli aveva ribaltato il mondo. Lei non cercava nulla del genere in lui, anzi non lo voleva proprio; e ora, quello strano legame che aveva con la ragazza lo stava stritolando, impedendogli di pensare liberamente. Perché, mentre i Nephilim lo minacciavano, mentre Tamiel gongolava davanti a lui, l’unica cosa a cui pensava era di far uscire illesa Louisa da quel casino.

Se c’era qualcosa di peggio dell’essere il Guardiano di Louisa, era di essere impotente davanti a quegli occhi grigi, che scavano ogni minuto di più dentro di lui.

Strinse gli occhi mettendo a fuoco la testa di James sul SUV davanti a suo e per l’ennesima volta, il senso di colpa lo assalì come una frustrata sulle spalle. Louisa stava male e lui non poteva fare nulla per aiutarla.

- Smettila di piangerti addosso. – disse Dimitri accanto a lui, sprofondando nel sedile con le cuffie alle orecchie – Non risolverai nulla, se continui a puntare verso la macchina davanti a noi come un cane da caccia.

Il ringhio sordo di Jason fu l’unico avvertimento che diede a Dimitri e serrò le barricate intorno a lui, impendendo anche al ricordo di Louisa pallida e incosciente di assalirlo.

- Dico solo, - proseguì Dimitri giocherellando con il lettore mp3 – Che devi darti una calmata e pensare. Louisa fra poco sarà visitata da alcuni dei migliori medici che abbiamo a disposizione, ma tu, hai bisogno di qualcosa di più. Hai bisogno di parlare.

- Parlare di cosa? – scattò Jason nella sua direzione – Di quanto sia divertente stare qui a rischiare di farmi ammazzare?

- Inizio a pensare che tu lo faccia apposta a non volere nessuno accanto a te. – Dimitri lo inchiodò con lo sguardo – Comunque io non sono James. So prendermi le mie responsabilità, ed è anche colpa mia se Louisa sta così e tu sei legato a lei.

Jason sussultò sul sedile - Cosa?

- Non perdere la calma, non ti si addice. – Dimitri gli sorrise e tornò a concentrarsi sul suo lettore – Rispetto a te, io non ho fatto nulla per aiutarla. Ho lasciato che James e i custodi gestissero la sua vita senza intervenire. – mormorò Dimitri così piano che Jason non fu del tutto sicuro di aver sentito bene – Louisa è una persona pura e gentile, sacrificherebbe se stessa per salvare qualcun altro. – l’immagine di Louisa mentre si metteva fra lui e i Nephilim gli si lampeggiò davanti agli occhi e annuì piano – Questo è il motivo per cui l’abbiamo messa sotto una campana di vetro come hai detto tu. Non è in grado di uccidere neanche un insetto senza mettersi a piangere per i sensi di colpa. Non sarebbe in grado di farlo con i Nephilim. Non sarebbe in grado di sacrificare qualcuno per un bene superiore…

- Louisa ha ucciso. – lo interruppe Jason, guardando di nuovo davanti a se – I Nephilim. In quel vicolo.

- Può averlo fatto la sua mano, – spiegò Dimitri - Ma non la sua anima. Forse è il caso che ti spieghi cosa è successo esattamente oggi. Tanto per sapere da che punto partire: sai cosa sono i Nephilim? I Sigilli e i Grigori?

Jason scosse la testa, e il sorriso di Dimitri si allargò un po’ – Mai fatto catechismo, vero?

- Preferivo saltare la parte del “pentitevi o sarete condannati” e passare direttamente all’ “andate e riproducetevi”.

Dimitri gli lanciò una lunga occhiata penetrante, per poi scoppiare a ridere – Okay, lo ammetto. Inizio a capire perché Louisa ci tiene a te e perché stai sulle scatole a James. Non hai peli sulla lingua.

Jason gli fece un ghigno – Strano, perché in genere è l’effetto che faccio alla gente. Stare sulle scatole a tutti.

- Stai sempre a proteggerti. – Dimitri tamburellò le dita sul ginocchio, seguendo il ritmo della musica – E non permetti a nessuno di avvicinarsi a te. Senza offesa, ma sei più simile a James di quello che pensi.

Jason sbuffò – Questo , che è un’offesa. Perché non la smetti e fai il perfetto maestrino, spiegandomi cosa è successo a Louisa?

- Louisa, beh, è stata posseduta da un angelo. – disse Dimitri con un sorriso.

- Tutto molto più chiaro, prof. Fin là c’ero arrivato pure io.

Dimitri scosse la testa – Non capisci, i Sigilli, in genere, non si fanno possedere dagli angeli. Noi siamo emanazioni angeliche. Il nostro potere, i nostri sensi più sviluppati, perfino le nostre armi, derivano da un briciolo di potere che gli angeli ci hanno concesso. Noi non siamo gli angeli in questione, conserviamo la nostra identità, i nostri pensieri e sentimenti e una volta sistemati i Grigori torneremo a essere normali essere umani.

- E la possessione dei Sigilli in che modo avviene?

- Partiamo da più lontano vuoi? I Grigori: loro sono l’esempio più lampante di possessione angelica. Sono creature spirituali che prendono possesso del corpo di una persona, schiacciando totalmente l’anima del corpo ospitante e prendendone il posto.

- Perché esistono creature simili?

– Vedi, millenni fa i Grigori appartenevano agli angeli del Primo Cielo. - disse con un sospiro - Dovevano vegliare sugli uomini, eseguire gli ordini degli angeli dei Cieli superiori e aiutarci a respingere le tentazioni del male. Sono stati creati per questo: Grigori, vuol dire appunto Custodi.

Jason tossì violentemente, e le ferite non ancora chiuse gli mandarono una fitta dolorosa – Custodi? – la testa gli corse all’uomo accanto a lui e ai due sui sedili davanti – Stai scherzando spero.

- Intendo Angeli Custodi. Anche se devo ammettere che ci sei andato vicino, i Custodi dell’Istituto prendono il nome dagli angeli del Primo Cielo, ma sono normali esseri umani. Questo te lo posso garantire. Torniamo ai veri Angeli Custodi? Non tutti seguirono gli ordini di Dio. Alcuni scesero sulla Terra, invidiosi degli uomini e irati per la benevolenza con cui il Creatore li guardava. Accecati dall’ira e dalla lussuria, presero possesso degli esseri umani ed ebbero avere relazioni con loro. Da queste unioni, nacquero i Nephilim.

- Quindi i Nephilim sono, - iniziò Jason seguendo il ragionamento di Dimitri – I figli dei Grigori ed esseri umani?

Dimitri annuì – Sono mostri dedicati alla distruzione e alla violenza, che incarnano tutti i sentimenti negativi dei loro genitori angelici. Quando la Terra fu completamente inquinata dalla loro presenza, Dio mandò il diluvio a distruggerli; ma i Grigori abbandonarono i loro corpi mortali, ridotti ormai a dei gusci vuoti senz’anima, e tornarono a essere creature spirituali. Per la loro presunzione e per i loro peccati, Dio li punì ordinando agli Arcangeli di legarli nelle profondità della Terra in attesa di giudizio.

- E questa cosa sta scritta?

- Nella Bibbia, capitolo della Genesi, il diluvio universale. – rispose rapido Dimitri.

- Fantastico – commentò acido Jason – Fidiamoci della Bibbia come se fosse oro colato. Non ho nient’altro da fare.

- Dopo quello che hai visto oggi non ci credi?

- No. –Jason lo guardò di traverso – Ci possono essere mille motivi. Ad esempio Louisa può soffrire di disturbo della personalità multipla, oppure ho sbattuto la testa, sono in coma e mi sto sognando tutto.

- I tuoi sentimenti per Louisa e per noi sono un sogno?

- I miei sentimenti sono affari miei e ho una fantasia notturna molto fervida. Posso sognarmi tutto questo casino. Ho sognato di peggio.

- Bene, visto che ti stai sognando tutto, spiegami perché Louisa è stata posseduta. – commentò Dimitri sarcastico – E non risparmiarti sui particolari.

- Beh, - iniziò Jason, cercando di mettere insieme un’idea rapidamente – Non sei tu il mio subconscio? Perché non lo spieghi tu a me, in modo che l’eroe della situazione possa capirci qualcosa?

- Primo: non è un sogno e il tuo sarcasmo fa pena. – rispose Dimitri – Sono cresciuto con James e fidati, sa essere molto acido se s’impegna. Secondo: Gabriel è intervenuto per difendere Louisa perché non c’era altro modo per salvarla. Se non l’avesse fatto, Louisa sarebbe morta e non ci sarebbe più il Sigillo del Machonon. Però, come James ti ha detto, tra una scornata e l’altra, la possessione è a rischio e pericolo del corpo ospite. L’anima di un essere umano si ribella a questa possessione, per questo Gabriel è rimasta non più di un paio di minuti. Se avesse proseguito, avrebbe schiacciato l’anima di Louisa, uccidendola. Questo è quello che fanno i Grigori ed è quello che fanno gli Angeli Caduti come Belial, si scelgono un corpo e ne distruggono l’anima, in modo che rimanga solo un involucro che possono occupare e muovere a piacimento.

- Senza anima il corpo continua a vivere?

- Ovvio, - proseguì Dimitri guardando fuori dal finestrino – Se il cuore e la mente continuano a lavorare un corpo può vivere anche senza anima, ma rimarrebbe vuoto. I sentimenti, i ricordi, le nostre relazioni con gli altri, questo forma un’anima. Ed è ciò che ci fa diventare Sigilli. Le nostre anime, quando subiamo un torto, emettono un grido che gli angeli sentono. Questo grido lo possono sentire anche i Sigilli e dentro di loro desiderano aiutare chi soffre. Quando succede la prima volta uno degli Arcangeli interviene donandoci una parte del suo potere, affinché possiamo riparare al torto. Gli Anelli rispondono alla chiamata dei Sigilli e al potere degli angeli.  

- Per cui Louisa ha visto qualcosa di spaventoso?

Dimitri scosse la testa di nuovo – Non lo so, Louisa è nata Sigillo. Appena nata l’anello del Machonon ha risposto a lei e poi non è più stata in grado di usare alcun potere. Per quel che mi riguarda, posso dirti che in Grecia ho visto una rivolta studentesca finita nel sangue. – Jason batté le palpebre a quelle parole e gli si torse lo stomaco al pensiero – Avevo sette anni quando è successo. – proseguì Dimitri guardando fuori dal finestrino, appoggiando la testa contro il  vetro perso nei ricordi - Mia madre mi ha trovato nascosto in un angolo della strada che gridavo fino a farmi sanguinare la gola. Non ho potuto fare nulla per aiutarli. Le loro grida, me le sogno ancora di notte.

- Perché subite tutto questo?

- Abbiamo deciso volontariamente di intervenire. È il nostro desiderio di riparare ai torti, che ha fatto si che noi fossimo Sigilli. Ci prendiamo sulle nostre spalle le sofferenze altrui per poter aiutare gli altri. Difendiamo questo mondo dai Grigorio; almeno fino al Giudizio, quando saranno fermati definitivamente.

- Gli angeli non possono intervenire e farla finita?

- No. Sono creature spirituali. Possono agire solo su piano spirituale. I Grigori hanno corpi umani, ma gli angeli non possono averli senza distruggere una vita e non possono scacciarli senza creare una catastrofe come il Diluvio. Una volta che noi  li avremo fatti uscire da quei corpi, gli angeli se ne potranno occupare. E questa è la nostra missione: distruggere i Nephilim e costringere i Grigori ad abbandonare i corpi degli essere umani.

Jason fu distratto dal cartello che gli indicava l’ingresso in Belgio e la mente gli corse a Louisa, chiedendosi cosa le avrebbero fatto una volta arrivati all’Istituto. Cosa sarebbe successo dopo?

Le parole di Tamiel gli risuonarono nella mente di nuovo. Innamorato. Scosse la testa per allontanare la voce squillante di quella donna crudele.

Qualcos’altro però, lo fece scattare sul posto come una molla, sbloccandogli il cervello – Hai detto che i Grigori sono stati imprigionati dopo il Diluvio. – disse, ricordandosi che anche Tamiel aveva parlato di una prigione – Perché sono liberi?

- Questa è una bella domanda. – riposte Dimitri battendosi un dito sulle labbra – Non lo sappiamo.

- Che cosa! – scattò Jason

Lui alzò le spalle, per nulla impressionato dello sguardo furioso di Jason – Dico la verità. Non lo sappiamo. Dovrebbero essere imprigionati, eppure ci sono i Nephilim e sappiamo che i Grigori sono liberi. Ismael, che tu e Louisa avete incontrato, fu una delle prime a cadere.

Jason chiuse gli occhi per qualche secondo, digerendo le notizie che gli avevano appena dato – Che sai dirmi di Tamiel?

La fronte di Dimitri si corrugò per qualche secondo, prima che lui si voltasse verso Jason – A quel che ne so, Tamiel fu il secondo Grigorio a peccare, subito dopo Shamyaza. È uno dei più potenti, geloso del mondo che Dio ci ha donato e invidioso della nostra libertà.

- Il secondo? Non è una donna?

Dimitri lo guardò di traverso – Un angelo non ha sesso. Lo acquista in base al corpo che possiede. Ci rivolgiamo a Gabriel come ad una donna perché Louisa è la sua emanazione, ma no, non hanno un sesso preciso.

Jason scosse la testa, si rifiutava categoricamente di crederci. Non era mai stato un credente, andava a messa la domenica solo perché suo padre ce lo trascinava e aveva completamente smesso dopo il suo funerale. E dopo l’inspiegabile morte di suo padre, qualsiasi curiosità verso Dio morì con lui.  

- Siamo arrivati. – la voce pacata di Dimitri lo riscosse e alzò la testa per vedere delle alte mura, telecamere e torrette di osservazione con uomini armati fino ai denti a fare la guardia – Una caserma? – ringhiò piano Jason, sentendosi in trappola.

- Precauzioni. – spiegò Dimitri – Questo Istituto non è protetto come l’altro, con le parole nella lingua del Cielo scritte sulle mura. Devono contare sui loro occhi e orecchie per evitare attacchi.

Jason si guardò intorno guardingo, mentre le guardie all’ingresso controllavano con lo scanner gel le impronte del guidatore e quelle di Dimitri – Garantisco io per lui. – disse Dimitri, indicandolo con il pollice – Non credo che i suoi dati siano ancora stati inseriti, ma è dei nostri. – le guardie fissarono Jason scettiche, ma si spostarono per far passare la macchina.

- Sono tutti così tetri qui? – chiese Jason, allungando la testa per guardare i  bassi edifici grigi e le finestre a specchio che riflettevano la luce bianca dei lampioni.

- Oggi sono di buon’umore. E sicuramente James li ha avvertiti del nostro arrivo. – il SUV davanti al loro parcheggiò e rapidamente, una squadra di quattro persone prese in consegna Louisa, caricandola su una barella, e sparì dietro le porte a vetri dell’edificio davanti a loro.

Jason saltò giù dall’auto appena dopo Dimitri e raggiunse James – Louisa? – chiese senza preamboli, mentre il ragazzo premeva la mano sullo scanner.

- Non sono affari tuoi.

Jason lo spinse contro il muro, premendogli l’avambraccio contro la trachea – Ma che problemi hai?

- Vuoi davvero saperlo? – James alzò il mento, senza scomporsi alla minaccia  di Jason – Tu sei il mio problema. Vieni a chiedermi di lei, quando sei solo preoccupato per te, ben sapendo che se lei muore, tu muori. Sai che ti dico? Senza di te Louisa non avrebbe la febbre a quaranta, non starebbe lottando con tutta se stessa per tenere la sua anima ancorata al suo corpo. Senza di te, lei non sarebbe stata così impulsiva. – il tono tranquillo con cui parlò fece arretrare Jason di un passo e James ne approfittò per scrollarselo di dosso – Ora, - proseguì James gelido – Se vuoi scusarmi, vado a informarmi sulla salute di Louisa. Tu approfittane per sparire da davanti ai miei occhi. – senza attendere risposta, James varcò le porte richiudendosele alle spalle senza degnarlo di una seconda occhiata.

- Hai veramente fatto arrabbiare James. – disse Dimitri alle sue spalle – In genere lui urla parecchio, quando parla così è perché si sta trattenendo dal commettere un omicidio.

- Fammi entrare. – disse quando lo scanner gli impedì l’accesso – So che puoi farlo. Fammi entrare.

- Che farai poi? Sfidare James non è una buona idea. Fidati.

Jason tirò un pugno al muro – Non mi importa! – urlò ignorando il dolore alla mano – Lei sta male. Voglio sapere come sta.

Dimitri sostenne il suo sguardo per qualche secondo, infine sospirò – Vengo con te. Magari riesco a evitare di farti ammazzare.

Dimitri appoggiò la mano sullo scanner e un paio di secondi dopo la luce divenne verde, aprendo le porte. Lo condusse silenziosamente per i corridoi grigi e austeri.

- Conosci bene questo posto? – chiese Jason quando lui gli indicò gli ascensori.

- Abbastanza. – rispose laconico – Io e James siamo venuti qui abbastanza spesso. Al terzo piano di questo edificio c’è l’infermeria dove hanno portato Louisa. – spiegò premendo il pulsante

- Louisa qui c’è mai stata?

- No. E non avrebbe mai dovuto venire qui.

- Perché?

Dimitri passò da un piede all’altro, controllando i numeri dei piani sullo schermò – Vuoi darmi una risposta! – Dimitri saltò di fianco, quando lui gli urlò nelle orecchie.

- Louisa non può venire qui. – rispose infine Dimitri quando si aprirono le porte dell’ascensore – Qui ci lavora sua madre. E le è proibito vederla. E prima che tu lo chieda; non lo so il perché, i documenti che la riguardano sono riservati e a noi è impedito l’accesso.

Dimitri gli fece cenno di seguirlo e il forte odore di disinfettante e malattia saturarono le sue narici – Come fate a sopportare questo odore?

Dimitri si mise le mani in tasca e svoltò, senza far alcun rumore sul linoleum azzurro spento – Ci sono abituato. – disse tristemente – Vivo in una stanza che ha sempre questo odore. Ogni giorno della mia vita. Quando non lo sento mi sembra quasi che manchi qualcosa. – Jason si bloccò di colpo e fissò la schiena di Dimitri con il cuore che batteva violentemente contro le costole – Sbrigati. – lo chiamò – Louisa è qui. – disse indicando il vetro – Ma non puoi entrare. È una rianimazione.

Jason percorse rapidamente il corridoio e guardò il vetro che lo separava da Louisa – Che le stanno facendo? - Dieci persone con camici blu scuro e i guanti circondavano Louisa. Della ragazza vedeva solo i capelli castani e le punte dei piedi.

- La stanno sistemando. Le mettono il monitor e un accesso venoso per le emergenze. Vedi? Hanno finito. – le dieci persone si staccarono quasi contemporaneamente e due di loro si misero in un angolo a parlare, mentre gli altri se ne andarono nella stanza adiacente, sparendo alla sua vista.

Jason riconobbe nel più basso, James che parlava indicando le infusioni e il monitor – Perché lui è dentro?

- Perché – disse Dimitri massaggiandosi le orecchie – Lui conosce tutto di Louisa, dal libretto delle vaccinazioni al suo gruppo sanguigno. In oltre ha una laurea specialistica in infermieristica dell’emergenza.

- Ha fatto l’università?

- Circa. – rispose Dimitri alzando le spalle – Ha ottenuto il permesso di studiare dentro l’Istituto con dei medici e infermieri specializzati seguendo i corsi ministeriali. L’ha fatto per aiutarci. Nel caso ci facessimo male sul campo di battaglia. James, - chiamò premendo il pulsante dell’interfono – Come sta Louisa? – James alzò lo sguardo, e lo stupore divenne furia quando si focalizzò su Jason.

Con lentezza esasperante James si avvicinò alla porta e si tolse i guanti e il camice.

- Perché è qui? – chiese chiudendosi la porta alle spalle – Ho detto che non lo voglio qui.

Jason serrò la mascella, pronto a dargli una rispostaccia o a prenderlo a pugni, ma Dimitri lo precedette – Ce l’ho invitato io, James. È veramente preoccupato per Louisa. Come sta? – James aprì e chiuse le mani svariate volte, squadrando Jason malamente – Ha la febbre a 40.8°, - rispose cauto - Le hanno infuso un antipiretico e la stanno idratando. Sono anche corsi a prendere il ghiaccio. Dovremmo tenerle sotto controllo le urine con il catetere e portare il prelievo per fare l’emocultura. Probabilmente le faranno una Tac e una risonanza magnetica, - si passo una mano tra i capelli, scompigliandoseli e Jason gli vide occhi iniettati di sangue per la stanchezza – Ma dubito che trovino qualcosa. Non è normale una febbre così alta.

- Che possiamo fare? – chiese Dimitri

- Aspettare. Monitorarla. Pregare.

Il crepitio dell’interfono interruppe il pesante silenzio – James, - disse una voce lievemente allarmata – Vieni dentro. L’antipiretico non fa effetto.

- Merda! – James si voltò di scatto ed entrò lasciando Dimitri e  Jason a fissare il vetro, mentre lui si rimetteva camice e guanti. Jason assistette impotente mentre James e uno degli infermieri controllavano le flebo e aggiungevano altre borse per il ghiaccio – Devo andare da lei. – fece per afferrare la maniglia quando Dimitri lo fermò – Per fare cosa? Saresti solo d’intralcio. Sono tutti medici e infermieri specializzati. Sanno quello che fanno. – la mano di Dimitri tremò leggermente sul suo polso – Non sei l’unico che vorrebbe essere lì dentro. Ma ne io, ne te possiamo essere d’aiuto. – Jason sbatté la testa contro lo stipite della porta e chiuse gli occhi.

- So chi può aiutarla. – disse deciso aprendo gli occhi – Se c’è qualcuno a cui affiderei la mia stessa vita quello è lui.

Jason ripercorse corridoio da cui era arrivato. Will avrebbe sistemato la situazione, ne era sicuro. Ogni volta che c’erano problemi, lui li risolveva tutti con calma e padronanza della situazione.

- Dove vai? – gli urlò dietro Dimitri.

- A cercare un telefono! Con i cazzotti che ho preso oggi, non credo che il mio si sia salvato.

- Puoi usare il mio. – disse Dimitri – Se credi che possa aiutare Louisa, ti presto il mio telefono. – Jason tornò indietro a rapidi passi, strappando dalle mani di Dimitri il telefono che gli porgeva e scrisse rapidamente il numero di Will. Mentre aspettava che il telefono prendesse la linea, spostò il peso da un piede all’altro – Andiamo non puoi essere a letto! È appena l’una del mattino! Will maledizione, rispondi! – urlò nel microfono.

- Non è che mi ispiri a rispondere se mi spacchi i timpani. – disse la voce assonnata di Will dall’altra parte del telefono – Sai che in genere a quest’ora la gente dorme?

- Will, ho bisogno di te. – strinse convulsamente il cellulare nella mano, sapendo quanto gli costasse dire quelle parole – Louisa sta male e tu sei l’unico di cui mi fidi.

Sentì il cigolio del  letto in sottofondo – Sono tutto orecchi.

Jason ricapitolò velocemente la situazione, interrotto da qualche domanda rapida e precisa di Will – Ho capito. – disse infine - C’è solo un problema. L’Istituto di notte è sigillato e non posso muovermi prima dell’alba.

Per poco Jason non scagliò il telefono dalla frustrazione – Che devo fare? - urlò

- Nulla. – rispose Will – Appena sorgerà il sole arriverò subito, ma per ora, puoi solo aspettare.

Jason sentì il terreno franargli sotto i piedi, in tanti anni Will non lo aveva mai tradito, mai, nemmeno una volta – Will, - gli si seccò la gola e si appoggiò contro il muro per non cadere. L’ultima volta che era stato così male, era per lei, ma in quel caso Will era accanto a lui con la bottiglia di whiskey invecchiato di suo padre in mano – Devo fare qualcosa.

Dall’altra parte del telefono calò il silenzio per qualche secondo – Se ci riesci, sta vicino a Louisa. Arrivo appena mi è possibile, intanto fatti dare tutte le notizie che riesci e mandami aggiornamenti continui.

- Si. Hai bisogno anche…

- Jason. – alzò la testa sentendo la voce di Dimitri – James vuole parlati.

- Ci sentiamo dopo, Will. Devo andare. Ciao. – si voltò glaciale verso Dimitri, ricomponendo la maschera di freddezza che gli era scivolata via nelle ultime ore – Cosa vuole?

- Louisa sta delirando. – a quelle parole Jason perse un battito – E ti sta chiamando. Continua a ripetere il tuo nome. James vuole farti entrare nella stanza.

Per un attimo, Jason ebbe la tentazione di tuffarsi dentro la stanza a sostenere Louisa, poi irrigidì le spalle e la mascella ricomponendo i pezzi alla deriva del suo cuore. Doveva stare lontano da lei a tutti i costi, soprattutto ora. soprattutto dopo le parole di Gabriel sul loro legame – Mi sembrava che lui avesse tutto sotto controllo. – disse gelido - Non ho alcuna intenzione di scattare al suo comando non appena chiama. Ne per lui, ne per Louisa. Vado a bermi un caffè, sempre se lo trovo in questo postaccio.

- Mezz'ora fa stavi per sfondare la porta! – urlò Dimitri.

- Mezz'ora fa pensavo che Louisa stesse per morire. Se è in grado di parlare, allora non sta così male. Non ha bisogno che vada a tenerle la mano. – si sarebbe preso a calci per quelle parole - Visto che non morirà non capisco perché devo andare lì dentro, in una stanza che puzza di disinfettante.

- Pensavi solo a te stesso? Dimmi la verità. – Dimitri lo prese per la felpa e lo spinse contro il muro, guardandolo dritto negli occhi.

- Esattamente. – qualcosa morì dentro lui, nello stesso identico momento in cui pronunciò quella parola – Volevo solo controllare che quelli lì facessero di tutto per salvarla. È l’unico motivo per cui ho buttato Will giù dal letto, o non avrei fatto neanche quello. – un pugno lo colpì alla mascella, seguito da altri quattro in rapida successione. Intercettò il quinto con la mano aperta e si voltò a guardare Dimitri, sentendo il gusto del sangue in bocca – Ho preso abbastanza pugni per voi Sigilli oggi. Se ti sei sfogato direi che ora è il mio turno. – gli girò rapidamente il braccio, portandoglielo dietro la schiena e lo mise a terra colpendolo dietro le ginocchia – Sei fortunato. – gli sussurrò Jason con un piccolo sorriso – Io non infierisco sui deboli. – lo lasciò andare e si allontanò a grandi passi con le mani in tasca.

- Vattene! – gli urlò Dimitri – Vattene dove vuoi! Va a morire da qualche parte e sta lontano da noi! Ho completamente sbagliato a fidarmi di te! – Jason si voltò a guardarlo da sopra la spalla. Dimitri era ancora in ginocchio che lo fissava con odio – Si, - confermò – Hai completamente sbagliato a fidarti. Perché di voi non me ne frega un cazzo.

Scese rapidamente le scale fino a ritrovarsi al piano terra e riprese a respirare solo quando si fu allontanato abbastanza da quel piano pieno di odore di disinfettante.

Quando fu sicuro di essere completamente solo, iniziò a prendere a pugni il muro, cinque, sei volte, senza fermarsi finché non si ritrovò le nocche scorticate a sangue – Mi dispiace. – disse mettendosi le mani tra i capelli – Louisa, mi dispiace, te lo giuro. Ma non posso starti vicino se non ho la possibilità di aiutarti. – vagò per i corridoi del piano terra silenziosamente, affidandosi solo alla luce delle strisce poste al livello dei piedi e di quella della luna che filtrava dalle finestre.

Entrò trascinando i piedi in una piccola saletta, con delle poltroncine rivestite di tessuto scuro in un angolo, il divano in tinta nell’altro e un distributore d’acqua dietro la porta. Lo stomaco gli si torse al primo sorso d’acqua fredda, ma si costrinse a finire il bicchiere, prima di gettarlo nel cestino, pensando a Louisa che in quel momento non aveva nemmeno quella consolazione.

Steso sul divano con un braccio sotto la testa e gli occhi spalancati a fissare il soffitto, tese le orecchie ascoltando il ticchettio dell’orologio che, lentamente, scandiva i secondi che lo separavano dall’alba e dall’arrivo di Will.

Solo allora si sarebbe concesso di sperare e avrebbe avuto il coraggio di tornare di sopra.

Si odiò per quel pensiero codardo. Lui che aveva spronato Louisa a dare il meglio di se, scappava alla prima difficoltà. Fuggendo dai suoi sentimenti e dai suoi problemi.

- Ciao. – quella voce giovane in quel silenzio tetro lo fece sobbalzare e si voltò a fissare la ragazzina seduta comodamente sulla poltrona a gambe incrociate. Era sicuro che cinque secondi prima non ci fosse.

- Chi sei? – chiese Jason sgarbato tornando a prestare attenzione al soffitto.

- Sono Annaliese Hawkeye, Sigillo del Settimo Cielo e custode del Mondo dei Sogni. – Jason si drizzò immediatamente a sedere, guardando malevolo la bambina che aveva davanti – E sono qui per te, Jason Fen. Chiamami Anna. Io e te dobbiamo fare due chiacchere. – si rigirò l’anello d’oro bianco tra le dita, mandando bagliori sulle pareti, mentre le si allargò il sorriso sul volto.

 

Salvala,

non ti ho mai chiesto nulla in vita mia.

Ora, salvata, ti prego.

 

­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­

 

NAD: una volta trovato il tempo di scrive questo capitolo è stato anche abbastanza veloce… peccato per l’edit che me l’ha fatto praticamente riscrivere! C’erano frasi che non rendevano l’idea, sentimenti confusi che non riuscivo a decifrare… Nella mia mente Jason è un casino indescrivibile.

Come al solito devo ringraziare tutti quelli che mi sostengono ogni volta, che mi spronano a scrivere e che mi aiutano a tradurre certi sentimenti in frasi che spero vi facciano battere il cuore (un ringraziamento speciale ad Anna e a Elis in questo caso è d’obbligo) soprattutto ad Anna che mi ha fatto notare tutto gli errori!

Quindi grazie, senza di voi Jason e Louisa si starebbero ancora accapigliando.

Khyhan

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Capitolo 9
*** IX. Somnia ***


IX - Somnia

Somnia

 

Fa che io ricordi,

mettiamoci in giudizio insieme,

narrami il tuo racconto

affinché sia nel giusto.

Isa 43:26

 

Jason squadrò Annaliese in silenzio per un minuto buono. Non dimostrava più di dieci anni e i capelli color mogano le ricadevano disordinatamente sul viso coprendole gli occhi.

Aveva addosso il più bizzarro assortimento di vestiti che Jason avesse mai visto: come se si fosse vestita al buio o non conoscesse l’abbinamento dei colori. Sciarpa rosso fuoco con dei pendagli dorati, maglietta giallo limone, gonna jeans lunga fino al ginocchio con delle stampe a fiori rosa e calze di due colori differenti: una gialla e l’altra rossa.

Se Jason avesse incrociato una ragazza simile per strada le avrebbe consegnato un biglietto di sola andata per il reparto psichiatrico più vicino.

– Hai finito di studiarmi? – chiese Anna spostandosi i capelli dal viso.

Gli sorrise e i peli sul collo di Jason si drizzarono in allerta; Anna si era presentata come Sigillo e la cosa non prometteva nulla di buono. – Torna a giocare con le bambole, ragazzina. – ringhiò alzandosi – Non ho alcuna voglia di parlare con una come te. – fece per uscire dalla stanza, ma la porta gli sbatté in faccia.

– Per una come me, – ripeté lei sottovoce – Intendi un Sigillo? O una ragazzina con i vestiti bizzarri?

Jason si voltò lentamente e le fece un piccolo sorriso. – Bene, bene. Leggi i pensieri altrui?

Anna fece una smorfia disgustata – Per carità no! I pensieri sono razionali. Io leggo i sentimenti, le emozioni, i sogni e i desideri più profondi nascosti nei cuori delle persone. Mi hai giudicata bizzarra e il tuo Sogno ha subito una piccola variazione. Io ho solo letto tra le righe.

Jason si guardò intorno: il salotto era identico a prima, se non fosse stato per la lancetta dei secondi dell’orologio, che ora era immobile, non avrebbe notato nulla di diverso. – Siamo in un sogno? Voi Sigilli giocate anche con i sogni?

– Io entro nei sogni della gente. Solo io, il Sigillo del Settimo Cielo. Non sarei scivolata nei tuoi sogni se non fosse stata un’emergenza e se non avessi avuto bisogno di te.

Jason strinse i pugni. I Sigilli non facevano altro che approfittarsi di lui, invadendogli, non solo la vita, ora anche la mente. – Se è un mio sogno sai già la risposta, ma voglio dirtelo con gentilezza: vaffanculo stronza!

Anna scoppiò a ridergli in faccia. – Sempre di pessimo umore. Ma non proverei a fare il gradasso con me, Jason. – schioccò le dita e la stanza andò in frantumi.

Al suo posto apparve un fiume e Jason fece un salto, quando si ritrovò con le caviglie e le scarpe in ammollo. – Ma sei veramente una gran stronza, te l’hanno mai detto? Di tutti i posti che ci sono, proprio in mezzo a un fiume dovevi farmi finire?

Anna rise, sguazzando in mezzo all’acqua e divertendosi a saltare da una roccia all’altra, mentre Jason usciva lanciando le scarpe sgrondanti sulla riva. – Che c’è di male? – chiese lei maliziosamente, con gli occhi brillanti di felicità – È un sogno, non ti sei realmente bagnato.

Jason le rispose con un grugnito e si sedette a braccia incrociate fissando la cascata a pochi metri di distanza da loro. – Dove siamo? – domandò ad alta voce per sovrastare il frastuono.

– Dimmelo tu. – rispose lei tendendo una mano per permettere ad una farfalla gialla di posarcisi sopra – Questo è il tuo sogno. Io posso solo modificare alcune cose, ma il ricordo da cui l’ho pescato è tuo. – lasciò andare l’insetto, che volò fino a posarsi sul ginocchio di Jason. Lui lo osservò attonito, mordendosi la lingua, per non rispondere male. – Esiste veramente? – chiese Anna sedendosi accanto a lui. – La farfalla. Esiste veramente?

Jason annuì, confuso. – L’ho vista una volta. – Alzò la testa e guardò prima la cascata, poi la farfalla e infine Anna – Siamo a Reinchenbach. Queste sono le cascate di Reinchenbach uno dei luoghi…

– … più belli che tu abbia mai visto. – concluse Anna per lui. – Ci sei venuto perché avevi letto Sherlock Holmes e volevi vederle.

Jason represse l’istinto di prenderla a calci e inspirò profondamente – Smettila!

– Di fare cosa?

– Di leggere la mia mente, i miei ricordi. Qualsiasi cosa tu stia leggendo. Sono cazzi miei.

Anna alzò le spalle. – L’ho scelto perché le tue emozioni associate a questo posto sono molto forti. E tu Jason, ora, hai bisogno di una scossa bella forte.

– Piantala di giocare con la mia testa! E riportami in quell’edificio che puzza di disinfettante!

– E se ti dicessi che posso aiutarti far chiarezza con i tuoi sentimenti?

Jason si irrigidì sul posto e le lanciò un’occhiata velenosa. – Che intendi dire? Cosa sai?

– I tuoi sentimenti stanno lottando contro la tua parte razionale.

– Qualsiasi psicologo con un minino di cervello potrebbe dirmi altrettanto e farsi pagare profumatamente. Bella deduzione, Watson. O sei una psicologa mancata o sei una psicologa fallita. In ogni caso, se non ti spieghi entro cinque secondi, farai il volo della cascata. Uno. – disse alzando l’indice.

– I tuoi sentimenti…

– Due.

Anna si morse il labbro. – Tre.

– Insomma sai che provi delle emozioni molto profonde, ma il cervello li percepisce come estranee.

– Quattro.

– Sto parlando dei tuoi sentimenti per Louisa!

Jason si bloccò con il braccio a metà. – Cosa sai di Louisa?

– So che sta morendo. – disse lei in un sussurro. – E che ha bisogno di te. Non vuole il mio aiuto, o quello di James e Dimitri. Vuole il tuo.

Jason irrigidì la mascella e sotterrò qualsiasi emozione per la ragazza sotto uno spesso strato di rabbia. – È la vostra guerra. Non la mia, non sono venuto io a cercarvi. Mi avete costretto a diventare uno dei vostri.

Jason si alzò e andò a vedere la cascata dallo sperone roccioso e un piccolo sorriso gli si disegnò in volto. Per lui, era il simbolo della sua ribellione adolescenziale. Suo padre gli aveva proibito quel viaggio nonostante lui volesse vedere Reinchenbach con tutta l’anima. Giunto in cima alla cascata aveva scattato un’unica foto e gliel’aveva mandata, solo per dimostrargli fin dove poteva arrivare la sua testardaggine e poi si era stampato in mente quel paesaggio, affidandolo alla memoria.

– Tuo padre non voleva che venissi qui.

Non era una domanda. – Gli chiesi di vedere le cascate, ma lui era sempre stato contrario a qualsiasi tipo di viaggio, diceva che era troppo vecchio. Figurati, troppo vecchio per prendere un aereo, ma correva dieci chilometri ogni mattina e mi batteva ad ogni allenamento. – Si morse l’angolo del labbro inferiore al ricordo. Il viaggio a Reinchenbach l’aveva fatto litigare furiosamente con suo padre; non si erano parlati per più di un mese, e quando si allenavano insieme, Fen si era limitato a correggerlo usando le mani o un bastone da combattimento.

– Ora sai perché non viaggiava. – disse Anna alle sue spalle.

– Si nascondeva. – disse deciso Jason, guardando l’acqua scorrere sotto di lui – Si nascondeva da voi, non dai Grigori. – Seppe di avere ragione nel momento stesso in cui pronunciò la frase ad alta voce. La mente gli diceva che i Grigori lo avrebbero ucciso, e con lui, tutti quelli che stavano con Fen se lo avessero trovato, ma il suo cuore gli sussurrava che i Custodi erano il vero problema.

Sospirò tristemente, suo padre non gli aveva mai detto nulla di tutta questa storia. Ogni volta che Jason gli aveva chiesto dell’anello o delle armi che possedeva, suo padre si irrigidiva, spiegandogli che una volta apparteneva ad una setta di poveri pazzi che pensavano di salvare il mondo, e lui era fuggito molto prima di adottarlo.

Jason non si era mai aspettato di poter venir coinvolto in tutto questo, né di incontrare Louisa.

Ce l’aveva con Fen per non avergli detto la verità, ce l’aveva con lui per averlo messo in quella situazione disastrosa e ce l’aveva con lui perché gli mancava terribilmente e perché aveva bisogno dei suoi consigli.

– Pensi ancora a tuo padre.

Strinse i pugni, le affermazioni di Annaliese gli davano i nervi, era come se la bambina conoscesse ogni suo intimo pensiero. – Penso al giorno in cui è morto.

Se lo ricordava come se fosse successo ieri. Il padre di Will che accoglieva le persone del villaggio sulla soglia di casa sua, Will, Sophie e la loro madre che lo circondavano, mettendogli rassicuranti mani sulle spalle, mentre lui ascoltava le parole carine e gentili di gente di cui non gli importava un accidenti, domandandosi dove avesse trovato la forza di vestirsi quella mattina.

Il giorno dopo il funerale aveva sigillato la casa, attivando tutte le trappole che suo padre gli aveva mostrato ed era andato a vivere da Will, tornandoci solo il giorno del suo compleanno.

La cascata di Reinchenbach andò in frantumi scintillanti sotto i suoi occhi e Jason si ritrovò catapultato in un altro ricordo.

– Dove siamo?

– Il Mondo dei Sogni è particolare. – gli rispose Anna con un sorriso – Qui regnano i sentimenti, i ricordi e desideri. Se pensavi a qualcosa di particolarmente importante per te è probabile che tu ci sia finito dentro. Spegni la tua parte razionale e lasciati guidare. Cosa ricordavi?

– Mio padre. – rispose Jason riconoscendo il salotto di casa sua. – Alla sera del suo funerale. Will mi aveva proposto di dormire da lui, ma non me la sentivo. – si avvicinò al divano e vide la copia di se stesso, con l’abito da cerimonia, rigirarsi fra le dita l’anello di suo padre ignorando volutamente il telefono che squillava incessantemente. – Ho passato tutta la notte su quel divano a domandarmi cosa dovessi fare.

Fece il giro del salotto, nel corso degli anni Jason aveva cambiato di pochissimo l’arredamento. Aveva solo sostituito il tavolino da caffè, perché quello di suo padre si era rotto al suo ventesimo compleanno e aveva aggiunto alcuni libri sullo scaffale accanto al camino.

– Jason, smettila. Mi farai venire mal di testa. – Anna si massaggiò le tempie e lo guardò tristemente.

– Devo smettere di fare che cosa?

– I tuoi ricordi più recenti si stanno sovrapponendo con quelli più vecchi. Guarda. – gli indicò il centro della stanza. Il tavolino non era più quello originale, ma era diventato quello che aveva comprato successivamente. – Cambiamenti così repentini mi fanno venire mal di testa. – gli fece un piccolo sorriso – In genere sono io quella che guida i sogni della gente, non lascio ad altri il controllo. È pericoloso.

– Pericoloso nel senso che ti eviti l’emicrania?

– Nel senso che i sogni sono pericolosi. Conoscere i sogni significa conoscere se stessi, le nostre verità più oscure. E la verità fa male.

Jason guardò il suo alterego sul divano e si chiese distrattamente come avesse potuto essere così idiota da passare la notte a compiangere il suo padre bugiardo. – Perché sono qui a fissare un me stesso coglione che si gira tra le dita un anello che mi ha portato solo guai?

– Ti ha portato Louisa.

– Appunto guai. Con la G maiuscola.

Anna si dondolò sui talloni con le mani dietro la schiena – È davvero questo quello che provi?

Jason accorciò le distanze tra di loro in due passi. – Ma saranno anche cazzi miei quello che provo? – tirò un pugno alla vetrinetta accanto a lui, che si ruppe sotto i suoi occhi. – Fantastico. – sbuffò, ma prima che potesse chinarsi a raccogliere i vetri la vetrina si ricompose, tornando perfettamente integra.

– Non puoi realmente rompere qualcosa qui. – spiegò Anna – Sono i tuoi ricordi, fanno parte di te e ti completano. Distruggerli significa distruggere la tua anima.

– Mi consola sapere che non ho distrutto la vetrinetta preferita di mio padre. – studiò con cura il mobile, cercando delle incrinature e lo sguardo gli cadde sulla sciabola contenuta al suo interno. Sbiancò portandosi una mano al petto.

– La scritta sulla sciabola. – Anna si avvicinò alla vetrina e studiò il suo contenuto per qualche istante. – Di che ti sorprendi? – chiese voltandosi verso di lui – È scritto nella lingua del Cielo: “il salario che il peccato paga è la morte.” – tradusse lei – Sapevi che Fen era un Custode. Incisioni del genere sono normali per loro.

– Non me ne ero mai accorto prima. – Jason si sedette sul bordo del divano, sentendosi le gambe cedere per lo shock, fin ora, non si era mai reso, realmente conto, di quanto suo padre fosse coinvolto. – Sono passato davanti a quella sciabola per anni e non ho mai notato l’incisione. – fissò il pavimento, senza realmente guardarlo. Il peso delle bugie del padre lo colpirono come un macigno; aveva sempre avuto la prova delle sue menzogne sotto gli occhi e non gli aveva mai dato peso, attribuendo l’incisione a un gioco di luce.

– La cosa ti sorprende? – chiese Anna dura – Fen era un Custode, lo è stato fino al giorno della sua morte, nonostante quello che ti ha raccontato. Poteva anche aver lasciato l’Istituto, ma una parte del suo cuore è sempre rimasta là. La sua storia, la sua paranoia, i suoi timori, quelli ti hanno cresciuto ed allenato. – lo scrutò, cercando di comunicargli qualcosa, ma Jason scosse la testa rifiutandosi di ascoltarla.

– Cosa vuoi da me?

– La domanda giusta è: cosa posso fare io per aiutare te?

– Mio padre vi odiava. – disse guardando la vetrinetta – Mi ha sempre detto di diffidare di voi, mi ha raccomandato di starvi alla larga.

Anna piegò la testa di lato e lo trapassò con lo sguardo. – Non aveva tutti i torti. Devi diffidare di alcuni Custodi.

– Cosa?

– È ancora troppo presto per parlartene, ma ora il tempo stringe. Louisa ha bisogno di te. E ogni minuto che passa è un minuto di meno che resta a lei.

Il ricordo di Louisa sul lettino della terapia intensiva gli rovesciò lo stomaco e per la terza volta il ricordo andò in frantumi, ricomponendosi poi nell’infermeria che aveva visto.

Louisa era lì, circondata da medici, infermieri e da James che si occupavano di lei, impedendogli di nuovo la vista della ragazza.

– Louisa. – Il pensiero di perderla gli fece rizzare i peli sulla braccia e indietreggiò fino a trovarsi spalle al muro. I sentimenti che provava gli diedero la nausea. Sapeva che erano parte di lui, ma tutte le volte che cercava di capirli si sentiva male, come se il suo corpo si ribellasse e gli intimasse di starne alla larga.

– Cosa diamine mi sta succedendo? – ansimò e Anna gli tese la mano.

– È ciò per cui sono venuta a cercarti. Chiudi gli occhi, non respingere ciò che senti e dimmi: cosa provi per Louisa?

Jason obbedì e chiuse gli occhi, iniziando a fare gli esercizi di respirazione profonda, fino a rallentare i battiti del cuore. Quei sentimenti era là; riusciva a sentirli. Se li cercava di comprenderli gli facevano male, ma se si concentrava sul battito cardiaco riusciva a sentire che lo sfioravano timidamente e capì cosa volevano dirgli. – Non voglio che muoia. Non voglio che sia ferita. Voglio vederla felice, al sicuro. – deglutì sentendo le ultime parole salirgli automaticamente alle labbra. – Voglio essere io a proteggerla. – spalancò gli occhi e afferrò la mano ancora tesa di Anna.

Il ricordo turbinò intorno a loro, come se si trovassero nel centro di un uragano.

Il suo unico punto fermo era Anna, che gli sorrideva rassicurante – Lascia che scorrano. Non respingerli. – gli disse.

 

– Ciao Jason, io sono Annaliese Hawkeye, Sigillo del Settimo Cielo.

Jason guardò la bambina davanti a se e sbuffò. – Chi è che saresti?

Lei gli sorrise. – Sono qui perché sono stata attirata da quello. – gli indicò l’anello che Jason aveva in mano. – Avevo percepito dei sentimenti diversi legati a quell’anello, volevo sapere cos’era successo.

Jason se lo rigirò tra le dita, prima di guardarla con sospetto. – Mio padre è morto.

La bambina annuì, come se già sospettasse quella risposta. – Quindi ora sei tu a custodirlo. Andremo d’accordo, Jason, cercherò di non essere troppo invadente e di rispettare i tuoi segreti.

 

Anna, lui conosceva Anna dal giorno del funerale di suo padre, quando aveva preso in mano l’anello per la prima volta. Jason si divincolò nella presa della bambina, ma non la lasciò andare quando un secondo ricordò lo travolse.

 

– Non possiamo incontrarci in modi normali? – chiese Jason, guardando distrattamente la bambina sull’altalena. – È leggermente maleducato il tuo modo di parlarmi.

– Come sta la biondina di ieri sera? – Anna si dondolò, con lo sguardo il cielo.

– Ora mi spii, Anna? – Jason rise. Più volte aveva fatto quella domanda, ma Anna si era sempre limitata ad alzare le spalle.

– Ti sei addormentato tardi e il tuo ultimo ricordo era per quella biondina. È carina. Ci vuoi uscire insieme?

Jason le diede un’occhiata di traverso – Questo non lo chiami spiare, vero?

Lei gli sorrise e un paio di fossette gli si disegnarono sulle guance. – Allora? Ci vuoi stare insieme?

Jason scosse la testa, perfino per i suoi standard quella ragazza l’aveva disgustato: aveva saltato a piè pari la fase del bere qualcosa insieme e lo aveva invitato nei bagni del locale. – Non diciamo cazzate. Mi conosci, da quanto? Sei nei miei sogni praticamente sempre. Non hai nessun altro da scocciare?

– Tu sei interessante. Ci sono tanti posti carini nei tuoi ricordi, sembri un tour operator. Viaggi sicuri e interessanti con le memorie di Jason. – Anna saltò quando l’altalena raggiunse il massimo della sua escursione e Jason la acchiappò al volo per poi scompigliarle i capelli, mettendoci più forza possibile. – Piccola peste, ricordami di metterlo come motto la prossima volta che frughi i miei ricordi. Ti farò pagare ogni singolo filo d’erba che estrarrai dalla mia mente. 

Anna si liberò della sua presa e saltellò via, sistemandosi i capelli – Non essere cattivo. Tu hai visto un sacco di posti, dovresti condividerli! Invece, ti chiedo gentilmente: vuoi vedere i ricordi di un'altra persona?

– Spero che tu non voglia farmi vedere i ricordi di Will e di come era carino mentre faceva il bagnetto. – si mise scherzosamente una mano sul cuore – Potrei non reggere a una rivelazione simile.

– Veramente, – disse lei dondolandosi sui talloni – Volevo mostrarti i ricordi di una ragazza.

Jason batté le palpebre – E perché dovrebbe fregarmene qualcosa?

Anna gli sorrise e schioccò le dita – Vedrai.

 

Jason cadde in ginocchio sentendo un dolore insopportabile alle tempie e si morse la lingua, costringendosi a non urlare.

 

Anna gli venne incontro a passi lenti – Sei pronto? – chiese tendendogli la mano.

Jason rimase sdraiato sul prato, ignorando la bambina. – Tanto farai di testa tua, come al tuo solito. Perché mi fai vedere i ricordi di quella ragazza?

– Louisa.

– D’accordo. Louisa. Perché mi fai vedere i ricordi di Louisa?

Anna si sedette accanto a lui e guardò l’orizzonte in silenzio. – Louisa, – disse infine, strappando qualche filo d’erba – Cosa hai capito di lei fin ora?

– Che è molto sola. E questo la fa soffrire anche se non vuole darlo a vedere. A quei tipi, quelli dell’Istituto, sorride sempre, ma come loro girano gli occhi lei cambia. Quella sua espressione triste, vorrei sapere quanta gente l’ha vista.

Anna strappò più velocemente l’erba. – Hei! – la rimproverò Jason – Non rovinarmi il sogno!

– Vuoi provare a vedere qualcosa di diverso? Di Louisa, intendo?

– Tipo?

– Ora sta dormendo. Possiamo scivolare nel suo sogno, ma questa volta sarà diverso. Mi capisci, Jason? Louisa lo sta avendo ora. È in questo Mondo. Potremmo essere visti, potremmo modificare il suo sogno.

Jason fissò per un minuto buono il cielo, fin ora aveva visto solo ricordi di Louisa. Eventi del suo passato, e lui, ci camminava dentro come se fosse un fantasma, senza poter toccare, né modificare nulla. – Fammi vedere questo sogno.

Anna schioccò le dita e il prato si dissolse.

Il Mondo si ricompose intorno a loro e Jason si ritrovò sull’orlo di un baratro, con Louisa esattamente nel mezzo, che fissava il vuoto davanti a sé.

Stringeva al petto una bambola di porcellana e parlava ininterrottamente. – Emily, io sono forte, vero? Non ho bisogno di nessuno. Ci sei tu che mi ascolti sempre. Ce la posso fare anche da sola. Io sono forte, giusto Emily? – Louisa abbassò lo sguardo sul baratro sotto di lei – Allora perché vorrei sparire?

Come Jason sentì quelle parole si lanciò in avanti, giusto in tempo per afferrare il polso Louisa prima che precipitasse di sotto. – No. – disse tenendola stretta.

Louisa alzò lo sguardo su di lui. – Hai detto no?

– Non devi pensare di sparire, chiaro? È da codardi. Se hai dei problemi li devi affrontare.

– Che ne sai tu dei miei problemi? – urlò lei divincolandosi nella sua presa.

– Tutti hanno problemi. Non sarà comportandoti come una stupida che li sistemerai. Ora molla quella bambola aggrappati a me con tutte e due le braccia.

– Emily è l’unica che mi ascolta. Non posso lasciarla cadere. È mia amica!

– È una bambola! Vuoi qualcuno che ti ascolti? Io ti ascolterò. Ti troverò e ascolterò tutte le stupidaggini di fatine ed eroi che mi vorrai raccontare, te lo prometto. Ti ascolterò ogni giorno: da sana, da ubriaca, con il sole o con la neve. Ti ascolterò! Ora molla quella stupida bambola e aggrappati a me! – sentiva Louisa scivolargli via dalla mano, anche se non fosse morta, non le avrebbe permesso di cadere. – Allora? Ti vuoi muovere!

– Tu, – disse Louisa afferrando la mano libera che lui tendeva. – Sei terribilmente irritante.

Jason la tirò su e ricadde all’indietro, con Louisa su di sé – Sono irritante, eh? Non sai quanto.

 

Il cuore di Jason prese a battergli all’impazzata, mentre tutti quei momenti dimenticati, lo assalivano uno dietro l’altro senza dargli tregua. Rivide decine e decine di ricordi di Louisa, da quando era piccola e irrequieta fin quando non crebbe, diventato schiva e introversa.

 

Louisa nuotava nella pozza d’acqua al centro della biosfera dell’Istituto, riemergendo di tanto in tanto per prendere fiato.

Jason la osservava seduto su uno scoglio, al centro del piccolo laghetto, immerso nell’ennesimo sogno della ragazza. Lei amava nuotare, aveva visto decine di ricordi di Louisa dove lei nuotava, ed era l’unico momento in cui la vedeva realmente serena.

Ogni volta che Louisa sorrideva e si spostava i capelli bagnati dal viso, Jason prometteva a se stesso che l’avrebbe fatta ridere più spesso.

 

I ricordi rallentarono e Jason riprese a respirare, anche se sentiva ancora il cuore battere all’impazzata.

 

– Jason, – la voce di Anna era bassa e concisa e lei si guardava costantemente intorno. – Per un po’ non ci possiamo vedere, né ti posso permettere di saltare nei ricordi di Louisa.

Jason si raddrizzò, fissandola attentamente – Perché?

Lei scosse la testa e si guardò le spalle – C’è qualcosa nel Mondo dei Sogni che mi preoccupa. Una presenza che non dovrebbe esserci.

– E i Cherubini? – chiese Jason, ricordando quello che Anna gli aveva insegnato – Non dovrebbero proteggere il Mondo dei Sogni?

Anna annuì tornando a concentrarsi su di lui. – Si, ma è sfuggente, come un’ombra. La percepiamo, ma quando arriviamo è già saltato nel sogno successivo. Sono preoccupata per Louisa, dovrò sigillare i suoi sogni da possibili attacchi e questo preclude anche le tue visite. Dovrò rendere i suoi sogni  impenetrabili per chiunque.

Jason annuì, capendo dove stava andando a parare Anna. – C’è un’altra cosa, – proseguì Anna, diventando più pallida. – Tu sai quasi tutto di noi. Soprattutto, sai quasi tutto su Louisa, sei…

– Potrei farmi sfuggire qualcosa, vero? O qualcuno potrebbe saltare nei miei sogni.

– Si. – concluse lei inspirando bruscamente. – Mi dispiace.

– Cosa vuoi fare? – il comportamento di Anna lo inquietava, in genere era sempre allegra e amava scherzare, ma ora passava da un piede all’altro e si voltava di scatto come se cercasse di sorprendere qualcuno.

– Vorrei cancellare dalla tua memoria tutti i ricordi che hai di noi. Ogni cosa. Tutto quello che hai imparato in questi tre anni.

– Louisa. – il pensiero gli corse subito alla ragazza e il mondo attorno a loro andò in frantumi per poi riformarsi.

Erano finiti uno dei suoi ricordi preferiti, Louisa che si prendeva cura delle piante in giardino e piantava una nuova fila di Iris azzurri.

– Questo è ciò che voglio evitare, Jason. – disse Anna massaggiandosi le tempie.

Jason si guardò intorno un’ultima volta e poi sospirò, lasciando che il ricordo scivolasse via. – Cosa succederà?

– Non ricorderai più nulla e non sarai più conscio dell’essere nel Mondo dei Sogni quando ti addormenterai. Forse ricorderai dei frammenti, ma nient’ altro. – Anna gli fece un sorriso rassicurante. – Ma non ti preoccupare, ho in mente di farti incontrare Louisa di persona molto presto, penso nel giro di un paio di mesi. Farò in modo che sua madre casualmente trovi l’anello di Fen e mandi una mail a Louisa.

– E che ne sarà di me? Quando la incontrerò, che succederà?

– Non saprai chi è Louisa, se è questo che vuoi sapere. I tuoi ricordi del Mondo dei Sogni saranno sepolti in profondità, dove nessuno potrà toccarli. Rimarrà ciò che provi per lei, perché neanche io posso cancellare i sentimenti, ma non li riconoscerai, perché alla tua mente mancherà un collegamento fondamentale.

Jason chiuse gli occhi. In quei tre anni aveva imparato a conoscere Louisa ed Anna talmente bene che erano diventate parte di lui; l’idea di perderle lo faceva soffrire. – Riavrò queste memorie? – domandò riaprendo gli occhi.

– Se fermiamo l’intruso in poco tempo, sì, te le restituirò. Altrimenti tornerò da te solo se ci sarà un’emergenza e avrai bisogno di far chiarezza con i tuoi sentimenti.

Jason annuì e prese la sua decisione. Per quando l’idea di non poter vedere Louisa lo facesse star male, l’idea che qualcuno potesse approfittarsi di lui per ferirla era mille volte peggio. – Fallo. – disse tendendo la mano. – Prenditi tutto quello che so. Tutto, non lasciarmi nulla e Anna? Hai detto che presto mi farai conoscere Louisa di persona? Vedi di non farmi aspettare troppo. Sono sempre stato un tipo impaziente.

 

Jason lasciò la mano di Anna e si accasciò sul pavimento, ansimava e i brividi lo scuotevano violentemente. Sembravano passate delle ore da quando Anna era tornata da lui, eppure era sicuro che non fosse passato più di un minuto da quando aveva preso la sua mano.

– Anna? – chiamò tra un respiro corto e l’altro.

– Finalmente ti ricordi di me. – disse lei, inginocchiandosi davanti a lui – Mi mancava la tua acidità notturna.

– Quanto? Quanto tempo?

– Sei mesi. La nostra ultima chiacchierata è stata sei mesi fa.

– Maledetta stronza! Mi avevi detto un paio di mesi.

Anna gli scostò i capelli dalla fronte – La madre di Louisa è una gran testa dura. Convincerla è stata difficile.

Sentendo il nome di Louisa, Jason afferrò il divano e si rimise lentamente in piedi – Louisa, devo andare da lei.

– Ti aspetta, Jason. Salvala, come quella volta nel suo sogno.

Jason piegò il sogno al suo volere, e lui e Anna si ritrovarono fuori di casa, accanto ad una Ducati già accesa e pronta a partire. – Vedo che ti ricordi come si fa. – commentò Anna, girando attorno alla moto – Questo mi fa risparmiare molto tempo.

Jason passò una mano sulla sella e ci salì sopra agilmente – E io ci guadagno una Ducati.  Niente male, eh? Cosa devo fare per trovare Louisa? Hai detto che tu non riesci a raggiungerla.

Anna scosse la testa. – Credo che ti basti pensarla in qualche posto dove lei si senta felice per trovarla. Lo farei io, ma quando provo ad avvicinarmi mi respinge. Mi sbatte, letteralmente, fuori dai suoi sogni.

– Non posso darle torto. Lo farei anche io molte volte. Louisa sa di essere nel Mondo dei Sogni?

– No. Non sa cosa sta facendo.

– La riporterò indietro, dovessi tirarle quattro schiaffi e trascinarla per un orecchio. – con un ultimo sorriso fece scattare avanti la moto.

Gli faceva sempre un certo effetto girare per il livello più profondo del Mondo dei Sogni; era completamente speculare al quello reale, se non fosse stato per il fatto, che solo i Cherubini e chi sapeva di star sognando, potevano girarci dentro liberamente. Per tutti gli altri, i sogni non erano altro che proiezioni irrazionali dei propri desideri e sentimenti, ed erano collegati tutti su quel livello del piano onirico tramite l’anima.

Per saltare nei sogni di un’altra persona, Jason non doveva far altro che concentrarsi sull’anima di chi stava cercando.

Pensò a cosa sapeva di Louisa, e fece rotta verso la copia onirica dell’Istituto e di fiondarsi dentro la biosfera, dove c’era il laghetto. Inchiodò in mezzo alla strada e si fermò a meno di un centimetro dal vecchietto in pigiama di flanella, cappellino da notte e orsacchiotto sotto braccio. – André? – domandò l’uomo.

Lui scosse la testa, non sapendo se scoppiare a ridere per il pigiama o urlare perché gli stava facendo perdere tempo, ma prima che potesse aprire bocca, l’uomo scomparve.

Jason proseguì sulla sua strada dimenticandosi dell’uomo, ogni tanto capitava che alcune persone più sensibili potessero diventare consci di quel mondo per qualche secondo, ma in genere, i Cherubini li guidavano di nuovo verso i loro sogni e cancellavano il ricordo di ciò che avevano visto.

Riprese la sua corsa, Louisa amava l’acqua e sicuramente il miglior posto dove cercarla sarebbe stata la biosfera, ma l’Istituto era anche il posto di cui aveva paura e dove si sentiva isolata.

Il Mondo dei Sogni andò in frantumi attorno a lui e si ricompose quando saltò dentro un ricordo.

Quelli che correvano sulla moto accanto alla sua erano lui e Louisa, mentre attraversavano uno dei parchi di Breda. Quella volta aveva sentito chiaramente Louisa esclamare ‘bellissimo’ nel suo casco.

Jason inchiodò di nuovo, lasciando che il ricordo scivolasse via. Quello non era un ricordo allegro: aveva ferito profondamente Louisa, lo sapeva, ma era convinto che lei avesse avuto le prime, vere, scariche di adrenalina solo da quando lo conosceva.

Per lui quel parco non significava nulla, ma per Louisa poteva essere il simbolo della sua ribellione, esattamente com’era Reinchenbach per lui.

Senza perdere altro tempo, piegò di nuovo il Mondo dei Sogni ai suoi desideri e si ritrovò sul ponte che aveva attraversato con Louisa per entrare a Breda.

Scese verso il parco e si guardò intorno velocemente, cercando la figura esile della ragazza. Stava per rinunciare quando vide una figura sulla riva di uno dei laghetti, mezza nascosta dai salici piangenti.

La bambina castana stava seduta sull’erba con una bambola di porcellana in grembo. – Gonna be a pie from heaven above/ Gonna be filled with strawberry love/ Baby don’t you cry, – pettinava lentamente i boccoli della bambola, mentre cantava. – Gonna make a pie/ And hold you forever in the middle of my heart./ Baby here’s the sun/ Baby here’s the sky/ Baby I’m your light and/ I’m your shelter. – riconobbe la ninna nanna che la piccola stava cantando; la madre di Will la cantava sempre a Sophie prima di dormire.

Baby you are mine. I could freeze the time. – intervenne Jason avvicinandosi lentamente alla bambina, che sobbalzò e si girò verso di lui.

A Jason si seccò la gola quando vide gli occhi gli occhi grigi, ma si riprese velocemente. – Ciao, Louisa.

– Chi sei? – chiese lei, guardando intensamente. Sembrava che non avesse più di sei anni, con la gonna bianca a balze e la maglia con i ricami in sangallo in tinta.

– Un amico. – rispose Jason, facendo un altro passo avanti – Sono qui per portarti a casa.

– Uhm, no. – rispose lei tornando a giocare con la bambola – Emily dice che sei troppo grande per essere mio amico.

Jason si guardò intorno, ma non vide nessun altro nel parco. – Chi è Emily?

Lei tornò a pettinare di capelli della bambola. – È mia amica. Mi dice sempre cosa è giusto o non è giusto fare. – Jason guardò il fagotto che teneva in braccio Louisa e gli si gelò il sangue nelle vene. Aveva già visto quella bambola, era la stessa che aveva Louisa quando l’aveva afferrata nei suoi sogni. – Emily dice che sei cattivo. – proseguì la piccola Louisa – Dice che una volta mi hai convinto a lasciarla cadere in un abisso. È vero?

– Sì, e onestamente, lo rifarei. Sai che è inquietante questa cosa della bambola?

La piccola Louisa tornò a guardarlo. – Emily dice che sei pericoloso. È vero?

Jason ghignò. – Questa Emily mi conosce un po’ troppo bene.

Louisa avvicinò la testa di Emily all’orecchio e sgranò gli occhi, guardando Jason. – Emily dice che mi riporterai da quegli uomini cattivi e che io devo ucciderti.

Louisa arretrò fino a ritrovarsi con l’acqua alle ginocchia. – Io non voglio tornare dagli uomini cattivi. Dicono che sono debole, che devo essere più come Jim. Io non voglio! – il lago dietro di lei esplose e solo grazie all’istinto di sopravvivenza, Jason evitò che una lama di ghiaccio lo trapassasse e rotolò via. – Non potremmo parlarne, Louisa?

– Io sono forte! – il lago dietro di lei esplose di nuovo e Jason si ritrovò a saltare e a schivare, evitando gli attacchi acquatici della Louisa–bambina – Io non ho bisogno di loro! Mi odiano! Mi dicono sempre che sono debole! – un tentacolo d’acqua lo afferrò alla caviglia e lo sollevò per poi sbatterlo a terra, mozzandogli il fiato.

– Il primo che dice di nuovo che Louisa è debole, lo investo con un furgone. – si rialzò e si lanciò dietro il tronco del salice prima che una nuova raffica di punte di ghiaccio gli mozzassero la testa.

Era talmente in profondità nel Mondo dei Sogni, che se fosse morto lì, sarebbe morto anche nel mondo reale.

– Louisa? – chiamò, ancora nascosto dietro il tronco. – Non potremmo parlarne davanti a una tazza di tè con orsacchiotti e Barbie? Invitiamo anche Emily. – un terza raffica investì l’albero dietro al quale si era rifugiato. – A quanto pare no.

– Io li odio! – proseguì Louisa. – Io li odio tutti! Io sto bene da sola! Ho solo bisogno di Emily! – Jason sentì un scrosciare violento e si sporse a guardare. Louisa aveva alzato un’onda alta più di tre metri. E aveva ancora quella maledetta bambola in braccio. – Ti giuro ragazzina, che se mi bagno, ti acchiapperò e ti prenderò a sculaccioni. – si lanciò in avanti, proprio nel momento in cui l’onda avanzava verso la riva, travolgendolo.

Colpì un tronco con la schiena e strinse in denti, aggrappandosi ad esso per non venir trascinato via. Quando Louisa aveva detto che voleva ucciderlo non stava affatto scherzando.

Quando l’onda passò, cadde a terra, tossì, sputò l’acqua del lago che aveva nei polmoni e alzò lo sguardo su Louisa. Dietro di lei si stava formando un nuovo tentacolo d’acqua e Jason si rimise con le gambe tremanti. – Basta così, Louisa. Vuoi uccidermi? Fallo. – il tentacolo sfrecciò verso la sua testa e si fermò a pochi centimetri dalla sua fronte, congelandosi.

– Perché non ti sposti? – chiese la bambina.

Jason alzò un sopraciglio. – Dovrei?

Il petto di Louisa sobbalzò. – Io non voglio! – scoppiò in singhiozzi tenendosi le mani sulle tempie e il tentacolo si dissolse. Jason si avvicinò lentamente, pronto a scattare ad un nuovo attacco.

– Perché ti sei fermata? – chiese Jason prendendo la testa di Louisa tra le mani.

– Io, – tirò su con naso – Io non ci riesco. Non voglio ferire qualcuno. James si è fatto male l’altro giorno per colpa mia. Io non voglio che la gente di faccia male, ma loro mi dicono sempre che sono debole.

– No. – disse Jason accovacciandosi davanti a lei e prendendole il volto tra le mani – Ci vuole molta più forza nel sapersi fermare.

La Louisa–bambina tremò violentemente. – Mi riporterai indietro?

– No, se non vuoi. – Jason la prese per mano e la condusse sulla riva, all’asciutto. – Non ti porterò dove non vuoi andare.

Crollò sull’erba, stravolto e  bagnato e Louisa si sedette accanto a lui – Mi vuoi prendere a sculaccioni? – Jason rovesciò la testa all’indietro e scoppiò a ridere.

– Non lo farò, – disse scostandole i capelli dal viso – Ma avrei preferito non bagnarmi.

– Mi vuoi bene?

Jason la guardò stupefatto per la domanda a bruciapelo. – Si.

– Emily dice che non devo fidarmi di te. Dice che mi tradirai.

– Posso dire una cosa ad Emily? – Louisa annuì e gli porse la bambola.

– Emily, – disse Jason sentendosi un completo deficiente a parlare con una bambola – Dì ancora qualcosa del genere e ti riduco in briciole.

Louisa rise e posò la bambola accanto a lei – Emily dice che è offesa e che non ti vuole più parlare.

– Ma che liberazione. – guardò Louisa che si era messa a intrecciare margherite un paio di metri più in là, canticchiando sottovoce.

Come mai era bambina e aveva tutto quel potere?

– Louisa, quanti anni hai?

La bambina si raddrizzò, battendosi le labbra con l’indice. – Uhm. Non lo so.

Qualcosa non gli tornava, sembrava Louisa in tutto e per tutto, ma non riusciva a capire lo scoppiò d’ira che aveva avuto prima. ‘Li odio tutti.’ era qualcosa che Louisa avrebbe mai detto, così come chiedergli se lui le volesse bene.

L’occhio gli cadde sulla bambola a qualche metro da lui. Aveva i lunghi boccoli castani, gli occhi grigi e l’espressione terribilmente triste, esattamente come…

Rotolò via, affidandosi al suo sesto senso. La Louisa–bambina  aveva affondato un coltello esattamente nel punto in cui prima si trovava Jason. – Potevi uccidermi prima se volevi farlo. – disse prendendo la bambola in mano.

La bambina gli fece un sorriso gelido. – L’avrei fatto se lei non fosse intervenuta.

– Con lei, – disse Jason tirando su la manica del vestito della bambola fino a scoprire quello che stava cercando, – Intendi Louisa, vero? – le mostrò il braccio di ceramica della bambola. – Louisa è l’unica ad avere questo Marchio sul braccio. Ora dimmi Emily, cosa vuoi?

– Voglio un corpo mio. Mi ha promesso che me lo avrebbe dato. Voglio che sia mio! Voglio che tutto sia mio! Voglio che tu sia mio! Lei è una stupida! È debole! Mi ha abbandonato e mi ha dimenticato! Mi ha lasciato cadere nell’abisso fidandosi di te! Lui mi ha raccolto! Mi ha protetto! E dovevo solo aspettare l’occasione buona per colpire Louisa! Quando fosse stata sola e debole.

Jason capì appena cosa stava dicendo Emily, ma collegò alcune informazioni. – Quando Louisa è stata attaccata e il sangue di Tamiel le è entrato in circolo è entrata nel Mondo dei Sogni.

– Si! – lo guardo della bambina si illuminò di gioia selvaggia – Era debole e senza l’emanazione di Anafiel che le girava intorno. Lui mi ha detto che potevo prendermi il corpo di Louisa se ci fossi riuscita. Avrei avuto i suoi poteri e tutto il resto.

– Ma senza Louisa tra le mani tu non hai alcun potere.

Emily si girò verso il lago e poi ringhiò verso Jason. – Dammi la bambola.

Le labbra del ragazzo di curvarono in un sorriso – Io non prendo ordini. Chiedilo per favore.

– Dammi la bambola, per favore.

– No. Non mi va. – Jason iniziò a girare attorno alla bambina lentamente, mentre lei lo seguiva senza togliere gli occhi di dosso dalla bambola-Louisa – Vedi Emily, poche ore fa ho recuperato tutte le conoscenze che avevo su Louisa e sul Mondo dei Sogni. Per quanto tu possa aver reso Louisa una bambola di porcellana, lei ha sempre tirato i fili. Io non sarei qui, se lei non avesse voluto. Questo posto l’ha scelto Louisa, ti ha fermato quando potevi uccidermi e i poteri che hai usato erano i suoi. – afferrò la bambina per la gola e strinse forte, sentendo dei lievi scricchiolii provenire dal suo collo. – Il gioco è finito. – il collo di Emily si ridusse il polvere tra le sue mani e con lui il resto del suo corpo. – Ti ho detto che ti avrei ridotto in briciole.

Il peso della bambola di porcellana divenne improvvisamente più pesante e Jason la posò a terra.

Louisa tornò della sua età e grandezza naturali – Jason. – chiamò, aprendo gli occhi.

Il ragazzo annuì e si inginocchiò accanto a lei. – Bentornata. Stavolta mi hai fatto davvero penare. – prima che lei potesse dire qualsiasi cosa, la baciò. Sentiva le sue labbra morbide premute contro le sue e Louisa si aggrappò alla sua maglietta zuppa tirandosi su. Credeva che nonostante fosse un sogno, Louisa lo avrebbe respinto, invece si strinse a lui in maniera disperata, affondandogli le unghie nella schiena. – Louisa. – mormorò sciogliendo il contatto – Cosa?

– L’hai detto tu: ti troverò e ti ascolterò, aggrappati a me. Sono parole tue.

Jason sospirò e scosse la testa – È un peccato che da sveglia non avrai questi ricordi, – guardò oltre Louisa, verso Anna che gli veniva silenziosamente incontro – Vero, Anna? – lei annuì e lui accarezzò le guance calde e rosee della ragazza che aveva ancora tra le braccia. – Torniamo indietro, vuoi? È ora di uscire da questo sogno.

 

Jason si svegliò di soprassalto, ritrovandosi nel salottino dove si era addormentato, con Will che lo osservava attentamente – Buongiorno. – disse allegro l’amico.

– Louisa? – gracchiò con il mal di testa e la nausea crescente. Doveva acchiappare Anna e prenderla a calci per non avergli ricordato che stava male ogni volta che tornava dal Mondo dei Sogni. Era un piccolo particolare che Anna tendeva a dimenticare di dirgli.

– Louisa sta bene. – disse Will sedendosi accanto a lui – La febbre le è scesa e gli esami del sangue sono in ordine. È un po’ anemica, ma nulla di irreparabile. Ora sta facendo la risonanza magnetica.

Jason si mise a sedere e la testa gli girò violentemente. – Vorrei vederla.

– Di certo non mentre è nella risonanza.

– La tirerò fuori se necessario. Ho bisogno di vederla.

Will gli mise una mano sulla spalla e lo trattenne. – Sai cosa penso quando devo scegliere tra la medicina e qualsiasi altra cosa. Ti legherò se necessario, prima le lasci finire la risonanza.

– È sveglia?

Will scosse la testa. – No, ma tutte le sue funzioni vitali sono normali. Le hanno tolto il catetere e le flebo. Terrà il monitor per altre ventiquattro ore per sicurezza, ma per il resto, sta bene. Se vuoi, puoi venire con me in sala monitor è accanto alla risonanza, come finisce l’esame puoi vederla.

Jason non se lo fece ripetere due volte e si mise in piedi, aspettando che Will gli facesse strada.

Come aprì la porta della sala monitor, Jason si trovò davanti James e Dimitri che guardavano lo schermo dove stava apparendo la risonanza di Louisa.

– Ciao. – disse Will entrando – La risonanza ha mostrato qualcosa?

James scosse la testa e si irrigidì, notando Jason – Lui.

– Io. – disse Jason entrando e guardò, oltre il vetro, i piedi di Louisa che sporgevano dal tunnel della risonanza. – Non starà male se si sveglierà lì dentro? – chiese rivolto a Will.

– Non far finta che ti importi di lei. – ringhiò James alle sue spalle – Quando ti ho chiesto di entrare, ha buttato a terra Dimitri e te ne sei andato.

Ah, già, pensò, c’è anche quella cosa da sistemare. – Hai un bel pugno. – disse Jason guardando Dimitri – E devo dire che incassi bene. – la temperatura della stanza divenne improvvisamente glaciale e Jason ne uscì, prima che James potesse esplodere.

Will rise. – Non farci caso, Dimitri. È il suo modo di chiedere scusa. – con un sorriso si appoggiò contro il muro, di fronte alla porta che dava alla risonanza, pronto ad andare a recuperare Louisa una volta che avesse finito l’esame.

– Non mi importa cosa dice Will. – disse James uscendo a grandi passi dalla stanza e mettendosi davanti a lui a gambe larghe. – Per me, sei solo un testa di cazzo piena di se.

Jason incrociò le braccia. – Mi hanno detto di peggio. – disse annoiato – Louisa, senza dirmi una sola parolaccia, mi ha detto di peggio.

Saltò di lato, evitando di un soffio la falce nera che calò su di lui. – Poi sarei io, vero? Quello che provoca.

– Tu. Sei entrato nelle nostre vite. Hai rivoluzionato quella di Louisa! E non mi importa se è stata lei ad architettare la fuga dall’Istituto. Tu sarai sempre il responsabile per me. Se si è ferita è colpa tua!

Jason schivò un altro fendete di lato e sentì qualcosa di nuovo dentro lui e un nome gli salì alle labbra – Gabriel? – l’anello gli Louisa gli apparve al dito e si tramutò in una spada.

Entrambi i ragazzi guardarono la lama trasparente e affilata come il ghiaccio in mano a Jason. – Tu non dovresti esserne capace! – esclamò James – Louisa è il Sigillo del Machonon, lei sola può usare quell’anello.

Dovrai diventare più forte e per farlo, dovrai accettare completamente ciò che ti unisce a lei, le parole di Gabriel gli risuonarono in mente e sorrise. – Gabriel non è d’accordo su questo punto. – puntò la lama contro la gola di James – Apri bene le orecchie perché lo dirò una volta sola: è vero che ho rivoluzionato la vita di Louisa, ma non ho ancora finito. La rivolterò come un calzino se devo. Quella che ha avuto fin’ora non è vita. – sputò l’ultima parola, sempre con la spada puntata al pomo d’Adamo di James – D’ora in poi, Louisa farà quel che vorrà, quando lo vorrà. Se vuole dare la caccia ai Nephilim la accontenterò. Se vuole andare al parco a dar da mangiare ai piccioni, ce la porterò. Sarò la sua spada e il suo scudo e camminerò sopra chiunque si metta in mezzo. E tu, che per anni sei stato a guardare mentre era infelice, dovrei staccarti la testa di netto.

– Tu, – ringhiò James guardando la lama. – Non sai niente. Niente.

– Ho visto come ha vissuto fin’ora tramite i suoi ricordi. Me li ha mostrato Anna nel Mondo dei Sogni.

– Anna?

– Annaliese Hawkeye. Il Sigillo del Settimo Cielo.

– Impossibile. – sputò James tra i denti, spostando la spada con la falce. – Annaliese è in coma da cinque anni.

La spada sfuggì dalle mani di Jason e cadde rumorosamente a terra. – Ha avuto un incidente in Israele quando aveva dieci anni. E non si è mai svegliata. – concluse James voltandogli le spalle.

La vista di Jason si sfocò per alcuni secondi guardando la schiena di James. Anna era in coma. Il che gli spiegava molte cose.

Come il fatto che la bambina non avesse mai cambiato aspetto nel corso degli anni.

O che la trovasse ad aspettarlo a qualsiasi ora lui andasse a dormire.

Anna era prigioniera del Mondo dei Sogni da cinque anni.

 

Dio,

sotto di me c’è un baratro,

in cui spesso mi auguro di cadere.

 

 

NAD: cosa dire di questo capitolo? Avevo iniziato con un’idea che doveva essere semplice, facile e lineare..avete presente?

Cerchi il cattivo, sconfiggi il cattivo, tutti felici e contenti. Non mi aspettavo tutti  questi colpi di scena e indizi che piano piano dovrò rivelare nel prossimi capitoli. No no *scuote la testa* quello che più mi ha lasciato interdetta. *e l’ha scritto lei!* è stata Emily…quella malefica bambola la vorrei fare a pezzi.

Comunque faccio i miei soliti ringraziamenti e tutte e dico tutte quelle persone che mi *coffStakeranocoff* e mi pungolano per scrivere. Senza di loro non avrei nessuno con cui sclerare… e tanto tanto amore per la mia Elis, che legge in anteprima i capitoli e tanto tanto amore per Talia che spero che le aggiustino presto FB (aggiustalo che tra poco ricomincia Conan e ho bisogno di te per le puntate di Kaito e gli scleri su Michael) e tanto tanto amore per Liz (in questo periodo amore per tutti) e per Bea che sclerano sempre (e sottolineo sempre) nel bene e nel male e mi fanno notate gli errori.

E tanto tanto amore per Vale, che ha iniziato la storia da poco, ma è cotta di Jason.

E tanto tanto amore (è una cretina si?) a tutti coloro che leggono, anche senza dirmi nulla, Jason è nato proprio grazie a questo amore. (sembra una lettera di addio).

Ci vediamo nel prossimo capitolo.

Khyhan

(e il tanto tanto amore).

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Capitolo 10
*** X. Solae Animae ***


X. Solae Animae

Solae Animae

 

 

“Così la mia anima preferisce soffocare,

la morte piuttosto che questi dolori!”

Gb 7:15

 

Louisa si rigirò nel letto, stringendosi le ruvide lenzuola addosso.

– Fai piano, Lou. – qualcuno le mise dolcemente una mano sulla fronte. –  Se ti agiti troppo, rischi ti schiacciati il tubo dell’infusione.

A quelle parole, spalancò gli occhi. La luce la ferì, lasciandola abbagliata e lacrimante per qualche secondo finché non si abituò. James stava seduto su una sedia accanto al suo letto, con gli occhi arrossati e cerchiati di ombre nere.

– James. – mormorò. Aveva la gola irritata e le labbra secche e doloranti, come se non le usasse da diverso tempo.

– Ben svegliata. – sussurrò lui con un sorriso. – Hai dormito due giorni interi.

Louisa si guardò intorno sorpresa. La stanza era bianca e asettica, come quelle a cui era abituata fin da bambina, ma totalmente sconosciuta.

– Dove siamo? – chiese, guardando la porta aperta alla ricerca di un indizio che le rivelasse qualcosa sul luogo.

– Parla piano. – disse James, indicando la poltrona in fondo alla stanza.

Dimitri dormiva beatamente sulla poltrona nera, con una coperta marrone rimboccata fino alle spalle. – È rimasto alzato fino a tardi a vegliarti e alla fine  è crollato. Non ha dormito per trentadue ore per starti vicino.

Louisa tornò a guardare James. Batteva le palpebre incessantemente e aveva dei tremori alle mani. – Tu da quanto non dormi? – chiese. Come James si accorse dello sguardo penetrante della ragazza, nascose le mani dietro la schiena.

– Non è così importante. Volevo assicurarmi che tutto fosse fatto per il meglio.

– James…

– Sul serio, Louisa. Non preoccuparti, ora che ti sei svegliata, sono più tranquillo. Tra poco andrò a dormire.

– Da quanto non dormi? – insistette lei.

– Dalla battaglia contro i Nephilim a Breda. – rispose James passandosi una mano sugli occhi. – Circa sessantadue ore fa.

Louisa inspirò bruscamente. – Non dormi da più di due giorni. – sibilò. Si mordicchiò il labbro inferiore fino a spaccarselo, sentendo in bocca il gusto del sangue. – Cretino.

– Come scusa?

Louisa lo fulminò. – Mi hai sentito! Come puoi non dormire per due giorni? Sei un cretino!

– Ma se ero preoccupato per te! Pensavi davvero che potessi dormire con te tra la vita e la morte?

Dimitri bofonchiò qualcosa, rigirandosi sulla poltrona e Louisa soffocò la rispostaccia che voleva dare a James.

– Perché devo sempre sentire qualcuno urlarmi nelle orecchie? – chiese Dimitri mettendosi a sedere.

– Scusa. – Louisa arrossì e tormentò il lenzuolo bianco. – Non volevo svegliarti.

– Si, – aggiunse James rilassandosi sulla sedia. – Scusa.

Sentì lo sguardo di Dimitri su di sé e azzardò a dargli una rapida occhiata. Il ragazzo guardava male tutti e due, con le braccia incrociate sopra la coperta e i capelli castani arruffati. – Perché stavate litigando?

– Non stavamo litigando. – spiegò James – Stavo spiegando a Louisa perché non sono un cretino per essermi preoccupato per lei e per esserle rimasto vicino.

Dimitri guardò prima uno e poi l’altra, per poi scoppiare a ridere. – Ma tu sei un cretino! Ma ti prendi cura di noi. Io non ricordo di aver preso una coperta ieri notte.

James sbuffò. – Ti saresti congelato se non fossi andato a prenderti quella coperta, ma perché non ti prendi un po’ più cura della tua salute?

Dimitri alzò gli occhi al cielo, per poi prendere la coperta e iniziare a ripiegarla. – Io mi curo. A modo mio. Smettila di trattarci come se avessimo cinque anni e tu dovessi inseguirci con il pacchetto di fazzoletti per tutti i continenti.

– Io non vi inseguo per i continenti.

Dimitri si lasciò cadere sul letto di Louisa e le accarezzò un ginocchio distrattamente. – Non dovresti dire a Louisa quella cosa?

Louisa si rivolse a James, che ringhiò, stringendo i pugni sui braccioli. – Quale cosa? – chiese lei.

– Quella cosa su cui io non sono assolutamente d’accordo e a cui non voglio pensare?

Dimitri annuì. – Diglielo o lo faccio io.

James sbuffò più rumorosamente di prima. – D’accordo. D’accordo. – chiuse gli occhi e Louisa arrivò a contare ottantasei dei suoi battiti prima che James si decidesse a riaprirli. – Io e Dimitri, soprattutto io, abbiamo deciso di dare un’altra occasione a Jason. – a Louisa quasi si slogò la mascella per la sorpresa e guardò il ragazzo che stava seduto rigido sulla sedia, come se fosse su un cuscino di spine. – Dio, non posso credere di averlo detto. – proseguì lui a denti stretti. – Sta di fatto che ha rischiato la vita per proteggerti e a quanto pare Gabriel è dalla sua parte, dato che può usare il tuo anello.

Louisa guardò Dimitri, che stava ancora seduto sul bordo del suo letto senza proferire parola.

– Può usare il mio anello? – cercò il gioiello che teneva intorno al collo e si sentì rasserenata sentendolo appeso alla catenina. L’anello la identificava come Sigillo del Machonon e lei era l’unica al mondo a poterlo usare. Il fatto che Jason avesse quella capacità le dava fastidio. L’anello era qualcosa di intimo che lei e il Cielo condividevano.

Rabbrividì, non sapendo come interpretare quella novità, se avesse dovuto dare un termine al sentimento che provava, avrebbe detto che si sentiva violata.

Un paio di dita le schioccarono davanti agli occhi. – Ci sei? – chiese Dimitri – Sei pallida.

Lei annuì, ma James le prese il polso. – I battiti sono normali anche se fievoli. Forse hai la pressione bassa. Vuoi riposare?

Si voltò meccanicamente verso di lui. – Dov’è Jason?

– Dovrebbe essere giù a prendere un caffè con Will. – rispose Dimitri quando James si irrigidì di nuovo. – Ti è stato vicino ieri sera, ma doveva andare a prendere la moto che aveva lasciato a Breda e sono usciti. È rientrato qualche ora fa, ha controllato che tutto andasse bene, e poi è sceso.

Louisa annuì una volta, ancora confusa per la rivelazione sull’anello. – Vorrei vederlo. – aveva le orecchie che le fischiavano e la testa le girava. Jason poteva usare tutti i suoi poteri? Voleva chiederglielo.

James le coprì una mano con la sua, richiamando l’attenzione – Louisa?

– James, per favore. Devo parlarci. – sussurrò.

– Perché adesso? – chiese lui – Non puoi aspettare ancora qualche ora? Non vuoi mangiare qualcosa prima?

Louisa scosse la testa provocandosi un violento giramento. – No. Vorrei solo vederlo.

– Dovresti riposare ancora un po’. Rimetterti in forze.

– Ho dormito anche troppo. Jim, per favore.

Il sorriso di James si tirò leggermente, per poi rilassarsi in un sospiro stanco. – Odio quando mi chiami così. Non so mai se preoccuparmi o esserne felice. Quando combinavi qualcosa, da bambina, mi chiamavi sempre Jim.

Dimitri scoppiò a ridere e ricadde sul letto, sopra le gambe di Louisa. – Me lo ricordo. – disse lui con le lacrime agli occhi. – L’ultima volta che ti ha chiamato così aveva lavato tutti i tuoi appunti perché ci aveva versato sopra il caffè che ti aveva portato. Se non sbaglio c’era anche la lettera di…

James urlò qualcosa in una lingua che Louisa non riuscì a capire e Dimitri tornò serio improvvisamente, rispondendo nella stessa lingua.

– Che lettera? Cosa mi state nascondendo? – gli occhi di James si velarono per un istante e distolse lo sguardo, rifiutandosi di rispondere. – Non è importante, Louisa. Una cosa vecchia e superata. – si alzò e si diresse alla porta. Aveva le spalle curve e tremava più che mai.

– James?

– Vado a chiamarti Jason e a provvedere perché ti portino qualcosa da mangiare.

Come James sparì oltre la porta, Dimitri si accomodò sulla sedia, guardandola dolcemente. – Hai bisogno di qualcosa mentre aspetti Jason?

Louisa annuì. – Vorrei sapere che lettera ho rovinato. Non me lo ricordo.

Dimitri si passò una mano tra i capelli, arruffandoli più che mai. – Non ti preoccupare per la lettera. Rispetto agli appunti, non l’hai distrutta, è ancora tutta macchiata di caffè e con l’inchiostro sbavato, ma è al sicuro in un cassetto della stanza di James.

– Perché non lo posso sapere?

Il sorriso di Dimitri si spense. – Mi torturerai finché non lo saprai, vero? Non puoi semplicemente far finta di non aver sentito?

Louisa lo guardò storto e lui sospirò. – Come non detto. Ti dico una cosa, poi deciderai se vuoi che continui o no. Non riguarda me o te, è una cosa di James, solo sua. Riguarda la parte più intima dei suoi sentimenti. Fartelo raccontare da qualcun altro non è giusto nei suoi confronti e insistere perché lui te lo dica lo farà solo soffrire.

Louisa deglutì, la gola era secca e le guance arrossate. Insistere per sapere avrebbe fatto del male a James? Cosa c’era di sbagliato nel conoscere la verità?

– Dimitri senti, io…

– Dim. – la voce di James la raggelò e guardò la porta. James era sull’ingresso con un vassoio in mano e la guardava tristemente.

– James, – sussurrò, sicura che lui l’avrebbe sentita comunque. – Mi dispiace per prima, non avrei dovuto chiedere. Se non lo vuoi dire non importa.

Lui annuì e spostò le due infusioni che aveva sulla tavoletta del comodino accanto a letto, per poi poggiarci sopra il vassoio. – Penso che lo dovresti sapere invece. – disse lui dandole la schiena e aprendo le confezioni. – Almeno capiresti perché non sopporto Jason. – allungò verso di lei la tavoletta del comodino, con sopra il vassoio della colazione. C’era: una tazza di tè caldo e aromatico, fette biscottate e una bottiglia d’acqua. – Bevi piano, a piccoli sorsi. – le consigliò James aprendole la bottiglia. – Non hai nulla nello stomaco da più di due giorni. – Louisa obbedì, portandosi la bottiglia alle labbra. Come deglutì il primo sorso, l’acqua le invase lo stomaco, provocandole un forte crampo e un attacco di tosse convulsa. – Piano, – disse James togliendole la bottiglia dalle mani e spostandole i capelli dal viso. – Piano. – la cullò, aspettando che la tosse e i tremiti le passassero prima di restituirle la bottiglia.

– James, senti, la cosa della lettera…

Lui la interruppe con un gesto della mano. – Ci ho pensato. Ci penso da un bel po’, da molto prima che arrivasse Jason nella tua vita. Ci sono delle cose che non ti ho mai detto. E speravo di non dovertele dire mai. – si voltò verso Dimitri e sussurrò qualcosa in quella lingua che lei non conosceva. Lui annuì una volta e le diede un rapido bacio sulla fronte. – Sono felice di vedere che stai bene.

Louisa si voltò a guardare James, che fissava con occhi spenti la porta da cui era appena sparito Dimitri. – Che gli hai detto?

– Gli ho chiesto di andare via. Lui sa già tutto, ma non voglio che ascolti di nuovo, soprattutto una certa parte.

– E perché non potevo sentire quello che gli hai detto?

Alzò le spalle. – Ormai mi sono abituato a parlare in greco con lui. Mi ha detto che gli fa piacere sentire la sua lingua madre, – sorrise debolmente – Anche se per impararlo ho passato le pene dell’inferno. – si voltò di nuovo verso di Louisa. – Io racconto, tu, però, prova a mangiare qualcosa. – Louisa guardò il suo tè, sentendo lo stomaco fare le capriole.

Aveva fame, ma il violento attacco di tosse l’aveva messa sull’attenti. – Ti ricordi qualche anno fa? – iniziò James, quando lei bevve il primo sorso di tè. – Quando avevo appena compiuto diciannove anni e iniziavo a fare infermieristica? C’è stato un periodo in cui non davo molta retta né a te né a Dimitri.

– Me lo ricordo – rispose lei caustica. – Mi cacciavi fuori dalla tua stanza senza troppe cerimonie e mi lasciavi molto sola.

– Lo so. E mi dispiace. Ma quando iniziai a studiare con i Custodi, conobbi la figlia di uno dei ricercatori, aveva qualche anno più di me, ed era bellissima e intelligente. Mi affiancarono lei quando iniziai a studiare i farmaci. Mi aiutava come poteva, stava sveglia fino a tardi per insegnarmi la farmacocinetica, mostrandomi anche vari esperimenti che lei e suo padre facevano per aiutare Dimitri.

Stavamo sempre vicini e si instaurò un tale rapporto di complicità che non doveva più dirmi come muovermi nel laboratorio, potevo anticipare quello di cui aveva bisogno solo guardandola.

Fu in una di quelle sere, mentre eravamo soli nei laboratori, che capii di essermene innamorato. Eravamo stanchi e le molecole che stava studiando avevano appena dato dei risultati eccezionali. Un po’ per l’euforia, un po’, non lo so, – alzò gli occhi dal lenzuolo, rosso come Louisa non l’aveva mai visto. – Sta di fatto che ci baciammo. Anche se ero scosso, e sapevo che non dovevo, ne volevo ancora. Non riuscivo a fare a meno di stare con lei e di volerla, e lei, stranamente, mi ricambiava prendendomi per quello che ero e senza pretendere nulla.

– James hai…? – lui scosse violentemente la testa, interrompendo la sua domanda sul nascere.

– Nulla del genere. Mi accontentavo di averla vicina, anche se il desiderio mi lacerava l’anima e il solo sfiorarla mi faceva soffrire. Fu proprio in quel periodo che mi allontanai da voi. Non volevo che lo sapeste e mi vergognavo di essere così… – si interruppe, deglutendo vistosamente. – Così debole. Ero talmente tanto coinvolto che mi stavo dimenticando di te e Dimitri. Mi dicevo che i Custodi si prendevano cura di voi e che se Dimitri si fosse sentito male, ovviamente sarei corso da lui, ma per una volta, volevo essere egoista e godermi il contatto con la donna che amavo. – la guardò, con gli occhi rossi e lucidi. – Lo ammetto. Per lei avrei lasciato bruciare il mondo, avrei voltato le spalle a Dio e agli uomini e non mi sarei voltato indietro due volte.

Louisa posò la tazza sul vassoio con lo stomaco completamente chiuso. Ricordava James in quel periodo, non la voleva intorno, ma comunque era sorridente e abbastanza tranquillo, finché non vi fu un’esplosione nel laboratorio e lui cambiò radicalmente.

James era seduto in silenzio sul suo letto; sembrava vuoto, vulnerabile, completamente indifeso e spezzato a metà.

Istintivamente, gli accarezzò una guancia, ritraendo la mano quando la sentì umida. – James.

Lui si voltò dall’altra parte, dandole le spalle. – Poi ci fu quell’esplosione, quella ai laboratori di ricerca. Dodici dei nostri migliori ricercatori furono coinvolti nell’incidente, ma non mi importava nulla di loro. Mi importava di lei. Grazie al mio potere sullo Sheol la sentivo. Era ancora viva, anche se, se ne stava andando. Senza perdere tempo, la andai a cercare nel laboratorio distrutto. Me lo ricordo come se fosse ieri: l’odore di carta bruciata e le reazioni chimiche non mi permettevano di respirare e il calore mi bruciava la pelle. – si grattò il braccio, dove Louisa sapeva, aveva la cicatrice di un’ustione di cui non le aveva mai spiegato l’origine e ora capiva il perché. – I piccoli scoppi e gli incendi che i Custodi stavano domando, mi terrorizzavano, ma più che per me, ero spaventato per lei.

La trovai schiacciata sotto uno dei tavoli. E ci misi un minuto a capire che non potevo fare assolutamente nulla per aiutarla. La colonna vertebrale era spezzata e gli acidi le erano caduti addosso, aprendo piaghe che nessuno avrebbe mai potuto curare. – la voce gli si incrinò e Louisa lo vide sussultare. – Eppure mai, come in quel momento mi era sembrata tanto bella. Mi parlò dolcemente, dicendomi tutto quello che non mi aveva mai rivelato in quei mesi. Sussurrandomi tutti quei sentimenti che avevamo paura ad esprimere ad alta voce.

Morì con il mio nome sulle labbra, pregandomi di fare qualcosa che non potevo. Voleva che la conducessi io nello Sheol, che fossi io a recidere la sua anima e nessun altro. Sentii un gran freddo quando uno degli angeli del Sesto Cielo venne a prenderla. L’ultima cosa che mi aveva chiesto non ero riuscita a farla. Avevo permesso a qualcun altro di recidere la sua anima e giurai, che mai, mai più, avrei permesso che accadesse di nuovo. Non avrei più permesso agli angeli di toccare le persone a cui volevo bene, se fosse accaduto loro qualcosa, quel gesto l’avrei fatto io e non li avrei lasciati da soli nel momento della morte.

Quella stessa notte andai da Dimitri, gli raccontai tutto e gli promisi che se non avessimo trovato una cura, se fosse arrivato quel momento, avrei reciso io la sua anima e nessuno l’avrebbe toccato. Né Dio, né gli angeli, né i Grigori. Nessuno.

Louisa non si era nemmeno resa conto di aver iniziato a piangere finché una lacrima non le cadde sulla mano, ma anche se ci avesse provato, non sarebbe riuscita a smettere. Non aveva mai sospettato nulla.

Chiusa nel piccolo giardino che James e i Custodi avevano costruito per lei, non si era resa conto della gran sofferenza che provavano le persone che amava.

– Sai perché ti ho detto tutto questo? – chiese James asciugandole gli occhi con un dito.

Scosse la testa, soffocando un singhiozzo. – Per metterti in guardia. Amare è bellissimo e terribile. Non c’è nulla che riesca a farti sentire completo come la persona che ami, ma quando la perdi non c’è più nulla. Non c’è più colore, non ci sono né suoni né calore. Ti trascini avanti cercando una risposta che sai non arriverà mai.

Questo è il motivo per cui non sopporto Jason; è una di quelle persone che ti strappano il cuore dal petto anche se non vuoi. E nel momento in cui te lo spezzerà, non ti rimarrà altro che dolore. – le mise una mano sotto il mento, costringendola a guardarlo. – Ora è meglio se provi a finire di mangiare e ti riposi un po’, io andrò a dormire un paio d’ore. E se domani te la senti, torniamo a casa. – alzò gli occhi verso la porta. – Prima ho fatto davvero chiamare Jason. Tra poco sarà qui, se vuoi vederlo.

Louisa chiuse gli occhi, assorbendo la mole di informazioni che James le aveva dato. Erano passati sei anni, eppure per James quella era ancora una ferita sanguinante.

Si chiese cosa avrebbe fatto lei al posto del ragazzo. Cosa avrebbe sacrificato per la persona che amava?

Quella domanda le rimase sospesa nel cervello, senza trovare risposta. Per James e Dimitri avrebbe dato tutto quello che poteva, ma non avrebbe mai voltato le spalle alla sua missione per salvarli. Loro stessi glielo avrebbero impedito, lo sapeva.

Il materasso si abbassò di nuovo e lei riaprì gli occhi, lasciando andare quei pensieri dolorosi.

– Ciao. – Jason era seduto al suo fianco, guardando ipnotizzato il lento gocciolio della flebo collegata al suo braccio. – Will mi ha detto che è una flebo idratante. – disse picchiettando il deflussore con l’indice. Louisa annuì, guardando il punto di inserzione dell’ago, coperto dal cerotto trasparente. Lo sentiva quando piegava il braccio e le dava fastidio l’idea che l’avessero punta. Di nuovo.

– Non hai nulla da dirmi? – chiese Jason, prendendole il vassoio della colazione e dando un’occhiata sprezzante al suo tè, ormai tiepido.

– Puoi usare i miei poteri.

Sul viso di Jason si disegnò un sorriso. – Mi chiedo perché voi Sigilli non facciate mai domande. È così difficile dire: “Jason, è vero che sai usare i miei poteri?”

– Li sai usare o no? – strinse le braccia intorno al corpo, sentendo la propria voce assumere una sfumatura stridula e spezzata.

Jason le prese il polso e le rimise dritto il braccio. – Blocchi la flebo. – spiegò gentilmente in risposta al suo sguardo interrogativo. – E per rispondere alla tua domanda, pare di sì. Almeno posso usare l’anello come arma. A quanto pare, il controllo sull’acqua rimane una tua prerogativa.

Sbuffò. – Come se ce l’avessi.

I tratti di Jason si addolcirono leggermente. – Hai l’aria esausta. Dovresti riposare un po’.

– Smettete di dirmi tutti che devo riposare. Ho dormito per due giorni.

Lui prese in mano la tazza che conteneva la colazione di Louisa e l’annusò, scostandola di colpo, disgustato. – Cosa sarebbe?

– Un tè. Mai visto?

Rise. – Io so cos’è un tè, ma questa è acqua colorata che ha solo visto passare la bustina. Dovresti assaggiare quello che fa la madre di Will, è eccezionale, puoi sentire ogni sfumatura di sapore. Quando nevica, in casa loro c’è sempre il bollitore sulla stufa e una teiera pronta. Spesso senti l’odore di arancia, cannella e rum per i corridoi. – la voce nostalgica di Jason le diffuse un piacevole calore il tutto in corpo, rasserenandola con le sole parole. – Anche Will è parecchio bravo, in effetti, ma non come sua madre. Il giorno di Natale mi infilavo sempre a casa loro a ingozzarmi di biscotti e a bere il tè. Da bambino stavo lì fino a tarda sera a giocare con Will e Sophie e mi addormentavo davanti al camino o nel letto di Will. – soffocò una risata. – Anche se era un problema dormire con Will, visto i calci che mi tirava nel sonno.

Louisa si rilassò sui cuscini, annuendo sonnolenta. Jason parlava lentamente, lasciandole vivide immagini di cose buone e dolci in mente. Era fin troppo facile dimenticare le lacrime, con lui che sorrideva in quel modo. – Vuoi molto bene  a Will. Ti si disegna sempre una strana espressione quando parli di lui.

– Perché Will non mi ha mai dato motivo di dubitare di lui.

– E tu? – chiese Louisa. – Gli hai mai dato motivo di dubitare di te?

Jason si fece più vicino, chinandosi su lei, strofinando il naso contro la sua guancia. – Gliene ho dati fin troppi. – sussurrò.

Quello contatto le fece dimenticare il torpore e lo allontanò con una piccola spinta, rimettendosi seduta. – Non lo fare. – le parole tristi di James le ritornarono in mente, mettendola in allarme.

Jason alzò un sopraciglio. – Non fare cosa?

– Quello che stavi facendo. – rispose lei. Come aveva potuto lasciarsi andare in quel modo? Jason non era mai stato dolce con lei. E se lo faceva doveva esserci un secondo fine.

Lui alzò gli occhi al cielo. – Louisa, non stavo facendo niente di male. – strinse le mani sul lenzuolo fino a far sbiancare le nocche. – Comunque volevo dirti che forse dovresti imparare l’autodifesa. Almeno qualcosa di fondamentale. Non posso sempre tenere un occhio su di te e uno sui nemici. Mi farai ammazzare.

Incrociò le braccia. – Cosa vorresti dire?

– Che sei una palla al piede. – si alzò con le mani in tasca, lanciandole uno sguardo di fuoco.

– E chi dovrebbe insegnarmi? – aveva avuto ragione a voler allontanare Jason. Pochi secondi prima era dolce e gentile e ora era tornato ad essere freddo e irascibile. Non sapeva che strategia avesse in mente, ma non gli avrebbe permesso di farla star male.

Lui arrivò deliberatamente alla porta prima di guardarla da sopra la spalla. – Ti insegnerò io ovviamente.

 

Erano passati quattro giorni da quando Jason aveva parlato con Louisa nell’infermeria dell’Istituto di Brecht. Da allora aveva limitato le parole al minimo dell’educazione.

Non che avessero avuto l’occasione per parlare di più. Negli ultimi quattro giorni aveva passato le giornate a indagare su Annaliese e su dove fosse nell’Istituto e aveva anche fatto qualche domanda sulla madre di Louisa, ricevendo in risposta il nulla.

Parlare con i Custodi era come rivolgersi ad un muro di gomma. Un muro fin troppo maleducato perfino per i suoi gusti.

Ora era primo pomeriggio e sfogava la frustrazione nel giardino del chiostro, mentre aspettava che Louisa tornasse dai suoi misteriosi allenamenti.

– Stai cercando di farti venire una congestione? – Will era seduto su una panchina e sfogliava rapidamente un libro di anatomia, a tal punto, che Jason si chiese se lo stesse veramente studiando o stesse solo ammirando le immagini.

– Nessuna congestione. – era sudato dalla testa ai piedi e il vento freddo gli si insinuava sotto il kimono e la canottiera, facendolo rabbrividire. – Sto cercando di schiarirmi le idee.

Will chiuse il libro con un tonfo sordo e tirò fuori la PSP dalla tasca. – Non ti riesce molto bene, o sbaglio? Stai facendo Tai Chi come se avessi i piedi di piombo. Non ricordo che Fen ti avesse insegnato così.

Jason gli lanciò un’occhiataccia, da quando Will era un esperto di arti marziali? – Sono così terribile? – chiese fermandosi. L’amico lo squadrò dall’alto in basso, dicendogli chiaramente con lo sguardo: “lo sto notando io.”

Con un scrollata di spalle, abbandonò l’allenamento a metà. Il Tai Chi, avrebbe dovuto aiutarlo a liberare la mente, concentrandosi su un solo obbiettivo, ma aveva accumulato talmente tanta energia negativa da rendere inutili anche gli esercizi di rilassamento.  

Aveva bisogno di fare a botte con qualcuno. Ecco qual’era la verità. Voleva acchiappare un paio di Custodi e cozzare le loro teste finché non gli avessero detto tutto quello che voleva sapere. A cominciare dagli allenamenti di Louisa. Sospirò, suo padre avrebbe condannato un pensiero così poco filosofico. L’omicidio non faceva parte dello stile del kung fu, era un effetto collaterale. Un po’ come la nausea quando prendevi troppe medicine.

– Hai parlato con Louisa? – la voce di Will lo fece sobbalzare. – Almeno per la faccenda di Anna. Lei potrebbe dirti qualcosa di più.

Jason passò da un piede all’altro, Will non aveva nemmeno alzato la testa dal videogioco eppure gli leggeva dentro come se fosse un libro aperto. – Non parliamo molto. Quando torna è talmente tanto esausta da mangiare qualcosa e poi infilarsi in camera sua.

Will alzò gli occhi su di lui, e a giudicare dai sui occhi sgranati, doveva aver mandato a morire il personaggio del gioco per la sorpresa. – Da quando una porta chiusa ti ferma?

Jason ghignò. – Da quando non ho la più pallida idea di cosa fare. Vorrei prendere Louisa e scuoterla, ma dubito che servirebbe a qualcosa. E Anna, – si passò una mano tra i capelli, sentendo l’attaccatura umida per il sudore. – Ogni volta che mi addormento cerco un modo per parlarle, ma non ci riesco. È come se fosse sparita nel nulla. Oppure ci parlo, ma quando mi sveglio non ricordo niente.

Will tornò alla PSP, ricaricando lo schema dall’inizio. – Chiedere a James costa fatica?

– Non chiederò nulla a James, nemmeno un’aspirina. Neanche se fossi in punto di morte. – l’amico annuì, muovendo le dita talmente tanto velocemente sul tastierino da risultare quasi sfuocate. – Quindi resterai qui, girando come un leone in gabbia, senza sfogare la frustrazione. Quando esplodi, chiamami. Voglio vedere la scena.

Jason si lasciò cadere pesantemente sulla panchina. – A quanto pare, i miei modi di sfogarmi sono contrari alla morale dell’Istituto.

– O contrari alla morale di una piccoletta castana?

– Lei non c’entra. È questo posto che mi fa incazzare. – mostrò i denti al suolo. Will sapeva sempre dove andare a colpire, mostrandogli le verità che lui si rifiutava di vedere. Il fatto che gli dicesse le cose senza riserve lo rendeva la miglior persona con cui sfogarsi, e anche quella da cui farsi prendere a calci quando serviva.

Gli diceva le cose come stavano senza indorare la pillola.

– Vallo a raccontare a qualcuno che non ti conosce. – disse tranquillamente Will. – Sei uno stronzo Jason, ma raramente ti ho visto in condizioni del genere. Ti sei perfino messo il kimono e non la solita tuta e maglietta, come se volessi mostrare a tutti cosa sai fare. Cosa vuoi ottenere?

Jason si irrigidì. Il suo modo di combattere non lo sbandierava ai quattro venti e, a parte per qualche gara, raramente metteva il kimono. – Vorrei che si fidasse di me.

– Da quando vi siete conosciuti non le hai dato molte possibilità di potersi fidare di te.

– Salvarle la vita non è sufficiente?

Will scosse la testa continuando a giocare. – Non quando la tua è legata alla sua.

La risposta di Jason gli morì sulle labbra quando vide uno dei piccoli kart elettrici fermarsi nel chiostro per far scendere Louisa.

Si immobilizzò quando la mano della ragazza ricadere inerte lungo il fianco dopo aver salutato il Custode.

Silenziosamente, si avvicinò, cercando di cogliere l’espressione che aveva Louisa in volto. Si copriva con un mano l’avambraccio sinistro e aveva lo sguardo perso nel vuoto. – Ciao. – disse prendendola alle spalle e facendola sobbalzare.

– Jason! – Louisa si voltò, con una mano che si massaggiava il petto. – Che stai facendo? E cos’hai addosso? – guardò incuriosita il suo kimono, tastando leggermente la rigida stoffa di cotone.

– Si chiama kimono. Serve a praticare quell’arte che tu ti rifiuti ostinatamente di imparare. – le scostò il braccio, afferrandole il polso per tirarla a sé, ma si fermò quando vide una fitta di dolore attraversale il viso. – Che ti sei fatta?

– Niente. – risposte lei senza guardarlo negli occhi. – Una botta. Mi verrà fuori un livido e poi tutto tornerà normale.

Jason non le credette nemmeno per un secondo e la immobilizzò con pochi, rapidi gesti contro una colonna, per poi tirarle su la manica fino al gomito.

L’avambraccio di Louisa era arrossato, gonfio e molto caldo e come lui lo sfiorava, la ragazza si mordeva il labbro inferiore. – Will! – chiamò a gran voce, facendosi sentire in tutto il chiostro. – Potresti venire un attimo?

– Non ce n’è bisogno! – sibilò Louisa, dibattendosi nella sua presa. – È solo una botta.

– E da quando, le botte hanno un punto più rosso e gonfio rispetto al resto? Non prendermi per il culo Louisa, conosco gli ematomi e i lividi. E questo non è né l’uno, né l’altro.

Come Will fu al suo fianco, si spostò di un paio di centimetri per permettergli di esaminare il braccio, con Louisa che ogni tanto lo strattonava leggermente cercando di ritrarsi.

Will studiò il braccio della ragazza per un paio di minuti, palpando leggermente la pelle tesa e risalendo lentamente la linea azzurra e dura della vena, per poi tornare a quel piccolo puntino rosso e gonfio che Jason aveva individuato. – Will, smetti per favore. Mi fai male. – la voce di Louisa era incrinata e Jason non seppe dire se per il dolore o per la rabbia per essere stata messa all’angolo così facilmente.

– Sai come devi prendertene cura? – chiese Will guardando la ragazza. Gli occhi grigi dell’amico erano scuri e tempestosi, come se lui stesse trattenendo una gran rabbia.

Louisa annuì. – Mi hanno dato una pomata da metterci sopra e mi hanno consigliato di fare degli impacchi freddi.

– Pomata? – ripeté Will a denti stretti. Non c’era alcun dubbio, Will stava trattenendo la rabbia. Analizzava il braccio di Louisa con fredda determinazione, una volta finita la diagnosi si sarebbe scagliato contro chi le aveva provocato un braccio del genere.

– Antiinfiammatoria. Non ricordo il nome, ne ho un tubetto in camera.

Gli occhi di Will divennero freddi come l’acciaio e per un istante, Jason sentì l’istinto di mettersi tra Louisa e il giovane. – Ti è già capitato altre volte?

La ragazza annuì di nuovo e quando strattonò il braccio, Will la lasciò andare con un sospiro. – Meglio se vai subito a medicarti, allora. – Jason guardò prima lui e poi Louisa, per poi tornare su Will, che gli fece cenno di lasciarla andare.

Con un passo indietro consentì a Louisa di scivolare via, rimanendo solo con Will.

– A che gioco stai giocando? – chiese quando Louisa non fu più a portata di orecchio. – Quella non era una botta e tu lo sai.

Lo sguardo di Will lo congelò sul posto. Lo aveva visto solo un’altra volta in condizioni simili. La mascella era serrata, la carotide batteva nitida tra muscoli del collo contratti e negli occhi aveva una luce omicida, fredda e lontana. – No, infatti. – spiegò a denti stretti. – Quella era una flebite. Un’infiammazione della vena. E tre cose possono provocare una flebite: l’attrito continuo di un ago contro la parete delle vene, farmaci molto irritanti e tossine batteriche. O tutte e tre insieme.

– Cosa vuoi fare, Will? – chiese Jason, quando l’amico si diresse a grandi passi verso l’ingresso del chiostro.

– Voglio scoprire cosa le hanno dato. Ora basta giocare ai bravi bambini che aspettano e sperano. Da domani tu alleni Louisa. E se lei non ci sta, imponiti. Io vado a dimostrare cosa vuol dire farmi incazzare.

 

Louisa uscì dal bagno con già il pigiama azzurro addosso. Si guardò il braccio allo specchio, messo sopra il comò, prima di medicarsi: era quasi il doppio dell’altro, come aveva potuto pensare di nasconderlo anche solo per pochi giorni?

Prese dal primo cassetto la pomata e le bende che le avevano dato due mesi prima.

Era quasi finita e presto avrebbe dovuto chiederne un’altra a Isaiah. Per buona norma controllò anche le altre medicine che i Custodi le avevano detto di prendere: gli antinausea erano meno della metà e i sonniferi, giacevano sul fondo. Sperava di dimenticarsi dell’esistenza di quelle medicine; quando aveva raccontato dei suoi incubi a Isaiah, lui si era limitato a passarle delle pillole, raccomandandole di prenderle prima di dormire.

Lei lo aveva ascoltato diligentemente per più di un mese, sperando che gli incubi passassero, invece erano solo peggiorati, mentre lei, faceva solo più fatica a risvegliarsi e rimaneva intontita durante il giorno, non riuscendo a mettere un passo dietro l’altro, con il mondo che girava costantemente.

Alla fine aveva smesso di assumere sonniferi, rimanendo sveglia fino a tarda notte, troppo spaventata da quello che vedeva per prendere sonno e troppo nauseata dagli effetti collaterali dei medicinali per prenderli.

– Hai bisogno di una mano? – la voce di Jason la fece sobbalzare e chiuse seccamente il cassetto prima che lui potesse vedere le medicine.

– Per fare cosa? – chiese premendo il tubetto sul braccio leso. Le faceva male anche solo sfiorarlo e di muovere le dita per svitare il tappo, non se ne parlava.

Jason si avvicinò, togliendole di mano il medicinale senza tanti complimenti. – Faccio io. – spremette l’antiinfiammatorio sulla pelle arrossata e Louisa sospirò, sentendo la pomata rinfrescarla.

Jason gliela spalmò in silenzio con delicati gesti circolari e la avvolse nelle bende che Louisa aveva lasciato sopra il comò. – Dobbiamo parlare. – disse Jason una volta finita la medicazione. – Seriamente.

Lo guardò, muovendo leggermente le dita. Il braccio le faceva già meno male e gli sorrise, rassicurata. – Te la cavi bene con le fasciature.

– Sono uno che impara in fretta. Il padre di Will mi aveva insegnato a farle quando avevo dodici anni. – la costrinse a sedere sul letto con entrambe le mani sulle spalle.

Non le piaceva come si stava comportando Jason. Dopo Breda era un po’ cambiato, meno sarcastico e incline a farle battute pesanti, ma la pressava costantemente e sentiva il suo sguardo addosso ogni volta che si muoveva. Si chiese di nuovo, se per caso lui non si sentisse in colpa per quello che le aveva detto in moto.

Lei non l’aveva del tutto perdonato, quelle insinuazioni e il suo tono, l’avevano ferita profondamente e lo evitava quanto poteva, non volendo più parlarne.

Era fiera di quello che era, ma ciò che aveva provato sull’albero l’aveva scombussolata, aprendola verso degli istinti che si augurava di non provare più. E Jason, con la sua vicinanza, non l’aiutava per niente.

– Louisa, – Jason le parlò sottovoce, scostandole i capelli dal collo e si sedette accanto a lei. – Dovresti allenarti con me. Posso insegnarti delle tecniche di autodifesa, come sbilanciare l’avversario, come usare la loro forza a tuo vantaggio, posso insegnarti ad essere più veloce e forte. – Louisa sentì un brivido scorrerle lungo la schiena. La voce di Jason era dolce, lenta e le solleticava l’orecchio.

– Jason, smettila.

– No.

– No?

– Non smetterò finché non mi dirai di sì, non è difficile. Sono due lettere, una sillaba. Allenati con me. – le sistemò i capelli dietro l’orecchio e si avvicinò fino a sfiorarla con le labbra. – Dì di sì.

Louisa si scostò, guardandolo male. Non capiva a cosa stesse mirando, ma non gli avrebbe permesso di giocare con lei. – Non ti dirò di sì. Non dirò di sì ad un imbecille come te.

Gli angoli della bocca di Jason si storsero e si fece più vicino, mentre lei si ritirava verso i cuscini, mettendo spazio tra loro. – Imbecille, dici? Era una bella offesa ai tempi dell’asilo.

– Sei…sei…

Lui si avvicinò di nuovo, accorciando gli spazi, finché non si sfiorarono di nuovo. – Cosa sono?

– Egocentrico.

– Ego–cosa? Sul serio Louisa, non sai fare di meglio? – la scorreva pigramente con lo sguardo, come un predatore a caccia.

– Smettila.

– Dimmi di sì e io la smetto. Te lo giuro.

Louisa scosse violentemente la testa. – Non ti dirò di sì! Non finché ti diverti a giocare con me!

Lo vide cambiare espressione lentamente: il sorrise si spense, sostituito dallo shock e poi dalla rabbia. La afferrò per i polsi e la spinse contro il materasso, inchiodandola con il suo corpo. – Credi davvero che sia un gioco? Pensi che ti stia trattando come un giocattolo? – i suoi occhi azzurri la trapassarono con lo sguardo. – Non hai idea di cosa voglia dire: essere trattati come un giocattolo. – prima che lei potesse rispondere qualsiasi cosa, calò su lei.

Leggendo, Louisa aveva immaginato i baci in mille modi diversi, ma mai così. Jason era furioso, e la sua rabbia si trasmetteva alle terminazioni nervose delle labbra. Ogni possibile protesta, soffocò sul nascere, sul fondo della gola, quando lui prese completamente possesso della sua bocca con la lingua.

Mai, in tutta la sua vita, era stata così consapevole del suo corpo premuto contro quello del ragazzo. Le dita di Jason si intrecciarono tra le sue, stringendola saldamente, e lui modificò il peso del corpo smettendo di schiacciarle l’addome, ma la pressione della bocca non accennò a diminuire.

Sembrava quasi che volesse strapparle ogni singolo respiro che potesse aver mai avuto. Era crudele, rude. E lei non si era mai sentita tanto viva. Incontrò la lingua di Jason con la propria nel momento stesso cui smise di pensare, rispondendo a quel contatto con tutti i sentimenti contrastanti che provava per lui.

Voleva dimostrargli che anche lei poteva fargli male come lui gliene stava facendo. Voleva farlo sentire vivo come si sentiva lei.

Una mano del ragazzo si mosse, accarezzandole il braccio sano per poi scendere, fino a fermarsi sul fianco. Le scostò piano la maglia del pigiama, passando un dito intorno alla pelle esposta all’ombelico, per poi spostarsi lentamente alla schiena, attirandola a sé e mettendo entrambi in ginocchio sul materasso. Louisa lo lasciò fare, affidandosi alla sua esperienza e chiuse la mano libera sui suoi capelli fini e serici, impedendogli di lasciarla andare.

Jason le percorse la colonna vertebrale con due dita, dall’attaccatura dei capelli fino all’orlo dei pantaloni del pigiama, scatenandole un’ondata di brividi che si diffuse in tutto il corpo. Con un gemito soddisfatto, Jason insinuò la mano oltre la vita dei pantaloni di Louisa afferrandole saldamente i fianchi, attirandola più vicino.

Sentendo la mano di Jason sul fianco esposto, si irrigidì, scacciandolo malamente, tornando in se stessa.

– Hey. – disse Jason ancora sulle sue labbra. – Ehm, cosa stavamo dicendo?

Lo colpì con un forte schiaffo, facendogli voltare la testa e stampandogli il segno di cinque dita in viso.

– Che ti è preso? – chiese lui con gli occhi sgranati, massaggiandosi la guancia. Velocemente Louisa saltò giù dal letto, con la schiena contro il comò. – Sei la più grande testa di cazzo di questo mondo! – afferrò il primo oggetto che le capitò in mano e glielo tirò.

Jason lo evitò, piegando leggermente la testa di lato, ma i suoi occhi non si schiodarono la lei. – Allora le sai dire le parolacce. Se sapevo che per sentirle dovevo baciarti, l’avrei fatto prima.

– Sei un coglione! Un bastardo! Un lurido, schifoso…

– Louisa. – la ammonì Jason, incrociando le braccia al petto. – Non tentare troppo la sorte. Capisco che ora il tuo, ehm, vocabolario si sia ampliato e che tu voglia provare nuove parole, ma ti consiglio di fermarti, o ti bacerò di nuovo solo per farti stare zitta.

– Tu. – iniziò lei, facendo attenzione a scandire bene le parole. – Non. Mi. Bacerai. Mai. Più. – provava qualcosa che andava oltre la rabbia. Voleva saltargli addosso e picchiare ogni singolo centimetro a cui avrebbe potuto arrivare.

Voleva fargli incredibilmente male. Era consapevole di tremare, da capo a piedi per la furia, e si costrinse a rimanere immobile, anche se il suo unico desiderio era ridurre Jason ad un ammasso sanguinante.

Lui le lanciò un’occhiata strafottente e si guardò le unghie. – Sai che le cose si fanno in due, vero? E l’ultima volta che ho controllato la tua lingua stava nella mia bocca. E non mi sembrava che ti dispiacesse. – quel suo gelido controllo, la fece scattare. Come si permetteva di starsene così rilassato, quando lei voleva solo rompergli qualche osso?

Saltò sul letto e fece per tirargli un pugno, che lui intercettò con una mano e le rigirò il braccio, inchiodandoglielo dietro la schiena. La afferrò per il collo, tirandola verso di lui. – Se tu prendessi lezioni da me, ora sapresti come uscire da questa incresciosa situazione. – le sue labbra si mossero a pochi millimetri dal suo orecchio. Louisa gli artigliò la mano, graffiandolo più ferocemente che poteva. Vedeva rosso e non pensava ad altro che a picchiarlo per quello che era appena successo tra loro due.

Le lacrime le scorsero sul viso, mentre scalciava e si dibatteva, cercando di scrollarsi Jason di dosso. – Ti odio! E se potessi, ti strapperei il braccio! E la lingua! – scavò più profondamente nella mano di Jason, che la lasciò andare, spingendola malamente sul letto.

Louisa si rialzò e gli ringhiò contro quando lui saltò giù dal letto, guardandosi sconcertato la mano sanguinante. – Che ti prende? – senza rispondergli Louisa lo attaccò di nuovo. Non le importava dove colpire, voleva vedere ancora il sangue di Jason scorrere. Lui la sbatté a terra, con un colpo a mano aperta e agganciandole una caviglia con il piede, le fece lo sgambetto. – Posso sapere cos’hai? – chiese di nuovo lui, tenendola ferma con un ginocchio sul petto. Lei cercò di spingerlo via, mentre gli ringhiava e digrignava i denti.

– Senti, – disse Jason con un sospiro stanco. – Sembri la bambina dell’Esorcista. Perché non mi dici perché sei così incazzata? Almeno so perché mi stai ringhiando addosso come un animale ferito.

– Ti ammazzo.

– Questo mi pareva che lo avessimo appurato, ma il fatto che te lo lasci fare, beh, è un altro discorso.

Jason la lasciò andare e Louisa si scagliò di nuovo contro di lui. La spinse contro il muro, schiacciandola con il suo corpo, impedendole di nuovo di muoversi. – Vuoi ferirmi? Provaci, ma non ti lascio andare. Cosa ti ha fatto arrabbiare tanto, Louisa? Il fatto che ti abbia baciata? O il fatto che ti sia piaciuto? Perché non puoi mentirmi, so che ti è piaciuto.

Ogni parola di Jason la faceva arrabbiare sempre di più. Voleva vederlo morire, e voleva essere lei a farlo. Districò un braccio dalla sua presa e lo afferrò alla gola stingendo forte, ribaltò la situazione e lo spinse contro la porta.

Jason la lasciò fare, sollevando il mento per mettere a nudo il collo.

Strinse ancora di più, mentre Jason la teneva stretta a lui con una mano chiusa sul suo polso e l’altra sulla schiena. Si fissarono in silenzio per alcuni secondi, con lui che batteva lentamente gli occhi e respirava a bocca aperta e Louisa che sentiva il suo pomo d’Adamo che si alzava e si abbassava contro la mano. Se avesse stretto ancora, poteva ucciderlo. E una volta morto…

Scosse la testa, liberandosi da quel pensiero ossessivo. Lo lasciò andare e cercò di liberarsi della sua presa, spaventata. – Lasciami! – Jason obbedì e Louisa arretrò, mettendo diversi metri tra di loro. Si fissava la mano e tremava talmente tanto da battere i denti. Cosa diamine stava facendo? Era arrivata quasi al punto di ucciderlo. E lei aveva desiderato ucciderlo. Per cosa? Non lo sapeva. Il bacio? Era furiosa per quello, ma non fino al punto da voler uccidere una persona.

Cadde in avanti quando la stanza ondeggiò violentemente. Il braccio sinistro, dove aveva il Marchio, era in fiamme.

Ansimava e le bruciavano i polmoni, mentre la guancia era premuta contro il pavimento e un leggero velo di sudore la ricoprì velocemente, congelandola.

Era svuotata. Talmente tanto esausta che solo l’idea di muoversi le faceva venire la nausea. Era meglio rimanere là, stesa sul pavimento a riposare, piuttosto che arrischiarsi a strisciare fino al letto.

Qualcuno la voltò e le passò una mano sotto le spalle e sotto le ginocchia, tirandola su. Era inerte, completamente alla mercé della persona che l’aveva presa in braccio.

– Mi fai sempre preoccupare. – la voce le arrivò distante, come se provenisse dal fondo di un corridoio e lei socchiuse gli occhi. Jason l’aveva stesa sul letto e le stava rimboccando il lenzuolo. – Sono stanchissima.

– Lo immagino. Cercare di uccidermi è qualcosa che fa consumare molte energie, ma credo che anche la tua Ira ci abbia messo del suo. – le accarezzò il braccio. E Louisa si voltò verso di lui, cercando di capire a cosa si stesse riferendo. Una piccola parte del Marchio era stata sostituita da una cicatrice più fine e discreta, come quella che Jason aveva sul petto. Ricordò qualcosa che le aveva detto Isaiah. Qualcosa che aveva a che fare con i peccati capitali e delle prove, ma come cercava di mettere a fuoco il pensiero, quello sfuggiva.

– Dormi, Louisa. – chiuse gli occhi, con Jason che ancora la accarezzava dolcemente e sentì le sue labbra posarsi sull’incavo del collo. L’ultima cosa che sentì furono le braccia del  ragazzo che l’avvolsero dolcemente e il petto che le faceva da cuscino.

 

Will sfogliava lentamente le pagine della cartella clinica di Annaliese seduto sulla panchina del chiostro, a godersi le ultime giornate di sole di settembre. L’aveva ottenuta senza troppi problemi da un Custode chiamato Malcom, e questa cosa lo stupiva non poco. Gli era bastato semplicemente chiedere, Malcom lo aveva squadrato qualche secondo, gli aveva fatto un paio di domande e poi gli aveva allungato quei dati con un piccolo sorriso.

Nella cartella c’era tutto quello che sapevano della ragazza, dalla sua storia personale alla sua anamnesi. Era nata a Philadelphia e il padre era un ufficiale dell’esercito di istanza in Medio Oriente. Cinque anni prima in Israele, esplose un’auto lungo la strada, uccidendo nove persone, tra cui anche il padre di Anna, e la ragazza finì in coma.

In allegato alla cartella, c’era anche il rapporto scritto da Malcom che era andato a recuperare la ragazza ad Ashdod. Conteneva tutte le informazioni che l’uomo  che riuscito a recuperare sull’auto esplosa e sulle persone coinvolte.

Confrontò i dati clinici di allora con quelli dell’altro ieri inseriti nella cartella. Aveva avuto qualche linea febbrile tre giorni prima, ma per il resto Annaliese stava bene.

A parte il fatto che era in coma e che non si era ancora svegliata.

Will girò pagina, prendendo dalla cartellina trasparente i tracciati degli elettrocardiogrammi per poi esaminarli uno a uno. Sospirò, non trovando alcun nesso logico.

Dal rapporto di Malcom, Anna non era stata direttamente coinvolta nell’esplosione, si trovava in una gelateria dall’altra parte della strada e secondo dei testimoni, quando si era corsa tra i feriti e i cadaveri, nella confusione successiva all’esplosione, era semplicemente caduta a terra incosciente.

Prese di nuovo in mano il primo referto, quello compilato nel pronto soccorso di Ashdod e controllò meticolosamente i risultati dei primi accertamenti. Niente. Non c’era nulla fuori posto: un parametro del sangue che fosse alterato, una TAC che evidenziasse traumi o emorragie. Sembrava quasi che il cervello di Anna  avesse chiuso i battenti improvvisamente e si fosse rifiutato di riaprirli.

– Una persona non finisce in coma per nulla! – lanciò la cartella clinica sull’erba, con l’amaro in bocca.

Si pentì immediatamente per quello scoppio di rabbia, ma la patologia di Anna era un puzzle senza via d’uscita, e per la prima volta, le sue conoscenze e i suoi libri di medicina non gli vennero in aiuto.

– Will? – la voce calda e musicale di Louisa gli fecero alzare lo sguardo. – Ci sono problemi? – Louisa si fermò a raccogliere la cartella clinica di Anna e quando lesse il nome sull’intestazione le sue labbra formarono una piccola e dolcissima ‘o’.

Will si alzò alla svelta e le tolse la cartella dalle mani con un piccolo sorriso: credeva fermamente nella privacy dei pazienti e non era del tutto sicuro che Louisa conoscesse la storia di Anna.

– Scusa, – disse spolverando la costa della cartella con una mano. – La frustrazione.

Louisa corrugò la fronte, ma non cercò di riprenderla. – Perché hai dei documenti di Anna?

– Studio. – alzò le spalle e tornò a sedersi sulla panchina. – Più o meno. James mi ha detto di Anna e volevo saperne di più. – le fece cenno di sedersi accanto a lui e Louisa obbedì prontamente, mettendosi comoda.

– Solo curiosità?

– Volevo vedere se era stato fatto tutto il possibile, ma non c’è nulla di anormale nelle sue terapie. Sono perfette.

Louisa scosse la testa. – I medici dell’Istituto sono alcuni dei migliori. Non capisco.

– Ogni tanto ho dei deliri di onnipotenza. Credo di poter fare tutto. – gli spuntò un sorriso allo sguardo sorpreso di Louisa. – Scherzi a parte, volevo veramente sapere di Anna. Una quindicenne in coma da cinque anni, – scosse la testa, la situazione era terribile. – Non ci sono parole per descrivere un orrore simile.

Louisa annuì e fissò le aiuole davanti loro. – Quando è arrivata qui, pensavo che si sarebbe svegliata presto, che i medici avrebbero fatto qualcosa. Ogni giorni decine e decine di persone entravano e uscivano dalla sua stanza, portando documenti, medicinali, idee. Poi pian piano i medici sono sempre più calati e ora ci vanno solo gli infermieri per darle le terapie e cambiarle posizione.

Will si irrigidì sentendo quelle parole, sembrava quasi che si fossero arresi alle possibilità di un risveglio. – Louisa? – chiamò, dominando la rabbia. – Posso vederla?

– Non lo so. Penso di sì. Dovresti chiedere a James. Si occupa principalmente lui di Anna.

Will tornò a pensare alla ragazzina. I dati continuavano a balzargli in mente e li collegò più e più volte tra loro, ma gli mancava sempre qualcosa. Il motivo. Anna era caduta in coma dopo l’esplosione, non aveva sbattuto la testa e dalla TAC immediata e da quella a ventiquattro ore non c’erano segni di danni cerebrali.

Passò una mano sugli occhi, cercando di focalizzare la situazione e ricominciò da zero, dimenticandosi di tutto il resto.

Si sentì scuotere il braccio. Louisa lo chiamava insistentemente e lui non se n’era neanche accorto. – Scusa. Quando penso intensamente a qualcosa mi isolo. Cosa hai detto?

– Ti ho chiesto: come fai a sopportare Jason?

Il cipiglio di Louisa lo fece scoppiare a ridere e per un po’ mise da parte il caso di Anna, sentendo che la ragazza aveva bisogno di parlare. – Jason non è cattivo.

– Parla per te. – incrociò le braccia al petto. – Lui ti tratta abbastanza bene.

– Dicevo: Jason non è cattivo. Il suo modo di fare è così. È diretto fino all’esasperazione e, a volte, è anche un po’ invadente, ma farebbe di tutto per le persone a cui vuole bene. – poggiò il mento sulla mano, non sicuro di essere stato abbastanza chiaro. – Cosa ha fatto per farti arrabbiare? Lo posso sapere?

Louisa avvampò talmente tanto che lui sentì il calore provenire a ondate dal suo viso. – Lui, – cominciò lei torcendosi le mani in grembo. – Lui si è comportato come un vero idiota. Ecco.

– Idiota. – ripeté Will. – Nel senso che ti ha offeso e trattato male?

Louisa annuì. – Mi ha baciato.

Lo disse con una tale aria disgustata e arrabbiata, che Will dovette trattenersi per non ridere e prenderla un po’ in giro. – E la cosa non ti è andata giù, vero?

– Ovvio che no! – Louisa saltò in piedi, iniziando a camminare avanti e indietro a lunghi passi. – Ma come si è permesso? Lui sapeva che non doveva farlo! Voglio dire è stato irrispettoso! Maleducato! – Will la lasciò sfogare senza interromperla, più di qualche volta aveva assistito a sfoghi del genere da parte di Sophie e sapeva che aprire bocca era pericoloso. – Non avrebbe dovuto entrare in camera mia tanto per cominciare! Avrebbe dovuto chiedere permesso! Bussare! – si fermò di colpo e si sfiorò le labbra. – Era il mio primo bacio. – sussurrò.

A quelle parole si alzò e la circondò in un abbraccio. Voleva trasmetterle che lui le era vicino e che poteva confidarsi, ma non le avrebbe permesso di giudicare Jason senza conoscerlo come lo conosceva lui.

Jason gli aveva raccontato tutto di Louisa e sapeva che non le avrebbe mai fatto una cosa del genere senza un motivo valido. E di motivi gliene veniva in mente solo uno.

– Shhh. Calmati. – le accarezzò piano i capelli. – Come avrai notato, Jason ha un pessimo carattere. Lui non fa amicizia con le persone. Le sceglie, si impone, a volte in maniera parecchio brusca, ma fidati quando ti dico che Jason è la miglior persona che io abbia mai incontrato. Il suo modo di voler bene agli altri è totale. Non le tradirà mai e farà di tutto per renderle felici. Non conosce  mezze misure. E questo è il suo pregio e difetto più grande, perché non ha riserve; quando viene ferito, poi distrugge tutti i sentimenti che prova, facendo del male anche agli altri se necessario.

– Cosa stai cercando di dirmi? – lei si scostò per guardarlo dritto negli occhi.

– Di non giudicarlo come un stronzo perché ti ha baciato. Ci sono cose che non sai di lui, cose che non ama raccontare. Jason è venuto in tuo soccorso molte volte, non ti ha mai lasciato indietro e ha detto chiaramente a James di smetterla di cercare di proteggerti dal mondo intero. Ti vuole bene in qualche modo, ma non lo te lo dirà mai. Quel bacio, so che può averti fatto infuriare, lo sarei stato anche io, ma si è fatto molto più male lui di te. Dovreste cercare di chiarirvi. Quando ti ha baciato?

– Ieri. Credo. – Louisa scosse la testa. – Non lo so. Ero così arrabbiata. Sono sicura di avergli dato almeno uno schiaffo, poi non ricordo bene cosa sia successo. Mi sono svegliata un’ora fa nel mio letto.

– E non vi siete più parlati da, ehm, il fattaccio?

– Non c’era. Quando sono uscita a cercarlo ho incontrato te che lanciavi le carte. Se lo vedi lo mandi da me? – si mosse a disagio tra le sua braccia. – Ho il vago ricordo di averlo preso per il collo. – Will la squadrò incuriosito. Cos’era successo tra quei due?

Quella mattina non aveva parlato con Jason. L’amico l‘aveva appena salutato mormorando qualcosa che assomigliava a ‘un allenamento impellente’.

Non aveva aggiunto altro ed era scomparso dietro l’angolo prima che lui potesse ribattere qualcosa. – Ora non ti preoccupare per lui. Quando vorrà parlare salterà fuori. – si voltò bruscamente sentendo il suono del clacson del kart elettrico e Louisa tremò violentemente tra le sue braccia. – Ora dovrei andare. Gli allenamenti. – disse lei ritraendosi. Will la lasciò scivolare via, anche se era tentato di fermarla. – Se vedi Jason… – iniziò lei, ma poi scosse la testa. – Glielo dico io stasera.

– Louisa. – la chiamò Will. – Un’ultima cosa. – Non erano affari suoi, ma doveva sapere cosa stesse provando l’amico.

– Dimmi.

– Il bacio. So che era il tuo primo bacio, ma puoi dirmi com’era? Era affrettato, superficiale, veloce?

Le guance di Louisa si colorarono di nuovo e abbassò gli occhi. – No. Era profondo e, – si torturò un’unghia per qualche secondo. – Arrabbiato, direi.

Non richiamò la ragazza quando lei si voltò e corse verso il kart.

Si sentiva come se avesse ricevuto una botta in testa. – Cosa stai combinando, Jason?

 

Erano le due del mattino e Jason non riusciva a prendere sonno. Stava seduto sul letto, con le spalle contro la testiera, continuando a leggere nonostante il mal di testa.

Guardò istintivamente la finestra quando sentì un tuono più vicino dei precedenti. Quel temporale improvviso lo aveva costretto a scendere dalla torre dell’orologio su cui era salito quella mattina per allenarsi e pensare in solitudine.

Non avrebbe dovuto baciare Louisa, ma quelle labbra che lo sfidavano ogni volta che lei parlava, lo tentavano costantemente. E quando Louisa aveva insinuato che lui stesse giocando, non ci aveva visto più. Voleva dimostrarle che lui non stava affatto giocando, che Louisa era importante e che la voleva. Chiuse gli occhi, ricordando il sapore delle sue labbra. Era probabile che Louisa non si rendesse neanche conto dell’effetto che gli aveva fatto, soprattutto quando aveva risposto e si era lasciata andare.

Scacciò il pensiero e tornò a leggere, cercando di concentrare ogni cellula della sua materia grigia sul libro di Ken Follett che aveva tra le mani.

Rilesse la stessa riga per cinque volte consecutive e alla fine rinunciò, lasciandolo cadere sul letto, esasperato. Come poteva Louisa distrarlo perfino da un buon libro, lo sapeva solo lei.

Qualche ora prima, la ragazza era entrata in camera sua e gli aveva detto che accettava la sua offerta di allenarla, se era ancora valida.

Da allora, a intervalli regolari, non aveva fatto altro che mettersi a progettare lezioni e recuperare tutte le nozioni di base, che per lui ormai erano istintive, e  pensare a come trasmettergliele.

Sentendo un rumore si volse verso la porta e notò una luce provenire dalla fessura sotto di essa. Incuriosito, mise gli occhiali da riposo sul comodino e andò a controllare.

Louisa stava seduta sul divano con le ginocchia contro il petto e guardava intensamente la televisione.

– Cosa ci fai sveglia? Domani mattina dobbiamo alzarci presto.

Gli occhi grigi di Louisa erano enormi e sgranati quando si posarono su di lui. – Non riesco a dormire. Il temporale. – si strinse un po’ di più le ginocchia contro il petto e tornò a dedicarsi al programma.

Jason si sedette accanto a lei, resistendo alla voglia toccarla. – Hai paura dei temporali?

Louisa annuì senza distogliere lo sguardo dal documentario. – Non mi piacciono i rumori troppo forti e improvvisi.

La guardò per qualche secondo. A quel che ricordava dal Mondo dei Sogni, Louisa adorava i temporali, si metteva sempre fuori o si sedeva sulla finestra ad osservarli.

Jason batté le mani tra di loro e Louisa lo fissò stupefatta. – Cosa fai?

– Era un rumore forte e improvviso, no?

– E allora?

– Non sei sobbalzata. Quindi, perché sei sveglia?

– I tuoni sono più forti. Quelli mi fanno paura.

– Louisa. – Jason alzò gli occhi al cielo, chiedendosi perché lei non volesse dirgli la verità. – Ti crederei più facilmente se mi avessi detto che ti sei alzata apposta per vedere il documentario sui pesci.

– A me piacciono i pesci. Sono belli.

Jason assecondò quel repentino cambio di discorso, accantonando per il momento il motivo per cui Louisa era sveglia. – Anche a me piacciono i pesci. Soprattutto arrosto con il limone. E mi piacciono molto anche in frittura. – la smorfia disgustata di Louisa lo fece sorridere. – Cosa c’è?

– Io detesto mangiare pesce. Non ne sopporto neanche l’odore. Sono belli così, vivi e colorati. – appoggiò il mento sulle ginocchia e Jason vide le luci del televisore danzare sul suo viso. Voleva baciarla di nuovo, ma le sfiorò solo la guancia con una mano, ritraendola quando si accorse che Louisa era gelata.

Senza fare commenti, andò in camera a recuperare una coperta leggera che le avvolse intorno. – Non ne avevo bisogno. – disse lei stringendosela addosso.

– Certo, come no. E l’ipotermia è un grazioso stato naturale di salute che tutti dovrebbero sperimentare una volta nella vita. Sei ghiacciata. – ascoltò distrattamente la televisione, dove il narratore spiegava il mutualismo delle anemoni e dei pesci pagliaccio. – E poi questa cosa l’ho già studiata. Mi annoio a sentire cose che ho già studiato! – afferrò il telecomando accanto a Louisa e iniziò a cambiare i canali rapidamente.

– Che fai? – Louisa si allungò per recuperare il telecomando, ma Jason lo passò nell’altra mano, tenendolo in alto, fuori dalla sua portata. – Si chiama zapping. E avviene quando il programma scelto è una palla mortale e si cerca qualcosa di meglio. – premette un pulsante a caso. – Tipo questo. Resident Evil. – ghignò, pregustandosi il film. Aveva cambiato giusto in tempo per vedere una delle scene più belle, quando Alice viene attaccata dai dobermann-zombie e con la coda dell’occhio notò Louisa coprirsi il volto con le mani. – È una crudeltà verso gli animali! – esclamò lei.

– È un cane zombie. Hai presente? Grande, grosso, cattivo e morto che zampetta in giro? Ti aspettavi che le portasse la palla?

– Non mi piacciono gli horror. – si voltò a guardare da un’altra parte con le mani sulle orecchie. – Mi fanno paura.

– Resident Evil non è così horror. Ci sono film peggiori. Quelli sì, che tengono svegli la notte.

Louisa scosse la testa. – Basta! Non lo voglio sapere. A me non piacciono. Punto.

Jason incrociò le braccia al petto. – A te non piacciono un sacco di cose. Gli horror, il pesce, i ragazzi senza maglietta. C’è qualcosa che ti va bene?

Louisa si batté il dito sul mento, con l’accenno di un sorriso. – Il riso, i libri, i quadri e i fiori. Come vedi, ci sono un sacco di cose che mi piacciono.

– Il riso? Quello che si mangia?

– Sì. – Louisa annuì vigorosamente. – C’è un piatto italiano che mi piace tanto, usano il riso, il brodo e lo zafferano. Ecco, quello è il mio piatto preferito, altro che il pesce.

– Il risotto.  – concluse lui con un sorriso. – Ti piace il risotto allo zafferano.

– Si.

Jason si alzò e le offrì la mano. – Andiamo.

– Dove?

– A preparare qualcosa da mangiare. Resident Evil l’ho già visto due volte e non mi piace stare fermo a guardare documentari sui pesci. Andiamo in cucina.

Louisa guardò fuori dalla finestra e boccheggiò alcuni secondi. – Ma fuori piove.

– Ma và? – commentò sarcastico.

– Ci bagneremo.

– Hai qualcosa di meno scontato da dirmi? Louisa, – la chiamò dolcemente chinandosi all’altezza del suo viso. – Non c’è nulla di male nell’uscire con un po’ di pioggia. Ci bagneremo? Okay, poi ci asciugheremo e ci cambieremo, ma la cosa più importante è imparare ad affrontare le proprie paure. Cos’è un temporale? Solo tanta acqua, luce e rumore. Niente che ci possa ferire. – Louisa gli prese la mano e infilò le ciabatte.

Lui andò ad aprire la porta e guardarono il chiostro con circospezione. Emise un fischio di ammirazione per il muro d’acqua che si trovarono davanti. – Però, è veramente tanta pioggia.

– Vuoi veramente andare in cucina con questo tempo? – chiese lei.

– Io pensavo di correre verso la cucina per bagnarci il meno possibile, ma credo che dovremo nuotare. – afferrò Louisa per il polso e camminò a passo veloce sotto il portico, riparando la ragazza dalle raffiche di vento e acqua, inzuppandosi la schiena. – Non è stata una delle mie idee migliori. Lo ammetto. – alla fine del portico la prese in braccio senza tante cerimonie è iniziò a correre verso la cucina, ignorando le proteste di Louisa. Si fermò solo quando arrivò sotto la tettoia e mise giù la ragazza che lo guardava furiosa e indignata, con i capelli gocciolanti e il pigiama bagnato, che le aderiva al corpo. Sembrava un gattino affogato e scontroso e l’avrebbe stretta, se lui non fosse stato nella stessa, identica situazione. – Entriamo? – chiese con un sorriso imbarazzato.

– Come ti è saltato in mente? – Louisa si strizzò i capelli, per poi stringersi le braccia al petto, mettendo in risalto il seno e Jason aprì la porta per poi farle cenno di entrare.

Una volta dentro, aprì rapidamente le valvole di tutti i radiatori e accese il forno per far scaldare l’ambiente. La cucina riservata ai Sigilli era piccola, con il tavolo di legno laccato e i piani di lavoro in marmo e acciaio inossidabile. Lì, dei cuochi scelti si staccavano ogni giorno dalla mensa centrale per andare a cucinare qualcosa ai Sigilli, a lui e a Will.

Comunque, per ogni evenienza, il frigorifero era pieno e la dispensa ben fornita. Senza dire una parola, si tolse la maglietta e i pantaloni della tuta e li appoggiò sul termoconvettore, rimanendo solo con i boxer addosso.

– Jason Fen! Perché ti sei spogliato? – la voce arrabbiata di Louisa gli trapanò il timpano.

– Mi asciugo! E dovresti farlo anche tu! Levati quelle cose bagnate di dosso!

– Io non mi spoglio davanti a te!

– Guarda che non mi scandalizzo se rimani in biancheria!

 Louisa abbassò gli occhi e strinse i pugni. – Io non ho nulla sotto il pigiama.

Rimase a bocca aperta. – Ah. Questo non l’avevo previsto.

– Avevi previsto di farmi spogliare? – Louisa afferrò un mestolo e glielo lanciò contro.

Si abbassò per schivarlo. – Ma ti diverti a tirarmi contro gli oggetti? – alzò la voce anche lui, arrabbiato per il comportamento della ragazza. – E poi è naturale che io voglia vedere una bella ragazza in biancheria! – gli si seccò la gola quando si rese conto di cosa aveva appena detto.

Calò un silenzio imbarazzato e Jason si precipitò a tirare fuori una pentola, il riso e le spezie dalla dispensa e il brodo dal frigorifero.

Afferrò una cipolla e la passò a Louisa insieme a un coltello. – Taglia la cipolla, per favore. Io intanto sgrasso il brodo.

Louisa annuì in silenzio e gli diede le spalle e dopo un po’ la sentì tirare su col naso, mentre il coltello si abbatteva in maniera aritmica sul tagliere. Non fece commenti e Jason si diede da fare con il brodo, togliendogli lo strato superficiale di grasso e mettendone metà a bollire.

– Hai finito con la cipolla?

– Quasi. – sentendo la sua voce rotta, si voltò a guardarla.

La ragazza aveva gli occhi rossi e continuava a strofinarseli, mentre della cipolla non ne era stata affettata neanche la metà. – Cosa stai facendo?

– Affetto la cipolla, non vedi? Solo che mi danno fastidio gli occhi.

Jason rise, smorzando leggermente il gelo tra i due. – Veramente, mi sembra che tu stia mutilando la cipolla. – si mise alle sue spalle e le coprì le mani con le sue. – Ti faccio vedere. Tieni le mani morbide.

– Non mi fido.

– Non ti faccio nulla. Promesso. Ti insegno a tagliare. Afferra le verdure così. – le posizionò le mani, in modo che afferrassero saldamente il bulbo con le dita e il palmo. – Le dita ti indicheranno dove tagliare, più vicino saranno a dove cade il coltello, più sottile sarà la fetta. Con il coltello basta che fai movimenti piccoli, veloci e ritmici. È tutto un lavoro di polso.

– Come mai sai cucinare? – chiese Louisa lasciandosi guidare da Jason.

– Quando sei solo in casa con un altro uomo impari a fare molte cose. Cucinare è una di queste. E poi mi rilassa.

– Dove hai imparato le ricette?

Jason alzò le spalle. – Su quello strumento di perdizione che si chiama Google. – Louisa si voltò a guardarlo con le sopracciglia alzate. – Contrariamente a quanto pensi, non vivo di siti porno. Non ne ho bisogno. E puoi trovare molte cose utili su internet: canzoni, i Muse, ricette, immagini, ti puoi sedere comodamente a osservare dei cretini che si scannano sui social network sgranocchiando allegramente pop corn.

– So cos’è internet. – rispose lei stizzita. – Volevo solo sapere dove avessi imparato. Tutto qui.

Finito di tagliare la cipolla, Jason prese il tagliere e fece scaldare l’olio prima di buttarci dentro le fettine per farle imbiondire. – Non so cucinare solo i risotti, ma anche le focacce, i dolci…

– Non mi piacciono i dolci. – interruppe Louisa.

– Mi sa che fai prima a dirmi cosa ti piace.

Lasciando che la cipolla si soffriggesse, andò al termoconvettore a controllare quanto si fossero asciugati i vestiti. Erano ancora umidi, ma non gocciolavano più.

– Tieni. – disse passandoli a Louisa. – Ti andranno grandi, ma sono sicuramente meglio di quelli che hai addosso.

– E tu? – chiese lei prendendoli in mano.

– Posso restare così un altro po’. Non ho freddo. Tu invece stai tremando. – Louisa si rigirò la maglietta di Jason tra le mani. – Non ti guardo se è questo che pensi. – la precedette lui. – Io mi giro, tu ti giri. Nessuno vede nulla. – si voltò a mescolare il soffritto, mentre Louisa si spogliava e si rivestiva in fretta. Voleva guardarla, anche solo un attimo, per vedere se il ricordo di lei sotto la doccia combaciava con la sua reale figura, ma aveva promesso. E lui avrebbe sempre mantenuto una promessa.

– Fatto. Grazie. – Jason si voltò. Aveva solo la maglietta addosso, che le cadeva fino a metà coscia, e gli porgeva i pantaloni. – La maglietta mi va più che bene. E sono a disagio nel saperti così poco vestito. – si voltò a guardare il muro imbarazzata. – Mettiti i pantaloni, per favore. – Jason obbedì, infilandosi velocemente i pantaloni per poi mettere a tostare il riso con il soffritto.

– Sei strana. Potevi stare completamente coperta e invece mi offri la visione di un bel paio di gambe.

– Io mi siedo e tu non mi guardi.

Jason sghignazzò e innaffiò il riso con il vino. – Sono impegnato a cucinare. Non ti guardo. – era veramente impegnato a cucinare e a togliersi dalla mente il bacio che si erano scambiati ventiquattro ore prima.

– Jason, – la voce di Louisa era bassa, appena un sussurro e lui annuì facendole cenno che la stava ascoltando. – Perché mi hai baciato? – gli cadde il mestolo dalle mani, dimenticandosi del risotto.

– Perché no?

– Perché non dovevi.

– Torniamo al punto di partenza. Non dovevo o tu non volevi? Perché la seconda l’hai smentita per bene. – Jason fece il giro del piano di lavoro lentamente, afferrandola per il gomito e mettendola in piedi. – Devi  capire una cosa di me: io sarò gentile e cercherò di rispettarti finché potrò, ma mettiti in testa che io non sono il principe azzurro delle favole. Ti ho baciato perché volevo. Perché mi avevi fatto infuriare, perché volevo zittirti e perché ci sono cose che si possono trasmettere solo toccandosi a vicenda. Le parole non bastano. Dirmi che per me era tutto un gioco. – strinse i denti al ricordo. – Non hai idea di cosa tu abbia detto. Se volessi giocare con te, non mi sarei fermato e non ti avrei permesso di schiaffeggiarmi.

– Lo rifarai di nuovo?

– Io non sono un Sigillo, Louisa. Non sto dalla parte degli angeli. Non ho alcun voto da rispettare e sono fondamentalmente egoista. Quindi, sì, ti bacerò di nuovo se vorrò. E tu, mio piccolo scricciolo bagnato, non potrai fare nulla per fermarmi o per fermare la te stessa che si è lasciata andare. – le scoccò un bacio sulla fronte e tornò a cucinare, bagnando il riso abbondantemente con il brodo.

– Ieri, – proseguì lei. – Ho cercato di, ehm, lo sai, no? Di ucciderti.

Jason canticchiò sottovoce, ignorandola volutamente.

– Rispondimi! – insistette lei.

Versò lo zafferano nel risotto in preparazione, prima di voltarsi. – Io ti rispondo, se tu dici una cosa a me. E rispondi sinceramente. Hai veramente paura dei temporali?

– Sì.

Le tornò vicino, mettendo pochi centimetri tra di loro. – Stai mentendo. Non mi guardi mai negli occhi quando sei imbarazzata o quando mi menti.

– Che ne sai che non mi imbarazza parlarne?

– Perché sei molto carina quando sei imbarazzata, invece mi fai incazzare quando mi menti. E ora mi sto incazzando. – Louisa deglutì vistosamente e Jason le guardò le labbra sentendo il suo respiro sul collo. – Dimmi la verità.

– Ho degli incubi. – disse infine Louisa. – E quando li ho poi non riesco a riaddormentarmi. A volte sto sveglia proprio per paura che arrivino, ma poi crollo per la stanchezza e li trovo lì, ad aspettarmi.

Jason prese una sedia e si sedette davanti a lei. – Dimmi tutto. Cosa hai sognato?

– Sono diversi, ma negli ultimi giorni è sempre lo stesso. – inspirò profondamente e tremò vicino a lui. – Sono in un enorme spazio buio e sento in lontananza un orologio ticchettare e diverse voci ridere. Quando chiedo chi c’è, sento una voce nell’ombra che mi dice: ‘sarà tutto mio.’ So che è stupido, ma quando mi sveglio mi sento male e non riesco più a dormire.

– Dice veramente ‘sarà tutto mio’? – Louisa annuì e il cuore di Jason perse un paio di battiti. Gli venne in mente una sola persona che ripeteva costantemente ‘mio’.

Tamiel.

 

Dio,

il mio obbiettivo è lo stesso tuo,

quindi, permettimi di farla mia,

prima di spezzarmi l’anima.

 

 

NaD: sono esaurita, vorrei mettere ogni singolo nome da ringraziare. Veramente, dire grazie e lanciare cuori a tutti, ma oggi ho riletto tre volte (tre volte!) la storia di James e sto finita.

Quindi, farò un grazie generale a tutti. <3

Khyhan

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Capitolo 11
*** XI. Sancta Sanctorum ***


XII - Sancta Sanctorum

 Sancta Sanctorum

 

“E porrò in mezzo a loro

il mio santuario a tempo indefinito.”

Ez 37:26

 

I muscoli delle gambe di Louisa esplosero in un urlo silenzioso, quando Jason si appoggiò con le ginocchia sulla schiena, per aiutarla negli allungamenti. – Io non ce la faccio più!

– Mi dispiace. –disse Jason allentando la pressione sul suo corpo. – Ma ancora non riesci a mantenere la posizione da sola e non riesci a toccarti le punte dei piedi con i palmi delle mani.

Louisa si voltò, lanciandogli un’occhiata di fuoco. – Io odio lo stretching!

– Se vuoi non farlo, prego. – rispose con fare canzonatorio incrociando le braccia. – Ma non ti lamentare se domani avrai i crampi ai muscoli.

Louisa abbassò lo sguardo sulla tuta azzurra che il ragazzo le aveva procurato quattro settimane prima, quando aveva iniziato ad allenarla. Dopo tutto quel tempo, non le aveva mostrato alcuna mossa di arti marziali, solo intensivi esercizi muscolari e corsa. Tanta corsa. Per non parlare dell’odiato stretching. – Perché devo fare tutti questi esercizi? Non dovevi insegnarmi l’autodifesa?

– Insegnarti l’autodifesa senza prima aver fatto un po’ di muscoli? Il primo Grigorio che incontri si mette a ridere. – si tolse la maglietta nera e irrigidì gli addominali. – Forza, prova a tirarmi un pugno.

Louisa seguì con gli occhi la linea dei muscoli del petto e dell’addome, distogliendo lo sguardo all’elastico della tuta. – Non posso. – si sentì sprofondare per la vergogna. – Potrei farti male. E io non voglio ferire nessuno.

– Disse quella che colpì in testa un Nephilim con un bastone. – commentò lui sarcastico.

Batté una mano a terra, stizzita e rossa in volto. – Era una situazione d’emergenza!

La risata di Jason la costrinse ad alzare la testa. Il ragazzo era piegato in due dal ridere e gli occhi azzurri gli brillavano. – Fammi capire bene, sei capace di tirare una bastonata in testa, ma non sei capace di darmi un pugno?

– Eri in pericolo, ti avevano circondato e non sapevo cosa fare. – si morse il lato interno della guancia. – Avevo paura per te. – ammise.

Jason smise immediatamente di ridere e la spinse contro la parete della palestra. – Quindi attaccherai solo se qualcun’altro è in pericolo? Tu non ti difenderai? – le mani di Jason erano appoggiate al muro, ai lati della sua testa, lasciando pochi centimetri tra di loro. Sentiva il calore e l’odore del suo corpo, misto a quello del sapone alle erbe che lui le aveva rubato. – Rispondimi, Louisa. – disse lui, cercando la sua attenzione. – Non userai quello che ti insegnerò per attaccare gli altri?

Scosse la testa, appiattendosi contro il muro e irrigidendo i muscoli. – No. – sussurrò. – Voglio solo difendere gli altri. E ora spostati, per favore. Mi dà fastidio averti sempre addosso.

Jason le baciò un angolo della bocca, prima di staccarsi da lei. – Domani mattina insieme al Tai Chi, inizio a spiegarti come cadere. Sono esercizi che ti insegneranno a non farti troppo male se vieni buttata a terra e a rialzarti velocemente. Soprattutto, dovrai imparare a fare le capriole.

– Capriole?

– Il modo più veloce per togliersi dai piedi se le cose si mettono male. – rispose un’altra voce proveniente dall’ingresso della palestra. – Credevo che il figlio di Fen te le avesse già insegnate. – Louisa guardò oltre Jason e sorrise quando riconobbe Malcom con indosso la tuta grigia. – Non ti ho permesso di usare la palestra per provarci con Louisa, figlio di Fen.

Jason strinse i pugni e si voltò a fronteggiarlo. – Ho un nome!

– I nomi sono potenti. – rispose lui, saggiando l’equilibrio di una spada. – Tuo padre non te l’ha mai detto? Ha perso colpi il vecchio Fen.

– Non parlare di lui in questo modo. E non era vecchio, aveva appena trentanove anni quando è spirato.

Il sorriso sarcastico di Malcom si allargò e prese in mano un’altra spada. – Ragazzino, conoscevo Fen da ancora prima che tu nascessi. – gli lanciò la spada, che Jason prese al volo. – Sono curioso di vedere cosa ti ha insegnato. Louisa, scendi dalla pedana, potresti farti male. Mettiti in guardia, se riuscirai a battermi, ti giuro che ti chiamerò per nome. Fino ad allora, per me, sarai un cucciolo che inciampa nelle proprie zampe nella foga di correre.

Louisa guardò Jason che annuì una volta, corrugando la fronte per la concentrazione.

– Un incontro pulito, ragazzino. Il primo che si arrende o che viene disarmato, perde.

Louisa si sedette vicino all’ingresso, mentre i due uomini si salutavano con un inchino.

In meno di trenta secondi, perse il conto delle stoccate e delle parate che si sferrarono. Combattevano talmente tanto vicini, che faceva fatica a seguirli.

Silenziosamente, iniziò a pregare che Jason non si facesse troppo male, quando Malcom ancorò il piede del ragazzo, facendogli perdere l’equilibrio.

Jason rotolò all’indietro, mettendo spazio tra lui e il suo aggressore, che sorrise. – Sei bravo a cadere.

– Hai detto un incontro pulito.

– Non ho mai detto che non si potessero usare le arti marziali.

Louisa trattenne il fiato, quando Jason deviò un fendente laterale con la spada. Con la mano libera gli sferrò un pugno al centro del torace, che Malcom parò senza problemi. – Niente male. – facendo leva sul braccio di Jason, il Custode gli diede una ginocchiata allo stomaco.

– Jason! – Louisa fece per correre da lui quando la fermò con un gesto secco della mano.

– Ferma! – era pallido e ansante, ma le parole erano ferme e risolute. – Non ho ancora perso.

Louisa si risedette e cominciò a torturarsi le unghie per la frustrazione, quando Jason e Malcom iniziarono a girare in cerchio studiandosi a vicenda.

Perfino lei capiva che Jason era stanco per la lunga giornata e che non avrebbe resistito molto agli attacchi serrati di Malcom.

Si scambiarono un’altra serie di stoccate, stuzzicandosi a vicenda, ma senza attaccare mai veramente.

Il Custode portò tutto il peso in avanti, mirando al collo di Jason, che anziché ritrarsi, gli andò incontro. Le due lame scivolarono l’una sull’altra fino all’elsa e con un gioco di polso, Jason lo disarmò. Il torace del ragazzo si alzava e si abbassava velocemente, mentre gli puntava la lama alla gola. – Un colpo d’arresto. – commentò Malcom senza smettere di sorridere. – Yang ti ha insegnato bene. Ho perso, Jason, puoi anche mettere giù la spada.

– Mi avresti staccato la testa se non ti avessi preso in controtempo.

– Poche persone sanno eseguire un colpo d’arresto come quello. Yang era una di quelle pochi. E tu, – guardò per un attimo Louisa, per poi tornare a Jason. – Sei il suo degno erede.

– Lo conoscevi bene? – chiese lui tornando da Louisa.

– Eravamo amici. Ci allenavamo insieme. Tuo padre sapeva adattare le arti marziali alla scherma occidentale. Era un Custode perfetto, prima che…

– Prima che si stufasse di voi e tagliasse la corda? – interruppe lui, incrociando le braccia.

– Prima che decidesse di seguire un altro destino. – raccolse le armi e le rimise nella rastrelliera. – Puoi usare la palestra per allenare Louisa ogni volta che vuoi. Ora me ne vado.

Come Malcom si chiuse la porta della palestra alle spalle, Jason si sedette sul bordo della pedana, guardando Louisa stancamente. – Prima ti eri preoccupata per me.

– Ripulire questo posto dal sangue sarebbe stata una faticaccia. – accennò un sorriso e si sedette accanto a lui. – Vuoi andare a farti una doccia? Puzzi un po’ di sudore. – disse infine.

– Certo che tu non sai proprio trattenerti dal dire verità scomode. – le passò una mano intorno alla vita e la strinse a sé.

– E tu non sai trattenerti dal toccarmi continuamente e dal toglierti la maglietta.

Jason si stese sulla pedana e scoppiò a ridere. – Mi piace. Impazzisci e ti divincoli. E poi, ora ho caldo, la maglietta mi ucciderebbe.

– Anche una congestione, ti ucciderebbe.

– Non portare sfiga. Ne abbiamo già troppa. – disse lui con gli occhi al cielo. Si rialzò con un colpo di reni. – Sai cosa mi piacerebbe fare ora? Visitare la biosfera.

Louisa ammutolì. Sapeva che Jason studiava biologia, ma fargli visitare la biosfera? Quella era stata costruita per lei e per i Sigilli. Solo Isaiah poteva entrarci oltre a loro e nessun altro. – Io non so se... – mormorò.

– Perché no? – insistette lui abbassandosi all’altezza dei suoi occhi. – È una biosfera.

– Perché a nessuno, eccetto a noi Sigilli, è permesso mettervi piede. È il nostro posto. Ci riposiamo e possiamo pensare un po’ a noi.

 – E tu pensi che io possa turbare la pace della biosfera?

Louisa gli scoccò un’occhiataccia. – Tu turbi la pace di chiunque.

Jason rise di nuovo. – Ammesso e non concesso. Farmela visitare sarebbe una cosa tanto brutta?

Louisa ci rifletté qualche secondo. La biosfera era un luogo di pace e serenità. Lei lì si sentiva al sicuro. – Non brutta. – disse lei infine. – Solo strana. – incrociò lo sguardo pieno di aspettative di Jason e capitolò. – D’accordo. Però non fare danni. È un posto importante.

– È una biosfera.

Lei scosse la testa e gli lanciò la maglietta e la felpa. Jason non avrebbe capito finché non l’avrebbe visto con i suoi occhi. – Non è solo quello. È il nostro Sancta Sanctorum. Nell’Istituto non c’è posto più importante.

 

La cupola della biosfera, che lui vedeva costantemente, era solo una piccola parte del complicato ed equilibrato ecosistema che avevano costruito nell’Istituto.

Prima di entrare, Jason era stato tartassato dall’incessante fiume di parole di Louisa, che gli raccomandava costantemente di comportarsi bene.

Come se lui non lo facesse. – Metti la mano sull’altro scanner gel. – disse Louisa, già con la mano su uno degli scanner. – Devo inserirti come mio ospite. – per un attimo non capì cosa gli stesse dicendo la ragazza, attirato com’era dalla mole dell’edificio in vetro e acciaio, poi notò il piccolo schermo dove lampeggiava il suo nome e accanto un punto di domanda.

– Perché solo come ospite?

– Perché per ora sei un ospite. Te l’ho già detto: è un posto importante, ci entriamo solo noi Sigilli e Isaiah. E a parte noi, solo i veterinari entrano e solo su autorizzazione. Un computer controlla la temperatura e l’umidità della biosfera. È tutto automatico.

Jason sorrise vedendo il volto scuro della ragazza. Continuava a ripetere quella cosa dei Sigilli da quasi un quarto d’ora e non ne capiva il senso. – È un ecosistema, Louisa. Non è Fort Knox. A che serve tutta questa sicurezza?

Louisa lo ignorò volutamente, digitando le autorizzazioni sulla tastiera, finché il led sullo scanner di Jason divenne verde.

– Abbiamo i nostri motivi. – rispose lei spingendo la porta e facendogli cenno di entrare. In fondo al piccolo corridoio si apriva un’altra porta, ma non fu quello a lasciarlo a bocca aperta. Anche la zona filtro era in vetro e acciaio, permettendogli di vedere meglio l’interno della struttura.

Gli tremarono le mani per l’emozione, quando una scimmia saltò sulla cupola del tunnel e corse velocemente verso il ramo più vicino con un frutto tra le zampe, per poi sparire tra il fogliame. – Quella era una scimmia leonina! Sono in via di estinzione.

Louisa guardò le foglie tra cui era scomparso l’animale. – Ne abbiamo una decina. Almeno così c’è scritto nel database della biosfera. – Louisa gli strinse le dita e aprì la seconda porta.

L’aria caldo-umida gli invase i polmoni, rendendogli, per un attimo, difficile la respirazione e la maglietta sotto la felpa gli si appiccicò addosso. In meno di tre passi si tolse di nuovo la maglia, rimanendo a torso nudo.

Louisa gli diede un’occhiata di traverso, ma non disse una parola, togliendosi anche lei la felpa e rimanendo con la canottiera bianca. – Almeno non sei immune al clima tropicale. – commentò lui asciugandole la fronte. – Facciamo una  passeggiata?

Tra le piante basse si stendevano dei piccoli viali percorribili, e Jason imboccò il primo a caso, trascinandosi dietro Louisa. – Che animali e piante ci sono qui dentro?

– Non lo so. Ce ne sono centinaia, non le conosco tutte. Il computer che regola la biosfera ha un catalogo completo, viene aggiornato ad ogni nuovo evento.

– Tipo?

– Tipo: nascite o morti di animali. Eventuali malattie. Viene scritto tutto.

Jason annuì. In quel momento voleva avere dieci paia di occhi in più per poter vedere e catturare tutto nella memoria.

Un colibrì dalle piume verdi brillanti si fermò in volo davanti a lui, studiandolo per qualche secondo. – È un… – Louisa gli pestò il piede, azzittendolo.

– Smettila. – sibilò lei tendendo la mano. – Cosa ti importa di cos’è? È bellissimo. – il colibrì si posò senza paura sulle dita della ragazza, inclinando la testa per studiare meglio Jason.

– Non dovrebbero fare una cosa del genere. – disse lui, guardando lo strano comportamento dell’animale. – Va contro le leggi della biologia.

– Perché mai? – chiese Louisa lasciando che l’animale volasse verso un fiore di ibisco. – Sanno che io non gli farei del male. Sono un Sigillo, proteggo anche loro.

– Sei umana. – rispose incredulo Jason. – È una questione di odori.

– Ho promesso a questi animali che non gli avrei fatto del male e loro mi hanno accettato.

Scosse la testa. – Non puoi promettere e basta. È contro natura.

– Non quando prometti nella Lingua del Cielo. La lingua con cui tutto è stato creato. Non puoi mentire e tutti ti comprendono. È la Lingua Universale. È quella che ci ha uniti.

– Sai, mi riempie il cuore di gioia, – commentò lui stringendo i pugni al ricordo. – Sapere che non si possa mentire in quella lingua. – era più freddo di quanto non volesse. Era in un posto che adorava fin da quando ci aveva messo piede, ma il ricordo di ciò che gli aveva fatto Louisa lo faceva fremere di rabbia.

– Non avrebbe funzionato se le nostre anime non si fossero capite in quella lingua.

– La mia anima non era consenziente. In quel momento era impegnata a salvarci la pelle.

Louisa batté le palpebre un paio di secondi, fermandosi di botto. – Ma come fai ad essere arrabbiato qui dentro?

Lui alzò le spalle e si voltò a studiare una felce. – Posso arrabbiarmi qui, in camera tua, al biliardo. Non è che qui ci siano i cartelli ‘vietato arrabbiarsi’.

– In teoria non dovresti. Voglio dire questa biosfera è… – chiuse la bocca e si voltò a guardare da qualche altra parte, rossa fino al collo.

Stava per chiederle cosa fosse la biosfera, quando un Boa le si avvicinò. Allungò un braccio per tirarla indietro e proteggerla, quando Louisa si mise ad accarezzare sulla testa il serpente, che con gli occhi socchiusi si godeva le coccole. – Ma stiamo scherzando? Il colibrì che ti si appoggia sulla mano lo posso accettare, per qualche strano scherzo della natura lo potrei anche capire, ma il Boa Constrictor che si comporta come un gattino, no! – l’animale risalì le gambe e il torso della ragazza, guardando Jason da sopra una spalla di Louisa.

Si fissarono per qualche secondo, lui e il Boa, prima che quest’ultimo gli mostrasse la lingua biforcuta. – Ma che? – sapeva di avere la bocca aperta, ma non poteva fare nessun’altra espressione. Quel serpente lo stava apertamente sfottendo e si prendeva le carezze di Louisa.

– È dolcissimo, vero? – disse Louisa grattandogli sotto il muso. – È anche molto intelligente.

È un gran approfittatore, pensò Jason, guardando come il Boa si stringeva attorno alle forme di Louisa senza farle del male. – Inizio a capire perché nella Genesi si parla di serpenti come dei tentatori del peccato. Staccati da lei! – per tutta risposta il Boa lo guardò male. Sempre che un serpente potesse guardarlo male.

– Meglio se vai. – sussurrò Louisa all’animale. – Vorrei portarlo al laghetto e temo che possa andare in escandescenze.

Il Boa scese lentamente dal corpo di Louisa e mostrò un’ultima volta la lingua a Jason prima di sparire tra le felci e le orchidee tigrate.

Si affiancò a Louisa, che salutò con una mano un ibis scarlatto che li guardava appollaiato su un banano. – Dove vuoi andare? – chiese Jason, tornando calmo e guardandosi intorno.

– Al laghetto centrale, quello con la cascata. C’è una cosa che voglio mostrarti. – Jason si distrasse, seguendo un colibrì che portava del muschio nel becco. – Vieni con me. – la afferrò per la mano e iniziò a seguire il colibrì, usando i suoi sensi sviluppati per non perderlo.

– Che stai facendo? – urlò Louisa quando lui se la caricò sulle spalle.

– Parla piano. – abbandonò il sentiero, per infilarsi in quella giungla sottovetro all’inseguimento dell’uccellino. Se aveva ragione, presto avrebbe visto qualcosa di stupefacente. Guardava appena dove metteva i piedi, con Louisa che si lamentava, facendo attenzione a non inciampare e a non schiacciare qualche animale.

Il colibrì che stava inseguendo si infilò tra i rami di un albero e Jason lo perse di vista una volta per tutte. – Un albero della gomma. – disse lui, accarezzandone il tronco. – Ti ricordi la scalata sull’albero, Louisa?

– Che vuoi fare?

– Ora facciamo una scalata a livello pro. Reggiti forte. – anziché salire sull’albero della gomma, Jason scalò l’albero accanto, un ficus alto quasi cinque metri. Trovò facile accesso, grazie alle radici aeree che gli permettevano di salire velocemente e fece sedere Louisa su un tronco accanto a sé. – Si può sapere perché l’hai fatto? – le tappò la bocca e le mostrò l’albero della gomma.

– Guarda bene. – sussurrò. – Vedi il colibrì in volo stazionario? Lì, vicino a quelle foglie? Sta costruendo un nido. – Louisa smise di protestare e le guance le divennero rosse per l’eccitazione.

Si sporse in avanti, seguendo l’indicazione del suo dito. – Cosa usa?

– Muschi, licheni, peli di animale e piume. Poi legherà tutto con delle ragnatele per renderlo più sicuro, e lo fisserà con del nettare ai rami e alle foglie. Sarà un nido bello morbido. – Jason fu distratto da un lampo di colore che vide con la coda dell’occhio. – Guarda là. – disse prendendo il mento di Louisa per farla voltare. – Il maschio. – Era un uccellino non più grande della mano di Louisa, di un rosso sgargiante.

– Cosa sta facendo?

– Danze acrobatiche per attirare altre femmine con cui accoppiarsi. Si fa vedere figo.

Louisa chiuse la bocca e corrucciò la fronte. – Ma siete tutti uguali! – la attirò a sé, affondando il viso tra i capelli umidi e profumati della ragazza. – Benvenuta nel mondo della biologia. Ah, non è vero, comunque. Alcuni primati sono monogami. Anche i cigni lo sono. Una volta perso il partner, si lasciano morire.

Louisa lasciò dondolare le gambe nel vuoto. – È una cosa triste. Bella, ma triste. – commentò pensierosa.

Le scostò i capelli dal collo. – Alcune specie, quando vengono ferite dal proprio partner passano anni prima di rifarsi una vita. Prima, tendono a distruggere tutto quello che provano, non lasciando avvicinare nessuno.

Louisa si morse il labbro inferiore e per un attimo, Jason provò l’impulso di farlo lui stesso. – Questo è ancora più triste. Voglio dire, come si può vivere così?

Jason le accarezzò la testa per distrarsi dalle sue labbra. – Non si può infatti. – fece un sorriso triste, non sicuro che Louisa avesse capito di chi stesse parlando. Tornò a guardare il colibrì che faceva il nido. – Presto avremo dei piccoli uccellini che svolazzeranno allegramente. Ora, scendiamo da qui.

Jason aiutò Louisa a scendere e quando lei tornò con i piedi per terra, si voltò a guardare gli uccellini. – Magari, – cominciò rossa in volto. – Potremmo tornare quando nasceranno i piccoli.

– Se vuoi. – il tono era piatto, quasi annoiato, ma era felice che Louisa gli avesse chiesto di ripetere l’esperienza. – Hai parlato di un laghetto. Cosa c’è lì?

– È il centro della biosfera. È un lago con una cascatella. Mi piace andarci a nuotare quando non ho nulla da fare. – a Jason tornarono in mente i sogni che gli aveva mostrato Annaliese. Non aveva mai visto ridere tanto Louisa, come quando si tuffava lì dentro.

Camminarono affiancati in silenzio per qualche minuto, nonostante la fitta giungla tropicale, sembrava che Louisa sapesse esattamente dove stesse andando. Si morse la lingua quando qualcosa gli saltò sulla testa, per poi accoccolarsi sulla spalla di Louisa. – Ciao, piccolina. – la ragazza accarezzò il folto pelo dorato di un cucciolo di scimmia leonina e Jason sbuffò. – Noè sarebbe invidioso di tutto il tuo successo.

– Non credo. – accettò il mango che l’animaletto le stava offrendo e se lo rigirò tra le mani. – Noè era come noi. Almeno credo. Sono passati troppi secoli per saperlo con certezza.

– O magari, – rispose lui, incrociando le braccia al petto. – Sono solo favole.

Louisa e la scimmia lo guardarono sconcertati. – Ma sei ancora scettico?

– Sono sempre scettico finché non sbatto il naso contro delle prove inconfutabili.

– Le prove, dici. – Louisa alzò lo sguardo verso le chiome degli alberi e per qualche secondo sembrò assente. – Se sono quelle che vuoi, te le posso mostrare.

Il laghetto era esattamente come lo ricordava Jason nei suoi sogni. Una pozza d’acqua dove al centro spuntavano delle rocce e una cascata alta un paio di metri.

Una strana calma calò su di lui e il profumo dei fiori e dell’acqua divenne più intenso, gli uccelli cantavano più forte e le piante erano più verdi e rigogliose. Aveva la strana voglia di mettersi a ridere e a sdraiarsi sull’erba ad ascoltare la voce morbida di Louisa mentre leggeva. – Che posto è questo? – i rami degli alberi si incurvavano verso il laghetto, formando un tetto di foglie che lasciava passare solo un raggio di luce che colpiva il centro del lago.

– Te l’ho detto, la biosfera è il Sancta Sanctorum.

Non capì subito cosa volesse dire, poi ricordò le infinite e noiose prediche del prete a messa e gli si seccò la gola. – Il Sancta Sanctorum. – ripeté senza voce. – Nella Bibbia non era quel posto nel tempio che… – Louisa annuì alla sua domanda inconclusa. – Mi stai dicendo, – proseguì lentamente, guardando l’acqua. – Che tenete l’Arca dell’Alleanza sul fondo del laghetto dei pesci?

– Non proprio sul fondo del lago. È più sotto, protetta in modo tale che nessuno a parte i Sigilli possa arrivarci.

– Sai quanta gente la cerca?

– Sai che questa gente potrebbe anche chiedere per favore? – gli occhi di Louisa erano spalancati, mentre si fissavano. Non c’era malizia o rabbia nel suo sguardo, solo la richiesta di crederle e di avere fede.

Inspirò profondamente, notando quanto pura fosse l’aria in quel punto. – Si può entrare nel lago? Non è pericoloso?

– Io ci vado sempre a nuotare.

– Quanto è profondo?

Louisa lo trafisse con lo sguardo, con un piccolo sorriso. – Non tanto, credo una decina di metri nel punto più profondo, perché?

– Una decina di metri. – ripeté lui sentendo i palmi delle mani sudati. Non lo avrebbe mai ammesso davanti a lei, ma l’idea di tuffarsi iniziava a non allettarlo più come prima.

Louisa si tolse le scarpe e arrotolò il fondo della tuta fino alle ginocchia, sedendosi sul bordo del lago con le gambe ammollo. – Cosa c’è?

Voleva risponderle una stupidaggine quando gli si seccò la bocca. – È Will quello che stava nella squadra di nuoto, io sto a galla. Circa. A galla come un sasso, a dir la verità. Non so nuotare. –  si morse la lingua per non farsi sfuggire altro e guardò male il lago. Non l’aveva mai detto ad alta voce, ed ora non era riuscito a trattenersi. Sospettava che l’influsso dell’Arca non si estendesse solo all’ecosistema della biosfera o al comportamento degli animali. – Si può mentire davanti all’Arca?

– Si può fare una domanda meno cretina? – rispose lei creando piccole onde con le gambe. – Posso insegnarti a nuotare se questo ti preoccupa.

– Will ci ha rinunciato anni fa. – rispose lui sedendosi contro la schiena di Louisa. – Non so quanto tu possa avere pazienza.

– Will non è il Sigillo dell’Acqua.

– Non sai usare i tuoi poteri.

– Certo che anche tu con le verità scomode…

Jason scoppiò a ridere e si stese sull’erba, godendosi il calore del sole che filtrava tra le foglie. – Io non mi risparmio in verità scomode. – stava per tirare Louisa a sé e stamparle un bacio quando qualcosa lo colpì su una spalla.

Guardò sconcertato la banana accanto a lui e poi le scimmie appollaiate sugli alberi. – Mi hanno lanciato una banana? – lo colpirono di nuovo, stavolta in testa e lui mostrò i denti, in un basso ringhio. – Ma che hanno?

– A che pensavi? – chiese lei guardando i frutti per terra.

– Che volevo baciarti. – si lasciò sfuggire quell’altra verità e si spostò dal lago, cercando di sfuggire al suo influsso prima di andare incontro a una catastrofe sociale.

Louisa rise. Una risata pura, semplice che gli arrivava dritta al cuore, facendoglielo battere forte contro lo sterno. – Immagino che tu, qui, sia costretto a dire la verità.

Un angolo delle labbra di Jason si piegò verso l’alto, rendendosi conto di una cosa. – Qui nessuno può mentire.

– No, infatti. Dobbiamo sempre dire la verità.

– Cosa hai provato quando ci siamo baciati? – chiese a bruciapelo.

Louisa divenne rossa fino alla base del collo e guardò l’erba. – Jason, non chiedermi una cosa del genere.

– Perché no? È una semplice domanda. – il corpo e il nervosismo di Louisa gli stavano rivelando molte più cose di quanto le parole avrebbero potuto fare, ma voleva sentirglielo dire. – Se ti ha dato tanto fastidio, puoi dirmelo.

Lei deglutì vistosamente, guardando prima il lago, poi lui. – I–io, – scosse la testa. – Non mi ha dato fastidio. All’inizio sì, ma poi… – sembrava che Louisa si stesse tirando fuori le parole con le tenaglie. – Mi è piaciuto. Ma non dovevi prenderti una libertà simile!

Jason si fece più vicino, prendendole il volto tra le mani. Gli animali avrebbero anche potuto tartassarlo con tutta la frutta che avrebbero potuto trovare, ma non si sarebbe fermato. – Chiarisci il concetto piaciuto, Louisa. Vai nello specifico.

Lei deviò il suo sguardo, guardando da un’altra parte. – I tuoi capelli. – disse infine. – Mi piaceva stringerli, erano morbidi. E anche quando hai… – se possibile divenne ancora più rossa e lui sentì il calore del volto sul suo. – Quando il bacio è diventato più profondo, non volevo che smettessi.

Le baciò la fronte, per poi scendere fino alla punta del naso e sugli occhi, asciugandole due piccole lacrime ribelli. – Vorresti che lo rifacessi?

Lei aprì la bocca per rispondere, quando il cercapersone la interruppe. Controllò velocemente chi fosse, e lui si allontanò di scatto. – Ci chiamano. – disse lei rimettendoselo in tasca. – Dobbiamo andare al centro.

Lui chiuse gli occhi, deciso a non insistere sulla domanda di prima. – Dio, – commentò, incrociando le braccia la petto. – Sembra di stare nella squadra dei Power Rangers. Andare al centro di comando, Rangers. Uscite a salvare il mondo, Rangers. No, non importa quale momento magico voi steste vivendo, Rangers. Sì, abbiamo un tempismo perfetto! – strinse i pugni e si volse verso il lago. Fammi indovinare, pensò, ci sei Tu dietro tutto questo?

L’acqua del lago si increspò ad un timido vento e Jason lo interpretò, come con il serpente, per una presa per il culo. – Grazie. – sibilò a denti stretti.

Louisa si sistemò i capelli dietro le orecchie. – Cosa hai detto?

– Grazie! Ho detto: grazie! A Chiunque ti abbia interrotto e che ora si sta sbellicando dalle risate! – le indicò le increspature del lago, che lei guardò senza capire.

– È partito il sistema di ricambio dell’aria. – disse lei. – Ecco perché c’è vento.

– D’accordo, mettiamola così. Andiamo! – ordinò seccamente. Senza guardare se Louisa lo stesse seguendo, tornò all’ingresso della biosfera, ignorando volutamente le bellezze che si trovavano lì dentro.

Avrebbe riportato presto la ragazza al lago, e l’avrebbe baciata in modo tale che non avrebbe più potuto sentirsi un Sigillo per il resto della sua vita.

Quando raggiunsero il centro di controllo, Jason fumava ancora di rabbia. Si mise in un angolo, in silenzio, a guardare i ricercatori che si scambiavano pacche sulle spalle e divoravano panini alla velocità della luce.

– Cosa c’è? – chiese Will, scivolando su una sedia accanto a lui.

– Ma tu riesci a imbucarti sempre e ovunque?

– Come mai così acido?

Lei, – e non ebbe bisogno di specificare chi fosse lei. – Mi sta facendo diventare matto. Perché qui dentro sono tutti così allegri? – domandò cambiando discorso.

– Non lo sai? – chiese Will, mangiando un panino al formaggio. – Uno degli anelli ha risposto ad uno dei Sigilli. È stato per poco, ma lo hanno localizzato. È in Italia, a Roma precisamente. – non sapeva se la notizia gli facesse piacere o no. Dell’anello e del Sigillo non gliene importava nulla. – Quindi, adesso? Mandano una Task Force di Custodi in tute colorate e sgargianti a recuperarlo?

Will scosse la testa. – Vanno Dimitri e James. E anche Louisa ha chiesto di andare.

Jason chiuse gli occhi e appoggiò la testa contro il muro. – La testa di James non è ancora esplosa per la rabbia? Quello mi renderebbe di buon umore.

– Veramente, – rispose Will. – James ha accettato. – Jason spalancò gli occhi e il sorriso di Will si allargò. – Complimenti, Jason. Hai vinto un viaggio in prima classe fino a Roma.

 

 

 

NDA: un bel regalo di fine anno. Ho deciso, dopo lo scorso capitolo di accorciare i capitoli. (meglio per tutti, eh?). E visto il successo, apro ufficialmente il TeamBoa. Le iscrizioni sono di là *indica*.

Volevo, inoltre, ringrazia la mia Liz, che sopporta le mie castronerie e gli emboli che le faccio venire con stoica pazienza. *abbraccia Liz e regala Boa*

Ringrazio anche tutti quelli che mi leggono. *inchina*

Ci vediamo al capitolo 12, il cui capitolo dovrebbe essere “Vampe di Fuoco”.

Buon anno nuovo!

Khyhan.

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Capitolo 12
*** XII. Rosa rubra ***


XII. Rosa Rubra

Rosa Rubra

 

Sul mio letto durante le notti

ho cercato

 colui che la mia anima ha amato.

Ca 3:1

 

Louisa si svegliò di soprassalto da un altro incubo e le dita le corsero automaticamente alla lampada sul comodino. La luce cancellò le ultime tracce del sogno, permettendole di calmarsi e di ricominciare a respirare normalmente.

Seguendo un vecchio consiglio di Isaiah, prese dal comodino il quaderno e una penna e iniziò ad annotare tutto quello che aveva sognato.

Descrisse accuratamente la sensazione di gelo che le avevano lasciato le incubatrici, la voce distaccata e la forza straordinaria dell’uomo biondo che infestava i suoi sogni e l’angosciante sensazione di impotenza che l’aveva afferrata mentre affogava. Scrisse tutto, senza omettere nulla, e poi lo confrontò con i suoi sogni precedenti.

L’uomo dei suoi sogni era una costante. Le mostrava scenari terrificanti di distruzione e violenza, oppure Dimitri morente tra le sue braccia e in tutti, lei non poteva fare niente.

Alla fine Louisa, si era convinta che quell’uomo fosse la rappresentazione del suo senso di colpa per non aver alcun potere. Se li avesse avuti, avrebbe potuto aiutare gli altri a salvare il mondo e Dimitri si sarebbe affaticato di meno.

Si strinse addosso la vestaglia e scivolò fuori dal letto matrimoniale. La camera d’albergo, anche se modesta aveva tutto il necessario per il suo soggiorno a Roma.

Andò in bagno, a spruzzarsi il viso con dell’acqua fredda quando qualcuno bussò alla porta. – Louisa? – la voce morbida di Jason la fece sobbalzare. Come aveva fatto a sentirla? Aveva urlato di nuovo? – Louisa stai bene? Apri prima che scardini la porta.

Louisa spalancò la porta con uno strattone. – Cosa vuoi? – chiese brusca. Non aveva voglia di parlare con Jason né di sopportare la sua ironia o rispondere alle sue domande.

Lui la prese per la vita e la spostò di peso, facendosi largo in camera sua. – Hai avuto un incubo. – disse senza preamboli. – Cos’era questa volta?

– Nessuno ti ha dato il permesso di entrare. – gli indicò la porta ancora aperta. – Fuori!

– Non ho bisogno tuo permesso. Come tutti i grandi eroi, arrivo al momento giusto. E nessun eroe chiede il permesso. – si sedette sulla poltrona e accese la lampada da lettura in ottone, guardando beatamente il soffitto. – Inizia a parlare, Louisa o mi annoierò. E tu non mi vuoi vedere annoiato.

– Perché, altrimenti? – lo sfidò. Voleva che se ne andasse e la lasciasse sola, aveva già rivissuto il suo sogno per scriverlo sul quaderno e non voleva farlo di nuovo con Jason. Nelle ultime settimane il ragazzo non faceva altro che bombardarla di domande sui suoi incubi.

Lui lanciò un’occhiata pigra al letto sfatto e poi alla vestaglia verde di Louisa. – Se inizierò ad annoiarmi, controlleremo insieme la comodità del tuo materasso.

– Vattene!

Jason si alzò dalla poltrona e la spinse contro la porta del bagno, impedendole ogni via di fuga. –Mandami via.

– Potrei ordinarti di andartene.

– Vorrei che ci provassi.

Erano così vicini che i loro nasi si potevano sfiorare mentre si guardavano in cagnesco. – Perché non puoi semplicemente lasciarmi sola?

– Perché non tiri fuori le palle e me lo ordini? Se lo farai, ti giuro che me ne andrò.

–Saresti costretto a farlo. – ringhiò Louisa. – Non ci sarebbe gusto.

– Puoi sempre provare a liberarti con i mezzi tradizionali. Ti ho insegnato le basi, Louisa, dovresti riuscire ad allontanarmi.

– Sei più alto e grosso di me. – protestò lei.

– Vorresti affrontare nemici della tua altezza? – le fece un ghigno. – Dovresti cercare dentro un asilo, allora.

Offesa, Louisa gli montò sul collo del piede e lo spinse via con tutte le sue forze.

– Sei insopportabile! – si riprese il suo spazio, allontanando Jason e si sedette sul letto a braccia incrociate.

– E tu, – disse Jason ridendo. – Mi hai appena fatto perdere l’equilibrio. Dovresti esserne orgogliosa.

Louisa lo guardò a bocca aperta. Era vero, per qualche secondo Jason aveva perso l’equilibrio e lei si era liberata.

Lo fulminò un’altra volta, ancora scossa per aver avuto Jason così vicino. Ormai ci stava facendo l’abitudine, ma c’erano momenti, quando lei si sentiva più fragile, che averlo vicino le faceva battere forte il cuore e non riusciva a sostenere il suo sguardo.

Jason si avvicinò e le scostò una ciocca di capelli dal volto. – Dimmi cosa hai sognato, Louisa. – sussurrò, prima di baciarle la fronte. – Non voglio prenderti in giro, la madre di Will diceva sempre che raccontando un brutto sogno ad alta voce dopo non sarebbe più tornato.

Magari fosse così, pensò lei amaramente. – Non so veramente cosa dire. – sospirò, stanca. Non sapeva nemmeno che ore fossero, ma probabilmente era notte fonda e Jason si era svegliato per lei. Appoggiò la testa sulla sua spalla e lui la circondò con un braccio. – Ogni notte, ho paura di addormentarmi. Ho paura dei sogni che farò e di mettermi a urlare nel sonno. Ci sono momenti, in cui non so se mi sveglierò mai da sogni del genere. Poi mi ritrovo seduta sul letto, senza fiato e con l’impressione che sia tutto vero, che quello che ho visto non sia solo un sogno… – Jason intrecciò le dita tra le sue e ricaddero insieme sul materasso. – Che stai facendo? – chiese lei imbarazzata, divincolandosi.

Lui non si oppose, stringendola un po’ più forte. – Non voglio farti nulla. Voglio stare così. Con te. Coccolarti un po’. È così brutto starmi vicino?

– Non dovresti prenderti certe libertà.

Jason ghignò e si rimise in piedi con un colpo di reni. – D’accordo. Me ne vado di là. Buonanotte.

– Buonanotte? – chiese lei mettendosi seduta a bordo letto. – Tutto qui? Buonanotte?

– Cosa dovrei dirti? ‘Dormi bene, tesoro mio’? Se vuoi te lo dico, previo pagamento di cinquanta sterline.

Louisa gli tirò un cuscino, colpendolo sulla spalla. – Sei sempre il solito.

– Anche tu. – disse lui chinandosi a raccogliere il cuscino. – Mi tiri sempre contro qualcosa. La prima volta fu il mio shampoo.

– Mi stavi guardando mentre ero sotto la doccia.

Lui alzò le spalle. – Tu non avevi chiuso a chiave. E poi mi hai tirato: qualche libro, un soprammobile, un mestolo, devo proseguire? La lista è lunga.

Louisa sbuffò e prese al volo il cuscino che Jason le lanciò. – Te li sei meritati tutti.

– Forse. Ora vado di là. Chiamami se hai bisogno di qualcosa. O chiama il servizio in camera, se hai fame.

– Jason? – si voltò a guardarla con un sopracciglio alzato. – Vorresti, – sentì le guance infiammarsi per l’imbarazzo. – Vorresti tenermi compagnia un altro po’? Magari leggendo qualcosa ad alta voce?

– Cosa vorresti che ti leggessi?

Louisa scosse la testa. – Non lo so. Scegli tu, qualcosa di bello.

Jason sorrise e si sedette a bordo letto. – Levati la vestaglia e infilati sotto le coperte, io inizio a raccontare.

– Non prendi il libro? – chiese lei dandogli le spalle, togliendosi la vestaglia, rimanendo solo con il pigiama.

– Non ne ho bisogno. Quello che voglio recitare sono alcune delle poesie più belle mai scritte. Dove i sentimenti, diventano parole, le parole immagini, le immagini, sogni. – il ragazzo sistemò i cuscini da un lato del letto e si sedette contro la testiera. – Robert Burns è il mio poeta preferito, il modo in cui racconta le cose è unico. L’unico problema è che le poesie sono in inglese arcaico. Quindi dovrai lasciar andare l’immaginazione. – ridacchiò e Louisa lo fissò quando si stese accanto a lei a gambe incrociate, ma non disse nulla, affascinata da ciò che lui voleva raccontarle. – Chiudi gli occhi, Louisa, – disse accarezzandole una guancia. – E lascia che parole diventino immagini nella tua testa. – Louisa obbedì e si tirò le coperte fino al mento, aspettando che Jason iniziasse a parlare.

Il ragazzo non la fece attendere e la sua voce morbida si fece strada nella sua testa, trasformando le poesie in vivide immagini della Scozia.

Vide le montagne innevate, poteva sentire l’aria fresca sulla pelle e i conigli bianchi che lasciavano le impronte sulla neve. Sentiva i ruscelli scorrere e scrosciare sulle rocce, unendosi tra loro a formare i grandi fiumi.

Sotto i suoi piedi, la terra tremò, quando un cervo le passò accanto, sfrecciando tra gli alberi, inseguito da alcuni cavalieri armati.

Camminò tra le colline e i declivi in primavera, le foreste e i boschi mentre si tingevano di tutti i toni del rosso e del marrone, in autunno. Poteva sentire il canto degli uccelli in estate, mentre le rose tardive riempivano l’aria del loro profumo unendosi a quello dei fiori d’acqua.

E attraverso tutte quelle immagini, poteva sentire Jason che le parlava della sua terra, che raccontava del suo amore per la vita, e del coraggio dei suoi antenati.

L’orgoglio che gli gonfiava il cuore quando parlava della Scozia, le fece venire i brividi e si strinse istintivamente a lui, pregando silenziosamente che non si interrompesse.

Se lei avesse letto quelle poesie in un libro, non avrebbe provato le stesse emozioni. Erano i sentimenti di Jason che arrivavano a lei tramite le poesie. Era quello che provava lui a trasformare le parole in immagini vivide nella testa, come se le stesse vivendo sulla sua pelle.

Non si ritrasse quando una mano di Jason si posò sulla sua schiena, al contrario appoggiò la testa sul suo petto. Sentiva il suo cuore battere, lento e costante, ma allo stesso tempo forte e vigoroso. – Non smettere. – mormorò assonnata.

Jason sussultò, ma non si fermò, accarezzandole dolcemente la testa. – Non lo farò, ma tu dormi. – Louisa annuì, tornando a perdersi nella voce melodiosa di Jason.

 

Erano quasi le quattro del mattino, quando Jason aprì gli occhi, sentendo qualcuno bussare piano alla porta.

Louisa dormiva rannicchiata accanto a lui, con i capelli castani che le ricadevano in disordine sul viso.

Aveva continuato a recitare le poesie a bassa voce, in modo che solo Louisa potesse sentirle, lasciando per ultima la sua preferita: “A red, red rose”. L’aveva sussurrata alla ragazza, quando lei si era già addormentata da diverso tempo, in modo che non potesse sentirne le parole, ma ci aveva messo tutta la forza dei sentimenti complessi che provava per lei, con la speranza che le arrivassero dritti al cuore.

I rumori alla porta aumentarono di intensità , e Jason scivolò fuori dal letto facendo attenzione a non svegliare la ragazza

Aprì la porta e si trovò davanti James, pallido, con i capelli arruffati e completamente vestito, che lo fissava a bocca aperta. – Credevo, – disse gelido, guardando da un’altra parte. – Credevo che fosse la camera di Louisa, devo aver sbagliato. Torna a dormire.

Jason fece un sorriso sarcastico e gli fece cenno di entrare, ben sapendo che fra qualche secondo James si sarebbe incazzato. – Ma questa è la camera di Louisa.

James lo squadrò dall’alto in basso per poi guardare il letto. – Cosa ci fai qui? – parlò a denti stretti, aprendo e chiudendo le mani.

– Ci dormo. –disse lui mentre il sorriso sul suo volto andava allargandosi, consapevole del fatto che il ragazzo non si sarebbe trattenuto ancora per molto. – Mi ha invitato lei. – fece un cenno con la testa verso la ragazza. – Puoi chiederglielo, se vuoi.

James alzò il mento, in segno di sfida. – Lo farò non ti preoccupare.

– Prego, accomodati. Ma ho dovuto recitare a memoria ben ventidue poesie prima che prendesse sonno di nuovo. Se la svegli, – disse con calma mettendosi le mani in tasca. – Io ti ucciderò e getterò il tuo cadavere nel Tevere. – il sorriso sulle labbra rimase immutato, ma James non si sarebbe azzardato a svegliare Louisa, o gli avrebbe reso il pugno che gli aveva dato tempo prima.

James lo afferrò per il collo del pigiama e lo tirò a sé. – Ringrazia il cielo che ho cose più importanti a cui pensare.

– Figurati! – si liberò della presa di James, afferrandogli due dita e minacciandolo di spezzargliele, se non lo avesse lasciato. – Cosa sei venuto a fare qui, James? Sei venuto a controllare che Louisa si stesse comportando come vuoi tu?

– Sono venuto per avvertirla che domani non mi avrebbe trovato. – sussurrò James, quando Louisa si girò nel letto. – Non le avrei detto il motivo, ma visto che dorme, lo dico a te. E ti chiedo di non riferirglielo. Dimitri è stato male e ho fatto venire un’ambulanza. Starò via qualche ora e appena saprò qualcosa di più la chiamerò.

– Dim che cosa? – Louisa si mise a sedere sul letto, guardando prima lui e poi James.

Jason alzò gli occhi al cielo per l’esasperazione. Voleva evitare proprio cose del genere.

– James, cosa è successo a Dimitri? – Louisa scalciò via le coperte e in un lampo, fu fra lui e James, guardando quest’ultimo con apprensione.

– Nulla di grave.

– È in ospedale? Dimmi cosa è successo. Deve fare una trasfusione? Gli sono tornati i dolori? Ti prego, dimmi che non è così. Gli hanno dato la morfina? – lo afferrò per la giacca e lo scosse. – Gli hanno dato la morfina? James, dì qualcosa!

Lui si limitò a scuotere la testa. – Tornerà presto. Ora vado da lui e ti faccio sapere appena posso. – lanciò un’occhiata a Jason, che annuì capendo cosa volesse il ragazzo.

Afferrò Louisa per la vita e la tirò via di peso, rifiutandosi di lasciarla andare nonostante lei scalciasse e urlasse. – Lasciami! James! Cosa è successo a Dim? Dimmelo! Lasciami! Jason, lasciami! – gli affondò le unghie nelle mani, ma lui la strinse a sé, ignorando il dolore.

– Non posso, Louisa. James ti farà sapere, ma tu devi rimanere qui.

– No! – scalciò ancora, con James che li fissava sempre più pallido. – Jason! Ti ordino di lasciami andare!

Un feroce dolore gli artigliò il cuore e gli impedì di respirare. Cadde a terra, dimenticandosi tutto il resto al di fuori di ciò che provava. Doveva lasciar andare Louisa, solo così sarebbe stato meglio. Anziché obbedire al suo ordine, la strinse ancora più forte, avvolgendola in un abbraccio. – Non posso. – ansimò. – O farai qualcosa di stupido.

– James! – urlò lei. – Cosa è successo a Dimtri?

Gli si annebbiò la vista per il dolore. Era come se le sue vene si fossero svuotate e il contenuto fosse stato sostituito da aghi. Ogni respiro gli costava fatica e ogni battito cardiaco era un dolore che si irradiava alle braccia e allo stomaco.

– Dimitri, – disse infine James. – Ha iniziato a respirare male. Ha un problema ai polmoni. Forse un edema, o un embolo. Non volevo farti preoccupare, ti avrei detto tutto non appena lui sarebbe stato meglio. – disse prima di chiudersi la porta alle spalle.

Louisa si accasciò contro di lui e iniziò a piangere. – Lasciami, Jason – singhiozzò. – Non vado da nessuna parte, ma se non mi lasci, la coercizione continuerà a farti soffrire.

Jason sciolse l’abbraccio e il dolore scomparve immediatamente, tornando a vedere e a respirare bene. Afferrò Louisa pochi istanti prima che cadesse a terra e la strinse di nuovo a sé, cercando di esserle di conforto.

Louisa tremava contro di lui, senza riuscire a fermarsi. – Lo sogno sempre. – disse contro la sua maglietta. Aveva la voce rotta dal pianto. – Sogno sempre Dimitri morente e io che non posso fare nulla per aiutarlo.

– Louisa…

Scosse la testa, interrompendolo. – Ogni volta che penso alla sua malattia mi si stringe il cuore. Posso solo pregare per lui.

– Puoi fare qualcosa per lui. Puoi non torturarti con pensieri del genere. Puoi sorridergli e stargli vicino.

Louisa lo guardò negli occhi, tirando rumorosamente su con il naso. – Posso uscire a cercare il Sigillo. – disse risoluta.

– Cosa?

Lei si alzò in piedi, asciugandosi le lacrime con il dorso della mano. – Se esco a cercare il Sigillo, non dovrà farlo Dimitri e avrà più tempo per riposare.

Jason le strinse il gomito. – Non ci pensare. Sono le quattro del mattino, dove pensi di andare?

– Fuori.

Jason rise senza allegria. – Certo come no. Per quanto apprezzi le prese di posizione, nemmeno io sono così folle da uscire alle quattro del mattino. Vuoi andare a cercare il Sigillo? Ottimo! Ci andremo insieme, ma alle mie regole.

– Ma…

– Niente ma, James e Dimitri passeranno tutto il giorno in ospedale solo per gli accertamenti. Abbiamo una giornata intera che possiamo sfruttare. Quindi ti dirò cosa faremo: ora, ti sdraierai a letto, almeno per un altro paio d’ore, poi ti farai una doccia, ti vestirai e infine faremo colazione in albergo. Dopo di che andremo a cercare il Sigillo

– Ma…

Jason incrociò le braccia al petto. – Queste sono le mie condizioni, Louisa. Prendere o lasciare. E se lasci, ti legherò alla testiera del letto e sarai costretta a rimanere lì tutto il giorno.

Lo sguardo della ragazza scivolò dal pavimento al letto sfatto. – Non riuscirei a dormire. Ho bisogno di fare qualcosa e non di stare qui ad aspettare.

Jason si alzò e la spinse verso il letto. – Almeno provaci. Ti terrò compagnia e poi usciremo. Troverai solo perditempo e ubriachi in giro a quest’ora, gente con cui non vorresti avere a che fare.

Louisa sospirò e si infilò di nuovo sotto le coperte, dandogli la schiena. – Perché vuoi sempre avere ragione?

– Perché sono egocentrico, megalomane, arrogante, superbo e tiranno. E perché ho ragione a prescindere. Ed inoltre sono bellissimo. E questo non guasta mai. – sorrise e si sedette a bordo letto, ben sapendo che Louisa non avrebbe gradito un’altra sua intrusione. Adocchiò la poltrona in un angolo e decise di passarci il resto della notte, convinto che se avesse lasciato sola Louisa lei sarebbe sgattaiolata via alla prima occasione.

– Jason, cosa stai facendo? – sussurrò Louisa, quando lui spostò la poltrona per mettersi comodo.

– Secondo te? Avvicino le due poltrone, così posso allungare le gambe.

Louisa si mise a sedere sul letto.

Si fissarono nella penombra per qualche secondo, in un silenzio carico di tensione e di domande inespresse.

– Senti, – cominciò Louisa spostandosi dal centro del letto. – Perché non ti sdrai accanto a me? Non fraintendere, è solo che quelle poltrone non sono così comode come sembrano. – scosse la testa, non sicuro di aver capito bene le parole della ragazza. Louisa lo stava invitando nel suo letto?

La buttò sul ridere, con il cuore in gola. – E tu chi sei? Che ne hai fatto di Louisa?

– Ma che domande fai?

Le prese il volto tra le mani, appoggiando la fronte contro la sua. – E non hai neanche la febbre. Che sia una qualche malattia ancora sconosciuta? Magari fin ora è stata silente e sei così sconvolta che straparli.

Louisa gonfiò le guance tra le sue mani, prima di sbuffare sonoramente. – Guarda posso sempre cambiare idea. Volevo solo essere gentile ed evitarti un mal di schiena. – si voltò dall’altra parte, tirandosi la coperta fin sulla testa. – Antipatico.

Jason tentennò qualche altro secondo, poi si stese accanto a lei, facendo attenzione a non sfiorarla, nonostante lo desiderasse con tutto sé stesso.

Il respiro di Louisa era lento e costante eppure qualcosa gli diceva che non stesse dormendo, ma era immersa nei suoi pensieri. – Se la caverà. Dimitri è forte e James è con lui.

– Ho paura. – Jason si fece un po’ più vicino, costatando che aveva visto giusto. Nonostante Louisa stesse controllando il respiro, tremava da capo a piedi. La strinse di nuovo a sé, fregandosene di quello che lei avrebbe potuto pensare e affondò il viso tra i suoi capelli.

– Lo so. – mormorò accarezzandole una mano. – So cosa vuol dire, aspettare l’alba con il terrore. Avere paura che le notizie che arriveranno ci spezzeranno definitivamente, ma credimi, l’attesa e l’incertezza sono le parti peggiori.

– Hai già vissuto tutto questo?

Jason sorrise, nell’oscurità. – Non proprio. Ho vissuto un momento di incertezza e paura.

Louisa si rannicchiò tra le sue braccia, cercando conforto. – Ti va di raccontarmela?? Non riuscirei comunque a chiudere occhio.

– Dopo la morte di mio padre non riuscivo a stare a casa mia. Tutto di quella casa mi opprimeva. Stare da Will mi faceva stare peggio; tutti si prendevano cura di me, guardandomi costantemente come se fossi un malato terminale. E così mi sentivo, in effetti. Non avevo alcuna speranza. La persona che mi aveva amato e cresciuto se n’era andata, lasciandomi solo. Ero furioso. Con me, con lui, con la famiglia di Will. Una sera presi la vecchia auto di mio padre e me andai. Passai giornate intere a guidare senza parlare con nessuno, fermandomi solo per dormire e mangiare. – le accarezzava piano il braccio, mentre tirava fuori quei ricordi dolorosi. – Scappai come un codardo dalla mia vita, incapace di accettare quello che stava succedendo. Non rispondevo alle telefonate di Will e Sophie e quando non avevo voglia di passare del tempo tra la gente, mi chiudevo in auto per nottate intere maledicendo mio padre.

– È  orribile.

– Pensi che me ne importasse qualcosa? Passai i primi mesi girando su e giù per la Scozia e l’Inghilterra, usando una parte dei soldi che avevo in eredità, poi, quando mi bastò più, abbandonai l’auto e me ne andai in Francia. Fu in una di quelle sere, che Sophie mi mandò un messaggio; ero abbastanza ubriaco, ma non dimenticherò il suo contenuto neanche tra un milione di anni. Mi scrisse che Will si era fatto male e che stava sanguinando. Niente altro. Terrorizzato, saltai, letteralmente, sul primo volo per Edimburgo e corsi a casa. L’unico pensiero che mi frullava in testa era che avevo abbandonato le persone a cui tenevo di più. Per tutto il viaggio di ritorno, provai una gran paura, soprattutto, rimorso per quello che non avevo mai detto a Will.

– Ma Will ora sta bene.

– Oh sì, – precisò Jason. – Ma quella volta mi ha fatto perdere dieci anni di vita, e lui e sua sorella l’hanno pagata cara. Quando spalancai la porta di casa loro, trovai Will sul divano che leggeva e Sophie stesa sul tappeto che giocava con il cane. Lei mi fissò e scoppiò a ridere, dicendo che ci avevo messo un sacco di tempo a tornare.

– Ma Will? Non si era fatto male? Ti avevano preso in giro?

– No, Will si era fatto realmente male. Si era fatto un taglio su un dito, mentre sbucciava le patate. Taglio che gli costò cinque punti e un bernoccolo.

– Un bernoccolo?

Jason rise contro il collo di Louisa. – Glielo feci io quando cozzai le loro teste una contro l’altra, per la paura che mi fecero prendere. Ma quella volta capii chi era realmente importante per me. Capii che per loro avrei attraversato un oceano a nuoto. Ma la paura che avevo provato nel non sapere, quella non potrei mai dimenticarmela. Loro sono la mia famiglia, come Dimitri e James sono la tua, e come io ho fiducia in Will e Sophie, tu devi averne in loro. Dimitri è forte, molto più di quello che pensi ed io, – la strinse un po’ più forte avvicinando le labbra al suo orecchio. – Sono un vero idiota a dirti che devi credere in James, visto quanto mi sta sulle palle.

– James non è cattivo.

– No, – rispose Jason allontanandosi da lei, prima di esagerare. – È solo diversamente accondiscendente. 

Louisa ridacchiò contro la sua spalla e Jason posò la testa sulla mano, tirandosi su per vederla meglio nonostante il buio. – Stai ridendo.

– Sì. È che l’idea di James come lo descrivi mi fa ridere.

– Sei più bella quando ridi, lo sai? – si morse la lingua quando Louisa ammutolì e si scostò di qualche centimetro da lui. – Rilassati, era solo un complimento.

– Faccio fatica a rilassarmi con te vicino. Non fai altro che provocarmi. – Louisa parlava tranquillamente e Jason capì che nonostante fosse a disagio, non si era arrabbiata.

– Se tu non accettassi le mie provocazioni, io smetterei, ma fai delle facce così buffe che non riesco a trattenermi.

Louisa gemette. – Non puoi tornare a essere gentile come prima? Quando recitavi le poesie?

– Ti sono piaciute? – chiese interessato. Non a tutti piaceva Robert Burns, usava come metafore piante e animali per descrivere i sentimenti umani.

Louisa annuì contro il suo braccio. – Erano belle, ma mi piacevano soprattutto per come le dicevi tu, con quel tuo accento scozzese e la r strana. E poi si capiva che ami molto la tua terra.

Jason le punzecchiò il fianco con un dito. – La mia r strana? Hai mai sentito la tua? Hai la r moscia e un accento pessimo, quasi peggio di quello di James, non riesco a credere che sia inglese.

Louisa si voltò verso di lui. – James non è inglese, è americano. Viene dal Texas.

– Ora capisco perché lo detesto. Beh, ce lo vedo bene James a cavallo che spinge mandrie di bestiame a destra e sinistra e va in giro con il cappello da cowboy e la bandana al collo.

Louisa scoppiò a ridere sonoramente. – Tu non dirglielo, ma ogni tanto ce lo vedo anche io. – Jason resistette alla tentazione di strapparle un bacio e si accontentò di accarezzarle i capelli, inspirando forte il profumo del suo sapone. – Jason, – il tono di Louisa lo fermò e si chiese se di nuovo avesse osato troppo. – Prima, quando mi sono addormentata di nuovo ho fatto dei bei sogni.

Jason si rilassò e riprese a coccolarla. – Arcobaleni e unicorni?

– Circa. C’erano colline verdi, animali e fiori. Mi chiedevo: se avessi di nuovo un altro incubo…

– La mia porta è sempre aperta, Louisa. – disse interrompendola prima che lei potesse dire qualcosa di cui poi si sarebbe pentita. – Se avrai altri incubi, puoi venire da me. Burns è stato parecchio prolifico in vita, posso leggerti un sacco di poesie se vuoi.

Louisa sospirò soddisfatta. – Grazie.

Jason stava per aggiungere qualcosa, quando il cellulare della ragazza squillò. Senza attendere il permesso, se lo mise all’orecchio. – Pronto? Qui è il telefono di Louisa. Se non è importante, sappiate che è un’ora pessima e che ci stavamo quasi divertendo.

– Spero per te che fosse una partita a Scarabeo e che tu non l’abbia toccata. – ringhiò James nel microfono. – O troverò un metodo particolarmente fantasioso per ucciderti via telefono. Passami Louisa, devo parlarle.

Gli occhi di Jason corsero alla ragazza, che nel frattempo aveva acceso la lampada del comodino. – È James. – disse sentendo il cuore contro lo sterno per la preoccupazione. Mentre Louisa avvicinava la testa alla sua per sentire insieme la telefonata, pregò che il ragazzo avesse buone notizie.

– James? – chiese Louisa, titubante. – Ci sono novità?

–Sì. Hanno sottoposto Dimitri ad alcuni esami e ha un edema polmonare. Gli hanno già somministrato dei farmaci e dato l’ossigeno. Ora sta riposando, però dovremo stare qualche giorno in ospedale, almeno finché non si sarà riassorbito l’edema. – Jason tornò a respirare e mise un braccio intorno alle spalle di Louisa, visibilmente sollevata. – È una bella notizia, Louisa. – proseguì James. – I farmaci stanno già iniziando a fare effetto e respira meglio. Domani pomeriggio, dopo che saranno passati i medici, potrete venire a trovarlo.

Una lacrima corse lungo la guancia della ragazza. – Grazie, James. Grazie.

– Un’altra cosa poi ti lascio tornare a riposare. – precisò James. – Dì a Jason che faremo i conti dopo. Ha dormito con te, non gliela faccio passare liscia. – Jason le strappò il telefono di mano, lasciando che la ragazza si prendesse qualche minuto per tranquillizzarsi e si concentrò su James. – Perché non me le dici in faccia, anziché mandare Louisa come ambasciatore? Non le ho fatto nulla, abbiamo solo parlato.

– Non mi interessa. Ti stai approfittando di lei e la distrai. – lasciò che James continuasse con la sua ramanzina e smise di ascoltarlo quando vide con la coda dell’occhio Louisa che si avvicinava alla finestra come una sonnambula e scostava le tende per guardare fuori.

– Jason, – sussurrò lei, tornando a guardarlo. – Dobbiamo uscire. – aveva gli occhi sgranati e si torceva le mani. – Jason, è importante. Lo sento. Riesco a sentire il Sigillo e non è distante da qui.

Chiuse il telefono in faccia a James e guardò fuori anche lui. – Sicura? Sono le cinque e mezzo del mattino.

– Lo sento.

Lui annuì, credendole ciecamente. – Vado a vestirmi, tu fa lo stesso, ci vediamo fra dieci minuti.

Corse in camera sua, lanciando la chiave elettronica sul tavolino e iniziò a vestirsi al buio, scegliendo i vestiti a casaccio dalla borsa. Saltellò fino alla porta, infilandosi una scarpa, quando Louisa bussò, vestita di tutto punto con il cappotto in mano. – Sei pronto?

Senza farselo ripetere due volte, afferrò la giacca di pelle e se la mise sulle spalle. – Andiamo.

Nella Roma di prima mattina giravano già dei pendolari assonnati che si recavano chi a scuola, chi a lavoro reggendosi in piedi a stento. In mezzo alle auto strombazzanti e ai tram, Jason seguiva Louisa che camminava a passo svelto verso il centro cittadino. – Sicura di sapere dove andare? – chiese prendendole la mano per non perderla in mezzo alla folla che aumentava di minuto in minuto.

– Sì. – disse svoltando in una via laterale di scatto. – Da questa parte.

– Non potrebbe essere Dimitri oppure James?

Louisa iniziava ad avere il fiatone per la passeggiata all’aria fredda del mattino, ma non rallentò – No. Sono sicura che fosse qualcun altro. Qualcuno che non conosco.

Camminava sicura per le strade di Roma, seguendo un istinto che solo lei poteva sentire. Jason la fermò quando riconobbe la struttura in fondo alla strada. – Louisa, quello è il Colosseo. Pensi di trovare il Sigillo, qui?

– Lo sento vicino. – strattonò la manica del cappotto, liberandosi di Jason e proseguì, senza controllare che lui la seguisse ancora.

– Louisa? – si fermò, quando la vide chinarsi per controllare il terreno vicino ad un muro di mattoni rossi.

– Guarda. – disse indicandogli la base del muro annerito e la cenere a terra. – Sembra che qualcuno abbia dato fuoco al muro.

Jason seguì la linea nera, costatando che proseguiva lungo tutto il muro, fino all’angolo. Sobbalzò, quando un gatto gli sfrecciò tra le gambe per andare a strusciarsi su Louisa, facendo le fusa.

– Ma come sei carino. – disse Louisa grattandogli la testa. – Vorrei che tu mi potessi dire cosa è successo qui. Sento tanta energia e sento il Sigillo. Non è che per caso lo conosci, eh?

Jason alzò gli occhi al cielo e fulminò il gatto che lo fissava. In genere amava gli animali, ma quelli che lo guardano mentre si facevano coccolare da Louisa, gli scatenavano un’ondata di gelosia. Un po’ come il Boa della biosfera. Quel gatto aveva lo stesso, identico sguardo di sfida e tracotanza. – Sciò! Louisa, potrebbe avere le pulci o le zecche, smetti di accarezzarlo.

– Ma no, ma no. – rispose lei, facendo al gatto lunghe carezze dal muso alla coda. – Mi piacerebbe avere un gatto.

– Te ne prenderò uno, – disse lanciando un’occhiata assassina all’animale che sonnecchiava sulle ginocchia di Louisa. – Che ne pensi di tornare al Sigillo?

– Oh sì, – lei annuì, ma non accennò ad alzarsi. – Giusto, il Sigillo.

Una voce squillante che parlava in italiano fece sobbalzare Louisa, che si voltò a guardare la ragazza che correva verso di loro. I lunghi ricci rossicci, danzavano sulla sciarpa gialla e azzurra e da sotto il cappotto a tre quarti rosso, spuntavano un paio di calze verdi. A tracolla portava una borsa ricoperta di spille colorate.

Quando fu abbastanza vicina, Jason vide che aveva il naso sporco di nero e una matita che usava come fermaglio per capelli. Parlò per un po’ in italiano e Louisa rispose nella stessa lingua.

– Un po’. – disse infine la ragazza in inglese, prima di voltarsi verso Jason. – Ma dico! Quella è pelle? Una giacca di pelle? – Jason annuì, notando che aveva delle spille anche sulla sciarpa. Aveva l’aria di una matta. – E ti sorprendi se il gatto non ti vuole toccare? Ma dico! La tua amica invece l’ha rassicurato subito! – si voltò verso Louisa, prendendo in braccio il gatto e tastando il cappotto di Louisa. – Quello che indossi è cotone, vero? I vestiti di origine animale inquinano i Chakra. Per questo piaci ai gatti! Non come il tuo amico! Scommetto che beve anche il caffè! Ma dico! Abiti di pelle e caffè, e poi ti domandi perché stai antipatico agli animali! Ora devo andare a scuola! Ciao! – lasciò cadere il gatto su una mezza colonna e si allontanò saltellando.

– Che matta. – commentò Jason quando lei non fu più a portata di orecchio.

– Seguiamola! – disse Louisa alzandosi e iniziando a seguirla.

– Che cosa?

Lei si voltò, senza smettere di camminare. – È lei, Jason! È il Sigillo!

Jason gemette, infilandosi le mani nelle tasche dei jeans e saltando insieme a Louisa sull’autobus affollato, all’inseguimento della ragazza.

Lanciò un’ultima occhiata alla matta, mentre lei si grattava il naso con un carboncino e tirava fuori un pezzo di carta, mettendosi a disegnare a più non posso.

Sbuffò. Sarebbe stata una giornata molto lunga.

 

 

 

 

NdA: strano a dirsi, mi sono ricordata che dovevo aggiornare. Scherzi a parte, avevo questo capitolo pronto da un po’, ma è stato solo dopo aver finito il 13 che ho deciso di mettere fuori questo. Forse perché dovevo ben decidere come si svolgerà l’avventura di Roma… Ringrazio Alberto, per la traduzione lampo del titolo!

Il titolo riprende la poesia di Burns, “A red, red rose” che vi posto qui la traduzione:

Il mio Amore è come una rosa rossa, rossa

che è da poco sbocciata in giugno:

il mio Amore è come una melodia

dolcemente e armoniosamente suonata.

 

Sì bella tu sei, mia leggiadra fanciulla

che pazzamente innamorato io sono;

e sempre io ti amerò mia cara

finché non s'asciugheranno tutti i mari;

 

finché non s'asciugheranno tutti i mari, mia cara,

e non si fonderanno le rocce al sole:

e sempre io ti amerò, mia cara,

finché scorrerà la sabbia della vita.

 

Addio, mio unico Amore!

Addio per un poco!

Io ritornerò mio Amore,

anche se a dieci mila miglia.

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